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La spada di Damocle: Cicerone e il banchetto col tiranno (Tusc. 5, 61-62)

Ne cum tyranno quisquam epulandi gratia


accumbat mensam aut eandem uescatur dapem
Acc. Atreus 217 s. R3

1. - Damocle, ovvero un ‘famoso’ sconosciuto


Nonostante che “la spada di Damocle” non costituisca un modo di dire riservato ad un’élite
di intellettuali o di classicisti di stretta osservanza per indicare una minaccia incombente ed
insopportabile - anche navigare nella rete telematica ne può oggi agevolmente confermare una
notevole presenza in molte delle lingue moderne più diffuse - il racconto della vicenda che si situa a
monte della famosa, e riassuntiva, espressione proverbiale, appare invece limitato a pochi autori
latini classici e tardo-antichi1 e ad un solo autore greco2: sembra fare eccezione una scarna notizia in
Ateneo 6, 250 a-d, che ascrive al libro XXII delle Storie di Timeo la generica presenza di un
Democle (sic) come kolax alla corte di Dionisio II di Siracusa3.
Il racconto più ampio e articolato lo si deve a Cicerone, che nel V libro delle Tusculanae
disputationes, nell’ambito di una trattazione dall’«ampio sviluppo retorico»4, dedicata a vicende ed
aneddoti relativi al tiranno di Siracusa Dionisio I5, descrive la storia di Damocle con dovizia di
particolari, Tusc. 5, 61-62:

1
Esiste, a mia conoscenza, un solo studio dedicato a questo tema: un vecchio articolo in latino di VAN WAGENINGEN
1905, che tratta piuttosto sommariamente delle fonti.
2
Filone nel De prouidentia 2, 29-30 (= 391d apud Eus. praep. euang. VIII 14, 29), dopo Policrate di Samo, parla di
Dionisio e della «perpetua e continua paura mostrata da Dionisio e attestata dagli storici di Sicilia, che ci narrano che
egli sospettò perfino della sua amata sposa» (2, 26); anche un aneddoto ciceroniano relativo alla moglie del tiranno (2
mogli secondo Cic. Tusc. 5, 59) trova un significativo parallelo in Filone prou. 2, 26, anche se non segnalato nel
commento alle Tusculanae di T.W. DOUGAN-R.M. HENRY, Cambridge 1934, ad loc. L’aneddoto presenta numerose
analogie con la trattazione ciceroniana, ma il personaggio non è esplicitamente nominato, è semplicemente «uno che
asseriva la felicità della vita del tiranno», mentre dal soffitto pende una scure che impedisce al convitato di fruire dei
cibi e al quale in conclusione il tiranno sentenzia: «Ora comprendi che cosa sia realmente questa nostra vita gloriosa?».
3
In Ateneo la notizia è inserita in una serie di aneddoti relativi alle degradanti vicende dei “Dionisiokolakes”: Democle
(sic) è ricordato come ambasciatore, mentre, nonostante si faccia riferimento a Dionisio II, si parla di composizioni
poetiche del sovrano, delle quali si ha notizia per il solo Dionisio I (cfr. Cic. Tusc. 5, 63). Come nota M.R. Cataudella
(«Enc. oraz.» vol. I, 709, Roma 1996) si potrebbe pensare ad un personaggio presente alla corte di entrambi oppure la
natura aneddotica delle notizie ne spiega la scarsa coerenza.
4
Così NARDUCCI 2004, 143.
5
Per una sintetica informazione sulla storia siciliana in Cicerone, cfr. GRIMAL 1980, 63 ss.
2

Quamquam hic quidem tyrannus ipse iudicauit, quam esset beatus. Nam cum quidam ex eius
adsentatoribus, Damocles, commemoraret in sermone copias eius, opes, maiestatem dominatus, rerum
abundantiam, magnificentiam aedium regiarum negaretque umquam beatiorem quemquam fuisse, 'Visne
igitur' inquit, 'o Damocle, quoniam te haec uita delectat, ipse eam degustare et fortunam experiri meam?'
Cum se ille cupere dixisset, conlocari iussit hominem in aureo lecto strato pulcherrimo textili stragulo,
magnificis operibus picto, abacosque compluris ornauit argento auroque caelato. Tum ad mensam eximia
forma pueros delectos iussit consistere eosque nutum illius intuentis diligenter ministrare. Aderant
unguenta, coronae, incendebantur odores, mensae conquisitissimis epulis extruebantur. Fortunatus sibi
Damocles uidebatur. In hoc medio apparatu fulgentem gladium e lacunari saeta equina aptum demitti
iussit, ut impenderet illius beati ceruicibus. Itaque nec pulchros illos ministratores aspiciebat nec plenum
artis argentum nec manum porrigebat in mensam, iam ipsae defluebant coronae; denique exorauit
tyrannum ut abire liceret, quod iam beatus nollet esse. Satisne uidetur declarasse Dionysius nihil esse ei
beatum, cui semper aliqui terror impendeat?

Dopo questa importante testimonianza ciceroniana, che analizzeremo in seguito nei


dettagli, incontriamo chiare, ma molto sintetiche, allusioni alla storia di Damocle in Orazio e
Persio: il fatto che in entrambi gli autori si evochi la vicenda senza citare il nome di Damocle,
ma solo la spada e il lussuoso banchetto dimostra comunque la diffusione di una storia
esemplare.
Orazio ne tratta in un contesto proemiale6, la celeberrima ode Odi profanum vulgus et
arceo, in una tensione concettuale di chiara matrice diatribica7 tra vita semplice e lussi
conviviali siciliani8, genericamente attribuendo al tiranno empio la vicenda del suo adulatore,
in carm. 3, 1, 17 ss. :
Destrictus ensis cui super inpia
ceruice pendet, non Siculae dapes
dulcem elaborabunt saporem,
non auium citharaeque cantus

somnum reducent: somnus agrestium


lenis uirorum non humilis domos
fastidit umbrosamque ripam,
non Zephyris agitata Tempe.
Ancora più sintetica la descrizione di Persio, ma con una serie di elementi che
evocano più chiaramente notazioni presenti nell’ampia trattazione ciceroniana, come il

6
Non casualmente si sono riscontrati rapporti con Lucr. 2, 11 ss.
7
Cfr. il recente commento di R.G.M. NISBET-N. RUDD, Oxford 2004, ad loc.
8
Già Platone resp. 3, 404 d parla di Surakosivan... travpezan; cfr. anche Cic. Tusc. 5, 100.
3

particolare dei cassettoni dorati dei soffitti da cui pende insidiosa la spada, che inquieta il
collo di chi riveste la porpora, in un passo, che rimanda senza dubbio a topica antitirannica9 di
matrice stoico-declamatoria, 3, 39-41:
Anne magis Siculi gemuerunt aera iuvenci,
et magis auratis pendens laquearibus ensis
purpureas subter ceruices terruit.

