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«MORGANA»

collana di studi e testi rinascimentali


diretta da lina bolzoni
13
MACEDONIO, TRONSARELLI, VENDRAMIN, FATTIBONI
GROSSATESTA, CAMBI, FABIANI, ROMOLI, NOVERRE, CANZIANI
BERTI, TRAFFIERI, PITROT, LE FEVRE, DUPORT, DUTARQUE
CASATI, BLASIS, VESTRIS
con due liriche di D’ANNUNZIO e LUCINI

VARIAZIONI SU ADONE
II
libretti musicali e di ballo

(1614-1898)

a cura di
STEFANO TOMASSINI

Volume pubblicato con il contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca e della
Scuola Normale Superiore.

© Copyright 2009: maria pacini fazzi editore


Via dell’Angelo Custode, 33 − 55100 Lucca
www.pacinifazzi.it
mpf@pacinifazzi.it

Printed in Italy
Proprietà letteraria riservata

isbn 978-88-7246-986-6 maria pacini fazzi editore


INDICE

Stefano Tomassini, Il fiore in rivolta ossia i bicipiti di Adone 9

Abbreviazioni bibliografiche 21

Dialogo in dramma
M. Macedonio, da Adone. Poema drammatico (1614) 31

Dramma in musica
O. Tronsarelli, da La catena di Adone. Favola boschereccia (1627) 63

Musica in commedia
P. Vendramin, L’Adone. Tragedia musicale (1640) 97

Ex genere patris
G.F. Fattiboni, da Adone in Cipro. Tragedia per musica (1790) 163

Ex ossibus
G. Grossatesta, Venere sulla tomba di Adone. Ballo (1748) 197
J.-G. Noverre, Gli amori di Venere ossia la vendetta di Vulcano. Ballo
episodico (1775) 199
G. Canziani, Venere in Cipro. Ballo pantomimo (1779) 203
J. Dutarque, Il ritorno di Adone, o sia Anacreonte fra le Grazie. Ballo
mitologico (1824) 209
G. Casati, Adone nell’isola ciprigna. Ballo anacreontico (1832) 211

Coda
G. D’Annunzio, La morte del dio (1893) 217

«Reviviscent mortui tui»


N. Cambi, La caccia di Venere e Adone (1764) 221
G. Fabiani, Adone. Ballo eroico pantomimo (1769) 223

5
G. Romoli, Venere, e Adone. Ballo (1775) 225
A. Berti, Venere e Adone. Ballo mitologico (1788) 229
G. Traffieri, Adone e Venere. Ballo (1788) 231
D. Le Fevre, Venere con Adone, ossia le gelosie di Diana e di Marte.
Ballo (1794) 235
L. Duport, Gli amori di Adone e Venere. Ballo (1817) 241

«Sicut nebula dissolvetur»


A. Pitrot, Adone e Venere. Ballo eroico pantomimo (1792) 247
C. Blasis, Gli amori di Adone e Venere. Ballo mitologico (1835) 253
B. Vestris, Venere e Adone. Divertimento anacreontico (1844) 257

In exitu
G.P. Lucini, Adone (1898) 261

anche stamatt. tutto bene, serio e solenne e natur. V. e A.


non sono eroi neoclassici, ma moderni, forniti di problemi
psicologici, sono persone moderne e vive, nevrotici come
me e te (…) mi piace anche molto l’uso del teorema di
Valéry – che stiamo tentando di sperimentare –, secondo
cui quando non ci sono più parole per le emozioni, è la
musica ad assumersi il loro compito e il diretto interessato
(o la diretta interessata) si mette a cantare o, come nel
caso di V. & A., addirittura a danzare.
Hans Werner Henze

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IL FIORE IN RIVOLTA
OSSIA I BICIPITI DI ADONE

L’unico naturale alleato dei libri è il fiore.


Elias Canetti, Die Blendung

Il sollievo delle sue notti solitarie è nella cassetta di lettere e


ricordi che tiene sotto il letto, le sue «reliquie».
J.M. Coetzee, Disgrace

A volte, non sempre, ma a volte ritornano. E si allenano. Si fanno belli. Canticchia-


no, sogghignando, come fra sé: «The story is old …».
In barba alla nostalgica «demonizzazione degli dèi» esiliati di Heinrich Heine,1 o
al deserto mitologico descritto da Alberto Savinio, quando di fronte al «disgraziato»,
«marcio di dissenteria», fa difetto pietà, e allora «Pace! Adone è morto».2
Dunque, gli dèi indifferenti si rifanno, in palestra, i muscoli. Mentre anche le
ultime incarnazioni del mito di Adone affiorano quali rappresentazioni inconsce ca-
[campagna pubblicitaria a Milano, sul limitare dell’inverno paci di orientare le ossessioni per il corpo e la forma fisica degli uomini e degli ado-
2005/2006: colonizzazione del divino o addomesticazione lescenti. Una irruzione nel pensiero che assedia la coscienza fino all’emergere di vere
dell’ansia per la vita pubblica, fantasma di una vita tutta e proprie patologie cliniche, quali la dismorfia muscolare e il disordine alimentare. Il
apparente?]
potere psichico di un conflitto latente chiamato, appunto, ‘complesso di Adone’.3
In questa nemesi medica, anche il mito della salute moderna concorre a dispen-
sare il soggetto dall’imperfezione della condizione umana, dalla fatalità della soffe-
renza, dall’emergere nell’anomalo e nel derelitto della difformità. Perché si tratta

1 Heinrich Heine, Premessa (1853), a Gli dèi in esilio, Milano, Adelphi, 1978, p. 29. In stretta correlazione, vale
la pena ricordare che alla lirica di Heine, Frühlingsfeier (Festa di Primavera), si era ispirata la coreografa ameri-
cana Ruth Page (1899-1991) per la sua creazione Adonis (1944).
2 Alberto Savinio, Adonis (maggio 1938), ora in Achille innamorato (Gradus ad Parnassum), Milano, Adelphi,
1993, pp. 61-9.
3 Su cui si vd. Harrison G. Pope, Katharine A. Phillips, Roberto Olivardia, The Adonis Complex. How to Identify,
Treat, and Prevent Body Obsession in Men and Boys, New York, Touchstone, 2000; Daryl Higgins, Narcissism,
the Adonis Complex, and the Pursuit of the Ideal, in Gendered Outcasts and Sexual Outlaws. Sexual Oppression
and Gender Hierarchies in Queer Men’s Lives, a c. di Christopher Kendall e Wayne Martino, New York, Harrington
Park Press, 2006, pp. 81-102; nonché Tim Bergling, Chasing Adonis. Gay Men and the Pursuit of Perfection, New
York, Harrington Park Press, 2007.

9
della celebrazione dell’indecente bellezza maschile di un ragazzo adolescente, eroe- melodramma. O, infine, meno prevedibile ma qui è ciò che più conta, proprio alle
fiore che sovverte l’oggetto primo del desiderio dominante maschile e eterosessista.4 linee sinuose e aggraziate introdotte, a fine secolo, dalla nuova danza: «The influence
Fino a che un cinghiale, la Bestia, non arrivi a ricordare, di quella bellezza senza of Isadora Duncan, Ruth St. Denis, or Anna Pavlova on muscolar weighlifters seem
contropartita, tutta la sua fragilità. a distant one, but it is not so outlandish as it first might appear».10
Una reliquia della modernità, si direbbe: «vi resta pur qualche reliquia d’om- Di fatti, nel pieno di questa parabola documentale, il pioniere della prima ge-
bra», aveva profetizzato Giambattista Marino,5 il cui auspicio è stato poi raccolto da nerazione della danza moderna americana Ted Shawn (1891-1972), già studente
Ezra Pound, nel suo canto adonico: «Knowledge the shade of a shade».6 Reliquia di teologia poi prolifico concert dancer e coreografo, teorico e divulgatore della
che si tramanda sotto il vessillo della perenne variazione, perché il mito costruisce cultura di danza e fondatore della prima compagnia di danza tutta maschile ame-
e la modernità volentieri accoglie e trasforma nelle forme del conflitto quando non ricana (i Men Dancers),11 realizza nel 1923 una fra le sue più note coreografie di
del trauma.7 suggestione archeologica, dal titolo: Death of Adonis.12 Per l’America del Nord è il
Allora, la sopravvivenza moderna di questo mito coincide, per esempio, con primo solo danzato con una ostentata esibizione della nudità maschile, organizza-
un’ennesima colonizzazione dell’immaginario del corpo maschile. Si tratta dello to sulla successione fluida di quelle stesse pose statuarie del culturismo, ma unite
spettacolo della cura di sé e delle tecniche di costruzione del corpo in opera nel nell’ideale plastico delsartiano,13 come per legittimare nella ricerca dell’origine del
mondo del culturismo maschile. Un mondo idealizzato nella sua prima importante processo generativo del gesto espressivo l’interesse più politico del culto moderno
documentazione fotografica (1870-1940), e di recente non a caso raccolta sotto la per il corpo maschile. E, per il ruolo socialmente atteso del danzatore, l’inedita
forse fin troppo prevedibile, ma non scansabile intestazione mitografica, di Adonis.8 capacità di coniugare virilità e bellezza.14
Pratica culturale sempre disponibile a trasformarsi in azione la cui scena si inscrive In gioco, come è facile prevedere, era anche la facoltà per la danza di proiettare
in una percezione performativa dell’identità.9 o costruire identità di genere. Il mito della morte di Adone si piegava, così, alla vi-
Ma la contraddizione evidente nell’effetto di neutralizzazione spettacolare della rilizzazione della bellezza attraverso il dolore. Ebbene, se ad esempio in un’ottica di
forza, nel momento in cui la si potenzia attraverso questa pratica ginnica che stimola dissidenza queer, in piena eredità vittoriana come nell’esempio di John Addington
la definizione e l’accrescimento delle masse muscolari, non impedisce al mito di do- Symonds (840-1893) ricordato da Alan Sinfield, il desiderio di puntellare nel fragile
cumentare l’ideale realizzazione del corpo perfetto in una serie di scatti da calenda- equilibrio interiore dell’individuo la definizione ‘normale’ di mascolinità – «Boys of
rio ancóra debitori della rassicurante classicità eroica ispirata alla statuaria antica,
non meno che ai tableaux di certa pittura neoclassica, o al pathos gestuale di tanto
10 David Chapman, Adonis. An Introduction, cit., pp. 6-7; ma si vd. anche Michael S. Kimmel, Consuming
Manhood: the Feminization of American Culture and the Recreation of the Male Body, 1832-1920, in The Male
4 Cfr. Germaine Greer, Il ragazzo, ed. it. a c. di Giuliana e Patrick Le Noël, Genova, L’ippocampo, 2004, su Adone Body. Features, Destinies, Exposures, a c. di Laurence Goldstein, Ann Arbor, The University of Michigan Press,
vd. alle pp. 198-201. 1994, pp. 12-41.
5 L’Adone, XIV, 318, 8. 11 Una parte cospicua della sua teoresi si legge ora in Ted Shawn, Dobbiamo Danzare | Dance We Must (1940),
6 The fifth decad of cantos XLVII, in Ezra Pound, I Cantos, a c. di Mary de Rachelwitz, Milano, Mondadori, a c. di Alessio Fabbro e Stefano Tomassini, Roma, Gremese, 2008.
1985, p. 458. 12 Una breve testimonianza filmata è oggi disponibile su dvd contenuta in Denishawn. The Birth of Modern
7 E che la postmodernità invece accumula, raffredda e contamina («with a distinctive mass appeal»), si potrebbe Dance, New Jersey Center Dance Collective, Kultur (D1301) 2006 (ringrazio Silvia Poletti per la preziosa segna-
aggiungere, secondo la distinzione di Slavoj Žižek, tra lo shock quale obiettivo dell’opera modernista («a shock, as lazione).
the irruption of a trauma») e lo straniamento del familiare e del consueto, con conseguente messa alla prova del 13 Su François Delsarte (1811-1871), cantante, teorico del movimento e pedagogo francese, si vd. Elena Randi,
soggetto nell’interpretazione dell’opera postmodernista («the aim of the postmodernist treatment is to estrange its Il magistero perduto di Delsarte. Dalla Parigi romantica alla modern dance, Padova, Esedra, 1996; sulla diffusio-
very initial homeliness»), nel suo Alfred Hitchcock, or, The Form and His Historical Meditation, introduzione a ne delle sue teorie, si vedano i due volumi di Nancy Lee Ruyter, Reformers and Visionaries. The Americanization
Everything You Always Wanted to Know about Lacan (but You Were Afraid to Ask Hitchcock), da lui stesso curato, of the Art of Dance, New York, Dance Horizons, 1979, e The Cultivation of Body and Mind in Nineteenth-Century
New York, Verso, 1992, pp. 2-3 (devo la segnalazione a Alessandra Nicifero, che qui ringrazio). American Delsartism, Wesport (Connecticut), Greenwood Press, 1999; sulla parentela delle «living statues» con
8 Per cui si vd. Adonis. The Male Physique Pin-Up 1870-1940, intr. di David Chapman, Swaffham, Éditions Au- la teoresi pantomimica delsartiana si vd. Ann Daly, Done into Dance. Isadora Duncan in America, Middletown
brey Walter, 1997 (prima ed. London, The Gay Men’s Press, 1989); più in genere, si vedano le voci Body-Building (Connecticut), Wesleyan University Press, 1995, pp. 124-5.
e Culturisme nel Dictionnaire du corps, diretto da Bernard Andrieu e Gilles Boëtsch, Paris, CNRS Editions, 2008, 14 La sinossi del solo di Shawn si legge in Don McDonagh, Complete Guide to Modern Dance, New York, Popular
risp. alle pp. 57-8 e 87-8. Library, 1977, pp. 55-6, e come Adagio Pathétique in Jane Sherman, The Drama of Denishawn Dance, Middle-
9 Sulla connessione tra ‘atti performativi’ quali esiti di ruoli sociali sottoposti alla stessa contingenza e tempo- town, Wesleyan University Press, 1979, pp. 95-7; nonché la testimonianza di Ted Shawn in One Thousand And
ralità di quelli teatrali, si vd. l’importante contributo (tra Austin e Derrida) di Judith Butler, Performative acts One Night Stands, scritto da Shawn con Gray Poole, Garden City (New York), Doubleday & Company Inc., 1960,
and gender constitution: an essay in phenomenology and feminist theory (1988), ora in The Performance Studies pp. 147-8. Alcuni scatti in posa di questo solo si trovano in Katherine S. Dreier, Shawn: The Dancer, pref. di H.
Reader (Second Edition), a c. di Henry Bial, Routledge, New York and London, 2007, pp. 187-99. Niedecken-Gebhard, intr. di Hans Hildebrandt, London, J. M. Dent and Sons ltd., 1933, p. 52.

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more normal sexuality…» –,15 avrebbe dovuto condurre a preferire, di Shakespeare, luoghi nei quali le procedure, raccolte qui in forma di resti secondo l’incedere di una
The Rape of Lucrece piuttosto che Venus and Adonis, si ricordi invece che, nello spa- testualità,20 sfuggono «alla disciplina senza essere tuttavia al di fuori del campo in
zio aperto della socialità, mentre l’Opera europea era nata sotto le insegne (notturne cui essa si esercita».21 Il campo è quello del consumo. La disciplina è la letteratura
e monteverdiane) del mito di Orfeo, quella americana, della tradizione del musical normativa, di cànone. Mentre l’uso frammentario e non ubbidiente della mitologia è
proveniente dal burlesque, era nata proprio sotto quelle del mito di Adone.16 legato alla occasionalità della scrittura, a volte, nella sua brevità, al limite dell’afori-
sma, quasi quotidiana. Una scrittura spesso ordinaria, perché allusiva a una pratica
L’attinenza non è tutto. Rispetto al volume precedente, quello che è venuto com- eccezionale ed extraordinaria, e non documentabile nella convenzionalità dei suoi
ponendosi qui, tra i legami paradossali di libretti per musica e di danza,17 forse più segni, del corpo in scena. Questo tipo di mitografia per forme teatrali è allora per
che la seconda parte di una duplice antologia, è il suo lato in ombra e riverso. tutto simile alla forza rassicurante — rassicurante perché sempre dipendente da una
Quelle che si presentano qui sono trame di uno stesso mito, ma sembrano per lo gestione funzionalista e mai in perdita — di una reliquia.
più sopravvivenze ibride, impure, che non hanno tardato a scadere, per la Storia della
Letteratura, in rifiuti. Il presente indice è una mappa ricostruita delle possibili, ulte- Fin dall’ultimo margine dell’Adone mariniano, il canto ventesimo dedicato a
riori vie e direzioni che la storia di Adone ha disposto e risicato all’oblio senza un vero Gli Spettacoli, quello per intenderci considerato più estraneo, meno contestuale alla
centro, e come disegnata nei soli suoi margini. Quasi tutti i testi raccolti in queste pa- dinamica del poema («fuori dalla storia», «appendice non conclusiva, ma additizia»,
gine, anche i più minuti e ristretti, anche quelli brevissimi che fanno della fabula un «canto senza storia»),22 e forse per questo anche sempre poco antologizzato. Ebbene,
estremo ed effimero artificio della dispositio, rimandano principalmente a una pratica da quell’ultimo margine era invece già possibile ricavare e tradurre tutto un possibi-
performativa (musical cantata e/o danzata) attraverso cui si sono esercitate, rispetto le, oltreché probabile, investimento futuro. Un futuro secondo ogni evidenza già in
alla consolidata storia dello spettacolo dal vivo, quelle che Michel de Certeau nella corso, se pensiamo agli anni delle opere di Marcello Macedonio (1614) o di Ottavio
sua antropologia del quotidiano ha chiamato: «forme di creatività surrettizia».18 Tronsarelli (1627) qui presentati per la prima volta in stampa moderna. Primi esem-
Estranee al trionfo politico della scrittura e ai cànoni ben delimitati delle sue pî di una vita nascosta, delle proliferazioni possibili di un fortunoso ritorno e di una
istituzioni letterarie; testimonianze di un uso sommerso dello spazio del testo, queste lunga sopravvivenza della profezia mariniana.
latenze così conformi alla mancanza che inscrive nelle parole l’emergenza del desi- Nelle celebrazioni delle arti del corpo, compiute nel ventesimo del poema mari-
derio, hanno prevedibilmente come loro questione più vera quella del corpo. niano, le pratiche si incrociano per dar luogo a operazioni che trascendono la discipli-
I confini riemersi dai reperti qui salvati, trascritti e commentati per il lettore di na della scrittura, mentre, come vedremo, «i punti di raccolta si frammentano conti-
oggi e restituiti alla pertinenza dell’analisi contemporanea, sembrano descrivere più nuamente, cresce il numero delle fuoriuscite impreviste, i margini si riproducono».23
una sequenza che una gerarchìa delle arti.19 Confini entro cui si moltiplicano quei Dunque, in Marino lo spettacolo descritto in questo ultimo canto, secondo l’otti-
ca del teatro del mondo, si compone soltanto di arti che coinvolgono il corpo (a forte
presenza maschile) e in cui decisiva è l’attitudine fisica: arco (stanze 23-61) danza
15 Cfr. Alan Sinfield, Shakespeare and Dissident Reading, in Id., Cultural Politics - Queer Reading, London, (stanze 62-113) lotta (stanze 117-193) scherma (stanze 194-247) e giostra (stanze
Routledge, 1994, pp. 1-20; per l’area italiana, un primo orientamento in Queer Italia: same-sex desire in italian
literature and film, a c. di Gary P. Cestaro, New York, Palgrave, 2004. 251-305). Per ciò che riguarda la danza, la notevole mole di riferimenti all’orchesti-
16 Vd. Gerald Bordman, American Musical Commedy: From Adonis to Dreamgirls, New York-Oxford, Oxford ca, il trasferimento nei versi del gioco delle variazioni danzate (si parla di ben dodici
University Press, 1982. diversi tipi di balli), l’accento posto sulle qualità atletiche dei danzatori maschi, la
17 Cfr. Giulio Ferroni, Introduzione. I paradossi del libretto, in Dal libro al libretto. La letteratura per musica dal
’700 al ’900, a c. di Mariasilvia Tatti, Roma, Bulzoni, 2005, pp. i-vii; nel ricco volume, tuttavia, è rimossa senza
timore la questione della librettistica di danza.
20 Principalmente secondo la nozione differenziale proposta e sviluppata da Hugh J. Silverman, Testualità tra
18 Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano (1980), Roma, Edizioni Lavoro, 2001, p. 149. Ermeneutica e Decostruzione (1994), presentazione di Carlo Sini, Milano, Spirali, 2003.
19 Da tutt’altra richiesta epistemica, esente da inquietudini filologiche o da qualsiasi volontà di un riconoscimen- 21 Michel de Certeau, op. cit., p. 150.
to della dignità letteraria a questo tipo di testi (nonostante fosse, proprio questa, scrupolo costante dei suoi esten-
sori), e inspiegabilmente insensibile alle loro ragioni culturali oltreché storico-letterarie (qui per altro dati in opaca 22 Si tratta della presentazione del Canto ventesimo, p. 695 del II tomo di commento a G. B. Marino, L’Adone, a
traduzione, pur in presenza di versioni italiane originali), è la recente, assai diplomatica esegesi di Jean-Georges c. di Giovanni Pozzi, Milano, Mondadori, 1976.
Noverre, Programmi dei balletti. Selezione di libretti 1751-1776, a c. di Flavia Pappacena, trad. it. di Alessandra 23 Paola Di Cori, Margini della città. Lo spazio urbano decentrato di Michel de Certeau e di Diamela Eltit, in
Alberti, Roma, Dino Audino, 2009. A contraggenio, pur se per altra area di studî, ossia quella dei libretti d’Opera, Colonialismo, annuario di «Antropologia», II, 2, 2002, p. 144; ancóra, sul mapping come metafora interpretativa
valga il solo rimando alla ricerca esemplare di Ulrich Weisstein, The Libretto as Literature (1961), ora in Id., si v. il recente Giulio Iacoli, Metafora e strategia. Il «mapping» come strumento di interpretazione teorico-geogra-
Selected Essays on Opera, a c. di Walter Bernhart, New York, Rodopi, 2006, pp. 3-15. fica: Said, Jameson, de Certeau, in «Studi Culturali», III, 1, 2006, pp. 57-81.

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riflessione sulle attese reattive degli spettatori, financo la censura nei confronti del Di questa possibile genealogia per reliquie della mascolinità,26 il primo margine
maledancer ma in direzione di un’intuizione storica, vale a dire secondo un’idea del- qui collazionato è, nondimeno, il poema drammatico del napoletano Marcello Mace-
la danza come arte e non come mero spettacolo, come grazia di un sentire interiore e donio, Adone (1614). Ancóra poema ma già diviso nello spazio di atti e scene a ga-
non come trionfo esibitorio della forza fisica atletico-acrobatica degli interpreti (XX, rantire, nelle forme del dialogo, un intreccio sempre più aperto che verrà sviluppato,
70, 1-4): tutto questo finisce per comporre una vera e propria maratona dell’esegesi nelle allegorie future, come un cambio a vista e sempre a sipario alzato.
di quest’arte. Non solo: pone le premesse per nuovi discorsi, favorisce punti di vista Mentre si precisano i profili psicologici dei ruoli e dei caratteri, emerge la natura
e incoraggia posizioni, individua limiti e suggerisce soluzioni, sembra insomma far affettiva, emozionale delle relazioni interpersonali. Un guadagno che progressiva-
assumere all’attitudine performativa della danza un diretto contrappunto a norme mente andrà a sostituire il simbolismo arcaico dell’avvicendamento dei cicli naturali,
culturali e sociali. Un contrappunto delle ragioni del corpo al modello regolativo del proprî del mito adonico, con una alternativa. Quella tra un amore garantito dalle rela-
pensiero e del governo di sé. Inoltre, qui tutto sembra procedere spedito verso quelle zioni consuete (Venere e Vulcano, Venere e Marte) – là dove amore è merce: «S’io non
che saranno le strutture a venire di un’inguaribile passione. Le condizioni, anche per compro l’amor, no’l trovo in dono» –, e un amore esclusivamente di tipo pulsionale e
la danza, della nascita di una critica.24 erotico, in flagrante trasgressione dell’utile e del consueto, da cui la ‘noia’ di Adone, e
Tra musica e poesia, le due sorelle che partecipano alla formazione della tradi- attraverso cui l’attività del desiderio sperpera la verità in funzione del piacere.
zione manierista, e il cui incontro è notoriamente suggellato nell’antiepica pacifica (e Altri margini si riproducono dal poema mariniano, ad esempio dal canto XII e
pacifista) di Marino, si insinua, alla fine del poema e come in disparte, con la parte XIII, come per la vicenda della maga Falsirena doppiata nella favola in musica di
dedicata alla danza, un’ultima, più vera, metamorfosi. Ottavio Tronsarelli, La catena di Adone (1627).27 Qui il divenire della figura del
E i margini presero sùbito a riprodursi, come di lì a poco fu possibile rilevare, ad protagonista attraversa una biografia palesemente in crisi, assediata dal dubbio e
esempio, nella scena terza del secondo atto de La palma d’Amore (1650) del conte dal timore, insomma dal fantasma del desiderio. Ma con una singolare celebrazione
Francesco Berni: della verità delle emozioni contro le inibizioni in opera nella razionalità del discorso
deviante di Falsirena.
Gelosia. Di lì a poco, invece, a Venezia e fin dagli esordî del teatro per musica, con l’anti-
È ver, che per Adon fatta baccante, classicismo espressionista di Paolo Vendramin e della sua tragedia musicale L’Adone
Agli amorosi balli, (1640), l’irruzione dell’osceno inscrive nel genere comico, qui demandato a figure di
Che lasciva godea col suo diletto, poco rango come quelle di due nani ma in fondo speculari ai due più illustri prota-
Cangiò Marte la tromba in un cornetto; gonisti, la trasgressione anche politica del discorso amoroso nei confronti dei com-
Ma io fui, che ben tosto portamenti più accettati e socialmente attesi. E dei modelli di bellezza più consueti
Tràttosi per desio d’una gagliarda e riconosciuti, in una sorta di felice esorcismo in burla, a contraggenio di quello,
Il Cacciator nel bosco, invece infelice, del giovane e della dea.
Del fiore il ballo addussi Ciò che l’esegesi ermeneutica sembra ulteriormente chiarire, di questi parziali
Nel trasformato Amante. Anzi la Dea esempî secenteschi del mito in forma di libretto, è una scrittura per musica fin da
Lasciando sola, e mesta, sùbito tutt’altro che occasionale e utilitaristica, ma mediata linguisticamente da più
Nel ballo del pianton mutai la festa; tradizioni (classico e anticlassico), da diverse e funzionali strategie discorsive (lirico
E del Cignale a l’ispida sembianza, e comico).
Con un salto mortal, chiusi la danza.25 Tra le successive presenze possibili, quella settecentesca della versione ‘totale’
(musica, canto e danza) di Giovanni Francesco Fattiboni, Adone in Cipro (1790),
24 Secondo l’alternativa «etica», che ha il suo punto di origine nel XVI secolo, proposta da Michel Foucault,
Illuminismo e critica (Qu’est-ce-que la critique?, 1978), a c. di Paolo Napoli, Roma, Donzelli, 1997; su questo
scritto si vd. ora Judith Butler, Invece la critica di Foucault è preziosa (The Critique as Virtue, 2002), in Il bello 26 Nella sua rimessa in discussione attraverso l’analisi dell’irruzione erotica maschile proposta da Monique Sch-
del relativismo. Quel che resta della filosofia nel XXI secolo, a c. di Elisabetta Ambrosi, Venezia, Marsilio, 2005, neider, Généalogie du masculin, Paris, Aubier, 2000.
pp. 156-71. 27 Le cui circostanze storiche sono state mirabilmente ricostruite da Manuela Scarci, Marino on Stage: La catena
25 Francesco Berni, La palma d’Amore. Favoletta dramatica musicale, drama primo in I Drami del Sig. Conte d’Adone, in The Sense of Marino. Literature, Fine Arts and Music of the Italian Baroque, a c. di Francesco Guar-
Francesco Berni, Ferrara, Per Giulio Bolzoni Giglio e Giuseppe Formentini, 1666, pp. 13-65 (cit. pp. 31-2). diani, New York-Ottawa-Toronto, Legas, 1994, , pp. 451-64.

14 15
ricolloca il mito nella prospettiva patriarcale e regnante del re Adone. Una figura della debolezza con l’inedita presenza in lui della gelosia (Giuseppe Canziani), del-
della sovranità, dunque, dalla cui virilità, emblema dell’incondizionalità del potere, l’impuro e dell’agonia della morte (Jean Dutarque), o il suo raffreddamento nel
è esclusa o repressa la bellezza maschile quando esibita senza il sostegno rassicuran- giudizio esigente di Proserpina (Giovanni Casati), financo la frustrazione del suo
te di un presunto fine etico. Il godimento è allora possibile in presenza di una Venere amore per Venere, scaduto ad amante inconfessabile e costretto alla dissimulazione
autoritaria, e soltanto attraverso una regressione idilliaca da cui l’antieroe, tra i sociale (Jean-Georges Noverre). Proprio a un dipresso dall’avvento degli apparati
confini anche pulsionali dell’arte della caccia, dovrà pur sottrarsi. della civiltà industriale di massa, con la promozione della tecnologia e delle strategie
commerciali, e la seduzione delle merci e della loro messa in scena se, come ricorda
Nella seconda parte dedicata ai libretti di ballo,28 la divisione, fuori dal tempo Louis-Charles Fougeret de Monbron (1706-1761) già in Margot la ravaudeuse del
tranquilizzante della cronologia, in questo volume procede non tra scritture/argo- 1750, anche «La regina dell’Amore in persona, l’adorabile Venere avrebbe sacrifica-
menti sprovvisti di consistenza e dignità, e libretti invece di varia ma qualificata to Marte e Adone per poter godere di un soprammobile tanto pregiato».30
lunghezza e autonomia dal punto di vista letterario. Ma, e lo si è creduto più utile al Alcune conseguenze di questo sacrificio, e che qui valgono come immagini di una
lettore, per raggruppamenti tematici secondo la serie: resti, rinascite, e dissoluzione. tradizione tutta ancóra da tracciare, condurranno alla nostalgia dell’antico e alla
La semplicità dell’azione assunta e sostanzialmente svolta dagli idillî precedenti colonizzazione culturale dell’Oriente, come per la presenza di Adonis nel paesaggio
l’esperienza macrostrutturale del Marino è in questi numerosi argomenti/libretti di del Libano, per esempio in Nerval, e poi nel sempre ben documentato, onnivoro
ballo dissolta, sgretolata, polverizzata, o più contestualmente messa in movimento d’Annunzio31.
proprio da una proliferazione sorprendente delle variazioni, dei materiali e delle Linea centrale e in un certo senso programmata della tradizione è quella, invece,
allegorie. Si è creduto di poter rendere più plausibile, così, e meno molesta, la lettura della resurrezione di Adone per opera di Giove (nei libretti di Niccolò Cambi, Giu-
di un talmente vasto e affine materiale, rimandando l’analisi con le sue giuste perti- seppe Fabiani, Giacomo Romoli, Antonio Berti, Louis-Antoine Duport, e Domenico
nenze storiche a un’ulteriore, più opportuna e non meno necessaria sede critica. Lefèvre; in quest’ultimo è la danza ad accendere il desiderio di Venere per Adone, il
quale è condotto a morte non dal cinghiale ma per mano di Marte). O per opera di
Già nel 1749 lo scrittore inglese Henry Fielding neutralizzava, per il suo nuovo Amore (in Giuseppe Traffieri, per esempio), sempre a scorno di Marte o di Diana.
pubblico borghese di lettori, il binomio seduzione e bellezza maschile nell’epopea I libretti di ballo settecenteschi presentano un linguaggio pieno di strategie di
di Tom Jones: «Jones now walked downstairs neatly drest, and perhaps the famed distanza e di raffreddamento, probabilmente a specchio di un corpo in danza che
Adonis was not a lovelier figure; and yet he had no charms for my landlady».29 Giu- sappiamo tutto concentrato nel far coincidere il racconto nel movimento,32 in un
sto l’anno prima, nel sorprendente ballo di Gaetano Grossatesta (Venere sulla tomba continuum spazio-tempo che ritornerà con identica forza innovativa soltanto nel
di Adone, 1748), sembrava rinascere il mito funebre di Adone, raccontato in una Novecento, in stretta consonanza con la progressiva pretesa scientifica dell’organiz-
prospettiva di distacco e privazione esemplare nei confronti di un amore impuro. Il zazione del lavoro, come ad esempio nella lezione coreografica di George Balanchi-
quadro dell’azione era già stato descritto in termini consimili da Francesco Colonna, ne.33 Mentre nell’Ottocento i libretti di danza presentano gradualmente personaggi
nel fine del primo libro della sua Hypnerotomachia Poliphili (1499). Da Grossatesta più complessi, nutriti di una interiorità che deve essere resa leggibile attraverso una
la versione è qui ripresa e normalizzata, in conclusione, nella visio mystica del suo precisa grammatica del controllo, della tecnica e insieme del desiderio. Nel libretto
corrispettivo femminile, la dea romana Flora. compaiono delle vere e proprie battute teatrali che servono ad aumentare l’illusione
Con questo argomento/libretto sembra dunque configurarsi una linea del di-
sinnesco che include, nello sviluppo per la danza del mito di Adone, la rimozione
30 Louis-Charles Fougeret de Monbron, Margot la rammendatrice (1750), tr. it. di Fabio Vasarri, Firenze, Le
Lettere, 1991, p. 67. Sulla relazione tra genere e rapporti di produzione, si v. Robert W. Connell, Maschilità.
Identità e trasformazioni del maschio occidentale (1995), Milano, Feltrinelli, 1996, pp. 82 sgg.
28 Sul genere si vd. in prima Mark Franko, Judith Chazin-Bennahum, Susan Au, Libretti for dance, s.v. in In-
ternational Encyclopedia of Dance, a c. di Selma Jeanne Cohen, New York and Oxford, Oxford University Press, 31 Così come in Thomas E. Lawrence: «L’ebreo nel Metropole di Brighton, l’avaro, l’adoratore di Adone, …» (cit.
1998, vol. 4, pp. 172-8. in Edward W. Said, Orientalismo [1978], Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 254).
29 Henry Fielding, Tom Jones (1749), a c. di R. P. C. Mutter, London, Penguin, 1985, VIII, 4, p. 337 (tr. it. di 32 Sulla relazione tra danza e racconto, a partire dalla lezione di Hayden White, si vd. l’indagine esemplare di
Decio Pettoello, Milano, Feltrinelli, 1964 e 1998, 2 voll. [I, p. 287: «Quando Tom discese tutto ben vestito sem- Susan Leigh Foster, Coreografia e narrazione. Corpo, danza e società dalla pantomima a Giselle (1996), Roma,
brava un Adone, eppure non aveva attrattive per la padrona»]). Sul lavoro di addomesticamento della mascolinità Audino, 2003.
nella cultura del Settecento, secondo «a mercantilist agenda», si v. George E. Haggerty, Men in Love. Masculinity 33 Cfr. Jean Van Delinder, Tempo e movimento. Balanchine, taylorismo e balletto moderno, «Studi Culturali», II,
and Sexuality in the Eighteenth Century, New York, Columbia University Press, 1999. 1, giugno 2005, pp. 3-43.

