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Settembre - Ottobre 1980 500.

Etica cristiana del lavoro 1

L'ETICA DEL LAVORO

di MARIO REINA

Presentiamo qui di seguito una rielaborazione della relazione tenuta al Con-


gresso nazionale del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica svoltosi nel
maggio scorso presso Roma, la quale aveva per titolo: « Per una rilettura del-
l'etica del lavoro "· Abbiamo tralasciato in questo rifacimento i riferimenti agli
impegni specifici dell'A zione Cattolica nei confronti dei problemi emergenti
dalla attuale organi:z::z:azione del lavoro. La presente stesura è soprattutto diretta
a sollecitare un approfondimento, sia dal pw1to di vista etico sia da quello pa-
storale, del dibattito che, a partire da alcw1e indagini sociologiche, si è svilup-
pato intomo al tema del lavoro, della sua organizzazione, del suo significato
per l'uomo d'oggi.

1. Cosa è l'etica del lavoro.

l. L'etica del lavoro si distingue sia dalla politica del lavoro, sia
dalla sociologia e dalla psicologia del lavoro. Eppure queste discipline
hanno un rapporto reale con l'etica del lavoro: non solo perché, ad
esempio, la politica del lavoro dovrebbe ispirarsi ai valori etici, ma an-
che perché le indagini della sociologia e della psicologia del lavoro do-
vrebbero contribuire a richiamare l'attenzione e la riflessione dei mo-
ralisti sui problemi che esse evidenziano, in qu anto le indicazioni emer-
genti da queste scienze non possono essere adeguatamente comprese se
non vengono anche valutate in una prospettiva antropologica e morale.
Sono state del resto proprio alcune recenti inchieste sociologiche sul com-
portamento dei giovani di fronte al lavoro e le situazioni che esse hanno rive-
lato a suggerire questa nostra riflessione (1). Da tali inchieste risulta che un

(l) Sui nuovi atteggiamenti nei confronti. del lavoro, si vedano: Mondo del
lavoro e condizione giovanile, serle di articoli In « Responsabllltà-lavoratorl n [or-
gano del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica], n. 3, 1979; G. GALLINO, Il lavo-
ro contestato, In « Mondoperalo n, novembre 1979, pp. 13 ss.; G. ZINCONE, Il rtttuto
della fabbrica : né eroi, né pecore, In «Proposte n [mensile della CISL lombarda],
' novembre 1979, pp. 10 ss.; G. CELLA, Cosa pensano t gtovant del lavoro, tbtd., dlcem-

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numero sempre maggiore di persone rifiuta di continuare a subordinar e l'orga-
nizzazione della propria vita quotidiana e della propria esistenza ai modelli
correnti di organizzazione del lavoro e cerca un nuovo rapporto tra il lavoro
e le altre attività della vita. Si tratta di fenomeni nuovi che, per la loro am-
piezza e radicalità, non interpellano solo i responsabili della vita economica e
politica, i sindacalisti o i datori di lavoro, ma anche e forse principalmente i
moralisti.

2. L'etica del lavoro ha infatti come suo oggetto e scopo di preci-


sare il significato del lavoro in quanto fondamentale esperienza uma-
na, di indicare come l'uomo lo debba vivere, quali diritti e doveri da
esso emergano, e a quali norme quindi si debba conformare l'esercizio
di questa attività.
Finora l'etica del lavoro, come risulta dai manuali di teologia mo-
rale cattolica, è stata per lo più una disciplina normativa, la quale, con
riferimento a valori immutabili fondati su alcuni dati scritturistici e
applicati per lo più a situazioni stabili non soggette a rapide trasfor-
mazioni, precisava i diritti e i doveri dei lavoratori, dei datori di la-
voro, dei sindacati, ecc. Oggi invece, in un contesto socio-politico in
profonda trasformazione a causa degli straordinari sviluppi della tec-
nologia applicata alla produzione, trasformazione e circolazione dei be-
ni economici, i moralisti devono ridefinire in rapporto a queste trasfor-
mazioni quale sia il valore del lavoro, come esso debba essere vissuto
oggi e, soprattutto, chiarire se la moderna organizzazione del lavoro
sia in sintonia con il piano di Dio sulla storia e promuova il bene inte·
graie dell'uomo.
3. La complessa esperienza del lavoro umano è stata oggetto di ri-
flessione dei filosofi fin dai tempi antichi': si può dire che vi siano
tante etiche del lavoro, cioè tante valutazioni e interpretazioni di esso,
quanti sono i sis temi filosofici. Per una rilettura dell'etica del lavoro
fondata sulla antropologia cristiana, bisogna tener conto anche degli
apporti di tutte queste correnti di pensiero e specialmente di quelle
che hanno maggiormente concorso a plasmare e a condizionare lo svi-
luppo della nostra · società industriale e sono servite da supporto alla
attuale organizzazione del lavoro. Tuttavia intendiamo sviluppare le
nostre considerazioni sull'etica del lavoro a partire da alcuni più sem·
plici interrogativi.
Perché la gente lavora oggi? Per la propria sussistenza: per guadagnare
il pane per sé e per la propria famiglia? Per riuscire ad affermarsi facendo
una carriera che dia potere e prestigio? Anche per assolvere un dovere verso
la società? Sotto un altro profilo: come si comporta la gente di fronte al la-

bre 1979, pp. 21 ss.; R. Rozzi, Rtflessiont sul rifiuto del lavoro, tbtd ., marzo 1980,
pp. 19 ss.; Il lavoro e t gtovant, in H ACLI oggi)), speciale H Studi e Documentazio·
ne)): prima parte, nn. 184-185, 3·4 luglio 1980; seconda parte, nn. 186-189, 5·8 lu·
gllo 1980.

