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CAPITOLO 4: TEORIA DELLA MENTE

Nell’autismo il disturbo che si presenta con maggior frequenza sono i problemi di


interazione i quali possono esprimersi nell’incapacità di stabilire amicizie, cercare
contatto con i familiari ecc. tali disturbi comunicativi riguardano principalmente
l’uso del linguaggio e dei gesti. Tra i sintomi vi sono mancanza di contatto oculare,
ecolalia e intonazione della voce inappropriata; di solito l’unico contatto perenne
che riescono a mantenere è con singoli oggetti o parte di essi.

Teoria METARAPPRESENTATIVA: tale teoria è stata sviluppata da Alan Leslie, Baron-


Cohen e Uta Frith i quali sono partiti dall’ipotesi che esiste nella mente umana un
meccanismo della teoria della Mente, ovvero un modulo specializzato nel produrre
rappresentazioni di stati mentali come credere conoscere o far finta. Tale
Meccanismo della Teoria della Mente è parte del sistema cognitivo. L’info in entrata
ovvero l’input è costituito da rappresentazioni primarie che codificano stati di fatto
in maniera letterale. Mentre gli output ovvero le info in uscita sono rappresentazioni
secondarie o metarappresentazioni. La Metarappresentazione è una struttura di dati
particolare che codifica l’atteggiamento di un agente nei confronti di una
proposizione. Infatti Agente, proposizione e atteggiamento solo gli elementi di una
metrappresentazione, e conferiscono alle metarappappresentazioni delle proprietà
causali sul comportamento e sul ragionamento. Quindi le metarapp sono formate da
tre parti: un simbolo, una proposizione ovvero il significato di una frase e il concetto
relativo ad uno stato mentale come credere sapere ecc. il concetto codifica la
relazione che esiste tra agente e proposizione, quindi rappresenta l’atteggiamento
di quell’agente nei confronti della proposizione.

La Metarappresentzione è una rappresentazione mentale di un’altra


rappresentazione mentale, ed è composta da 3 parti: da un simbolo o agente
(persona o animale), una proposizione e da un concetto relativo ad uno stato
mentale. Il concetto codifica la relazione che vi è tra l’agente e la proposizione.

Secondo la teoria metarappresentazionale l’autismo è un disturbo che deriva da una


difficoltà a carico di atteggiamenti proposizionali, che quindi non riguardano ritardi
mentali o scarse capacità linguistiche.

L’espressione PSICOAGNOSIA si riferisce alla mancanza di conoscenze (agnosia) sulla


mente (psiche). La manifestazione clinica di questo disturbo risiede nell’incapacità di
denominare un oggetto visivamente ma nella capacità di farlo se viene toccato con
le dita. Le agnosie sono quindi disturbi specifici di accesso ad un certo tipo di
conoscenze, a cui il paziente può accedere solo utilizzando un particolare registro
sensoriale.

Questa teoria metarappresentazionale è stata proposta nel 1985 da Uta Frith, Leslie
e Baron-Cohen, i quali si sono basati sull’ipotesi che i sintomi caratteristici
dell’autismo come le incapacità comunicative e di gioco, derivino da un
malfunzionamento del Modulo Della Teoria della Mente, ovvero il meccanismo
mentale necessario a produrre metarappresentazioni. L’idea che i bambini autistici
siano psicoagnosici nasce da un confronto con i bambini normali, e da uno studio
sulle capacità di fingere o riconoscere la finzione dei bambini autistici. Si vide che tali
deficit nel riconoscere la finzione siano dovuti a deficit metarappresentativi poiché
per comprendere che un’altra persona stia fingendo il bambino deve sia disporre di
rappresentazioni primarie sul dato di fatto, sia di rappresentazioni secondarie
ovvero metarappresentazioni sullo stato mentale di chi sta fingendo. E tali capacità
sono scarse se non assenti nei bambini autistici, quindi riconducibili ad un ritardo
nello sviluppo di meta rappresentazioni.

Esperimenti sulla comprensione psicologica dell’autismo: un compito di falsa


credenza è quello delle due bambole Sally ed Ann per cui si è visto che se una
persona è in grado di attribuire stati mentali allora prenderà in considerazione le
credenze e quindi risponderà correttamente, se invece non è in grado di attribuire
stati mentali ma considera solo i dati di fatto allora darà la risposta sbagliata. In
questo compito i bambini autistici dimostravano prestazione inferiori rispetto ai
bambini di controllo ovvero a quelli normali e quelli con sindrome di Down e quindi
con ritardo.