16 17
del sentimento di verità scenica. Così come il corpo si sottomette sempre più total- biblioteca per occhi, senza pretese rischiaratrici o peggio di sovranità, in quelli ano-
mente alla fascinazione della fisicità. nimi e adolescenti nel ricordo di Marina I. Cvetaeva («Biblioteche di vuoti! | Frane
Nel precipitare dell’interesse della danza per il mito di Adone, in questa ultima degli occhi adolescenti! Spazi vuoti!»).35
linea di dissoluzione la figura di Venere perde d’autorità. E si umanizza sempre più Oppure, infine, come una più profonda lacuna nei confronti di ogni nostalgia
in una prospettiva romantica («in preda alle più affannose riflessioni» è descritta del muscolo e della lotta, e dunque della riaffermazione di potere, perché la rivolta
da Duport; con «una leggiera mestizia» sul volto, invece, da Carlo Blasis). Mentre è anche estasi e abbandono. Come fra le parole più in perdita di chi, quella forza
Adone si converte in pentito libertino, adescando inutilmente, ancóra nella versio- del fiore, ce l’ha anche nel nome: «Un poeta, dopo aver reciso gli steli degli anemo-
ne danzata di Blasis, Flora al séguito della dea. Nel libretto di Blasis è bandita fin ni e averli messi a loro agio in un bicchiere sotto il riverbero della luce elettrica, li
in esergo ogni deformità degli dèi nella mitologia (i difetti divini che riscattano le paragonava nell’attitudine e nel gesto di abbandono a santa Teresa, come l’aveva
imperfezioni umane), a favore di una tutta nuova poetica della grazia entro cui con- immaginata Bernini. Lapidi e fiori sono esseri in rivolta» (Fleur Jaeggy).36
tenere e neutralizzare ogni abuso del desiderio. Qui, Vulcano geloso è capace anche
di perdono per il tradimento e sua remissione cristiana. Infine, già nel libretto di Stefano Tomassini
Antoine Pitrot, attraverso l’inedita descrizione di un folto gioco di sguardi eloquenti
o indiscreti ma intensificativi della trama, la svalutazione identitaria di un Adone in
ritardo e che si fa attendere (e dunque non all’altezza della sua richiesta presenza),
si era compiuta con l’apostrofe di Marte a Adone quale «rivale poco pericoloso», e
dunque mero oggetto del desiderio alla stregua di un impotente libertino.

Ricapitolando: in queste variazioni del mito di Adone si ritrae un essere debole,


dubbioso e incapace di prendersi cura di sé (Tronsarelli), malinconico (Cambi), con
tratti infantili e/o femminili, dal mondo emotivo immaturo (Vendramin) e bisognoso
di tutela (Canziani), di educazione (Duport), o temerario senza senno (Fattiboni),
impaziente (Duport), dormiente (Romoli) e anche casto (Traffieri), o esausto per la
caccia (Fabiani), teneramente deferente (Noverre), addirittura ritardatario (Pitrot),
anche nella sua radicalmente opposta immagine ‘egoista’ (Vestris) o libertina di
amante infedele (Blasis, poi Auden e Kallman per Stravinskij)… Insomma, è plausi-
bile che dietro a tutto questo sia riconoscibile la gènesi di uno sguardo anche antro-
pologico, con il suo bel punto di vista razziale (per es. già da Marino è detto «Arabo
inculto», e da Vendramin «Arabo forastiero» …). Un punto di vista attraverso cui
la paura ha edificato, nel corpo maschile, lo spazio dell’impuro, la rappresentazione 35 Marina I. Cvetaeva, Poesie, tr. e c. di Pietro A. Zveteremich, Milano, Feltrinelli, 2000 (da L’adolescente, 25
agosto 1921, p. 102).
dell’estraneo, il luogo dello straniero.
36 Fleur Jaeggy, I gemelli, in Ead., La paura del cielo (1994), Milano, Adelphi, 1998, pp. 77-8.
Forse soltanto Gian Pietro Lucini (1867-1914), prima di Pound e Yeats, ha
saputo restituire al mito di Adone, nei versi qui raccolti, il valore creativo della
sua forza evocativa, là dove i contrarî si ricongiungono e le differenze si annullano * Per la trascrizione sono stati adottati in entrambi i volumi criterî conservativi, tranne nel caso del verbo avere,
(«Adone santo … | Venere è morta … | e conciliar da me l’Antinomia»). dove viene espunta la h nelle forme divergenti dall’uso moderno, e del nesso ti reso con zi o ci; sono sempre stati
Quando i confini di genere si disfano, e le identità si liberano alla vita del possi- segnalati con apostrofo i plurali in -i; è stata regolarizzata l’accentazione, e a volte è stata modificata, soprattutto
con aggiunte, la punteggiatura. Gli interventi di correzione sono stati dichiarati, quando in nota, quando in testo
bile, anche i discorsi si trasformano in un sapere capace di riconfigurare i parametri (con ‹ › per l’espunzione e con [ ] per l’integrazione).
di intelligibilità degli spazî vuoti lasciati dalla norma.34 Come lo spazio vuoto di una In limine. La foto di apertura di questa introduzione è stata inseguita, a Milano, da Nicola Spotorno, che qui rin-
grazio insieme a Lina Bolzoni per la generosa ospitalità editoriale; infine, l’invio ultimo di questa parte di volume,
quale grata memoria dei giorni newyorkesi, è a Charles Perrier (Assistant Curator, Dance Division, The New York
Public Library for the Performing Arts), Franco De Vita e Raymond Lukens (rispettivamente Principal e Artistic
34 Cfr. Judith Butler, La disfatta del genere (2004), a c. di Olivia Guaraldo, Roma, Meltemi, 2006. Associate dell’American Ballet Theatre School) e a Gaetana Marrone Puglia, per quello a Princeton.

18 19
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26 27
DIALOGO IN DRAMMA
Marcello Macedonio
da Adone. Poema drammatico
(Venezia, 1614)

PERSONE
che parlano.

Amore
Pasitea
Eufrosina
Aglaia
Vulcano
Marte
Venere
Adone
Choro delli Amori.

[Il prologo, recitato da Amore, introduce Cipro quale regno di Venere e definisce
l’assolutezza del dominio di Amore su tutti gli esseri viventi, tranne un solo animale,
la fenice, di cui è copia l’«Italica Fenice», ossia Paolo V cui l’opera del Macedonio è
dedicata.
Nell’atto primo Gelosia, con il suo séguito tra cui Sdegno («Empierò Marte di me
stesso»), è alle porte di Cipro per «riversare | Tutti gli amari miei su questo lido».
Mentre Pasitea, con un presagio funesto («E sento oppresso il core | Di terror non
inteso»), insieme a Eufrosina e Aglaia si appresta ad assistere il risveglio di Venere,
giunge Vulcano coi doni per sottomettere (come una prostituta) Venere («S’io non
compro l’amor, no’l trovo in dono»), ed edipicamente placare Amore.
Nell’atto secondo, Vulcano in preda al sospetto e all’ira promette l’invenzione di
«novi ingegni» di morte contro i rivali in amore, mentre Pasitea per fermarlo ricorre

Il testo è tratto dal volume Le nove Muse di Marcello Macedonio, in Napoli, ad istanza di Gio. Ruardo all’insegna
del compasso, 1614. Nato intorno al 1575 e morto intorno al 1620, Marcello Macedonio è, di norma, annoverato
fra i marinisti moderati; fu costretto all’esilio da Napoli in séguito all’impossibile passione per Isabella Sanseveri-
no, moglie di Francesco di Costanzo. Si fece poi carmelitano scalzo, e a questa conversione si deve forse l’altra sua
silloge poetica I nove cori degli angeli (Roma, 1615).

31
al cinto di Venere («Che con virtù miracolosa arresta | Gli amanti fuggitivi»). Giunge Ché senza te m’annoia
anche Marte che, dopo guerre e massacri, è in cerca di Venere, fantasma del suo L’imprigionarmi entro l’angusto speco.2
desiderio, e si presenta disarmato, servitore di Amore.
Nell’atto terzo, Venere rivela di aver nascosto Adone nell’irraggiungibile antro delle Venere.
ninfe Naiadi, mentre Pasitea le suggerisce di chiedere aiuto al Sonno per addormen- O söave, et ardente mio desire,
tare Vulcano e trasportarlo in Etna. Intanto Marte incontra Vulcano che gli svela i Che de’ begli occhi fai
tradimenti di Venere: il piacere di riscontrare nell’amore di Adone e Venere l’occa- Carceri felicissimi al mio core;3
sione per sottoporre anche Marte a un vergognoso tradimento è, infine, per Vulcano, Va’, ché non sarà lunga
più forte del dolore di vedersi colpito da un nuovo adulterio della consorte, secondo La prigion che t’è grave;
dunque una traslazione emotiva di tipo negativo.] Io cercherò Vulcano,
Che da’ lacci invisibili del sonno
Tenacemente avvinto
Atto quarto Su’l mio carro vola [a] te:
Scena prima Vo’ rimandarlo a’ suoi Ciclopi in Etna,
Venere accompagnata dalle Grazie, e dal Choro de gli Amori, E tosto al bel soggiorno io sarò teco.4
che non parlano. Adone.
Adone.
Andrò non lunge quindi
Venere.
Ne l’antico laureto
O Giorno infausto, in cui sventure nòve
Seguendo capri snelli;
Ad ogni passo incontro.
O ne l’aperta piaggia
Partito è dal palagio
Di cespo in cespo ricercando lepri,
Il vecchio, impazïente
E viva in sen t’arrecherò la preda.
De la tardanza1 mia,
E forse un’altra volta Venere.
L’agghiaccia Gelosia, Sdegno l’accende; Adone, in Cielo in Terra
E tu pur se’ partito Mio primiero diletto,
Dal ricetto gentil de l’antro lieto, Mio sovrano piacere, mia somma cura,
Fuggitivo mio dolce, S’hor mi si concedesse,
E giri incauto il vagabondo passo. Tuo vago piè seguendo,
Confonder con le tue le mie vestigia,5
Adone.
O Diva, se t’aggrada,
2 speco: ‘caverna’. Vd. Tasso, Rime 1538, 135-6 («Qual meraviglia più d’ombroso speco | Roma ci mostra?…»).
In fin che spenga il Sole L’inazione (l’acedia) e dunque l’impossibilità di desiderare, a causa del precedente abuso di piacere, sembra ciò
Ne l’onde Occidentali che spinge Adone ad abbandonare «il ricetto gentil» nel quale Venere l’aveva segregato per nasconderlo all’ira
vendicatrice di Vulcano; solo in un secondo tempo, l’emergere del desiderio virile per la caccia diverrà il motore
La face sua, ch’in Orïente accese, del funesto destino di Adone.
Io ne’ colli vicini andrò turbando 3 Che … core: suggestivo contrasto luministico fra l’oggetto (gli occhi, solitamente connotati per la loro brillan-
Con l’assalto de’ cani tezza) e la sua metafora (il carcere, topicamente “tetro e cieco”).
La pace de le belve, 4 E … teco: l’intreccio costringe Macedonio a una variazione rispetto alla materia mitologica che vede Venere
allontanarsi dall’amato non per tenere a bada l’ingelosito consorte ma per presiedere nell’isola di Cipro a sacri
offici in suo onore, come ad es. già in Parabosco, Favola d’Adone 31, 1-8.
1 tardanza: ‘ritardo’; cfr. Marino, La Sampogna 8, 1251-4 («Io, io fui l’omicida, | ché dala mia tardanza | nacque 5 Confonder … vestigia: ‘unire le nostre orme’ ovvero ‘seguirti ovunque’. Cfr. Marino, La Sampogna 8, 1174-6
la cagion vera | dela sua morte acerba»). («Ritrovò quivi giunto | le vestigia ancor fresche | dela fera superba»).

32 33
Cacciatrice et amante, E te, mio caro pegno,
Grave d’arco la man, nuda il ginocchio Mirava12 giunto a spaventosa valle
Con brieve gonna a guisa di Dïana, Cinta quasi di mura
Vorrei teco volar dietro le belve, Di selci inaccessibili, et alpestri,
E tal’hor precorrendo a luoghi noti6 Et adombrata di funerea fronde.13
Chiamarti allegra a le trovate prede.7 Intanto mi parea
Ma da me scompagnato hor non andare, Che minacciando, di lontan venisse
Giovin’ardente, a’ perigliosi studî,8 Nuvola tempestosa,
Ch’io temo lassa, e’l mio timor s’avanza9 Ch’era in parte vermiglia, in parte oscura,
Per sogno minaccioso.10 In cui si confondean l’opaco, e’l chiaro,
E formava colori,
Adone. Onde pinto appariva
Narrami che sognasti? Campion feroce, a[r]mato d’elmo, e d’hasta,
Che su le tue bellezze
Venere. Invidïoso folgorava, et empio
Era l’hora in cui l’Alba, al suo Titone Ti sommergea con sanguinosa pioggia.14
Lassa vòte le braccia, e mostra in Cielo Io bramava d’aitarti, e’ndarno apriva
Del nudo petto il natural candore, A’ lamenti la bocca, al pianto gli occhi;
Non anco involta in abito vermiglio; Finalmente mi scossi,
All’hor, che con le tenebre la luce Ché l’intenso dolor mi ruppe il sonno.
Contende de’ confini Ancor la rimembranza
Su l’emisperio nostro; De le sventure tue, benché sognate,
Quando da’ sensi men gravata vola Mi spaventa, e m’attrista.
Per entro l’ombre, e s’avvicina al vero Questi sono gli auguri
Ne le sue visïon’ l’alma presaga;11 Che mi fan timorosa oltre l’usato:15
Et io giacea d’amaro sonno oppressa: Fuggi, fuggi i perigli;
Peroché si conserva
La corona d’Amore,
6 precorrendo a luoghi noti: ‘anticipandoti nei soliti luoghi propizî alla caccia’. E tutto il mio tesoro
7 … prede: si tratta della condizione bucolica a cui si adegua Venere in alcune elaborazioni del mito; cfr. Ovidio, Nel tuo bel capo d’oro;
Met. 10, 536 e soprattutto Parabosco, Favola d’Adone 23-26 (in part. 25, 1-4 e 26, 1-3). Deh, vanne, e’l mio ritorno
8 perigliosi studi: ‘pericolosi passatempi’. Cfr. in differente contesto Marino, La Sampogna 9, 429-31 («Ah, Ne la spelonca avventurosa16 attendi.
fuggite, fuggite, | semplicetti fanciulli, | perigliosi trastulli»). L’eccesso d’ansia di Venere denota una soverchia
accumulazione di tensione sessuale dovuta alla prima, e ora seconda separazione da Adone (ulteriormente resa
reale dalla pulsione onirica).
9 s’avanza: ‘s’accresce’. Vd. Tasso, Rime 166, 1 («Se taccio, il duol s’avanza»). 12 Mirava: è prima persona del passato prossimo (con arcaica desinenza in -a).
10 sogno minaccioso: è momento topico della drammaturgia tragica cinquecentesca (si veda almeno Giraldi Cin- 13 di funerea fronde: con ogni probabilità ‘da cipressi’. Nel presago incubo della dea il locus amoenus che ha ospita-
zio, Orbecche 2615-9: «…Oltre che un sogno | Ch’io vidi questa notte e insino ad ora | Celato i’ l’ho ad Oronte, per to gli incontri amorosi con Adone (cfr. Parabosco, Favola d’Adone 20, 3-8) si trasforma in un paesaggio funereo.
non darli | Materia di più acerba e cruda doglia, | Non mi lascia sperar nulla di bene») che conta fra le sue fonti
anche il passo virgiliano di Æn. 4, 6-9, drammatizzato per la scena tragica in Dolce, Didone 178-80 («…ma certo 14 … sanguinosa pioggia: il sogno di Venere sembra descrivere attributi tipici di Marte, che in effetti sarà la causa
sogno, | C’ho fatto presso l’alba, afflige il core | E fra dubbii pensier’ sospeso il tiene»). diretta della morte di Adone.
11 Quando … presaga: ‘Nel momento in cui l’anima, libera dal peso dei dati sensoriali, s’aggira più agevolmente fra 15 Che … usato: ‘Che più del solito m’incutono timore’. Vd. Tasso, Rime 33, 1-2 («Io veggio in cielo scintillar le
i prodotti dell’immaginazione e con le sue visioni prevede più fedelmente il futuro’. Anche questo è un dato topico: vd. stelle | oltre l’usato e lampeggiar tremanti»).
ad es. Trissino, Sofonisba 101-2 («Appresso, un duro sogno mi spaventa, | Ch’io vidi inanzi l’apparir de l’alba»). 16 avventurosa: ‘fortunata’, perché riparo da pericoli esterni.

34 35
Adone. Venere.
Hor come ponno, o Dea, l’ombre notturne Ah duro, ah duro figlio
Offuscar la chiarezza D’una ruvida pianta,
Di tua mente divina? T’invita a i boschi il naturale istinto.
Ben sai, che sono i sogni Quando cangiò la sventurata Mirra
Imagini lassate L’humana forma in un frondoso legno,
Da partiti pensieri, Te poco pria concetto
E non già messaggieri Vivo serbò nel trasformato seno,
Di seguace fortuna;17 E poi ti partorì già fatta un tronco;
Perché temi vegghiando Fu la rozza corteccia
Però temi dormendo18 Il grembo donde uscisti;
Al tuo19 diletto Adone; E’n cuna d’herbe,21 e con ferino latte
Ma con saggio co[n]siglio Ti raccolsèr le Naiadi, e nutrìro;22
L’alma in vano agitata Già parto23 da le selve et hor selvaggio,
Da l’onda del timore Qual fosti di natal se’ di costumi24
Guida in porto di speme;20 Crudel’, ché più gradisci
E con viso tranquillo Di negra balza25 il boscareccio horrore,26
Il bramato diporto a me concedi. Che’l celeste seren di questo volto;
E la preda fugace
Venere. Di cercato animale
Lieta non sarò mai, se non impetra Più che la volontaria del mio core.
Da la durezza tua mercé sì giusta. O troppo amante, o rïamata poco
Divina mia beltade.
Adone. Ogni tanto schernita,
Fia tua colpa, e non mia. E perché sì fuggita?

Venere. Adone.
Ti prego per le stelle Come fia27 ch’io non t’ami,
Che ti splendono in fronte,
Per la divinità del tuo bel viso,
21 cuna d’herbe: è una ‘culla di erbe’ ad accogliere Adone appena nato, già in Anguillara, Le Metamorfosi X, 211,
Per la ferita mia, per questo pianto. 7-8 («Mentre la Dea l’accoglie e stringe al petto, | D’erbe e di fior’ le fan le Ninfe un letto»).
22 … e nutrìro: qui Macedonio segue scrupolosamente Ovidio, Met. 10, 503-18.
Adone. 23 parto: ‘partorito’.
Ah, che te stessa, e me consumi indarno. 24 Qual … costumi: diversamente in Parabosco, Favola d’Adone 14, 1-3 [«Non era Adon (quantunque male
usato | Fosse a i dolci d’amore atti lascivi) | Di fiera et orgogliosa tigre nato»]. La sottolineatura della continuità
genetica fra il comportamento di Mirra e quello di Adone vuole forse spiegare la sfortunata sorte del giovane come
17 … fortuna: la risposta di Adone ricalca quella con cui topicamente le comprimarie (sorella, nutrice, damigella) un’inevitabile conseguenza del suo incestuoso concepimento (già approfondito da Dolce, Stanze nella favola di
delle eroine tragiche tentano di lenire i timori di costoro (si vedano: Dolce, Didone 211-7; Aretino, L’Orazia 562-8; Adone 64, 1-4), mentre il fatalismo rabbioso di Venere è indice di svalutazione dell’agire umano e della determi-
Giraldi, Orbecche 2672-4; Rucellai, Oreste 341-3). Paradossalmente però sarà proprio lui la vittima dei presagî. nazione dell’accadere.
18 Perché … dormendo: qui «però» con valore consecutivo non avversativo, ‘Essendo avvinta dal timore durante 25 balza: ‘dirupo’. Vd. Marino, Rime boscherecce 82, 1 («In quell’ombrosa e solitaria balza»).
il giorno, proprio per questo hai questi timorosi presentimenti nel sonno’. 26 boscareccio horrore: ‘spaventosa selva’. Vd. Anguillara, Le Metamorfosi X, 295, 6 («Van frequentando il
19 Al tuo: ‘Per il tuo’. boscareccio sito»). Si noti il contrasto cromatico di questi due versi irrelati a chiasmo.
20 porto di speme: cfr. Tansillo, Canzoniere I, 64, 11 («mentr’al porto io ne vo de la mia speme!»). 27 Come fia: ‘Come può essere’, ovvero ‘Non è affatto vero’.

36 37
Viso onde scorga28 amor per tante fonti? E poiché al mio voler ti mostri invitto,
Come fia ch’io ti fugga, Al tuo vinta mi rendo.
Chioma ch’a te mi trahi con tanti lacci?29 Già temo che Vulcan per queste selve
O bellezza infinita, S’aggiri imperversando,
Tu se’ mar, tu se’ centro, e tu se’ sfera, E ne ritrovi insieme;
Io fiume, io peso, io foco, Segui dunque il desìo, vanne ma cauto,
A te corro, a te caggio, a te m’inalzo.30 E serba fido il patto
Idolo mio tu solo, Di non allontanarti;
Luce a gli occhi mi dài, suono a l’orecchie, Sian termini34 al tuo corso
Ristori i sensi, infondi vita a l’alma, I rosai che fan siepe
Freni le voglie, e la memoria ingombri.31 A la selva de’ lauri;
Ben sai ch’altro non cheggio, Non entrar35 la foresta in cui s’accampa
Quando posso bëarmi L’essercito ferino,
A la tua felicissima presenza. Schiva lo sdegno del rabbioso stuolo,
Ma poiché dal mio fianco Né provocarlo a pugna;
Duro caso ti svelle,32 Temi il digiuno de gli affamati lupi,
Non mi negar che con la caccia io tempri Non tentar l’unghia horribile de gli Orsi,
L’amara lontananza Né le ritorte, et arrotate zanne
De’ Cinghiali spumanti;36
Venere. E solamente a l’arco tuo fa’ segno37
O dolce bocca, o vena Fère imbelli, e secure.
De la stessa dolcezza, Deh guarda,38 Adone amato,
Meraviglia non fia se dolce parli. Ne la tua la mia vita,
Ma per tanto33 non cangi Ché quantunque immortal son per me stessa,
Il pensiero ostinato, Ha sì congiunto Amore
Et è forza ch’io ceda; Co’l tuo viver il mio,
Che son mortal ne la tua vita anch’io.39
28 scorga: vale per ‘sgorga’.
29 Chioma … lacci: è immagine stilnovistica; un esito in Poliziano, Rime 8, 7-8 («se temi ch’io non fugga, fa’ un
Adone.
nodo | della tua trezza e legami a tuo modo»). Hor da’ bando al timore,
30 Tu … m’inalzo: nuovamente Macedonio ricorre a una pluralità metaforica che qui dispiega nello spazio di tre
versi la relazione tra l’essenza dell’amata (mèta di ogni pensiero o azione dell’amante), quella dell’amato (inesora-
bilmente destinato a congiungersi con la propria ragione di vita) e la modalità di realizzazione del loro amore. Si 34 termini: ‘confini, limiti’.
noti la configurazione quasi sillogistica dei versi che presentano prima la descrizione puramente denotativa di due
entità distinte («Tu se’ … Io [sono]») e infine la definizione compiuta della relazione, anche erotica, che li unisce 35 entrar: col valore transitivo di ‘penetrare’.
(«[Io] A te corro … caggio … m’inalzo»). 36 Né … spumanti: vd. Ovidio, Met. 10, 550 («Fulmen habent acres in aduncis dentibus apri»); la sonora allitte-
31 memoria ingombri: ‘coincida con ogni mio ricordo o pensiero’. L’uso del verbo ingombrare induce alla rap- razione del primo verso prefigura efficacemente il ritmo dell’assalto feroce di cui fra poco sarà vittima Adone.
presentazione della memoria come locus, ‘contenitore’ ove sono stipate tutte le nostre sensazioni, tutte le nostre 37 a … segno: ‘mira e colpisci col tuo arco’.
riflessioni. Cfr. Tasso, Rime 941, 12-3 («né da l’inferno a me volando ingombre | la stanca mente ov’io riposi e 38 guarda: ‘conserva, abbi riguardo’, come in Boccaccio, Dec. X, 3, 36 («per che io iudico molto meglio esser
giaccia») e 1004, 9-10 («…divina tromba | par che l’accesa mente e ’l cor l’ingombri»). quella donare, come io ho sempre i miei tesori donati e spesi, che tanto volerla guardare»).
32 Ma … svelle: Adone riconosce il motivo della propria scelta venatoria, e inconsapevolmente sposta la respon- 39 Ché … anch’io: ‘Poiché, nonostante la mia natura sia e resti immortale, la potenza d’Amore ha a tal punto
sabilità dei futuri eventi nell’allontanamento di Venere. unito le nostre vite che mi sembra di partecipare alla tua essenza mortale’. Nel mito sarà proprio questo il punto
33 per tanto: l’espressione può essere ricondotta ai versi precedenti (e quindi: ‘nonostante una così meravigliosa dolente su cui Venere costruirà il suo lamento funebre: vd. Dolce, Stanze nella favola di Adone 78-9 e Parabosco,
dolcezza’) oppure considerata in senso assoluto (‘di così tanto’). Favola d’Adone 49-51.

38 39
Ché stringerò ne’ segni, Unico ogetto mio.42
Che tu prescrivi, i passi. Prendilo Pasitea, fermalo Aglaia,
Arrestalo Eufrosina.
Venere. O gloria del mio regno,
Tu parti Adon, tu parti O forze del mio figlio
Non senza i miei sospiri; Schiere invitte d’Amori,
E seguirti vorrei, ma non ardisco, A gli archi, et a’ legàmi;43
Ché se mi volgo intorno Assalite, assalite,
Parmi, che di Vulcan l’occhio nasconda E ponete l’assedio a’ passi, al core
Ogni ramo, ogni fronda. Del fèro che mi fugge.

Pasitea.
Ah, ben se’ dispietato,
Scena seconda
E di tempre di ferro
Marte, Venere, Pasitea.
Non men che l’armi hai l’alma,
Se l’amor, se l’affanno
Marte. Di costei non ti move;
Son’io, son’io presente, Se brieve tempo neghi
Spettator più geloso, A l’amante famelica il cibarsi
Vendicator più crudo De la tua dolce vista,
Del zoppo tuo Vulcano, Che satolli il digiun de gli occhi suoi.44
Che s’egli è Dio del foco, io son del ferro,
So mover’io, s’ei fabricar sa l’armi: Marte.
A la strage, a lo strazio, a la rüina Dunque a gl’impeti miei tentano opporsi
Del mio rivale indegno Lusinghe effeminate,
Non corro no, ma volo, Ritegni fanciulleschi?
Ch’assai più che l’usato hor son leggiero, Sforzerà45 questi intoppi
Fatto fiamma di sdegno, e lampo d’ira: La man che folgorante
Ecco, che’l temerario, e vile amante Rocche, mura, cittadi,
Io seguo, io giungo, io prendo, io fiedo,40 io sbrano; Spianta, abbatte, et atterra.
Già già te’l rendo, il rivedrai ben tosto
Ma lacero, et essangue.41 Pasitea.
O di nume infernal non di celeste
Venere. Superbia despettosa.
Ascolta, o desïato,
Ascolta, o sospirato 42 ogetto mio: ‘oggetto del mio desiderio’. Si vedano altre occorrenze del termine in Parabosco, Favola d’Adone
48, 8 e Anguillara, Le Metamorfosi X, 225, 7-8. Ma qui Venere sembra riferirsi a Marte («fèro che mi fugge»),
poiché cerca ipocritamente di blandirlo al fine di preservare il suo reale “unico oggetto”, Adone. È pur vero che
l’intero brano gioca sull’equivoco instaurato dalla partenza di Adone per la caccia: le ultime parole di Venere e
40 Fiedo: ‘ferisco’; vd. Tasso, Rime 49, 1-2: «Questa è pur quella che percote e fiede | con dolce colpo che n’an- ancor più la successiva battuta di Pasitea potrebbero essere infatti rivolte a un Adone ‘riluttante amante’.
cide e piace». Si noti la costruzione a climax del verso che risponde a quella del verso «A la strage, a lo strazio,
a la rüina». 43 legàmi: sono i ‘lacci’ con cui gli Amorini catturano i futuri amanti e li sottopongono al giogo di Amore.
41 lacero, et essangue: vd. Marino, La Galeria, historie, 33, 7-8 [«Questo il crin, da cui l’òr trasser le stelle, | or 44 Se … suoi: ‘Se neghi all’amante desiderosa una tua pur breve presenza che soddisfi il suo desiderio di vederti’.
tutto (ahi lasso!) lacero e vermiglio!»]. 45 Sforzerà: ‘Supererà, forzerà’.

40 41
Venere. Che s’apre sitibondo
Ah, s’ogni nodo è fral, di queste braccia Ne le viscere altrui fonti di sangue?50
Farò ceppi a’ tuoi piedi.46 O terra, fendi il seno,51
Mira che supplichevole e dolente Et immensa voragine interponi
Io ti caggio dinanzi; Tra l’innocente e l’empio;
Volgimi sparsa di seren la fronte, Aria, in cui spira52 il mio diletto Adone,
E mandami da gli occhi Di folta nube il suo bel corpo cingi,
Non fulmini, ma raggi; Et a l’horrendo assalitor l’invola.53
Bramo sol, che tu m’oda. Hor che badate ancelle?
Correte, soccorrete
Marte. Al periglio mortale
Perfida, che presumi? Del giovinetto incauto:
Con le menzogne tue forse incantarmi? Pasitea, che paventi?
Non temo le tue frodi, Deh, vanne, e ripigliando
Ch’avendo già, per attoscarti,47 armato Lo smarrito coraggio,
Di vipere la destra, Un’altra volta il nemico affronta;
Di basilischi gli occhi, Tenta di addolcirlo, e se resiste, almeno
Gli aspidi ho posti ancóra Fa’ che del vago mio perda la traccia.
A guardia de l’orecchie.48
Conosco i finti affetti Pasitea.
Dura è l’impresa, o Diva,
Vòlti al vago novel49 non a l’antico,
Ma non manca ardimento a chi l’imprende.
Ma lavori a tuo danno;
E l’arte, che tu speri
Venere.
Che mi serva di fren, valmi di sprone.
Tu non tardar Aglaia,
Corri di selva in selva,
Cerca, ritrova, cela
Scena terza Il cacciator leggiadro.
Venere, Pasitea, Aglaia, Eufrosina,
Choro degli Amori. Aglaia.
Sarò de le tue voglie
Venere. Fedel’essecutrice,
Misera, chi difende Così fussi felice.54
Il garzon delicato
Da sì feroce et implacabil mostro,
Che devora le vite, 50 fonti di sangue: l’immagine anche in Marino, La Sampogna 8, 1125 («fonti di pianto e sangue»).
51 fendi il seno: ‘apri le tue profondità’.
52 spira: si noti l’ambiguità del verbo con cui Venere designa l’amante ancóra vivo ma destinato alla morte; ‘spi-
46 Ah … piedi: ‘Se risulta inefficace ogni legame che v’è fra noi, giungerò a trattenerti con le mie stesse braccia’. rare’ può infatti significare tanto ‘esalare l’ultimo respiro, morire’ (Tasso, Rime 367, 9-10: «Cogliete, anima mia,
47 per attoscarti: ‘per avvelenarti’ col dolore della perdita di Adone. quest’alma ch’io | vi spiro in braccio…») quanto ‘respirare, essere ancóra in vita’ (Tasso, Rime 1313, 1-2: «Vostro
48 Di vipere … l’orecchie: così Marte si è reso perfettamente impermeabile alle lusinghevoli armi di Venere e può dono è s’io spiro, e dolce raggio | di sol chiaro e lucente a me risplende»).
dar pieno compimento ai proprî propositi di vendetta. 53 l’invola: ‘sottrailo’.
49 al vago novel: ‘al nuovo amante’. 54 Così fussi felice: ‘così sarai felice’.

42 43
Venere. Né posso qui frenarmi,
A te, resta Eufrosina, Ma par che reo destino
Che gridi a l’arme, et a difesa nostra M’inviti spettatrice
Chiami da le montagne A’ duri, e lacrimabili successi.59
Satiri, Fauni, Pani;
Dal mar Tritoni, e Foche;
E tutti i Numi habitator’ di Cipro, Atto quinto
Prima che con Adon cada il mio regno. Scena prima
Aglaia sola.
Eufrosina.
Io mi movo al tuo cenno O Pietade, o pietade,
Con piè tanto veloce,
O dolore, o dolore.
Che perderan con lui l’ali de l’aure.55
La pompa di Natura,
Il ritratto de’ Cieli,
Venere.
Voi, che fate fanciulli? La fortezza d’Amore,
Gite a l’onnipotente Il trïonfo di Cipro,
Vostro duce, e mio figlio, L’occhio di Citerea,
Perché venga in aita Il bellissimo Adone
A la dolente madre. S’affretta con piè freddo
Al Regno de la Morte,
Choro de gli Amori. Lacerato il bel seno
Andiam Regina, e ne vedrai ben tosto56 Da curvo acuto dente
Sotto l’insegna verde57 Di terribil cinghiale.60
Del Capitano invitto Ché ’l furibondo Marte
Con superbo apparato Del suo sdegno homicida
Di macchine amorose. Ministra feo la sanguinosa fèra,61
Armandola d’horrore.
Venere. O pietade, o pietade,
Ahi lassa, nel mio seno O dolore, o dolore.
Guerreggiano due venti, Giunta al caso funesto,
Il timore e’l dolore, A la misera vista,
E l’un mi crolla il cor, l’altro lo schianta;58 A l’amaro spettacolo,
E l’affanno mortal mi squarcia il petto, A l’horrenda tragedia,
E l’anima ne svelle.

59 A’ … successi: ‘A eventi spiacevoli e luttuosi’, anche in Marino, La Sampogna 8, 858-62.


55 Che … l’aure: ‘Che nemmeno l’aria potrà eguagliarne la velocità’.
60 … cinghiale: in conformità ai precetti della drammaturgia tragica e tragicomica cinquecentesca l’assalto del
56 ne vedrai ben tosto: ‘e ci vedrai presto’. cinghiale che porta a morte Adone non avviene in scena ma è raccontato da Aglaia qui nelle vesti del tradizionale
57 l’insegna verde: si tratta del lauro, vessillo d’amore su cui cfr. Petrarca, RVF 325, 32 («a la victorïosa insegna “messo”.
verde»). 61 Ché … fèra: ‘Poiché Marte furioso convocò la bestia sanguinaria a soddisfare nel sangue di Adone il proprio
58 Guerreggiando … schianta: la coppia anche in Tasso, Rime 310, 1-3 («Mentre angoscia e dolore | e spavento sdegno’. Si noti l’ambigua posizione di «homicida» che si può riferire allo sdegno del geloso Marte o legare, in
e timore | sono intorno al mio core afflitto e stanco»). enjambement e con valore intensivo, al termine «ministra» (‘causa della morte, assassina’).