La storia ritorna in Ammiano Marcellino 29, 2, 4, dove l’apologo viene impiegato in


un generico confronto col timore di ‘convitati’ presso la mensa ricchissima del tiranno di
Sicilia10, passo nel quale emerge la topica antitirannica nella notazione della disumanizzazione
cui sono sottoposti i commensali del tiranno, che non solo paventano le spade sospese ai
cassettoni del soffitto, ma si ingozzano di cibi più amari della fame stessa11; Macrobio somn.
1, 10, 16 si attiene invece allo schema narrativo ciceroniano, pur non citando il nome della
vittima e descrivendo con ricchezza di particolari la spada sospesa e ampliando le
considerazioni di matrice filosofica, messe in bocca al tiranno Dionysius12.
Uno sviluppo argomentativo di notevole ampiezza mostra infine Sidonio Apollinare,
che in una lettera all’amico Serrano del 469 (epist. 2, 13), svolgendo il tema dei rischi cui si
espone chi si trova in una posizione di potere (§ 1 qui rei publicae praecipitibus ac lubricis
culminibus insistunt), tratta con exempla storici (Silla, Augusto, Damocle) il tema, anche

9
Cfr. Pers. 3, 35 ss. Magne pater diuum, saeuos punire tyrannos / haut alia ratione uelis, cum dira libido / mouerit
ingenium feruenti tincta ueneno: / uirtutem uideant intabescantque relicta. Utili riferimenti nel commento di W. Kissel,
Heidelberg 1990, ad loc.
10
Amm. 29, 2, 4 Namque ut pressius loquar, omnes ea tempestate uelut in Cimmeriis tenebris reptabamus,
paria conuiuis Siculi Dionysii pauitantes, qui cum epulis omni tristioribus fame saginarentur, ex summis
domorum laqueariis, in quibus discumbebant, saetis nexos equinis et occipitiis incumbentes gladios
perhorrebant.
11
Sembra implicitamente contrapporsi all’oraziano dulcem… saporem di carm. 3, 1, 19.
12
Cfr. Macr. somn. 1, 10, 16 Nam et Dionysius aulae Siculae inclementissimus incubator familiari quondam suo
solam beatam existimanti uitam tyranni uolens, quam perpetuo metu misera quamque impendentium semper
periculorum plena esset, ostendere, gladium uagina raptum et a capulo de filo tenui pendentem mucrone
demisso iussit familiaris illius capiti inter epulas imminere, cumque ille et Siculas et tyrannicas copias
praesentis mortis periculo grauaretur, “Talis est”, inquit Dionysius, “uita, quam beatam putabas: sic semper
mortem nobis imminentem uidemus; aestima, quando esse felix poterit, qui timere non desinit.”
4

senecano13, dell’infelicità dei potenti e del loro inquietissimus… famulatus (§2), della
schiavitù del potere che conduce all’infelicità. Se anche Sidonio sembra aver tratto qualche
spunto dal passo ciceroniano delle Tusculanae14 (è l’unico altro autore latino dove ricorre il
nome Damocle15), interessante appare il collegamento dell’aneddoto ad una più vasta
problematica de regno, cara anche agli stoici imperiali: Sidonio fa esprimere ad un potente dei
suoi tempi, un Fulgenzio non meglio identificato, un makarismós di sapore senecano16 nei
confronti del nostro Damocle: § 5 Fulgentius […] cum perosus pondus imperii veterem
securitatem desideraret: “Felicem te, Damocles, qui non uno longius prandio regni
necessitatem toleravisti”. Il racconto successivo, intessuto di preziosismi, di allusioni a poeti
e di variazioni sul tema17, si attarda in particolari che spesso sembrano derivare da
fraintendimenti del modello ciceroniano18 oppure, forse con minor probabilità, da una fonte
diversa.

13
Nel segmento di testo sidoniano prima citato c’è una chiarissima eco di un famoso passo corale del Thyesthes
senecano 392 s.: Stet quicumque uolet potens / aulae culmine lubrico. Su questo tema in Seneca, cfr.
DEGL’INNOCENTI PIERINI 1999, 43 ss.
14
Così sostiene per es. VAN WAGENINGEN 1905, 321.
15
Infatti anche in Boeth. cons. 3 pros. 5, 15 leggiamo un generico riferimento: expertus sortis suae periculorum
tyrannus regni metus pendentis supra uerticem gladii terrore simulauit.
16
Mi sembra riecheggiare tematiche del De breuitate uitae, come del resto il precedente esempio relativo ad un
Augusto, che anela all’otium: cfr. per es. 6, 3 Superuacuum est commemorare plures qui, cum aliis felicissimi
uiderentur, ipsi in se uerum testimonium dixerunt perosi omnem actum annorum suorum; sed his querellis nec
alios mutauerunt nec se ipsos; nam cum uerba eruperunt, adfectus ad consuetudinem relabuntur.
17
Mi sembra significativo citare i luoghi dove si descrive il lusso conviviale: § 6 Tunc ille confestim laetum
clientem quamquam et attonitum plebeio tegmine erepto muricis Tyrii (v. Hor. epod. 12, 21) seu Tarentini
conchyliato ditat indutu (v. Hor. epist. 2, 1, 207) et renidentem gemmis margaritisque (cfr. Lucr. 2, 27 nec
domus argento fulget auroque renidet; Hor. carm. 2, 18, 1 s. Non ebur neque aureum / mea renidet in domo
lacunar) aureo lecto sericatoque toreumati imponit. § 7 Cumque pransuro Sardanapallicum in morem (v. Iuv.
10, 362) panis daretur e Leontina segete (v. Cic. Verr. 2, 47) confectus, insuper dapes cultae ferculis cultioribus
apponerentur, spumarent Falerno gemmae capaces (v. Iuv. 6, 303) inque crystallis calerent unguenta
glacialibus, huc suffita cinnamo ac ture cenatio spargeret peregrinos naribus odores et madescentes nardo
capillos circumfusa florum serta siccarent, coepit supra tergum sic recumbentis repente uibrari mucro destrictus
e lacunaribus, qui uidebatur in iugulum purpurati iam iamque ruiturus; nam filo equinae saetae ligatus et ita
pondere minax ut acumine gulam formidolosi Tantaleo frenabat exemplo, ne cibi ingressi per ora per uulnera
exirent.
18
Il particolare ciceroniano delle corone che scivolano via dalla testa di Damocle, del quale discuteremo in
seguito, sembra dar luogo in Sidonio all’immagine, inusitata, ma comprensibile in chi non ha più sensibilità per
l’interpretazione di abitudini conviviali antiche, delle corone “che si seccano” a causa dei capelli impregnati di
5

Osservando quindi la complessiva contestualizzazione dell’exemplum di Damocle si


nota come l’episodio si presti ad essere impiegato per stigmatizzare, in un’ottica di
polarizzazione di matrice retorico-diatribica, la presunta beatitudo di chi si trova in una
posizione privilegiata e la profonda infelicità che caratterizza la figura solitaria del despota,
che vive continuamente in uno stato di timore19, come osserva Porfirione commentando
Orazio (per allegoriam significat neminem libenter posse uiuere, qui metuat…).