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v oro: lo accetta? lo subisce? lo rifiuta? Le ri sposte a questa serie di doman-


de, è facile pensar lo, sono le più diverse; ma in base a quali criteri tali ri-
sposte vengono formulate?
A questo punto un'altra serie di interrogativi Sl Impone a chi vuole
riflettere sugli atteggiamenti della gente di fronte al lavoro.
Quali possibilità ci sono per l e persone di scegliersi il lavoro al quale si
sentono portate o che comunque desidererebbero svolgere? Quali sono invece
i posti di lavoro messi effettivamente a disposizione di chi cerca lavoro? Quali
prestazioni e servizi vengono richiesti? Come viene organizzato il lavoro nelle
fabbriche, nei campi, nei cantieri, negli uffici? Vengono rispettati i diritti e
le esigenze autentiche delle persone? Viene facilitato il compimento del loro
dovere e l'esercizio della loro responsabilità? Viene sollecitata la loro parteci-
pazione alle decisioni che riguarda no il loro lavoro, che regolano le loro pre-
stazioni? E ancora: quali beni e servizi si producono? e perché e per chi li si
produce? Il lavoro di milioni di esseri umani viene, di fatto, orientato al bene
comune dell'umanità o al vantaggio di pochi individui o gruppi? Si lavora per
la pace o per la guerra? Si deve accettare questo tipo di organizzazione del
lavoro sul quale pesano così gravi incognite? E ' doveroso cercare una orga-
nizzazione alternativa?
Ma vi sono anche altri interrogativi da prendere in seria considerazione. I
grandi fenomeni di alienazione del lavoro, di disaffezione, di assenteismo, di
rifiuto, la stessa caduta di efficienza e di produttività come devono essere va-
lutati ? Come interpretare il rifiuto, da parte dei giovani, specialmente dei la-
vori monotoni e ripetitivi, la ricerca di lavori più creativi al di fuori delle
strutture e dei controlli delle grandi e medie fabbriche? Come valutare, in
questo contesto, l'azione dei sindacati? Da un punto di vista etico, sono più
apprezzabili quelle politiche sindacali che tendono a consolidare l'attuale si-
stema di organizzazione del lavoro industriale o quelle che si propongono di
attuarne una profonda riforma? Come valutare la conflittualità nell'ambito dei
rapporti di lavoro e, più in generale, nell'ambito d ei rapporti economico-so·
cinli? Infine, è possibile ignorare o sottovalutare, in ordine a una valutazione
etica di tutti questi problemi, le raccomandazioni degli organismi internazio-
nali istituiti per la tutela del lavoro e le loro proposte di un nuovo ordine eco·
nomico mondiale?
Tutti questi interrogativi sono legati gli uni agli altri, si richiamano
a vicenda, si accavallano e si intersecano in modo drammatico: non si
può rispondere a un gruppo di essi senza affrontare anche gli altri.
Essi interpellano le coscienze dei singoli, ma anche la collettività e la
stessa Chiesa. Il cristiano impegnato nell'attività professionale, o nella
politica, o come operatore sociale, i sacerdoti e i laici coinvolti più
dire ttamente nell'attività pastorale di evangelizzazione e di promozione
umana secondo le direttive dell'episcopato, non possono ignorare que-
sti interrogativi sul lavoro. Non si può svolgere un'azione sociale o pa-
storale prescindendo da una seria riflessione etica su questi problemi.

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2. Che cosa è Il lavoro oggi.

1. Non è facile intendersi sul concetto di lavoro. Tra le più diffuse


concezioni del lavoro vi è quella che lo considera una m erce che entra
nel circolo economico come fattore produttivo il cui valore viene defi-
nito dal mercato. Il salario infatti non è altro che il prezzo che i da-
tori di lavoro, in un dato momento, sono disposti a pagare per ottenere
la disponibilità del lavoro. Tale concezione, anche se trova fondamento
nell'attuale organizzazione del lavoro industriale , non è però accetta-
bile e gli stessi economisti riconoscono che il mercato del lavoro non
è meccanicamente regolato dalla legge della domanda e dell'offerta.
Tuttavia d a questa concezione restano strettamente condizionati molti
dibattiti sui problemi del lavoro.
Ai fini delle nostre riflessioni ci sembra invece utile rifarci a un'al·
tra concezione del lavoro. Per lavoro intendiamo: a) l 'attività manuale,
quella ad esempio dell'operaio, del contadino, dell'artigiano, che nei
comuni manuali di teologia veniva definita «lavoro servile »; b) le at-
tività liberali, quelle cioè delle libere professioni (avvocati, medici, in-
segnanti, commercialisti, ecc.); c) il lavoro come opera di Prometeo,
cioè lo sforzo collettivo degli uomini per assoggettare e dominare a
proprio vantaggio la natura, e che si manifesta nel portentoso sviluppo
delle scienze, della ricerca scientifica, della sperimentazione e della ap-
plicazione delle tecnologie più svariate ai processi produttivi, alla o rga-
nizzazione della vita civile e a tutti i campi dell'operare umano. Que-
st'ultima forma di lavoro è quella che in sé riassume e con i suoi ri-
sultati condiziona tutte le altre forme di lavoro umano sia sotto il pro·
filo econo m ico sia sotto quello etico (2).
Si deve però subito osservare che questa classificazione è inadeguata. Vi
sono infatti altre attività umane utili non direttamente riconducibili a queste,
ma che sono comunemente riconosciute come attività p ro fessionali, quali le atti·
vità legate allo s port, al tempo libero, al divertimento, alla cultura, ecc. Inol-
tre occorre tenere presenti anche le modalità con wi le attività lavorative sopra
elencate vengono di fatto svolte. Infatti alcuni svolgono queste attività in modo
autonomo e le organizzano secondo propri criteri; altri le svolgono in modo
subordinato, come puri esecutori di ordini emanati da una complessa organiz.
zazione gerarchica quale quella delle grandi imprese; altri ancora svolgono
invece funzioni direttive e di con trollo dell'atlività altrui per mandato ricevuto
da altri o rome esercizio di u n potere proprio.

2 . .Per lavoro, in definitiva, si deve intendere que ll'attività c he è


direttamente o indirettamente legata all'esercizio del dominio sulla na-
tura, intesa come rea ltà esterna all'uomo, e che si esplica nel trasfor·
mare e ordina re la natura stessa a vantaggio dell'uomo e il cui risul·

(2) Cfr. G. ANGELINI, voce Lavoro, In Nuovo Dizionario dt Teologia, Ed . Pao·


llne, Alba 1977, p. 702.