Un altro compito di falsa credenza può essere quello degli Smarties in cui appunto vi
è questa scatoletta di Smarties e si chiede ai bambini cosa può contenervi e i
bambini ovviamente rispondono che vi può contenere Smarties o caramelle, invece
lo sperimentatore caccia dalla scatoletta una matita. Poi si mettono alla prova le
capacità metarappresentazionali dei bambini riponendo la matita nella scatoletta e
chiedendo ai bambini cosa avrebbe risposto un’altra persona alla stessa domanda
fatta loro, ovvero cosa c’è nella scatola degli Smarties. Si vide che su 23 bambini solo
4 risposero Smarties (risposta corretta) mentre la maggior parte avevano risposto
affermando il contenuto reale della scatola ovvero la matita e pochi risposero che
non lo sapevano. Quindi i bambini autistici sebbene ricordano l’errore che hanno
commesso affermando che nella scatola vi erano gli Smarties non sono in grado di
prevedere che un’altra persona possa fare il loro stesso errore, quindi non sono in
grado di costruirsi delle meta rappresentazioni (o lo è solo un minimo numero di
bambini autistici che comunque non sono paragonabili ai bambini con sviluppo
tipico). Alcuni studi inoltre hanno anche dimostrato deficit metarappresentazionali
anche in quei pochi soggetti autistici che superavano i compiti di falsa credenza.

Lo studio sui processi responsabili dell’acquisizione della teoria della mente o ToM
(Theory of Mind) non ha dato ancora risultati certi e conclusivi.

Sappiamo però che nei soggetti con sviluppo tipico le capacità della teoria della
mente appaiono intorno ai 3 anni, e la complessità a l’astrazione di queste
conoscenze già a 3 anni suggeriscono che esse non sono il frutto di cecità associative
o di condizionamento ma sono predisposizioni biologiche e avvengono grazie
all’azione di processi specializzati.

Un passo in avanti nell’identificazione delle cause della mancanza di meta


rappresentazioni nei bambini autistici lo abbiamo grazie allo studio di bambini sordi.
Si è visto che se un bambino sordo nasce in una famiglia in cui nessuno è sordo
allora avranno anche loro una scarsa capacità meta rappresentativa. Mentre i
bambini sordi con genitori sordi hanno capacità meta rappresentativa nella norma.
Ciò ci porta ad osservare che la variabile responsabile di queste due azioni è la
comunicazione, e ciò suggerisce che l’esperienza conversazionale abbia un impatto
significativo sullo sviluppo della teoria della mente, e potrebbe anche essere un
modo per esercitarsi sulla comprensione di variabili psicologiche.

In alcuni bambini autistici compaiono sebbene i ritardo vari comportamenti che


indicano la presenza di una teoria della mente la quale può essere incompleta o può
essere una teoria ad hoc che permette di ottenere la soluzione a compiti che
riguardano la teoria della mente ma senza l’uso di metarappesentazioni.

Si è visto come i bambini con autismo sanno anticipare come si sentirà una persona
se conoscono un suo desiderio. Quindi i bambini autistici hanno la capacità di
ragionare su ciò che provano le altre persone come in questo caso il desiderio, ma si
è visto che nonostante questa capacità i bambini autistici comunque non usano
teorie metarappresentazionali della mente , bensì utilizzano una strategia finalistica
o teleonomica secondo cui prendono in considerazione lo stato di Desiderio come la
tendenza a far cose per realizzare una certa situazione.
Quindi interpretano il desiderio come la causa scatenante che poi porta il soggetto
a compiere delle azioni in funzione del desiderio. Quindi questo ragionamento non
si basa su meta rappresentazioni, bensì è un tipo di ragionamento più semplice che
si ferma prima di poter ipotizzare una meta rappresentazione come fanno gli adulti.
Quindi tale teoria non è in contrasto con quella metarappresentazionale poiché
emozioni e desideri possono esser compresi in base a semplici relazioni con dati di
fatto, evitando un livello più complesso che includerebbe meta rappresentazioni e
che verrebbe raggiunto da persone normali.

I compiti di teoria della mente richiedono comunque altre abilità come quella
attentiva, infatti un’ipotesi è stata fatta riguardo al fatto che le difficoltà nei compiti
della teoria della mente potrebbero derivare dalla difficoltà di prestare attenzione al
contenuto di una rappresentazione quando questa non coincide con la realtà.

