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di MARIO REINA
l. L'etica del lavoro si distingue sia dalla politica del lavoro, sia
dalla sociologia e dalla psicologia del lavoro. Eppure queste discipline
hanno un rapporto reale con l'etica del lavoro: non solo perché, ad
esempio, la politica del lavoro dovrebbe ispirarsi ai valori etici, ma an-
che perché le indagini della sociologia e della psicologia del lavoro do-
vrebbero contribuire a richiamare l'attenzione e la riflessione dei mo-
ralisti sui problemi che esse evidenziano, in qu anto le indicazioni emer-
genti da queste scienze non possono essere adeguatamente comprese se
non vengono anche valutate in una prospettiva antropologica e morale.
Sono state del resto proprio alcune recenti inchieste sociologiche sul com-
portamento dei giovani di fronte al lavoro e le situazioni che esse hanno rive-
lato a suggerire questa nostra riflessione (1). Da tali inchieste risulta che un
(l) Sui nuovi atteggiamenti nei confronti. del lavoro, si vedano: Mondo del
lavoro e condizione giovanile, serle di articoli In « Responsabllltà-lavoratorl n [or-
gano del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica], n. 3, 1979; G. GALLINO, Il lavo-
ro contestato, In « Mondoperalo n, novembre 1979, pp. 13 ss.; G. ZINCONE, Il rtttuto
della fabbrica : né eroi, né pecore, In «Proposte n [mensile della CISL lombarda],
' novembre 1979, pp. 10 ss.; G. CELLA, Cosa pensano t gtovant del lavoro, tbtd., dlcem-
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numero sempre maggiore di persone rifiuta di continuare a subordinar e l'orga-
nizzazione della propria vita quotidiana e della propria esistenza ai modelli
correnti di organizzazione del lavoro e cerca un nuovo rapporto tra il lavoro
e le altre attività della vita. Si tratta di fenomeni nuovi che, per la loro am-
piezza e radicalità, non interpellano solo i responsabili della vita economica e
politica, i sindacalisti o i datori di lavoro, ma anche e forse principalmente i
moralisti.
bre 1979, pp. 21 ss.; R. Rozzi, Rtflessiont sul rifiuto del lavoro, tbtd ., marzo 1980,
pp. 19 ss.; Il lavoro e t gtovant, in H ACLI oggi)), speciale H Studi e Documentazio·
ne)): prima parte, nn. 184-185, 3·4 luglio 1980; seconda parte, nn. 186-189, 5·8 lu·
gllo 1980.
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2. Che cosa è Il lavoro oggi.
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tato rimane esterno al soggetto umano che opera. In tal senso non
sono lavoro né le attività proprie della sfera religiosa (l'attività con-
templativa, l'opera di evangelizzazione, lo svolgimento del culto divino,
ecc. ), né le attività ricreative in quanto momento di distensione, di
godimento dei frutti del lavoro, né gli impegni suggeriti dall'amicizia
e dalla carità (anche se certe attività ispirate dall'amicizia e dalla ca-
rità sono lavoro in senso stretto).
Nel senso precisato il lavoro, pur essendo oggetto di un genera-
lissimo comando di Dio e un dovere per l'uomo, si colloca più nel-
l'ordine dei mezzi che in quello dei fini dell'uomo, e, come tale, non è
l'attività umana più elevata. E' di maggior valore, ad esempio, la ri-
cerca della saggezza, l'ascolto della Parola di Dio, l'esplicazione della
facoltà di amare, lo stesso riposo dal lavoro, inteso non semplicemente
come cessazione dal lavoro ma come godimento dei suoi frutti, con-
templazione dei suoi risultati. A proposito di quest'ultimo punto, è da
osservare che il riposo inculcato dalla Bibbia è inteso non solo né pri-
mariamente come momento necessario per ricostituire le energie del
lavoratore, ma soprattutto, a imitazione del misterioso riposo di Dio
ch e succede all'opera della creazione, come momento di compiacimen-
to, di contemplazione, di pienezza di vita, di festa e di gioia, che pre-
lude a quella inebriante comunione di amore degli uomini con Dio e
tra di loro che costituisce il fine ultimo dell'uomo.