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tato rimane esterno al soggetto umano che opera. In tal senso non
sono lavoro né le attività proprie della sfera religiosa (l'attività con-
templativa, l'opera di evangelizzazione, lo svolgimento del culto divino,
ecc. ), né le attività ricreative in quanto momento di distensione, di
godimento dei frutti del lavoro, né gli impegni suggeriti dall'amicizia
e dalla carità (anche se certe attività ispirate dall'amicizia e dalla ca-
rità sono lavoro in senso stretto).
Nel senso precisato il lavoro, pur essendo oggetto di un genera-
lissimo comando di Dio e un dovere per l'uomo, si colloca più nel-
l'ordine dei mezzi che in quello dei fini dell'uomo, e, come tale, non è
l'attività umana più elevata. E' di maggior valore, ad esempio, la ri-
cerca della saggezza, l'ascolto della Parola di Dio, l'esplicazione della
facoltà di amare, lo stesso riposo dal lavoro, inteso non semplicemente
come cessazione dal lavoro ma come godimento dei suoi frutti, con-
templazione dei suoi risultati. A proposito di quest'ultimo punto, è da
osservare che il riposo inculcato dalla Bibbia è inteso non solo né pri-
mariamente come momento necessario per ricostituire le energie del
lavoratore, ma soprattutto, a imitazione del misterioso riposo di Dio
ch e succede all'opera della creazione, come momento di compiacimen-
to, di contemplazione, di pienezza di vita, di festa e di gioia, che pre-
lude a quella inebriante comunione di amore degli uomini con Dio e
tra di loro che costituisce il fine ultimo dell'uomo.

3. Linee per un'etica cristiana del lavoro (3).

a) Indicazioni offerte dalla Bibbia e dal magistero ecclesiale.

l. La rivelazione giudeo-cristiana offre elementi importanti per chia-


rire la problematica del lavoro. Per l'Antico Testamento il lavoro ha un
posto rilevante nel piano di Dio sull'uomo; esso è in qualche modo la
con tinuazione dell'opera cr eatri ce di Dio; mediante esso l'uomo si rea-
lizza come immagine di Dio: a lui infatti viene affi dato il compito
di custodire, dominare e ordinare il mondo, viene conferito il potere
su ogni cosa animata e inaminata. Nel piano originario, infatti, il la-

(3) Sugli aspetti teologici e morali del lavoro, si vedano: G. ANGELINI, voci
Lavoro e Progresso, in Nuovo Dizionario dt Teologia, cit., pp. 701-725 e 1213-1234;
G. CAMPANINI, voce Lavoro, in Dizionario Enciclopedico dt Teologia Morale, Ed.
Paollne, Roma 1973, pp. 460-478; Io., voce Giustizia, in Dizionario Teologico Inter-
disclpllnare, Mariettl, Torino 1977, vol. II, pp. 245-263; L. Rossi, voce Sciopero, in
Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale, cit., pp. 877-887; S . BuRGALAssi, Lavoro,
festa, rito: una riflessione socio-teologica, in «Quaderni di Azione Sociale n, n. 7,
1980, pp. 37-66. Più in generale, sui problemi dell'etica sociale, s! vedano: G. AN-
GELINI, Dilatazione del t ema politico ed elusione della rl{f.esstone etica, In Pro-
blemi e prospettive dt teologia morale, a cura di T. GoFFI, Querinlana, Brescia
1976, pp. 437-464; Io., I ntroduzione all'etica sociale, Istituto di Teologia del Centro
« Ut unum s lnt )), Roma 1977.

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voro non è legato alle esigenze della sussistenza, perché la terra pro-
duce spontaneamente ciò di cui l'uomo ha bisogno, ma è essenzialmente
l'esercizio del potere che Dio gli ha dato e che lo rende simile a lui
in quanto creatore dell'universo. Solo dopo il peccato il lavoro diventa
per l'uomo una lotta dura e faticosa nei confronti della natura che gli
si ribella, per cui soltanto con il suo sudore può trarre da essa il pane
quotidiano ed esercitare quel potere di ordinaria e dominarla che il
Signore non gli ha tolto.
Alla luce del Nuovo Testamento il rapporto uomo-lavoro viene pu-
rificato ed esaltato. Secondo il Vangelo la cosa che più importa è il
Regno di Dio e tutto ciò che lo fa crescere in noi e che ci introduce
in esso. L'eccessiva e ossessiva preoccupazione del pane quotidiano e
per le cose di questo mondo, è cosa propria dei pagani; il credente
deve affidarsi all'amore provvidente del Padre. Non è il lavoro che in
se stesso ci salva; tuttavia esso, assunto a imitazione di Cristo, diventa
un mezzo di redenzione e di salvezza. Inoltre il lavoro, in quanto sforzo
dell'uomo teso a ordinare e dominare la natura, si lega in modo mi-
sterioso e non insignificante all'avvento di quella creazione libera ta e
rinnovata che, secondo san Paolo (Romani 8), è oggetto della speranza
cristiana di una definitiva salvezza dell'umanità che coinvolge tutto
il creato.
2. Il Concilio Vaticano II nella costituzione « Gaudium et spes » così
chiarisce e precisa questi concetti: « Con la sua risurrezione costituito
Signore, Egli, Cristo, cui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra,
opera ormai nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non
solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche
ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali
la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e
di sottomettere a questo fine tutta la terra» (n. 38). <<Passa, certamente,
l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato; sappiamo, però, dalla
rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova,
in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente
tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta
la morte, [ .. .] sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella
realtà che Dio h a creato appunto per l'uomo. Certo, siamo avvertiti
che niente giova all'uomo se guadagna il mondo ma perde se stesso.
Tuttavia l'attesa di un a terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto
stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove
cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce ad offrire una
certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo» (n. 39) .
3. Questi rapidissimi cenni servono a collocare in una prospettiva
antropologica cristiana i problemi del lavoro, prospettiva in base alla
quale occorre valutare la realtà attuale. Purtroppo, invece, sembra che
tali problemi siano, anche in parte del campo cattolico, assunti e va-