44 45
La sfortunata amante La rasciugò co’l crine,
Abbattuta, ferita, La riscaldò co’l fiato,
Trafitta, folgorata, La riempì co’l pianto,
Si divise la gonna, La misurò con la tremante mano,
Percosse il viso, e’l petto, Vi s’internò con l’alma,
Sciolse, e squarciò le chiome, E l’habitò co’l core;68
Alzò pietose strida, O pietade, o pietade,
Sospirò forsennata, O dolore, o dolore.
Lacrimò disperata.62 Indi lo sguardo affisse
L’amato che languiva Quasi guardia gelosa
Languida accolse in grembo; A quel varco sanguigno,69
Et annegò con dolorose pioggie Per arrestar la giovinetta vita
La fronte impallidita Che minacciava fuga;
Già bel trono d’avorio,63 O quante, o quante volte
Le luci moribonde Mandò per la vermiglia, e dura via70
Già söavi fornaci,64 Un tenero pensiero,
Le guancie scolorite Quasi mesto messaggio a far offici
Già floridi giardini, D’alta compassïon71 co’l core amato;
E le labbra oscurate Vide i secreti72 de l’amico petto
Già porte di corallo,65 Per la fenestra nova,
E tutto il caro volto E le crebbe l’affanno
Già palagio ad Amore; Il ritrovar là dentro
O pietade, o pietade, L’imagin del suo viso,
O dolore, o dolore. Cui circondava un luminoso ardore; 73
Tre volte chiuse gli occhi, O pietade, o pietade,
E tre volte gli aperse O dolore, o dolore.
Su la mortal ferita;66 Al fin, rivolta al sangue
E quasi in tomba, in lei Che largo si spargea
Ogni speme, ogni gioia, Su le candide membra,
Ogni ben sepelìo.67

68 La … core: si assiste a un progressivo internamento di Venere nella ferita di Adone, quasi a voler riproporre
62 … disperata: l’intero passo amplifica Ovidio, Met. 10, 720-3, e richiama Minturno, Epigrammata de Adoni nella morte la congiunzione (se non addirittura la piena unità per fusione) reiterata dai loro corpi durante la
1-10. vita.
63 trono d’avorio: metonimia per ‘volto’. 69 varco sanguigno: si tratta forse di una variante dell’immagine della finestra del cuore (proposta poco dopo),
64 söavi fornaci: perché produttrici del fuoco amoroso che aveva invaso la dea. dove però l’accorato sguardo dell’amante si fa fermo riparo (e si ricordi che il termine ‘gelosia’ designa anche gli
scuri delle finestre) alla dipartita dell’anima di Adone.
65 porte di corallo: da dove uscivano il respiro e le parole di Adone, ovvero la sua anima.
70 vermiglia, e dura via: s’intenda ovviamente la ‘ferita’.
66 Tre … ferita: il dolore mortale di Venere è figurato dal Macedonio col ricordo dello spirare della virgiliana
Didone (Æn. 4, 690-2). 71 far … compassïon: ‘generare compassione’.
67 Sepelìo: forma arcaica per ‘seppellì’. La ferita mortale travalica la sua dimensione corporea per divenire quasi 72 secreti: ‘i penetrali, le profondità’.
obliante voragine metafisica che inghiotte il ricordo di ogni passato istante di felicità dei due amanti e la speranza 73 L’imagin … ardore: Macedonio sembra presentare un’immagine del viso di Venere aureolato, a testimonianza
di ogni futuro incontro. della ‘verità’ dell’amore di Adone.

46 47
Con fioche voci disse: Scena seconda
— O licor troppo caro Adone, Venere, Pasitea.
Non se’, non se’ tu degno Le Grazie tutte insieme, il Choro de gli Amori.
D’imporporar le spoglie
Del ruvido Cinghiale; Adone.
Non se’ bevanda degna, Diva amata, ove sei?
Che de la crudeltà spenga la sete, Lo spirto m’abbandona,
Né sacrificio degno, Qui dunque fa’ posarmi,
Onde s’honori e plachi Ché vo’ morirti in seno.
L’idolo abominevole de l’Ira.
Ma se’ veracemente Venere.
Degno ch’Amor ti faccia74 Eccomi ad abbracciarti
Il suo vermiglio mare, Moribonda mia vita.
A cui l’ampio Eritreo75 ceda in ricchezza; Datemi, ancelle meste,
Degno di congelarti Il dolce amaro peso,
In prezïosi e lucidi piròpi; E date a questo grembo
Degno co’l tuo rossore L’unico mio diletto,
Macchiar le gote candide a la luna; L’unico mio dolore.
E degno su’l matino O beltà sventurata,
Esser un vivo minio a l’orïente, Deh, come sì cangiata
E ne’ muri di lui pinger l’aurora;76 Ritorni al tuo riposo?79
E se tanto non posso, O rotta mia speranza,
Non sarai senz’honore —.77 Un tempo di diamante, et hor di vetro;80
Qui tacque, e vidi intanto Il sen, che ti fu seggio, hor t’è ferètro.81
Ogni stilla di sangue
Fatta seme d’un fior, ch’in verde stelo Adone.
Aprì porporeggianti, e fresche foglie;78 Oimè, già perdo l’aria,
Ma sento novi lai; giunge la Diva Oimè, già perdo il Cielo,
Co’l giovine infelice; Oimè, già perdo il Sole;
O pietade, o pietade, Oimè lasso, oimè lasso,
O dolore, o dolore. Fo perdita maggiore;
Già perdo l’armonia de la tua bocca,
Gli occhi sfavillanti,
74 ti faccia: ‘ti trasformi nel’ o anche ‘ti accolga come’.
Il tenace tuo crine,
75 Eritreo: ‘il mar Rosso’.
Alto conforto mio.
76 Esser … l’aurora: ‘Rosseggiare per tutto l’Oriente e far nascere nei suoi luoghi la rosea Aurora’.
77 E … honore: ‘E quand’anche non riesca a far ciò, sarai comunque diversamente onorato’.
78 Qui … foglie: contrariamente alle fonti latine e greche del mito, in cui la metamorfosi dell’intero corpo di 79 al tuo riposo: ‘al tuo luogo di riposo, alla tua dimora’ ovvero nel grembo di Venere.
Adone o del suo solo sangue avviene dopo la morte del giovane e sancisce la fine del racconto, qui l’amante di
Venere non è ancóra spirato che già dà origine a nuova vita: il percorso circolare vita-morte attivato nel mito dalla 80 diamante … vetro: con riferimento all’opposto grado di fragilità dei due materiali.
metamorfosi floreale sembra non conoscere nella versione del Macedonio tutte le sue tappe (forse a vantaggio del 81 Il sen … feretro: per l’immagine vedi anche Tasso, Rime 128, 9-11 («Muoio sovente, e ’l modo è via più fero: |
pieno funzionamento del meccanismo melodrammatico). perché al martir rinasco, e ’n sì bel grembo | non però trovo mai tomba o feretro»).

48 49
Venere. Venere.
Ah, che teco si perde Finisti, o bella vita,
E l’aria, e’l cielo, e’l sole, Né pò teco finir la vita mia.
Questa bocca, questi occhi, questo crine;
Moiono i canti miei Pasitea.
Con82 le tue dolci labbra; O vedova regina,
Spengonsi i guardi miei O suo vedovo regno,
Co’ tuoi sereni lumi; O suo vedovo figlio.
Romponsi questi lacci Fate, fate, compagne,
Co’l fil de la tua vita; Sonar le palme, e rimbombar il seno,
Ma tu già taci Adone, Lacerate i capei, le guancie arate
Et a’ lamenti miei solo rispondi Di solchi sanguinosi,
Con singhiozzi, et anheliti mortali; Incominciate homai lacrime, e lai.85
Già di verace neve
Fansi le membra tue leggiadre, in cui Le Grazie tutte insieme.
Al candor naturale È seccato il bel giglio
S’aggiunge la freddezza; Di queste piaggie odore,
E ghirlanda d’Amore;
Già l’anima gentil giunta a la bocca,
È morto Adone il bello, Adone il vago;
Quasi in pallido cespo83
Facciam de gli occhi un rio, del petto un lago.
Di rose languidette,
Scòte le piume e s’apparecchia al volo.
Pasitea.
Ah, dolcissimo Adone
Alternate i lamenti,86
Ah, non abbandonarmi;
Amoretti dolenti.
Ah, vaghissimo Adone, ah non fuggirmi;
Adone, Adone, Adone. Il Choro de gli Amori.
S’ha portato ogni raggio,
Adone. Ch’apparia nel bel viso,
O Diva hor del mio core… Lo spirto già diviso;87
Più non si vegga mai luce, o sereno,
Venere. Mora il celeste sol, spento il terreno.88
Segui84 bocca söave.
Pasitea.
Adone. La sventurata Dea per troppa doglia
…ti lasso eterna herede, io parto, ahi, ahi.

85 … e lai: con parole non differenti Marino affida alle ninfe il primo lamento per la morte di Adone (L’Adone,
82 Con: ‘al fianco, in confronto’. XVIII, 132-133).
83 cespo: ‘ciuffo’. Vd. Tasso, Rime 175, 35-6 («di mille vari fior lieta famiglia; | e se premeva un cespo o i membri 86 Alternate i lamenti: quasi a modulare un canto funebre.
lassi»). 87 Lo spirto già diviso: ‘Lo spirito vitale che ha già abbandonato il corpo di Adone’.
84 Segui: ‘Prosegui, continua a parlare’. 88 Mora … terreno: la comparazione è già in Parabosco, Favola d’Adone 8, 1-2.

50 51
Ha le voci impedite,89 E perché più mi doglia,
Ch’a l’immenso torrente de gli affanni, Già parmi di vedere,
Che dal petto di lei rapido sgorga, Che dal tuo primo sguardo
Son le labbra dolenti angusta foce. Proserpina ferita
Aspiri ingorda a le bellezze tue;94
Venere. E con atti superbi,
Et io son’immortale; Amante imperïosa,
O immortalitade, Ti lusinghi non sol ma ti minacci;
Odïosa, infelice, E ti porga sovente
Dura pena mi sei, non privilegio; La bevanda di Lete,
Hor che, spogliando il mondo, Onde la fé de l’amor nostro oblii;95
Un tesoro infinito Et io qual mi rimango?
Di bellezza, e di grazia Ahi, che tutte le pene
Ad arricchir suo regno Del carcer infernale,
Avara trahe la predatrice Morte. Se fuggon donde giungi,
Nulla di peregrin, nulla di vago Giungono donde parti,96
Resta al povero Cielo, E dal natìo ricetto
Et a l’ignuda terra; Son passate al mio petto;
Ogni felicità giunge a l’inferno, E qual sarà l’amante
E bëato non fia se non chi more. Che mi ristori mai quel ch’in te perdo:
Anima cara e bella,
L’importuno Vulcano?
Già voli su le ripe
O l’odïato Marte?
Del tempestoso e torbido Acheronte,90
Che col ferino colpo
Et91 al seren che porta
Fa stillar doppia vena
La tua dolce presenza
Dal tuo sen, dal mio core,
Torna tranquillo, e chiaro;
E già l’antiche tenebre d’abisso92 E con guardi assetati
Ti spariscon dinanzi; Si beve al sangue tuo misto il mio pianto;
E mirando il tuo volto Ah, ch’io languisco intanto.97
Han refrigerio i tormentati spirti;
Et allegrezza nova Le Grazie tutte insieme.
Rechi a gli Heroi de’ fortunati Elisi;93 È seccato il bel giglio
Di queste piaggie odore,
89 per … impedite: ‘a causa dell’eccessivo dolore rimane priva di parole’; questa disfasia verbale è prodotta
dall’ansia e dal disordine relazionale cui Venere è ora soggetta. Vd. anche Shakespeare, Venus and Adonis 222-3 94 Che … tue: ‘Che Proserpina, colpita alla prima vista della tua bellezza, sia còlta da un vorace desiderio di te’.
(«And now she weeps, and now she fain would speak, | And now her sobs do her intendments break»). Per il luttuoso passaggio di consegne tra le due amanti di Adone (Venere sulla terra e Proserpina negli inferi) e il
90 tempestoso e torbido Acheronte: vd. Alamanni, Adone 53-5 e Marino, Il Tempio 195-6 («Ma d’Acheronte insù suo valore cosmologico nella tradizione del mito si vedano Alamanni, Adone 60-2 e Dolce, Stanze nella favola di
la riva nera | Tra le pesti del baratro profondo»). Adone 80 e 83.
91 Et: con valore di nesso relativo (‘che’), come dimostra l’intera proposizione retta dal «tempestoso e torbido 95 E … oblii: l’acqua del fiume Lete è fonte di oblio per chi la beve (cfr. Virgilio, Æn. VI, 714-5), ed è quindi con
Acheronte». essa che Proserpina tenta di rimuovere dalla memoria di Adone il ricordo di Venere.
92 tenebre d’abisso: ‘le profondità infernali’; vd. Marino, La Galeria, ritratti uomini, 9, 3, 7-8 («tu l’Abisso pro- 96 fuggon … parti: la struttura a chiasmo che lega i due versi, a cui ancóra una volta Macedonio ricorre, ben de-
fondo | de la ragion, che ’n tenebre era chiusa»). scrive l’atmosfera da ‘mondo alla rovescia’ creata dal trasferimento delle bellezze di Adone nei dominî infernali.
93 fortunati Elisi: si tratta dei Campi Elisi, dimora ultraterrena degli eletti. 97 Che … intanto: nell’intero passo il ricordo di Dolce, Stanze nella favola di Adone 78, 7-8.

52 53
E ghirlanda d’Amore; Imagin di pietà, non di beltade,
È morto Adone il bello, Adone il vago; Fontana di dolor, non d’allegrezza,
Facciam de gli occhi un rio, del petto un lago. Spirato, e non spirante Zefiretto.
O pompa fatta horrore;
Il Choro de gli Amori. O manna fatta assenzio;101
S’ha portato ogni raggio, Gioia oppressa da lutto;
Ch’apparia nel bel viso, Riso immerso nel pianto;
Lo spirto già diviso, Sostenetemi ancelle,
Più non si vegga mai luce, o sereno, Che manco per affanno; 102
Mora il celeste sol, spento il terreno. E con occhi pietosi gareggiando,
Portate larghi tributarii fiumi
Venere. A l’infinito mare
Se’ morto, Adone mio, De le lacrime mie.
E chi t’ha sì mutato, Troncatemi i capelli
Orïente d’Amore, Che, morto il caro Adone,
In occaso di Morte? Han perduto il color che vinse l’oro;
Alba mia, chi t’asséra?98 Spogliate d’ornamenti
Sole mio, chi t’ecclissa? La misera bellezza
Giorno mio, chi t’annotta? Impoverita in tutto
Viso, estinto mio foco; De l’usata sua luce,
Fronte, oscuro mio cielo; Quasi Luna che manchi,
Occhi, morte mie stelle; Se le tramonta il Sole.
Bocca, muta mia cetra; E’ suoi più foschi, e vedovili manti
Chioma lucida, e cara, Per vestir il mio sen chiedete a Notte;
Perduta mia ricchezza;99 Trahete, lacerate
Bella guancia, e bel seno, La porpora già fredda
Secca mia primavera; Del mio pomposo, e corallino letto;
E leggiadra persona, Tarpate l’ali candide a’ miei cigni;
Spezzata mia colonna. E de’ marini gorghi
Deh, qual fosti, e qual sei? Fate sepolcro a l’argentata Conca,
O de l’alme più degne Mio diletto navigio;
Aperta prigionia;100 Spegnete ad uno ad uno
O stendardo d’Amore I raggi matutini
Lacero, et abbattuto; De la mia rugiadosa, e dolce stella;
O scettro del suo regno Et al fin desolate103
Calpestato, e rapito; Quanto riman di vago

98 t’assèra: ‘ti tramuta in sera’, come in G. B. Strozzi, Madrigali 153, 5 («Riedene chi n’aggiorna, e chi n’assera»). 101 O manna fatta assenzio: ‘O dolcezza divenuta insopportabilmente amara’, vd. Tasso, Rime 1654, 118-9
99 Bocca … ricchezza: anche in Minturno, Epigrammata de Adoni 21-7. («Vergine, se con labbra ancora immonde | e di mele e d’assenzio infuse e sparse»).
100 O … prigionia: si fa qui riferimento alle molte anime innamorate di Adone (e quindi sue prigioniere) che con 102 manco per affanno: ‘svengo per il dolore’.
la morte del giovane riacquistano la libertà dal giogo amoroso. 103 desolate: ‘devastate, saccheggiate’.

54 55
Ne l’amoroso impero, A scintillante, e lucido rubino,
Ch’altro che duol non chero. Che mostri a’ vïandanti
Tra profonde ferite
Le Grazie tutte insieme. Queste note scolpite:
È seccato il bel giglio
Di queste piaggie odore, Lacrima, o peregrino,
E ghirlanda d’Amore; Su questo core ardente
È morto Adone il bello, Adone il vago; Di Citerea dolente;
Facciam de gli occhi un rio, del petto un lago. Lo fa pietra il dolore,
Lo fa sepolchro Amore,
Il Choro de gli Amori. E pietoso vi pone
S’ha portato ogni raggio, Le ceneri d’Adone.
Ch’apparia nel bel viso,
Lo spirto già diviso; E così fia quest’urna
Più non si vegga mai luce, o sereno, Un’imagin verace
Mora il celeste sol, spento il terreno. De la già fabricata entro il mio petto,
A punto nel mio core,
Venere. Per le107 mani d’Amore.
Ma qual sarà la tomba, e quai l’essequie
Degne di sì bel corpo. Le Grazie tutte insieme.
Fate, o ministre mie, Sepolto in sì bel seno
Che i più scelti scalpelli di Corinto Non hai d’invidïar, garzon felice,
Intaglino un Colosso La sepoltura occidental del Sole:108
D’elitropia sanguigna,104 Quei, morendo la sera
O viva statua d’alabastro puro, Nel gran tempio del Cielo,
O vago Mausoleo d’agata pinta; Ha l’occaso per tomba,
O che i fabri di Memfi E par, che sopra lei
In forma di Piramide superba Un nobil Epitafio
Aguzzino il topazio; Con caratteri d’or scrivan le Stelle;
O ch’inalzin da terra Ma son pompe nascoste
Un’Iride ingemmata,105 Fra tenebre profonde.
Il giacinto106 inarcando su’l zaffiro, E tu Sole amoroso
E curvando il zaffir su lo smeraldo; Ricettato109 in quel core,
O quel che più m’aggrada, Non se’ già sepelito
Fate da mano egregia Fra l’ombre de la notte,110
Darsi figura d’infiammato core

104 elitropia: è un minerale di colore verde cupo cosparso di macchie rosso sangue; nell’antichità gli veniva attri- 107 Per le: ‘A opera delle’.
buito il potere di rendere invisibile chi lo teneva con sé. 108 La sepoltura occidental del Sole: ‘Il tramonto’.
105 Un’Iride ingemmata: ‘Un insieme di gemme che abbia tutti i colori dell’iride’. 109 Ricettato: ‘Conservato’.
106 giacinto: è un’altra pietra preziosa, di colore rosso-arancio. 110 l’ombre de la notte: atmosfera tassiana, Rime 1251, 39 («ne l’ombre oscure de la notte amica»).

56 57
Ma ne l’inestinguibile Orïente Serva al tristo trïonfo
D’un cielo più lucente. De la nimica morte;
E per l’Isola tutta
Venere. Ogni piaggia, ogni bosco,
Intanto voi fanciulli, Ogni valle, ogni monte,
Spogliate l’ali d’oro, Ogni fiume, ogni vento
I cuturni d’argento, Acquisti senso,114 e con humana voce
Le divise dipinte, Si lagni, et alzi un doloroso oimè;
Le faretre pompose, E con questo apparecchio115
Gli archi e i dardi rompete, Si porti a sepelire
E le faci spegnete. Il cadavero amato.
Sian divisi gli offici: Ma certo non andrai solo a la tomba.
Parte su’l corpo essangue Adone, eterna morte
Faccia cader con odorosa pioggia De l’immortal mia vita;
I colorati nuvoli di fiori; I’ vo’ sempre non solo
Parte co’l pianto il bagni; La memoria nel cor, ma ne le braccia
E con le bende sue parte il rasciughi; Le tue ceneri fredde, e l’ossa ignude;
Parte di largo nettare l’asperga, Che per accompagnarti
E sopra gli distilli (Poiché morta non posso)
Il balsamo, e la mirra; Sarò con ferma voglia
Parte a le care membra Del tuo bel sasso habitatrice viva;
Faccia volar intorno Se mi è tolto il morire
L’odorifero spirto Possomi sepelire,
Del nardo, e de l’amomo;111 Ahi ahi ahi ahi.
E d’esalato incenso
Folta nebbia distenda; Il Choro de gli amori.
Parte sopponga112 gli homeri a la bara Già non pote honorarsi
Di cipresso, o di cedro; Adon più degnamente,
E recidete tutti Che con le ricche tue lacrime, o Diva,
I be’ crespi capelli, Che prodiga in lui spandi.
E qual di coltra d’oro Son fatti alberghi al pianto
Copritene il feretro;113 I begli occhi divini
D’ispido pin vestite il nudo capo, Che fùro stanza a l’allegrezza, al riso;
E dite lamentando Scorrono amareggiati i dolci fonti;
I funerali carmi; E si mirano oscuri
E’l mio gran figlio squallido, et inerme I duo lucenti specchi;
Veggiam le fiamme vive inumidirsi;
111 nardo … amomo: erbe odorifere.
112 sopponga: ‘supponga’ ossia ‘sostenga con’.
113 … feretro: per l’intero passo si veda Bione, Epitafio di Adone 77-81, letto nel volgarizzamento di Alamanni, 114 Acquisti senso: ‘Si animi’.
Adone 103-8. 115 apparecchio: si tratta dell’intera cerimonia funebre poc’anzi descritta da Venere.

58 59
E per duol distillarsi il sole in acqua;
E senza nube il ciel sciogliersi in pioggia;
E l’alme luci, in cui
Il meriggio d’Amor cocente ardea,
Hor molli, e cinte di vermigli giri
Son trasformate in rugiadosa Aurora.
Fansi conche marine
Le due celesti sfere,
E si cangiano in lor le stelle in perle.
Misero Adon, ma fortunato intanto
Che lo bagna il tuo pianto. DRAMMA IN MUSICA

60
Ottavio Tronsarelli
da La catena d’Adone. Favola Boschereccia
(Venezia, 1627)

INTERLOCUTORI.

APOLLO.
CICLOPI Ministri di Vulcano.
FALSIRENA.
IDONIA Consigliera di Falsirena.
ADONE.
ORASPE Governatore de’ luoghi di Falsirena.
ARSETE Consig[liero]. di Falsir[ena].
PLUTONE.
VENERE.
AMORE.
ECHO.
CHORO di Ninfe.
CHORO di Pastori.
BALLARINI.

ARGOMENTO
della Favola.

Adone fuggendo lo sdegno di Marte, arriva tra’ rozzi Boschi, antiche habitazioni
della Maga Falsirena, dov’ella di lui s’innamora; con apparenza di Giardini l’alletta,

L’edizione del libretto da cui si trascrive è La catena d’Adone. Fabola Boschereccia d’Ottavio Tronsarelli. All’Illu-
striss. Sig. Camillo Baglioni, Venezia, presso Giacomo Sarzana, 1627 (testo confrontato con quello per la partitura
musicale, a stampa, La catena d’Adone posta in musica da Domenico Mazzocchi, Venezia, appresso Alessandro Vin-
centi, 1626, oggi leggibile in anastatica per Forni, Bologna, 1969). L’Allacci (Drammaturgia, 1755, col. 169) riporta
una prima edizione in Viterbo, per il Discepolo, 1626, e una a Roma, per Francesco Corbelletti, 1626. Dell’autore,
d’area romana, si ricordano altri drammi musicali tra cui Il ritorno d’Angelica nell’Indie (edito a Roma nel 1632),
e un poema eroico (Il Constantino, Roma 1629; ma cfr. il lungo elenco in Leonis Allatii, Aper Urbanae, sive de viris
illustribus, Romae, Ludovicus Grignanus, 1633), operante per il teatro musicale comunque nel filone coltivato da
Giulio Rospigliosi, con la drammatizzazione di episodî celebri tratti da opere letterarie; si ricordi, infine, che la fonte
mariniana (1623), è di poco precedente la riscrittura del Tronsarelli. Nel catalogue di O. G. Th. Sonneck è riportato
anche il titolo del dramma: Il ballo de’ segni celesti (in un atto e senza menzione del compositore, Roma 1632).

63
con una Catena incantata il ritiene, con preghiere il persuade, e con forza l’assale. Già scopersi a Vulcan l’occulte frodi
Ma nulla giova al temerario desiderio. Onde la Maga con accortezza giudica ch’egli De l’impura d’Amor Madre fallace,
abbia il cuor acceso dell’amore d’altra Donna. Però invoca Plutone, per saper da lui E con lei vidi entro prigion tenace4
chi sia la sua Rivale, et inteso ch’era Venere, in virtù dell’arte Magica prende l’aspet- Il Dio del ferro avvinto in ferrei nodi.
to della Dea, e si presenta inanzi al travagliato Adone, il quale la stima per la sua Ond’io, che disvelai la colpa antica,
amata Venere, e mentre presta fede a tal menzogna, in aria apparisce la vera Venere, Provo ogn’hor contro me folgori d’ira;
che già aveva placato lo sdegno di Marte, scopre al caro Adone gl’inganni della falsa Ed ella intanto per Adon sospira,
Dea, e per castigo fa ch’ella da Amore sia legata ad uno Scoglio con l’istessa Catena Ad ogn’altro gioconda, a me nemica.
che aveva stretto l’incantato Garzone. Poi Venere, Adone, et Amore tornando al loro Hor che fugge il Garzon gli altrui furori,
albergo, e cantando la lor vittoria, riempiono di concento i campi, e di contento i Vèr l’Antro di Vulcan volgo le piante,
cuori. E d’odii vago, e di vendette amante,
Questa Favola è tolta dalla Prigione d’Adone del Cavalier Marino, e posta in questi Se baleno splendor, fulmino horrori.
versi dal Signor Ottavio Tronsarelli.1 Vuò, che con tempre sovr’humane, e nòve,
Vulcano in aurei nodi Adon ravvolga,
E da l’amor di Venere il ritolga
PROLOGO. Laccio famoso d’incantate prove.
Apollo. Ciclopi. Cessi per me con miserabil gioco
Ogni cara tra lor gioia gradita,
ARGOMENTO. Poiché giusto mi par, che porga aita
Viene Apollo sopra una nuvola; espone chi egli sia, e come tra Venere e lui son nate Il Dio dello splendore, al Dio del foco.
gravissime cagioni d’odio, e si duole ch’ella intanto si viva lieta dell’amore d’Adone.
Però scende nel piano d’una Scena, che rappresenta ombroso Bosco, e determina Ciclopi.
d’andare all’Antro di Vulcano, marito di Venere, e discoprirgli quest’amore, e far Le Saëtte
da lui fabricare una catena di tempre divine per imprigionare il Garzone e tenerlo Sovr’i rei,
lontano da Venere, et in tal guisa egli offender la Dea, e Vulcano vendicarsi d’Adone. Son vendette
S’apre la prospettiva, e si muta nella Grotta di Vulcano, dove si scorgono i Ciclopi De gli Dei.
che battendo le saette a Giove, cantano allegra canzone. Apollo entra. La Grotta si Ma tra noi
chiude, e ritorna la Prospettiva con aspetto boschereccio. Più n’offende
L’empio Amor co i dardi suoi.
APOLLO. Le facelle
De’ puri campi Regnator lucente2 Son’ardenti,
Abbandono del Ciel la via serena, Le fiammelle
E scendo a l’altrui danno, a l’altrui pena, Son cocenti;
Nume più d’odii, che di raggi ardente.3 Ma ne’ cori
Più sfavilla,
1 Questi … Tronsarelli: queste ultime precisazioni sono presenti soltanto nell’ed. della partitura del 1626; il canto Più scintilla
del Marino cui qui ci si riferisce è il decimoterzo, di cui si trascrive il breve argomento, in versi, di apertura: «Tenta L’Aspro Amor co i suoi furori.
la maga invan l’arti profane | poi schernir cerca Adon, sott’altra forma; l’addormenta, l’inganna e lo trasforma; |
egli fugge, altri il segue, ella rimane.||».
2 Regnator lucente: forse memoria di Ariosto, O.f. III, 3, 4 («rendesti grazia al regnator de l’etra»), poi in una 4 prigion tenace: è la rete fabbricata da Vulcano per Amore, e descritta, per altro contesto, anche in Marino,
prospettiva più mobile ed espressiva in Tasso, G.l. XVIII, 68, 8 («a l’unno regnator de l’Aquilone»). L’Adone VII, 223, 2-4 («l’arredo indissolubile e tenace, | dico la rete, che con tanto ingegno | fu già d’Etna tessuta
3 ardente: nel doppio senso di ‘desideroso’ e ‘acceso’. a la fornace») nonché XVIII, 3-6.

64 65
ATTO PRIMO. Mirasti il biondo Apollo
scena prima. Incurvar l’arco, e saëttar le belve?
Falsirena. Idonia.
Idonia.
ARGOMENTO. Ah, ch’egli ha di costui
Esce Falsirena Maga, et insieme con lei Idonia consigliera d’amore. Costei narra Pregi tanto minori;
alla Maga come in quel Bosco è giunto vaghissimo Garzone in habito di Cacciatore, Quant’egli i corpi, e quest’impiaga i cori.
e con facondia le descrive la bellezza di lui sì rara, e maravigliosa, ch’ella se n’in-
vaghisce; e determina d’abbandonar gl’incanti, per seguire gli amori. Ma da Idonia Falsirena.
è consigliata a non tralasciargli. Anzi per poter più agevolmente allettare, e ritener Dimmi dunque qual Nume
il Garzone, è essortata a cangiare quel rozzo Bosco in ameno Giardino, accioché Raccolto in mortal velo
egli a tal vista raffreni il passo, e la Maga abbia facile occasione di ritrovarlo a Qui spande eterno lume,
quelle vaghezze intento. Onde Falsirena con Idonia partono ad incantare il Bosco, E lieto cangia queste piagge in cielo.
e tramutarlo in Giardino.
Idonia.
Falsirena. Questo novello Amore
E qual dolce novella, De’ crini il bel tesoro
O cara Idonia i’ sento, Torce in annella d’oro.7
Ch’erri tra questi campi Ne la fronte ha’l candore
Alma sì bella, De l’argentato giglio.
Del gran regno d’Amor sommo contento?5 Distinto in vivo ardore
Di geminata stella, è’l doppio ciglio.
Idonia. La fronte ha di diamante.
Hor hor, che facea segno, Tra perle, e tra rubini
Su’l mattin rugiadoso, Colorisce il sembiante,
D’inargentare6 il Ciel l’Alba ridente, Qual con vario color mostrar si suole
Vidi aspetto sì degno, Su i matutin’ confini
Tra questo Bosco ombroso La Rosa emula a l’Alba, e pari al Sole.
Far de la sua beltà mostra lucente, E sembra Amor, poiché qual aura, o lampo
E parve il Sol che precorresse l’Alba. Instabil gira, o corre a volo il campo.
Se non ch’il suo splendore
Avanza l’Alba, et è del sol maggiore. Falsirena.
Deh più non spirar8 voglie
Falsirena. A l’avido desio;
Forse tra queste selve Ché söave si scioglie
In dolcezza il cor mio.
5 sommo contento: ‘altissimo contenuto’, ma nel senso di ‘massimo esempio’, con lo stesso valore simbolico in
Dante, Inf. II, 76-7 («“O donna di virtù, sola per cui | l’umana spezie eccede ogne contento …”»).
6 inargentare: ‘illuminare con riflessi argentei’; ancóra, nella storia del teatro musicale, si ricordi «Casta Diva 7 De’ crini … d’oro: cfr. Marino, L’Adone XVIII, 151, 3-4 («Oh qual onta a le guance, oh qual oltraggio | fece a
che inargenti | queste sacre antiche piante» di Felice Romani per Norma (1831) di Vincenzo Bellini (vd. Libretti le chiome innanellate e terse!»).
d’Opera italiani dal Seicento al Novecento, a c. di G. Gronda e P. Fabbri, Mondadori, Milano 1997, atto I, scena 8 spirar: ‘ispirare’, nel senso di ‘sollecitare’ ad effetto la volontà, come in un soffio parlante, il desiderio dell’Altro,
iv, p. 1240). proprio come in Petrarca, RVF 266, 5 («Poi quel dolce desio ch’Amor mi spira»).

66 67
Idonia. Idonia.
Per pompa9 di se stessa Ove’l guardo raggira,
Più leggiadra fattura10 A quel sembiante adorno
Dal suo mirabil seno L’aër chiaro si mira,
Non partorì Natura. Si raffrena il giorno.
Ha cinto al fianco intorno
Il risonante corno, Falsirena.
E su l’homer portando arco dorato, Deh, che vinta mi rendo,15
Lo strale ha in mano, e la faretra a lato. E d’incognito foco il core accendo:
Amante è in me la fede.
Falsirena. Ciò che l’occhio non scorge, il pensier vede.
Sì gran beltà celeste, O meraviglie al mondo altere, e sole,
Ben ch’a le luci11 ignota, Son lontana, ed avvampo;
Mi rende amante il core; Mi struggo a i raggi, e non ho visto il Sole.
Ch’anco il bello del Cielo, Dunque lunge da me magici accenti,16
Bench’invisibil sia, Poich’Amor più di voi
Con occulta virtù12 l’alme innamora. Ha degne l’opre, et ha famosi i vanti.
Idonia. Idonia.
A fiori d’or contesta O stolta pria ch’amante.
Di fin vermiglio tinge
Anzi sol la Magia
La prezïosa vesta,
A l’impresa d’amor scorta ti sia.17
E di zona13 di perle il seno cinge;
Desta ne’ campi ogni suo riso i fiori,
Falsirena.
Apre ne’ corpi ogni suo passo i cori.
Avanza l’arti Amore.
Falsirena.
Per vaghezza sì degna, Idonia.
Per aspetto sì raro Amor senz’arti mòre.
Provo amor, e no’l miro,
E pria ch’avvampi, a incenerire14 imparo. Falsirena.
Amor sdegna fierezza.
9 pompa: ‘sfoggio, vanto’.
Idonia.
10 fattura: ‘creatura’, come in Dante, Purg. XVII, 102 e anche in Marino, L’Adone XII, 136, 2.
Ma non odia vaghezza.
11 a le luci: ‘agli occhi’.
Vorrei che questi Campi,
12 occulta virtù: il sintagma in Marino, L’Adone XV, 180, 7.
13 zona: (lat.) ‘fascia, cintura’, termine già dantesco (Par. X, 69), di provenienza scritturale, per cui v. Mt 10,
9 («Nolite possidere aurum neque argentum neque pecuniam in zonis vestris»); qui sta per ‘bordo’ (della vesta),
come ad es. in Marino, L’Adone XX, 232, 1-4 («Venere una cintura allor gli dona | c’ha di sottil riccamo i guerni-
menti, | e son d’oro le brocche, ond’a la zona | s’affibbian col tirante i perpendenti»). 15 mi rendo: ‘mi arrendo’.
14 incenerire: sta per ‘morire consumato’ (d’amore); il Battaglia cita Chiabrera («Incenerisco | a’ tuoi bei rai, | 16 magici accenti: il sintagma a fine verso anche in Marino, L’Adone XIV, 240, 4.
che tanto amai»), ma vd. anche Della Casa, Rime XXI, 3-4 («che da’ begli occhi, ond’escon le faville | che sole 17 Anzi … sia: un consimile invito di Idonia a Falsirena in Marino, L’Adone XII, 264, 7-8 («Se pur alfin non
hanno vigor cenere farmi»). gioveran quest’armi, | giovi la forza: il tutto ponno i carmi»).

