CAPITOLO 1
Lo specchio e l’ossimoro pag. 7
1.1 Lo specchio e l’ossimoro » 9
1.2 Exemplum et Imago Dei » 11
1.3 Prospettiva e anamorfosi » 11
1.4 Discordia concors: il campo retorico dell’ossimoro » 24
CAPITOLO 2
Il corpo dell’ossimoro: Titus Andronicus » 31
2.1 Llo specchio di Roma » 33
2.2 “O cruel, irreligious piety” » 38
2.3 Le forme della vendetta » 47
2.4 Lavinia e Tamora » 54
2.5 Alterità e specularità » 63
2.5 Il corpo dell’ossimoro » 67
CAPITOLO 3
L’enigma del riflesso: Richard II » 75
3.1 Ordine e teatro » 77
3.2 Richard II » 81
3.3 La corona e il teschio » 87
3.4 Lo specchio in scena » 91
CAPITOLO 4
La messinscena dell’interiorità: Hamlet » 101
4.1. “To be” and “not to be”: il non-essere del soggetto » 103
4.2. “Seems! Nay, it is”: fra essere e apparire » 106
4.3. “A crafty madness”: lo specchio di una verità » 111
4.4. “O, horrible! Most horrible”: sguardi nello specchio » 123
Bibliografia » 131
1
Uno dei lavori più influenti sui passaggi tra epoche storiche e sui processi che
li determinano è senz’altro Les mots et les choses di Michel Foucault, il cui oggetto
è l’episteme della cultura occidentale, riguardo alla quale egli individua tre seg-
menti di lungo periodo (Rinascimento, Età classica e Modernità), con cesure che si
posizionano all’altezza della fine del XVII secolo e dell’inizio del XIX. La frattura
che maggiormente interessa l’ambito di cui stiamo qui discutendo è quella che
sancisce il tramonto dell’episteme rinascimentale. Cfr. M. Foucault, Les mots et les
choses, Paris, Éditions Gallimard, 1966, [trad. it.] Le parole e le cose. Un’archeologia
delle scienze umane, Milano, Rizzoli, 2001, p. 12.
Lo specchio e l’ossimoro 11
2
S. Melchior-Bonnet, Histoire du Miroir, Paris, Éditions IMAGO, 1994, [trad. it.]
Storia dello specchio, Bari, Edizioni Dedalo, 2002, p. 21.
3
Lacan individua nella scoperta da parte del bambino della propria immagine
riflessa una tappa fondamentale della percezione di sé come un’unità. Tuttavia,
sottolinea Lacan, l’unità è acquisita attraverso una contemporanea dislocazione:
il soggetto, nell’identificarsi con la propria immagine si identifica con un Altro,
che nella proiezione visuale pone fine al senso di smembramento corporeo che
il soggetto avverte dall’interno. La forma del Sé paradossalmente si conquista al
prezzo di un decentramento. Cfr. J. Lacan, Le Stade du Miroir comme formateur
de la fonction du je, in «Revue française de psychanalyse», 13.4 (1949), pp. 449-
455, [trad. it.] Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io (1936,
12 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
6
Ibid., p. 130.
7
Thomas Elyot, Thomas Hoby e Roger Ascham avevano contribuito al dibattito
sull’educazione di principi e cortigiani rispettivamente con The Book Named the
Governour (1531), la traduzione de Il Cortegiano (1513) di Baldassar Castiglione,
e The Schoolmaster (1570). Mi sembra interessante riportare un brano da The
Courtier (1561), nel quale la parola ‘specchio’ è utilizzata proprio con la valenza di
exemplum nel senso di fashioning, un modello di virtù sociale: “To yonge Gentle-
men, an encouraging to garnishe their minde with morall vertues, and their bodye
with comely exercises, and both the one and the other with honest qualities to
attaine unto their noble ende: To Ladyes and Gentlewomen, a mirrour to decke
and trimme themselves with vertuous conditions, comely behaviours and honest
enterteinment toward al men: And to them all in general, a storehouse of most
necessary implements for the conversation, use, and training up of mans life with
Courtly demeaners”. T. Hoby, The Book of the Courtier (1561), London, David Nutt,
1900, p. 16.
14 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
8
Melchior-Bonnet, op. cit., pp. 126, 132.