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lutati in una prospettiva troppo an gusta, per lo più inficiata da visioni


ideologiche p arziali e spesso in funzione di pura efficienza economica.
Sembra manchi a molti il coraggio di affrontare quei grandi interro-
gativi che Giovanni Paolo II pone alla riflessione del mondo e della
Chiesa in particolare: «per quale ragione questo potere, dato sin dal-
l'inizio all'uomo, potere per il quale egli doveva dominare la terra, si
rivolge contro lui stesso, provocando un comprensibile stato di inquie-
tudine, di cosciente o incosciente p aura, di minaccia, che in vari modi
si comunica a tutta la famiglia umana contemporanea e si manifesta
sotto vari aspetti?» ( « Redemptor hominis », n. 15).
Infa tti, fa notare il Pontefice, «I frutti di questa multiforme atti-
vità dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono
non soltanto e non tanto oggetto di "alienazione", nel senso che ven-
gono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno
parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effe tti,
questi frutti si rivolgono contro l 'uomo st esso » (ibid.) . T utto ciò sol-
leva problemi più radicali: «questo progresso, il cui autore e fautore
è l'uomo, rende la vita umana sulla terra, in ogni suo aspetto, "più
umana"? La rende più "degna dell'uomo"? »; cioè, « l'uomo, in quanto
uomo, si sviluppa e progredisce, oppure regredisce e si degrada nella
sua umanità? » (ibid.).
I problemi sono gravi e investono la nostra società industriale e soprat-
tutto l'organizzazione del lavoro ch e influisce sulla vita e sulle mentalità, sulle
attese e sulle speran ze di milioni di esseri umani. Lo sbandamento delle masse
giovanili, le difficoltà d ei sindacati e della politica economica, le tensioni inter-
n azionali, la fame e le tragedie d el Terzo Mondo rimettono in questione il
senso del lavoro umano, e denunciano che l'organizzazione attuale del lavoro
è insostenibile e inconciliabile con il piano divino.

b) Significato del lavor o e crisi della «pr ofessionalità».

Le considerazioni fin qui svolte servono a situare la riflessione etica


cristiana sul lavoro e ne costituiscono le premesse. Vediamone alcuni
ulteriori sviluppi.
l. Da quanto siamo venuti esponendo, il lavoro a ppare una realtà
non omogenea. La tenden za messa in atto dalla cosiddetta organizza-
zione scientifica del lavoro - mirante a rendere intercambiabili le pre-
stazioni lavorative secondo le tecniche della parcellizzazione del lavoro
stesso, le quali sono il presupposto della diffusione delle linee di mon-
taggio - mostra ormai tutti i suoi limiti sia sul piano della stessa effi-
cienza, sia, soprattutto, su quello sociale ed etico. Il lavoro si presenta
invece articolato in una varietà ricchissima di p restazioni diverse e in-
terconnesse tra loro, che tendono a organizzarsi in un sis tem a com-
plesso e dinamico. In questo sistema ogni prestazione lavorativa, ogni
mestiere o professione ha la sua specificità e, come tale, il suo valore

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e la sua funzione; ciascuna attività lavorativa non solo ter mina in un
suo prodotto, ciascuno diverso dall'altro, ma anche concorre a suo
modo a plasmare il lavoratore influendo - nel bene o nel male - s ulla
sua salute, sul suo carattere, sulla sua mentalità, e crea assonanze o
dissonanze, convergenze o contrasti di mentalità e di interessi tra la
gente.
Oggi invece tii parla spesso di lavoro o di problemi del lavoro ignorando
o sottovalutando queste differenziazioni. Si ammettono di solito due grandi grup·
p i: i padroni o datori di lavoro, da una parte, i lavoratori o personale dipen-
dente dall'altra, e per lo più i lavoratori dipendenti sono tutti accomunati in
una unica entità collettiva: masse operaie, classe operaia, e simili. Questo mo-
do di affrontare i problemi etici del lavoro non solo ha un presupposto ideolo-
gico ben preciso, ma trova un certo fondamento in una diffusa mentalità che
sopravvaluta l'aspetto economico del lavoro come fonte di reddito e di arric-
chimento.
2. Per approfondire questa linea di riflessione è utile richiamare
la distinzione, ricorrente nei testi di morale, tra il <<finis operantis >> e
il « finis operis >>, necessaria per una corretta interpretazione della strut-
tura morale dell'agire umano. Il « finis operis >> è ciò che si fa: il prodot-
to dell'azione nella sua oggettività. Nel nos tro caso il « finis operis » è
ciò che il lavoratore produce: ad esempio, per il metalmeccanico che la-
vora alla FIAT è la produzione delle automobili c he servono come
mezzo di trasporto. Il << finis operis >> è sempre moralmente rilevante,
sia perché il lavoratore ha il dovere di acquisire la competenza richie-
sta per svolgere il suo lavoro, sia perché non può non interrogarsi sul-
l'utilità e sul valore morale di ciò che concorre a produrre con il pro-
prio lavoro e sugli specifici doveri inerenti all'attività che svolge. Il
« finis operantis » 1 invece, è la ragione per cui una persona opera, ciò
a cui mira in ultima analisi. Esso qualifica esplicitamente la moralità
dell'atto umano. Nel nostro caso potrebbe essere il salario e insieme
la soddisfazione di compiere una cosa utile a lla quale ci si è preparati.
Normalmente, data l'unità della persona umana che tende a rico-
noscersi nel proprio lavoro, vi dovrebbe essere una certa convergenza
tra il « finis operis >> e il « finis operantis » , tra l'oggetto estrinseco del-
l'agire e il fine di chi agisce. Purtroppo però nell'attuale organizzazione
del lavoro il « finis operis » è in molti casi assai poco rilevante e non
interessa molto il lavoratore, sia perché le sue m ansioni sono di ser-
vizio alle macchine senza rapporto diretto con il prodotto finale, sia
perché il lavoratore è primariamente interessato al salario e ciò che
fa diventa talvolta del tutto secondario rispetto a questo fine. Si ri-
cerca il lavoro in quanto fonte di guadagno, per il salario: il resto esula,
per milioni di esseri umani, dall'ambito dei loro interessi, a nche per-
ché è spesso escluso dalla loro possibilità di scelta. Sotto un altro aspet-
to si può dire che, in un sistema come il nostro, dominato dalla par-
cellizzazione del lavoro, dove la struttura gerarchica dell'impresa rende