68 69
Al suon de’ maghi18 accenti, cosa nella Scena, che non gli rappresenti imagine di spavento. Onde lasso, e dolente
Rendessi a lui d’ogni beltà ridenti. chiede al Cielo qual fine averanno i suoi travagli. Echo gli risponde, il consola, l’af-
Ond’allettato dalla ricca pompa fida, e gli annuncia, che in quel luogo, et in quell’istesso giorno ha da ritrovare la
De la superba Sede, sua desiderata Venere, lieto si mette a riposare sotto un elce, e per la stanchezza ivi
Qua il cor volgesse, e qui fermasse il piede. s’addormenta.

Falsirena. Adone.
Piace l’amico avviso. Rapido a par de’ venti
Forse vista sì degna Lunge fugga il mio piede,
Qui fia, che’l piè ritegna E di Marte crudel l’ire paventi.
A la nova beltà di Paradiso. Per Venere la bella
Contro me fiero spira
Idonia. Il bellicoso Dio
Indi tra pompe altere Turbini di terror, fulmini d’ira,
A la brama del core Ma più che’l crudo Marte
L’alletterai con lusinghieri accenti, A la vendetta intento,
Poiché s’avvanza19 tra le pompe Amore. Me medesmo pavento:
Poiché fuggo i furori,
Falsirena. E mi cingon tra’ boschi ombre d’horrori.
A tempo, o lieta Idonia, Deh (lasso) che vegg’io,
D’allettamenti accorti E qual ombra spirante21
Saggia maëstra sei, Segue il mio piè tremante?
Onde per te riporti
O mio spirito22 insano,
D’ogni sua guerra il cor dolci trofei.
Dubbioso di me tremo,
Ma più non si ritardi:
E fatt’ombra d’horror, l’ombra mia temo.23
Al mio mago valore
Segui, segui il cam[m]ino,
Spiri’l campo vaghezza, e l’aria amore.
Che spesso a pronto24 cor fausto è’l destino.
Ma qual spina, qual sasso
Mi tronca il calle, e mi sospende il passo?
scena seconda.
Adone. Echo. O mia vista schernita,

ARGOMENTO.
Adone arriva in Scena timoroso dell’ire di Marte che, avend’anch’egli saputo i20 novi 21 ombra spirante: ossimoro per ‘morto che parla’, con forte connotazione fantasmatica della produzione illusoria
del soggetto, di cui sembra evidente la continua messa in scena del desiderio, e in quanto operazione difensiva nei
amori della sua amata Venere con Adone, era sceso in terra per vendicarsi contro’l confronti del principio di realtà; per l’uso (più tecnico) vd. Marino, L’Adone VI, 74, 8 («tra figure spiranti ombra
Garzone, il quale ha tema sì grande, che gli cagiona alla vista varie illusioni, né v’è dipinta»).
22 spirito: la stampa riporta «spiriti»; il termine designa il complesso delle facoltà intellettuali e psichiche.
23 E … temo: è difficile non leggere in questa declinazione dell’ombra in quanto emblema della condizione di
incertezza e di dubbio, non rappresentazione della presenza di un male assoluto ma emersione infantile di un
18 maghi: ‘magici’. primitivo perduto e rimosso, come un lato della personalità goffa, inadatta e dunque antieroica di questo Adone;
19 s’avvanza: ‘si fa avanti, cresce’. un’identica percezione di perdita (ma qui nel senso della Virtù) in Petrarca, RVF 119, 99.
20 i: la stampa «in». 24 pronto: nel senso di ‘coraggioso, risoluto’.

70 71
Ombra d’horror mentita. Adone.
Se non che forse (ahi cieco) Ah perch’in tanti affanni
Tra così duro errore Di trovar’il suo ben l’alma dispera?
Spine mi son le cure, e sasso il core.
Ma dove il piè rivolgo? Echo.
Arresta il passo, arresta, Spera
Ch’odo di flebil voce
Risonar la foresta. Adone.
Folle: l’aura mi scherne. E fia, che lieto il core
Anzi pietoso il vento Tra sì folt’ombre il suo bel Sole26 ammiri?
In sì mesti susurri
Forse parla con me del mio tormento; Echo.
E, per fuggir la téma, Miri.
In vano i passi scioglio;
Ché, se temo l’horror, nel sen l’accoglio.25 Adone.
Ma chi fra tanto fia, Ma quando avvenir dee,
Ch’in sì remoti boschi Che per Venere in sen gioia m’alloggi?
M’additi il giusto fin de l’error mio?
Echo.
Echo. Oggi.
Io.
Adone.
Adone. Dunque piaggie ridenti
E chi sei tu, che meco Più che de’ vostri fiori,
Parli da cavo sen d’ignoto speco? Liete de’ miei contenti,
Sol fia che per voi spiri, e in voi dimori.
Echo. E sotto il vel frondoso
Eco. Di quest’Elce gradita,
Avido27 di riposo,
Adone. Lusinghi28 la mia speme, e la mia vita.
Quella, ch’a l’altrui voglie Per la fuga già stanco,
Con presaghe risposte il ver discioglie? Carco d’acerbo duolo,29
Giaccia languido il fianco,
Echo. E gli sia piuma l’herba, e letto il suolo.
Scioglie.
26 bel Sole: Venere.
27 Avido: perché stanco.
25 Ché … accoglio: in Adone l’interiorizzazione del tremendum, in un misto di paura dubbî e allucinazioni visive
e foniche, concorre finalmente ad arginare le cause invalidanti la sua volontà cui, non a caso, alla ricerca di aiuto 28 Lusinghi: nel senso di ‘conforti, consoli’, e memoria di Petrarca, RVF 211, 3.
che segue, solo Eco (che è fenomeno di ripetizione e automatismo estraneo alla rappresentazione) potrà risponde- 29 acerbo duolo: vd. Petrarca, RVF 92, 5 («Io per me prego il mio acerbo dolore») e Della Casa, Rime 79, 4
re, invitandolo a sperare (sentimento estraneo a quello del timore). («torna a sfogar il suo acerbo dolore»).

72 73
scena terza. Fra bei nembi di fior’ Zefiro il volo.
Falsirena, Idonia, Adone, Choro di Ma che veggio! ove sono!
Ninfe, e di Pastori, Ballarini. E qual per gli occhi al core
Meraviglia mi scende?
ARGOMENTO. Giace Amor senza bende,
Falsirena dentro la Scena dice aver già incantato il Bosco, per farlo divenir Giar- Il sol le luci ser[r]a,
dino. Idonia le risponde, che vuol restare a custodire quegl’incanti. Falsirena poi E’l cielo è sceso in terra.
esce fuori in Scena, e veggendo Adone addormentato, et al volto, et a gli habiti Ah, ch’ho presenti i rai
riconoscendolo per quello che poco prima Idonia le aveva descritto, prorompe in Di chi lontan bramai:32
parole d’eccessi d’amore. A quelle voci si risveglia Adone, il quale è da Falsirena Quest’è’l sembiante istesso,
invitato alle vaghezze di quel Bosco. Adone dolente del suo stato, non ama quelle Ch’Idonia a me descrisse.
vaghezze, ed ella non cessa di pregarlo; finalmente Adone ricordandosi, che ivi A l’arco,33 al volto il riconosco, è desso;
(come Echo aveva predetto) doveva ritrovare la sua Venere, accetta l’invito; e, Ch’in terra beltà degna,
mentre vogliono partire, si muta la Scena in delizioso Giardino. S’apre la prospet- E somma leggiadria
tiva, e si vede nell’estremo di essa una Fonte bellissima con spaliere30 d’alberi, in Non può vedersi, che di lui non sia.
mezo a’ quali stanno con ordine fraposti, Ninfe, Pastori, e Ballarini. Il Choro di Falsirena, che miri,
Ninfe, e di Pastori invita Adone a quelle delizie. Entrano Adone, e Falsirena. Et i A che più dubbia stai,
Ballarini alla loro presenza fanno danze intramezate con canti, e con passeggi.31 Come in sì vago Sole il guardo giri,
Tutti poi ritornano dentro la Prospettiva, la quale si riserra, e si cangia anch’essa Né ti struggi34 a l’ardor di sì bei rai?
in apparenza di Giardino. Avvampo a un tempo, e gelo,
Et in sì dubbie tempre
Falsirena. Non discopro i sospiri, e non gli celo.35
Tanto basti a l’incanto;
Poiché sì vago è il loco, Adone.
Che può con sommo vanto E chi dal mio riposo
Ogni anima di giel render di foco. Desta a suon di lamenti il cor doglioso?
Idonia. Falsirena.
Ed io qui resto intanto Una, ch’in lieto seno
Tra quest’ombre selvagge,
D’ombre più vaghe, e chete,
A goder l’aure, e custodir le piagge.
Tra mirabili pompe
Dolce t’invita a più gentil quïete.
Falsirena.
Già di vaghezza intorno
Ho’l piano, e’l colle ornato, 32 Ah, … bramai: cfr. Marino, L’Adone XII, 175, 5-6 («Questi son pur que’ luminosi rai | che già tanto fuggivi:
E pronto a un cenno solo or gli hai da presso»).
Ha per me dispiegato 33 arco: è l’arco della fronte, come in Poliziano, Stanze I, 116, 1-2 («Dall’uno all’altro orecchio un arco face | il
ciglio irsuto lungo ben sei spanne »).
34 struggi: iperbole, per ‘consumi’.
30 spaliere: ‘intelaiature’ ma, per estens., nel senso di ‘disposizione in serie’, come in Marino, L’Adone VII, 101, 35 Avvampo … celo: del lungo soliloquio di Falsirena, descritto in Marino, L’Adone XII, 198-207, non restano
1-2 («Vi fan vaghe spalliere ombrosi e folti | tra purpurei rosai verdi mirteti»). qui che poche, funzionali reliquie (come, ad es., 203, 1-2: «Io gelo dunque, io ardo, e non sol ardo, | son trafitta
31 passeggi: ‘successione di passi danzati’, Battaglia rimanda a Caroso. e legata, e ’nsieme accesa»).

74 75
Adone. Ché, s’indovina è l’alma,
Donna (se pur del Ciel Diva non sei)36 Qui sol presago il core
Le grazie io non disdegno; Spera d’impetrar posa38 al grave errore.
Ma per ira de’ Dei
Son tra mie pene d’ogni pompa indegno. Falsirena.
Deh vieni alma gradita,
Falsirena. E prenda homai ristoro
A bellezza celeste Da i travagli la vita.
Nemico il Ciel non fia. Vita, per cui mi mòro;
Deh vieni, anima bella, Che tra l’adorne piante
(Poco men che non dissi anima mia) Ti chiama a dolci scherzi il cielo amante.
Ch’in sì ricche foreste
Mirerai di stupore opra novella; Adone.
Ché ne’ selvaggi spirti Da la brama invaghito
Regna ancor gentilezza, Di cangiar’il tenor del mio destino,
Aman le palme, e i mirti, Ecco, movendo il piè, seguo l’invito.
E sanno i campi37 ancor ciò ch’è bellezza.
Falsirena.
Adone. Rida l’auretta amante
A Cacciator silvestre Al bel seren del tuo divin sembiante.
Più che vista leggiadra, E tra canti, e tra balli
Piace rigido bosco, e rupe alpestre. Ti si scopra giocondo
Novo ciel, nova terra, e novo mondo!
Falsirena.
Di questa ombrosa Sede Qui escono i Ballarini.
È vaga ogni pendice.
Anzi v’è fèra in essa, Choro di Ninfe e di Pastori.
Ch’ogni gran preda eccede, Mira, mira gioioso
E chi prender la può, rende felice. De la Fonte l’aspetto,
Qua, qua volgi il desio; Godi, godi festoso
Ah, che fèra è’l mio cor, preda son’io. Del Giardino il diletto.

Adone. Comincia il Ballo.


Forse fra tante gioie in questa selva
(S’Echo il vero predisse) Choro di Ninfe e di Pastori.
Hoggi trovar potrei Qui fonte sorge
La söave cagion de gli error’ miei. Al puro seren,
Che nembo piove
36 Donna … sei): identico l’attaco in Marino, L’Adone XII, 253, 1, con assimilazione di 256, 7 («Dunque, terrena
dea, donna divina»).
37 campi: per estens. ‘campagna’, con rif. al locus amoenus come in Petrarca, RVF 35, 1-2. 38 posa: ‘quiete, fine’, come in Dante, Purg. 18, 32-33 e Petrarca, RVF 195, 9.

76 77
Di scherzi ripien.39 Qui l’aria spande
Sonoro move Adorno il suo vel,
Tra vago terren, E spiega amante
V’è lusinghiera Le gioie del Ciel.
L’alata Schiera,
Che scioglie a’ venti I Ballarini passeggiano.
I suoi concenti.
L’antro risponde Choro di Ninfe e di Pastori.
Dal concavo sen. Mira, mira gioioso
Qui fonte sorge De la Fonte l’aspetto,
Al puro seren, Godi, godi festoso
Che nembo piove Del Giardin il diletto.
Di scherzi ripien.
Segue il Ballo.
I Ballarini passeggiano.
Choro di Ninfe e di Pastori.
Choro di Ninfe e di Pastori. Qui d’or la Rosa
Mira, mira gioioso Colora il suo crin,
De la Fonte l’aspetto, E cinge le spoglie
Godi, godi festoso Di vivo rubin.
Del Giardino il diletto.
Diamanti accoglie
Il bel Gelsomin,
Segue il Ballo.
Porporeggianti
Son gli Amaranti,
Choro di Ninfe e di Pastori.
Avorio è’l viso
Qui l’aria spande
Del bel Narciso,
Adorno il suo vel,40
E spiega amante Son de l’argento
Le gioie del Ciel. I Gigli più fin’.
L’auretta errante Qui d’or la Rosa
Avviva ogni stel, Colora il suo crin,
Produce il suolo E cinge spoglie
Pomposo stuolo, Di vivo rubin.
E’ suoi tesori
Son lieti fiori, I Ballarini passeggiano.
Che sprezzan l’ire
Del rigido giel. Choro di Ninfe e di Pastori.
Mira, mira gioioso
De la Fonte l’aspetto,
39 Qui … ripien: cfr. Marino, L’Adone XII, 161, 5-6 («che ’n larga pioggia a guisa di tempesta | l’acque a la conca
inferïor dispensa»). Godi, godi festoso
40 Qui … vel: in rif. ai profumi diffusi per l’aria, con forte sollecitazione sensoriale. Del Giardino il diletto.

78 79
Idonia persuade Falsirena a tentare l’arte magica per sapere di chi sia innamorato
Segue il Ballo. Adone. Le ninfe, i pastori e i ballerini col canto e la danza imitano, nel «Ballo del
Furore», quello di Falsirena.
Choro di Ninfe e di Pastori. Nell’atto quarto, Idonia racconta i preparativi al rito magico di Falsirena, che appa-
Qui ricca brina re «tutta accesa di furore» mentre invoca Plutone: «Su su dagli antri de l’eterno oblio
Imperla ogni fior, | Altero sorgi a memorabil’ prove; | E del mio crudo Peregrino errante | Dispiegami
E smalta il prato l’amor, scopri l’amante». Ma dall’inferno, Plutone dopo un primo rifiuto svela essere
Di puro tesor. Venere la sua rivale. Falsirena delibera allora: «Con imagin furtiva, | Con magico
Il Poggio ornato sembiante | Fingerò’l volto de la bella Diva, | De la rivale imiterò l’aspetto, | Et usa a
Ha pregi d’amor; l’arti ingannerò l’amante». Ninfe e pastori, spaventati, fuggono dal giardino.]
A tal bellezza,
A tal vaghezza
Sfavilla il giorno ATTO QUINTO.
Di raggi adorno, scena prima.
Zefiro versa Adone.
Sospiri d’odor’.
Qui ricca brina ARGOMENTO.
Imperla ogni fior, Adone ne’ suoi travagli misero, e dolente si lamenta d’Amore, si rammarica della
E smalta il prato Fortuna, e si querela co’l Cielo, ch’in quei Boschi gli avesse promesso il contento de
Di puro tesor. i suoi desiderii, e pur’altro41 da lui non provare, che gravezza di danni.

Qui si rientra. Adone.


Amor non sia chi speri
Choro di Ninfe e di Pastori. In gioia humana e frale,
Mira, mira gioioso Se de’ tuoi van’ piaceri
De la fonte l’aspetto, È lieve moto, e son fugaci l’ale?42
Godi, godi festoso Né più Fortuna infida
Del giardino il diletto. Sia de’ nostri desiri amica guida,
Se tra’ miei gravi affanni,
[Nell’atto secondo, Oraspe introduce l’invisibile Catena fabbricata da Vulcano: «a Men’aspri, e men spietati
chi d’intorno al seno cinta fosse, frenava sì fattamente il piede, ch’egli non poteva al- Non miro i Cieli, e non conosco i Fati.
trove torcere il passo, né prendere la fuga». Con Arsete, esitante, e Idonia, raggiun- Forse era poco (ahi stelle)
gono il Palazzo d’oro dove Falsirena si lamenta, mentre Adone in altra stanza riposa Che nato d’empio incesto al mondo sono,
dormendo. Falsirena vuol porre fine ai suoi timori incatenando Adone, mentre Arsete S’anco da voi rubelle
le oppone l’irrazionalità di una tale azione sottomessa al desiderio. A me tolto non era il regio trono?43
Nell’atto terzo, Arsete, che non ha potuto fermare Falsirena, le predice «ogni sinistro
avvenimento». Adone, che si è liberato «Da le braccia impudiche | De l’empia Falsi-
41 pur’altro: ‘ciò nonostante’.
rena», tenta di fuggire, ma essendone impedito invoca Venere. Lo insegue Falsirena
42 Amor … ale?: vd. Marino, L’Adone XIII, 117, 1-2 («— Amor insidïoso, i tuoi piaceri | com’han l’ali — di-
a cui dice: «Deh sdegna Amante ignoto, | Né peregrina fiamma il cor t’accenda», per cea — veloci e lievi!»).
poi scappare senza poter fuggire. Falsirena disperata, si dice «Prigioniera di lui, 43 Forse … trono?: vd. Marino, L’Adone XIII, 121, 1-4 («Ed a te non bastò, cruda Fortuna, | farmi nascer d’ince-
ch’in carcer chiudo». Intanto, mentre le ninfe e i pastori festeggiano nel giardino, sto in lido estrano, | d’ogni paterno ben fin da la cuna | spogliarmi, e’l regno mio tormi di mano»).

80 81
Dunque, o rigidi Cieli, terna,47 quasi il core sia presago de gl’inganni della perfida Maga. Ma essa, per fargli
Vostri doni saran danno, e tormento? creder più facilmente la menzogna, dice male di se medesima, l’avvertisce che non si
Sì; ché spesso dal duol nasce il contento. fidi di Falsirena, e che, quanto in quella ha scorto, tutto è stato arte. Anzi di più gli
Ama dunque l’affanno, soggiunge, che se per sorte vedesse un’altra Donna simile a sé, che rappresentasse
Né paventar le doglie. l’aspetto di Venere, punto non le creda, ché sarà Falsirena, che per ingannarlo gli si
O stolto; ahi, che dal duol pianto s’accoglie,44 mostrarà in sembianza di Venere. Adone a sì grand’avviso, stimandola veramente
Deh, che nato a i martíri, Venere, gode, e gli mostra affetti di singolare amore.
Aura di vita45 avrò sol ne’ sospiri.
Ma che penso, e che parlo? Falsirena.
Già di Venere privo, D’acque Magiche48 sparsa
Hor de’ miei sensi manco, io più non vivo.46 Vagamente ho rivolto49
Troppo, ahi troppo ria sorte, Nel sembiante di Venere il mio volto,
A che più saëttar, chi langue a morte? Né, per compir gli inganni,
O mio grave martiro, Altro mi resta homai,
Languente vissi, et infelice spiro. Che rimirar del mio bel Sole i rai.
Aspro, e fiero Destino,
E qual a miser’alma Adone.
Speme di pace doni, O Cieli, e che vegg’io?
Se né pur’anco a i Re crudo perdoni? Amante a me ritorna
E pur con grati accenti La bella Madre del vezzoso Dio.
A le mie dure pene,
A i miei gravi lamenti Falsirena.
Promettesti di pace aure serene. Deh come a tempo giunsi,
E chi fia più, ch’in terra Ecco il mio crudo Amore;
Fede a i mortali presti, Contro me, contro altrui
Se mentiscon la fede anco i Celesti? Arte spiri il mio sen, fraude il mio core.

Adone.
scena seconda.
Ond’è, ch’il tuo ritorno
Falsirena. Adone.
Sì tardi, o Dea, per mio conforto rieda?
Sì che Vener ti miro,
ARGOMENTO.
Né fia, ch’a l’opre tue Vener ti creda.50
Falsirena se ne viene tramutata in aspetto di Venere; onde Adone, stimandola vera
Venere, ne sente gran contento. Ben’egli è vero, che prova in sé una repugnanza in-

47 repugnanza interna: ‘resistenza interiore’.


44 s’accoglie: ‘si raccoglie, si ottiene’. 48 acque Magiche: il sintagma in Marino, L’Adone XVI, 211, 1; ma qui il passo dipende da XIII, 156, 1-2 («E con
45 Aura di vita: è l’aria vitale, condizione prima dell’esistenza, come in Della Casa, Rime 88, 14 («l’aura vital Idonia far l’ultime prove | del beveraggio magico risolve»).
più cara e più serena»). 49 rivolto: ‘cambiato, trasformato’.
46 … non vivo: lo sfogo monologante di Adone contiene memoria di Marino, L’Adone XIII, 90, 1-6 («Miseramente 50 Né … creda: la querela di Adone sembra dettata più che da un reale sospetto nei confronti di questa Venere
in questo mezo Adone | in dura servitù languia cattivo, | passando la più rigida stagione | squallido, afflitto, e quasi travestita, da una stizzita reazione affettiva dopo la prolungata attesa, indice comunque di una persistente imma-
men che vivo. | Oltre il disagio e ’l mal de la prigione, | e l’esser del suo ben vedovo e privo …»). turità emozionale e egocentrata che lo trattiene, però, dall’inganno.

82 83
Falsirena. Adone.
Qua tardo mossi il piede, O stelle, e chi mi porge
Per prender del tu’amor più degna fede. In tanto mal, conforto?
E lieta godo intanto, Ah ch’Adone io non sono,
Ch’intrepido hai schernito O pur’Adone in tanta gioia è morto.54
De l’empia Falsirena il grave incanto.
Ah, che da brame oppressa, Falsirena.
Sol per amar’altrui, biasmo me stessa.51 L’ingiusta Falsirena,
La dislëal Tiranna,
Adone. T’ingombra il sen di pena.
Per te, per te, mia Dea, Su, l’alma al ver si desti.
Schernii l’arte, e gli amori Né fede a l’empia dia,
De l’empia Donna, e rea.
Poich’è tutt’arte in lei, quanto scorgesti.
E pur (ahi dura sorte)
Anzi da te non s’oda,
Hora presso il mio bene
S’hoggi qui forse inante
Anco fiere nel sen provo le pene.
Altra Donna t’appaia a me sembiante,
Falsirena. Sotto imagin furtiva
L’empia accorto fuggisti, Sarà la Maga, e sembrerà la Diva.55
Ch’ella con gravi inganni
È ministra d’error’, fabbra di danni. Adone.
Però di me t’accendi, A così degno avviso56
Riconosci te stesso,52 Hor sì, che ti conosco
E al mio ritorno l’amor tuo riprendi. Vero Nume immortal di Paradiso.
Hor sì, che per te spiro,
Adone. E più, che nel sen mio,
Io t’amo, o caro ben, Venere bella. Nel tuo cor, nel tuo amor vivo son’io.
Ma che (lasso) prov’io?
Par, che l’alma rubella Falsirena.
Sdegni che d’amor parli a l’amor mio.53 Dunque liete, e ridenti

Falsirena.
54 Ah … morto: ‘se non la riconosco non son più io, oppure non lo sono (e dunque sono morto) per la troppa gioia
Deh ch’in lui la Natura, di rivederla’. Il dubbio che blocca la capacità deliberante di Adone convoca nel distico l’ambivalenza, in questo
Quasi scorga l’inganno, stadio della sua coscienza, di amore e odio, figura della sessualizzazione del pensiero in cui ha luogo il conflitto
Con odio occulto contro me congiura. irrisolto tra mascolinità e femminilità. Soltanto il ripristinto, come dispositivo autoritario, di una procedura di
esclusione — la logica vero/falso che a livello discorsivo è ristabilita nella successiva battuta da Falsirena — dà la
possibilità a Adone di uscire dal dubbio, rimuovere l’interdetto senza però emanciparlo.
55 Né fede … Diva: in Marino è avviso di Mercurio a Adone prigioniero: «L’altro inganno di più gli spiana e snoda
51 Ah, … stessa: quest’ultimo inciso è, naturalmente, come fra sé. | del contrafatto e magico sembiante, | e dice, che non miri, e che non oda | l’istessa Dea, se gli verrà davante: |
52 Riconosci te stesso: è mistificazione della nota sentenza antica, che di fatti tornerà nel finale, correttamente ch’altro non fia ch’insidia, altro che froda, | che s’apparecchia a la sua fé costante: | ché sotto finta imagine e furtiva
replicata da Amore, nell’atto di liberazione di Adone dagli incanti della catena. | sarà la Donna, e sembrerà la Diva» (L’Adone XIII, 131).
53 Par, … mio: l’intensa reazione affettiva di Adone che sdegna ciò ch’egli sembra non riconoscere come veritiero, 56 avviso: ‘ammonimento’; di nuovo una risposta che si inscrive nell’ordine dell’impulsività (Adone è qui pronta-
non deriva direttamente dalla sfera razionale (ossia come il risultato del funzionamento di un ordine), ma richia- mente riconoscente per il contrabbando che Falsirena sta facendo della verità). Tuttavia, la facile persuasione di
ma l’orientamento inconscio (ciò che sùbito Falsirena chiama «Natura» di Adone) delle esperienze emozionali nel Adone, tutta soggettiva, è tale perché attraverso il discorso Falsirena ha inibito la verità delle sue emozioni, e ha
pensiero del corpo. agito sui soli fattori razionali dipendenti dall’autorità del linguaggio e non dalle politiche del corpo.

84 85
Spirin l’alme, e le menti; Che riflette la vista emola imago,57
A te su questi prati E partorisce in Ciel Vener novella.
Versin nembi di fior’ zefiri alati,
Per te goda il mio core, Amore.
E trïonfi d’amor la Dea d’Amore. O meraviglie rare,
Ond’incerto il cor’erra:58
Doppia Madre m’appare,
scena terza. L’una in aria soggiorna, e l’altra in terra.
Venere, Adone, Amore, Falsirena,
Choro. Falsirena.
Deh, che l’inganno mio
ARGOMENTO.
Già già veggio svelato.
Viene intanto la vera Venere per aria sopra una nuvola, ha seco Amore, e si rallegra
O Cielo, o Sorte, o Fato.
di mirare Adone; ma poi veggendo che Adone lei non rimira, par che se ne doglia.
Adone scorge doppia Venere, et è incerto di se stesso. Amore riconosce due madri, e
Venere.
resta confuso. Falsirena però, non perdendosi d’animo, si sforza di dar’ad intendere
E come al mio cospetto
ad Adone che l’altra è la falsa Venere, di cui già gli aveva ragionato, e ch’essa è la
vera. Venere allhora comanda ad Amore che scioglia Adone dalla Catena incantata, Adon gli occhi non giri,
che gli è cagione d’ogni male, e con l’istessa per castigo incateni Falsirena ad uno E te medesmo espresso in me non miri?
scoglio. Ciò da Amore vien eseguito, et Adone libero riconosce la vera Venere; mira
tornare alla Selva l’aspetto naturale, e della Dea dolcemente gode. Si canta la vittoria Adone.
di Venere, e con vaghezza di suoni, e con diletto di voci termina l’inganno di Falsi- E dove sono (ahi lasso)
rena, e la prigionia d’Adone. Doppia Venere miro.
Né so dov’io rivolga il guardo, o’l passo.
Venere, e Amore. Forse furori spiro,59
Florido nembo E, qual priva di senno anima suole,
Dal suo grembo Miro gemino il raggio, e doppio il Sole.
Lieto sparga il Ciel’intorno,
Chiaro giorno Falsirena.
Spieghi lampi di fin’oro, Dunque ancor non comprendi,
Gli sdegni cedono I fallaci sembianti?
Di crudo cor,
Le gioie riedono
Di vago amor. 57 emola imago: descrive l’irruzione del doppio, nella forma (infernale) del riflesso celeste; ricorda l’alterazione
dell’immagine speculare in Dante Purg. 25, 26 («guizza dentro a lo specchio vostra image»), nonché la stretta
Veggio Adon che lieta honoro, correlazione tra realtà e copia sempre in Purg. 10, 39 («che non sembiava imagine che tace»); in un pur differente
Miro Adon, che dolce adoro. contesto di rappresentazioni fantasmatiche, si ricordi la tassiana «fallace imago», evocata nel mezzo del concilio
dei dèmoni (G.l. XIII, 4, 5-8), o della scena del sogno in Ariosto, O.f. VIII, 84, 1-2 («Senza pensar che sian l’ima-
gin false | quando per tema o per disio si sogna»).
Adone.
58 erra: (figur.) ‘ondeggia, sbaglia’.
E che rimiro? (ahi stelle)
59 furori spiro: ‘vaneggio’ ossia ‘sto dando i numeri’; questa perdita del dominio di sé è, naturalmente, program-
Co’l suo sembiante vago ma in Ariosto, O.f. I, 2, 1-4 («Dirò d’Orlando in un medesmo tratto | cosa non detta in prosa mai né in rima: | che
Splende chiara tra noi Vener sì bella, per amor venne in furore e matto, | d’uom che sì saggio era stimato prima»).

86 87
Deh saggio60 al ver t’apprendi,61 Falsirena.
E scorgi in me gli amori, in lei gl’incanti. O d’ogni mia possanza
Abbattuta virtù, morta speranza.
Adone.
Posto tra pari aspetto, Venere.
Dal falso il ver non scerno;62 Vanne, Figlio, e co i lacci
E per volto conforme ho dubbio affetto. La rubella incatena.
Ah che languido vissi Sovra lei, che l’oprò, cada la pena,
D’una Venere privo. E avvinta a duro scoglio
Hor due (lasso) ne miro, Freni le voglie sue, tempri l’orgoglio.
E ne la copia lor misero io vivo.
Adone.
Falsirena. O ne le gioie ancóra
L’altra schernir tu déi, Aspra mia vita, e dura,
E me solo pregiar, dolce mia vita; S’amaro ogni diletto in me dimora.64
Ché, se folle non sei,
Chi pria ti porse aita Amore.
T’è più vera d’amor Vener gradita. Dal laccio, e dal cordoglio
Io, che l’alme incateno, il sen te scioglio.
Venere. Conosci te medesmo.65
E lieve del tuo pondo
Taci Donna fallace,
A i contenti d’Amor spira giocondo.
Cede a più degna forza anima audace.
Te, te66 con nodo acerbo
Contra la Maga infame
Cinga l’aspra Catena,
Vanne, Figlio söave,
Et in Scoglio superbo
E sciogli Adon dal magico legame;
Provi il tuo grave ardir rigida pena.
Ond’in pena sì grave
Salvo da servitù dolce respiri, Falsirena.
Libero da gl’incanti il ver rimiri; O miei folli desiri!
Ch’a me son note a pieno Ecco, o stelle, vi cedo;
L’arti furtive de l’ardir terreno.63 Ecco vado a i martíri,
Alma d’ardir languente
Amore. Tal nel fallir, qual ne l’amar dolente.
Eccomi, o Madre mia, Vinta, o Cieli, m’accuso
Pronto a gl’imperi tuoi, Dal proprio inganno mio.
Et ogni cenno tuo legge mi sia. Et al tormento parto. Incanti a Dio.

64 S’amaro … dimora: in riferimento al perdurare del suo stato di prigionia.


60 saggio: ‘saggiamente’.
65 Conosci te medesmo: letteralmente ‘comprendi da solo la verità’ e più propriamente ‘prendi coscienza del tuo
61 t’apprendi: ‘rivolgiti’. passato stato di prigionia e dell’inganno subìto’, ma nel ritorno di questa sentenza sembra ulteriormente racchiu-
62 scerno: ‘riconosco’. dersi, in una prospettiva evolutiva, un invito a Adone a fare anche esperienza di crescita psichica.
63 terreno: ossia ‘mortale, non divino’. 66 Te, te: a Falsirena.

88 89
Venere. Adone.
Parti rubella, parti; Godo, o mia Dea d’Amore,
Et al tuo partire intanto Che la tua man gradita
Si discioglia ogni error, parta ogn’incanto. M’avvinca il corpo, se mi vinse il core.
Né già per te, che m’ami,
Adone. Pavento altri legami,
O come a questa selva Che paventar non po’ maggior’ catene,
Riede il nativo aspetto, Chi’l possente d’Amor laccio sostiene.
E libera da forze
Dolce ogni gioia mia torna nel petto. Venere.
Già placati i furori
Venere. De l’adirato Marte,
Tempra a la vista mia, Che geloso fremea de’ nostri amori,
O sospirato Adon l’aspro tormento. Amante a te ritorno,
Scaccia ogni doglia ria, E a scherno de le Stelle
Ch’ove Vener dimora, ivi è’l contento. Veggio nel volto tuo più vago giorno;
Miro ne gli occhi tuoi faci più belle.
Adone.
Hor sì ch’intendo a pieno Adone.
Qual forza al passo errante Ed io lieto ne’ danni
Ponea per mio martir rigido freno.67 La tua bellezza rara
Onde ben co’l tuo volo Scorgo avvampar qual rosa, arder qual stella,
Accorresti, o gran Diva, Se pur’ha stella il chiaro Cielo sì chiara,
Al mio d’affanni lagrimevol duolo; Se pur’è rosa in bel Giardin sì bella.
Ch’anco la Stella tua su l’alta Mole
Al lagrimar de l’Alba apparir suole. Amore.
Son per te scinto,68 è vero; A duro Scoglio affissa
Ma di quelle ritorte. Sta la Maga confusa70
Più tenace, e più forte Ne l’arti sue, ne l’ardir suo delusa.
Hor laccio tra noi fia Noi dunque lieti intanto
L’amor tuo, l’altrui sdegno, e la fé mia. Tra söavi concenti,
De la vittoria celebriamo il vanto.
Venere.
Anzi, per far d’amor prove veraci, Venere.
Ecco il Cinto mi scingo,69 Sì sì cara mia spene,
Catenato mi piaci, Gradito Tesor, vago mio Bene.
E co’l legame de gli Amor’ ti stringo.
Adone.
Sì sì mia vera aita,
67 Hor … freno: Adone è promosso alla comprensione della realtà soltanto dopo che la sfera emozionale è stata Bramata beltà dolce mia vita.
ristabilita (con il precedente: «ogni gioia mia torna nel petto»), ed è tornata a sostenere la sua facoltà di agire.
68 scinto: ‘liberato’ dai legami («ritorte») della catena.
69 scingo: ‘slaccio’. 70 confusa: ‘sconfitta’.