2. La vita del tiranno: dalla storia all’exemplum


Cicerone nel presentare la sua storia esemplare di Dionisio il vecchio in Tusc. 5, 57 ss.
ne mette in luce contraddizioni profonde, che sembrano comunque indissolubilmente legate
alla natura stessa del potere assoluto20:
Duodequadraginta annos tyrannus Syracusanorum fuit Dionysius, cum quinque et uiginti natus annos
dominatum occupauisset. Qua pulchritudine urbem, quibus autem opibus praeditam seruitute oppressam
tenuit ciuitatem! Atqui d e h o c h o m i n e a b o n i s a u c t o r i b u s s i c s c r i p t u m a c c e p i m u s , summam
fuisse eius in uictu temperantiam, in rebusque gerundis uirum acrem et industrium, eundem tamen
maleficum natura et iniustum. Ex quo omnibus bene ueritatem intuentibus uideri necesse est miserrimum.
Ea enim ipsa, quae concupierat, ne tum quidem, cum omnia se posse censebat, consequebatur. […] 58 […]
Ita propter iniustam dominatus cupiditatem in carcerem quodam modo ipse se incluserat. […] 63 […]
Quam huic erat miserum carere consuetudine amicorum, societate uictus, sermone omnino familiari,
homini praesertim docto a puero et artibus ingenuis erudito! Musicorum uero perstudioso, poëtam etiam
tragicum (quam bonum, nihil ad rem; in hoc enim genere nescio quo pacto magis quam in aliis suum
cuique pulchrum est. Adhuc neminem cognoui poëtam (et mihi fuit cum Aquinio amicitia), qui sibi non
optumus uideretur. Sic se res habet: te tua, me delectant mea) sed ut ad Dionysium redeamus: omni cultu
et uictu humano carebat; uiuebat cum fugitiuis, cum facinerosis, cum barbaris; neminem, qui aut libertate
dignus esset aut uellet omnino liber esse, sibi amicum arbitrabatur.

Non sappiamo da quali fonti precisamente Cicerone attinga le notizie su Dionisio I ed


in particolare l’aneddoto relativo a Damocle: gli storici greci che trattano della storia siciliana
sono Filisto e Timeo, ben conosciuti e citati da Cicerone, ed entrambi sono stati chiamati in

unguenti: così come grottesco appare il seguito della scena con i suoi risvolti ‘tantalici’, per cui il nostro
formidolosus temerebbe che il cibo entrato per ora potesse uscire per uulnera.
19
Su questo tema, cfr. LANZA 1977, 45 ss.; TABACCO 1985, 33 ss.
20
Cornelio Nepote reg. 2, 3 parla anche di virtù del tiranno, come nota BERVE 1967, 654: Unus item Siculus,
Dionysius prior. Nam et manu fortis et belli peritus fuit et, id quod in tyranno non facile reperitur, minime
libidinosus, non luxuriosus, non auarus, n u l l i u s d e n i q u e r e i c u p i d u s n i s i s i n g u l a r i s p e r p e t u i q u e
i m p e r i i o b e a m q u e r e m c r u d e l i s : nam dum id studuit munire, nullius pepercit uitae, quem eius
insidiatorem putaret. Hic cum uirtute tyrannidem sibi peperisset, magna retinuit felicitate: maior enim annos
sexaginta natus decessit florente regno.
6

causa dagli studiosi21 come possibili fonti delle sue notizie. Il tipo di contestualizzazione
operato da Cicerone in un’opera filosofica sul tema della felicità come le Tusculanae fa però a
mio parere considerare più plausibile la presenza della vicenda di Damocle in una tradizione
filosofico-moralistica che trae esempi da famosi tiranni22, come è stato talvolta supposto23,
anche se il tema non mi pare sia stato sufficientemente approfondito. Come è evidente
dall’ampio contesto, che accompagna l’aneddoto di Damocle e che abbiamo citato nelle parti
che configurano un giudizio sul comportamento tirannico, Cicerone utilizza l’exemplum di
Dionisio per stigmatizzare l’uso distorto del potere e la paura che ne consegue, ma anche la
tematica della solitudine del despota e della sua proverbiale mancanza di amici: le riflessioni
ciceroniane recuperano una tradizione che risale alla tragedia greca24 e che trova nella Politeia
platonica uno sviluppo fondamentale25, nella chiara consapevolezza che il tiranno che ha il

21
VAN WAGENINGEN 1905, 322 ss. pensa che la fonte storica sia Timeo, perché lo storico greco Filisto, sopportando
male l'esilio, divenne adulatore di Dionisio, mentre nelle Tusculanae Dionisio è vituperato; inoltre confronta altri
luoghi, dove Cicerone sembra dipendere da Timeo, in particolare la lode di Siracusa in Tusc. 5, 57 Qua pulchritudine
urbem, quibus autem opibus praeditam seruitute oppressam tenuit ciuitatem! e rep. 3, 43 urbs illa praeclara, quam ait
Timaeus, Graecarum maximam, omnium autem esse pulcherrimam… (sc. Dionysio) tenente ut esset illa res publica;
cfr. anche STROHEKER 1958, 18. GRIMAL 1980, 65 ss. pensa a Filisto sulla base soprattutto di Cic. ad Q. fr. 2, 11, 4
(senza comunque addurre prove significative) Itaque ad Callisthenem et ad Philistum redeo, in quibus te uideo
uolutatum. Callisthenes quidem uulgare et not<h>um negotium, quem ad modum aliquot Graeci locuti sunt. Siculus ille
capitalis creber, acutus, breuis, paene pusillus Thucydides. Sed utros eius habueris libros (duo enim sunt corpora) an
utrosque nescio. Me magis 'De Dionysio' delectat. Ipse est enim ueterator magnus et perfamiliaris Philisto Dionysius. A
Filisto come fonte per le valutazioni positive di Dionisio I in Cicerone e Cornelio Nepote accenna anche SANDERS
1990-1991, 136; vd. anche FLECK 1993, 64-66.
22
Su Cicerone e la letteratura antitirannica, cfr. LANCIOTTI 1977, 133 ss.
23
In particolare sostiene questa tesi ZOEPFFEL 1993 senza citare i saggi di critici precedenti; la studiosa è scettica sulla
possibilità di ricostruire le fonti perdute (contra vd. VATTUONE 2001, 534 s. n. 7), ma argomenta giustamente (47 ss.)
sulla continuità di una topica antitirannica nella scuola stoica e nella scuola di retorica, dove si narrano aneddoti sui
tiranni da Erodoto in poi; sul topos del tiranno schiavo del suo potere, vd. 50 ss. Anche CAVEN 1992, 308 ss. pensa che
molte notizie derivino da materiali elaborati nella scuola filosofica (per esempio sappiamo che un allievo di Aristotele,
Fenia di Ereso, scrisse Tiranni di Sicilia e la Distruzione punitiva dei tiranni): sulla tradizione antitirannica, cfr. anche
BERVE 1967, 654 ss. Aggiungo l’importante testimonianza di Filone (citato supra, n. 2) che tratta l’aneddoto in
relazione al tema della “felicità” del tiranno come Cicerone.
24
Per esempio possiamo confrontare quello che dice Cicerone § 57 Ex quo omnibus bene ueritatem intuentibus uideri
necesse est miserrimum con Eur. fr. 605, 2 N2 “la tirannide.. non troverai niente di più infelice” (vd. LANZA 1977, 48).
25
I punti maggiori di contatto tra la trattazione platonica del libro IX della Repubblica e la descrizione di
Dionisio I in Cicerone si colgono a proposito delle seguenti tematiche: il tiranno si circonda di adulatori “pronti
ad ogni servigio” (575e-576a); il tiranno non ha amici (576a; 580a); l’apparato del lusso tirannico inganna solo
gli uomini semplici come fanciulli (577a); la felicità e l’infelicità del tiranno (576d; 577b); il tiranno, che non ha
7

dominio assoluto sugli altri non domina sè stesso e le sue passioni26 ed il suo irrefrenabile
attivismo (l’industria, che è valore positivo per la tradizione politica romana) è votato al
male27, così come la cultura e l’attività letteraria28 non bastano per umanizzare Dionisio, che
rifugge dal consorzio umano e si accompagna alla feccia della società. Il confronto con
Platone e con la tradizione filosofica parla a favore di un’interpretazione esemplare della
figura tirannica, come monito per la politica contemporanea ed in effetti in un ritratto come
quello di Dionisio I offerto da Cicerone nelle Tusculanae si sono volute scorgere anche tracce
di una polemica di attualità nei confronti di Cesare e del partito cesariano, come è possibile
evincere dalla lettura del coevo epistolario ciceroniano29: il Grimal parla infatti di Dionisio
come della maschera dietro alla quale si intravede Cesare e della storia siciliana come di una
sorta di laboratorio politico per l’attualità romana.