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il lavoro della maggior parte degli addetti puramente esecutivo e non


stimola quindi, se non in grado assai modesto, l'iniziativa e la respon-
sabilità personale dei singoli lavoratori, entrano inevitabilmente in crisi
sia l'interesse professionale e la stessa professionalità del lavoro, sia
la percezione degli specifici doveri inerenti a ogni attività professio-
nale e lavorativa.
3. Anche l'azione sindacale ha contribuito in qualche misura a depri-
mere la professionalità del lavoro. Per difendere le esigenze della giu-
stizia nei rapporti di lavoro, i sindacati, in nome dell'ugualitarismo e
della solidarietà tra i lavoratori, hanno introdotto essi stessi nella orga-
nizzazione del lavoro industriale numerosi meccanismi automatici co-
me, ad esempio, gli scatti di anzianità per regolare i passaggi di qua-
lifica o quelli che regolano il collocamento. Tali meccanismi hanno con-
corso notevolmente alla caduta di interesse per la professionalità e
hanno introdotto ulteriori elementi di burocrazia e di dequalificazione
del lavoro.
4. Il processo di deprofessionalizzazione e di burocratizzazione del
lavoro non tocca solo la fabbrica, ma anch e altri settori. Coinvolti in
questa crisi, per le polemiche sorte intorno ad essi, sia di natura ideo-
logica che economica e amministrativa, sono molti servizi pubblici. In
questo clima si è venuto perdendo il senso della specificità etica di
queste prestazioni, nelle q uali l'uomo entra in contatto con l'uomo in
un rapporto tutto particolare. AlcLtDi servizi pubblici, come quelli sa-
nitari, implicano responsabilità morali gravissime perché toccano la
sfera di fondamentali diritti della persona come quelli alla vita e alla
salute. Essi non possono essere assunti e svolti come il lavoro delle
fabbriche ch e si esaurisce per lo più a cont atto con la materia da tra-
sformare, né possono essere sindacalmente regolati con gli stessi cri-
teri 'in uso per le altre attività lavorative; e la stessa solidarietà, che
pure lega questi lavoratori a tutti gli altri, non può esprimersi con le
stesse modalità. Se non si tenesse conto della peculiarità etica di queste
prestazioni si cadrebbe in gravi assurdi morali.
Queste osservazioni riguardano non solo le persone addette a tali
servizi, ma anche le loro organizzazioni e il modo con cui essi ven gono
concepiti e organizzati dai politici e dai pubblici amministratori. Il cre-
scente interesse per il volontariato è forse anche espressione di LtDa
sempre più diffusa insoddisfazione proprio per il modo con cui i ser-
vizi pubblici sono concepiti e organizzati.
5. Queste rapide riflessioni mirano a sottolineare la necessità di
ridare significato alla professionalità n ella organizzazione del lavoro, di
tornare a mettere in rilievo il contenuto etico di ciò che si fa, cioè del
« finis operis ». ·I n questa prospettiva rientra pure l'esigenza assai av-
vertita di una rivalutazione del lavoro manuale, anche di quello ch e

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sembra richiedere il mm1mo di attitudini e di qualificazione. Questa
notazione non deve essere intesa come una semplice esortazione mora-
listica, ma come il richiamo alla necessità di rivedere atteggiamenti cul-
turali e convinzioni radicati nella stessa classe operaia e di ripensare
seriamente la stessa organizzazione del lavoro, le politiche retributive,
la formazione scolastica e, per quanto r iguarda le comunità ecclesiali,
la stessa catechesi.
6. Rispettare rigorosamente e inculcare nei cristiani impegnati nel-
l'azione sindacale le specifiche peculiarità etiche dei diversi tipi di la-
voro non significa mettersi in contrasto con il movimento operaio. Si
tratta invece di dar sen so alle sue diverse componenti, di prendere co-
scienza della sua unità e del suo pluralismo non solo ideologico, ma
anche professionale, di far sì che l'unità del movimento operaio sia
un'unità di diversi tesa alla realizzazione del bene comune e di un pro-
getto di società aperto alla trascendenza. Non sembra esserci altra via
per opporsi al corporativismo dilagante, alla esasperata difesa, isolata
e autonoma, praticata da certe categorie che rischiano di difendere solo
se stesse a danno della collettività, senza riferimento all'ordine morale
e al bene comune.

c) La. fuga. dal lavoro: significato e responsabilità morale.

1. Un altro fenomeno si impone all'attenzione di tutti, dei sinda-


cati, delle imprese, dei moralisti. Si tratta della << fuga dal lavoro orga-
nizzato », dal lavoro ripetitivo e monotono delle fabbriche, dal tipo di
disciplina che in esse vige, soprattutto da parte dei giovani. Questi si
orientano verso forme di lavoro meno costrittive e più creatrici. Ne
segue che, di fronte a una forte disoccupazione giovanile, vi sono posti
di lavoro che restano scoperti, settori produttivi in cui si determina
una crisi di mancanza di manodopera. Questo fenomeno può essere
spiegato in diversi modi, per esempio con la maggiore scolarizzazione,
o anche con il fatto che per molti il lavoro, in una società dell'opulenza
e della sicurezza sociale, non è più considerato necessario per la so-
pravvivenza: si può vivere, o almeno sopravvivere, con lavori saltuari,
senza doversi sottoporre alla disciplina del lavoro organizzato nelle
fabbrich e. Quali che siano però le spiegazioni di questo fenomeno, sta
di fatto che è in atto una rivoluzione nel mercato del lavoro: per le
imprese sarà più difficile avere la manodopera su << misura ». Si tratta
di una domanda di lavoro destinata a non trovare, in misura adeguata,
la corrispondente offerta. E ' in atto, in altri termini, un nuovo tipo di
sciopero, cioè un rifiuto radicale di certi posti di lavoro. E' una pro-
testa ragionevole, una reazione salutare o un assurdo morale e sociale?
Il problema non è di facile soluzione e certamente imporrà profonde
ristrutturazioni nella organizzazione del lavoro.