Per indagare questa spiegazione alternativa varie ricerche hanno messo a confronto
le capacità di comprensione di false credenze con quelle di false rappresentazione
esterne. Ad esempio veniva chiesto al bambino di scattare una foto con una
polaroid, lo sperimentatore prima di mostrare la foto al bambino cambiava o
rimuoveva un oggetto dall’ambiente e si vide che il bambino autistico riconosceva la
differenza tra la rappresentazione reale e quella invece modificata. Quindi i bambini
autistici non hanno difficoltà a dare la risposta giusta al compito di false
rappresentazioni esterne ma hanno difficoltà nel compito di false credenze e ciò
suggerisce che è possibile escludere che all’origine degli errori della teoria della
mente vi siano difficoltà di tipo attentivo o legate a deficit di ragionamento sulle
rappresentazioni.

Egocentrismo o deficit meta rappresentativi? Fin dagli anni ’20 Piaget aveva
sottolineato la difficoltà dei bambini in età prescolare di assumere la prospettiva di
un’altra persona, una difficoltà a cui aveva dato il nome di Egocentrismo. Invece poi
si è dimostrato che vi è differenza tra mancanza di teorie della mente ed
egocentrismo. La differenza principale è nel concetto di Specificità di dominio.
L’egocentrismo è una caratteristica del pensiero preoperatorio e si può manifestare
nel linguaggio nel ragionamento e in altri ambiti quindi secondo Piaget tale
caratteristica non è specifica per domino, e l’egocentrismo verrebbe superato grazie
al Decentramento nei ragionamenti che riguardano ad esempio sostanze fisiche
forme geometriche o insiemi di numeri. Mentre la toeria della mente al contrario è
un’insieme di conoscenze specifiche sugli stati mentali e sulle loro relazioni causali, e
quindi è dominio-specifica.

Un’altra differenza tra le due teorie riguarda l’origine delle conoscenze psicologiche.
Secondo Piaget gli stati mentali proprio vengono percepiti direttamente mentre
quelli altrui vengono inferiti dalle circostanze e dal comportamento osservato.
Mentre per i modelli della teoria della mente gli stati mentali propri non sono
percepiti direttamente ma sono inferiti e dedotti tramite ragionamento.

Il deficit meta rappresentativo di solito è associato anche alle difficoltà in ambito


sociale e comunicativo. Sulla comunicazione verbale l’incapacità di usare meta
rappresentazioni può agire in 3 diversi modi: in primo luogo ostacola il processo di
riconoscimento delle intenzioni comunicative. Secondariamente può demotivare il
bambino e data la sua difficoltà ad attribuire stati mentali trova le interazioni
comunicative frustranti, e quindi evita scambi di comunicazione. In terzo luogo la
mancanza di meta rappresentazioni rende più difficile la formulazione di discorsi o
frasi appropriati al contesto.

Per quanto riguarda invece le anomalie nella comunicazione non verbale come ad
esempio l’indicazione ostensiva ovvero un’indicazione senza forma richiestiva la
quale vuole semplicemente porre l’attenzione di un sogg verso un evento, è spiegata
dalle teorie della mente come un altro deficit autistico che si connette con la
mancanza di meta rappresentazioni, il bambino quindi non porge l’attenzione di
un’altra persona su qualche oggetto perché non rappresenta gli effetti mentali di
tale esperienza.

Un’altra difficoltà dei pazienti autistici spiegabile attraverso deficit


metarappresentantivi è la mancanza di empatia negli autistici, ovvero la mancanza
di provare a comprendere le emozioni delle altre persone richiedendo l’uso quindi di
rappresentazioni sugli stati mentali altrui, legata quindi appunto a deficit
metarappresentantivi.

Il deficit selettivo nelle capacità metarappresentantive spiega quindi l’incapacità di


formare molti tipi di rappresentazione inclusi quelli astratti, e spiega quindi i
maggiori sintomi dell’autismo.

Il deficit metarappresentantivo è di natura cognitiva ma ha vaste ripercussioni sullo


sviluppo sociale, emotivo e comunicativo, difatti senza metarappresentazioni non vi
può essere una normale capacità empatica e comunicativa.
La teoria secondo cui i disturbi autistici possono essere spiegati tramite i deficit
metarappresentazionali può sembrare incomparabile con le teorie classiche
dell’autismo, in realtà la teoria della mente non solo include rappresentazioni
specializzate ovvero le meta rappresentazioni, ma include anche processi di
ragionamento specializzati per dominio psicologico che quindi la rendono
comparabile con le prospettive classiche dell’autismo.

