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"La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si
vedono" (Ebrei 11:1).
Noi possiamo sperare in qualcosa, ma non possiamo essere sicuri che la nostra speranza si
realizzerà. La cosa cambia se noi abbiamo fede, della fede di cui parla l'autore dell'Epistola agli
Ebrei; in questo caso la nostra speranza diventa certezza, diventa sicura la sua realizzazione.
Noi non speriamo che il Signore Gesù ritorni, siamo certi che ritornerà; non speriamo nella
risurrezione, siamo certi che risorgeremo, non speriamo che la fede in Cristo ci possa salvare,
ne siamo certi. Potremmo continuare così per tutti i principi della nostra fede.
Ci sono delle cose che non vediamo e delle quali non percepiamo l'esistenza con i nostri sensi.
Razionalmente non possiamo considerare queste impercettibili cose come delle realtà, ma la
fede ci dimostra che tali sono.
Dimostrare vuol dire, secondo il dizionario: "Far conoscere in modo chiaro e inequivocabile".
E' la fede che ci fa conoscere in modo chiaro e inequivocabile che Dio (Padre, Figlio e Spirito
Santo), che non vediamo, esiste.
Citiamo come esempio i punti della confessione di fede riportati nel precedente studio
sull'uomo:
Crediamo che l'uomo è stato creato ad immagine di Dio e da lui dotato di personalità
e libertà nella sua unità di corpo, anima .....
Non abbiamo delle prove visibili, scientificamente provabili che siamo stati creati da Dio, ma
chiunque ha la fede sa di essere una sua creatura, ha la dimostrazione di una realtà che non
vede.
Crediamo che la salvezza è per grazia, mediante la fede, offerta accessibile a tutti gli
uomini .....
La speranza di una salvezza per grazia accessibile a tutti gli uomini diventa una certezza per
ogni credente.
Aver fede in Dio non vuol dire solo credere nella sua esistenza.
Giacomo, trattando l'argomento della fede e delle opere (ne parleremo in seguito) nella sua
lettera dice: "Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano"
(2:19).
La fede di cui si parla nella Bibbia è, qualcosa di diverso e di più elevato della semplice
consapevolezza dell'esistenza di Dio.
Innanzi tutto la fede non è un qualcosa che possiamo decidere di avere o non avere, nè
possiamo darla in qualche modo ad altri.
La fede non proviene dall'uomo, ma è un dono di Dio (Efesini 2:8) ed Egli ne assegna a
ciascuno in varia misura (Romani 12:3). In 1 Corinzi 12:9 è nominata tra i doni dello Spirito
Santo.
Non è la nostra razionalità, la nostra saggezza o la nostra intelligenza che possono portaci alla
fede. Preziosa, agli occhi di Dio è la fede dei fanciulli (Matteo 18:6).
Già nell'Antico Testamento la fede è presentata come un'assoluta fiducia in Dio (Genesi 15:6) e
l'azione dell'aver fede viene descritta con il termine "confidare" molto usato soprattutto nei
Salmi: "Beati tutti quelli che confidano in lui!" (Salmo 2:9); "Nel giorno della paura io confido
in te. In Dio, di cui lodo la parola, in Dio confido e non temerò" (Salmo 56:3-4).
Confidare in Dio è un termine forse un po' vago e generico: proviamo ad entrare un po' più nel
particolare.
Io sono certo che ogni istante della mia vita è sotto l'occhio vigile di Dio, che perfino i capelli
del mio capo sono tutti contati (Matteo 10:30), che tutte le cose cooperano al mio bene
(Romani 8:28), che non sarò tentato oltre le mie forze e il Signore mi darà la via per uscirne (1
Corinzi 10:13), che Egli ascolta le mie preghiere (Proverbi 15:29).
Si potrebbe andare avanti all'infinito: solo per fede posso mettere serenamente la mia vita
nelle sue mani.
Egli è infinitamente potente e forte da poter fare qualsiasi miracolo, da poter guarire qualsiasi
ammalato.
E' questa fede che ha spinto il centurione a chiedere l'intervento di Gesù per guarire il suo
servitore (Matteo 8:5-13) o la donna dal flusso di sangue a toccargli la veste (Matteo 9:22).