3. Il banchetto col tiranno


L’episodio di Damocle nelle Tusculanae è elaborato da Cicerone con attenzione sia
verso la ricostruzione di un’ampia scenografia del contesto ambientale sia verso i particolari

vita privata, è infelicissimo (578b c; 579d-580a), il tiranno ha paura di tutti, anche dei suoi ‘domestici’ (578e-
579a; 579e); il tiranno vive come in una prigione, dominato da paure e passioni (579b), adulatore e compagno
dei peggiori individui (579d e). Molti punti di contatto significativi sono presenti anche nel dialogo fra Ierone e
Simonide nello Hiero di Senofonte: in particolare sull’infelicità del tiranno, cfr. 2, 3 ss.
26
Su questi temi molto valida è la trattazione di LANZA 1977, 65 ss.: il motivo si legge in Platone rep. 9, 579c d.
27
Il ritratto di Dionisio I può essere definito ‘paradossale’ sul modello di quello di Catilina in Sallustio, secondo
la nota definizione di LA PENNA 1978, 212 ss. (lo denota chiaramente l’eundem tamen ciceroniano, che mette in
luce la compresenza di valori contraddittorii): «Nel tipo catilinario la “paradossalità” non deriva dalla caduta, nel
modello arcaico, della limitazione dei consumi e dei piaceri, ma dalla rottura del legame dell’energia con la
pietas, col rispetto dei valori della famiglia e dello stato». L’empietà di Dionisio è trattata ampiamente da
Cicerone nel De natura deorum e messa in relazione con la sua avidità, anche se Cicerone ne sottolinea anche
qualche qualità: nat. 3, 83-85 (seleziono i passi più significativi) Atque homo acutus cum bene planeque
percepisset, in eadem sententia perseuerabat […] ita ad impietatem in deos in homines adiunxit iniuriam […]
Inuita in hoc loco uersatur oratio, uidetur enim auctoritatem adferre peccandi; recte uideretur, nisi et uirtutis et
uitiorum sine ulla diuina ratione graue ipsius conscientiae pondus esset, qua sublata iacent omnia. Ut enim nec
domus nec res publica ratione quadam et disciplina dissignata uideatur, si in ea nec recte factis praemia extent
ulla nec supplicia peccatis, sic mundi diuina in homines moderatio profecto nulla est, si in ea discrimen nullum
est bonorum et malorum. Sulle fonti per la storia di Dionisio, cfr. SORDI 1992; sulla fortuna della figura del
tiranno a Roma, SANDERS 1990-1991, 135 ss.
28
Sulla produzione letteraria di Dionisio, cfr. NICOSIA 1998 con la bibliografia ivi citata.
29
GRIMAL 1980, 69 ss. porta a confronto [Sall.] rep. 1, 2, 5; Cic. Att. 9, 2b, 2; 7, 5; 10, 7; 18, 2. Sul rapporto fra
le vicende di Dionisio e Cesare, cfr. NARDUCCI 2004, 143.
8

più minuti del banchetto: Cicerone offre una descrizione ricca come quelle presenti nella sua
produzione oratoria30, soprattutto quando inserisce temi simposiali nelle sue invettive contro
gli avversari processuali o i suoi nemici politici.
Il banchetto che Dionisio I fa allestire per sconfessare la smisurata ammirazione
dell’adsentator31 Damocle per la sua condizione fortunata si conforma a tutti gli stereotipi più
tradizionali dei fastosi banchetti presso i re orientali e i sovrani ellenistici32: la spada stessa
pende da un lacunar, da un soffitto a cassettoni che costituisce un tipico elemento di
raffinatezza nelle abitazioni e che ricorre spesso in contesti nei quali si vuole esecrare il lusso
eccessivo33.
In particolare Cicerone si sofferma ad elencare prima i raffinati arredi della sala
citando il letto dorato34 ricoperto da una coperta di splendido tessuto con sontuosi ricami (in
aureo lecto strato pulcherrimo textili stragulo, magnificis operibus picto), e i numerosi

30
In particolare mi sembra significativo il confronto con la ricca scenografia simposiale predisposta da Verre in
Verr. 2, 4, 62 s. Rilevante al contrario la trattazione di Filone prou. 2, 29-30 (vd. supra n. 2), che, pur parlando
della ricchezza dell’apparato del banchetto e delle vivande, non si addentra in particolari descrittivi.
31
Sul valore del termine adsentator, cfr. soprattutto Cic. Lael. 97 Quamquam ista adsentatio, quamuis
perniciosa sit, nocere tamen nemini potest nisi ei, qui eam recipit atque ea delectatur. Ita fit, ut is adsentatoribus
patefaciat aures suas maxime, qui ipse sibi adsentetur et se maxime ipse delectet; Sen. ira 2, 21, 7 Felicitas
iracundiam nutrit, ubi aures superbas adsentatorum turba circumstetit: ‘Tibi enim ille respondeat? Non pro
fastigio te tuo metiris; ipse te proicis’ et alia quibus uix sanae et ab initio bene fundatae mentes restiterunt.
32
Un’ampia disamina di questa tematica offre VÖSSING 2004, in particolare pp. 30 ss. (sul banchetto di Damocle
una breve trattazione a p. 52 s.).
33
I lacunaria o laquearia furono prima adottati negli edifici pubblici e poi nelle case private: Plin. nat. 33, 57
Laquearia, quae nunc et in priuatis domibus auro teguntur, post Carthaginem euersam primo in Capitolio
inaurata sunt censura L. Mummi. Per il collegamento fra lusso eccessivo e ricchi lacunaria basti ricordare Lucr.
2, 27 s. nec citharae reboant laqueata aureataque templa; Hor. carm. 2, 16, 11 s. curas laqueata circum / tecta
uolantis; 18, 2 non ebur neque aureum mea renidet in domo lacunar; Sen. epist. 90, 9 Non enim tecta cenationi
epulum recepturae parabantur, nec in hunc usum pinus aut abies deferebatur longo uehiculorum ordine uicis
intrementibus, ut ex illa lacunaria auro grauia penderent; 42 Non inpendebant caelata laquearia, sed in aperto
iacentis sidera superlabebantur. Su questo tema ed i pericoli provenienti dal soffitto, cfr. DEGL’INNOCENTI
PIERINI 2004, 81 ss.
34
L’aureus lectus implica lusso eccessivo: basti citare Curt. 9, 7, 15 Inuitatis deinde ad epulas legatis gentium
regulisque exornari conuiuium iussit. Centum aurei lecti modicis interuallis positi erant, lectis circumdederat
aulaea purpura auroque fulgentia, quicquid aut apud Persas uetere luxu aut apud Macedonas noua immutatione
corruptum erat, confusis utriusque gentis uitiis, in illo conuiuio ostendens; Sen. ep. 110, 12 Necessaria tibi
ubique occurrent: superuacua et semper et toto animo quaerenda sunt. Non est autem quod te nimis laudes si
contempseris aureos lectos et gemmeam supellectilem; quae est enim uirtus superuacua contemnere? Ud. anche
infra, n. 45.
9

