Facoltà di Architettura
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA
a.a. 2014/2015 – 1° semestre
Appunti di Statica
Cesare Tocci
Statica
Immagine di copertina:
il ponte sul Basento di Sergio Musmeci
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Statica
Sommario
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Statica
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Statica
1.1. Cinematica
La Cinematica (dal greco ί, movimento) è quella parte della Meccanica che si
occupa dello studio del movimento dei corpi indipendentemente dalle cause che lo
producono: queste formano l’oggetto della Dinamica (dal greco ί, forza) il cui
obiettivo è quello di predire il movimento e all’interno della quale si distingue, per ragioni
eminentemente storiche, una parte denominata Statica (dal greco ό, atto a fermare)
che si occupa di tutte le situazioni caratterizzate dall’assenza di movimento (o equilibrio).
Descrivere il movimento di un corpo significa descrivere, in funzione del tempo, la
posizione occupata dal corpo o, per essere più precisi, la posizione occupata da tutti i punti
che compongono il corpo. Ciò implica in primo luogo (i) la capacità di individuare in
maniera univoca una generica posizione in modo da poter distinguere le diverse posizioni
tra loro; in secondo luogo (ii) la capacità di precisare le modalità che caratterizzano il
passaggio dalla posizione occupata in un dato istante alla posizione occupata in un istante
successivo e, quindi, la velocità e l’accelerazione con cui il cambiamento di posizione
avviene.
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Statica
definizione non limita la natura dei corpi che possono esibire spostamenti rigidi, nel senso
che questi possono riguardare anche corpi deformabili: è tuttavia evidente che corpi rigidi,
ovvero corpi per i quali le distanze tra coppie qualsiasi di punti rimangono inalterate,
possono esibire solo spostamenti rigidi. Ai corpi rigidi sono limitate le considerazioni che
seguono.
Lo spostamento si definisce poi piano quando tutti i punti del corpo si spostano rimanendo
paralleli a uno stesso piano che prende il nome di piano direttore. Anche un generico corpo
tridimensionale può esibire pertanto spostamenti piani se questi comportano, per tutti i
punti del corpo, la permanenza in piani tra loro paralleli. Tuttavia, allo scopo di
semplificare gli sviluppi analitici e senza perdere di generalità, le considerazioni che
seguono saranno riferite a corpi simmetrici rispetto al piano in cui avviene lo spostamento.
Ciò giustifica l’ipotesi di considerare il corpo stesso come corpo piano concentrando nel
piano di simmetria l’intera sua massa. Tale assunzione si rivela sostanzialmente realistica
in numerosi casi di rilevante interesse applicativo, soprattutto in quei casi nei quali le
dimensioni dei corpi misurate perpendicolarmente al piano di simmetria sono molto più
piccole rispetto a una o entrambe le dimensioni misurate parallelamente al piano: si tratta
dei corpi con i quali sono realizzate particolari tipologie strutturali come le lastre, le
piastre, le travi.
y
C
yA A
xA x
Figura 1.1.
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Statica
y y
C C' C
B'
B yB B
D D
D'
L
yA A yA A
xA x xA xB x
(a) (b)
Figura 1.2.
Tuttavia non è possibile assegnare valori arbitrari a tutti e quattro i parametri poiché questi
sono legati dalla relazione:
L xB x A 2 y B y A 2 (1.1)
che traduce l’ipotesi di rigidità del rettangolo, in base alla quale la distanza tra due punti
qualunque del rettangolo stesso, in questo caso i due spigoli della base, è invariabile
(Figura 1.2b).
Se pertanto si assegna il valore, ad esempio, di xA, yA e xB il valore di yB resta univocamente
fissato dalla (1.1); ciò significa che, anche con questa seconda scelta il numero di parametri
indipendenti che occorre assegnare per definire la posizione del rettangolo è pari a tre.
Pertanto mentre risulta del tutto inessenziale quali siano i parametri che si scelgono per
fissare una particolare posizione di un corpo rigido nel piano, essendo le diverse scelte
dettate semplicemente da ragioni di convenienza concettuale o operativa, il numero di tali
parametri non può che essere pari a tre. Un numero minore di parametri lascia infatti
indeterminata la posizione del corpo, mentre un numero maggiore è superfluo o, per
meglio dire, fittizio poiché non tutti i parametri risultano indipendenti.
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Statica
Con ragionamento analogo a quello sin qui condotto è facile riconoscere che i gradi di
libertà di un corpo rigido nello spazio sono sei ovvero che per fissare la posizione del
corpo rigido occorrono sei parametri indipendenti (sei coordinate generalizzate).
Si può ad esempio immaginare di fissare innanzitutto la posizione di un punto del corpo,
attraverso le sue tre coordinate cartesiane, e successivamente di bloccare, attraverso tre
parametri angolari, la possibilità del corpo di ruotare attorno a tre assi passanti per il punto
e paralleli agli assi coordinati.
Oppure si può fissare la posizione di tre punti del corpo, attraverso le tre coordinate
cartesiane di ciascun punto (nove parametri) e riconoscere che tra queste coordinate
sussistono, per la rigidità del corpo, tre relazioni scalari analoghe alla (1.1) il che riduce a
sei i parametri indipendenti.
del rettangolo considerato nel paragrafo precedente: tale vettore prende il nome di vettore
posizione dal momento che una sua determinazione particolare individua una ben precisa
posizione del rettangolo nel piano xy. Siano {M} e {M’} due di tali posizioni che possiamo
riguardare come posizioni rispettivamente iniziale e finale del rettangolo.
Si definisce spostamento generalizzato del rettangolo e si indica con:
x A' x A
S M ' M y A' y A (1.2)
'
la differenza tra il vettore posizione finale e il vettore posizione iniziale, ovvero il vettore
che sommato alla posizione iniziale individua la posizione finale del corpo (Figura 1.3).
È evidente che lo spostamento generalizzato dipende dalle particolari coordinate
generalizzate scelte per descrivere la posizione del corpo. Se anziché il vettore {M} si
fosse scelto un diverso vettore posizione, ad esempio il vettore M 1 x A y A xB ,
T T
si sarebbe ottenuto, anche qui come differenza tra due generici vettori posizione, lo
spostamento generalizzato: S1 M 1' M 1 x A' x A y A' y A xB ' xB .
T T T
1
L’attributo di generalizzate si riferisce al fatto che le coordinate individuano bensì la posizione del corpo
ma solo in senso, appunto, generalizzato: esse consentono cioè di sapere dove si trova il punto A
(nell’esempio che qui stiamo considerando) e quale inclinazione caratterizza la base del rettangolo, ma nulla
dicono circa la posizione di un altro punto qualsiasi del rettangolo che deve essere determinata a partire dalla
conoscenza della forma del corpo rigido e richiede pertanto ulteriori specificazioni.
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Statica
y
C'
B'
C
'-
B
'
D D'
y'A
A'
y'A - yA
yA
A
x'A - xA
xA x'A x
Figura 1.3.
Vale la pena precisare che lo spostamento generalizzato non rappresenta uno spostamento
fisico reale nel piano xy come è evidente dal fatto che si tratta di un vettore a tre
componenti in uno spazio a due dimensioni, il piano (è un vettore algebrico e non
geometrico); e, anzi, proprio da questa circostanza deriva l’attributo di generalizzato.
Inoltre, sebbene esso descriva in maniera univoca lo spostamento del corpo dalla posizione
iniziale a quella finale, non consente di risalire allo spostamento di un punto qualunque del
corpo poiché il cambiamento di posizione (spostamento) è definito con riferimento ai soli
parametri scelti per definire le coordinate generalizzate.
Così, il vettore {S} espresso dalla (1.2) fornisce direttamente lo spostamento dello spigolo
A e la rotazione del rettangolo ma nulla dice circa lo spostamento degli altri punti (così
come, allo stesso modo, il vettore {S1} fornisce solo lo spostamento dello spigolo A e la
componente orizzontale dello spostamento dello spigolo B).
Per ottenere dunque una descrizione completa dello spostamento di un corpo rigido,
occorre poter determinare lo spostamento di un punto qualunque del corpo a partire dalla
conoscenza del vettore spostamento generalizzato.
1.1.3.1.Spostamenti traslatori
Uno spostamento rigido piano si definisce traslatorio quando tutti i punti del corpo
subiscono lo stesso spostamento (il corpo si sposta rimanendo parallelo alla posizione
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Statica
iniziale). Tale definizione è, in realtà, generale e vale anche per spostamenti che non siano
né rigidi né piani nel senso prima precisato.
Con riferimento al rettangolo considerato nei paragrafi precedenti un generico spostamento
traslatorio è quello rappresentato nella Figura 1.4.
Con la scelta (1.2) lo spostamento generalizzato che descrive la traslazione assume la
forma:
x A ' x A u A
S y A' y A v A (1.3)
0 0
e le sue uniche componenti non nulle si identificano con le componenti cartesiane dello
spostamento del punto A: s A u A i v A j .
Figura 1.4.
1.1.3.2.Spostamenti rotatori
Uno spostamento rigido piano si definisce rotatorio quando esiste un punto del piano,
appartenente o meno al corpo, a cui compete spostamento nullo. Tale punto prende il nome
di centro di rotazione. A differenza di quanto detto per lo spostamento traslatorio, la
definizione qui data di spostamento rotatorio, mentre continua a valere anche per
spostamenti che non siano rigidi, non si può estendere senza modifiche a spostamenti
diversi da quelli piani. La modifica riguarda la sostituzione del concetto di centro di
rotazione con quello di asse di rotazione.
Nella Figura 1.5 è illustrato uno spostamento rotatorio del rettangolo per il quale si è
ipotizzato il centro di rotazione coincidente con il punto A. Si tratta com’è ovvio di un caso
particolare, dal momento che le coordinate del punto A sono usate per definire il vettore
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Statica
posizione {M}; tuttavia è sempre possibile scegliere come coordinate generalizzate proprio
le coordinate del centro di rotazione.
Con tale scelta lo spostamento generalizzato che descrive la rotazione diventa:
0 0
S 0 0 (1.5)
'
dove si è indicato con θ l’angolo di rotazione, ovvero la differenza tra le orientazioni finale
e iniziale della base del rettangolo rispetto all’asse delle ascisse.
L’espressione che fornisce lo spostamento di un punto P qualsiasi del rettangolo, a partire
dallo spostamento generalizzato, non è immediata come per lo spostamento traslatorio.
Per ottenere tale espressione cominciamo con l’osservare che, per effetto della rotazione
attorno ad A, il punto P si sposta in P’ muovendosi sull’arco di circonferenza di centro A e
raggio r pari alla distanza tra P e A: lo spostamento sP del punto P si identifica allora con la
corda PP’ sottesa dall’arco di circonferenza percorso.
et
sPt
sP P'
P' P
P sPr
r
'
yA
A er A
xA x
Figura 1.5.
Tale spostamento (Figura 1.5) si può scomporre nelle due direzioni radiale e tangente
individuate dai due versori2 er ed et che si assumono positivi se concordi con i versi che
vanno rispettivamente da P verso A e da P verso P’. I due vettori componenti valgono:
s Pr r 1 cos e r
(1.6)
s Pt r sen et
e risultano espressi in funzione dell’angolo di rotazione θ ovvero dell’unica componente
non nulla dello spostamento generalizzato.3
2
Le componenti cartesiane del versore radiale er si ottengono facilmente a partire dalle coordinate cartesiane
dei punti P ed A dividendo il vettore PA = (xA – xP) i + (yA – yP) j per il proprio modulo; le componenti
cartesiane del versore tangente et si ottengono da quelle di er tenendo conto della ortogonalità dei due versori
(cfr. cap. I: Teoria dei vettori).
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Statica
La descrizione degli spostamenti traslatori non viene modificata dall’assunzione che gli
spostamenti stessi siano quantità infinitesime dal momento che il campo di spostamenti
(1.4) è uniforme e tale rimane anche quando le componenti dei vettori spostamento si
devono ritenere quantità infinitesime anziché finite.