Come Figlio di Dio (Matteo 3:17), come il Messia, il Cristo, l'unto del Signore annunciato dai
profeti (Giovanni 1:41, Atti 2:36, 3:22-26), come Dio stesso (Giov. 8:24).
Per fede so che il suo sangue mi purifica da ogni peccato (1 Giov. 1:7), che la sua morte mi ha
riscattato (redento) dalla condanna (Romani 3:23-24) e confido in Lui per la mia salvezza
(Giov. 3:14-15).
Per fede so che Gesù sarà con me tutti i giorni della mia vita (Matteo 28:20), che ritornerà
(Giovanni 14:2-4), che resusciterò e che sarò sempre con Lui per l'eternità (1 Tess. 4:16-17).
La fede non è fine a sè stessa, ma ha degli effetti nella vita di colui che crede.
Fede e conversione.
La fede in Cristo comporta la rinuncia ad un comportamento simile a quello di chi non crede. E'
necessario un taglio netto con la vita condotta precedentemente, per dare inizio ad una nuova
vita in una nuova direzione. Bisogna spogliarsi del vecchio uomo per rivestire l'uomo nuovo
creato ad immagine di Dio (Efesini 4:17-24).
Fede e ubbidienza.
Confidare in Dio significa anche fidarsi del fatto che i precetti contenuti nella sua Parola sono
giusti e, di conseguenza, ubbidirvi fedelmente.
E' naturale essere coerenti con quanto si crede. Aver fede vuol dire anche ubbidire ad essa
(Atti 6:7, Romani 1:5).
Fede e confessione.
Nel momento in cui si crede in qualcosa di importante, che coinvolge tutta la nostra vita, è
naturale dirlo agli altri; è naturale dire in chi si ripone la propria fiducia, in chi si confida.
La Scrittura esorta a confessare la propria fede (Romani 10:9-10, Ebrei 13:15, Filippesi 2:11
ecc.).
Degne di essere ricordate sono le confessioni di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"
(Matteo 16:16) e di Giovanni Battista: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!"
(Giovanni 1:29).
Fede e battesimo.
Il battesimo non può non seguire quasi automaticamente la fede. Esso è, allo stesso tempo, sia
una confessione di fede che un atto di ubbidienza.
Il Nuovo Testamento non prende neppure in considerazione l'eventualità che un credente non
venga battezzato.
Nel discorso della Pentecoste Pietro parla di ravvedimento, di battesimo, di perdono dei
peccati, del dono dello Spirito Santo come di fatti tutti naturalmente legati l'uno all'altro (Atti
2:38, 41).
Chi confida in Cristo non può non essere battezzato, perchè il battesimo è in Cristo (Romani
6:3, Galati 3:27).
Fede e chiesa.
Abbiamo visto prima che il battesimo è anche il simbolo dell'unione della chiesa, infatti anche
l'appartenenza alla chiesa, così come il battesimo, è una conseguenza naturale della fede (Atti
2:41-47, 5:14).
Fatti salvi casi del tutto eccezionali e di forza maggiore, credo che la fede, così come non può
essere muta, non possa neppure essere solitaria.
Diventa difficile immaginare la fede disgiunta dal desiderio della comunione fraterna e dalla
comunione con il corpo ed il sangue di Cristo durante la S. Cena.
Fede e predicazione.
Colui che crede non è chiamato solo a confessare la propria fede, ma anche a predicarla, a
divulgarla per far sì che altri credano e siano salvati.
Gesù stesso invita alla predicazione (Luca 9:60, Matteo 10:7, Matteo 28:19).
Fede e amore.
La fede non può non essere unita strettamente all'amore. Pensare alla fede priva dell'amore (di
quell'amore simile all'amore di Cristo: "agape") vuol dire pensare a qualcosa privo di
significato. Ragionando per assurdo, se potesse esistere una fede senza l'amore, ebbene,
quella fede non varrebbe nulla (1 Corinzi 13:1-3).
LA FEDE E LE OPERE
Prima di affrontare questo argomento è necessario comprendere cosa si intende con il termine
giustificazione.