tavolini impreziositi da stoviglie lavorate d’oro e d’argento (abacosque35 compluris ornavit


argento auroque caelato). Tutti elementi dunque che costituiscono per i romani i segni più
evidenti della luxuria orientalizzante: basterà a confermarlo un noto passo di Tito Livio 39, 6,
36
che fa cominciare dopo la fine delle guerre in Asia l’afflusso a Roma di beni di lusso e
l’inizio di una deriva etica, lesiva dei costumi romani tradizionali.
Nella descrizione del ricco banchetto non manca la presenza di giovani eximia forma,
belli come Ganimede, pulchri ministratores pronti ad eseguire ogni richiesta del
commensale37, nonché l’asindetica elencazione delle altre raffinatezze immancabili in ogni
ricco convito, come gli unguenta38, le coronae39, gli odores40, oltre naturalmente alle
ricercatissime vivande presenti sulla mensa: il quadro corrisponde in modo quasi perfetto41 a
quella che rimane una delle più analitiche raffigurazioni letterarie di un banchetto orientale,
visto con gli occhi di un Romano legato al mos maiorum, il banchetto di Cesare e Cleopatra in
Lucano, 10, 104 ss42. Anche in Lucano si mettono in luce gli stessi elementi in una sequenza

35
Abacus nel senso di mensa pretiosa ad cenas lautas adhibita è piuttosto raro; ricorre solo in Cic. Verr. 2, 4,
35 Ab hoc abaci uasa omnia, ut exposita fuerunt, abstulit; 57 Iste cum aliquot abacorum faceret uasa aurea, non
laborauit quid non modo in Sicilia uerum etiam Romae in iudicio audiret; Varro ling. 9, 46 itaque sicut abacum
argento ornari; Liu. 39, 6, 7 (cfr. VÖSSING 2004, 203 n. 2).
36
Liu. 39, 6, 7 Luxuriae enim peregrinae origo ab exercitu Asiatico inuecta in urbem est. Ii primum lectos
aeratos, uestem stragulam pretiosam, plagulas et alia textilia, et quae tum magnificae supellectilis habebantur,
monopodia et abacos Romam aduexerunt. Tunc psaltriae sambucistriaeque et conuiualia alia ludorum
oblectamenta addita epulis; epulae quoque ipsae et cura et sumptu maiore apparari coeptae. Tum coquus,
uilissimum antiquis mancipium et aestimatione et usu, in pretio esse, et quod ministerium fuerat, ars haberi
coepta. Uix tamen illa quae tum conspiciebantur, semina erant futurae luxuriae. Sul passo e su altri relativi al
lusso conviviale, cfr. LANDOLFI 1990, 51 ss.; sulla presenza di questi motivi nel teatro di Plauto, PETRONE 2003.
37
Sui servitori nel banchetto ellenistico, cfr. VÖSSING 2004, 165 ss., in quello imperiale 509 ss.; sui bei servitori,
alla maniera di Ganimede, 168 s. Per ministrator, è interessante Sen. epist. 95, 24 transeo pistorum turbam,
transeo ministratorum per quos signo dato ad inferendam cenam discurritur. Di boni, quantum hominum unus
uenter exercet!
38
Sugli unguenti e i profumi nel banchetto, si veda da ultimo VÖSSING 2004, 116 s. con ampia bibliografia.
39
Degno di nota un passo di Valerio Massimo, che collega Roma a Sparta per la frugalità (cfr. 2, 6, 1 Idem sensit
proxi<ma> maiorum nostrorum grauitati Spartana ciuitas) e fa provenire dall’oriente l’uso delle corone nei
banchetti (cfr. BLECH 1982, 74): 2, 6, 1 primosque Ionas unguenti coronarumque in conuiuio dandarum et
secundae mensae ponendae consuetudinem haud parua luxuriae inritamenta repperisse.
40
Sul tema dell’importazione e l’uso dei profumi a Roma, cfr. ROSATI 1997, 515 ss.
41
Lo nota senza discuterne VÖSSING 2004, 117 n. 5.
42
Per un commento approfondito, cfr. E. BERTI, M. Annaei Lucani Bellum ciuile liber X, Firenze 2000.
10

analoga43, pur se molto più ricca di particolari raffinati ed esotici tipici di un lusso che,
osserva Lucano al v. 110 “non era ancora trasmigrato nei costumi romani” (nondum
translatos Romana in saecula luxus): anche se naturalmente non sappiamo con precisione da
quali fonti storiche dipenda Lucano, è certo che l’ingresso di Cesare ad Alessandria e
l’incontro con Cleopatra nel 47 a. C., due soli anni prima della composizione delle
Tusculanae può aver stimolato anche Cicerone ad una descrizione molto analitica di un
banchetto lontano dal mos Romanus in grado di evocare nei contemporanei l’idea di tirannia
orientale44. Anche perché Svetonio (Iul. 49, 345) ci testimonia severe censure da parte di
Cicerone nei confronti di Cesare già a causa del suo soggiorno presso Nicomede di Bitinia,
tema comunque ancora molto presente anche nei beffardi carmi che accompagnavano i trionfi
cesariani: Cesare viene presentato mentre cede a Nicomede in aureo lecto ueste purpurea,
dove la descrizione del lusso regale orientale corrisponde all’esecrazione di un
comportamento non degno di un romano.

4. Il convitato ‘torturato’
Nella tradizione del banchetto col tiranno la saevitia è ingrediente immancabile fin dal
mitico exemplum di Licaone, che ben conosciamo da Platone (rep. VIII 565 d-e) e poi dalle
Metamorfosi di Ovidio46; anche a Roma non mancano al di fuori dei paradigmi tragici del
banchetto tirannico47 (come nei miti cannibalici di Atreo e di Tereo) elementi di questa
tipologia, che diverrà sempre più frequente dall’età repubblicana a quella imperiale.
Nell’opera di Cicerone si segnala nel Cato maior 42 l’episodio di Lucio Flaminino, exemplum