3
Nel caso in cui si fossero scelte come coordinate generalizzate le coordinate cartesiane di un punto diverso
dal centro di rotazione A lo spostamento del punto P si sarebbe ancora potuto esprimere mediante le (1.6)
poiché si dimostra (vedi infra, teorema di Chasles) che l’angolo di rotazione θ, terza componente dello
spostamento generalizzato, è indipendente dalla suddetta scelta.
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Statica
et
P' sP = r
P' P
P
r
'
yA
A A
xA x
Figura 1.6.
Figura 1.7.
Lo spostamento sP si può allora considerare come prodotto vettoriale dei due vettori PA e θ
e si può scrivere:4
4
Il vettore θ introdotto nella (1.9) è, a tutti gli effetti, un vettore solo nell’ambito dell’ipotesi di piccoli
spostamenti e, quindi, solo se il suo modulo è una quantità infinitesima.
Per le rotazioni di ampiezza finita, infatti, non è valida la commutatività dell’operazione di somma – che,
com’è noto, costituisce parte integrante della definizione di vettore – il che significa che la somma di due
successive rotazioni di ampiezza finita produce spostamenti risultanti diversi a seconda dell’ordine con cui le
rotazioni stesse vengono impresse.
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Statica
s P PA θ (1.9)
ovvero, tenendo conto del fatto che la rotazione avviene nel piano xy:
s P PAy z i PAx z j y A y P z i x A xP z j (1.10)
Che le componenti cartesiane dello spostamento sP siano quelle fornite dalla (1.10) si può
del resto riconoscere direttamente attraverso le semplici relazioni geometriche desumibili
dalla Figura 1.8 che consentono infatti di scrivere:
uP sP sen r sen yP y A
(1.11)
vP sP cos r cos xP x A
Figura 1.8.
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Statica
Oppure si può imporre (i) prima una rotazione con centro in B e angolo θB tale da rendere
il rettangolo parallelo alla orientazione finale e (ii) poi una traslazione con tutti i punti che
si spostano di un vettore sB.
C
D' C'
B1 B
sB
D
sA A' B'
A A1
Figura 1.9.
Cambiando dunque il punto attorno al quale occorre far ruotare inizialmente il rettangolo
per disporlo parallelamente alla posizione finale si possono ottenere infinite combinazioni
di spostamenti rotatori e traslatori che portano comunque il rettangolo dalla posizione
iniziale a quella finale. Tutte queste combinazioni sono caratterizzate da un diverso punto
di rotazione (rispettivamente A e B nell’esempio considerato), da un diverso spostamento
traslatorio (rispettivamente sA e sB), ma da uno stesso angolo di rotazione (uguale ampiezza
di rotazione e ugual verso) come è facile convincersi osservando nella Figura 1. che gli
angoli θA e θB sono angoli alterni interni tra le rette parallele AA1 e BB2, entrambe parallele
alla orientazione finale del rettangolo, e pertanto θA= θB.
Se si inverte l’ordine con il quale sono impartiti gli spostamenti – ovvero dapprima si trasla
il corpo di sA (sB) e poi lo si fa ruotare attorno ad A (B) di θA (θB) – la posizione finale
raggiunta dal rettangolo è diversa, a meno che non si operi nell’ambito di validità
dell’ipotesi di piccoli spostamenti. Se infatti gli spostamenti, sia di traslazione sia di
rotazione sono infinitesimi, è facile riconoscere che la rotazione attorno ad A o attorno ad
A’ – ovvero impressa prima o dopo la traslazione – sono coincidenti a meno di infinitesimi
di ordine superiore (vedi infra).
Consideriamo ora lo stesso spostamento del rettangolo ABCD per come riproposto nella
Figura 1.10.
Dal punto di mezzo dei due segmenti AA’ e BB’, che misurano la lunghezza degli
spostamenti sA e sB, conduciamo due rette perpendicolari ai segmenti stessi individuando in
C la loro intersezione. I due segmenti rappresentano corde delle infinite circonferenze che
si possono tracciare per le coppie di punti A-A’ e B-B’ e il punto C rappresenta il centro
comune di due di queste circonferenze. Il punto A si sposta in A’, dunque, percorrendo la
circonferenza di centro C e raggio CA, così come il punto B si sposta in B’ percorrendo la
circonferenza di centro C e raggio CB.
Ne discende l’uguaglianza dei due triangoli CAB e CA’B’ in quanto triangoli aventi i lati
ordinatamente uguali: CA=CA’ e CB=CB’ perché raggi di una stessa circonferenza,
AB=A’B’ perché il rettangolo è un corpo rigido. Il triangolo CAB si trasforma dunque nel
triangolo CA’B’ per rotazione rigida attorno al centro comune delle due circonferenze e il
rettangolo ABCD, solidale con il lato AB del triangolo, subisce la stessa rotazione attorno
allo stesso centro.
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Statica
Quanto al valore dell’angolo di rotazione questo si identifica con gli angoli, tra loro uguali,
formati dalle coppie di lati corrispondenti dei due triangoli CAB e CA’B’: due di questi
angoli sono angoli al centro per le due circonferenze sottesi dalle corde AA’ e BB’, ovvero
AĈA' e BĈB' , il terzo angolo è quello formato dai lati AB e A’B’ ovvero dalle
orientazioni iniziale e finale del rettangolo. Pertanto l’angolo di rotazione che compete allo
spostamento rotatorio di centro C (θC) e è uguale agli angoli di rotazione che competono
alle componenti rotatorie attorno a un punto qualunque del corpo (ad esempio θA e θB nella
rappresentazione roto-traslatoria data prima).
Si noti, per concludere, che anche lo spostamento puramente traslatorio si può assimilare a
uno spostamento rotatorio con angolo di rotazione nullo e centro di rotazione coincidente
con il punto improprio della direzione perpendicolare a quella della traslazione.
C
D' C'
D
A' B'
Figura 1.10.
È allora evidente come la scelta del vettore (1.2) quale spostamento generalizzato risulti
molto “espressiva”. Le componenti di detto vettore, infatti, altro non rappresentano se non
lo spostamento di un punto del corpo e la rotazione del corpo attorno allo stesso punto e
quindi descrivono sia la parte traslatoria sia la parte rotatoria dello spostamento
complessivo del corpo (spostamento roto-traslatorio).
Tale descrizione risulta evidentemente ancora più semplice se il punto scelto per definire la
parte traslatoria dello spostamento coincide con il centro di rotazione del corpo: in questo
caso lo spostamento generalizzato è espresso dalla (1.5) e il generico spostamento rigido
piano è considerato come rotazione attorno al centro stesso e non più come spostamento
roto-traslatorio (spostamento rotatorio).
Possiamo a questo punto ritornare al problema posto alla fine del § 1.1.2. ovvero quello di
determinare lo spostamento di un punto qualunque del corpo a partire dalla conoscenza del
vettore spostamento generalizzato.
I risultati separatamente ottenuti per gli spostamenti rispettivamente traslatori e rotatori e,
la forma assunta da questi ultimi nell’ipotesi di piccoli spostamenti, risolvono
completamente il problema in quanto porgono, per sovrapposizione degli effetti, la
descrizione del più generale spostamento rigido piano.
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Statica
Nota la (1.12) si può facilmente passare alla (1.14). A tale scopo è sufficiente ricavare le
coordinate cartesiane del centro di rotazione C, ponendo nella (1.12) P ≡ C e sfruttando la
definizione di centro di rotazione come punto a spostamento nullo:
sC s A CA θ 0 (1.16)
da cui:
uA
yC y A
(1.17)
vA
xC x A
Allo stesso modo si può passare dalla (1.14) alla (1.12). Basta infatti determinare, mediante
la (1.14), le componenti dello spostamento di un punto qualsiasi e assumere tale punto
come polo cinematico da inserire nella (1.12).
La (1.12) e la (1.14) rappresentano pertanto due formulazioni equivalenti dello stesso
spostamento rigido piano che differiscono per una diversa scelta del vettore spostamento
generalizzato. Da queste due formulazioni discendono due diverse procedure di soluzione
del problema cinematico che verrà introdotto in un capitolo successivo.
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Statica
Esempio 1.
La posizione del rettangolo ABED, i cui lati misurano rispettivamente AB =5 cm e AD = 3 cm, è
definita nel piano cartesiano O(x,y) dalle coordinate del punto A≡(2,1) e dall’angolo che la base AB
forma con l’asse x (0°).
A partire da tale configurazione, rappresentata nella figura, si imprima al rettangolo uno spostamento
descritto dal vettore algebrico (spostamento generalizzato):
{S}T = {uA vA θ}T = {0.03 0.05 0.01}T
dove gli spostamenti sono espressi in cm e la rotazione in radianti.
Determinare lo spostamento dei punti B ed E, per effetto dello spostamento generalizzato suddetto, e
le coordinate del centro di rotazione.
Soluzione.
Le componenti dello spostamento generalizzato rappresentano le componenti cartesiane dello
spostamento del punto A sA = uA·i + vA·j = 0.03 i + 0.05 j e del vettore rotazione θ = θ·k = 0.01k.
Applicando la (1.12) si ottengono gli spostamenti dei punti B ed E:
sB = [0.03 i + 0.05 j] + [(1-1)0.01 i – (2-7)0.01 j] = 0.03 i + 0.10 j
sE = [0.03 i + 0.05 j] + [(1-4)0.01 i – (2-7)0.01 j] = 0.10 j
Le coordinate del centro di rotazione si ottengono invece dalla (1.17):
yC = yA + uA/θ = 1 + 0.03/0.01 = 4
xC = xA - vA/θ = 2 - 0.05/0.01 = - 3
Si controlla infine che gli spostamenti dei punti B ed E che si ottengono mediante la (1.14) coincidono
con quelli già valutati:
sB = [(4-1)0.01 i – (-3-7)0.01 j] = 0.03 i + 0.10 j
sE = [(4-4)0.01 i – (-3-7)0.01 j] = 0.10 j
La (1.12) si presta a una interessante considerazione che mette in evidenza una proprietà
generale degli spostamenti rigidi piani. Poiché risulta:
s P s A PA θ (1.18)
ovvero la differenza tra gli spostamenti di due punti qualsiasi risulta ortogonale alla
congiungente i punti stessi, per definizione di prodotto vettoriale, si deduce che lo
spostamento relativo dei due punti deve avere componente nulla lungo la suddetta
congiungente (ciò assicura che la distanza tra i due punti rimanga immutata coerentemente
con l’ipotesi che lo spostamento sia rigido).
Ad esempio, considerando due punti P e Q allineati su una retta parallela all’asse delle
ordinate, ovvero per i quali risulta xQ = xP, si ha evidentemente (dalla (1.11)):
vP xP xC vQ xQ xC (1.19)
e cioè risultano uguali le componenti verticali (parallele all’asse delle ordinate) degli
spostamenti dei due punti.
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Statica
Allo stesso modo, considerando due punti R e P allineati questa volta su una retta parallela
all’asse delle ascisse, ovvero per i quali risulta yR = yP, si ha:
uP yP yC uR yR yC (1.20)
e cioè risultano uguali le componenti orizzontali (parallele all’asse delle ascisse) degli
spostamenti dei due punti.
Tale proprietà ha validità generale e si può enunciare dicendo che le componenti dello
spostamento di due punti lungo la retta che li congiunge sono tra loro uguali e uguali alla
componente, lungo la medesima direzione, dello spostamento di qualunque altro punto
appartenente alla direzione stessa.
Essa discende dall’ipotesi che gli spostamenti siano rigidi, in virtù della quale due punti
qualsiasi, appartenenti allo stesso corpo, non possono né avvicinarsi né allontanarsi durante
lo spostamento pena il venir meno dell’ipotesi stessa.
Di tale proprietà, il cui interesse nelle applicazioni è ragguardevole, vale la pena fornire
una giustificazione diretta.