90 91
Amore, Venere, et Adone. Risuoni l’aria ogni hor,
Sì, sì, sì, sì, sì, sì, Spieghi con dolci accenti
Bramata beltà dolce mia vita. Di Vener l’amore, d’Adone l’error.
Qua canora,
Là sonora Tutti.
L’aria giri, Lieto dopo l’errore
L’aura spiri Giunge Adone a goder la Dea d’Amore.
Dilettosa, Ch’arde di lieto zelo,
Amorosa; Chi dopo i falli fa ritorno al Cielo.
Ch’entro una nube si riserra
Il Sol del Cielo, e de la Terra.
Al concento, IL FINE.
Al contento
Ogni fonte,
Ogni Monte ALLEGORIA
Sia dolcezza, della Favola.
Sia vaghezza.
Ch’entro una nube si riserra Falsirena da Arsete consigliata al bene, ma da Idonia persuasa al male, è l’Anima
Il Sol del Cielo, e de la Terra. consigliata dalla Ragione, ma persuasa dalla Concupiscenza. E come Falsirena a
Idonia facilmente cede, così mostra ch’ogni Affetto è dal Senso agevolmente su-
Amore.
perato. E se finalmente a duro Scoglio è legata la malvagia Falsirena, si deve anco
Dunque intanto fra’ boschi
intendere che la Pena al fine è seguace della Colpa.
Vaga l’aura ragioni,71
Adone poi, che lontano dalla Deità di Venere patisce incontri di varii travagli,
E fuor de gli antri foschi
è l’Huomo che lontano da Dio incorre in molti errori. Ma come Venere, a lui ritor-
Dolce l’Echo risuoni.
nando, il libera d’ogni affanno, et ogni felicità gli apporta, così Iddio, dopo ch’a
Lieto dopo l’errore
Giunge Adone a goder la Dea d’Amore. noi ritorna co’l suo efficace aiuto, ne fa avanzare73 sopra i danni terreni, e ne rende
Ch’arde di lieto zelo, partecipi delli piaceri celesti.
Chi dopo i falli fa ritorno al Cielo.

Primo Choro di dentro.


La selva con bei canti
Gioisca al nostro süon.
Sempre lodar si vanti
Di Vener gli amori, gli errori72 d’Adon.

Secondo Choro di dentro.


Gioconda al vol de’ venti

71 ragioni: nel senso di ‘si diffonda’.


72 errori: la stampa riporta «error», con effetto ipometro, ma non nell’ed. 1626. 73 avanzare: ‘superare, migliorare’.

92 93
MUSICA IN COMMEDIA
Paolo Vendramin
L’Adone. Tragedia musicale
(Venezia, 1640)

ILLUSTRISSIMO
Signore Signor,
E PADRON MIO
Colendissimo.

Le Deità introdotte per Personaggi nelle Scene di quest’Opera, sono delle maggiori
tra le altre favoleggiate1 da gli Antichi, onde volendo io dedicarla, ricercano di ne-
cessità ch’io la presenti ad uno de’ primi Soggetti che risplendano tra la vera Idea de
gli Heroi, che illustrano il nostro secolo. A V[ostra]. S[ignoria]. Illustrissima dunque,
che per lo splendore della nascita, per la Virtù, e per lo valore non solo si mostra sin-
golare tra gli altri che vivono, ma avanza2 anco quelli de’ secoli passati, io vengo a far
dono di questa Favola, che in picciolezza di volume viene da gl’intendenti giudicato
che contenga in sé tutti i lumi delle Poetiche bellezze, e tutte le vaghezze di Pindo.
Così io nel rappresentarla musicalmente avessi avuto ventura di non essere uno de
gl’ultimi professori dell’arte, come il Teatro di V[ostra]. S[ignoria]. Illustrissima, nel
quale si è rappresentata, è il più nobile di quanti hoggidì n’abbia l’Italia. L’accetti
V[ostra]. S[ignoria]. Illustrissima con quella gentilezza ch’è propria di lei, mentre io
con quella devota riverenza ch’è propria di me, humilmente gliela consacro. E con la
dovuta osservanza a V[ostra]. S[ignoria]. Illustrissima m’inchino.
Di Venezia, li 21. Decembre 1639.
Di V[ostra]. S[ignoria]. Illustrissima
Humiliss[imo]. e divotiss[imo]. Servitore
Francesco Manelli.

L’edizione da cui si trascrive è L’Adone. Tragedia musicale Del Clarissimo Signor Paolo Vendramino. Rappresenta-
ta in Venezia l’anno 1639. All’Illustrissimo Signor Antonio Grimani fu dell’Illustrissimo Signor Vettor. In Venezia,
presso il Sarzina, 1640. L’autore, con ogni probabilità, fu un aristocratico poeta dilettante, associato all’accademia
degli Unisoni, creata da Giulio Strozzi e che aveva come associati, fra altri, Gian Francesco Loredano e Ferrante
Pallavicino. A lungo le musiche per L’Adone del Vendramin sono state erroneamente attribuite a Claudio Monte-
verdi. Sul vero autore, Francesco Manelli, che firma qui la prima lettera di dedica, si vd. ora Pierluigi Petrobelli,
Francesco Manelli. Documenti e osservazioni, in Chigiana, xxiv, 4, 1967, pp. 43-66.

1 favoleggiate: ‘immaginate, fantasticate’.


2 avanza: ‘supera’; cfr. Ferrari, Il pastor regio I, ii, 105 («avanzerò nell’odio anco l’Inferno»).

97
LETTERA le. Pane, ch’era invaghito di tutte tre le Grazie, conoscendo la difficoltà di possederle,
volontariamente l’abbandona. Et esse, in compagnia di Marte e de gli Amoretti, con-
Del Signor ducono in Cielo Ciprigna, che toccata poco innanzi dal sonno era stata, dormendo,
consolata dalla figura di ADONE.
VENDRAMINO.

Al Manelli.
INTERLOCUTORI.
Intendo, che V[ostra]. S[ignoria]. vuol porre alle Stampe l’ADONE. Me ne rincresce La Morte fa il Prologo.
altretanto, quanto m’ha già doluto la sua risoluzione di farlo recitare non ostante Adone.
la mia lontananza, ch’è a dire senza i lumi più necessarii dell’apparenze3 co’ quali Venere.
doveva illustrarsi l’azione. Intorno a cui debbo dirli, che se (a pena abbozzata) a me Marte.
è convenuto di abbandonarla, toccherà a lei di darli quello studio e quella diligenza Amore creduto Celindo.
che io non ho potuto, e che merita il far recitare un’Opera a Venezia, e questo è Diana.
quanto al rappresentarla. Quanto all’imprimerla poi, se V[ostra]. S[ignoria]. non Pane.
vorrà rimetterci di coscienza,4 sarà obligata di publicare, con quel volumetto, un Priapo.
altro volume di scuse, che saranno a pieno accettate da chi saprà la brevità del tem- Sonno.
po in cui l’ho formato; e l’angustia di quello, in che mi son partito e dall’opera, e Echo.
di costà, quando più ferveva il bisogno della mia presenza. Prego dunque V[ostra]. Nunzio.
S[ignoria]. a precorrere i miei incolpamenti, con una dovuta protesta. Mentre per Nano.
renderla acreditata potrà allegare mille attestati, ma in particolare quello del mio
Nana.
Illustrissimo Signor Pietro Michiele. E qui resto, raccommandandomi caramente a
Choro di Grazie.
V[ostra]. S[ignoria].
Choro di Amorini.
Di Bologna, li 16 Decem[bre]. 1639.
Choro di Cacciatori.
Choro di Cacciatrici.
ARGOMENTO.
Choro di Fiori.
Adone, navigando per li Mari di Arabia, è portato dalla Fortuna alla Spiaggia di
Cipro. Amore, ché offeso, è fuggito da Venere, quivi in forma di Pastore lo accoglie, e
valendosi di esso, per mezzo di vendicarsi colla5 Madre, lo conduce in luogo dov’ella,
cercando Cupido, è sforzata6 innamorarsi di ADONE. Egli se ne passa a goder colla
Dea, la quale essendo intracciata7 da Marte, a lui vengono i suoi amori accennati da
Echo. Marte sdegnàtone fieramente, conferma in Diana disgustata la risoluzione di
vendicarsi con ADONE, che capitando alla caccia cade nell’ira d’un’istigato Cignia-

3 apparenze: ‘spiegazioni chiarificatrici’.


4 rimetterci di coscienza: ‘farsene scrupolo, pentirsene’.
5 colla: ‘nei confronti della’.
6 sforzata: ‘costretta a’.
7 intracciata: ‘inseguita’.

98 99
LA Se stupor, se pietà fia, che v’ingombre,
Spettatori a tal fin fattevi accorti,
MORTE. Ch’i diletti de l’huom tutti son corti,16
E le gioie d’Amor tutte son’ombre.17
PROLOGO.

Fuor de la cruda, e tenebrosa Corte8 ATTO PRIMO.


Io vengo a funestar un dì giocondo, SCENA PRIMA.
Perché sappia il Mortal, che sempre al Mondo Venere, Amore, Marte.
Miete messe d’Amor falce di Morte.
Voi, che torpete9 in amorosi errori Venere.
Hoggi imparate a l’altrui caso amaro, Più non può del tuo pianto
Che la felicità non ha riparo L’onda lusingatrice
Per la10 voce fatal11 che dice: Mori. Sommerger nel mio sen l’ira, ch’avvampa;18
Spinge il Tempo crudel rapido passo Più non ti val l’incanto
Dietro l’humana fuga;12 e l’huom, ch’è cinto De’ sospiri sommessi,
D’amorose catene, a terra spinto, De gl’affettati amplessi:
Batte co’l suo cader l’ultimo sasso.13 Troppo tardi ti penti
Tal caderà de l’amorosa Dea D’avermi posto in seno
L’incauto Amante a satollar Natura;14 I tuoi fieri tormenti.
E’l Talamo cangiato in Sepoltura Hor che gl’usci apre l’alba al re de l’Hore,
Trasformerassi Cloto15 in Citerea. Oh quanto fia veder vago, e giocondo
Piover rugiade al Mondo
Il pianto de l’Aurora, e quel d’Amore!
8 Corte: è l’inferno; nel Ballo delle Ingrate di Ottavio Rinuccini (1608) viene chiamato da Amore: «tenebroso
impero» (v. 9), mentre Plutone («de la morta innumerabil gente | tremendo Re») così si rivolge alle Ombre d’In-
ferno: «o de l’infernal corte | feri ministri, udite!» (vv. 28-9); più in prospettiva, v. il prologo di Speroni, Canace Amore.
1-2 («Uscito dello ’nferno, | Vegno al vostro cospetto»).
O Madre, o cara Madre
9 torpete: ‘siete inoperosi’, ossia deboli e fuori dal tempo (di cui fra poco) della storia, come in rif. paradossale
a Dio prima della creazione, in Dante, Par. 29, 19 («Né prima quasi torpente si giacque»); in quanto indice di (Ohimè, ch’io non mi fido,
pigrizia, indolenza e debolezza vd. Petrarca, RVF 335, 11 e Tasso, G.l. XV, 44. Per lo timor d’articolar le note)
10 Per la: ‘dalla’. Perdona al tuo Cupido
11 voce fatal: ribaltamento, per quel che segue, della prospettiva escatologica in Iob 5,25: «Venit hora, et nunc Per quell’Eterno Padre,
est, quando mortui audient vocem Filii Dei et, qui audierint, vivent» («chi ascolta la mia parola e crede a colui che Che gira in Cielo le superne Rote:
mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita»); ma si ricordi
anche, sempre dalle testimonianze scritturali, la fatalità della voce divina in Iob 37,4 («et non retardabit, cum Questa è pur quella bocca,
audita fuerit vox eius»), già fondazione dell’origine in 2 Sam 22,14 («et Excelsus dedit vocem suam»).
12 l’humana fuga: cfr. Petrarca, TT 67: «Veggio or la fuga del mio viver presta»; come monito anche in Shake-
16 Ch’i diletti … corti: ricorda l’oraziano «nihil est ab omni | parte beatum» (Carmina II, 16, 27-8); con valore di
speare, Venus and Adonis 129 («Make use of time, let not advantage slip»).
pronuncia poetica, ideologica e normativa, anche in apertura di Marino (L’Adone I, 10) e Ronsard (Adonis, vv. 3-4).
13 l’ultimo sasso: è la pietra tombale, come in Petrarca, RVF 323, 10, e cfr. Shakespeare, Venus and Adonis 757
17 E le gioie … ombre: la sentenza, di natura scritturale (Iob 8,9 e 14,1-2), ricorre anche in Seneca, Ep. 88,
(«What is thy body but a swallowing grave»).
47 («Tota rerum natura umbra est aut inanis aut fallax»), ma forse qui ricalca Petrarca, TE 64-6 («quel che
14 Tal … Natura: la sentenza consuona con Shakespeare, Venus and Adonis 10-1 («Nature that made thee with l’anima nostra preme e ’ngombra, | dianzi, adesso, ier, deman, matino e sera, | tutti in un punto passeran
herself at strife | Saith that the world hath ending with thy life»). com’ombra»).
15 Cloto: una delle moire o parche (con Làchesi e Àtropo), più precisamente quella che fila lo stame della vita, 18 Più … avvampa: l’iperbole d’avvio è una variante di Petrarca, RVF 237, 23-4 («… et de li occhi escono onde
immaginate vecchie e sporche. | da bagnar l’erbe, et da crollare i boschi»).

100 101
Che ti sugge la mamma, Scuotiti22 pur, se sai,
Da cui la tanto cara Tu non mi fuggirai.
Per te se n’esce ancor voce di Mamma.
Amore.
Venere. Mira Madre a’ tuoi piè quel, ch’a’ suoi piedi
Scilinguato19 artifizio, Vide soggette e le Provincie, e i Regni.
Che guida chi li crede al precipizio! Et asperge d’Oblìo
Con tronche parolette I miei lievi trascorsi, e i tuoi disdegni:
La tua lingua crudele Hor non ti prega, o Madre,
Sotto saggio di mèl,20 tòsco promette. Bocca mortal, ma ti scongiura un Dio.

Amore. Venere.
Bella Diva, che disse O rozza, od eloquente
Già mai questa mia bocca, onde il tuo figlio La favella d’Amor sempre si mente.
In odio così fiero hor ti venisse? Testé pareva a pena
Che tu sapessi articolar parola,
Venere. Et hor se’ sì facondo,
Chiedi ciò che dicesti, Che sembri più ch’Amor, Mastro di scola.
Ma non chiedi crudel ciò che facesti? Ma vuò, che provi hor hor da questa destra
Non ti rammenta de l’atroce ardore, Chi di noi sia’l Maëstro, o la Maëstra.
Onde sempre mi struggi
Del sen la miglior parte Marte.
Per l’affetto di Marte? O Dea che non sei Dea
Ma su, gl’homeri volgi,21 Se non di dolci, e placidi diletti,
Insolente fanciul, ch’io più non voglio Come confondi, e mesci
Raffrenar nel mio petto Beltà di nome, e crudeltà d’effetti?
La vendetta, e’l cordoglio. Troppo del tuo rigore
Ma che? tu tenti ancóra Ha già provato Amore;
Fuggir da questa mano? Ah, lascia ch’ei respire,
Ah, su t’affliggi in vano, Narra il duol che t’affligge, e tempra l’ire.

Venere.
19 scilinguato: ‘balbuziente, balbettante’, come in Pulci, Morgante XVII, 107, 5 poi in Aretino, Il marescalco IV, Sono a l’anima mia
ii, 2, e Lippi, Malm. rac. V, 39, 4; ma v. anche Marino, La Sampogna, Atteone 758 sgg. («e tra me scilinguando | Dolci, e söavi Imperi,
sommormorava flebili e dolenti | con angoscia mortal questi lamenti») e L’Adone XIII, 94, 8 («intoppò, scilinguò O mio Nume, i tuoi cenni.
più d’una volta»).
20 saggio di mèl: ossia ‘[dietro] una dolce promessa’, espressione proverbiale per ‘godere i piaceri della vita’; il
Scesa da gli alti, e lucidi Emisperi
rimando, scontato e bellissimo, del Battaglia è al d’Annunzio tragico: «Non s’aspetta che l’amore. – E arriva il Solo a punir costui ratta men’ venni,
dolore. Beata lei, beata lei che fa il saggio del miele e non si dubita del cotogno!».
21 gl’homeri volgi: ‘gira le spalle’ (lett. ‘piega le ali’) ossia: ‘torna qui, non andar via!’; per la descriptio v. Petrarca
«sugli omeri avea sol due grand’ali | di color mille, tutto l’altro ignudo» (TC 1, 26-7), e Boccaccio, Am. vis. 15, 22 Scuotiti: ‘allontànati, sparisci’, come in Petrarca, RVF 22, 7-8 («Et io, da che comincia la bella alba | a scuoter
26-7 («ed avea due gandi ale d’oro | sovra gli umeri stese in ver l’altezza»), principalmente da Properzio, El. II, l’ombra intorno de la terra»); il passo, che è virgiliano (Æn. 4, 7), è esplorato anche da Marino, L’Adone XIX, 239,
12, 10 («et pharetra ex umero Cnosia utroque iacet»). 5-6 («quando l’Aurora che ’n Levante appare, | dal vel purpureo le rugiade scote»).

102 103
Poiché dal Ciel fuggito Poiché son senza lui
Ei lasciò me ferita, e te ferito. Deïtà senza lume, e senza còre.

Amore. Marte.
Farti provar cordoglio Et io senza di te, miglior mia parte,
Per un Nume del Ciel chiaro, e temuto Sono vie più che Marte, ombra di Marte.
Fu nulla a quel ch’io voglio;
Vo’ ferirti per Pluto: Venere.
Anzi, per maggior male Ove fuggisti, o sdegnosetto Arciero?
Ti vo’ far serva a un profugo23 Mortale. Se invisibile sei
Per l’aëreo elemento,
Venere. Torna, ché se t’offesi hora mi pento,
Mira, Signor, con che sdegnosa faccia E giuro di pentirmi
Anche rabbuffa il ciglio,24 e mi minaccia; Per gli altissimi Dei:
Che sì, che sì25 mal nato.26 Cupido, e dove sei?

Marte.
Ferma, ti prego, ferma SCENA SECONDA.
Idolo mio adorato. Pane.
E tu, temi di Venere il furore,
Fuggi Amor, vola Amore. Oh come varia il Mondo
Tu mia vezzosa Diva Sue continue vicende!
Volgi27 a l’Olimpo ancóra Pria che l’Alba sorgesse
La salma fuggitiva,28 Da l’odïate piume
Che senza te par, ch’ogni Nume mòra. Fremea del Mare il tempestoso Nume,
Poiché sdegnato il Cielo,
Venere. Con folgori, e tempeste
Va’ pur Signor, che ritrovato Amore Vibrava foco, e fulminava gelo;29
Farò ritorno a le superne Sfere, E da la Notte bruna
Parea sbandito il raggio de la Luna.
Con un rauco fragore urlava l’onda,
23 profugo: ‘sconosciuto, anonimo’ (e, dunque, non divino). E per risposta a gli ululati suoi
24 rabbuffa il ciglio: ‘aggrotta, corruga lo sguardo’, come in Aretino, Talanta III, 12, 8. Muggia lo scoglio, e si dolea la sponda.
25 Che sì, che sì: ‘veramente, proprio’, in rafforzo al successivo epiteto. Tra sì negre battaglie30
26 mal nato: sta per ‘dannato’, nel senso esclamativo di ‘malvagio’, come in Marino, L’Adone I, 16, 2; la pro- Combattuto da’ Venti,
venienza scritturale è da Mt 26,24 («Bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille») ma l’uso è prevalentemente
dantesco (Inf. 5, 7; 18, 76; 30, 48 e VN, 19, Donne ch’avete 27). In Francesco Berni, La palma d’Amore (I, 2, p. Picciolissimo Pino31
28: «[Giunone.] Verso il gonfio tenor de la mal nata | Tutto l’incendio Greco in me si cova») l’epiteto designerà
Venere. A contraggenio, vale il ricordo di Tasso, Le lagrime di Cristo 19, 1: «Lagrimosa pietà di ben nate alme».
27 Volgi: ‘indirizza’. 29 Fremea ... gelo: vd. Marino, L’Adone I, 123, 3-6 («Fremono per lo ciel torbido e nero | fra baleni ondeggianti i
rauchi tuoni. | E tuona anch’egli il re de l’acque altero»).
28 fuggitiva: ‘inquieta e lontana’, e prefigurazione già della sua perdita in un amore forse anche ‘sconveniente’
(poiché l’instabilità della sua presenza, la lontananza dalla vita dell’Olimpo, la sottopone ai rischi e alle incertezze 30 negre battaglie: ‘scuri disordini (fra gli elementi)’; la descrizione sembra risentire di Tasso, G.l. VII, 115, 1-4.
dello scorrere del tempo nella vita umana). 31 Pino: sta per ‘barca’ costruita con legno di pino.

104 105
Drizzò, quasi sdruscito,32 Già mi rubbò dal Regno,
A quest’arene il fragile camino, Che per novo del Ciel fiero disdegno
Et un Garzon v’espose,33 Incontro le rapine40 de la Terra.
Che ancor bianco, e tremante, Ella m’ha pur furato41
Sovra le guance impallidite, e meste,34 La Belva fuggitiva;
I ritratti35 egli tien de le tempeste. E la Belva crudel m’ha pur lasciato
Ma dal Sol, ch’hora splende, Tigrina semiviva.
E la nov’aura de’ suoi lampi accende, Oh mia cara Tigrina
Forse richiamerà36 gli spirti lassi, A pena i’ ti possedo,
E moverà bëato Che moribonda a’ piedi miei ti vedo.
Per le Ciprie Campagne i lieti passi.
In tanto al suono usato37 Celindo.
De’ Calami38 adorati io fo ritorno, Generoso Garzon rasciuga il pianto;
E sotto un così vago, et aureo giorno Non lice ad una Fera
Canterò poi con musiche parole, Contaminar co’l suo morir due Stelle.
Che a le tempeste al fin succede il Sole. Lagrime così care, e così belle
Foran42 più degne essequie43 al Sol la Sera.
Sono stille sì lucide a vederle,
SCENA TERZA. Fregi del ciglio tuo limpidi, e tersi,
Adone, Amore creduto Celindo. Ma mentre tu le versi,
De’ tesori d’Amor spandi le perle.
Adone. Deh raffrena il guardo,44
Ben severo Pianeta Ché viverà Tigrina,
A le perdite mie
E poi mòra, o non mòra,
Questa selva destina, e questo die.39
Forse ch’io ti riserbo
Fuggo a pena del Mar l’horrida guerra
A maggior’huopo45 un maggior veltro46 ancóra.
Che d’Arabia adorata

32 sdruscito: ‘danneggiato’; cfr. Tasso, G.l. VII, 98, 7-8 («sdrusciti i fianchi al tempestoso flutto | non mostra 40 rapine: ‘violenze, asperità’, come in Dante, Inf. 5, 31-32.
ancor, né si dispera in tutto») e Marino, L’Adone I, 125, 3-4 («ambo i fianchi sdruscito, e combattuto | da quel-
l’ondosa e tempestosa guerra»). 41 furato: ‘sottratto [alla]’ (Ella è rif. alla «Terra»).
33 v’espose: ‘rivelò alla vista, mostrò sopra’. 42 Foran: ‘sarebbero’.
34 Che ... meste: risente di Marino, L’Adone I, 124, 5-6 («Più pallido e più gelido che neve | volgesi Adon»). 43 essequie: v. Marino, L’Adone XVIII, 224, 3-4 («questa fortuna | d’aver l’essequie da sì dolci pianti»).
35 ritratti: ‘dipinti’ e per estens. ‘descrizioni, impressioni mentali’, per cui vd. Tasso, G.l. VI, 64, 8 («lo spavento e 44 raffrena il guardo: ‘trattieni il pianto’, per cui v. Boccaccio, Fiammetta 6: «tempera te medesima e li tuoi pianti
’l dolor v’avea ritratto»); lo stesso difficile stato d’animo è descritto, però, dal Marino, L’Adone I, 128, 1-4 («Scen- raffrena»; Battaglia anche segnala, dalla commedia Intrichi d’Amore attribuita a Tasso: «Bianchetta, tu piangi?
de quivi il Garzon salvo a l’asciutto, | ma pur dubbioso, e di suo stato incerto, | ch’ancor gli par de l’orgoglioso Che cosa ti è successo? Parla, raffrena le lagrime» (III, xii, p. 145). La dipendenza tra l’azione del guardare e il
flutto | veder l’Abisso orribilmente aperto»). piangere è descritta da Boccaccio, Filocolo 1 [41]: «alcuno che il guardi non può ritenere in sé l’amaro pianto»; v.
anche la coppia sguardo/sorriso in Borri, Adone 3, 5-6. Una bella iperbole sul senso della vista si trova in Tansillo,
36 richiamerà: ‘risveglierà’, con preannunzio di rinascita, come in Tasso, G.l. XV, 1, 1-2 («Già richiamava il bel Lagrime di san Pietro, 42, 4-8 [Milano, Giovanni Silvestri, 1838, p. 1 1] («Né tante cose udir cupido orecchio |
nascente raggio | a l’opre ogni animal ch’in terra alberga»). Potria giammai, sebben senza intervallo | Si stesse all’altrui dir mill’anni attento, | Quel ch’ei n’udì col guardo in
37 usato: ‘consueto’. quel momento»), mentre sono occhi di pietoso pianto quelli che ricorderà Foscolo nei Sepolcri (51-2: «Pur nuova
38 Calami: canne dello zufolo, attributo di Pan, per cui v. Marino, L’Adone XIV, 252, 7-8 («or su i sonori calami legge impone oggi i sepolcri | fuor de’ guardi pietosi»).
forati, | per allettarla, articolava i fiati»). 45 maggior’huopo: ‘superiore scopo’.
39 die: (lat.) ‘giorno’. 46 maggior veltro: ‘miglior cane’, con valore profetico come in Dante, Inf. 1, 101.

106 107
Adone. Se sovra i vostri rami
Deh mio caro Celindo, Ha’l mio Cupido i voli suoi sospesi.
Novo, ma fido Amico, Ah, voi non rispondete,
Opra quanto ti dico. Et io nel mio dolor non ho quïete.
Di succhi salutiferi47 procura Ma che miro in quel varco?51
Qualche medica cura Quelle son pur saëtte, e quegli è un arco.
Onde Tigrina mia tosto risani,
Ché se appresso mi dài Adone.
Ciò che promesso m’hai, Come pigro52 è Celindo
Due regni io non torrei per i due Cani. A procacciar’aïta,
Cara Tigrina mia,
Celindo. A questa tua ferita!
Vado là dove il Bosco
Si fa più folto a contrastare il Sole: Venere.
Quivi d’herbe salùbri Come veloce è il còre
A battermi nel seno,
Contro il morso di fère, e di Colùbri48
E come in un baleno
Coglierò breve49 fascio:
Provo per mio dolor l’altrui dolore?
Tu m’aspetta, ch’io torno ove ti lascio.
Adone.
Almen potestu53 in sorte,
SCENA QUARTA. Con la medica lingua,
Venere, Adone, Amore. Per una volta sola
Baciar l’offesa gola.
Venere.
Aura söave, e cara, Amore.
Che susurrando vai Hor’è tempo opportuno,
Tra i rami di quel Mirto, Che ratto io mi discuopra,
Sciogli loquace spirto, Se fui Celindo al nome, Amore a l’opra.
E dimmi se d’Amor nova tu sai.50
Dimmi cortese pietra Venere.
S’hoggi reggesti in sorte O mal nato Fanciul, tu m’uccidesti.
La nobil sua faretra. Così paghi il mio pianto,
Dite Piante cortesi E così vuol mia sorte,
Che mentre cerco Amor, trovi la morte?
Ohimè, che più non posso
47 succhi salutiferi: ‘rimedi, e sostanze medicinali’. Raffrenar’il desio:
48 Colùbri: ‘serpenti’.
49 breve: ‘piccolo’.
50 E dimmi ... sai: l’iterata domanda richiama Tasso, Amor fuggitivo 42 («Ditemi, ov’è mio figlio?»), che traduce 51 varco: ‘luogo, passaggio’.
prevalentemente l’omonimo idillio di Mosco. Se in Tasso l’interrogazione di Venere è rivolta ai «mansüeti mortali»,
qui invece si rivolge agli elementi della natura (aria, pietra, piante), mentre è oggetto della ricerca di Adone in 52 pigro: ossia ‘lento’.
Shakespeare, Venus and Adonis 865 sgg. 53 potestu: ‘tu potessi’.

108 109
Se tu brami di pio,54 Adone.
Com’hai di bel meraviglioso il vanto, E chi già mai presunse
Ergi, o Garzone, alquanto Oltraggiar questa pianta?61
Le luci da una Fèra, O beltà sagrosanta62
E a me, che porto gemina ferita,55 Per homaggio d’Averno
Co gli occhi, e colla man procura aïta.56 Un bacio de le furie a piè ti giunse.63
Onde perdona, e taci64
Adone. S’anch’io, furia d’Amore,
A così vago lume A gl’amplessi di lor giungo i miei baci.
Ohimè, ch’io mi confondo.
Trema il cor, gela il sangue, Venere.
Fuggono le parole; Ergiti,65 ch’io son stanca
E per me giurerei, che père57 il Mondo Sotto le piante mie66 veder’il Cielo.
S’io miro a’ piedi miei caduto il Sole. Lasciar cotesto volto a’ piedi miei
È un calpestar67 gli Dei.
Venere.
Qual t’abbaglia splendore Adone.
Se ne la vaga fronte, Deh dimmi, o Dea chi fosse
Avvezzo a sostener due Soli ardenti Ch’osò d’insanguinarti il piè celeste?
Vibri ne l’altrui seno
Luminosi tormenti? Venere.
Deh s’hai pietà d’un’anima, che langue, Spina di rosa il passo mio percosse.68
Già che m’apri nel sen novella piaga,58
Stagna59 del piede almeno il vecchio sangue, Adone.
Ché poscia potrò dire: io benedico Ben fu quest’aureo giorno
Il mio medico insieme, e’l mio nemico.60 Prodigo di ferite prezïose,
Se per ferire un Nume
54 di pio: v., se pur in diverso contesto, Tasso, G.l. XIII, 67, 1-2 («Or mira d’uom ch’ha titolo di pio, | Providenza Scelse il destin gli strali de le Rose,69
pietosa, animo umano»); qui Venere si rivolge ad Adone.
55 gemina ferita: riduce e drammatizza l’azione descritta in Marino, L’Adone III, 109, 5-6 («Qui del trafitto piè,
del cor non sano | l’una piaga nasconde, e l’altra addita»). 61 pianta: ‘piede’.
56 Co gli occhi ... aita: v. Marino, L’Adone III, 109, 1-4 («Ma perch’ogni mia Ninfa erra lontano, | e chi tratti non 62 sagrosanta: ‘inviolabile’, come – in rif. all’invocazione delle Muse – in Dante, Pur. 29, 37.
ho l’aspra ferita, | porgimi tu con la cortese mano | (a te ricorro, in te ricovro) aita»). 63 ti giunse: ‘ti raggiunse e ti fu dato’, anche nel senso implicito (ma esplicitato poi) della congiunzione carnale
57 père: ‘perisce, muore’. (come, ad es., in Ariosto, O.f. IV, 59, 1-3), qui però in stretta connessione tra piacere e dolore.
58 novella piaga: v. il tema della «doppia ferita» in Marino, L’Adone III, 67, 5-8 («Ma per doppia ferita ancor 64 taci: nel senso di ‘non meravigliarti’.
non posa, | né de la traccia sua lascia il camino. | Vinta la doglia è dal desire, e cede | a la piaga del cor quella 65 Ergiti: ‘Alzati’.
del piede.»), nonché Shakespeare, Venus and Adonis 250 («Struck dead at first, what needs a second striking?»).
66 Sotto le piante mie: ‘Ai miei piedi’.
59 Stagna: ‘tampona’, come in Boccaccio, Tes. V, 103, 5-6 («quando ciascun di loro, assai ferito, | le piaghe si
stagnava tutte quante») e Marino, L’Adone, III, 67, 2 («que’ begli ostri a stagnar col bianco lino»); per l’equipara- 67 calpestar: ‘mancare di rispetto’; per l’uso figurato v. Tasso, G.l. VII, 60, 7-8.
zione metaforica v. Tasso, G.l. IX, 87, 4 («e le lagrime sue stagna nel petto»); Battaglia richiama, opportunamente, 68 il passo mio percosse: ‘il piede mi ferì’, con pieno valore intenzionale come in Dante, Inf. 32, 77-8 («Passeg-
anche Aretino, Dell’umanità del figliuolo di Dio (1535): «Toccò la veste di Giesù e, toccandola, disse: “Stagnami giando tra le teste, | forte percossi il piè nel viso ad una»); una posteriore variante in Foscolo, A Luigia Pallavicini
tu il sangue, nella cui effusione io mi consumo”». 5-6 («Quando profano spino | Le punse il piè divino»).
60 medico ... nemico: memoria di una analoga contraddizione in Tasso, G.l. VI, 68, 1-2 («Ella l’amato medicar 69 Ben … Rose: il motivo, topico, ricorre anche in Shakespeare, Venus and Adonis 574 («What though the rose
desia, | e curar il nemico a lei conviene»). have prickles, yet ’tis plucked»).

110 111
E per ferir me stesso Son la vera cagion ch’io mi consumi,
Strali di pura luce Amor compose. Deh mi concedi ancóra,
Ch’io baci i miei nemici, anzi ch’io mòra.
Venere.
Ben fu del mio dolore il Cielo avaro, Venere.
Se priva di ristoro a le ferute70 Se prima di morire
A languir da quel Veltro71 (ahi lassa) imparo. Il nemico si bacia,
Quest’uffizio pietoso a me pur tocca:
Adone. Mia nemica mortale è la tua bocca.
E qual cura mortale
Fia ch’osi medicar celeste male? Adone.
Ohimè, ch’io mòro, io mòro,
Venere. E ben dritto76 sarà, che mòra Adone,
Un mal, che non si vede Poiché fu di soverchio ardito zelo,77
Invisibil rimedio anche richiede. Ch’ei con labro mortal baciasse il Cielo.

Adone. Venere.
Deh me l’insegna: oh Dio, Semplicetto vezzoso,78
Fosse almen tuo rimedio il sangue mio. De l’ardir’amoroso
Ma tu ti lagni a torto, La Natura t’assolve,
Tu porti72 la ferita, et io son morto. Son le colpe d’Amor segnate in polve.79

Venere. Adone.
Bellissimo Garzone, io non languisco Quando tu mi perdoni,
Per la piaga del piede. O bellissima Diva,
Son ferita la fede73 La mia speme risorge, e ’l cor s’avviva.
Da un guardo lusinghier di Basilisco:74
Sanami tu, già che portar ti tocca Venere.
Il veleno ne gli occhi, il mèle in bocca.75 No, no, tu errasti, è vero,
E se dolce castigo
Adone. Io tosto non ti dò, sento ch’io pèro.
Cor mio, già ch’è pur vero, Per la strada de’ Mirti
Che cotesti tuoi lumi Al Palagio d’Amor volgiam le piante,
Ché per meglio punirti,
Nudo ti voglio avante.
70 ferute: ‘ferite’ nella var. grafica ant. come in Dante, Inf. 1, 108.
71 Veltro: Tigrina.
72 porti: nel senso passivo di ‘subisci’ e, metaforcamente, ‘vibri, colpisci’; l’uso poetico dell’ambiguità tende a 76 dritto: ‘giusto’.
conciliare, nel concetto, l’opposizione iniziale. 77 zelo: ‘coraggio’.
73 fede: ‘fedeltà, costanza’. 78 Semplicetto vezzoso: ‘ingenuo’, ossia tutto pulsioni e senza artifici ma anche ‘cortese, gentile’; solo in parte vd.
74 Basilisco: animale leggendario che dà la morte con lo sguardo (da Plinio, Nat. Hist. 7, 78). l’epiteto in Marino, L’Adone VI, 157, 3.
75 il mèle in bocca: ricorda Shakespeare, Venus and Adonis 64 («And calls it heavenly moisture, air of grace»). 79 Son … polve: ossia ‘dimenticate’.