43
Dopo la descrizione del palazzo ricchissimo d’oro e di gemme (vv. 110-121), ci si sofferma sull’opulenza
delle mense (vv. 122-126), per poi passare ad una minuziosa elencazione dei numerosi servi addetti alla mensa
(vv. 127-135); infine i commensali sono descritti con corone e unguenti: vv. 164 ss. Accipiunt sertas nardo
florente coronas / et numquam fugiente rosa, multumque madenti / infudere comae quod nondum euanuit aura /
cinnamon externa nec perdidit aera terrae, / aduectumque recens uicinae messis amomon.
44
Confronti fra Cesare e re orientali venivano spesso in mente a Cicerone (cfr. ERSKINE 1991, 119 s.) come per
es. nel 49 in Att. 10, 8, 2 Nam caedem uideo si uicerit et impetum in priuatorum pecunias et exsulum reditum et
tabulas nouas et turpissimorum honores et regnum non modo Romano homini sed ne Persae quidem cuiquam
tolerabile.
45
Suet. Iul. 49, 3 Cicero uero non contentus in quibusdam epistulis scripsisse a satellitibus eum in cubiculum
regium eductum in aureo lecto ueste purpurea decubuisse floremque aetatis a Uenere orti in Bithynia
contaminatum …
46
Cfr. MAZZOLI 1989, 335 ss.
47
Su questi temi nella tragedia, cfr. PETRONE 1996, 75 ss.
11

emblematico dell’asservimento di un potente alla libido durante il banchetto nelle parole


severe di Catone il censore48: in Cicerone, come poi nella letteratura d’età imperiale, il
banchetto è il luogo, direi quasi il palcoscenico, privilegiato nel quale mettere spietatamente
in luce le depravazioni dei propri bersagli polemici, i vizi più infamanti49 degli avversari,
come per esempio Verre ed il suo degno compare Apronio nelle Verrine50.
La tortura che il tiranno Dionisio I infligge a Damocle è certo molto più sottile del
proverbiale spargimento di sangue che accompagna la tradizionale figura del tiranno antico: è
il gusto raffinatamente perverso di dimostrare lui stesso che il più beato degli uomini
nell’ottica della massa è in realtà il più infelice51, secondo quella che è anche l’opinione dei
filosofi. Nell’insidiosa e accattivante domanda che il carnefice pone alla sua potenziale
vittima ('Visne igitur' inquit, 'o Damocle, quoniam te haec uita delectat, ipse eam degustare et
fortunam experiri meam?'), c’è una parola chiave della perversione tirannica e delle sue
dinamiche, il verbo degustare, che rimanda al tema proverbiale del tiranno che si nutre del
52
sangue dei suoi sudditi e nello stesso tempo al banchetto che Dionisio si appresta a
predisporre per mettere alla prova il convitato e spingerlo a condividere con l’esperienza
personale i rischi della vita dei potenti. Il convitato diviene così vittima di una tortura della
quale non ci è dato conoscere l’esito, giacché in Cicerone ci si ferma all’implorante richiesta
di Damocle: il tiranno-filosofo Dionisio sembra uscirne vittorioso, perché ha potuto
dimostrare sentenziosamente che nihil esse ei beatum, cui semper aliqui terror impendeat.
Damocle, l’ammiratore gabbato, non gode più né nell’osservare i bei giovani servitori
né le ricche stoviglie, non ha la forza di allungare la mano sulla mensa, ma l’elemento che più
di ogni altro dimostra nel contesto ciceroniano una grande, e direi molto felice, attenzione nei
confronti della psicologia dei due protagonisti della vicenda53 è il particolare delle corone
simposiali che scivolano giù dalla testa del povero Damocle (iam ipsae defluebant coronae),

48
Cato 42 Ille enim, cum esset consul in Gallia, exoratus in conuiuio a scorto est ut securi feriret aliquem eorum qui in
uinculis essent, damnati rei capitalis. L’episodio viene poi rievocato anche da Seneca retore contr. 9, 2; sul motivo del
banchetto sadico, importanti osservazioni in CITRONI MARCHETTI 1991, 91 ss. Sul tema del banchetto come luogo di
crudeltà e depravazione in età imperiale, vd. anche RAMONDETTI 1996 e TORRE 1997.
49
Su questo tema, cfr. in particolare CORBEILL 1997.
50
Basti citare Verr. 2, 3, 23 s.; 64 s.; 160. Sulla presenza di motivi antitirannici nelle Verrine, cfr. VASALY 1993, 120-
124; 213-215.
51
Sul tema della felicità e della fortuna di Dionisio nella tradizione storiografica, cfr. SORDI 1992, 98 ss.
52
Questo già a partire da Platone rep. 8, 565 e: su questo tema, cfr. DEGL’INNOCENTI PIERINI 1990, 275 ss.
53
MADER 2002, 131 parla di «an exquisitely structured psycodrama en miniature».
12

che disvela in un tragico grottesco non solo l’insidia in cui è caduto l’adulatore, ma anche il
raffinato intreccio di tradizioni letterarie, che sottende a questo racconto ciceroniano.
Infatti questa sottolineatura rimanda ad una tradizione letteraria piuttosto ricca e
codificata in ambito greco e latino, che lascia una traccia significativa in un testo
‘specialistico’ come I Deipnosofisti di Ateneo, dove si discute anche (lib. XV 669c-670d)
perché “agli innamorati si disfino le corone” nel banchetto, questione che trova
esemplificazione in un noto epigramma callimacheo (44, 3-4) e soprattutto in una lunga
disquisizione pseudofilosofica (669f-670e) attribuita a Clearco di Soli nel primo libro delle
Questioni d’amore (fr. 24 Wehrli; fr. 38 FHG II, p. 315). Senza ovviamente voler in questa
sede entrare in modo approfondito in merito alla problematica relativa all’eros, preme
comunque sottolineare come dal passo di Clearco si evinca chiaramente che esisteva una
pratica comune, che consisteva in una sorta di interpretatio coronae, cioè una pratica
divinatoria che traeva origine dal fatto che «l’ornamento che deriva da una corona, che non
ha niente di stabile, indica uno stato emotivo incostante, pur nel suo abbellimento» (Ath.
670a, trad. di A. Rimedio), giacché l’amore toglie la disciplina dei costumi, anche il rimanere
privo della corona ne è un segno visibile; questa simbologia appare ben presente nella
tradizione della poesia erotica greca e latina54 per indicare la fine di un amore o almeno il
presentimento di un’infelicità futura percepito in un ambito simposiale. La caduta della
corona o la sua postura instabile appaiono quindi un omen negativo, che può, o potrebbe,
essere esteso ad ogni circostanza simposiale, una scompostezza esteriore che, come leggiamo
in Ateneo, corrisponde ad uno stato di emotività del convitato: un caso molto significativo55 è
costituito da un passo del Thyestes di Seneca, la famosa monodia di Tieste, quando il
convitato percepisce, prima di sapere, che un dolor grande e lacerante invaderà il suo corpo,
lui, prima disteso a godere i piaceri del lussuoso banchetto predisposto dal fratello Atreo (vv.
898-899 Nimis diu conuiua securo iaces / hilarique uultu; 909-910 Resupinus ipse purpurae