Figura 1.6.
Consideriamo a tale scopo i due punti A e P di un generico corpo rigido piano che, per
effetto della rotazione di ampiezza θ e centro C, si spostano perpendicolarmente alle
congiungenti AC e PC rispettivamente di sA=AC·θ e sP=PC·θ (Figura 1.6).
Le componenti sAr e sPr degli spostamenti dei punti A e P lungo la congiungente r si
ottengono proiettando gli spostamenti stessi su r. Ma, osservando che il triangolo avente
come ipotenusa sA e uno dei due cateti coincidente con sAr è simile al triangolo CAH e che
il triangolo avente come ipotenusa sP e uno dei due cateti coincidente con sPr è simile al
triangolo CPH, si può scrivere:
s Ar AC cos CH h
(1.21)
s Pr PC cos CH h
In questo modo non solo si riconosce che le suddette componenti sono uguali, in accordo
con la proprietà prima enunciata sulla base dell’ipotesi che lo spostamento fosse rigido, ma
si deduce anche che per valutare la componente dello spostamento di un punto qualsiasi
lungo una direzione assegnata si può fare riferimento allo spostamento del punto
coincidente con il piede della perpendicolare abbassata dal centro di rotazione alla
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Statica
direzione stessa (nel caso in figura H). Ciò semplifica notevolmente il calcolo quando le
componenti di spostamento che interessa calcolare sono quelle cartesiane.
Esempio 2.
Si controlli la validità della (1.21) con i dati dell’esempio 1.
Soluzione.
Un primo controllo è implicitamente contenuto nei risultati già ottenuti, dai quali si ricava (i) che i
punti A e B, la cui congiungente è parallela all’asse x, hanno uguali componenti lungo x e, (ii) che i
punti B ed E, la cui congiungente è parallela all’asse y, hanno uguali componenti lungo y.
Un controllo ulteriore può riguardare le componenti degli spostamenti dei punti A ed E lungo la
diagonale del rettangolo. La direzione della diagonale è definita dal versore eAE che si ottiene
dividendo il vettore AE per il proprio modulo:
AE = (7-2) i + (4-1) j = 5 i + 3 j
AE = (52 + 32)1/2 =5.831
eAE = (1/5.831)·(5 i + 3 j) =0.857 i + 0.514 j
Le componenti di sA ed sE lungo la diagonale si ottengono a questo punto dal prodotto scalare dei due
vettori per il versore eAE, ovvero:
sA × eAE = 0.03·0.857 + 0.05·0.514 = 0.0514
sE × eAE = 0.00·0.857 + 0.10·0.514 = 0.0514
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Statica
Figura 1.7.
Nella Figura sono riportate a titolo di esempio le componenti cartesiane dello spostamento
di un generico punto P interno al corpo rigido.
1.2. Statica
La Statica è la parte della Meccanica che si occupa dello studio dell’equilibrio dei corpi.
Per equilibrio si intende il permanere indefinito dei corpi stessi in uno stato di quiete o di
moto rettilineo uniforme. Le due condizioni, la quiete e il moto rettilineo uniforme, sono
infatti indistinguibili a patto di scegliere opportunamente il sistema di riferimento rispetto
al quale vengono valutati.
Una persona ferma all’interno di una stanza è in equilibrio rispetto a un sistema di
riferimento solidale con la stanza OS(x,y,z). Una persona ferma all’interno di un treno che
si muove con velocità vettoriale costante v è ugualmente in equilibrio rispetto a un sistema
di riferimento solidale con il treno OT(x,y,z), sebbene si muova con la stessa velocità del
treno rispetto al sistema OS(x,y,z). Entrambi i sistemi di riferimento, OS(x,y,z) e OT(x,y,z),
sono inerziali poiché in essi le leggi della meccanica classica (leggi di Newton) si scrivono
esattamente allo stesso modo. Con ottima approssimazione per i problemi strutturali, i
sistemi di riferimento solidali con la terra (e quelli che si muovono, rispetto a questa, di
moto rettilineo uniforme) si possono ritenere sistemi inerziali.
Il venir meno dell’equilibrio è dunque caratterizzato dalla variazione della velocità iniziale
del corpo, ovvero dalla sua accelerazione. Ciò equivale a dire, in virtù della seconda legge
di Newton, che sul corpo agisce un qualche tipo di forza oppure, in base a quanto detto nel
§ 2.3, un momento (o una coppia, nell’ipotesi che al momento sia associata una forza
complessivamente nulla). Conseguentemente, se su un corpo non agiscono né forze né
coppie nessuna causa esterna è in grado di produrre accelerazione e il corpo rimane in
equilibrio.
Ricordando allora che un sistema di forze si dice equivalente a zero quando per esso
risulta:
R0
(1.22)
M OR 0
e, che l’equivalenza dei sistemi di forze implica l’uguaglianza degli effetti meccanici da
questi prodotti, se su un corpo agisce un sistema di forze equivalente a zero, tale situazione
non differisce dall’altra in cui sul corpo non agiscono né forze né coppie: in entrambi i casi
non sono presenti cause esterne in grado imprimere al corpo una accelerazione e il corpo
rimane in equilibrio.
D’altra parte, l’uguaglianza degli effetti meccanici prodotti da sistemi di forze equivalenti
è da intendere, a stretto rigore, come uguaglianza di movimenti ma non di deformazioni, il
che significa che l’equivalenza a zero del sistema di forze agenti su un corpo consente di
escludere la possibilità che il corpo si metta in movimento ma non che il corpo si deformi.
Si può allora concludere dicendo che le equazioni (1.22) rappresentano condizione
necessaria per l’equilibrio dei corpi ma, in generale, non sufficiente.
Necessaria perché un corpo soggetto a un sistema di forze non nullo si mette in moto; non
sufficiente perché un corpo soggetto a un sistema di forze equivalente a zero si può
comunque deformare. Se, però, per il corpo in esame è lecita l’ipotesi di corpo rigido
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Statica
(ovvero si assume che le mutue distanze tra due punti qualsiasi del corpo rimangano
inalterate e, quindi, è per altra via esclusa l’eventualità delle deformazioni), la suddetta
condizione di equilibrio diventa anche sufficiente.
Le due equazioni vettoriali (1.23) rappresentano pertanto condizione necessaria e
sufficiente per l’equilibrio dei corpi rigidi. Esse prendono il nome di equazioni cardinali
della Statica.
22
Statica
Ogni volta che il punto di applicazione di una forza si sposta – indipendentemente dal fatto
che lo spostamento sia provocato o meno dalla forza – la forza compie lavoro. E,
precisamente, si definisce lavoro della forza F nello spostamento s il prodotto scalare:
L F s F s cos (1.23)
Coerentemente con la nozione di prodotto scalare, dunque, il lavoro di una forza è misurato
dal prodotto del modulo della forza per la componente dello spostamento nella direzione
della forza. Esso è una quantità positiva, negativa o nulla a seconda che lo spostamento
abbia la stessa direzione della forza, direzione opposta o sia perpendicolare alla forza.
Si può allora dire che le forze che favoriscono il movimento – e cioè quelle il cui punto di
applicazione si sposta nella direzione della forza – compiono lavoro positivo; le forze che
ostacolano il movimento lavoro negativo.
In altri termini, il movimento dei corpi è sempre associato al fatto che le forze su di esso
applicate compiono lavoro positivo.
Poiché tale circostanza riveste un ruolo essenziale nella formulazione del principio dei
lavori virtuali, vale la pena fornirne una diversa giustificazione.
Consideriamo a tale scopo il semplice caso di un punto materiale che si mette in
movimento, a partire da uno stato di quiete, sotto l’azione di una forza F. Il movimento del
punto è descritto dalla seconda legge di Newton:
dv
F ma m (1.24)
dt
dalla quale, moltiplicando scalarmente ambo i membri per uno spostamento infinitesimo
ds, si ottiene:
dv
F ds m ds (1.25)
dt
dove il termine a primo membro rappresenta il lavoro infinitesimo dL compiuto dalla forza
agente sul punto materiale. Dalla (1.25) si ricava dopo semplici passaggi:
dv dL dv ds dv
dL m ds m m v dL m dv v
dt dt dt dt dt
(1.26)
1
dL d mv 2 dT
2
avendo indicato con T l’energia cinetica acquisita dal punto.
Integrando rispetto al tempo si ottiene infine:
L T (1.27)
e cioè che il lavoro compiuto dalla forza agente sul punto materiale uguaglia l’incremento
di energia cinetica del punto stesso.
Poiché qualunque corpo – rigido o deformabile – si può in ogni caso considerare come un
insieme di punti materiali, la (1.27) si può facilmente generalizzare, estendendone la
validità a sistemi meccanici comunque complessi, considerando l’energia cinetica e il
lavoro come somma dei contributi di energia e di lavoro pertinenti a tutti i punti materiali
del sistema.
23
Statica
Pertanto, ogni volta che un corpo abbandona uno stato di quiete – e si mette in moto – esso
guadagna energia cinetica e, poiché questa è una quantità essenzialmente positiva, le forze
ad esso applicate compiono lavoro positivo.
Se, allora, tra tutti i possibili spostamenti in conseguenza dei quali un corpo potrebbe
abbandonare la propria configurazione iniziale (di quiete), non ve ne è nessuno per il quale
le forze applicate al corpo compiono lavoro positivo, quegli spostamenti non possono
innescarsi e il corpo rimane in equilibrio.
Viceversa, se esiste almeno uno spostamento per il quale le forze applicate compiono un
lavoro positivo, quello spostamento avviene.
Pertanto, una formulazione del principio dei lavori virtuali più precisa rispetto a quelle
precedentemente proposte, potrebbe essere questa: “un corpo permane in uno stato di
equilibrio se per qualunque spostamento a partire dalla sua configurazione iniziale, le
forze su di esso agenti compiono un lavoro negativo o nullo”.
La condizione L ≤ 0 si configura pertanto come condizione sufficiente di equilibrio.
Che essa sia anche necessaria è tuttavia un assunto indimostrabile, in accordo con la natura
di principio che connota la legge dei lavori virtuali.
Ora, gli spostamenti ai quali siamo interessati, nella meccanica strutturale, sono quelli che
comunque mantengono il corpo in un intorno arbitrariamente prossimo alla sua
configurazione iniziale. Come abbiamo visto, tale ipotesi – detta dei piccoli spostamenti –
equivale ad approssimare gli spostamenti con la parte del primo ordine del loro sviluppo in
serie di Taylor a partire dalla configurazione iniziale, ovvero a sostituire gli spostamenti
con le velocità (atti di moto). Moltiplicando però le velocità per un tempo fittizio δt queste
divengono, dimensionalmente, degli spostamenti e a questi ci si riferisce come spostamenti
virtuali. Spostamento virtuale è dunque uno spostamento che ha le caratteristiche proprie
della velocità in un atto di moto. Esso è, inoltre, virtuale anche nel senso che non si tratta
di uno spostamento reale ma solo di uno dei possibili spostamenti del corpo a partire dalla
posizione iniziale, purché rispettoso di tutte le limitazioni derivanti sia dalla presenza di
eventuali dispositivi esterni al corpo (vincoli) che dalla compagine materiale del corpo
stesso.
Si definisce, a questo punto, lavoro virtuale il lavoro compiuto dalle forze applicate al
corpo per uno spostamento virtuale. E si può enunciare il principio dei lavori virtuali nella
forma canonica:
Condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio di un di un corpo rigido in una
configurazione assegnata è che risulti negativo o nullo (δL ≤ 0) il lavoro – virtuale –
compiuto da tutte le forze agenti sul sistema per ogni spostamento virtuale a partire dalla
configurazione iniziale.
Se poi gli spostamenti che un corpo può subire sono tutti reversibili, nel senso che ad ogni
spostamento ne corrisponde un altro che si ottiene dal primo per un semplice cambiamento
di segno, la condizione precedente diviene assai più restrittiva e porta ad affermare che, in
una situazione di equilibrio, il lavoro virtuale può solo essere nullo.