112 113
Adone. Andiamo, su, su,
Andiam, ché ne la mano Cerchiamo, su, su,
Di così bella Dea, Con frettoloso piè la nostra Dea,
E tormenti, e flagelli Ch’ove soggiorna Amor è Citerea.
Fian tutti prezïosi, e tutti belli.

SCENA SESTA.
SCENA QUINTA. Pane.
Le tre Grazie.
Corretemi nel seno83
Prima. Belle Ninfe vezzose
Dove sei Diva amorosa Se brama il vostro core
Tingitrice de la Rosa, Ivi posar’ove soggiorna Amore;
Dove porti il punto piè? Anzi venite a gara,
De gli Amoretti vaghi e vezzosi Divise ad una, ad una,
Con unguenti preziosi O in triplice sembianza,
Qual s’aggira intorno a te? Che avrete nel mio cor la propria stanza.
Oh strana meraviglia!
Seconda. In un girar di ciglia
Di söave Alabastro, Ardo a tre fiamme, e a un punto
Di Balsamo pregiato Da tre fonti d’Amor bevo la Morte.
Chi ti porge Ciprigna asperso nastro? Qual mai s’udì novella
Dal Paëse odorato Di più rigida Stella?
Voli l’aura Sabea80 Con triplicato grido
A soffiar su le piaghe a Citerea. È per me fatto un Cerbero Cupido,
E con tre volti al core
Terza. È per me fatto un Gerïone84 Amore.
Per quest’amena parte Ove siete, ove siete
Forse Venere vaga,81 Belle Ninfe vezzose,
Scordatasi di Marte, Ove vi nascondete?
Prova di novo Amor novella piaga; Ombre tacite, e chete,
Sì, sì, che’l vero gioco Io cerco l’homicide
De gli Amanti eruditi82 è’l cangiar foco. Di quest’anima mia,
O almeno chi mi guide
Tutte tre. A gli Altari adorati
Al Palagio d’Amor D’Aglaia, d’Eufrosina, e di Talìa,85
Sarà la Dea de’ cor’:

83 Corretemi nel seno: ‘correte ad abbracciarmi’.


80 Sabea: della città di Saba, come in Marino, L’Adone II, 11, 2 ove è detta «terra odorifera», o già in Ariosto, 84 Gerïone: gigante a tre teste e il corpo triplo fino alle anche.
O.f. VII, 29, 6.
85 D’Aglalia … Talìa: le tre grazie, «ministre di Citera» come ricordato ancóra, in piena voga orientalista, da
81 vaga: nel senso di ‘smarrita’. Gérard de Nerval nel suo Voyage en Orient (1844-1847: ed. it. Viaggio in Oriente, a c. di Bruno Nacci, Einaudi,
82 eruditi: ‘esperti’. Torino 1997, p. 61).

114 115
Se v’ha Pastor che qui d’intorno varche,86 E sotto i dolci rai di questo giorno,
Io cerco le Sorelle Par che divenga ogni animale Amante.
Che si chiaman tre Grazie, e son tre Parche, E l’Aure ancóra
Ma son tutte vezzose, e tutte belle. Piene di Flora,
Chi di voi me l’insegna amiche Selve? Vaghe, e vezzose,
Chi di voi me l’insegna amiche Piante? Mentre sen’ volan,90
Chi di voi me le insegna amiche Belve? Bacian le Rose.
O Specchi,87 o Sassi, o Monti,
Ecco di nuovo il vostro Pane Amante. Venere.
Su la tua vaga bocca,
Il Fine dell’Atto Primo. Ove sì bel colore Amor compose,
Hor che tu parli, a punto
Veggio le Rose a favellar di Rose.
ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA. Adone.
Adone, Venere. Segnato dal tuo sangue
Fu poco dianzi il prezïoso fiore,
Adone. Et io su’l volto mio riporto essangue
Cara di questo seno, Il ritratto del core.
Ma famelica fiamma,
Che con guardo mortal, benché sereno, Venere.
Tu mi divori il core a dramma a dramma;88 Le rose de lo stelo e del tuo labro
Che söavi dolcezze Furo egualmente asperse
Fai tu, ch’io senta in quest’ameno loco, Da le ferite mie;
Ove par che se’n vada Ma ahi, che su quel fiore
Cadendo89 il Paradiso a poco a poco? Ho distillato91 il piede,
E su’l tuo labro ho distillato il core.
Venere.
Ove del tuo bel viso Adone.
Risplende il chiaro lume Qui nel vicino fonte
Per tutto è Paradiso. Io vo dunque mirare
Reliquie92 così belle, e così rare.
Adone.
Scherza per qua d’intorno Venere.
Co’l sol l’ombra vagante, Prendi, se vuoi vederle,

90 sen’ volan: la stampa: «se’n volano».


86 varche: ‘sopravanzi’.
91 distillato: ossia ‘versato [sangue dal]’.
87 Specchi: nel senso d’acqua.
92 Reliquie: ‘resti, tracce’ in tono scherzoso; Adone intende specchiarsi per scorgere nel riflesso dell’acqua, il
88 a dramma a dramma: ‘a poco a poco, lentamente’. riflesso del volto di Venere a sua volta riflesso sul suo volto; quali ‘parti di corpo’, ‘resti umani’ vd. invece Marino,
89 Cadendo: nel senso di ‘accadendo’, ossia ‘inverando’. L’Adone XIII, 38, 8 («le reliquie a rapir van de la guerra»).

116 117
Questo, svelto93 dal sen d’horrido Monte, Adone.
Chiarissimo, e durissimo cristallo, Con accenti sì fieri, e sì molesti
E qui senza cercar consiglio al Fonte, Ohimè tu m’uccidesti,
Vedrai porporeggiare il tuo corallo, Poiché d’un vero Amante
E dirai, ch’egli94 mostra Son durissime some
Ne la chiarezza sua la tua sembianza, Solo l’udir del suo Rivale il nome;
Ne la durezza sua la mia costanza. E le gioie amorose,
Ombre di gioie son, se sono ascose.
Adone.
Se vuoi ch’io fissi in questo speglio i lumi, Venere.
Volgi tu’l guardo altrove, Cauto Amante che ben’ama,
Poiché con fiamme innusitate, e nòve, Gode amato e più non brama.
Vuole il tenor del Fato, Sono i furti del diletto
Ch’a i riflessi d’un guardo io mi consumi. Alimenti de l’affetto,
E l’estremo del gioir
Venere. Sta nel far, e non nel dir.
Adorato mio bene
Volgo le luci altrove, Adone.
Poiché s’io miro il rilucente arnese Bella bocca, che mi baci
Teme l’anima mia Mi da’ morte con un taci;
Colpo di gelosia, Ciò che’l cor detta, e distingue
Ché nel mirar la tua beltà immortale Manifestino le lingue;
Anche’l mio simolacro è mio Rivale. Con la legge del tacer
Ma già da l’Orizonte Il goder non è goder.
Getta Febo i suoi raggi
Su la cima del Monte. Venere.
Adon mio caro, Adone Ma come frettoloso
Uniamo i cori, e dividiamo i passi.95 Vèr noi move il mio Nano,
Io so che’l fiero Marte Ah, che il cor mi si copre
Di gelida paüra,
Cerca96 intracciar97 le nostre gioie, e spesso
Poiché porta sovente
Sono a un Tiranno esploratori i sassi.98
Frettoloso camin qualche sventura.

93 svelto: ‘staccato, raccolto a forza’. SCENA SECONDA.


94 egli: il cristallo/specchio. Nano, Venere, Adone.
95 dividiamo i passi: ‘separiamo le strade’, con analoga funzione salvifica come già in Dante (Purg. 30, 130 e 31,
34-5) e Petrarca (RVF 119, 84 e, soprattutto, TM 2, 13-4: «“Riconosci colei che ’n prima torse | i passi tuoi dal
pubblico viaggio?”»). Nano.
96 Cerca: la stampa «Corca». Fuggite, fuggite
97 intracciar: ‘inseguire’. Che Marte sen’ vien
98 esploratori i sassi: prov. per ‘parlano, fanno la spia (per invidia) anche le pietre’. Ripïeno di furore, e di velen;

118 119
Vi cerca, vi brama. Giunger intorno
Minaccia, vi chiama, Marte, che va suonando un istromento,
E si strappa la barba, e batte il sen, Ch’in vece d’una tromba ei sembra un corno.102
Fuggite, fuggite
Che Marte sen’ vien.
SCENA TERZA.
Venere. Marte, Nano.
Taci faceto Mostro,
E con finti timori Marte.
Non turbar’importuno il gioir nostro. Qual Austro mai del più piovoso polo
Porta su l’ali torbide, e vaganti
Nano. Così larghe procelle in grembo a Scilla,
In Sala et in Cucina Che non sian per le luci de gli Amanti
Cercato ha ogni cantone; Un brevissimo nembo, anzi una stilla?
E fin del Padiglione99 Sempre nel petto mio
Alzato ha la Cortina, Un Mongibello ardente
E fa furie da pazzo Mi fa stillar da i lumi
Perché ha trovato sconcio100 un matarazzo. Doppia fonte cadente
Ond’è, ch’io mi consumi.
Adone. Tal che meglio saria, Tiranno Amore,
Diva, credi a costui, che quasi sempre Se’l cor pe gli occhi io verso,
Lingua semplice, e sciocca Chiamar l’acque di pianto acque di core.
Tien purità, ma non menzogna in bocca. O Ciprigna crudel, tu, tu m’uccidi,
Tu che porti ne gli occhi
Venere. Di Basilischi i nidi,
E che mai far si puote E porti ne le piante
Perch’egli non ci arrivi?101 La fuga de la Vipera volante.
Al tenor di mie note Ma non è questi Giano
Sorgano qui di due fontane i Rivi; Il suo faceto Nano?
E gl’intagliati sassi
Ricuoprano in tal’huopo i nostri passi. Nano.
Signor, tal’è il timore
Nano. Ch’ho di Vosignoria
O meraviglie strane, Ch’io non so se sia’l Nano, o chi mi sia.
Nascono come i fonghi le fontane!
Ma già mi sento Marte.
Più non v’ha loco in Cielo
Che trascorso non abbia
99 Padiglione: ‘baldacchino del letto’.
100 sconcio: ‘scomposto, disfatto’. 102 Marte … corno: ricorda Properzio, El. III, 3, 41-2 («nil tibi sit rauco praeconia classica cornu | flare, nec
101 arrivi: ‘raggiunga, trovi’. Aonium tingere Marte nemus»).

120 121
Con piè di foco, e viscere di gelo; Dite il mio duol feroce
Tutta, tutta la terra ha già veduto Con bocche di Caverne a la crudele;
La mia gelida rabbia, Pigliate humane voci
E tra l’arso confin del nero Pluto Selve, Ruscelli, e Fonti;
Direi di gire a spaventar que’ chiostri, Dite al Mar, dite al Cielo,
Ma non fia ver, ch’io cerchi Ch’io cerco la mia Dea:
La Dea de la Bellezza in mezo a i Mostri. Citerea, Citerea.

Nano. Nano.
Mala cosa è’l martello103 Venga il canchero a’ smargiassi,
Vel confesso Signor; Che la guardan per minuto;107
Ei picchia nel cervello Un Berton,108 che fa fracassi
E pur conficca un chiodo in mezo al cor:104 Non sarà mai ben veduto;
Anch’io ne fui già pratico, Quel, che mira con cent’occhi
Se la mia Nana bella Al sicuro è de’ più sciocchi,
Mi fea viso selvatico105 Ché son tutte vanità,
Sentivo il ticche tocche a le budella. Quel che si nïega più la Donna fa.
Lascia a tutti sua ventura109
Marte. Se tu vuoi goder’in pace.
Io, che nel foglio adamantin de gli Anni Quest’è massima sicura,
Potei legger del Fato i grandi eventi, È più amato chi più tace;
De’ miei proprii tormenti Quel ch’è Amante più perfetto
Non viddi il caso, e non intesi i danni! Tace in casa, e grida in letto.
Né previddi già mai Ma son tutte vanità:
Ch’hoggi fare io dovessi Quel che si nïega più, la Donna fa.
Nel giardin de le pene
Un innesto di core, e di catene!106
Ma Amor, se nel tuo Regno SCENA QUARTA.
Qualche pietà s’impetra, Adone, Venere, Nano.
Se tu non sei per me Nume di pietra,
Scalda le fredde voglie Adone.
A la fera cagion di mie querele. Fu pietà dispietata
Voi non lontani Monti Far, ch’io tornassi ancóra
Ne la mia forma ad animare il pianto,
103 martello: ossia ‘ossessione amorosa’, come in Berni, Rime 17 (Capitolo d’un ragazzo), 3 («che per martel Se con doglia celata
voleva farsi frate») e Aretino, Ragionamento 1, p. 69 («mosso da quel maledetto martello che accieca altrui»).
104 Ei picchia … cor: cfr. Francesco Berni, La palma d’Amore I, 3, p. 31 («D’altro martello | Le percosse più
crude | Fé risonar nel petto | Di lui»). 107 per minuto: ‘ogni istante’, ossia senza mai perderla di vista.
105 selvatico: ‘riottoso, ostile’; di norma attributo di Pan, per cui cfr. Sannazaro, Arcadia 10, 6 («la grande effigie 108 Berton: ‘amante, magnaccia’; cfr. Aretino, Il filosofo III, 10, 2 («sì è terribile Sattanasso il suo bertone Cac-
del selvatico idio»). ciadiavoli che butta fuoco in cambio di bava»); in Marino, L’Adone XIII, 178, 5 («Poi quel rozo berton, quel vil
106 Un innesto … catene: ricorda Achillini, Venere cerca Adone 8 («innestar nel suo cor l’anima mia») e Marino, mortale») è detto di Adone.
L’Adone XII, 76, 2-3 («de l’alme in caro innesto | sciòr non si può»). 109 ventura: ‘sorte’.

122 123
In quella fonte io lagrimavo tanto. Delizia di Cupido
Oh mie dolcezze amare, Ne’ gran Cerchi del Cielo, e de la Terra.
Come tosto cangiate Non v’ha, non v’ha più scampo:
Vostra felicitate, Per mia fede infinita
E come veggio in voi, È poca questa vita,
Che l’humano contento E troppo a questo core
È un lampo vilipeso dal momento! Sembra del tuo splendore un picciol lampo.

Venere. Adone.
Con turbato sembiante, Ben di soverchio ardir desio mi nacque
Favellando di lampi, Quand’osai di servir sì bella Dea,
I fulmini tu scocchi Ma che far si potea
In questo seno amante Se così al Cielo, e a te medesma piacque [?]
Da la bocca, e da gli occhi. Perdon però ti chieggio,
Adone, e che t’affligge, E d’aver troppo ardito,
E che ti discolora E d’aver vaneggiato hora m’avveggio.
In faccia di colei, che sì t’adora?
[Venere.]110
Adone. Fu Tiranna follia,
Vipera tormentosa, Fu rapace ardimento,
Di Gelosia crudele A prezzo d’un sol guardo
Sparge l’amaro fiele Comprar, anima mia, l’anima mia.
Sovra la dolce mia piaga amorosa.
Pur dalla bocca udii del Dio de l’armi, Adone.
Il possesso felice Anima, che sia stata
Che di Ciprigna mia goder gli lice. Fide’ comisso111 d’altri è mal comprata.
Ah, così foss’io stato
(Come quel marmo istesso, Venere.
Che mi copriva all’hor) sordo, e insensato. Al Tribunal d’Amore
Questa legge söave
Venere. Registrata si vede.
Negar già non poss’io Bëati chi possede.
Che meco unito fosse,
Pria ch’io t’amassi, il bellicoso Dio. Nano.
Ma che pro, s’hora il fuggo, Che sì, che a disputare il vostro pianto,
E per l’amato Adon solo mi struggo? Il Nano ha da chiamare un Avvocato.
Per te mio caro, e vago È folle vanitate
Vie più del basso Mondo
Che de le sfere altissime m’appago;
Più del tuo bel mi cale, 110 [Venere]: la stampa riporta due battute consecutive attribuite ad Adone.
Che di quanta si serra 111 Fide’ comisso: ‘data in fiducia’ (appartiene al ling. del diritto), qui sta per ‘promessa (ad altri)’.

124 125
Di chi baciando un sen, Fredda man di Gelosia,
Va suggendo velen Lascia il cor di chi già fu,
Da memorie passate: Fuggi homai non stringer più.
Godasi quel che s’ha,
Senza guardar più in là, Venere.
Che l’huom saggio in amor lasciar non deve, Su, su dunque, o mio bel Sol
Per quel ch’ha da venir, quel, che riceve. A gioir portiamo il piè
Dove Flora infiora il suol
Venere. E la terra ingiglia a te:
Sol de la mia speranza Già l’Acidalie113 Suore
Deh rischiara quel raggio, Verso’l giardin d’Amore
Che feconda può far la mia costanza. Ad apprestar a noi seggi odorati
Che’l girarlo turbato Movon rapide piante
È a questo sen piagato Dietro l’orme vezzose
Un tempestoso oltraggio. Di Zeffiro volante.

Adone. Adone.
Con guardo adoratore Su, su dunque, o mio bel Sol,
Rivolgo al viso de la Diva mia, A gioir portiamo il piè,
Se non sereno, almen devoto il core; Dove Flora infiora il suol,
Ma gran peso d’un’alma è Gelosia. E la terra ingiglia a te.

Venere. Il Fine del Secondo Atto.


Mostro infame, et indegno,
Seduttor pestilente
De l’amoroso Regno.
ATTO TERZO.
Adone. SCENA PRIMA.
Passïon vïolenta112 Le Grazie, Priapo.
Che benché nutra d’odio, e di timore
Figlia è però d’Amore. Prima Grazia.
Cultor di campi ornati,
Venere. Fioriti, et odorati,
Ma se troppo in un’alma ella s’annida, Fa’ ch’il colore ogni tuo fiore addoppia,114
È ben figlia d’Amor, ma Parricida. Ché hor hor qui giungerà
Il fior d’ogni beltà,
Adone. Ristretto in una coppia.
Fuggi hormai da l’alma mia
113 Acidalie: deriva dal nome della fonte presso Orcomeno, in Beòzia, dove si lavano le Grazie (qui «suore»,
sorelle), figlie di Venere e di Bacco, in Virgilio, Æn. 1, 720, cit. anche in Marino, Adone XVII, 67, 3.
112 vïolenta: la stampa: «violente». 114 addoppia: ‘accresca, raddoppi’, come in Petrarca, TT 22-3.

126 127
Priapo. Priapo.
Voi sète tanto belle, S’Amore è un foco in sen,
Ch’hora, che siete qui, Si nutre in un balen;
Veggio su’l mezo dì S’egli è Bambino in fasce,
La luce de la Luna, e de le Stelle; Mòre se non si pasce.
Beltà maggior di questa,
Per soverchio splendor mi fia molesta.
SCENA SECONDA.
Seconda Grazia. Pane, Priapo, Grazie.
La Dea, che’n Pafo e in Amatunta splende,
Di sua bellezza estrema Pane.
Un giovanetto forastiero accende, Sordido Nume, e vile
Onde se’n passa a i frigidi115 Ruscelli D’arbusti, e di radici,
Per goder su’l meriggio Che in Deïtà servile
L’ombre di questi Platani sì belli. Offri palme callose, a le Pendici,
Ancor’osi, ancor’osi
Priapo. Donar l’alma discorde
Io so, che’l vostro Nume A’ concerti amorosi?
Non perde i tempi suoi;
Così voleste voi Priapo.
Serbare il suo costume, Odi chi mi schernisce!
Ninfe d’Alpino core, Odi chi mi riprende!
Ch’Amor nutrite, e non sentite Amore. Un Semideo, ch’attende
Aglaia cara e vaga, Per prati e selve ad ammazzar le bisce.
Il tuo guardo seren
D’amoroso velen il sen m’allaga:116 Pane.
Deh s’io mòro per te Mostrüoso arrogante,
Dammi, cor del mio cor, qualche mercé. Cocomero parlante.
Terza Grazia.
Priapo.
Un lusinghiero Amante
Capra di trista lana,
Che segue alma beltà,
Figura Catalana.117
A pena, a pena il fa,
Che pretende di titolo costante,
Pane.
E posto il piè ne l’amorosa Corte,
Clava, ché più ritardi,
Fa la sua bocca il Tempio de la Morte,
Bocca, ché più dimori
E’n guiderdon richiede
Ché non frangi118 quel mostro, e no’l divori?
Di poca servitù, molta mercede.

115 frigidi: ‘freddi, freschi’. 117 Catalana: in rif. al mantello di lana (catelano), in tono derisorio.
116 allaga: ‘invade’. 118 frangi: ‘colpisci’, ‘mandi in pezzi’.

128 129
Priapo. L’unita crudeltate
Pian piano, o là, E di tre, per cui ardo,
Tirati’n là, Datemi per pietà, datemi un guardo.
No no, non voglio intrichi,119 Tirannia dispietata,
Che non è Dio di risse il Dio de’ fichi. Eccesso di rigore
Non dar un guardo a chi vi dona un core!
Pane.
O che bel capo, Seconda Grazia.
Ch’ha il Dio Prïapo, Dio de’ Monti,
Dio di lumache,120 Se su i Fonti
Di Pastinache.121 Canta Progne122 del suo duol,
Ma voi crude, ma voi Per Amore
Dove, dove fuggite, Sente al còre
E dove mi traëte Mille doglie, e un foco sol.
Vive mie calamite?
Pane.
Deh raffrenate il piede
Morirei per cento belle,
E di tre, per cui ardo,
Arderei per cento ardori,
Lasciate per pietà,
Se mi dassero le Stelle,
Lasciatemi cadere un solo sguardo.
E cent’alme, e cento còri.
Amo Clori,
Prima Grazia. Ma se miro Filli vaga,
Dio selvaggio, Anche Fillide m’impiaga.
Se su’l Faggio
Piange Amante il Rosignuol, Terza Grazia.
Ei d’Amore Dio selvaggio,
Sente al còre Se su’l Faggio
Mille doglie, e un foco sol. Piange Amante il Rosignuol,
Ei d’Amore
Pane. Sente al core
Io ardo a tre faville, Mille doglie, e un foco sol.
Ma d’un incendio solo è seme il foco;
Come d’Alpino seno, Pane.
Nascono in un baleno Nel sembiante de l’una
Figlie d’un ferro sol, mille scintille. Adoro stupefatto
Ah temprate, temprate De l’altra il bel ritratto.
Ma voi pur ve ne gite, e pur lasciate
Questo misero petto
119 intrichi: ‘disordini’. Vedovo di diletto!
120 lumache: sta per ‘fannulloni’.
121 Pastinache: è una pianta, ma sta anche per ‘fandonie’ e ‘bestemmie’; la serie forse risente di Aretino, Lo
ipocrito IV, iii, 1 («ti aprezzo, ti curo e ti stimo tanto quanto stimerei, curarei e aprezzarei una sguscia-lumache,
una insala-fagiuoli e una infarina-pastinache»). 122 Progne: sorella di Filomela, trasformata in rondine.

130 131
Se di sempre fuggirmi A dar pietà co’ miei cordogli al prato;
Era talento vostro, Pur di novo ritorno
Perché dunque ferirmi? A far de le mie doglie
Forse non v’era noto, occhi crudeli, Le piante spettatrici,
Che ne’ campi d’un petto A far mormoratrici
Piover mai non sapete altro che foco? De’ miei casi dolenti
Funesti Agricoltori, Queste tremanti foglie.
Che seminando ardore Cercato ho già del Cielo
Cogliete poi le ceneri d’un còre. Tutte le chiare, e luminose Case,125
Ma seguirovvi, e tra diruppi, e sassi, E del mar più profondo
A baciar l’orme vostre
Visto ho l’algoso fondo,
Porterò questi passi;
E Venere non trovo!
Ché nel male amoroso
Onde i preghi dolenti a te rivolgo
Ch’ogni altro male avvanza,
Quinta essenza123 di morte è lontananza. Oh de la dura Terra,
Coronata di Torri alma Reïna.
Di Berecinzia,126 dimmi,
SCENA TERZA. Se teco sta quella Beltà Divina,
Nano. O se pur Monte, e piano
Ho da stancar piangendo, e sempre in vano? In vano.
Chi nel Regno d’Amor
Trovato avesse un cor, Marte.
Che si perdé l’altri’hier per una guancia, E perché sempre in vano,
Lo porti a me, che li darò la mancia.124 Forse perché più l’amor mio non brama? Ama.
Ei mi cadé dal petto
All’hora, ch’io miravo un Angioletto: Marte.
Donne chi l’ha Che mi giova, che m’ami
Almeno per pietà, lo lasci andar; S’hora del suo splendor fa ricchi gli altri? Altri.
D’un cor caduto, e che volete far?
Marte.
Altri di quel tesoro,
SCENA QUARTA. Che fu la mia ricchezza hora si gode? Gode.
Marte, Echo.
Marte.
Marte.
E chi fia mai colui,
Pur di novo ritorno
Cui gli amplessi, e la vita,
La mia nemica done? Adone.
123 Quinta essenza: ossia quintessenza (l’etere è il quinto elemento costitutivo del mondo), ma qui per estens. sta
per ‘elemento ultimo e fondamentale’.
124 darò la mancia: ‘ricompenserò’ in senso amoroso ma in tono scherzoso; v. stessa rima in Ariosto, O.f. XXVIII, 125 Case: in senso astrologico, le dodici regioni (e relativi segni zodiacali) in cui si credeva fosse diviso il cielo; si ricordi
48, 3-6 («e quante ne vedean di bella guancia, | trovavan tutte ai prieghi lor cortesi. | Davano, e dato loro era la l’erudizione di Don Ferrante in Manzoni, Pr. sp. 27, 43 («sapeva parlare a proposito … delle dodici case del cielo»).
mancia; | e spesso rimetteano i danar spesi»). 126 Berecinzia: appellativo di Cibele.

132 133
Marte. Venere.
Fiero nome, ch’io sento Fiori vaghi, et odorati,
Portatomi a l’orecchie, Ché da Zeffiro baciati
Io credo, che l’Oracolo del Vento, Sospirate aure d’April;
Quando qui fei127 dimora Festeggiate
Un’altra volta ancóra. Carolate
Ben’io ti riconosco Adone impuro, Sotto il piè d’Adon gentil.
Arabo forastiero,128
Spogliato de la Patria, e de l’Impero;
Non sempre la tua fuga a te fia muro:129 SCENA SESTA.132
Ti corcherò,130 ti troverò nel seno Choro di Fiori, che ballano.
De la perfida amica. Adone, Venere.
Premio de l’amorosa tua fatica
Farò, che sia la morte. Giacinto.
Così vorrà la sorte, Favorito un tempo fui
Che dove vaneggiando, Di quel Dio, che gira il Sole.
Unito salma, a salma, Ma ben tosto a’ colpi sui
Forse giurasti aver lasciato il core, Caddi in braccio a le Vïole,
Ivi lascerai l’alma. Per amar, Morte m’ha vinto,
Ma su si cerchi l’empio Miserabile Giacinto.
Per farne giustamente amaro scempio.
Narciso.
Invaghito de’ miei rai,
SCENA QUINTA.131 Tanto il bel di me mi piacque,
Adone, Venere. Che mirandomi ne l’acque,
Su le sponde i piè lasciai.
Adone. Per amar’io cangio viso,
Vaghe herbette Miserabile Narciso.
Vezzosette,
Che da l’Aura salutate,
Clizia.
V’inchinate.
Per sentiero faticoso
Repplicate il gioir vostro,
Dietro il Sol portai le piante,
E se noi baciam noi stessi,
E conversa in fiore Amante,
Voi baciate il piede nostro.
Né pur’hor trovo riposo:
Fui già Clizia, hor com’ei vuole,
Miserabil Girasole.133
127 fei: ‘feci’.
128 Arabo forastiero: cfr. l’apostrofe in Marino, L’Adone XVI, 238, 1-2 o v. la forma «arabo inculto», a XVIII, 70, 5.
129 muro: ‘scampo, difesa’.
130 corcherò: ‘abbatterò’. 132 Sesta: la stampa: «Quinta».
131 Quinta: la stampa: «Quarta». 133 Girasole: l’oceanide Clizia, abbandonata dal Sole di cui era innamorata, si trasforma in girasole.

134 135
Choro. ATTO QUARTO.
Così va chi al Mondo crede, SCENA PRIMA.
Di goder sovra il suo stato; Marte.
Ben mortale è misurato
E va via, che non si vede, Qui pur, dov’hora intesi
È follia speranza altera, Ch’ha la Coppia nemica a far ritorno,
Miserabile chi spera. Fiero vendicatore alfine io torno.
Invisibile, e muto
Adone. Fin ch’io veda il fellone
O d’infausti accidenti Odiatissimo Adone,
Mesti fiori loquaci, Farò d’ogni rumor saggio rifiuto,
De’ canori lamenti Ch’amica è la vendetta
Come, come ch’io sento Di chi tacito137 aspetta.
Tutti gli spirti miei fatti seguaci!
Ah ben diss’io più volte
Che chi non vuol provar’Amori amari,134 SCENA SECONDA.
I nodi di Cupido han d’esser pari.135 Nano, e Nana.

Venere. Nano.
Deh non s’impallidisca, Hor che lungi dal Palazzo,
O mio Sole adorato Nana mia, Venere sta,
L’ostro de le tue gote, Io sarei ben un gran pazzo
Ch’io, benché Dea, ti voglio, Non lodar la tua beltà.
E tutto lice a quel, che tutto puote; Senza rispetto,
Taccia lo stuol de’ fiori, Con gran diletto,
Che il ben, che vien dal Ciel, serba costanza In questo loco
E l’anima del Mondo è la speranza. Favelliamo ancor noi del nostro foco.

Tutti due. Nana.


Lasciam Pomona,136 Noi siam tanto piccini,
Dove risuona Ch’altri del nostro amor tenzona, e ride;
Flebile stil. A te chiaman de’ Pulci il novo Alcide,138
Torniamo al Tetto E a me la Gigantessa de’ Pulcini.
Dov’ha ricetto
Amor gentil. Nano.
Picciolo son costrutto,
Negar no’l posso già,
134 Amori amari: la lunga durata della figura raggiunge ancóra, nel Novecento, una bella variante in Elio Pa-
gliarani, La ragazza Carla (I romanzi in versi, Mondadori, Milano 1997) III, 7, 26-7 («anche se amore importi
amare | lacrime»).
135 I nodi … pari: ossia ‘equivalenti’, uguali per entrambi e con le stesse condizioni. 137 tacito: in silenzio, senza appunto fare rumore.
136 Pomona: ossia ‘il mondo vegetale’ di cui Pomona è dea. 138 Alcide: Ercole, in allusione al nome di Alceo, suo nonno.

136 137
Ma adesso il Mondo tutto Narrar da chi vi fu,
Ama la brevità. Che su’l Veneto lito
È pazzia melanconica Le Donne paion Grù.
Non conoscer’a punto Su gambe ove s’innaria146
Che s’io mi movo formo il contrapunto,139 Alzano tanto il viso,
E porto al Mondo una beltà Laconica.140 Che ben si può chiamarlo il Paradiso,
Poiché lo portan quasi sovra l’aria.
Nana.
Io son così bassetta,141 Nano.
Perché lo Dio d’Amor Salgono tanto in alto
Mi tien per sua Civetta142 Per far precipitar
Ad allettar’i cor’. Con rovinoso salto
Faccio tutto il possibile
Quei, che le vonno amar.
Per obedir sua norma,
Almeno io mi certifico147
E stretta quanto posso in questa forma,
Ch’amor non mi conquassa,
Io cerco di ferire a l’invisibile.143
Che quanto la mia Nana il viso abbassa,148
Nano. Tanto ne l’abbracciarla io mi fortifico.
Io son l’estratto vero144
Di tutto il buono, e’l bel; Nana.
Picciolo Cavaliero, Chi vuol di quelle Dame
Ma lesto come Augel. L’alta beltà veder,
Sotto una breve Nàtola145 Per pascer le sue brame
Chiudo la vita mia, Convien l’occhiale aver.
E chi di me tenesse gelosia E s’uno, per disgrazia
Mi può portar per tutto in una scatola. V’arriva al seno, o al collo,
S’arrischia di comprare un rompicollo149
Nana. Nel caderle dal seno, o da la grazia.
Ho più volte sentito
Nano.
139 contrapunto: mus. è l’arte di combinare più melodie, qui sta per ‘piccoli passi’, come in Aretino, Ragiona- Idolo, che tant’amo,
mento 1, p. 59 («passeggiare in contrapunto»). Basta, noi siam così,
140 Laconica: ‘breve, concisa’ e, con allusione autoironica alla statura, ‘piccola’ e ‘differente’ rispetto al modello E quando nati siamo
più consueto e riconosciuto di bellezza.
141 bassetta: oltre all’indicazione di statura, richiama il nome di un gioco di carte evocato con allusione oscena
in Berni, Rime 14 (Capitolo della primiera), 22-3 («Chi dice egli è più bella la bassetta | per esser presto e spac-
ciativo gioco»). 146 innaria: ‘vola, si eleva inarrivabile’, con allusione oscena.
142 Civetta: ‘zimbello’ e ‘attrazione’, come in Lippi, Malm. rac. IX, 22, 7-8 («La dama accivettata, anzi civetta, 147 mi certifico: ‘mi convinco, mi assicuro’, come in Tassoni, Sec. rap. X, 63, 1-3 («Ma il conte poi che fu certi-
| lo burla, che gli è corsa la berretta»). ficato | dal collegio de’ medici ch’egli era | fuor di periglio»).
143 a l’invisibile: ossia, ‘non vista’; è prerogativa di Venere, per cui v. Achillini, Venere cerca Adone 68-9 («se mai 148 Che … abbassa: cfr. Sempronio, La bella nana (in Marino e i marinisti, ed. Ferrero, pp. 759-60), 9-11
passeggio | le campagne invisibili de’ cori»). («Ma convien, per veder fra quai confini | ha posti il paradiso i suoi tesori, | che gli altri inalzin gli occhi, e ch’io
144 l’estratto vero: nel senso di ‘il concentrato, la summa’. li chini»).
145 Nàtola: iperbole per ‘piccola fessura, di nessuna importanza’, con allusione oscena all’organo sessuale fem- 149 comprare un rompicollo: ‘procurarsi un guaio’ in senso materiale (farsi male) e figurato (non ottenere nulla),
minile; Battaglia spiega: «Marin. Incavatura della scalmiera nella quale si appoggia il ginocchio del remo». forse anche giocando col detto vendere a rompicollo, che sta per ‘vendere a un prezzo inferiore’.