Confrontando la teoria del deficit metarappresentantivo con le teorie dell’autismo


classiche come quella di Hobbes per quanto riguarda la mancanza di contatto
affettivo nei bambini autistici, Hobbes non nega che tale deficit affettivo negli
autistici possa riguardare anche l’attribuzione di stati mentali, ma afferma che il
deficit metarappresentativo nell’attribuzione di stati mentali è secondario rispetto
all’incapacità di contatto affettivo. Hobbes sostiene ciò affermando che quando
dobbiamo attribuire uno stato emotivo ad una persona, non riconosciamo prima
determinate caratteristiche fisiche della persona ad esempio gli occhi che piangono
o la forma della bocca,ma notiamo direttamente l’emozione anche quando siamo
incapaci di dare delle descrizioni alle caratteristiche del viso. Secondo Hobbes questi
meccanismi di percezione che vanno al di là di ciò che si può manifestare
oggettivamente, mancano negli autistici o funzionano male. Tale teoria è stata
approvata da alcuni esperimento sui deficit del riconoscimento delle emozioni negli
autistici. Secondo Hobbes inoltre questo deficit di riconoscimento delle emozioni
dovrebbe esser generalizzato a tutti gli aspetti dello sviluppo sociale del soggetto
autistico, ma si è visto tramite diversi studi, che capacità sociali nei bambini autistici
sono presenti anche se rare.

Un altro punto di scontro tra teorie metarappresentantive e teorie continuiste


dell’autismo riguarda la Coerenza Centrale ovvero quella capacità di integrare le
informazioni relative ad uno specifico stimolo con le informazioni relative al
contesto in cui lo stimolo è inserito. Data la tendenza delle persone autistiche a
focalizzarsi su concetti locali piuttosto che globali, ciò potrebbe essere spiegato
tramite un deficit di coerenza centrale secondo cui l’incapacità di attribuire stati
mentali sarebbe una conseguenza alla difficoltà di inserire un evento in una
sequenza di azioni più complesse, e quindi dovuto all’incapacità di porre il singolo
evento in un contesto globale il quale farebbe invece capire le ragioni di
quell’evento. Alcuni studi però hanno dimostrato che il deficit nell’elaborazione
globale e quello rappresentativo riguardano malfunzionamento di aspetti
indipendenti e diversi.
Una terza proposta sull’origine della psicoagnosia nell’autismo deriva dalle ricerche
sull’imitazione nei bambini autistici, le quali hanno portato ad affermare che il
deficit nelle capacità imitative sia primario negli autistici, quindi tutti lo posseggono.

Deficit mentale o stile cognitivo? Happè e Baron-Cohen affermano che le persone


autistiche senza disturbi mentali definite ad alto funzionamento, non si può parlare
di deficit cognitivo quanto più di diverso stile cognitivo. Tale affermazione và in
contrasto con quella tradizionale secondo cui l’Autismo nella sua generalità è un
disturbo deficitario. Invece caratterizzarlo come uno stile cognitivo diverso vuol dire
non inserirlo in una patologia. Tale tesi è stata però scartata anche dalla semplice
affermazione che i bambini con autismo anche se non hanno ritardo mentale
comunque non possono essere considerati bambini normali poiché essi è come se
vivessero in un’altra dimensione ovvero quella delle cose e non quella delle persone.

Baron-Cohen invece sostiene la sua tesi elencando le diverse caratteristiche dei


bambini autistici ad alto funzionamento e affermando che essi appaiono diversi solo
perché non si integrano con la società e quindi secondo lo studioso è il mondo
esterno che si aspetta che tutti siano più concentrati su fattori sociali che su fattori
fisici. Quindi il giudizio di disabilità non riguarda caratteristiche cognitive ma è
funzione della relazione tra le caratteristiche del bambino autistico e delle
aspettative della società. Solo una società che richiede a tutti gli individui di essere
focalizzati sulle persone e sugli eventi sociali invece che sui fenomeni naturali rende
disabili le persone autistiche ad alto funzionamento.

Vari studi neurologici però hanno indicato delle anomalie in alcune strutture neurali
delle persone autistiche, anche se queste anomalie non risultano propriamente
patologiche o comunque gravi rispetto alle persone normali.

Baron-Cohen conclude affermando che l’autismo, se non è influenzato da pregiudizi


culturali, non è una disabilità, bensì è uno stile cognitivo diverso.

Tuttavia nonostante le critiche rivolte a questo cambiamento di prospettiva, esso ha


portato a focalizzarsi non solo sugli aspetti deficitari degli autistici ma anche su quelli
non propriamente patologici. Inoltre ha condotto ad una diversa prospettiva nei
confronti del modo di intendere la diversità.

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