Qualora infatti risultasse δL < 0, per un assegnato insieme di spostamenti virtuali a partire
dalla configurazione iniziale equilibrata, cambiando segno a tutti gli spostamenti – e,
dunque, ottenendo comunque un insieme di spostamenti virtuali, in virtù della reversibilità
degli spostamenti stessi – si otterrebbe δL > 0. Ne consegue che, nell’ipotesi di
reversibilità degli spostamenti, la condizione di equilibrio diventa δL = 0.
24
Statica
Come vedremo, i dispositivi usati per collegare al suolo le strutture (vincoli) sono tali da
consentire solo spostamenti reversibili (quando non bloccano completamente tutti gli
spostamenti), ovvero sono modellabili come tali. Tali dispositivi prendono il nome di
vincoli bilaterali e per essi si aggiunge, solitamente l’ulteriore ipotesi che si tratti di vincoli
lisci.
In questo caso il principio dei lavori virtuali si può enunciare nel seguente modo:
Condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio di un di un corpo rigido in una
configurazione assegnata, e dotato di vincoli bilaterali e lisci, è che risulti nullo (δL = 0) il
lavoro – virtuale – compiuto da tutte le forze agenti sul sistema per ogni spostamento
virtuale a partire dalla configurazione iniziale.
25
Statica
Rx 0
Ry 0 (1.33)
M AR 0
avendo assunto come piano di riferimento il piano xy e omesso la inessenziale precisazione
dell’indice z per l’unica componente non nulla del momento.
Le equazioni consentono di determinare forze incognite agenti su corpi in equilibrio
secondo la procedura illustrata nel paragrafo seguente che sfrutta il concetto di diagramma
di corpo libero.
A C S
30°
Q
45°
Q
B B B x
P
P
Soluzione
Poiché siamo interessati alle forze agenti sulle tre funi il diagramma di corpo libero si può ottenere
isolando l’anello B (figura centrale) ed evidenziando le forze ad esso trasmesse proprio dalle tre funi.
Queste sono il peso P, la tensione nella fune BC (che, trascurando l’attrito nella puleggia in C, è
uguale al carico Q), la tensione S nella fune AB (figura di destra).
26
Statica
Scelto il sistema di riferimento mostrato in figura, con origine in B, la espressione cartesiana delle
forze agenti sull’anello è la seguente:
P P cos 90 i P cos 180 j P j
Q Q cos 30 i Q cos 60 j 10 0.866 i 10 0.5 j 8.66 i 5.0 j
S S cos 135 i S cos 45 j 0.707 S i 0.707 S j
Assumendo come polo dei momenti l’origine degli assi, la terza delle (1.33) – che impone l’annullarsi
del momento del sistema delle tre forze – è implicitamente soddisfatta (perché tutte le forze passano
per l’origine), mentre dalle prime due delle (1.33) – che impongono l’annullarsi del risultante del
sistema – si ottiene:
Rx 8.66 0.707 S 0
Ry P 5 0.707 S 0
Dalla prima equazione si ricava S e sostituendone il valore nella seconda equazione si ricava P:
8.66
S 12.25 kN
0.707
P 5 0.707 12.25 13.66 kN
Esempio 4.
Una sfera di metallo di peso P è sostenuta da un filo che girando attorno a un disco circolare di raggio
r assume una inclinazione di 45° sull’orizzontale e va ad ancorarsi a un gancio fissato a un piano
orizzontale.
Determinare la forza che agisce sul perno al quale il disco circolare è fissato in corrispondenza del suo
centro, nell’ipotesi che sia trascurabile qualunque forma di attrito, tra disco e filo come pure tra disco
e perno e che sia altresì trascurabile il peso proprio del disco.
y
45° T
Cy
r Cx
x
P
P
Soluzione
Poiché siamo interessati alle forze che agiscono sul perno del disco circolare il diagramma di corpo
libero si può ottenere isolando la parte di struttura indicata nella figura centrale e sulla quale agiscono
le seguenti forze (figura di destra):
il peso P della sfera;
la trazione T nel tratto di filo inclinato a 45°;
le due componenti della forza agente sul perno, Cx e Cy (il disco circolare di raggio r impedisce al
peso P di spostarsi sia in orizzontale che in verticale; esso deve dunque poter esercitare in
corrispondenza del perno a cui è fissato sia una componente di forza orizzontale che una componente
di forza verticale).
Scelto il sistema di riferimento mostrato in figura, con origine nel centro del disco, la espressione
cartesiana delle forze agenti sul disco è la seguente:
27
Statica
Affinché tale sistema di forze sia equivalente a zero (o nullo, o equilibrato) devono annullarsi il suo
risultante e il suo momento risultante rispetto a un generico polo. Scegliendo come polo l’origine
degli assi, le (1.33) si scrivono:
Rx 0.707 T Cx 0
Ry P 0.707 T C y 0
M OR P r T r 0
e consentono di determinare i valori incogniti di T, Cx e Cy. Dalla terza equazione si ricava infatti il
valore di T che, sostituito nelle prime due equazioni, porge i valori di Cx e Cy:
Cx 0.707 P
C y 0.293 P
T P
Si ritrova così un risultato già noto, e cioè che in assenza di attrito la trazione nel filo si mantiene
inalterata al variare della sua inclinazione, e si ricava il valore della forza agente sul perno, risultante
delle due componenti trovate:
C C x i C y j 0.707 P i 0.293 P j
Com’è naturale, la forza risultante è diretta verso sinistra e verso l’alto dal momento che gli
spostamenti che essa tende ad impedire sono verso destra e verso il basso. L’assunzione iniziale del
verso della componente Cx, evidentemente sbagliata, non comporta nessun problema: il segno meno
che caratterizza la soluzione finale ci avverte dello sbaglio compiuto.
Note le componenti cartesiane della forza agente sul perno si possono determinare il suo modulo (C) e
i suoi coseni direttori (αC, βC) rispetto agli assi x e y:
Esempio 5.
2r
y
II Rc
C P
I K
P R'k R''k
A
Ra
P
O x
P
B
b Rb
28
Statica
Due sfere lisce, di raggio r = 0.5 m e peso P = 1 kN, sono inserite all’interno di un canale verticale le
cui pareti distano tra di loro b = 1.6 m. Nell’ipotesi che anche il contatto tra sfere e pareti sia liscio,
determinare le forze esercitate dalle due sfere nei punti di contatto A, B e C.
Soluzione
Nell’ipotesi di assenza di attrito al contatto tra i diversi corpi, le forze di contatto risultano normali
alle superfici sulle quali agiscono. Le forze (Ra, Rb, Rc) che le pareti trasmettono alle sfere sono
dunque ortogonali alle pareti stesse e le forze (RkI = - RkII) che le due sfere si scambiano nel punto di
contatto sono ortogonali al piano tangente al punto di contatto, ovvero dirette secondo la congiungente
i centri delle due sfere. Ciò consente di disegnare i due diagrammi di corpo libero rappresentati nella
figura di destra dove è anche indicato il sistema di riferimento adottato.
La sfera superiore è in equilibrio sotto l’azione del peso proprio P e delle forze ad essa trasmesse dalla
parete, Rc, e dall’altra sfera, RkII. La rappresentazione cartesiana di tali forze è la seguente:
P P cos 90 i P cos 180 j P j
Rc Rc cos 180 i Rc cos 90 j Rc i
RkII RkII cos i RkII cos( 90 ) j RkII cos i RkII sen j
Affinché tale sistema di forze sia equivalente a zero (o nullo, o equilibrato) devono annullarsi il suo
risultante e il suo momento risultante rispetto a un generico polo. La seconda condizione è
implicitamente soddisfatta se si sceglie come polo il centro della sfera, punto dove concorrono tutte e
tre le forze. Rimane dunque da imporre l’annullarsi del risultante, mediante le prime due delle (1.33):
Rx Rc RkII cos 0
Ry P Rk sen 0
II
Ricavando dalla seconda equazione il modulo della forza di contatto che si scambiano le due sfere e
sostituendolo nella prima si ottiene:
P
RkII
sen
P P
Rc RkII cos cos
sen tan
Passando poi alla sfera inferiore, questa è in equilibrio sotto l’azione del peso proprio P e delle forze
ad essa trasmesse dalle due pareti, Ra e Rb, e dalla sfera superiore, RkI = - RkII (ormai nota).
Procedendo come prima si può scrivere:
P P cos 90 i P cos 180 j P j
Ra Ra cos 0 i Ra cos 90 j Ra i
Rb Rb cos 90 i Rb cos 0 j Rb j
P
RkI RkII RkII cos i RkII sen j i P j
tan
Anche in questo caso le forze sono tutte concorrenti nello stesso punto, il centro della sfera, e ciò
consente di ritenere implicitamente soddisfatto l’equilibrio alla rotazione. Dall’equilibrio alla
traslazione si ottiene:
P
Rx Ra 0
tan
Ry P Rb P 0
e quindi:
P
Ra
tan
Rb 2 P
29
Statica
b 2r 1.6 2 0.5
2r 2r cos b arccos arccos 53.13
2r 2 0.5
e ricordando che P = 1 kN, si ottengono i valori delle forze di contatto sotto elencati:
P 1
Ra 0.75 kN
tan tan 53.13
Rb 2 P 2 kN
P
Rc 0.75 kN
tan
P 1
RkII 1.25 kN
sen sen 53.13
Osserviamo come le forze trasmesse alle sfere dalle due pareti verticali, le uniche orizzontali, siano
uguali ed opposte; e come la forza trasmessa dal pavimento, l’unica verticale oltre al peso delle due
sfere, equilibri per intero il peso delle sfere stesse.
30
Statica
2.1. Introduzione
L’analisi strutturale, ovvero lo studio di una qualunque tipologia strutturale finalizzato alla
previsione del suo comportamento meccanico, si compone essenzialmente di due fasi, una
di modellazione e una di analisi propriamente detta. La prima fase consiste nella
definizione di un modello matematico della struttura reale, intendendo per modello
matematico, come in qualunque problema fisico, la traduzione in termini matematici di
tutte le caratteristiche rilevanti del problema stesso. La seconda fase consiste nella
formulazione e, quando possibile, nella risoluzione delle equazioni che descrivono il
problema.
La fase di modellazione è senza dubbio la più complessa poiché in essa il ruolo delle
assunzioni soggettive è solitamente assai pesante. Formulare un modello matematico di
una struttura reale significa infatti saper individuare tutti (e solo) gli aspetti rilevanti ai fini
del comportamento meccanico della struttura e tale operazione comporta sempre la
necessità di una serie di assunzioni ed ipotesi dalla cui ragionevolezza dipende l’aderenza
del modello al problema fisico di partenza.
Per i problemi strutturali il modello matematico deve necessariamente contenere: (i) la
descrizione della geometria della struttura e delle sue modalità di collegamento al suolo
(modello geometrico), (ii) la definizione delle modalità di risposta della struttura ai carichi
applicati ovvero del suo modo di deformarsi per effetto dei carichi stessi (modello
meccanico), (iii) la valutazione di tutte le azioni agenti sulla struttura (modello delle
azioni).
Modello geometrico
Per quanto riguarda la geometria questa dipende evidentemente dalla forma dei corpi (o
elementi) che costituiscono la struttura.
In base alla forma si possono individuare due grosse famiglie di elementi strutturali con i
quali sono realizzate la maggior parte delle strutture reali e che prendono il nome
rispettivamente di travi e lastre. Nel seguito ci occuperemo esclusivamente degli elementi
strutturali tipo trave e, in particolare, delle travi per le quali è lecita l’ipotesi di sistema
strutturale piano.