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2. A questo punto l'attenzione si sposta su ch i ha la responsabilità


di decidere l'organizzazione del lavoro nelle imprese, l'introduzione di
nuove macchine, di nuove tecnologie. Fino a che punto è possibile ma-
nipolare l'organizzazione del lavoro? Fino a che punto è possibile con-
tinuare di fatto a considerare i fattori della produzione come intercam-
biabili? Fino a che punto il lavoro umano può essere considerato puro
fattore produttivo e il salario puro costo di produzione? Non ci sono
forse errori m orali fondamentali nella stessa gestione azienda le per
quanto r iguarda la contabilità, la formazione dei bilanci, la valutazione
della redditività e dell'efficienza delle aziende? (4). Se le decisioni in que-
sto campo vengono prese senza la dovuta attenzione ai valori umani
in gioco, ma solamente in funzione della economicità delle imprese, della
loro efficienza intesa in senso strettamente privatistico, si producono
a lla lunga conseguenze negative che diventano socialmente intollerabili
e svelano così la loro immoralità.
3. Il lavoro infatti è di per sé un fatto socializzante. Attorno ad
esso si creano convergenze di interessi, attese e mentalità comuni e
vari processi di integrazione sociale; ma quando l'organizzazione del
lavoro non è più rispettosa delle esigenze della persona, ne sopprime
il senso di responsabilità e di creatività e la rende passiva o crea
situazioni di alienazione, dagli ambienti di lavoro la protesta si diffon-
de in tutta la società, si esaspera la conflittualità, si cr eano i presup-
posti per lo sfaldamento di ogni ideali tà e si offuscano gli stessi va-
lori morali del lavoro. L'organizzazione del lavoro diventa così fattore
disgregante della vita sociale e travolge molti altri valori, familiari e
sociali. Inoltre questi effetti negativi si accentuano, quando il tenore
di vita si eleva e quando la società da opulenta diventa consumistica,
cioè quando il momento del consumo edonisticam ente inteso prevale
talmente da svalutare agli occhi della gente, moralmente meno pre-
p arata , il significato e i valori etico-sociali del lavoro produttivo.

d ) La dimensione politica dell'etica del lavoro.

1. Da quanto abbiamo esposto, evocando situazioni e tendenze, ci


sembra em ergano delle effettive difficoltà p er una rilettura dell'etica

(4) Un tentativo d i Inserire sistematicamente considerazioni di carattere etico


nello studio e nell'insegnamento dell'economia aziendale, e dl ripensare in rapporto
al valori morali del lavoro la gestione e le rilevazloni economiche e contab111 delle
aziende, è quello che da tempo va compiendo H pror. Carlo Maslnl della Università
Bocconi di Milano. Cfr. C. MAsrnr, Lavoro e risparmio. Economia à'aztenàa, UTET,
Torino 1979 (2• ed.). In quest'opera vengono tra l'altro sottoposti a revisione critica,
nella prospettiva indicata, l concetti di soggetto economico dell'azienda, di rimunera-
zione del capitale e del lavoro, ecc. L'A., cioè, ha voluto evidenziare le conseguenze
concrete che deriverebbero, nella gestione delle aziende, d all'esplicito riferimento al
valori della persona e del bene comune Intesi secondo l principi dell 'antropologia
cristiana.

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del lavoro in prospettiva pastorale. Il compito è quello di evitare che il
progresso tecnologico neghi se stesso, perché non sorretto da una ade-
guata tensione morale che ne sveli e ne riduca le ambiguità e ne esalti
i valori autentici e le potenzialità di umanizzazione.
In particolare ci sembra di dover sottolineare che, se il lavoro,
anche nell'attuale società industriale, rimane un fatto personale -
in quanto le singole persone sono le ultime responsabili del lavoro
che svolgono e di come lo svolgono - e se s i d eve riconoscere che
anche in queste situazioni molti riescono a vivere con dedizione ed
entusiasmo la propria esperienza lavorativa e a trovare in essa l'oc-
casione per crescere come persone, di fatto però la moderna organiz-
zazione del lavoro pone una serie di gravi interrogativi morali. Essa
infatti rende assai difficile a milioni di esseri umani trovare un'occu-
pazione in cui possano impegnarsi per libera scelta e in modo urna·
no; tende inoltre ad accrescere gli squilibri sociali all'interno delle
singole nazioni e tra le nazioni, e sembra destinata a produrre sem-
pre più gravi alienazioni e timori tra gli uomini. In questo senso
l'etica del lavoro diventa un punto di snodo tra le responsabilità indi·
viduali e quelle collettive, rimanda all'etica sociale, esige più appro-
fondite riflessioni sulla gestione del potere economico e politico. Per
ridare senso morale al lavoro non bastano quindi il richiamo ai do·
veri personali o generici giudizi di condanna dell'attuale situazione
sociale; occorre anche un impegno a livello socio-politico e, quindi, da
parte degli operatori pastorali, una adeguata conoscenza dei fenomeni
sociali per essere in grado di formare dei cristiani consapevoli dei
problemi che devono affrontare.
2. Si deve però constatare che i moralisti hanno per lo più tra·
scurato questo aspetto dell'etica del lavoro. I testi di morale si limi·
tano a considerare il lavoro come fonte di rapporti appartenenti di
natura loro all'ambito del privato: trattano solo dei doveri e dei di·
ritti reciproci dei datori di lavoro e dei lavoratori, mentre la dina-
mica sociale della organizzazione del lavoro non sembr~ interessare la
loro analisi. I problemi del lavoro, in questa prospettiva, sono stati
invece trattati, sia pure in modo non organico, dal magistero sociale
dei Pontefici a partire, come è noto, da Leone XIII.
Ma anche tale insegnamento e i problemi da esso posti, nonostante il
richiamo di Giovanni XXIII - il quale nella enciclica « Mater et Magistra »
ricordò che « la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione
cristiana della vita » (n. 49) - , non sono stati fatti oggetto di particolare Ot·
tenzione dai moralisti, né di una esposizione sistematica nella catechesi siu
dei giovani che degli adulti. Ci sembra perciò utile richiamare alcuni punti
essenziali del magistero pontificio sul lavoro, in quanto offrono una traccia
autorevole per l'approfondimento del nostro tema.