54
Oltre a Theocr. 7, 64 (da leggere col commento di GOW, Cambridge 19653 ad loc.), Call. ep. 44, 3-4 (= AP 12, 134) ;
Asklep. 18, 4 G.-P. (= AP 12, 135); Ou. am. 1, 6, 37 s.; 3, 10, 36; fast. 2, 739-740 Ecce nurus regis fusis per colla
coronis / inueniunt posito peruigilare mero. Al di fuori dell’ambito simposiale segnalo Ou. met. 2, 600 ss. laurea
delapsa est audito crimine amantis, / et pariter uultusque deo plectrumque colorque/ excidit (passo addotto da
HANGARD 1971); Claud. rapt. Pros. 3, 125 ss. nullusque dies non triste minatur / augurium, quotiens flauentia serta
comarum / sponte cadunt (di ambito non erotico).
55
Il confronto tra Seneca e Cicerone è proposto in MADER 2002, 129-132, che nella sua analisi non tiene conto di
Ateneo e di HANGARD 1971: il fatto che anch’io, prima di conoscere l’articolo di MADER, fossi indipendentemente
giunta alla stessa conclusione mi conforta nel corroborarla con ulteriori approfondimenti.
13

atque auro incubat, / uino grauatum fulciens laeua caput), si trova poi a dover fare i conti con
un indicibile senso di sgomento: vv. 945-951
Quis (scil. dolor) me prohibet flore decenti
vincire comam, prohibet, prohibet?
Vernae capiti fluxere rosae,
pingui madidus crinis amomo
inter subitos stetit horrores,
imber uultu nolente cadit,
uenit in medias uoces gemitus.
Anche in Seneca per Tieste, come già per Damocle in Cicerone, la corona simposiale segnala
un intimo ed inesprimibile disagio, che solo gli eventi seguenti potranno motivare: il
banchetto col tiranno implica evidentemente la percezione di una sicura rovina per il
convitato56. Un motivo che non è infondato ipotizzare potesse trovare spazio già nell’Atreus di
Accio, dove leggiamo frammenti che alludono alle trame ordite dalla perfidia tirannica, come
il 219 R3 epularum fictor, scelerum fratris delitor o il 217 s. R3 Ne cum tyranno quisquam
epulandi gratia / accumbat mensam aut eandem uescatur dapem57. In un’opera come le
Tuscolane di Cicerone, costellata da numerosissime citazioni teatrali che si irradiano anche
nei contesti limitrofi58, non è azzardato supporre che la scenografia simposiale dell’episodio di
Damocle possa trovare il suo modello di elezione nel mito tragico più emblematico sul tema
del banchetto ‘tirannico’, così frequentato nella letteratura successiva59 per le sue valenze
simboliche.

5. Terror impendet: il ‘modello’ di Tantalo


Come già osservavo prima, la vicenda di Damocle non pare avere un epilogo definito,
ma Cicerone sembra voler lasciare i suoi lettori quasi nella percezione di un supplizio
prolungato nel tempo, senza fine come quelli dei mitici condannati ai supplizi infernali:
Satisne uidetur declarasse Dionysius nihil esse ei beatum, cui semper aliqui terror
impendeat?

56
Nota MADER 2002, 1131 «In Cicero as in Seneca the poignancy of the scene derives from the dissonance between the
outward tokens of luxuria, supposedly conducive to happiness, and the protagonist’s physical reflexes, themselves
symptomatic of his inner misgivings».
57
Per una valida recente ricostruzione del probabile contesto del frammento, cfr. ARICÒ 2005, 28 s. Per il mito di Atreo
in rapporto al Tieste di Vario e alla figura di Antonio, cfr. anche LEIGH 1996.
58
Sulle citazioni teatrali nelle Tuscolane, cfr. ARICÒ 2004, 8 ss.
59
Cfr. PETRONE 1996, 76 ss. sui rischi della mensa regale; 150 ss. sul mito di Tieste come paradigma tirannico.
14

Un’immagine simile leggiamo precedentemente in Tusc. 4, 35:

Quid autem est non miserius solum, sed foedius etiam et deformius quam aegritudine quis adflictus
debilitatus iacens? Cui miseriae proxumus est is qui adpropinquans aliquod malum metuit exanimatusque
pendet animi. Quam uim mali significantes poëtae impendere apud inferos saxum Tantalo faciunt
Ob scelera animique inpotentiam et superbiloquentiam (Inc. inc. fab. 110 R.3)
Ea communis poena stultitiae est. Omnibus enim, quorum mens abhorret a ratione, semper aliqui talis
terror impendet.

Cicerone si sofferma sulla penosa condizione di chi teme l’avvicinarsi di qualche male
ed è sospeso in un’ansia che toglie il respiro e che viene paragonata al supplizio di Tantalo,
qui evocato nella versione60 meno diffusa a Roma, ma ben documentata in Grecia a partire
dalla lirica (Archil. fr. 91, 14 s. W.; Alc. fr. 6, 42 L.-P.; Alcm. fr. 79 P.; Pind. Ol. 1, 55-58;
Eur. Or. 4 ss.61), che vede il dannato minacciato da un grosso masso che incombe su di lui
(mentre la più nota versione, omerica, parla di un tormento costituito da acqua e frutti, che
continuamente sfuggono dalle labbra del dannato, presente anch’essa in una citazione poetica
anonima in Cic. Tusc. 1, 10).
Particolarmente calzante appare il confronto con un passo di Ateneo 7, 281 bc, che
così parafrasa le sue fonti: «I poeti assicurano che anche il vecchio Tantalo era di indole
godereccia (filhvdonon): ad esempio, l’autore del Ritorno degli Atridi (= fr. 4 Bernabé) dice
che Tantalo, venuto a vivere tra gli dèi, ebbe da Zeus il privilegio di chiedere qualunque cosa
desiderasse. Così Tantalo, che era davvero insaziabile nei piaceri dei sensi, a questi soltanto
fece cenno, e chiese una vita simile a quella degli dèi. Zeus si adirò per questi suoi desideri, e
sebbene non potesse fare a meno di esaudire il voto - così aveva promesso - nondimeno,
perché Tantalo non potesse godere nulla di ciò che gli veniva offerto, ma continuasse a vivere
fra i tormenti, gli sospese sopra la testa un masso, ad impedirgli di raggiungere qualsiasi cosa
avesse davanti (trad. di A. Marchiori)».
Come si vede si contaminano le due versioni del mito62, ma è comunque interessante
notare che lo schema narrativo corrisponde, in gran parte, a quello del racconto di Damocle,
anche se Tantalo appare ‘più colpevole’ rispetto al kolax siciliano: entrambi comunque, come
si evince dall’utilizzazione degli exempla nelle Tuscolane sono indicati come personaggi
attenti ad una concezione della vita, che indica nel godimento dei beni materiali il

60
Una disamina delle principali versioni del mito a Roma offre A. MARTINA, voce Tantalo, «Enc. Verg.» Roma 1990,
V, 32-34. Una mera, anche se ampia, raccolta di passi è la dissertazione di HYLÉN 1896.
61
Per un’interessante trattazione del mito di Tantalo in questo passo, vd. anche WILLINK 1983, 25-33.
62
Paus. 10, 31, 12 attesta che la versione ‘contaminata’ era raffigurata in una nota pittura di Polignoto.
15

raggiungimento della felicità, lontani quindi dall’ideale ‘filosofico’63. Infatti Cicerone sostiene
in Tusc. 4, 35 che la pena di Tantalo è la pena degli stolti, che si lasciano trovare impreparati
dai mali e che quindi vivono con un terrore continuo che incombe, come il masso su Tantalo,
un concetto che ricorre anche in fin. 1, 6064: Damocle, l’instancabile adulatore della felicità di
Dionisio, viene invece messo alla prova dal beatissimus tyrannus, che sperimenta su di sé i
tormenti e le ansie del regno.
Credo che non si possa negare l’affinità tra le due vicende, data l’antichità del motivo
che collega comunque a temi simposiali65 la figura di Tantalo, conuiua deorum (Hor. carm. 1,
28, 7), e la sua colpa66, il quale, come poi successivamente Dionisio, era un ricco re orientale
(il nome veniva collegato etimologicamente anche a talavnta67), tanto da divenire paradigma
diatribico di insaziabile auaritia (cfr. per es. Hor. sat. 1, 1, 68 s.; Petron. 82, 5), e quindi agli
occhi dei più, degli stulti, makavrioı per antonomasia (cfr. Eur. Or. 468); tanto più che già la