La trave è un elemento caratterizzato dall’avere una dimensione prevalente rispetto alle
altre due (è un elemento monodimensionale). Essa si può definire come un solido generato
31
Statica
da una figura piana (la sezione trasversale della trave) che si muove nello spazio restando
sempre ortogonale alla curva descritta dal suo baricentro (linea d’asse della trave).1
Una trave si dice piana quando il suo asse è una curva piana. Un insieme di travi piane
costituisce un sistema strutturale piano quando (i) la sezione trasversale di ciascuna trave è
simmetrica rispetto a uno stesso piano in cui sono contenuti gli assi delle travi e (ii) tutte le
forze (attive e reattive) sono contenute nello stesso piano (§ 3.5.1.2). D’ora in avanti, per
semplicità, le travi modellabili come sistemi strutturali piani saranno indicate come travi
piane.
La geometria di una trave piana è, dunque, completamente descritta dalla linea d’asse della
trave e dalla legge con cui varia la sua sezione trasversale. Per quanto riguarda le modalità
di connessione delle travi tra loro e con il suolo, queste saranno analizzate in dettaglio non
appena saranno stati precisati il concetto di vincolo e le prestazioni cinematiche e statiche
dei diversi tipi di vincolo che si incontrano nella realtà (§ 5.2.).
Modello meccanico
Per quanto riguarda la risposta il modello meccanico della Statica è quello rigido che
esclude la possibilità di deformazione dei corpi per effetto dei carichi applicati (laddove il
modello prevalente della Scienza delle Costruzioni è quello elastico che postula la diretta
proporzionalità tra i carichi agenti e le deformazioni da questi prodotte).
Modello delle azioni
Per quanto riguarda infine le azioni queste si identificano solitamente con le forze applicate
alla struttura, sia concentrate sia ripartite, ma possono anche consistere in spostamenti
impressi (distorsioni o cedimenti), variazioni termiche, azioni chimiche, etc.
1 La lastra è invece un elemento caratterizzato dall’avere due dimensioni prevalenti rispetto alla terza (è un
elemento bidimensionale). Essa si può definire come un solido generato da un segmento (lo spessore della
lastra) che si muove nello spazio restando sempre ortogonale alla superficie descritta al suo punto medio
(superficie media della lastra).
32
Statica
2.2. I vincoli
Supponiamo allora che tra le infinite posizioni che la trave della Figura 2.1 può occupare
nel piano O(x,y) siano ammissibili solo quelle per le quali lo spigolo A si trova sulla retta r.
Le coordinate cartesiane dello spigolo A devono pertanto soddisfare l’equazione della retta
e, conseguentemente, le coordinate generalizzate xA e yA non possono più essere assegnate
arbitrariamente perchè, una volta assegnato ad esempio il valore di xA, il valore di yA si
ricava dall’equazione della retta stessa. Ciò equivale a dire che delle coordinate
generalizzate della trave (xA, yA, ) quelle realmente indipendenti sono solo due, ovvero
che i gradi di libertà della trave si sono ridotti da tre a due.
Equivalentemente, alla trave considerata come corpo rigido libero è stato imposto un grado
di vincolo (1 GV).
Figura 2.1.
Innanzitutto si tratta di un vincolo fisso o indipendente dal tempo. Tali saranno tutti i
vincoli che considereremo nel seguito avendo a priori delimitato l’oggetto di studio
individuandolo non nel movimento bensì nello spostamento, con ciò implicitamente
escludendo la considerazione della grandezza fisica tempo.
Si tratta inoltre di un vincolo olonomo o di posizione. Un vincolo olonomo2 limita solo le
possibili posizioni dei punti ai quali è applicato ma non la loro velocità, nel qual caso si
parlerebbe invece di vincolo anolonomo: questi ultimi possono anche non ridurre i gradi di
libertà del corpo ma solo limitare le modalità del movimento da una posizione a un’altra.
2
L’attributo olonomo deriva dal greco e significa espresso con legge intera. Imporre una limitazione oltre
che alla posizione anche alla velocità implica la comparsa, nelle equazioni di vincolo, della derivata della
posizione ovvero di quantità differenziali.
33
Statica
Per lo stesso motivo già segnalato a proposito dell’attributo di indipendenza dal tempo tutti
i vincoli che avremo modo di esaminare nel seguito saranno vincoli olonomi.
Ancora, si tratta di un vincolo bilaterale, poiché espresso mediante una equazione. I vincoli
espressi da disequazioni si chiamano unilaterali e le limitazioni da essi imposte agli
spostamenti dei corpi rigidi sono sensibilmente diverse. Ad esempio, sempre con
riferimento alla Figura 2.1, sarebbe unilaterale un vincolo che imponesse allo spigolo A
non di muoversi sulla retta r bensì di non attraversarla, mantenendosi nel semipiano
negativo da essa individuato.
I vincoli unilaterali sono di grande importanza per determinate tipologie strutturali,
segnatamente quelle murarie. Nel seguito tuttavia, e fino ad avviso contrario,
considereremo sempre vincoli bilaterali.
In sintesi i vincoli con cui avremo a che fare saranno vincoli indipendenti dal tempo,
olonomi e bilaterali. Ad essi aggiungeremo, non appena avremo precisato la natura statica
dei vincoli, anche l’attributo di lisci.
Un vincolo che possiede tutte le caratteristiche citate si definisce vincolo ideale.
Figura 2.2.
3 Poiché, indicando con A’ la posizione raggiunta dal punto A a seguito dello spostamento infinitesimo sA, si
può scrivere uA = xA’ – xA e vA = yA’ – yA, è immediato riconoscere nella (2.1) l’equazione della retta passante
per A e parallela a r (si ricordi dalla geometria analitica che i coefficienti a e b dell’equazione cartesiana
della retta nel piano O(x,y), ax + by + c = 0, sono propozionali alle componenti del versore della normale
alla retta).
34
Statica
Figura 2.3.
35
Statica
u A
s Bp p p d Ap
v A 0 (2.3)
Osserviamo, infine, che il vincolo espresso dalla (2.3) è un vincolo lineare, poiché la
relazione che lega tra loro le coordinate generalizzate è una funzione lineare. Tale
assunzione non deve sembrare riduttiva perché anche vincoli espressi da funzioni di grado
più elevato si riducono alla forma lineare qualora si operi nell’ambito dell’ipotesi di piccoli
spostamenti. Questa ipotesi conduce infatti, come si è esplicitamente riconosciuto a
proposito degli spostamenti rotatori infinitesimi (§ 4.1.5.1.), a sostituire alla curva lungo la
quale si svolge lo spostamento, in questo caso curva di vincolo, la retta tangente alla curva
nella posizione iniziale.
Nel seguito considereremo pertanto solo vincoli lineari o linearizzati.
La formulazione analitica della prestazione statica del vincolo elementare (2.3) mette in
evidenza la dualità prima ricordata tra cinematica e statica.
36
Statica
La reazione vincolare esercitata sul punto B dal dispositivo meccanico che fisicamente
impone la limitazione al movimento descritta dalla (2.3) è, per quanto detto prima, una
forza – di intensità arbitraria – diretta secondo la perpendicolare p alla direzione della retta
di vincolo r. Essa si può pertanto scrivere come:
r rp e p r p rp i p rp j (2.4)
avendo indicato con rp il modulo della reazione.
Il momento di tale forza rispetto al polo cinematico A è dato da:
M Ar AB r d Ap rp k (2.5)
Le (2.4), (2.5) rappresentano la riduzione al polo A della reazione vincolare r. Esse si
possono riunire in un unico vettore algebrico {RV} che rappresenta la formulazione
generalizzata della reazione vincolare stessa:
RVx p
RVy p rp (2.6)
M d
ARv Ap
Osserviamo come la matrice che lega la reazione vincolare effettiva alla sua formulazione
generalizzata coincide con la trasposta della matrice che lega lo spostamento effettivo del
punto vincolato allo spostamento generalizzato.
2.2.3.1. Appoggio
Il vincolo di appoggio è un vincolo semplice coincidente con il vincolo elementare (2.3).
Esso può essere fisicamente realizzato mediante i dispositivi meccanici rappresentati nella
Figura 2.4 che prendono il nome, rispettivamente, di pendolo e carrello.
Mentre il pendolo obbliga il punto al quale è applicato a muoversi sulla circonferenza che
ha per raggio la lunghezza del pendolo stesso, il carrello obbliga il punto al quale è
applicato a muoversi sulla retta parallela al piano di scorrimento del carrello. Per
spostamenti infinitesimi la circonferenza descritta dal pendolo si approssima con la retta
tangente il che sancisce l’equivalenza dei due dispositivi vincolari.
Dal punto di vista cinematico, il vincolo di appoggio limita una sola possibilità di
spostamento della trave e, precisamente, la componente di spostamento perpendicolare al
piano di scorrimento del carrello (parallela alla direzione del pendolo). Restano libere sia la
componente di spostamento ortogonale alla precedente sia la rotazione della trave attorno
37
Statica
al punto in cui è applicato il vincolo. La trave conserva pertanto due soli gradi di libertà
coerentemente con la definizione di vincolo semplice.
Dal punto di vista statico, il vincolo di appoggio può esercitare una sola componente di
forza lungo la direzione dello spostamento impedito, ovvero perpendicolarmente al piano
di scorrimento del carrello.
Figura 2.4.
Nella Figura 2.4 sono evidenziati sia lo spostamento e la rotazione che il vincolo consente
(con frecce piccole) sia la forza – reazione vincolare – che il vincolo esercita (con freccia
grande e campitura a tratteggio).
Le prestazioni cinematiche e statiche del vincolo di appoggio coincidono con le (2.3), (2.6)
che qui si riscrivono per chiarezza:
u A
s V S 0
s Bp p p d Ap
v A 0 (2.7)
RVx p
RV V r
T
RVy p rp (2.8)
M d
ARv Ap
2.2.3.2. Cerniera
Il vincolo di cerniera è un vincolo doppio che si può pensare generato dalla combinazione
di due vincoli elementari (2.3) applicati nello stesso punto e agenti secondo due direzioni
non parallele. Questi obbligano il punto al quale sono applicati a rimanere sulla
intersezione delle due rette sulle quali il punto potrebbe muoversi in assenza di uno dei due
vincoli.
Dal punto di vista cinematico, il vincolo di cerniera impedisce al punto al quale è applicato
ogni possibilità di spostamento, lasciando naturalmente libera la rotazione della trave
attorno al punto stesso. La trave conserva pertanto un grado di libertà coerentemente con la
definizione di vincolo doppio.
38
Statica
Dal punto di vista statico, il vincolo di cerniera può esercitare due componenti di forza
parallele alla direzione dei due pendoli da cui il vincolo può pensarsi costituito. Poiché
detti pendoli possono essere scelti in maniera del tutto arbitraria (solitamente si ipotizzano
paralleli agli assi coordinati) e le forze da essi esercitate possono avere intensità arbitraria,
ne consegue che la somma delle due componenti di forza esercitate dal vincolo di cerniera
può restituire una forza complessiva comunque diretta.
Figura 2.5.
Nella Figura 2.5 sono evidenziate sia la rotazione che il vincolo consente (con freccia
piccola) sia le due componenti di forza – reazioni vincolari – che il vincolo esercita (con
frecce grandi e campitura a tratteggio), in due diverse ipotesi circa la direzione dei due
pendoli.
Figura 2.6.
39
Statica
RVx p q
r p
RV V r
T
RVy p q r (2.10)
M d d Aq
q
ARv Ap
Due pendoli non paralleli e applicati in due punti distinti della trave realizzano ancora un
vincolo di cerniera che si intende localizzato nel punto di intersezione delle direzioni dei
due pendoli (Figura 2.6). Tale punto, non necessariamente appartenente alla trave, prende
il nome di cerniera ideale: la rave ruota attorno ad esso in modo che i punti in cui sono
applicati fisicamente i pendoli si spostino nella direzione perpendicolare ai pendoli stessi.
2.2.3.3. Glifo
Il vincolo di glifo (o doppio pendolo) è un vincolo doppio che si può pensare generato
dalla combinazione di due vincoli elementari (2.3) applicati a distanza ravvicinata e agenti
secondo la stessa direzione (Figura 2.7).