La giustificazione è l'atto mediante il quale Dio dichiara che il peccatore credente è diventato
giusto davanti a lui, poichè Cristo ha portato il suo peccato sulla croce ed è morto al suo posto.
Portando alle estreme conseguenze l'idea che la fede è sufficiente alla propria giustificazione e
che le opere non hanno alcun peso si potrebbe dire: "Posso peccare quanto voglio e godermi
tutti i piaceri del mondo, tanto questo non conta nulla, io credo e quindi automaticamente sono
salvato"
D'altro canto il giudeo convertito al cristianesimo può dire: "Per essere graditi a Dio è
necessario anche osservare la Legge e tutte le sue regole, dalla circoncisione al rispetto del
sabato e così via; io sono bravo e lo faccio, lui è cattivo e non lo fa"
Ancora oggi il cattolicesimo insegna l'importanza delle buone opere per la giustificazione. La
croce di Cristo non è più sufficiente per pagare tutto il nostro debito; l'uomo deve pagarne
almeno una parte mediante le proprie opere meritorie, i pellegrinaggi, i riti della Chiesa e le
proprie sofferenze in purgatorio.
Con le indulgenze la Chiesa Cattolica ha poi scoperto che una parte poteva essere pagata
direttamente in contanti.
Per affrontare questo argomento alla luce della Parola di Dio vale più che mai il saggio principio
di leggere i versetti tenendo ben presente il contesto nel quale sono collocati.
Quando Paolo scrive alla chiesa di Roma, scrive a una comunità formata da giudei e da gentili e
deve contrastare la tesi che le opere della legge sono necessarie per la salvezza. Scrive quindi:
"riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge" (Romani
3:28) escludendo qualsiasi possibilità di vantarsi di sè stessi (v. 27: "Dov'è dunque il vanto?
Esso è escluso").
Questo non vuole certo dire che possiamo vivere una vita dissoluta, perchè tanto siamo
giustificati per fede; tutt'altro: "Rimarremo forse nel peccato affinchè la grazia abbondi? No di
certo!" (6:1-2). Nella lettera a Tito dice: "Egli ha dato sè stesso per .... purificarsi un popolo
che gli appartenga, zelante in opere buone" (2:14) e "quelli che hanno creduto in Dio abbiano
cura di dedicarsi a opere buone" (3:8).
Parlando di questo argomento con un cattolico, anche noi diremmo più o meno le stesse cose:
"Non è certo con un pellegrinaggio o con le preghiere dette per penitenza o comprando le
indulgenze che verrai visto più giusto da Dio. Tu sei già visto completamente giusto da lui se
credi in Gesù come tuo Salvatore e Signore".
Giacomo si trova a fronteggiare l'estremizzazione opposta: di chi crede di poter fare tutto
quello che vuole, perchè la fede è più che sufficiente.
Notiamo innanzitutto che le opere di cui parla Giacomo non sono le opere della Legge trattate
da Paolo, ma sono le opere frutto dell'amore.
La conclusione del capitolo 2 di Giacono: "Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così
anche la fede senza le opere è morta" (2:26), non suona punto diverso da quello che dice
Paolo: "Se avessi .... tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non
sarei nulla" (1 Corinzi 13:2).
D'altro canto, in questo caso, col termine fede, Giacomo non intende la fede operante di cui
parla Paolo, ma la fede vuota, priva di amore, puramente intellettuale, la semplice credenza
che non si discosta da quella che anche i demoni hanno (2:19).
Se pensiamo di essere giustificati solo grazie a questo tipo di fede, stiamo commettendo un
tragico sbaglio, perchè questa non è la fede che giustifica, non è quella che, nel corso di questo
studio, abbiamo inteso con il termine fede.
Abbiamo visto che la vera fede causa la conversione, l'ubbidienza, la confessione, il battesimo,
la comunione fraterna, la predicazione, l'amore.
Se non provoca questo non è quella fede sufficiente a salvare di cui parla Paolo.
I credenti sono stati innestati in una buona pianta allo scopo di portare buon frutto; se manca
il buon frutto non si può non pensare che l'innesto non c'è stato o non ha attecchito e allora "A
che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede, ma non ha opere?" (2:14).
Tullio Albanesi