(3) Sugli aspetti teologici e morali del lavoro, si vedano: G. ANGELINI, voci
Lavoro e Progresso, in Nuovo Dizionario dt Teologia, cit., pp. 701-725 e 1213-1234;
G. CAMPANINI, voce Lavoro, in Dizionario Enciclopedico dt Teologia Morale, Ed.
Paollne, Roma 1973, pp. 460-478; Io., voce Giustizia, in Dizionario Teologico Inter-
disclpllnare, Mariettl, Torino 1977, vol. II, pp. 245-263; L. Rossi, voce Sciopero, in
Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale, cit., pp. 877-887; S . BuRGALAssi, Lavoro,
festa, rito: una riflessione socio-teologica, in «Quaderni di Azione Sociale n, n. 7,
1980, pp. 37-66. Più in generale, sui problemi dell'etica sociale, s! vedano: G. AN-
GELINI, Dilatazione del t ema politico ed elusione della rl{f.esstone etica, In Pro-
blemi e prospettive dt teologia morale, a cura di T. GoFFI, Querinlana, Brescia
1976, pp. 437-464; Io., I ntroduzione all'etica sociale, Istituto di Teologia del Centro
« Ut unum s lnt )), Roma 1977.
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voro non è legato alle esigenze della sussistenza, perché la terra pro-
duce spontaneamente ciò di cui l'uomo ha bisogno, ma è essenzialmente
l'esercizio del potere che Dio gli ha dato e che lo rende simile a lui
in quanto creatore dell'universo. Solo dopo il peccato il lavoro diventa
per l'uomo una lotta dura e faticosa nei confronti della natura che gli
si ribella, per cui soltanto con il suo sudore può trarre da essa il pane
quotidiano ed esercitare quel potere di ordinaria e dominarla che il
Signore non gli ha tolto.
Alla luce del Nuovo Testamento il rapporto uomo-lavoro viene pu-
rificato ed esaltato. Secondo il Vangelo la cosa che più importa è il
Regno di Dio e tutto ciò che lo fa crescere in noi e che ci introduce
in esso. L'eccessiva e ossessiva preoccupazione del pane quotidiano e
per le cose di questo mondo, è cosa propria dei pagani; il credente
deve affidarsi all'amore provvidente del Padre. Non è il lavoro che in
se stesso ci salva; tuttavia esso, assunto a imitazione di Cristo, diventa
un mezzo di redenzione e di salvezza. Inoltre il lavoro, in quanto sforzo
dell'uomo teso a ordinare e dominare la natura, si lega in modo mi-
sterioso e non insignificante all'avvento di quella creazione libera ta e
rinnovata che, secondo san Paolo (Romani 8), è oggetto della speranza
cristiana di una definitiva salvezza dell'umanità che coinvolge tutto
il creato.
2. Il Concilio Vaticano II nella costituzione « Gaudium et spes » così
chiarisce e precisa questi concetti: « Con la sua risurrezione costituito
Signore, Egli, Cristo, cui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra,
opera ormai nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non
solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche
ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali
la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e
di sottomettere a questo fine tutta la terra» (n. 38). <<Passa, certamente,
l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato; sappiamo, però, dalla
rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova,
in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente
tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta
la morte, [ .. .] sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella
realtà che Dio h a creato appunto per l'uomo. Certo, siamo avvertiti
che niente giova all'uomo se guadagna il mondo ma perde se stesso.
Tuttavia l'attesa di un a terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto
stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove
cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce ad offrire una
certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo» (n. 39) .
3. Questi rapidissimi cenni servono a collocare in una prospettiva
antropologica cristiana i problemi del lavoro, prospettiva in base alla
quale occorre valutare la realtà attuale. Purtroppo, invece, sembra che
tali problemi siano, anche in parte del campo cattolico, assunti e va-
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e la sua funzione; ciascuna attività lavorativa non solo ter mina in un
suo prodotto, ciascuno diverso dall'altro, ma anche concorre a suo
modo a plasmare il lavoratore influendo - nel bene o nel male - s ulla
sua salute, sul suo carattere, sulla sua mentalità, e crea assonanze o
dissonanze, convergenze o contrasti di mentalità e di interessi tra la
gente.
Oggi invece tii parla spesso di lavoro o di problemi del lavoro ignorando
o sottovalutando queste differenziazioni. Si ammettono di solito due grandi grup·
p i: i padroni o datori di lavoro, da una parte, i lavoratori o personale dipen-
dente dall'altra, e per lo più i lavoratori dipendenti sono tutti accomunati in
una unica entità collettiva: masse operaie, classe operaia, e simili. Questo mo-
do di affrontare i problemi etici del lavoro non solo ha un presupposto ideolo-
gico ben preciso, ma trova un certo fondamento in una diffusa mentalità che
sopravvaluta l'aspetto economico del lavoro come fonte di reddito e di arric-
chimento.