138 139
Io benedico il Dì. SCENA TERZA.
Io vuò, ch’ogni un mi nomini: Venere, Adone, Grazie.
Ch’al fine un pulce vile
Morde più, che non morde un campanile,150 Venere.
E non si vende a canna151 il bel de gli huomini. Frena del pianto amaro
Il Torrente importuno
Nana. Idolo amato, e caro.
Et io, già che mi lodi,
Voglio ne l’avvenir, Adone.
Che quanto vuoi mi godi, Ch’io non pianga crudele,
E che lasciamo dir. Ché non m’assorba un’Ocëan d’ambasce155
Per tutto si dissemina,152 Dolce Tiranna mia, se tu mi lasce?
Che mostra maggior lena
Una Remora153 in mar, che una Balena, Venere.
E non si vende a canna il bel di femmina. Dunque per un sol giorno
De la mia assenza, Adon, tanto ti lagni?
Tutti due. E pur di novo piagni?
Sì sì speme mia bella Oh prezïose stille,
Lasciamo dir chi vuol; Amor’in voi con meraviglia estrema,
Congiunge le rugiade a le faville!
Nano. Deh serba quelle lagrime sì vaghe,
Tu sei per me una Stella. Ché se piangendo vai,
Tu chiedi, e non lo sai,
Nana. Un torrente di sangue a le mie piaghe
E tu per me sei un Sol.
Adone.
Se parti, o Dea, se parti,
Tutti due.
Del tuo fedele Adon, l’anima parti.
Qui non ci vanno historie,
S’abbiamo a goder noi.
Venere.
Pigli a suo modo ogn’uno i gusti suoi,
Per antico costume,
Ché non si ciba Amor di vanaglorie.154
Che venera il mio Nume,
Vado altrove ad accòrre156 incensi, e voti,
De’ miei fidi devoti.
150 un campanile: iperbole per ‘alto’ con allusione oscena alle dimensioni del membro (Battaglia segnala Bruno,
Bestia trionfante, il DLLA aggiunge Firenzuola e l’Aretino delle Sei giornate). Adone.
151 a canna: antica misura italiana di lunghezza; la forma vendere a canna si trova in Berni, Rime 49 (Vaghezze Più devoto, e più fido
di Maestro Guazzalletto medico), 54.
152 si dissemina: ‘è risaputo’; per l’uso Battaglia segnala Paruta e Dottori.
153 Remora: piccolo pesce con un apparato adesivo a ventosa posto sul capo, col quale può attaccarsi agli scafi o
ad altri animali marini per farsi trasportare. 155 d’ambasce: ‘di dolori, d’affanni’.
154 vanaglorie: ‘superbia’. 156 accòrre: ‘accogliere’.

140 141
Non ha di me nel suo söave Regno Venere.
L’impiagator Cupido. Che note, ohimè, son queste?
Che imagini funeste?
Venere. Deh riscalda il tuo gelo;160
Bene il mio affetto è degno Vivrai pompa161 d’Amore,
Di sì fatta costanza: Ed io farò, che in Cielo
Conservala nel cor, mentr’io sto lunge, Sempre chiaro fiameggi il nostro ardore.
Ché gran prova d’Amore è lontananza.
Adone.
Adone. Poiché a partir t’accingi,
Puoi ben l’arida Zona, Concedi, anima mia, ch’io tempri il duolo
E l’algente157 girar, che tornerai, Di quest’assenza amara
E morto me, pria che mutato avrai. Con quell’unico, e solo
Piacer, che a l’alma mia
Venere. In poca parte i turbini162 rischiara.
Folle meglio ragiona,
O’n vece di parlar, toglimi l’alma: Venere.
Trïonfi pur de l’immortal mia vita Unico ardor ch’io amo,
Pria ch’ottenga di te, Morte, la Palma. Da te stesso, a te stesso,
E chiedi, e ti concedi.
Adone.
Durissima partita, Adone.
Partita dolorosa, Nella selva, mio ben, che là tu vedi
O non sa proferire, o pur non osa Gir’a scherzar con quelle fère io bramo.
Il suo peso il mio core,
Ma soggiace tremante a un gran timore. Venere.
Con le fère scherzar, giocar con mostri?
Venere. Oh folli desir’ vostri!
Ben mio, tu lo tranquilla, Vanne con quella sorte
Tosto vedrensi158 ancóra. Che merta un Dio, qual tu rassembri a punto,
E la Tigre, e’l Cigniale obedïente
Adone. Cedano a la tua man la zampa, e’l dente,
Chi sa che pria di farlo, Adon non mòra?159 Ma se dimeno puoi
Deh tralascia l’impresa:

157 l’arida Zona | E l’algente: ‘l’Equatore e il polo Nord’; v. Marino, L’Adone XI, 124, 1-2 («Non fia clima remoto,
estrema Zona, | dove lo scettro suo l’ombra non stenda») e XIX, 363, 5-6. 160 Deh … gelo: cfr. Francesco Berni, La palma d’Amore I, 3, p. 32 («Ma deh, che in mezzo al gelo | Più s’uni-
158 vedrensi: ‘ci rivedremo’. sce la fiamma, e più riscalda»); ancóra in Shakespeare, Venus and Adonis 36 («He red for shame, but frosty in
desire»).
159 Chi … mòra: questa prefigurazione futura dell’esito tragico della vita di Adone, di nuovo ribadita, è più un
ricatto emotivo di natura affettiva, o comunque segnale di un mondo emotivo ancóra immaturo: immagine della 161 pompa: ‘vanto, orgoglio’.
fragilità entro cui sembra iscriversi, negandola, la presenza della verità. 162 turbini: ‘confusi pensieri’ (qui, di morte).

142 143
Oh come tosto egli ha la guancia accesa!163 Oh come sempre è pronta
Vanne, vanne, cor mio, vanne se vuoi. Bassezza femminile,
A far de’ gusti suoi
Adone. Più satollo il più vile!
Tu mia speranza intanto Potevo ben con un sol guardo mio
Se da me lunge senti Estirpar del fellon la vita frale,
A susurrar’i Venti Ché un cenno, un cenno sol d’irato Dio
Di’ che son miei sospiri uniti insieme, È un fulmine mortale.
Che per mia lontananza Ma non fia ver, che nascita sì ascosa,166
Ti vengono a narrar mie pene estreme. Sia degna d’una morte sì famosa:
Vada il perfido al Bosco
Venere. Tra le fère più lorde167
E tu, se mai nel petto Ad intracciar per lui l’ultimo tòsco;
Senti guizzarti164 il core, Ch’io vi sarò co’l Fato,
Di’ ch’è la man d’Amore, Perché tardi ei s’avveggia
Che ti raccorda165 intatto il suo ricetto; Quanto è fiero nemico un Nume irato.
E di’ ch’allora invia
Saluti a l’alma tua l’anima mia. Il Fine dell’Atto Quarto.
Meste, e languenti
Moviamo il piè,
Grazie dolenti, ATTO QUINTO.
Adon da te, SCENA PRIMA.
Fior di bellezza, Adone, Choro di Cacciatori.
Fior di dolcezza
Lasciamti qui, Adone.
Ma gran Stella ti mira in questo dì. Cingete tutta l’ombra
De le vicine selve,
E dove le Campagne il Monte ingombra,
SCENA QUARTA. Mandate a gara i piccioli latranti
Marte. A spaventar le più minute Belve.
Oh quanto è meglio, oh quanto
De gl’impudichi Amanti Per contrada Silvestre
I teneri congedi Mover guerra campestre
E pur Marte vedesti, e a pena il credi? Ch’insidïar d’un Regio Trono il manto!168
Sono le fère al Mondo

163 accesa: di disappunto, per la assai timida richiesta di Venere. La subitanea reazione stizzita di Adone alla
debole richiesta di Venere ha la funzione di ristabilire l’equilibrio psichico di Adone e compensa la frustrazione 166 ascosa: nel senso di ‘anonima, non divina, mortale’.
dovuta al timore espresso per la partenza di Venere. 167 lorde: ‘sudice’, è parola dantesca (Inf. 6, 31).
164 guizzarti: ‘pulsarti’, per il quadro v. Marino, L’Adone XIII, 193, 1-4 («Pargoleggianti esserciti d’Amori | fan 168 Oh … manto!: cfr. Shakespeare, Venus and Adonis 409-14, ma tutto il presente monologo consuona con
mille scherni al bellicoso Dio; | e qual guizza tra’ rami, e qual tra’ fiori, | qual fende l’aria, e qual diguazza il rio»). l’elogio della caccia dell’Adone shakespeariano contro le insidie d’amore, qui sostituite da quelle della corte e
165 raccorda: ‘ricorda’ come in Boccaccio, Dec. 6, 2. dell’ambizione.

144 145
Spettacolo giocondo Su Cacciatori
Per sazïare de l’humana gente Svegliate i cori,
L’ira, quasi innocente, Movete i passi;
E pur’hoggi da noi sì s’allontana Publichi172 il suono di guerrieri carmi,
Moderato desio per voglia insana! Al bosco, al bosco,
Il Bosco, che nutria le Quercie antiche A l’armi, a l’armi.
Per difender co’ rami
Dal Sol nostre fatiche, Adone.
Hor che ne l’Ocëano ei si traspianta,169 Nel calcar quest’herbe tenere
Cangia in Nave homicida ogni sua pianta; Ne l’entrar la selva oscura
E l’ombre, che nel suolo eran vitali, Io t’invoco a la mia cura173
Trasportate nel mar, sono mortali!170 Santo Nume di mia Venere.
Oh de l’humano sangue
Desio, quant’ebro più, più sitibondo;171
Per te lieto rifiuto SCENA SECONDA.
L’ambizïoso Mondo: Diana, Choro di Cacciatrici.
Segua chi vuol di Regno ingorde voglie,
Ch’io benché nato a gli Ostri, Diana.
Povero cingo, e mansüete spoglie. Oh di bocca profana,
Sembra il fasto terreno Voce, che vilipende
Un mostro di Fortuna, L’Impero di Dïana!
Che sempre tardi nasce, E chi del Bosco antico
E mòre ne le fasce. Premer tenta i sentieri
Tra quest’ombrose piante, Sotto gli auspizî alteri
Pasco il desio vagante; D’un’Idolo impudico?174
E se di cento fère il sangue io verso,
D’una stilla di colpa
Non porto il còre asperso. SCENA TERZA.
Su su dunque, su, su Marte, Diana, Choro di Cacciatrici.
Cingete tutta l’ombra
De le vicine selve. Marte.
E dove il Monte le campagne ingombra Un sì folle, un sì ardito,
Mandate i Veltri a spaventar le Belve. Che co’ Numi gareggia,
Un, che da strano175 lito,
Choro.
Al Bosco, al Bosco, a le spelonche, a i passi;
172 Publichi: ‘divulghi’, in rif. alla Fama come in Marino, La Sampogna, Atteone 62-4 («Già sì strano accidente
avea la Fama, | e del bene e del mal publicatrice, | divulgato volando»).
169 traspianta: ‘trasforma’ come in Marino, L’Adone VI, 136, 5-8 (Non sol negli orti miei convien ch’anch’ella | ti 173 a la mia cura: ‘in mia protezione’.
ceda omai la mia superba Rosa, | ma, fregiato di stelle, anco il tuo stelo | merita ben che si traspianti in Cielo»). 174 Idolo impudico: si tratta, naturalmente, di Venere invocata da Adone sul limitare del bosco in fine della scena
170 mortali: nel senso di ‘assassine, omicide’. precedente.
171 sitibondo: ‘assetato’, come in Ariosto, O.f. XXII, 51, 2 («e di vendetta ingorda e sitibonda»). 175 strano: ‘straniero’.

146 147
Coll’armi di Cupido, Ma de l’unghia Nemèa180 sì generosa
Venuto in Cipro il mio poter guerreggia. Non merta un vil Garzone il nobil tòsco.

Diana. Diana.
Dunque da un’alma follemente ardita Belva per lui fia troppo glorïosa
Mia famosa possanza hoggi è schernita? L’impiagatrice Hircana.181
Io, cui porgono il petto
Le Tigri maculose;176 Marte.
Io, cui cedono pur le forze annose177 Quanto più s’allontana
Fèra da nobiltà, sarà migliore
I vellosi Bisonti,
A sbranar del fellon l’indegno core.
Hoggi sopporterò gli humani affronti?
Per tutto ove s’aggira Diana.
Febo co’l lume immenso Fòra182 tomba condegna
Mi fumano le selve Arabo incenso: De l’offensor di Cinzia
Il Moro, il Garamante,178 L’atra bocca de l’Orso.
Il Sarmata179 vagante, Ma non par che convegna
La gente che dimora A sì veloce ardir, sì pigro183 morso.
Tra’l sagittario e l’Orse, Odi tu belva insana,
Il mio gran Nume adora, Da le cui pazze, e rapide punture
Et hor lo pone un temerario in forse? Tal’hor le piante184 ancor non son sicure:
Mie fère vilipese, Con sozzo, e trabocchevole185 ardimento,
Chi di voi rota il più affilato dente? Rapida a par del Vento,
Corretemi d’intorno immantinente, Va’ tosto, e svelli il cor dal petto indegno
Per vendicar del perfido l’offese. De l’offensor del mio Ferino Regno.

Choro di Cacciatrici.
Escono saltando in forma di ballo, Apprendete, o Mortali
un Leone, una Tigre, un Orso, A distinguere i voti
E non lasciar’al culto i Numi ignoti.
et un Cigniale.
Fere sdegnato,
Nume sprezzato
Marte. Di stral vendicator, che ratto punge
Ben di par sono horrende E quando non si teme, all’hora giunge.
Le quattro Parche, o Dea, di questo bosco,

180 unghia Neméa: è quella del leone vinto da Ercole, ricordato anche in Marino, L’Adone V, 67, 3.
176 maculose: ‘a chiazze’, v. Sannazaro, Arcadia 9, 37 («di pelle di cavriuolo portava maculosa e sparsa di 181 L’impiagatrice Hircana: è la tigre persiana, proverbiale per la sua ferocia.
bianco»). 182 Fòra: ‘sarebbe’.
177 annose: ‘antiche’. 183 pigro: ‘lento’ (in opp. al «veloce ardir» di Adone); sulla sua proverbiale difficoltà, v. Leonardo, Bestiario 6.
178 Garamante: zona dell’entroterra nordafricano. 184 le piante: ‘i piedi’, ossia ‘il fuggire’.
179 Sarmata: regione a nord del mar Nero. 185 trabocchevole: ‘soverchio, eccessivo’.

148 149
SCENA QUARTA. Lagrime strepitose,188
Pan. Sì che dal mormorìo
Di questo pianto mio
Poiché in van per temprare il mio lamento, Altri si faccia accorto,
Parlo a sorde spelonche, a mute Piante, Ch’il fregio de le selve, ahi lasso, è morto.
Rifiuto al fine il titolo d’Amante, E s’io del fatto horrendo
E la Fistola186 mia rinunzio al Vento. Unico spettatore hoggi restai,
Ben di questa mia mano al gran valore Ben’è ragion, ch’homai
Vinte sareste, o crude Grazie al fine, Tutta la vita mia versi piangendo.
Ma ben folle è colui, ch’in sue rapine Terror de l’atra selva
Possede il seno, e non possede il core. Viddi, ben posso dire,
Se lungo assediator la Donna baci, La Deïcida Belva,
Coll’alma piange, e colla bocca ride, Poich’ella spinse a l’ombra d’Occidente,189
E nel düello d’amorosi baci Di celeste bellezza un Sole ardente.
Colpo di finto vezzo Amor’uccide. Ma non rotò sì avaro il dente attorto
No no, non voglio no Che per pietà volesse
Seguir chi mi sprezzò: Far, che su’l vago estinto,
Troppo favola fui, Pria, che a tal’huopo accinto,190
De la durezza altrui; Io rimanessi morto!
Ostinato amator Fero tenor del Fato,
Ho tratto dietro il cor Che la gioia interrompi
A chi no’l meritò All’hora che cominci a far bëato.
Hor non lo voglio far no, no, no, no! Come rendi fugace il bene humano!
Come del Mondo insano
Prendi a scherzo il desire
SCENA QUINTA. E più che vuoi giovar, più vuoi punire.
Nunzio. Ah, che non spira al Mondo
Aura lieta il Mortale,
Taci lingua dolente, Che il secolo, ch’ha l’ale,
Taci dolore atroce, Erge in un punto, e fa cadere al fondo
Fuggi dal labro, fuggi E ciò, che sta qua giù
Precipita su’l core infausta voce. Sarà trofëo d’un miserabil fu.
Voce cruda, e importuna, Speranza lusinghiera,
Ch’entro l’horrore d’una sola morte Desio, ch’è troppo stolto,
Tutto l’horror di mille morti aduna? Ahi, che non dura molto:
Con diluvio di pianto Lo scettro de l’Oblio Tiranno impera,
Prendete a distillar lumi loquaci,187

188 strepitose: ‘rumorose’ ossia accompagnate da lamenti.


186 Fistola: ‘siringa, zampogna’. 189 d’Occidente: ossia ‘del tramonto’.
187 loquaci: ‘espressivi, eloquenti’, v. Marino, L’Adone VI, 36, 5-6. 190 accinto: ‘circondato’.

150 151
E ciò, che sta qua giù Parmi, che’l labro tuo dica la morte.
Sarà trofëo d’un miserabil fu. Ma che dic’io? Ragiona194
Fregio torbido, e tetro Caro Nunzio fedele,
Il bel del Mondo appello; E al mio dolor crudele homai perdona.
Un momento di bello191
Si frange per un sempre in su’l ferétro, Nunzio.
E ciò, che sta qua giù Sotto il punto cred’io
Sarà trofëo d’un miserabil fu. Che fere a dritto lampo il biondo Dio,
Men gìa per l’ombra de l’opaca selva,
Quando viddi crudel’horrida belva.195
SCENA SESTA. Ohimè non fia mai vero
Venere, Nunzio, Grazie. Ch’io lo ridica intero!
Fammi più tosto, o Dea, fammi morire,
Venere. Chiedilo a queste selve: i’ no’l vuò dire.
Qual di querula voce
S’ode quinci ferir suono d’intorno, Venere.
Che non inteso ancor, mi chiama a i pianti? Oh tiranno silenzio,
E qual timore incognito, e feroce Ne le dimore tue spietato assenzio;196
Mi portano su’l cor l’aure volanti? Oh Nunzio tormentoso,
Ferma Pastor gentile, Tanto palese più, quanto più ascoso!
Volgi a me gl’occhi tuoi, Da i sassi ermi, e selvaggi,
Ché non è sempre il pianto indizio vile. Che troncano le note,197
Meglio saper ciò che tu sai, si puote
Nunzio. Da l’edere, e da i faggi,
Dea, cui s’inchina il più remoto Mondo Da i sassi ermi, e selvaggi.
Deh lascia, ch’io mi celi a’ rai del Sole,
Coll’amaro dolor, ch’in seno ascondo, Nunzio.
E non chieder da me guardi o parole. Convien ch’ogni poter s’inchini al Fato;
E chi nasce mortale,
Venere. Prende i primi riposi in una culla
Ohimè, che’l fero stil di queste note Ch’ha sembianza d’Avello
Vie più, ch’un ferro192 istesso Per avvezzarne a diventar un nulla.
L’interno del mio cor fere, e percote. Quel, che a ragion di bello
Qual novella m’apporte? Per le selve di Cipro il nome avea,
Ma taci, ohimè, ma taci,
Che senza più richieste193
194 Ragiona: ‘esponi’.
195 horrida belva: v. Rinuccini, La favola di Dafne I, 1, 29-31: «Tra queste ombre segrete | s’inselva e si nasconde
191 Un momento di bello: ‘un istante di gioia e piacere’. | l’orrida belva».
192 ferro: ‘arma’. 196 assenzio: ‘dolore, tormento’.
193 senza più richieste: ossia ‘anche senza parlare’. 197 troncano le note: ossia ‘che non possono parlare’.

152 153
Quello, o vezzosa Dea, Come ragione il vuol, voglio esser sola.
Ohimè, non fia mai vero Ma se pur sola il Ciel non vuol, ch’io sia,
Ch’io lo ridica intero! Mi mandi in compagnia
Fammi più tosto, o Dea, fammi morire. Le Grazie di Proserpina,200
Chiedilo a queste selve; i’ no’l vuò dire. I trastulli del Tartaro,
Che con impeto, e rabbia,
Venere. Già ch’è fatale il duolo,
Ben t’intendo spietato, Mi trasportino a volo
Ben t’intendo animato Su l’Infernale, et infuocata sabbia.
Martiro198 di quest’alma. Su, su chi d’Acheronte
Ohimè, ch’Adone è morto; Esce a portarmi a la fornacea fonte?201
Chi mi darà conforto? Tragittatemi pure
Su su, movete il piè A la Reggia di Pluto
Gite lunge da me Che s’io preparo i lumi a un pianto eterno
Compagne di pietà, Son suddita de l’ombre, e de l’Inferno.
Che ne l’atroce duol, che mi sconsola,199 Ma narra homai funesto
Come ragione il vuol, voglio esser sola. Muto Revelatore,
Voglio esser sola, e voglio, De l’aspro fatto il resto,
Già che morir non posso, Che già s’avvezza ad ogni doglia il core.
Trasformarmi repente
Nume d’Amore ardente Nunzio.
In Nume di cordoglio. Andò’l tuo caro Adone
Ben sentivo il mio core A ferina tenzone,
Sazio di questo petto, E là dov’altri mai non pose il varco,
Che con moti frequenti, Egli solo sen’ corse
Con tocchi vïolenti A trattar202 l’asta, e l’arco:
Egli voleva uscirne al mio dispetto. Quand’io (giunto ne l’horrida foresta
Ma non credevo mai, A pascer203 del mio cor la voglia mesta)
Ch’hora il Sol di bellezza Inerme qual mi vedi
Per non aprirli più, chiudesse i rai. Contro hirsuto Cigniale,
Ohimè, ch’Adone è morto: Tentai co’ gridi di prestarli aita,
Chi mi darà conforto? Ma già prendeva i torbidi204 congedi
Su, su movete il piè,
Gite lunge da me
Compagne di pietà, 200 Proserpina: nome lat. di Persèfone, dea degli Inferi, figlia di Zeus e di Demetra.
Che ne l’atroce duol, che mi sconsola, 201 fornacea fonte: ricorda Tasso, Aminta I, 1, 287 («da le triste fornaci d’Acheronte»), da Dante, Inf. 3, 78.
202 A trattar: ‘a esercitare’, come in Tasso, G.l. II, 40, 3-4 («trattò l’asta e la spada, ed in palestra | indurò i
membri ed allenogli al corso»).
203 pascer: ‘appagare’, ma la presenza del nunzio nel folto di questo inesplorato bosco, oltre per mera necessità
198 animato | Martiro: ‘viva morte’. narrativa, resta ambigua.
199 sconsola: ‘affligge’. 204 torbidi: nel senso di ‘dolorosi’, come in Petrarca, RVF 151, 3.

154 155
Da i Regni de la vita. A l’impeto penoso
Et io, corsa la fèra Di dolor cruccïoso,207
Nel pestifero suo vecchio covile, Et ho l’imago del mio bene intorno
Fei, che la sparsa schiera Che supplice a’ miei piedi ella si getta,
Al giardin di Cupido all’hor traësse Tinta di sangue, ad esclamar vendetta.
Quella salma gentile. Ohimè, ch’Adone è morto;
Chi mi darà conforto?
Venere. Su, su, movete il piè,
Oh foss’io stata sorda. Gite lungi da me
Amico tu narrasti, Compagne di pietà,
Et in succinte note Ché ne l’atroce duol che mi sconsola,
Un cumulo d’Inferni epilogasti.205 Come ragione il vuol, voglio esser sola.
O Giove, e tu consenti
Che sparga co’l mortale
L’immortale i lamenti? SCENA SETTIMA.
O Giove, e tu’l consenti? Il Sonno, e Venere.
Io passerò, perché non m’oda il Mondo,
Sotto le negre, e taciturne notti Sonno.
A narrar mia sfortuna Dal gran Nume de’ Numi,
A i freddi testimonii de la Luna. Eletto a consolar l’egro208 suo duolo,
Maledette le selve, Spiego a la Dea d’Amor tacito il volo.
Maledette le Belve, Frena Venere homai gli amari fiumi
Sien maledette le saëtte, e gli archi, Del pianto, che ti bagna,
E i Monti, e i Boschi, e le Spelonche, e i Varchi. Ch’in van contro la morte ogniun si lagna.
Maledetti stromenti di Dïana,
Da cui forse mi nacque Venere.
Questa miseria insana. Potentissimo Dio,
Ben ti diss’io bellissimo Garzone Che stringi ne’ Papaveri di Lete
Ch’i passi del tuo piede Lo scettro de l’Oblìo;
Erano prezïosi I tuoi söavi Imperi
Da passeggiar là su l’eterne sfere, Già mi giungono al cor per vie secrete.
E non da seminar dietro a le fère; Io cedo, io cedo al tuo poter sublime,
Ben ti diss’io, mio core, Ché la voce dogliosa
Lascia Delia206 Silvestre, Esce dal labro mio già sonnacchiosa,209
Segui Ciprigna tua, segui gli Amori, E una morte söave il cor m’opprime.
Ché per due Deïtà non hai due cori.
Ma ahi, che ancóra io torno
207 cruccïoso: ‘pieno d’ira’, come in Marino, La Sampogna, Atteone 174-5 («Quindi la Dea crucciosa | mi fe’ de
propri cani e preda, e pasto»).
208 egro: ‘infermo’.
205 epilogasti: ‘hai riassunto’; una consimile iperbole in Marino, L’Adone II, 173, 1-2. 209 Esce … sonnacchiosa: cfr. Guarini, Pastor fido I, i, 480 («ma provocate ancora | col rauco suon la sonnac-
206 Delia: è Diana, in quanto nata nell’isola di Delo. chiosa aurora»).

156 157
Sonno. SCENA NONA.
Hor che Ciprigna i vaghi lumi serra, Marte, Choro di Grazie, Amore,
Esca da la mia Terra Choro di Amori, Venere.
Una Larva felice
Ch’in sembianza d’Adon la Dea console: Marte.
Giove così m’impose, e così vuole. Hor che dorme Citerea,
La mia speme, e la mia Dea,
Su, su Grazie, et Amori,
SCENA OTTAVA. Torniamo il core al Cielo
Ombra di Adone. Co’l riportar a lui la Dea de’ cori.

Adone. Grazie.
Sì, sì dunque sì sì,
Dolce sonno, sonno lieto,
Ritorni onde partì;
Che con placide parole
Dateci l’ali Amori,
Chiudi in carcere segreto
Torniamo il core al Cielo
Le pupille al mio bel Sole:
Co’l riportar a lui la Dea de’ Cori.
Fa’, ch’io vole
Ne’ pensieri suoi dogliosi Amorini.
A bëar sì bei riposi. Tacite, e chete
E tu fra sì bell’ombre Ciprigna ergete
Mio Sole addormentato, Su Grazie amate,
Cedi homai, cedi al Fato. Ma non toccate,
Io de gli Elisii Prati Gli aurei capegli;
I riposi men’ godo almi, o dorati, Zitto, ohimè, che non si svegli.
E per dolce ristoro
Di mia dolente historia, IL FINE.
Pasco210 de la tua fé la mia memoria.
Del sangue, ch’io versai, le stille acerbe
Dan per voler di Giove
Novo colore a i fiori, e fregio a l’herbe.
Tu del mio fido amore
Assicura il tuo core;
T’adorerò per quanto il Ciel si volve,211
E sarà tua seguace ogni mia polve.212

210 Pasco: ‘nutro’.


211 si volve: ossia per sempre.
212 polve: ‘più piccola parte’; cfr. Ferrari, Il pastor regio I, ii, 62 («Ogn’un è fabrica di polve al vento?»), ma
ricorda anche il passo in Anguillara, Metamorfosi d’Ovidio X, 308, 1-8.

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EX GENERE PATRIS
Giovanni Francesco Fattiboni
da Adone in Cipro. Tragedia per musica
(Napoli, 1790)

ARGOMENTO

Adone restituito al regno paterno, amato da Venere, ucciso per odio di Diana, per
gelosia di Marte da uno smisurato cinghiale, tolto da Amore a’ regni della morte
forma il soggetto dell’opera. Questo stesso soggetto, che ha servito all’estensione di
un epico poema, da cui ne ho tratta l’idea, tolto dalle sue immondezze, si è da me
ristretto ad una Drammatica1 azione. O si riguardi il vero giovane Principe, che rac-
colte in sé le qualità più belle dell’animo, e del corpo sposò la figlia del Re di Biblo,
e montò sul trono dopo la morte del suocero, o si consideri quello amato da Venere,
si riconoscerà essere lo stesso Principe, nella di cui storia hanno mischiato i Poeti del
favoloso, in guisa però, che gl’ornamenti della favola nulla tolghino al fondamento
della storica verità. Infatti fu questo Principe amante della caccia, e fu, se non ucci-
so, creduto almeno da una fiera condotto a morte, pianto perciò non solo in Biblo,2
ma ancora nella Fenicia, dimodoché l’inaspettata sua guarigione, ed il trasporto
della comune allegrezza fecero dire, che il Principe era dall’inferno tornato. Di qui
poscia ne venne la favolosa Reggia d’Amore, la gelosia di Marte, il soccorso di Diana
per vendicarsi, il ritorno in vita ottenuto da Giove, e quant’altro hanno aggiunto ad
Ovidio, ad Euripide3 altri posteriori poeti, e specialmente il Cavaliere Marini, sulle

Il testo è contenuto nell’edizione Opere drammatiche, in 4 tomi, Napoli, per F. Raimondi, 1790 [copia consultata
presso la Fondazione Cini di Venezia, Istituto di lettere, fondo Rolandi, AI AD]. Giovanni Francesco Fattiboni
nacque a Cesena, il 27 dicembre 1736, e morì il 10 dicembre 1802. È autore di numerosi drammi e azioni sacre,
nonché di qualche produzione nel genere lirico. È ricordato nel suo carteggio da Metastasio, che lo considerava un
alunno diligente. È autore anche di un’inedita composizione dedicata all’educazione dei figli, dal titolo Mitologia
ovvero storia della favola (Biblioteca Malatestiana di Cesena).

1 Drammatica: la stampa: «Drammntica».


2 pianto … Biblo: cfr. Milton, Paradise Lost 1, 446 sgg., e Renan, Vie de Jésus, lett. intr. (ed. Aubry, Paris 1945,
p. vi: «Tu dors maintenant dans la terre d’Adonis, près de la sainte Byblos et des eaux sacrées où les femmes des
mystères antiques venaient mêler leurs larmes»).
3 Euripide: nell’Ippolito (1420-2), ove si allude alla vendetta di Diana, «con frecce a cui non si può fuggire», nei
confronti di Afrodite e «quello che le sarà più caro»; e nell’Elena (1337-52), con significativa sovrapposizione al
mito di Giacinto.

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di cui tracce, lasciando quanto v’ha d’immodesto, mi sono oninamente4 prefisso in ATTO PRIMO
questo, qualunque siasi, componimento drammatico di caminare.5 SCENA I.

La scena è in Cipro, e nelle sue vicinanze. Colonnati all’intorno della Piazza di Cipro superbamente adornati per festeggiare
l’elezione già fatta del nuovo Re, con elevato trono da un lato. Veduta in prospetto
del Palagio Reale, innanzi a cui grand’atrio, che gli serve di magnifico ingresso, dal
quale si scopre, ma di lontano, gran parte dell’Isola, e del porto ingombrato6 da co-
PERSONAGGI. pioso numero di navi straniere.
All’alzarsi il sipario vedesi occupata la scena da più schiere di eletti guerrieri, che
ADONE amante corrisposto di sotto la scorta de’ loro Duci sono disposti in buon ordine, facendo argine al numero-
VENERE so popolo accorso alla pompa solenne, e sparso all’intorno. Tutti li Grandi del Regno
ivi adunati fanno corona ad ADONE, che vestito alla reale7 va a sedere sul trono
CORO. nel tempo che un buon numero di Vergini danzatrici coronate di fiori intrecciano al
suono di militari stromenti il seguente
| Donzelle.
| Seguaci del Piacere. CORO
| Seguaci d’Amore.
| Sogni. Regni augusto ognora in pace,
| Driadi, ed Amadriadi. Viva Adone il nostro Re.
| Fauni, Silvani, e Satiri. Una parte.
| Seguaci di Marte. Mai per lui non sia funesto
Di | Cacciatori, e servi. De’ suoi giorni alcun momento.
| Grazie. Altra parte.
| Sirene. O non scorra almen mai lento
| Nereidi, e Tritoni. Quando torbido non è.8
| Deità marittime. Tutto il coro.
| Furie. Viva Adone il nostro Re.
| Venti. Una parte.
| Ombre. Niun timor le sia molesto,
Altra parte.
Niun pensier le sia tiranno
Le due parti.
E l’idea d’un solo affanno
Qui per lui non ponga il piè.
Tutti.
Regni augusto ognora in pace,
Viva Adone il nostro Re.

6 ingombrato: ‘occupato’.
7 alla reale: ‘regalmente, come un re’.
4 oninamente: (lat.) ‘completamente, del tutto’, con effetto perentorio. 8 O … è: un consimile auspicio in Metastasio, Ciro riconosciuto III, 11, 1315-7 («[Ciro.] Ah tramonti una volta |
5 caminare: ‘seguire’. questo torbido giorno e sia più chiaro | l’altro almen che verrà»).

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Adone. Chi sarà mio sostegno
A quel divino impero, Suo difensor m’avrà.
Che in voi resse il consiglio, ed a cui debbo (Parte preceduto dal Coro delle Vergini danzatrici, e da’ Grandi del Regno, se-
Lo scettro oggi degl’avi, guìto dal resto de’ soldati, ed entra con essi nel palazzo reale in mezzo alle acclama-
Che riprendo da voi, se voi dovete zioni del popolo, espresse dal seguente Coro, durante il quale dileguasi, e partano
Del Re vostro la scelta, a voi non meno in ordine militare i soldati.)
Oltre a’ voti dell’alma in mille espressi
Teneri sensi, io tutta CORO
Deggio la gloria mia. Se il Ciel consente, Vivi felice, e regna
Che dell’imposto peso9 Padre egualmente, e Re.
Una parte.
Mal non regga all’incarco, al vostro amore
Il tuo paterno affetto
Risponderò con un paterno affetto.
A serbar fede impegna
Anzi, a voi lo prometto,
Altra parte.
Il giuro al Ciel, m’avrete Né per timor costretto
Padre ognor più che Re.10 Norma da voi Alcun la giura a te.
Prenderan le mie leggi; i doni stessi, Tutto il Coro.
Che in mia man deponete, in premio un giorno Vivi felice, e regna
Verserò su di voi. Ché se talvolta Padre egualmente, e Re.
Il rigor delle pene Una parte.
Astrea domanderà11, verrà sì lento, Ben della Dea d’Amore
Che avrà nel suo rimorso Sì bella scelta è degna;
Il trasgressor dalla pietà soccorso. Altra parte.
(Scende dal trono.)12 Ed il tuo cor minore
Se mi rendete il trono, Del regio onor non è.
Che m’involò la sorte, Tutto il Coro.
Con voi del vostro dono Vivi felice, e regna
Diviso il ben sarà. Padre egualmente, e Re.
Diviso avrem del regno
Ogni pensier13 tra noi;
SCENA II.
Gabinetto nel palazzo reale.
9 imposto peso: ossia stabilito d’autorità, come in Tasso, G.l. I, 13, 2 («veloce ad esseguir l’imposte cose»), ma nel
discorso con effetto a rilievo, come in Dante, Pur. 10, 52; vd. anche Marino, L’Adone II, 83, 6 («piace che ’l peso VENERE, indi ADONE.
imposto io non ricusi»).
10 Padre … Re: è augurio di regalità illuminata nel travestimento rassicurante del consolidato ordine patriarcale, Venere.
come in Marino, L’Adone XI, 123, 7-8 («Spagna, costui con l’armi e col consiglio | ti fia Principe e padre e padre e Lungi dal mio diletto
figlio!»); si ricordi anche Metastasio, Siroe II, 7, 853-4 («[Cosroe.] e intanto non sono | né padre né re»).
Ogni momento è pena.
11 Il rigor … domanderà: cfr. Marino, L’Adone VII, 206, 5-6 («E che fa dunque Astrea negli alti seggi, | se punir
i colpevoli non vole?»). Vorrei celar l’affetto,
12 … trono.): le didascalie, per comodità del lettore sono qui riportate a testo, mentre compaiono nella stampa Ma mi tradisce amor.
del libretto a piè di pagina, richiamate con apice letterale. Quanto mai tarda! … (vedendolo nel volgersi venire, corre ad incontrarlo con
13 pensier: nel senso di ‘preoccupazione’. tenera espressione di affetto.)