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e) L'organizzazione del lavoro nel magistero pontificio.

l. Il magistero pontificio che ha immediatamente preceduto e se-


guito il Concilio Vaticano II e quello dello stesso Concilio hanno in-
trodotto alcune novità. Nella enciclica << Mater et Magistra » Giovan-
ni XXIII riprende l'insegnamento precedente, ma lo attualizza e lo
precisa. Sono soprattutto significativi i passaggi che r iguardano l'orga-
nizzazione del lavoro nelle fabbriche. Non risponde a giustizia ed è
quindi immorale, secondo l'enciclica, una organizzazione del lavoro che
sia tale << da ottundere in essi [i lavoratori] sistematicamente il senso
della responsabilità>> o sia tale <<da costituire un impedimento a che
comunque si esprima la loro iniziativa personale» (n. 18). Inoltre l'en-
.ciclica ricorda che << una concezione umana dell'impresa deve senza
dubbio salvaguardare l'autorità e la necessaria efficienza della unità di
direzione; ma non può ridurre i suoi collaboratori di ogni giorno al
rango di semplici, silenziosi esecutori, senza a lcuna possibilità di far
valere la loro esperienza, interamente passivi nel riguardo di decisioni
che dirigono la loro attività» (n. 20). Ma Giovanni XXIII, !ungi dal
fermarsi a queste considerazioni, offre anche indicazioni operative. Con·
statando che <<i singoli organismi produttivi [ ... ] sono vitalmente inse-
riti nel contesto economico e sociale delle rispettive comunità politi-
che e da esso condizionati», e, inoltre, che << le scelte che maggior-
mente influiscono su quel contesto non sono decise all'interno dei sin-
goli organismi produttivi; sono invece decise da poteri pubblici o da
istituzioni che operano su piano mondiale o regionale o nazionale o
di settore economico», l'enciclica afferma <<l'opportunità o la necessità
che in quei poteri e in quelle istituzioni, oltre che i portatori di capi-
tali o di chi ne rappresenta gli interessi, siano pure presenti i lavora-
tori o coloro che ne rappresentano i diritti, le esigenze, le aspirazioni»
(n. 21).
2. Il magistero di Paolo VI non manca di richiami analoghi a quel-
li ora riferiti sulla organizzazione del lavoro. In un discorso tenuto
alla UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti) egli afferma:
<< sta di fatto che il sistema economico-sociale, generato dal liberalismo
manchesteriano e tuttora perdurante nella concezione della unilatera·
lità del possesso dei mezzi di produzione, e dell'economia r ivolta al
prevalente profitto privato, non è la perfezione, non è la pace, non è
la giustizia, se ancora divide gli uomini in classi irriducibilmente con·
trastanti, e caratterizza la società dai dissidi profondi e laceranti che
la tormentano» (5). Nella enciclica << Populorum progressio » egli de-
nuncia le sperequazioni nella distribuzione della ricchezza, frutto di
un inaccettabile sistema economico, commerciale e industriale che con·

(5) PAOLO VI, I presupposti dt un'economia cristtana, In cc L'Osservatore Roma-


no », 8·9 luglio 1964, p. l.

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danna alla povertà e tiene al margine del progresso popoli interi (cfr.
nn. 56-58).
In un altro discorso tenuto per il cinquantenario dell'OIL (Organizzazione
Internazionale del Lavoro), occupandosi della situazione dei lavoratori nelle fab-
briche, riprende l'insegnamento della « Mate1· et Magistra » e mette in guardia
contro uno sviluppo tecnologico selvaggio che mortifica l'uomo, concludendo
così: « Mai più il lavoro al disopra del lavoratore, mai più il lavoro contro
il lavoratore, ma sempre il lavoro per il lavoratore, il lavoro al servizio del-
l'uomo, di ogni uomo e di tutto l'uomo» (6).

3. Identiche valutazioni e preoccupazioni, espresse in forma ancor


più drammatica, le troviamo nei documenti di Giovanni Paolo II. Nei
numeri 15 e 16 della enciclica ,, Redemptor hominis », il Pontefice de-
nuncia le gravi alienazioni prodotte dal lavoro moderno, i rischi che
esso comporta per la stessa sopravvivenza dell'umanità, la inadeguatez·
za dei meccanismi economici, finanziari, commerciali e politici che re-
golano l'economia mondiale. « Sottoponendo l'uomo alle tensioni da lui
stesso create, dilapidando a un ritmo accelerato le risorse materiali ed
energetiche, compromettendo l'ambiente geofisico, queste strutture fan·
no estendere incessantemente le zone di miseria e, con questa, l'ango-
scia, la frustrazione e l'amarezza. Ci troviamo qui di fronte a un grande
dramma, che non può lasciare nessuno indifferente. [ ... ] Si aggiun-
gano la febbre dell'inflazione e la piaga della disoccupazione: ecco altri
sintomi di questo disordine morale, che si fa notare nella situazione
mondiale e che richiede, pertanto, risoluzioni audaci e creative, con-
formi all'autentica dignità dell'uomo» (n. 16).
4. Da tutto quanto si è detto, la linea di riflessione per un qualifi-
cato impegno pastorale nella società industrializzata dovrebbe derivare
proprio dalla rilettura dei problemi etici attinenti al lavoro nella no-
stra società. Sviluppare l'etica sociale, di cui quella del lavoro è certa-
mente un aspetto fondamentale, <<significa chiarire l'ambiguità del fat·
to sociale, distinguere tra i diversi livelli e le diverse forme in cui
esso si esprime, comprendere criticamente i difficili rapporti tra po-
tere e diritto, sorpassare la suggestione immediata di ciò che si pre·
senta come consueto e accettato dalla opinione comune, per raggiun-
gere il riferimento al "bene" dell'uomo che solo può dare dignità etica
a un imperativo» (7).
Non è possibile qui approfondire questa pista di riflessione. Tut-
tavia essa indic'a la strada da percorrere per creare una coscienza eti-
ca, viva e illuminata, non impigrita nella ripetizione delle norme con-
suete, ma attenta a percepire con generosità e intelligenza i nuovi do-
veri richiesti da una autentica testimonianza cristiana, in un mondo in

(6) PAOLO VI, Discorso all'O.l.L (10 giugno 1969), n. 11. '
(7) G. ANGELINI, Introduzione all'etica sociale, cit., p. 15.