2. Per approfondire questa linea di riflessione è utile richiamare
la distinzione, ricorrente nei testi di morale, tra il <<finis operantis >> e
il « finis operis >>, necessaria per una corretta interpretazione della strut-
tura morale dell'agire umano. Il « finis operis >> è ciò che si fa: il prodot-
to dell'azione nella sua oggettività. Nel nos tro caso il « finis operis » è
ciò che il lavoratore produce: ad esempio, per il metalmeccanico che la-
vora alla FIAT è la produzione delle automobili c he servono come
mezzo di trasporto. Il << finis operis >> è sempre moralmente rilevante,
sia perché il lavoratore ha il dovere di acquisire la competenza richie-
sta per svolgere il suo lavoro, sia perché non può non interrogarsi sul-
l'utilità e sul valore morale di ciò che concorre a produrre con il pro-
prio lavoro e sugli specifici doveri inerenti all'attività che svolge. Il
« finis operantis » 1 invece, è la ragione per cui una persona opera, ciò
a cui mira in ultima analisi. Esso qualifica esplicitamente la moralità
dell'atto umano. Nel nostro caso potrebbe essere il salario e insieme
la soddisfazione di compiere una cosa utile a lla quale ci si è preparati.
Normalmente, data l'unità della persona umana che tende a rico-
noscersi nel proprio lavoro, vi dovrebbe essere una certa convergenza
tra il « finis operis >> e il « finis operantis » , tra l'oggetto estrinseco del-
l'agire e il fine di chi agisce. Purtroppo però nell'attuale organizzazione
del lavoro il « finis operis » è in molti casi assai poco rilevante e non
interessa molto il lavoratore, sia perché le sue m ansioni sono di ser-
vizio alle macchine senza rapporto diretto con il prodotto finale, sia
perché il lavoratore è primariamente interessato al salario e ciò che
fa diventa talvolta del tutto secondario rispetto a questo fine. Si ri-
cerca il lavoro in quanto fonte di guadagno, per il salario: il resto esula,
per milioni di esseri umani, dall'ambito dei loro interessi, a nche per-
ché è spesso escluso dalla loro possibilità di scelta. Sotto un altro aspet-
to si può dire che, in un sistema come il nostro, dominato dalla par-
cellizzazione del lavoro, dove la struttura gerarchica dell'impresa rende
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sembra richiedere il mm1mo di attitudini e di qualificazione. Questa
notazione non deve essere intesa come una semplice esortazione mora-
listica, ma come il richiamo alla necessità di rivedere atteggiamenti cul-
turali e convinzioni radicati nella stessa classe operaia e di ripensare
seriamente la stessa organizzazione del lavoro, le politiche retributive,
la formazione scolastica e, per quanto r iguarda le comunità ecclesiali,
la stessa catechesi.
6. Rispettare rigorosamente e inculcare nei cristiani impegnati nel-
l'azione sindacale le specifiche peculiarità etiche dei diversi tipi di la-
voro non significa mettersi in contrasto con il movimento operaio. Si
tratta invece di dar sen so alle sue diverse componenti, di prendere co-
scienza della sua unità e del suo pluralismo non solo ideologico, ma
anche professionale, di far sì che l'unità del movimento operaio sia
un'unità di diversi tesa alla realizzazione del bene comune e di un pro-
getto di società aperto alla trascendenza. Non sembra esserci altra via
per opporsi al corporativismo dilagante, alla esasperata difesa, isolata
e autonoma, praticata da certe categorie che rischiano di difendere solo
se stesse a danno della collettività, senza riferimento all'ordine morale
e al bene comune.
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del lavoro in prospettiva pastorale. Il compito è quello di evitare che il
progresso tecnologico neghi se stesso, perché non sorretto da una ade-
guata tensione morale che ne sveli e ne riduca le ambiguità e ne esalti
i valori autentici e le potenzialità di umanizzazione.
In particolare ci sembra di dover sottolineare che, se il lavoro,
anche nell'attuale società industriale, rimane un fatto personale -
in quanto le singole persone sono le ultime responsabili del lavoro
che svolgono e di come lo svolgono - e se s i d eve riconoscere che
anche in queste situazioni molti riescono a vivere con dedizione ed
entusiasmo la propria esperienza lavorativa e a trovare in essa l'oc-
casione per crescere come persone, di fatto però la moderna organiz-
zazione del lavoro pone una serie di gravi interrogativi morali. Essa
infatti rende assai difficile a milioni di esseri umani trovare un'occu-
pazione in cui possano impegnarsi per libera scelta e in modo urna·
no; tende inoltre ad accrescere gli squilibri sociali all'interno delle
singole nazioni e tra le nazioni, e sembra destinata a produrre sem-
pre più gravi alienazioni e timori tra gli uomini. In questo senso
l'etica del lavoro diventa un punto di snodo tra le responsabilità indi·
viduali e quelle collettive, rimanda all'etica sociale, esige più appro-
fondite riflessioni sulla gestione del potere economico e politico. Per
ridare senso morale al lavoro non bastano quindi il richiamo ai do·
veri personali o generici giudizi di condanna dell'attuale situazione
sociale; occorre anche un impegno a livello socio-politico e, quindi, da
parte degli operatori pastorali, una adeguata conoscenza dei fenomeni
sociali per essere in grado di formare dei cristiani consapevoli dei
problemi che devono affrontare.