Dal punto di vista cinematico, il vincolo di glifo impedisce alla trave alla quale è applicato
sia la rotazione sia la traslazione nella direzione dei due pendoli: la trave conserva pertanto
un solo grado di libertà, lo spostamento nella direzione perpendicolare a quella dei pendoli,
coerentemente con la definizione di vincolo doppio.
Dal punto di vista statico, il vincolo di glifo può esercitare una sola componente di forza
lungo la direzione dello spostamento impedito, ovvero parallelamente alla direzione
comune dei due pendoli, e una coppia contenuta nel piano del vincolo che impedisce la
rotazione.
Nella Figura 2.7 sono evidenziati sia lo spostamento che il vincolo consente (con freccia
piccola) sia la forza e la coppia – reazioni vincolari – che il vincolo esercita (con frecce
grandi e campitura a tratteggio).
Indicando con p la direzione comune dei due pendoli, le prestazioni statiche e cinematiche
del vincolo di glifo si scrivono:
u A
s Bp p p d Ap 0
s V S 0 v A
1 0
(2.11)
0 0
dove la seconda riga della matrice impone direttamente la condizione di uguaglianza a zero
della rotazione del corpo.4
RVx p 0
r
RV V r
T
RVy p 0 p (2.12)
1
M d m
ARv Ap
4
In notazione vettoriale la condizione di vincolo che impone rotazione nulla della trave, attorno al punto
vincolato, è ancora data – in maniera analoga alla (2.2) – dall’annullarsi di un prodotto scalare e,
precisamente, tenendo conto che gli spostamenti sono contenuti nel piano xy, del prodotto scalare tra il
versore dell’asse z e il vettore rotazione:
φ = k×θ = 0
Ovviamente, mentre la (2.2) impone che i due vettori ep ed sB siano perpendicolari, la condizione sulla
rotazione impone direttamente l’annullarsi del vettore rotazione θ (parallelo all’asse z).
40
Statica
Figura 2.7.
Poiché il vincolo di glifo impedisce la rotazione della trave attorno al punto vincolato, in
virtù del postulato delle reazioni vincolari esso deve esercitare su tale punto una coppia
concentrata (indicata con m) che non modifica il risultante del sistema delle reazioni
vincolari e si somma direttamente al momento risultante rispetto al polo A di tale sistema
nella operazione di riduzione contenuta nella (2.12).
2.2.3.4. Incastro
Il vincolo di incastro è un vincolo triplo che si può pensare generato dalla combinazione di
tre vincoli elementari (2.3) applicati come indicato nella Figura 2.8: associando infatti al
doppio pendolo descritto nel paragrafo precedente un pendolo semplice agente secondo
una diversa direzione si elimina la possibilità di traslazione nella direzione ortogonale al
doppio pendolo prima consentita.
Dal punto di vista cinematico, il vincolo di incastro impedisce, dunque, alla trave alla quale
è applicato qualunque possibilità di spostamento, ovvero blocca tutti e tre i gradi di libertà
della trave, coerentemente con la definizione di vincolo triplo.
Dal punto di vista statico, il vincolo di incastro può esercitare due componenti di forza che
impediscono le due componenti di spostamento lungo gli assi coordinati, e una coppia
contenuta nel piano del vincolo che impedisce la rotazione.
Figura 2.8.
41
Statica
Nella Figura 2.8 sono evidenziate le due forze e la coppia – reazioni vincolari – che il
vincolo esercita (con frecce grandi e campitura a tratteggio) – non essendoci spostamenti
consentiti.
Se p e q indicano le direzioni del doppio pendolo e del pendolo semplice, le prestazioni
cinematiche e statiche del vincolo di incastro si scrivono:
s Bp p p d Ap u A 0
s V S 0 s Bq q q d Aq v A 0 (2.13)
0 1
0 0
RVx p q 0 r p
RV V r
T
RVy p q 0 rq (2.14)
M d 1 m
ARv Ap d Aq
Siamo a questo punto in grado di formulare in termini precisi ciò che, nell’ambito della
meccanica strutturale, si intende per problema cinematico e per problema statico.
42
Statica
Il problema cinematico consiste nel ricercare se, nell’intorno della posizione iniziale di
una trave, esistano o meno altre posizioni che si possano ottenere da quella iniziale
mediante spostamenti infinitesimi compatibili con i vincoli applicati alla trave.
La formulazione matematica di questo problema è fornita dalla (2.15) scritta per tutte le
condizioni di vincolo applicate alla trave: essa si traduce in un sistema algebrico lineare di
m equazioni (dove m = Σmi è la somma della molteplicità di tutti i vincoli) nelle 3
incognite componenti dello spostamento generalizzato. La (2.15) viene qui riscritta per
chiarezza:
V S s (2.17)
mettendo in evidenza il vettore dei termini noti che contiene gli spostamenti effettivi dei
punti vincolati. Tali spostamenti sono solitamente nulli e in questo caso i vincoli si dicono
perfetti. Si danno tuttavia dei casi, peraltro di rilevante interesse applicativo, nei quali i
vincoli applicati alla trave non riescono a impedire completamente gli spostamenti che essi
dovrebbero contrastare. I vincoli per i quali la suddetta circostanza si verifica sono
solitamente indicati come vincoli cedevoli e gli spostamenti che violano la condizione di
vincolo prendono il nome di cedimenti vincolari (semplici esempi possono essere quello di
un carrello il cui punto di applicazione si sposti anche perpendicolarmente al proprio piano
di scorrimento, o di un incastro che non impedisca la rotazione).
Le equazioni del sistema (2.17) sono dette equazioni di compatibilità cinematica e la
matrice dei coefficienti del sistema [V] (di ordine m x 3) è detta matrice cinematica. Il
sistema è omogeneo se nessun vincolo è cedevole, non omogeneo in presenza di vincoli
cedevoli.
Il problema statico consiste nel ricercare se, data una trave vincolata al suolo in uno o più
punti e soggetta a un arbitrario sistema di forze attive (o direttamente applicate), esista un
sistema di forze reattive (o reazioni vincolari) tale che la somma dei due sistemi sia
equivalente a zero.
In altri termini si tratta di ricercare se esiste un sistema di reazioni vincolari che garantisca
l’equilibrio della trave.
Limitando il nostro interesse alle sole travi rigide piane, la formulazione matematica del
problema statico è fornita dalle equazioni cardinali della Statica (1.33) e si traduce in un
sistema algebrico lineare, in generale non omogeneo, di 3 equazioni in m incognite, dove
come prima m = Σmi è la somma della molteplicità di tutti i vincoli.
Riducendo al polo cinematico A sia il sistema delle reazioni vincolari sia il sistema delle
forze attive, le equazioni cardinali si prestano a una scrittura compatta che si rivela di
grande utilità nella discussione delle condizioni che assicurano la compatibilità del
problema statico. Ricordando infatti che la riduzione al polo A del sistema delle reazioni
vincolari è fornita dalla (2.16) e indicando con {F} la riduzione allo stesso polo del sistema
delle forze attive, le (1.33) si possono scrivere:
V T r F 0 RV F 0 (2.18)
ed impongono che la forza reattiva generalizzata costituisca un sistema equilibrante della
forza attiva generalizzata (§ 3.3.1) o, ugualmente, che la somma delle forze generalizzate,
attiva e reattiva, sia equivalente a zero.
Le equazioni del sistema (2.18) sono dette equazioni di equilibrio statico e la matrice dei
coefficienti del sistema (di ordine 3 x m) – uguale alla trasposta [V]T della matrice
cinematica [V] – è detta matrice statica. Il sistema è generalmente non omogeneo.
43
Statica
La possibilità di ottenere una soluzione sia per il problema cinematico sia per il problema
statico è essenzialmente legata al numero di vincoli applicati alla trave. Poiché infatti una
trave rigida ha nel piano tre gradi di libertà, se la molteplicità complessiva dei vincoli non
è almeno pari a tre, detti vincoli non sono sufficienti a bloccarne tutti i possibili movimenti
e nessun sistema di reazioni vincolari potrà, in generale, garantirne l’equilibrio.
È dal confronto tra il numero dei gradi di vincolo applicati alla trave e il numero dei gradi
di libertà che questa possiede, come corpo rigido nel piano, che discende la classificazione
delle travi in labili, isostatiche, iperstatiche.
Una trave si definisce labile quando il numero dei gradi di vincolo è inferiore al numero
dei gradi di libertà (GV < GL); isostatica quando il numero dei gradi di vincolo è uguale al
numero dei gradi di libertà (GV = GL); iperstatica quando il numero dei gradi di vincolo è
superiore al numero dei gradi di libertà (GV > GL).
La nomenclatura è imprecisa, in quanto riferita in parte alle caratteristiche cinematiche del
problema strutturale in parte alle caratteristiche statiche; tuttavia essa è, in Italia, la più
diffusa e, anche per ragioni storiche, è quella di seguito adottata.
Nella meccanica strutturale le uniche travi che interessano sono quelli isostatiche e
iperstatiche: le prime sono dotate del numero di vincoli strettamente necessario ad
impedirne qualunque possibilità di spostamento nel piano, le seconde possiedono un certo
numero di vincoli sovrabbondanti, ma è ragionevole attendersi che per entrambe esista un
sistema di reazioni vincolari in grado di equilibrare il sistema delle forze attive agenti su di
esse (problema statico); d’altra parte, è evidente che configurazioni delle travi diverse da
quella iniziale possono sussistere solo in presenza di cedimenti vincolari (problema
cinematico).
Le travi labili hanno invece interesse nella meccanica applicata alle macchine, dove si
usano per modellare organi in movimento, ma nessuna struttura dell’architettura può
evidentemente essere labile.
Le condizioni che assicurano la compatibilità del problema cinematico e del problema
statico, ovvero la possibilità di trovare una soluzione per i sistemi di equazioni in cui questi
si traducono, sono diverse per le travi labili, isostatiche e iperstatiche e vengono di seguito
discusse con riferimento a un semplice esempio.
2.3.1. Cinematica
44
Statica
u D 3 mm, vD 2 mm, s B 1 mm
e avvengano con i versi indicati nel disegno.
Coerentemente con la definizione sopra riportata di problema cinematico, ci chiediamo se
esiste una posizione variata nella quale la trave si porta a seguito di uno spostamento rigido
infinitesimo compatibile con i cedimenti impressi ai vincoli.
Figura 2.9.
5
Ad esempio, sostituendo il valore di vA che si ricava direttamente dalla seconda equazione nella terza e,
quindi, moltiplicando la prima equazione per cosφ e sommandola alla terza in modo da eliminare uA e
risolvere per l’angolo di rotazione θ.
45
Statica
0.1 0.2
0.00067 rad
150
u A 0.3 30 0.00067 0.28 cm
(2.21)
v A 0.20 cm
e la trave si porta nella posizione tratteggiata nella parte destra della Figura 2.10 (dove per
chiarezza grafica spostamenti e rotazione sono amplificati di 50 volte).
Figura 2.10.
Figura 2.11.
46
Statica
Si dice che il carrello in B è un vincolo mal disposto (o degenere). Il corpo è dunque solo
apparentemente isostatico perché la molteplicità complessiva dei vincoli efficaci è inferiore
ai suoi gradi di libertà.
La soluzione del problema cinematico, per i cedimenti ipotizzati, è impossibile, nel senso
che non sono sufficienti soli spostamenti rigidi per portare la trave dalla posizione iniziale
a quella variata e occorre ammettere che la trave stessa si deformi.
Volendo invece rispettare il vincolo di rigidità, la soluzione del problema cinematico può
ancora esistere solo per particolari valori dei cedimenti vincolari. Tale soluzione infatti
presuppone che si annulli anche il numeratore dell’espressione di θ e questo contiene i
valori dei cedimenti vincolari – e, precisamente, il valore di sB.