9
H. Grabes, Mirror und Looking-glass: Kontinuität und Originalität der Spie-
gelmetapher in den Buchtiteln des Mittelalters und der englischen Literatur, Tübin-
gen, Max Niemeyer Verlag, 1973, [trad. ingl.] The Mutable Glass. Mirror-imagery in
titles and texts of the Middle Ages and English Renaissance, Cambridge, Cambridge
University Press, 1982, p. 97. L’elaborazione dei dati forniti da Herbert Grabes in
questo suo studio consente di tracciare un diagramma di ‘gradimento’ della figura
dello specchio dal Medioevo fino quasi alle soglie del Settecento. All’interno di
tale percorso, proprio nel Rinascimento si registra un picco di frequenza nel suo
utilizzo e un marcato processo di condensazione semantica. In Inghilterra, è nel
Rinascimento che la metafora dello specchio acquisisce una nuova complessità,
combinando vecchi e nuovi tropi.
Lo specchio e l’ossimoro 15
10
E.M.W. Tillyard, The Elizabethan World Picture (1943), Harmondsworth, Pen-
guin, 1988. Tillyard riprende lo studio di Arthur O. Lovejoy, che per primo aveva
parlato di ‘grande catena dell’Essere’. Cfr. A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being,
Cambridge, Cambridge University Press, 1936.
11
M. Pagnini, Shakespeare e il paradigma della specularità, Pisa, Pacini, 1976,
pp. 125-126.
12
Foucault, op. cit., p. 51.
16 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
13
C. Belsey, The Subject of Tragedy. Identity and Difference in Renaissance
Drama, London and New York, Methuen, 1985, p. 56.
Lo specchio e l’ossimoro 17
14
Pagnini, op. cit., p. 126.
15
Cfr. L. Innocenti, Modalità del visibile e modalità dell’udibile nella poesia re-
ligiosa del Seicento inglese, in Rites of Passage: Rational/Irrational, Natural/Super-
natural, Local/Global, Atti del XX Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana
di Anglistica (Catania-Ragusa, 4-6 ottobre 2001), a cura di C. Nocera - G. Persico
- R. Portale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 13.
16
Belsey, op. cit., p. 65.
18 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
17
Ibidem.
18
Ibid., p. 8. Utilizzo la terminologia di Belsey con la cautela che richiede la
consapevolezza della illusorietà dello statuto di unitarietà riferito dalla studiosa
al soggetto moderno dei secoli XVIII, XIX e XX; un tema che esula dall’ambito
specifico di questo saggio. Quel che preme sottolineare qui è la differenza tra il
soggetto rinascimentale, diviso fra istanze medievali e premoderne, e il soggetto
del Settecento, ormai entrato all’interno di nuove coordinate epistemiche.
Lo specchio e l’ossimoro 19
19
G. Melchiori, Introduzione a J. Donne, Liriche sacre e profane: Anatomia del
mondo; Duello della morte, Milano, Mondadori, 1983, pp. xxix-xxx.
20 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
20
Philip Armstrong inquadra così la portata della rivoluzione cartografica e
cosmologica: “[W]ith the displacement of the medieval religious cosmology, with
‘man’ at its centre under the gaze of God, comes the installation of the new subject
[…] who takes ‘his’ bearings from an astronomical cosmos centred on the sun,
and which places the earth under a powerful gaze of ‘his own’”. P. Armstrong,
Spheres of Influence: Cartography and the Gaze in Shakespeare’s Roman Plays,
in Shakespeare’s Tragedies, ed. by S. Zimmerman, New York, St. Martin’s Press,
1998, p. 70. Per le nuove concezioni spaziali si vedano invece, B. Klein, Maps and
the Writing of Space in Early Modern England and Ireland, New York, Palgrave,
2001; D.K. Smith, The Cartographic Imagination in Early Modern England. Re-
Writing the World in Marlowe, Spenser, Raleigh and Marvell, Burlington, Ashgate,
2008; D. Turnbull, Cartography and Science in Early Modern Europe: Mapping
the Construction of Knowledge Spaces, in «Imago Mundi», 48 (1996), pp. 5-24.
Per una discussione sull’anatomia e sulla sua influenza nell’ambito letterario
dell’epoca si rimanda alla lettura di M. Del Sapio Garbero, Anatomy, Knowledge
and Conspiracy: in Shakespeare’s Arena with the Words of Cassius, in Questioning
Bodies in Shakespeare’s Rome, ed. by M. Del Sapio Garbero - N. Isenberg - M.