63
In Lucr. 3, 980-4 Nec miser inpendens magnum timet aëre saxum / Tantalus, ut famast, cassa formidine torpens, / sed
magis in uita diuom metus urget inanis / mortalis casumque timent quem cuique ferat fors, il masso è allegoria della
paura superstiziosa degli dei.
64
Cic. fin. 1, 60 Nec uero quisquam stultus non horum morborum aliquo laborat; nemo igitur stultus non miser.
Accedit etiam mors, quae quasi saxum Tantalo semper impendet; tum superstitio, qua qui est imbutus quietus esse
numquam potest.
65
Cfr. Ou. met. 6, 172 s. mihi Tantalus auctor, / cui licuit soli superorum tangere mensas.
66
Sia che auesse sacrificato il proprio figlio Pelope e lo avesse imbandito agli dei, da buon progenitore di Atreo (cfr.
Eur. Iph. T. 386 ss.; Ath. 8, 338d) sia che, ospite degli dei, non avesse saputo trattenere la lingua rivelandone i segreti
(Eur. Or. 5 ss.); secondo un’altra versione avrebbe loro rubato il nettare e l’ambrosia per donarlo agli uomini, come
Prometeo col fuoco (Pind. Ol. 1, 60 ss.).
67
Sull’etimologia, cfr. BONANNO 1972, 389 ss. Interessante l’interpretazione del nome Tantalo in Plato Crat. 395 d-e
dove leggiamo queste considerazioni: «A Tantalo poi chiunque penserà che il nome è stato posto giustamente e secondo
natura, se son veri i casi che di lui si dicono. (Ermogene) - Quali sono questi casi? (Socrate) - Le sventure che, ancor
vivo, gli capitarono, molte e terribili delle quali, ultima, anche la rovina totale della sua patria; poi, dopo morto,
nell’Ade, la talanteiva (sospensione) della pietra sopra il capo, che ha una consonanza così singolare col suo nome. E
pare in verità come se uno, volendo chiamare costui miserrimo (talavntatoı), poi, oscurandone un po’ il nome, lo
chiamasse e dicesse, invece, Talavntoı; cosicché insomma anche a Tantalo sembra che il nome glielo abbian fornito i
casi che si raccontano di lui» (trad. Minio-Paluello).
68
Il passo euripideo può essere stato presente all’autore del frammento tragico citato da Cicerone: «Era felice/
Tantalo… oh, non voglio rinfacciargli / le sue sventure! Era figlio di Zeus, / dicono, ed ora va per l’aria e trema / di
paura alla vista di una pietra / che gli sorge sul capo. È la pena, / come pure raccontano, a cui è stato / condannato,
perché, uomo qual era, / ammesso a condividere la mensa, / divina e pareggiato in tutto ai numi, / non tenne a freno la
sua lingua: un brutto / male! » (trad. di C. Diano). E’ interessante constatare che Dione di Prusa nel sesto discorso
Diogene o della tirannide, nel delineare ampiamente il destino d’infelicità del tiranno §§ 41 ss., dopo aver sostenuto che
16

prima attestazione archilochea69 del mito nella versione col supplizio del masso testimonia
con tutta evidenza un uso traslato, che possiamo sintetizzare nella formula “il masso di
Tantalo” a significare un pericolo inevitabile ed incombente70.
Cosa possiamo concludere? Che la “spada di Damocle” sostituisce con tutta evidenza
nella tradizione moralistico-filosofica l’interpretazione allegorica dei mali ‘incombenti’ che
impediscono la vera felicità, spesso scambiata col godimento di beni materiali, motivo che
l’età arcaica greca aveva identificato col “masso di Tantalo”, un racconto esemplare ed
un’immagine che forse erano rimasti confinati a pochi testi e che nell’immaginario antico
finirono coll’essere soppiantati definitivamente da quello che anche per noi è il ‘supplizio’ cui
è indissolubilmente legato comunemente il nome di Tantalo, e cioè il tentare invano di
riuscire a godere di acqua e frutti sempre sfuggenti71.

Rita Degl’Innocenti Pierini


Università di Firenze

anche se infelici fino alla morte, i tiranni sono invidiati e ritenuti felici (§ 45 ss.), arriva ad affermare (§ 54 s.) che il
tiranno vive come se fosse rinchiuso in una stretta cella con spade che pendono su di lui e che gli arrivano a toccare la
pelle; le spade non sono solo sul corpo, ma anche sulla sua anima cosicché vive una vita più facile Tantalo nell’Ade, del
quale si dice «temere la roccia che incombe sul capo» (= Eur. Or. v. 6). Infatti Tantalo non teme di morire, mentre il
tiranno soffre in vita quello che tramandano che sia accaduto a lui dopo morto. Anche dalla nostra parafrasi risulta
evidente il sincretismo fra il tema di Damocle, solo alluso tramite le spade sospese, e la figura di Tantalo.
69
Fr. 91, 14 s. West mhdv∆ o JTantavlou livqoı É th''sdjj v uJpeŸr nhvsou kremavsqw.
70
Come osserva O’BRIEN 1988, 41 ss., riallacciandosi ad un articolo di WELCKER del 1856, si può addirittura sostenere
che ogniqualvolta che in greco si leggono metafore con soggetti come morte, vecchiaia, infelicità accompagnate a verbi
composti di kremavvnnumi, ci sia un’allusione al “masso di Tantalo”. Significativo per noi che in ambito latino il
corrispondente pendere e composti siano riferiti sia a Tantalo che a Damocle. Inoltre nella tradizione più tarda i due
miti sono avvicinati: in Macr. somn. 1, 10, 16, citato a n. 12, il racconto sul familiaris di Dionisio e la spada segue a
considerazioni sugli Inferi e le punizioni dei dannati (§§ 9-15), mentre Sidonio epist. 2, 13, 7 (citato a n. 17) allude
esplicitamente al mito di Tantalo.
71
Negli Inferi virgiliani i tradizionali supplizi di Tantalo sono invece attribuiti a Issione e Piritoo (un passo molto
discusso: si veda almeno M.C.J. PUTNAM, Virgil’s Lapiths, «CQ» 40, 1990, 562-566): cfr. Aen. 6, 601 ss. Quid
memorem Lapithas, Ixiona Pirithoumque ? / Quos super atra silex iam iam lapsura cadentique / imminet adsimilis;
lucent genialibus altis / aurea fulcra toris; epulaeque ante ora paratae / regifico luxu. Anche se Tantalo non è nominato
abbiamo la contaminazione dei due supplizi e, cosa interessante per il nostro discorso su Damocle, l’allusione ad un
lusso fastoso e regale (aurea fulcra… regifico luxu).
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