Per φ = 11.31° il numeratore di θ si annulla quando il cedimento del carrello in B è pari a
sB = -2.549 mm = - 0.2549 cm (e quindi ha verso opposto a quello indicato Figura 2.11).
In questo caso la forma indeterminata che si ottiene per l’angolo di rotazione θ si può
calcolare con il teorema di De L’Hôpital e conduce alla soluzione (rappresentata nella
parte destra della Figura 2.11, con spostamenti e rotazione amplificati sempre di un fattore
50):
0.2 cos 0.3 sen
0.00167 rad
150 cos 30 sen
(2.23)
u A 0.3 30 0.25 cm
v A 0.20 cm
Tuttavia, a partire da tale posizione variata, sono comunque possibili rotazioni infinitesime
attorno a D per la inefficacia del carrello in B. La soluzione dunque esiste ma è
indeterminata.
In presenza di vincoli perfetti, ovvero di cedimenti identicamente nulli, la soluzione del
problema cinematico sarebbe ancora indeterminata essendo comunque possibili rotazioni
infinitesime della trave attorno alla cerniera in D.
In presenza di vincoli mal disposti, dunque, non esiste in generale soluzione del problema
cinematico – il problema è generalmente cinematicamente impossibile – perché non è
generalmente possibile trovare una posizione variata in cui la trave si porta con soli
spostamenti rigidi, a meno di particolari combinazioni di cedimenti vincolari – per le quali
il problema è cinematicamente indeterminato.
È evidente che strutture con vincoli mal disposti sono di fatto equiparabili alle strutture
labili e non possono essere usate nell’architettura.
Escludendo la presenza di vincoli mal disposti, per una trave isostatica il problema della
ricerca di posizioni variate rispetto alla posizione iniziale è cinematicamente determinato.
Consideriamo adesso la stessa trave della Figura 2.9 vincolata però solo con una cerniera
in D (Figura 2.12). La molteplicità complessiva dei vincoli è inferiore ai gradi di libertà
della trave e la trave risulta labile.
Riscrivendo le equazioni di compatibilità cinematica (2.17):
u D 0.3 cm u D u A 30 0.3
(2.24)
vD 0.2 cm vD v A 0.2
è immediato riconoscere che il problema cinematico è indeterminato poiché, mentre risulta
vA = 0.2, il valore di uA è funzione di θ e quest’ultimo può assumere, beninteso nell’ambito
di una cinematica infinitesima, qualunque valore.
47
Statica
Figura 2.12.
Consideriamo infine un ultimo caso, rappresentato nella Figura 2.13, nel quale la trave
della Figura 2.9 è vincolata con due cerniere (vincoli doppi) in D e in B e, pertanto, la
molteplicità complessiva dei vincoli è superiore ai gradi di libertà della trave nel piano. La
trave è, in questo caso, iperstatica.
Supponendo che le due cerniere subiscano i seguenti cedimenti:
u D 3 mm, vD 2 mm, u B 1 mm, vB 2 mm
le equazioni di compatibilità cinematica si scrivono:
u D 0.3 cm u D u A 30 0.3
v D 0.2 cm v D v A 0.2
(2.25)
u B 0.1 cm u B u A 0.1
v B 0.2 cm v B v A 150 0.2
È evidente che il sistema (2.25) non ammette soluzione – il problema cinematico è
impossibile – perché sostituendo i valori di uA e vA, dalla terza e seconda equazione
rispettivamente nella prima e nella quarta, e risolvendo queste ultime per l’angolo θ, si
ottengono due diverse espressioni per lo stesso angolo.
La incompatibilità del problema cinematico è naturalmente da intendere, come già detto a
proposito della trave apparentemente isostatica, con riferimento all’ipotesi di corpo rigido:
la trave in esame non può spostarsi, a partire da quella iniziale, in una nuova posizione con
soli spostamenti rigidi compatibili con i cedimenti imposti. Se però si ammette che la trave
possa deformarsi tale passaggio è comunque possibile.
Inoltre, senza rimuovere l’ipotesi di rigidità, il problema cinematico diventa determinato
anche se si ipotizzano particolari valori dei cedimenti vincolari. Basterebbe, infatti, che il
cedimento della cerniera in B fosse uguale a quello della cerniera D per ottenere θ = 0 sia
dalla prima che dalla quarta equazione.
48
Statica
Figura 2.13.
49
Statica
Per la trave della Figura 2.9 le equazioni di compatibilità cinematica (2.19) scritte in forma
matriciale danno luogo al seguente sistema:
1 0 30 u A 0.3
V S s 0 v 0.2
1 0 A (2.26)
cos sen 150 sen
0.1
Poiché la matrice dei coefficienti del sistema (matrice cinematica [V]) è quadrata6 la
compatibilità del sistema algebrico (2.26) è legata alla condizione che sia diverso da zero il
determinante della matrice stessa: det[V] ≠ 0. Nel caso in esame, tale condizione impone
delle restrizioni ai possibili valori dell’angolo φ:
detV 150 sen 30 cos 0 (2.27)
Per φ = 90° (Figura 2.10) la (2.26) diventa:
1 0 30 u A 0.3
V S s 0 1 0 v A 0.2 (2.28)
0 1 150
0.1
e risulta det[V] = 150 ≠ 0. Il rango della matrice cinematica è dunque massimo (kV = 3) e,
poiché la matrice è quadrata, il rango è uguale al rango della matrice orlata (kO = 3) e
coincide con il numero di incognite del problema (n = 3). La soluzione del sistema è unica
e si ottiene invertendo la matrice cinematica:7
u A 1 0.2 0.2 0.3 0.28
S V s 0 0.2 0.20
1
v A 0 1 (2.29)
0 0.0067 0.0067 0.1 0.00067
La soluzione ovviamente è la stessa già ricavata per sostituzione.
Quando risulta det[V] = 0 il rango della matrice cinematica si abbassa e può differire,
anche se non necessariamente, dal rango della matrice orlata: nel primo caso il problema
cinematico risulta impossibile, nel secondo caso indeterminato. È ciò che si verifica nel
caso in esame per φ = 11.31° e per due diversi vettori dei termini noti.
Quando infatti il vettore dei termini noti è {s}T = {0.3 0.2 0.1}T risulta:
6
Essendo il corpo isostatico il numero n delle incognite (componenti dello spostamento generalizzato) è
uguale alla molteplicità complessiva di vincolo ovvero al numero m di equazioni di compatibilità cinematica
che si possono scrivere per un corpo rigido nel piano.
7
Premoltiplicando tutti i termini della (2.17) per [V]-1 si può infatti scrivere:
[V]-1·[V]·{S}=[V]-1·{s}
e, tenendo presente che il prodotto di una matrice per la sua inversa è uguale alla matrice identità [I], si ha:
[I]·{S}=[V]-1·{s} → {S}=[V]-1·{s}
50
Statica
1 0 30 u A 0.3
V S s 0 1 0 v A 0.2 (2.30)
0.980 0.196 29.42 0.1
e si verifica facilmente che il rango della matrice cinematica (kV = 2) differisce dal rango
della matrice orlata (kO = 3) e il problema è impossibile.
Se il vettore dei termini noti è invece {s}T = {0.3 0.2 -0.2459}T il rango della matrice
cinematica e della matrice orlata coincidono e risultano minori del numero di incognite del
problema (kV = kO = k = 2 < n = 3) per cui il problema risulta una volta (n – k = 3 – 2)
indeterminato.
Vale la pena osservare che il determinante di una matrice si annulla quando, ad esempio,
una riga della matrice è combinazione lineare delle altre, cioè si può ottenere sommando le
altre righe eventualmente moltiplicate per un fattore diverso per ciascuna riga. Poiché le
righe della matrice cinematica esprimono le condizioni di vincolo elementare imposte alla
trave, la presenza di righe proporzionali alle altre corrisponde fisicamente alla presenza di
vincoli ripetuti, ovvero vincoli che, sebbene apparentemente applicati in punti diversi o
relativi a diverse limitazioni di spostamento, sono di fatto equivalenti.
In altri termini, la condizione matematica det[V] = 0, dalla quale deriva l’incompatibilità
del problema cinematico, corrisponde fisicamente alla presenza di vincoli mal disposti.
Per la trave della Figura 2.12 le equazioni di compatibilità cinematica (2.24) scritte in
forma matriciale danno luogo al seguente sistema:
u A
1 0 30 0.3
V S s v A (2.31)
0 1 0 0.2
Nel sistema (2.31) il rango della matrice cinematica e della matrice orlata coincidono e
risultano minori del numero di incognite del problema (kV = kO = k = 2 < n = 3). Il
problema è una volta (m – k = 3 - 2) indeterminato.
Tale indeterminazione si riconosce anche con una semplice trasformazione del sistema.8
Supponendo che una delle tre componenti dello spostamento generalizzato sia in realtà
nota e, per fissare le idee, sia tale componente l’angolo di rotazione θ, il sistema (2.31) si
può scrivere nella forma equivalente:
1 0 u A 0.3 30
0 1 v 0.2 0 (2.32)
A
riducendo il numero di incognite e riconducendosi di fatto a un sistema con matrice dei
coefficienti a determinante diverso da zero e perciò compatibile. La soluzione è unica a
meno del parametro θ che compare ora tra i termini noti e dal quale dipende
l’indeterminazione della soluzione.
Infine, per la trave della Figura 2.13 le equazioni di compatibilità cinematica (2.25) scritte
in forma matriciale diventano:
8
Nell’algebra delle matrici si dice che si partizionano le matrici e i vettori del sistema di equazioni.
51
Statica
1 0 30 0.3
0 u A
1 0 0.2
V S s v A (2.33)
1 0 0 0.1
0 1 150 0.2
Nel sistema (2.33) il rango della matrice cinematica (kV = 3) è diverso dal rango della
matrice orlata (kO = 4) e pertanto il problema cinematico è impossibile. Ma se il vettore dei
termini noti, anziché quello della (2.33), fosse {s}T = {0.3 02 0.3 0.2}T il rango della
matrice orlata, come è facile controllare, si ridurrebbe (kO = 3) e, poiché n = 3, il problema
diventerebbe determinato.
Un diverso modo di vedere il problema consiste nel trasformare il sistema in maniera
analoga a quanto fatto per la trave labile, separando in questo caso le equazioni di
compatibilità cinematica in due gruppi:9
1 0 30 u A 0.3
0 1
0 v A 0.2
1 0 0 0.1 V1 S s1
u A V2 S s2 (2.34)
2.3.2. Statica
9
Vedi nota precedente.
52
Statica
Nella Figura 2.14 è rappresentato anche il diagramma di corpo libero. La trave è isolata
dal contesto, in questo caso i vincoli di estremità, e questi sono sostituiti dalle componenti
di forza che ciascuno di essi è in gradi di esplicare: una componente di forza per il carrello,
diretta perpendicolarmente al piano di scorrimento, e due componenti di forza per la
cerniera che, per semplicità, si assumono dirette come gli assi x e y del sistema di
riferimento adottato (ricordiamo che ciò equivale a considerare la cerniera costituita da due
pendoli paralleli agli assi cartesiani).
Figura 2.14.
Le equazioni di equilibrio (1.33), assumendo come polo dei momenti lo spigolo A della
trave, si scrivono:
R x X D 10 0
R y YD YB 15 0 (2.36)
M AR X D 30 YB 150 10 30 15 30 0
e consentono di ottenere facilmente, per sostituzione, i seguenti valori per le componenti
incognite delle reazioni vincolari: XD = 10 kN, YD = 12 kN, YB = 3 kN.
Osserviamo che la scelta dello spigolo A come polo dei momenti non è la più conveniente,
poiché comporta la presenza nell’equazione di equilibrio alla rotazione di due reazioni
vincolari incognite (XD e YB) – laddove, scegliendo il polo D ne sarebbe comparsa una sola,
la YB. Tuttavia tale scelta è indispensabile per mettere in evidenza la dualità cinematica-
statica nella formulazione matriciale presentata di seguito (§ 5.3.2.2.).10
In ogni caso, per il semplice esempio considerato la soluzione del problema statico esiste e
le equazioni cardinali della statica sono sufficienti a determinarla.