Pennacchia, Goettingen, V&R Unipress, 2010, pp. 33-56; U. Bern, Performing
Anatomy in Shakespeare’s Julius Caesar, in Ibid., pp. 95-108.
Lo specchio e l’ossimoro 21
21
M. Brusatin, Voce: Disegno/progetto, in Enciclopedia, vol. 4, Torino, Einaudi,
1978, p. 1110, cit. in A. Serpieri, Retorica e immaginario, Parma, Pratiche, 1986, p.
150. È interessante notare come parte del map-making tardorinascimentale sfrutti
la stessa prospettiva centralista, ma con uno scopo del tutto opposto, ossia quello
di denaturalizzare lo spazio e di distanziarlo dal soggetto, in modo da presentarlo
come un ‘vuoto’ astratto e bidimensionale da colonizzare.
22
Serpieri, Retorica e immaginario, cit., p. 151.
23
Brusatin, cit. in Ibid., p. 150.
22 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
visivi minarono alla radice la fiducia del soggetto che ciò che vedeva
fosse la realtà24.
Fra Cinque e Seicento, lo specchio svolge una funzione
importante nell’ambito degli esperimenti di ottica; parimenti
lo troviamo impiegato in numerosi giochi prospettici in voga
all’epoca, come i cabinets di specchi, che presentano la stessa
figura da diversi punti di vista, oppure i disegni catottrici, in cui
è affidata a una superficie riflettente la funzione di ricomporre
un’immagine disgiunta25. A questo proposito, Herbert Grabes
suggerisce che: “[T]he perspective-cabinets of the sixteenth-
century savants expressed a new consciousness of subjectivity
and of the problem of appearance and reality: the multiple ima-
ges of one original correspond to the multiplicity of subjective
interpretations of a phenomenon – and if human cognition and
judgment are merely subjective, the separation of appearance
from reality becomes problematical”26. L’apparenza si svincola
dalla realtà, il riflesso perde la corrispondenza con l’originale,
ed è a questo punto che, in letteratura, a livello figurale, lo
specchio si associa a nuove significazioni, a una conoscenza
che non si rivela per analogia ma per differenza, rimandando
un’immagine enigmatica, forse ingannevole, forse rivelatrice di
una verità (non più della Verità). La diffusione di specchi di ve-
tro, dalla superficie più liscia e nitida27, paradossalmente, con-
24
C. Mucci, I corpi di Elisabetta. Sessualità, potere e poetica della cultura al
tempo di Shakespeare, Pisa, Pacini, 2009, p. 146.
25
Una accurata descrizione di come funzionassero i giochi ottici e di come la
letteratura li trasformasse in omologhi giochi verbali è contenuta in A. Schickman,
The “Perspective Glass” in Shakespeare’s Richard II, in «Studies in English Litera-
ture, 1500-1900», 18.2 (1978), pp. 217-228.
26
Grabes, op. cit., p. 113.
27
Le tecniche di realizzazione degli specchi di vetro si erano perfezionate in
Europa (nella Lorena e a Venezia) a partire dalla fine del Quattrocento, consen-
tendo una visione più limpida rispetto ai comuni specchi di metallo largamente
usati già da molti secoli. Riguardo all’Inghilterra, A.F. Kinney scrive: “Mirrors […]
became commonplace in England during the early Tudor period, and were thus
known both to spectators in the galleries and in the yard at the curtain and the
Lo specchio e l’ossimoro 23
theatre, and later at the Globe. Largely imported from Venice and Antwerp, glass
mirrors still held the hint of luxury. They were the sign of fashionable men and
women, who carried them at their sides, in their pockets, or inserted them into
their fans. […] Tin mirrors, however, were cheap, everyday objects that could be
bought at haberdashers’ shops, open stalls, and country fairs; they were part of
a pedlar’s stock in trade. The more expensive mirrors of glass could do grand,
if predictable things: they could lighten up dark rooms, lighten a thick wall, or
simulate a window. Often, they were hung opposite windows to replace tapestries
in order to bring the outdoors inside.” A.F. Kinney, Shakespeare’s Webs. Networks
of Meaning in Renaissance Drama, New York and London, Routledge, 2004, p.