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piena trasformazione come il nostro. Questo impegno appare necessa-


rio, se si vuole evitare che il senso del dovere e la dedizione al pro-
prio lavoro di moltissimi lavoratori diventino, senza volerlo, un appog-
gio a un sistema disgregatore dei valori morali, e se si vuole evitare
che la protesta contro questo stesso sistema diventi anch'essa forza
disgregatrice perché non sorretta da una forte e corretta tensione mo-
rale.
S. Ci sembra utile concludere con un'altra citazione d all'enciclica
<<Redemptor hominis n: è un testo che può costituire un punto di ri-
ferimento per ripensare il complesso dei problemi del lavoro nella
prospettiva dell'etica sociale.
Il Papa, dopo aver descritto la situazione attuale del lavoro e auspicato
<< risoluzioni audaci e creative, conformi all'autentica dignità dell' uomo », scrive:
<< Un tale compito non è impossibile da realizzare. Il principio di solidarietà,
in senso largo, deve ispirare la ricerca efficace di istituzioni e di meccanismi
appropriati [. .. ]. Su questa difficile strada, sulla strada de ll'indispensabile tra-
sformazione delle strutture della vi t a economica non sarà facile avanzare se
non interverrà una vera conversione della mente, della volontà e del cuore. Il
compito richiede l'impegno risoluto di uomini e di popoli liberi e solidali.
[. • .] Lo sviluppo economico, con tutto ciò che fa parte del suo adeguato modo
di funzionare, deve essere costantemente programmato e realizzato all'interno
di una prospettiva di sviluppo universale e solidale dei singoli uomini e dei
popoli [ • • . ] . Senza di ciò, la sola categoria del " progresso economico" diventa
una categoria superiore che subordina l'insieme dell'esistenza umana alle sue
esigenze parziali, soffoca l'uomo, disgrega la società e fini sce per avvilupparsi
nelle proprie tensioni e negli stessi suoi eccessi.
« E' possibile assumere questo dovere [. .. ] . Una cosa, però, è certa: alla
base di questo gi gantesco campo bisogna stabilire, accettare e approfondire il
senso della responsabilità morale che l'uomo deve far suo. Ancora e sempre:
l'uomo. Per noi cristiani una tale responsabilità diventa particolarmente evi-
dente, quando ricordiamo - e dobbiamo sempre ricordare - la scena del giu-
dizio finale, secondo le parole di Cristo riportate nel vangelo di Matteo. Questa
scena escatologica dev'essere sempre "applicata" alla storia dell' uomo, de v'es-
sere sempre fatta " metro" degli atti umani, come uno schema essenziale di un
esame di coscienza per ciascuno e per tutti: " Ho avuto fame, e non mi avete
dato da mangiare ... ; ero nudo, e non mi avete vestito ... ; ero in carcere e
non mi avete visitato". Queste parole acquistano una maggiore carica ammo-
nitrice, se pensiamo che, invece del pane e dell'aiuto culturale, ai nuovi Stati
e nazioni che si stanno destando alla vita indipendente vengono offerti, talvolta
in abbondanza, armi moderne e mezzi di Jistruzione, posti a servizio di con-
flitti armati e di guerre, che non sono tanto un'esigenza della difesa dei loro
giusti diritti e della loro sovranità, quanto piuttosto una forma di sciovinismo,
di imperialismo, di neocolonialismo di vario genere » (n. 16).

6. Abbiamo abbondato nella citazione della enciclica « Redemptor


hominis », per evidenziare i problemi concreti che l'etica del lavoro
e l'etica sociale devono affrontare. Non prendere una meditata e chia-

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ra posiztone su questi problemi significa eludere un preciso compito
di queste discipline, sottrarsi a un preciso dovere che spetta alla
comunita ecclesiale. Anche i movimenti sociali che in qualunque modo
si ispira no ai valori cristiani, e più specificamente i movimenti ecclesiali
e apostolici, non possono non impegnarsi a liberare le energie spirituali
e morali necessarie per affrontare il compito di creare condizioni nuo-
ve di lavoro e un nuovo ordine economico.
Ma per realizzare tali nuove condizioni occorre creare vasti con-
sensi nell'opinione pubblica, non solo s ui grandi valori morali della
giustizia, della pace, della solidarietà, ma anche sulle vie da percorrere
per realizzare concretamente questi ideali, p er fare in modo che essi
influiscano sulle decisioni ch e guidano le sorti dell'umanità.
Se è compito dei politici fondare la loro azione « su un progetto di società,
coerente nei suoi mezzi concreti e n ella ispirazion e, alimentata a una conce-
zione totale della vocazione de ll'uomo e delle su e diver e espressioni sociali»,
è compito dei «raggruppamenti culturali e religiosi >>, ri l'ordava Paolo VI, «di
sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per le vie loro proprie,
queste convinzioni ultime sulla natura, l'ori gine e il fin e dell'uomo e della so-
cietà» (« Octogesima adveniens », n. 25). Sarebbe quindi insufficiente se nel
mondo cattolico ci si limitasse a incoraggiare una presenza maggiore sul piano
delle competenze economiche, scientifiche, industriali, finanziarie e politiche c
si trascurasse di promuovere ini ziative che aiutino l'opinione pubblica a prcn·
dere coscien za de i grandi problemi nei quali è coinvolto il la voro umano.

Si tratta, in concreto, di non lasciare cadere gli ·tppelli dei Pon-


tefici per un nuovo ordine sociale, per la pace e la giustizia sociale.
Occorre perciò moltiplicare le iniziative (come ad esem pio quelle prese
da vari movimenti cattolici in occasione degli appelli di Giovanni Pao·
lo II contro la diffusione degli armamenti nucleari), renderle più tem-
pestive e più frequenti perché possano incidere s ulle decisioni politi-
che. Se infatti è vero, come dice il Concilio, che " la ve rità non si im-
pone che per la forza della stessa verità, la quale si diffonde nelle
menti soavemente e insieme con vigore» (" Dignitatis humanae >> , n.
l). è necessario, tuttavia, rendere testimonianza alla verità dandole
voce, proclamandola apertamente. Ciò vale non solo per la verità che
è Cristo, ma anche per le verità ch e toccano la vicenda del lavoro
umano e, più ampiamente, l'intera storia degli uomini, " con ognuno>>
dei quali " Cristo si è unito, per sempre>> ( « Redemptor hominis >>,
n. 13).

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