In presenza di vincoli mal disposti – situazione che nel caso in esame si verifica, come già
visto, quando il piano di scorrimento del carrello risulta perpendicolare all’allineamento
10
Vale la pena rimarcare esplicitamente la seguente circostanza. Per quanto apparentemente semplice, il
sistema delle forze attive considerato nell’esempio si può di fatto ritenere rappresentativo del più generale
sistema di forze che potrebbe essere applicato alla trave. Qualunque sistema di forze si potrebbe infatti,
comunque, ridurre al polo A e sarebbe equivalente a una sola forza e una sola coppia, esattamente come il
sistema qui considerato.
53
Statica
Figura 2.15.
11
In effetti, la impossibilità di ottenere una soluzione per il problema statico si riconosce assai più facilmente
proprio imponendo l’equilibrio alla rotazione non rispetto al polo A (come si è fatto unicamente per
evidenziare la dualità che caratterizza i problemi cinematico e statico) ma rispetto al polo D. In questo caso,
la somma dei momenti delle forze reattive è identicamente nulla, essendo nulli i bracci delle suddette forze
rispetto al polo D nel quale concorrono, mentre non è nullo il momento delle forze attive pari a: -15·30 = -
450 kNm.
54
Statica
Pertanto, in presenza di vincoli mal disposti, la soluzione del problema statico per le travi
isostatiche è generalmente staticamente impossibile, perché i vincoli non impediscono tutti
i movimenti che le travi possono esibire nel piano, a meno di particolari distribuzioni di
forze attive che non chiamano in causa i vincoli inefficaci – e per le quali il problema è
staticamente indeterminato.
Escludendo la presenza di vincoli mal disposti, per una trave isostatica il problema della
ricerca delle reazioni vincolari è staticamente determinato.
Se la stessa trave della Figura 2.14 è vincolata solo con una cerniera in D (Figura 2.16), la
molteplicità complessiva dei vincoli è inferiore ai gradi di libertà del corpo e la trave è
labile.
Figura 2.16.
12
Scegliendo come polo dei momenti D anziché A, non si annulla il momento delle forze attive rispetto a D.
55
Statica
Tuttavia, come già detto a proposito delle travi apparentemente isostatiche, non è da
escludere che anche una trave labile possa risultare equilibrata per particolari distribuzioni
di forze attive. Come prima, se si ipotizza F = -10·i le equazioni di equilibrio diventano:
R x X D 10 0
R y YD 0 (2.41)
M AR X D 30 10 30 0
e ammettono la soluzione: XD = 10 kN, YD = 0 kN.
Si può pertanto concludere dicendo che, per una trave labile il problema della ricerca delle
reazioni vincolari è generalmente staticamente impossibile, a meno di particolari
distribuzioni di forze attive per le quali può diventare staticamente determinato.
Rimane da considerare come ultimo caso quello della trave iperstatica, rappresentato nella
Figura 2.17, nella quale la trave è vincolata con due cerniere (vincoli doppi) in D e in B.
Figura 2.17.
Le equazioni di equilibrio (1.33), sempre assumendo come polo dei momenti lo spigolo A,
si scrivono:
Rx X D X B 10 0
R y YD YB 15 0 (2.42)
M AR X D 30 YB 150 10 30 15 30 0
È evidente che, per una trave iperstatica, il numero delle incognite è superiore al numero
delle equazioni e, quindi, a meno di casi particolari che non è interessante cercare di
riconoscere preventivamente, le sole equazioni cardinali non sono sufficienti a risolvere il
problema statico.
È altresì evidente che, assegnando un valore arbitrario a una delle reazioni vincolari, ad
esempio alla XB, rimangono – nel caso in esame – tre sole reazioni vincolari incognite che
si possono determinare come già fatto per la trave isostatica alla quale, di fatto, ci si
56
Statica
Per la trave della Figura 2.14 le equazioni di equilibrio (2.36) scritte in forma matriciale
danno luogo al seguente sistema:
1 0 0 X D 10 0
V r F 0 0 1 1 YD 15 0
T
(2.43)
30 0 150
YB 150 0
Osserviamo che la coincidenza tra la matrice statica [V]T del sistema (2.43) e la trasposta
della matrice cinematica [V] del sistema (2.26) – proprietà di dualità – dipende non solo
dall’aver scelto come polo dei momenti per le equazioni di equilibrio il polo cinematico ma
anche dall’aver scritto le equazioni di equilibrio nello stesso ordine con cui sono elencate
le componenti dello spostamento generalizzato {S} – e, quindi, prima l’equilibrio alla
traslazione secondo x e y rispettivamente e, poi l’equilibrio alla rotazione attorno ad A – e
dall’aver elencato le componenti del vettore delle reazioni vincolari effettive {r} con lo
stesso ordine nel quale sono scritte le equazioni di compatibilità cinematica – e, quindi,
prima le due componenti, rispettivamente orizzontale e verticale della reazione della
cerniera in D e poi l’unica componente della reazione del carrello in B.
Poiché il determinante della matrice dei coefficienti del sistema (matrice statica [V]T) è
diverso da zero (det[V]T = 150 ≠ 0), il rango della matrice statica è massimo (kVT = 3) ed
essendo la matrice quadrata,13 il rango è uguale al rango della matrice orlata (kO = 3) e
coincide con il numero di incognite del problema (m = 3). La soluzione del sistema è unica
e si ottiene invertendo la matrice statica:14
13
Essendo il corpo isostatico il numero m delle incognite (molteplicità complessiva di vincolo) è uguale al
numero dei gradi di libertà del corpo stesso ed è pertanto uguale al numero di equazioni di equilibrio n che si
possono scrivere per un corpo rigido nel piano.
14
Vedi nota 7. Si osservi inoltre come risulti: ([V]T)-1 = ([V]-1)T.
57
Statica
X D 1 0 0 10 10
r V F YD 0.2 1 0.0067 15 12
T 1
(2.44)
Y 0.2 0 0.0067
B 150 3
Quando risulta det[V]T = 0 il rango della matrice statica si abbassa e può differire, anche se
non necessariamente, dal rango della matrice orlata: nel primo caso il problema statico
risulta impossibile, nel secondo caso indeterminato.15
Le due situazioni si verificano, nel caso in esame, per φ = 11.31° e per due diversi vettori
dei termini noti.
Quando il vettore dei termini noti è {F}T = {-10 -15 -150}T, le equazioni di equilibrio
sono le (2.37) che, scritte in forma matriciale, danno luogo al sistema:
1 0 0.980 X D 10 0
V r F 0 0 1 0.196 YD 15 0
T
(2.45)
30 0 29.42
RB 150 0
e si verifica che il rango della matrice statica (kV = 2) differisce dal rango della matrice
orlata (kO = 3) e il problema è impossibile.
Se il vettore dei termini noti è invece {F}T = {-10 0 300}T il rango della matrice
cinematica e della matrice orlata coincidono e risultano minori del numero di incognite del
problema (kV = kO = k = 2 < m = 3) per cui il problema risulta una volta (m – k = 3 – 2)
indeterminato.
Per la trave della Figura 2.16 le equazioni di equilibrio (2.40) scritte in forma matriciale
danno luogo al seguente sistema:
1 0 10 0
X D
V r F 0
T
0 1 15 0 (2.46)
30 0 D
Y
150 0
Nel sistema (2.46) il rango della matrice statica (kVT = 2) è diverso dal rango della matrice
orlata (kO = 3) e pertanto il problema statico è impossibile. Ma se il vettore dei termini
noti, anziché quello della (2.46), fosse {s}T = {-10 0 300}T il rango della matrice orlata,
come è facile controllare, si ridurrebbe (kO = 2) e, poiché m = 2, il problema diventerebbe
determinato.
Un diverso modo di vedere il problema consiste nel trasformare il sistema in maniera
analoga a quanto fatto per il problema cinematico e per la trave iperstatica, separando
(partizionando) le equazioni di equilibrio in due gruppi:
15
Quando risulta det[V]T = 0 la matrice statica non ammette matrice inversa e la (2.44) cade in difetto. La
condizione matematica det[V]T = 0 corrisponde fisicamente, come abbiamo ampiamente discusso a proposito
del problema cinematico, alla presenza di vincoli mal disposti o degeneri.
Nel caso in esame questo si verifica, come già visto, quando il piano di scorrimento del carrello risulta
perpendicolare all’allineamento carrello-cerniera ovvero alla diagonale BD della trave (Figura 2.15).
58
Statica
1 0 X D 10 0
0 1 Y 15 0
D V1 T r F1 0
(2.47)
X D
30 0 150 0 V2 T r F2 0
YD
Il primo gruppo di due equazioni costituisce un sistema dello stesso tipo del sistema (2.43)
e, come questo, ammette soluzione se det[V1]≠0. Tale condizione è, in questo caso,
verificata (poiché la matrice [V1]T coincide con la matrice identità [I]) e la soluzione si
ottiene invertendo la matrice dei coefficienti [V1]. Poiché [I]-1 = [I] è immediato verificare
che le due equazioni ammettono la soluzione: XD = 10 kN, YD = 15 kN.
Ma questa soluzione è ammissibile solo se soddisfa anche la terza equazione che è stata
scritta separatamente dalle altre, cosa che nell’esempio considerato evidentemente non si
verifica. Il sistema è pertanto incompatibile.
Tuttavia, per una diversa condizione di carico, ad esempio quella che conduce al sistema
(2.41), si otterrebbe:
1 0 X D 10 0
0 1 Y 0 0
D V1 T r F1 0
(2.48)
X D
0 0 0 0 V2 T r F2 0
YD
Il primo gruppo di equazioni ammette ora la soluzione: XD = 10 kN, YD = 0 kN e questa
soluzione soddisfa identicamente anche la terza equazione. Il sistema diventa compatibile.
Per la trave della Figura 2.17, infine, le equazioni di equilibrio (2.42) scritte in forma
matriciale danno luogo al seguente sistema:
X
1 0 1 0 D 10 0
Y
V T r F 0 0 1 0 1 D 15 0 (2.49)
X
30 0 0 150 B 150 0
YB
Nel sistema (2.49) il rango della matrice statica e della matrice orlata coincidono e
risultano minori del numero di incognite del problema (kVT = kO = k = 3 < m = 4). Il
problema è una volta (m – k = 4 - 3) indeterminato.
Per ricondurre il sistema alla stessa forma del sistema (2.43) – per il quale è nota la
condizione che ne assicura la compatibilità – supponiamo che una delle reazioni vincolari
incognite sia in realtà una forza direttamente applicata. Se, per fissare le idee, tale reazione
è la XB, il sistema (2.49) si può scrivere nella forma equivalente:
1 0 0 X D X B 10 0
0
1 1 YD 15 0 (2.50)
30 0 150
YB 150 0
59
Statica
che coincide, a meno del termine noto, proprio con la (2.43) ed è pertanto compatibile. La
soluzione è unica a meno del parametro XB che compare ora tra i termini noti e dal quale
dipende l’indeterminazione della soluzione.
Staticamente
Cinematicamente
impossibile
Labile indeterminato
(a meno di {F}
(∞n - k soluzioni)
particolari)
Cinematicamente Staticamente
Isostatica determinato 1 determinato 1
(soluzione unica) (soluzione unica)
Cinematicamente
Staticamente
impossibile 2
Iperstatica indeterminato 2
(a meno di {s}
(∞m - k soluzioni)
particolari)
1
se il rango di [V] (e quindi anche di [V]T ) è massimo, ovvero det [V] ≠ 0, det [V]T ≠ 0
2
nell’ambito della meccanica dei corpi rigidi
k = rango della matrice dei coefficienti
n = numero di incognite nel problema cinematico e di equazioni nel problema statico
m = numero di equazioni nel problema cinematico e di incognite nel problema statico
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