2. Si deve però constatare che i moralisti hanno per lo più tra·
scurato questo aspetto dell'etica del lavoro. I testi di morale si limi·
tano a considerare il lavoro come fonte di rapporti appartenenti di
natura loro all'ambito del privato: trattano solo dei doveri e dei di·
ritti reciproci dei datori di lavoro e dei lavoratori, mentre la dina-
mica sociale della organizzazione del lavoro non sembr~ interessare la
loro analisi. I problemi del lavoro, in questa prospettiva, sono stati
invece trattati, sia pure in modo non organico, dal magistero sociale
dei Pontefici a partire, come è noto, da Leone XIII.
Ma anche tale insegnamento e i problemi da esso posti, nonostante il
richiamo di Giovanni XXIII - il quale nella enciclica « Mater et Magistra »
ricordò che « la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione
cristiana della vita » (n. 49) - , non sono stati fatti oggetto di particolare Ot·
tenzione dai moralisti, né di una esposizione sistematica nella catechesi siu
dei giovani che degli adulti. Ci sembra perciò utile richiamare alcuni punti
essenziali del magistero pontificio sul lavoro, in quanto offrono una traccia
autorevole per l'approfondimento del nostro tema.
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danna alla povertà e tiene al margine del progresso popoli interi (cfr.
nn. 56-58).
In un altro discorso tenuto per il cinquantenario dell'OIL (Organizzazione
Internazionale del Lavoro), occupandosi della situazione dei lavoratori nelle fab-
briche, riprende l'insegnamento della « Mate1· et Magistra » e mette in guardia
contro uno sviluppo tecnologico selvaggio che mortifica l'uomo, concludendo
così: « Mai più il lavoro al disopra del lavoratore, mai più il lavoro contro
il lavoratore, ma sempre il lavoro per il lavoratore, il lavoro al servizio del-
l'uomo, di ogni uomo e di tutto l'uomo» (6).
(6) PAOLO VI, Discorso all'O.l.L (10 giugno 1969), n. 11. '
(7) G. ANGELINI, Introduzione all'etica sociale, cit., p. 15.
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ra posiztone su questi problemi significa eludere un preciso compito
di queste discipline, sottrarsi a un preciso dovere che spetta alla
comunita ecclesiale. Anche i movimenti sociali che in qualunque modo
si ispira no ai valori cristiani, e più specificamente i movimenti ecclesiali
e apostolici, non possono non impegnarsi a liberare le energie spirituali
e morali necessarie per affrontare il compito di creare condizioni nuo-
ve di lavoro e un nuovo ordine economico.
Ma per realizzare tali nuove condizioni occorre creare vasti con-
sensi nell'opinione pubblica, non solo s ui grandi valori morali della
giustizia, della pace, della solidarietà, ma anche sulle vie da percorrere
per realizzare concretamente questi ideali, p er fare in modo che essi
influiscano sulle decisioni ch e guidano le sorti dell'umanità.
Se è compito dei politici fondare la loro azione « su un progetto di società,
coerente nei suoi mezzi concreti e n ella ispirazion e, alimentata a una conce-
zione totale della vocazione de ll'uomo e delle su e diver e espressioni sociali»,
è compito dei «raggruppamenti culturali e religiosi >>, ri l'ordava Paolo VI, «di
sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per le vie loro proprie,
queste convinzioni ultime sulla natura, l'ori gine e il fin e dell'uomo e della so-
cietà» (« Octogesima adveniens », n. 25). Sarebbe quindi insufficiente se nel
mondo cattolico ci si limitasse a incoraggiare una presenza maggiore sul piano
delle competenze economiche, scientifiche, industriali, finanziarie e politiche c
si trascurasse di promuovere ini ziative che aiutino l'opinione pubblica a prcn·
dere coscien za de i grandi problemi nei quali è coinvolto il la voro umano.
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