4. D. Shuger sottolinea come: “Venetian glass spread throughout Europe; by the
early seventeenth century, cheap crystal mirrors, now of English manifacture, had
become widely available…”. D. Shuger, The “I” of the Beholder. Renaissance Mir-
rors and the Reflexive Mind, in Renaissance Culture and the Everyday, ed. by P.
Fumerton - S. Hunt, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1999, p. 21.
Herbert Grabes, invece, definisce l’invenzione dello specchio di vetro: “the tech-
nological marvel of the age”. Grabes, op. cit., p. 4. Per maggiori dettagli sulla dif-
fusione dello specchio come oggetto materiale si vedano anche Melchior-Bonnet,
op. cit., pp. 21-42; S.J. Schechner, Between Knowing and Doing: Mirrors and their
Imperfections in the Renaissance, in «Early Science and Medicine», 10. 2 (2005),
pp. 137-162.
28
Serpieri, Retorica e immaginario, cit., p. 153.
24 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
È appunto nella tensione che si sprigiona fra una semiosi del mondo
solida, perché divinamente ordinata, e le forze relativistiche, alterna-
tive al modello, che affiora un’importante riflessione metalinguistica
e metadiscorsiva: quella che contrappone la lingua motivata a una
arbitraria, tragicamente distante dal senso sicuro del mondo. Il mo-
dello simbolico e quello sintagmatico corrispondono, non a caso, al
passaggio da un tipo all’altro di interpretazione dei segni29.
29
S. Bigliazzi, Nel prisma del nulla. L’esperienza del non-essere nella dramma-
turgia shakespeariana, Napoli, Liguori, 2005, p. 14.
Lo specchio e l’ossimoro 25
30
Scrive Bigliazzi: “[I]l periodo elisabettiano registra una sorta di terremoto se-
miotico, caratterizzato dal fronteggiarsi di due prospettive fortemente contrastanti
nei confronti del linguaggio: riconducibili, una, a un atteggiamento realistico,
volto ad attribuire alle parole una straordinaria corrispondenza con le cose, l’altra,
a un deciso scetticismo nominalistico, che, al contrario, individua un’incolmabile
distanza fra la lingua e il mondo”. Ibid., p. 15; per la definizione e articolazione
del concetto di “asse del non-essere”, cfr. p. 18.
31
Ibid., p. 14.
26 Lo specchio e l’ossimoro: la messinscena dell’interiorità nel teatro di Shakespeare
32
B. Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma-
Bari, Laterza, 2010, pp. 47-48. Si veda anche Y. Shen, On the Structure and Under-
standing of Poetic Oxymoron, in «Poetics Today», 8.1 (1987), pp. 105-122.
33
Mi rifaccio alla concezione di figura retorica come figura discorsiva e con-
cettuale in un senso vicino a quello attribuitole dalla scuola di Retorica Generale
Testuale nata negli anni Ottanta del Novecento, secondo cui la retorica si definisce
come modalità di produzione e di lettura del mondo e non quale ornamento
applicato a un grado zero della lingua (visione ancora presente per esempio nella
ricerca del Gruppo µ di Liegi). Al limite tra cognitività e culturalismo, la retorica
generale testuale considera le figure retoriche elementi costitutivi di un sistema
linguistico non posteriore alla formazione di un pensiero o di una visione del
mondo, ma strutturale ad esso. Scrive Stefano Arduini in Retorica e traduzione:
“[L]’attività figurale che si manifesta nel linguaggio ma anche in altri sistemi, non
permette tanto di esprimere in un certo modo (quello figurato da quello neutro)
il mondo che già conosciamo ma piuttosto permette che esso sia conosciuto, lo
Lo specchio e l’ossimoro 27
34
R. Colie, Paradoxa Epidemica. The Renaissance Tradition of Paradox,
Princeton and New Jersey, Princeton University Press, 1966, p. 313.
35
C. Fromilhague, Les figures de style (1995), Paris, Nathan Université, 2003, p.
54, cit. in M. Ravassat, Oxymoron, hendiadys and co-ordinate structures: Shake-
speare from duality to indivision, in «Bulletin de la Société de Stylistique Anglaise»,
28 (2006), pp. 95-110.
URL: http://stylistique-anglaise.org/document.php?id=548 (Ultimo accesso 19
Settembre 2012).
Lo specchio e l’ossimoro 29