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Adone, anima mia, Venere.
Lascia del nuovo regno Inutili riguardi ove il Monarca
Tutto il peso ad Astreo, che lo sostenne Fu prescelto da me. Se un altro oggetto18
Qual si chiede,14 finor! Deponi, o caro, Il tuo cor non seduce, a me di questo19
Quelle misere spoglie a cui congiunte Abbandona il pensier.
Van le torbide cure,
I funesti timori, e le sventure.15 Adone.
Che dici! I monti
Adone. Andranno al mar pria, che da te, mio Nume,
Bella diva, io dipendo Altro ben mi divida. Ogn’altro oggetto,
Tutto dal tuo voler. Dal primo istante Fuor di te, sembra vile agli occhi miei.
Che mi rese qual sono Sempre tu fosti, e sei
L’onor de’ sguardi tuoi, da te lontano La mia guida fedel, la mia sovrana,
Un pensier non errò. Fin da quel punto Quella sola, che adoro; ognor m’avrai,
L’arbitra fosti ognora Sia comando, o consiglio, ove ti piace,
Di tutto il voler mio;16 pur se d’oppormi, Mia bella Dea, del tuo voler seguace.
Qualche volta pregando, a te mi lice,
Lascia per poco almeno, Venere.
Che del regno di Cipro io regga il freno? Dunque siegui i miei passi, e meco al primo
Grato albergo ritorna,
Venere. Ove in grembo al piacere amor soggiorna20.
No, no … Vieni, mia bella speme,
Vieni, mio dolce amor,
Adone Dove il primiero ardor
Che dirà mai Ti nacque in seno.
Il popolo di me, se asceso al trono a 2.
Mi nascondo a’ suoi sguardi, e l’abbandono? Sì ritorniamo insieme
Dirà, che de’ suoi voti Dove si può goder
Il tributo obliai, che sparsi al vento Un tenero piacer
Le giurate promesse, e che mal fida Sempre sereno. (Partano.)
È la cura de’ figli all’opra altrui,
Se di padre l’amor promisi a lui17.
Fine dell’Atto primo.

14 Qual si chiede: ‘Come si deve’.


15 Van … sventure: cfr. Metastasio, Artaserse II, 8, 898-904 («[Artaserse.] Eccomi, o della Persia | fidi sostegni, 18 oggetto: ‘cura, attività’, in quanto mèta del desiderio, ciò attraverso cui la soddisfazione della tensione pul-
del paterno soglio | le cure a tollerar. Son del mio regno | sì torbidi i principi e sì funesti | che l’inesperta mano | sionale si compie; l’ingiunzione di Venere aspira qui a una sottomissione del soddisfacimento delle pulsioni del
teme di questo avvicinarsi al freno»). giovane, attraverso una vera e propria castrazione dell’immaginario (con conseguente produzione di angoscia,
16 L’arbitra … mio: è attributo d’autorità, per cui cfr. Metastasio, Demetrio I, 12, 546-7 («[Fenicio.] Arbitra come evidente nell’ansia emotiva dell’arrendevole risposta seguente di Adone).
sei | di sollevar qual più ti piace al trono») e Il Ruggiero II, 3, 489-90 («[Leone.] Arbitra sei | del mio voler; 19 a me di questo: ossia ‘di me in questo’ (nel tuo cuore).
tutto farò»). 20 Ove … soggiorna: cfr. Metastasio, Endimione 2, 37-8 («Riposi pur sicura | Venere in grembo al suo leggiadro
17 a lui: ossia ‘al popolo’. Adone »).

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INTRODUZIONE ATTO SECONDO
AL PRIMO BALLO. SCENA I.

Deliziosa21 illuminata in tempo di prima sera nel palazzo di Venere, che lateralmente ADONE, e VENERE.
introduce a varii appartamenti, e gallerie terrene del detto palazzo, ed a varii de-
liziosi giardini in prospetto col mezzo di un colonnato di Verdura, che la circonda Venere.
all’intorno a guisa di anfiteatro. Gl’erbosi viali, le verdeggianti siepi, le limpidissime Eccoci alfin d’onde partimmo.
fonti, che serpeggiando vanno a formare alcuni vaganti rivi, che ristagnano in laghi, (All’arrivo di Venere termina il ballo, ritornando ciascuno ove all’aprir della
accrescano l’amenità di quel luogo, e vi mantengano una primavera perenne.22 Tutto scena era prima occupato.)
in somma ciò, che sa formare l’arte maestra dalla docil natura, manifesta essere
l’amenità di quel sito destinata alla delizia, ed al piacere. Varie pitture all’intorno Adone.
de’ muri del superbo palazzo, che travedonsi23 fra gl’intervalli delle verdi colonne, Ai primi
simboleggianti gl’amori de’ Numi, accrescano la vaghezza, ed il diletto, che un lim- Solitari recessi28 eccomi alfine
pidissimo aere vi alimenta, e mantiene. Ricondotto da te.
Varie schiere felici di Ninfe, e di Pastori variamente occupati in giochi, ed in
feste annunzia la perenne, e sincera allegrezza, che godano, intrecciando24 frattanto Venere.
mista ad un lietissimo Coro una lietissima danza. Stuolo di Amori, in fanciulleschi Le regie insegne
trastulli diviso,25 accresce, intrecciando anch’essi balli, e canti, la comune allegrezza Mal convengono a questo
nel mentre che Amore distinto a non equivoci segni si trastulla con l’Ozio, e che la Delizioso recinto,
Gioja, la Delizia, il Lusso, la Mollezza, la Vanità, l’Ambizione, e varii altri seguaci Ove alberga il Piacer.
del Piacere si framischiano26 co’ loro proprii atteggiamenti al Coro, ed al ballo delle
Ninfe, e de’ Pastori, e degl’Amori, che cantano a vicenda alternato il Coro seguente, Adone.
che alla danza introduce. Tutto depongo
(In atto di levarsi il diadema.)
(…)27 Ad un sol de’ tuoi cenni
L’ornamento rëal.

Venere.
21 Deliziosa: è termine teatrale, e sta per ‘Scenario’.
22 primavera perenne: è topico per uno scenario edenico, come in Milton, Paradise Lost 4, 268 («Led on th’
Prestate all’opra,
eternal spring»), ma si ricordi Tasso, Mondo creato 7, 734-5 («Tu che ’l tuo Paradiso adorno e lieto | Facesti, in (Al comando di Venere accorrano a torme gl’Amorini, molti de’ quali pigliano
lui spargendo il rezzo e l’ombra»); si noti che la scenografia è qui descritta in termini edenici, mentre nei poemi dalle mani di Adone la corona, altri lo scettro, e moltissimi altri si adattano a
creaturali spesso è la terra a essere descritta «quasi novo teatro» (Tasso, Mondo creato 1, 390). Sulla celebrazione
di un identico clima prende l’avvio anche The Rake’s Progress (1951) di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman, sostenere, con quelle attitudini proprie de’ fanciulli, il manto reale, tolto il quale
musicato da Igor Stravinskij, opera ambientata in un’Inghilterra settecentesca in cui i due personaggi principali, resta Adone nella sua semplicità pastorale.)
Tom e Anne, sono modellati sul mito di Adone e Venere (I, 1: «[Anne.] The woods are green, and bird and beast
at play, | For all things keep this festival of May; | With fragrant odours and with notes of cheer | The pious earth O miei fidi, la mano. Altri lo scettro,
observes the solemn year. || [Tom.] Now is the season when the Cyprian Queen | With genial charm translates our
mortal scene, | When swains their nymphs in fervent arms enfold | And with a kiss restore the Age of Gold»).
23 travedonsi: ‘si intravedono’.
28 Solitari recessi: l’indicazione del palazzo di Venere allude anche a una regressione idilliaca da cui, per Adone,
24 intrecciando: ‘eseguendo’. è esclusa ogni possibilità di un autonomo agire deliberante; sul termine cfr. Parini, Il Giorno 4 (La notte) 276-9
25 diviso: ‘sparpagliato’. («Un tempo il canapè nido giocondo | fu di risi e di scherzi, allor che l’ombre | abitar gli fu grato ed i tranquilli | del
palagio recessi»); è, invece, indicazione di luogo con una reale possibilità politica di azione in Metastasio, Artaserse
26 framischiano: ‘uniscono’. I, 1, 14-9 («[Mandane.] Sai che Artabano, | il tuo gran genitore, | regola a voglia sua di Serse il core, | che a lui di
27 (…): per ragioni di spazio è qui omesso il testo delle parti cantate nei balli conclusivi dei primi quattro atti. penetrar sempre è permesso | ogn’interno recesso | dell’albergo real»).

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Altri accolga il diadema, il regio am[m]anto29 Venere.
Sia l’incarco di molti. Oh come acquisti, Egli è ver, ma pavento
Nel cangiar delle spoglie, Che degl’affetti tuoi la mia nemica
La primiera beltà!30 Tolta alla fronte Non mi usurpi il miglior. T’amò gran tempo
La maestà che gli adombrava il ciglio,31 La Vergine de’ boschi;35 un tempo fosti
Quanto mai più sereni, o mio bel sole, De’ suoi studii seguace.36 Ah non vorrei
Splendono i raggi tuoi! Quanto sei vago Che il dono del tuo cor tornasse a lei!
Senza i fregi, che il fasto alla tiranna,
Ambizïosa sete Adone.
De’ mortali inventò. Chi di natura Non temer, ch’io son tuo. Per questo seno
Ebbe i doni sul volto, in suo soccorso Non ha Amore altra face.37 Ancorché rara
Non ha d’uopo32 dell’arte Altra beltà non vi sarà giammai
Per rendersi miglior. Questa imperfetta Che anteponga alla tua.38 Sarò, qual sono,
Servile imitatrice, ove procura Fido amator.39 Per que’ begl’occhi il giuro
D’accrescergli di pregio, i doni oscura.33 Dove splende il mio sol, dove il mio fato
Gira ognor la mia sorte,
Adone. Dove sta la mia vita, e la mia morte.
Purché piaccia a te sola, io non aspiro
All’onor d’altra face.34 In te, mia Diva, Venere.
Quanto è sparso in ogn’altra Lascia dunque, se m’ami,
Di leggiadra beltà, tutto s’aduna. Della triforme Dea40 l’orme selvagge.
Tu sei la mia fortuna, Non espor la tua vita al fiero artiglio
La mia vita, il mio Nume. Al tuo bel foco Delle belve, e de’ mostri; errar ti piaccia
Arderò finché vivo. A te più volte Aventuroso amante
Lo stesso replicai, ben mille volte Fra que’ fiori, quest’erbe, e quelle piante.
Giurai lo stesso, e m’udirai costante Anzi, finché per poco a te lontana
Sempre a dir, che t’adoro, Grave affar41 mi richiede,
Che non son mio, che se mi lasci, io mòro. Questa prova vogl’io dalla tua fede.

Adone.
29 am[m]anto: ‘mantello’, e per il passo vd. Tasso, G.l. III, 58, 7-8 («Goffredo è quel, che nel purpureo ammanto Come! Tu m’abbandoni?
| ha di regio e d’augusto in sé cotanto»).
30 primiera beltà: la bellezza proverbiale di Adone, censurata nell’istante in cui il pastore si converte in re. Questa
incompatibilità tra esibizione della bellezza e gestione del potere, prefigura anche una parallela costruzione sociale 35 T’amò … boschi: Diana.
dell’identità maschile, il cui modello socialmente atteso della virilità regale deve escludere (o reprimere) ciò che
viene giudicato come non pertinente. 36 seguace: per la fabula è sviluppo inedito di una variazione che risale a Euripide, Ippolito 1420-2.
31 La maestà … ciglio: ha ricostruito la topica relazione della maiestas con la bellezza fisica del prìncipe, Paolo 37 Non … face: era programma d’avvio in Marino, L’Adone I, 41, 1-2 («Era Adone ne l’età che la facella | sente
Cherchi nell’antologia da lui curata Il re Adone (Sellerio, Palermo, 1999) cui si rimanda. d’Amor più vigorosa e viva»).
32 d’uopo: ‘bisogno’ (dell’arte politica, ossia dei fasti del potere terreno). 38 Ancorché … tua: cfr. Metastasio, Il Ruggiero I, 1, 46-9 («[Clotilde.] Scuoterti almeno | un tanto amor dovrebbe
| che sol la tua d’Asia e d’Europa a tutte | le bellezze antepone»).
33 Questa … oscura: Venere ribadisce, in piena ripetizione, nell’espressione, di uno stereotipo maschilista, l’in-
compatibilità tra la bellezza ottenuta con il prestigio politico, e quella invece naturale. 39 Fido amator: il sintagma in Metastasio, Siroe I, 5 209 («[Emira.] Sai che in fido amatore avvampa e tace»).
34 face: (lat.) ‘fiamma’, ma qui ‘stella, luce’ in senso figurato, ed è abdicazione di Adone alle intelligenze del 40 triforme Dea: già in Marino, L’Adone V, 104, 2 e X, 34, 2.
potere per quelle del piacere. 41 Grave affar: cfr. il «necessario affare» in Marino, L’Adone VIII, 97, 4.

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Venere. Allorché non l’uccide,
Eterna legge, Se dal suo ben divide
Inviolabil decreto, L’oggetto di sua fé.
Vïolenza fatal per pochi istanti Unica almen la morte
Or da te m’allontana. Arreca un sol dolore.
Vive un amante, e muore
Adone. Ogni momento in sé.
Oh Dio! Che dici! Una parte.
Dunque fia ver ? … Deh mi concedi almeno Venere, il tuo diletto
Di seguirti ove vai. Del tuo partir si dole.
E invidia i raggi al sole,
Venere. Per venir dietro a te.
Sola degg’io
A rimaner costretto,
Degl’onori votivi al sacro rito,
Abbandonato, e solo,
Di più il Ciel non consente,
Vorria seguirti a volo
Prima del nuovo giorno esser presente.
Dove non lice al piè.
Adone. Altra parte.
Misero me! Come vivrò lontano Adon, la tua diletta
Dalla vita in cui vivo! Ah! Quando torni, Al par di te s’affanna;
Vedrai, mel’ dice il cor, chiusi42 i miei giorni. Con te sembra tiranna,
Ma colpa sua non è.
Venere. Necessità l’affretta,
Taci, non dir così. Il di cui cenno adora
Tenga, ben mio, da te Il Re de’ Numi ancóra,
Questo funesto dì Senza saper perché.43
Lontano Amore. Tutto il coro.
Gelar mi fai d’orrore; Oh fato inesorabile
Tremar per te mi fai. Solo nel mal costante!
Chi ti può dir giamai. Per te quel fido amante
L’affanno mio qual è? La pace sua perdé.
(Entrano in scena, andando uniti per quella deliziosa, con varie mute espressio-
ni di reciproco affetto, relative al sentimento della scena.)
SCENA III.
ADONE, e VENERE
SCENA II.
Adone.
CORO. Prima almen, che tu parta. (Oh Dio! qual pena
Solo a dirlo mi costa!) Un dono io bramo,
È pur crudel la sorte

43 Senza … perché: e per quel che segue, vd. Metastasio, Siroe I, 16, 581-3 («[Laodice.] Senza saper perché |
42 chiusi: ‘finiti’, ossia ‘mi troverai morto’; per l’espressione vd. Tasso, G.l. XII, 103, 1-4. n’andò così da me | la pace in bando»).

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Che dipende da te.44 Per quel tenero affetto
Che mi giurasti un dì, per quella fede
Venere. Che fin’or ti serbai, per questo pianto
Quanto circonda Che fra i voti, e i sospiri inonda il ciglio,
L’uno, e l’altro emisfero a me richiedi, Adone, anima mia, cangia consiglio!
Né temer ch’io lo nieghi a te, che sei
L’oggetto più gradito agl’occhi miei. Adone.
Non ti basta, crudele,
Adone. La pena di lasciarmi
Ma se non fosse il dono Solingo abitator48, che mi vuoi privo
Conforme al tuo voler? Del piacer che mi resta
Per poterla soffrir?49
Venere.
Sai, che non vive Venere.
In noi, che un’alma sola; Amor la nutre Crudel mi chiami,
Con la stessa virtù. Voler non posso E pietosa son’io. L’oppormi a questa
Se non quel, che tu vuoi. Pur se ne brami Sconsigliata richiesta50
Invïolabil pegno, È desìo di salvarti. Il fiero caso
Che ti renda, amor mio, di ciò sicuro, D’Atëon ti rammento. A me51 lontano
Per l’Onda45 sacra a que’ bei lumi il giuro. Perderti io temo, e non lo temo invano:
È Dïana nemica. Odiato a morte
Adone. Sei dal Scitico Nume.52 Orrido è il bosco
Dunque a me tu consenti, Per cento mostri, e tu sei troppo audace.53
Giacché uscir non degg’io dal chiuso albergo, Deh, sopporta con pace54
Che nel tuo parco io possa L’ozïosa dimora! Alfin saranno
Le fiere affaticar.46 Misurati55 i momenti
Che mi tolgano a te. Pria che al meriggio
Venere. Volga Febo i suoi rai,
Stelle! Ché mai Nel giorno che verrà, teco m’avrai.
Irrevocabilmente a te giurai!47
Deh! se mai ti fu caro
Il mio ben, la mia pace, e l’amor mio, 48 Solingo abitator: in Marino è attributo del gigante che in un episodio secondario rapisce Adone, per cui v.
Adone XIV, 333, 1 («Vivea solingo in sotterraneo albergo»).
49 soffrir: ‘sopportare’ (la pena per l’abbandono).
44 dipende da te: il valore fatale di questa relazione di dipendenza è già sperimentato in Metastasio, Siroe I, 1, 50 Sconsigliata richiesta: ‘desiderio senza giudizio’, come in Petrarca, RVF 366, 26.
15-6 («[Medarse.] Tutta dal tuo volere | la mia sorte dipende»).
51 A me: ‘con me’.
45 Onda: l’idea del giuramento divino sul fiume infernale di Lete risale a Omero, Iliade 15, 36-8; ma vd. anche
Dolce, Favola d’Adone 51, 8 e Marino, L’Adone XVII, 47, 1-4 e ott. 51. 52 Scitico Nume: ovvero Marte.
46 affaticar: ‘stancare’ ossia ‘inseguire, cacciare’, con resa immediata del movimento, come in Marino, L’Adone 53 audace: ‘temerario, arrischiato’, e non sembra essere un complimento; poco più oltre sarà, di sé, ammissione
XV, 3, 3-4; il verbo sarà poi interprete mirabile di una memoria lucreziana in Foscolo, Sep. 19-20 («E una forza dello stesso Adone («La giovanil temerità perdona»).
operosa le affatica | Di moto in moto»). 54 con pace: ‘in tranquillità e concordia’ (ossia senza cacciare) e cfr. la memoria dantesca (Pur. 6, 137) in Meta-
47 Stelle … giurai!: vd. Marino, L’Adone XVII, 51, 1-2 («Ah! — disse Citerea — quanto mi pesa | irrevocabil- stasio, Semiramide I, 3, 124-5 («[Semiramide.] giurar si dee di tollerar con pace | la scelta d’un rivale»).
mente aver giurato»). 55 Misurati: ‘pochi’.

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Adone. Adone.
Pensai d’esserti noto Ah no! No, non fia ver. Senza il tuo voto61
Più di quel, che ti sono. Ora m’avvedo, Alla chiusa foresta
Che fanciullo mi credi inetto all’uso Il piè non uscirà. Ne’ miei trasporti62
Di quell’arco, che regge il fianco mio. La giovanil temerità perdona:
Va’ pur; copri d’oblio Ogni sdegno abbandona:
L’onor, che meritai per le natie Reggi63 i miei passi. In avvenir saranno
Felici Arabe selve Tutti gl’accenti tuoi sacri al mio core,
D’esperto cacciator; lasciami in cura, (Sia rispetto o d’amore
Qual fanciullo, al tuo sesso, Incognita virtù, questo che vedi
E fa’ sì che a scordar giunga me stesso Cambiamento improviso), a voi lo giuro,
Ubbidïente ancella, Splendidi rai, che mi leggete in fronte,
Non temer, soffrirò del vile oltraggio, Ogni occulto pensier. Tutta quest’alma,
Senza colpa, il rossor56. Finché tu stai
Espressa sul mio labbro,
Forse lieta, e contenta in mezzo a’ voti
Del ver che ti giurai, ti lascio in pegno,
De’ fortunati amanti, io l’ore meste
E a te, candida mano, io la consegno.
Condurrò fra’ sospiri, e se talvolta
D’interromperne il corso avrò desio, (Le prende con tenerezza d’affetto la mano, e glie la bacia.)
O cercherò ne’ faggi i nidi ascosi, Perdona, mia vita,
O con pania, o rete57, infra lo stuolo D’un labbro l’eccesso,
De’ teneri tuoi figli, andrò tessendo58 Che in guida a se stesso
Fra gl’arbusti novelli Trascorse con te.
Furtive insidie agl’innocenti augelli. Di voce sì ardita
Fu solo l’errore,
Venere. Tu vedi del core,
Questi non meritava Che colpa non è.
Rimproveri da te l’util consiglio
Di colei, che t’adora. Venere.
Ma pur, se in me t’offende Con qual tenero mai cambio di pace
Fin la stessa pietà, sprezzami, e siegui Or compensi le offese! Ira felice,
La perigliosa traccia Che assicuri il mio ben, per te rinasce
Di selvaggio furor; cieco seconda Fra il timor la mia speme. Ah sì! Se m’ami,
Quell’istinto feroce59, Se ti cal di mia pace,
Che ti rende ostinato60 alla mia voce. Prendi cura di te.64 Ritòr non voglio
Le giurate promesse. Àbbiati il bosco;
56 rossor: per la vergogna, e segnale di un conflitto in atto tra le esigenze narcisistiche di Adone (mantenere la sua Ma non esporti incauto
identità) e la loro messa in questione nell’ingiunzione di Venere.
57 O con pania, o rete: in dittol. sin. anche in Marino, Adone VI, 48, 8 («pania tenace, o dilicata aragna»).
58 tessendo: ‘piazzando le reti’ anche nel senso fig. di ‘macchinando’ (le «furtive insiedie»), ma con uso spregia- 61 voto: nel senso di ‘volontario auspicio’ e dunque buon augurio.
tivo di un termine della sfera dei lavori femminili, più adatti ai «teneri» amorini. 62 trasporti: ‘entusiasmi, passioni’, e ribadito segnale dell’esaltata emotività entro cui agisce Adone, in una ten-
59 istinto feroce: nel senso di ‘inclinazione crudele’ e come tale imperfetta, e dunque «pulsione di morte»; è ter- sione relazionale con la totalità, censurata però da Venere.
mine dantesco, per cui cfr. Dante, Par. 1, 114. 63 Reggi: ‘Sostieni’ (come guida, con complicità e anche come indice di sottomissione).
60 ostinato: ‘sordo, insensibile’ in senso figurato come in Tasso, G.l. IV, 25, 6, ove si allude alle arti seduttive di Armida. 64 Prendi cura di te: come in Metastasio, Antigono 1, 2, 100-2.

178 179
A sicuro periglio. Adone.
Usa l’arte, e il consiglio No, che la mia virtù non giunge a tanto.66
Nel dubbioso cimento. Armato stuolo65
Per tua scorta conduci. Affrica belva, Venere.
O superba d’Ircania orrida fiera Deh raffrena i rai,67
Non irritar. Il lor natio furore Anima del cor mio!
Più s’accende inseguito, e non apprezza Fedele a te son’io,
Gioventù, leggiadria, grazia, e bellezza. Fedel ritornerò.

Adone. Adone.
Sì, farò quel che vuoi. Sol che a te piaccia Ah, che nel dirmi addio,
Basta, perché lo approvi L’ultimo addio mi dai!
Chi divide con te l’opre e i pensieri, Fedel ritornerai,
Chi non vive che in te. Ma teco io non sarò.

Venere. Venere.
Con minor pena Perché lasciar mi vuoi?
Or da te mi rimove
L’alto voler, che mi trasporta altrove. Adone.
Sèrbati dunque all’amor mio, conserva Lasciarti! Oh Dio! che dici!
La mia nella tua vita. Addio … I Dei mi sian nemici,
(In atto di partire.) Se mai ti lascerò.

Adone. Venere.
Sì presto Sèrbami i giorni tuoi.68
Mi lasci in abbandono?
Adone.
Venere. T’ubbidirò.
Ah! che l’aurora,
Sparsa il crin di vïole, Venere e Adone a 2.
Affretta il suo camino innanzi al sole. Ma sento,
Che più crudel tormento
Adone. Il cor mai non provò.
Che momento crudel!
(Piangendo.)
66 No, … tanto: perché il pianto, come il riso, sono risposte psichiche al limite, mentre le virtù (che rappresentano
l’insieme del dominio di sé) si collocano idealmente al centro del dominio razionale. Sulla relazione tra la virilità
Venere. e il controllo dell’emotività (assente, ad esempio, nel ciclo omerico), vd. Euripide, Elena (trad. di Massimo Fusillo
in Il teatro greco, a c. di Guido Paduano, Milano, Rizzoli, 2006, p: 920) («[Menelao.] Anche se dicono che un
Raffrena il pianto. uomo nobile possa scoppiare a piangere nei momenti tragici. Comunque non sceglierò questo nobile sfogo, se pure
è nobile, rinunciando alla mia virilità»).
67 raffrena i rai: ricorda «raffrena il guardo» in Vendramin, L’Adone I, 3 e nota 44.
65 stuolo: ‘schiera di compagni’, come in Metastasio, Il trionfo di Clelia 3, 1, 824-6. 68 Sèrbami … tuoi: ‘conserva/dedica unicamente per/a me i tuoi giorni futuri’.

180 181
Ah che fatal momento! Tutti.
Ahi che partenza amara! Seguite la bella
Maëstra d’Amor.
Venere. Una parte.
Mio caro, Al mirto amoroso
La rosa legate,
Venere e Adone a 2. E lieta formate
Addio, Corona d’onor.
Altra parte.
Adone. Le palme, l’alloro
Mia cara, Lasciate al più forte,
Che sparge di morte
Venere e Adone a 2. Guerriero sudor.
Che doloroso addio! Tutti.
Frenar sul ciglio mio Seguite la bella
Le lacrime non so. Maëstra d’Amor.
(Partano Adone e Venere con le Ninfe, i Pastori, e li seguaci del Piacere, e poi Una parte.
gli Amorini, lasciando a poco a poco, ed a stento i loro fanciulleschi trastulli in D’ogn’Arabo odore
tempo del coro sudetto, che li affretta a partire.) Più nembi spargete.
Altra parte.
Voi l’aura rendete
CORO. Feconda d’ardor.
Una parte.
Solleciti, Amori, Al vostro splendore
La bella seguite Feconda sia l’onda,
Sovrana de’ cori, Altra parte.
Maëstra d’Amor. Il frutto per tutto
Una parte. Maturi col fior.69
All’ozio lasciate, Tutti.
Vivaci fanciulli,
Solleciti, Amori,
De’ vostri trastulli
La bella seguite
La parte maggior.
Sovrana de’ cori,
Tutti.
Maëstra d’Amor.
La bella seguite
Maëstra d’Amor.
Altra parte.
Fine dell’Atto secondo.
Voi seco recate
La face, gli strali,
E l’arco de’ mali
De’ beni dator. 69 Il frutto … fior: la coppia anche in Metastasio, Demetrio 1, 9, 494.

182 183
INTRODUZIONE Abbattuto a tal segno,
AL SECONDO BALLO. Che appresso il cor non somministra al piede
Il solito vigor; l’alma impedita
Notte. Dall’affanno eccessivo ormai de’ sensi
L’esercizio abbandona; al loro peso
Restando vuota la scena colla partenza degl’Amorini, viene occupata da varii fan- Cedan le membra indebolite … Oh Dio!
tasmi, guidati da Morfèo, i quali, finché loro si presenta ocasione di eseguire quanto Cado … mi perdo … in un profondo … oblio.
fu loro imposto dal loro condottiere, esecutore del comando di Diana e di Marte, (Si lascia cadere sopra un soffà artificiosamente composto di mirto, e si addormenta.)
formano un ridicolo Ballo, preceduto dal Coro seguente che lo pepara e che termina
al venire di Adone, ritirandosi tutti, qua e là dispersi, in disparte.
SCENA II.
(…) ADONE, e CORO de’ sogni.

In tempo che resta sepolto Adone in un profondo riposo, escono i sogni da que’ luo-
ATTO TERZO ghi ove eransi al suo venire nascosti, e con varie attitudini esprimenti la varietà, e
SCENA I. relative a quegl’affetti de’ quali sono essi l’immagine, cambiano sito e figura, andan-
do e venendo sulla scena secondo quelle passioni che anderanno di mano in mano
ADONE solo. destando in Adone, [il] quale in tale contrasto non proferirà che sensi interrotti, de-
notanti quelle72 da cui sarà mosso per essi;73 il tutto espresso e distinto dal seguente
Oh Dei! Qual nuova sorte
Di tormento è mai questa! In tanti affanni CORO.
Il peggior non provai. Barbaro amore,70
Fortuna ingiurïosa, i beni vostri Quant’è misera la sorte
Han pur l’ali per me! Deluso in voi Di chi perde il caro oggetto,
Stabil fede sperai. Comincio adesso Ma l’idea conserva in petto
A saper quel, che siete. Ah! dunque andranno Di colei, che l’invaghì!
Della vostra lusinga adulatrice Fantasma del Sospetto.
Per me soggetti alle vicende istesse Sventurato giovinetto,
I doni, le speranze, e le promesse? Il tuo ben non è sincero.
Oh me infelice! Ogn’oggetto mi chiama Fantasma della Gelosia.
Il pianto in sulle ciglia. In voi rammento, Or trïonfa il Dio guerriero
Solitudini amene, Di colei, che ti rapì.
Tutto il ben, che perdei. Quanto qui aduna
Di delizia il Piacer, tutto mi dice Adone.
Ch’io fui, ma che cessai d’esser felice. Il crudel … me … la … rapì.
Rimembranze funeste,71 ah! per voi sono (Alzando una mano in atto di esclamazione, e lasciandola cadere come in ab-
bandono.)
70 Barbaro amore: ‘amore crudele, inumano’, forse memoria di Marino, L’Adone XIII, 84, 3-4 («Questo Barbaro
— dice — empio e protervo | non è qual sembra, anzi d’Amor s’accende»).
71 Rimembranze funeste: il sintagma in Metastasio, L’eroe cinese III, 9, 916-8 («[Leango.] Ah non più. Perché con 72 quelle: rif. a «passioni».
queste | rimembranze funeste un dì sì lieto | avvelenar?»). 73 per essi: ossia «i sogni».

184 185
Alcuni del Coro. Che a noi farà ritorno
Non è ver; no, non è vero. Di quello, che partì.
L’infedel non fu rapita. Fantasma di Venere.
Alcuni altri del Coro. Il suo natio splendore
Per cagion da lei mentita Rivesta il tuo bel ciglio …
L’infedel se ne fugì. Amorini.
Le due parti unite. Invólati al periglio.
Hanno insiem la frode ordita Il Dio dell’armi è qui.
La più bella, e il Dio guerriero. Tutto il Coro.
Tutto il Coro. Che sorpresa! Che timore!
Bacia pur le tue ritorte (Adone mostrerà con mute attitudini il timore che prova nell’evento che sogna.)
Per colei che ti tradì.74 Al suo sdegno, al suo furore
Chi resistere potrà?
Adone. Fantasma di Venere.
L’infedel … da … me fuggì? … Non temer, che qui son’io.
Venga pur, venga la morte
Fantasma d’Amore.
(Alzandosi con qualche agitazione, ed impeto, torna sùbito a ricadere, conti-
Non temer, che teco è Amore.
nuando sempre nel medesimo sonno.)
S’ho … da … vivere … così.
Fantasmi di Venere, ed Amore.
Fantasma di Venere. Rinvenir75 non ti saprà.
Ecco la tua diletta. Fantasma di Venere.
Sorgi, mio dolce amore, Va’, l’ascondi in quell’alloro.
Trïonfa di quel core,
Che l’amor mio t’offrì. Adone.
Fantasma d’Amore. Deh! … vegliate … al fianco … mio.
Dal suo dover costretta,
Da te se si divise, Fantasma di Venere.
Di ritornar promise; Non temer, mio bel tesoro,
E torna al nuovo dì. Fantasmi di Amore, e Venere.
Dove sei non scoprirà.
Adone. Fantasma di Marte.
Quanto … per te … crudele … Dov’è, dov’è l’audace,
(Con amorosa espressione.) Che di turbar pretende
L’anima mia … soffrì! La mia felicità?
Fantasma di Venere.
Fantasmi di Grazie. Soffrilo pure in pace;
Cessino le querele, Gioco di te si prende,
Più chiaro sia quel giorno, Timor di te non ha.

74 Bacia … tradì: ricorda, pur se con altro senso, Metastasio, Nitteti II, 5, 592-5 («Puoi vantar le tue ritorte, | 75 Rinvenir: ‘scoprire’, ma la scelta del termine indica, anche, ‘svegliare, far riprendere i sensi’ e conseguente
fortunato prigioniero, | tu che amore hai condottiero | sul cammin della virtù»). allusione al persistere dello stato di perdita della coscienza/incoscienza di Adone.

186 187
Fantasma di Marte. Fantasma di Agitazione.
Per troppo eccesso offende Che barbaro affanno!
La sua sincerità. Fantasma di Disperazione.
Fantasma di Venere. Un’alma non speri
Sentirmi alfin mi spiace Poterlo soffrir.
Tacciar d’infedeltà. Tutto il Coro.
Fantasma di Marte. Tumulto confuso
Se t’oltraggiai perdono, Di torbidi affetti
Mia bella Dea, ti chiedo. Sul ciglio deluso
Fantasma di Venere. Trasporta gl’oggetti
A chi la chiede in dono Fra mille pensieri
Non so negar pietà. Il vero a mentir.
Fantasmi di Marte, e Venere. Seguaci di Diana.
Amor la nostra face Lungi di qua, se mai,
Più dell’usato accenda; (Al comparire de’ sogni, rappresentanti varie Ninfe venatrici77 seguaci di Diana,
Fantasmi di Amore, Marte, e Venere. fugge intimorita, e dispersa l’altra turba de’ sogni.)
Sia del passato emmenda Servi d’Amor, qui siete.
Il giorno, che verrà.76 La palma a noi cedete
Del contrastato onor.
Adone. Una parte.
Infida! … Crudele! … Languir per due bei rai
(Con affanno, e trasporto corrispondente al sogno che lo molesta, ma proporzio- No, che fra noi non usa.
nato alla calma in cui lo tiene il riposo che prese.) Fra noi l’error s’accusa
Mi … sento … morir. D’un debole rossor.
Tutti.
Tutto il Coro. La palma a noi cedete
Che eccesso di pene Del contrastato onor.
A un’alma fedele, Altra parte.
Perduto il suo bene Usiam gli strali e l’arco,
Trovarlo incostante, Erriam per valli e selve,
Sentirlo infedele, Ma per ferir le belve
Vederlo rapir! Sull’orme del valor.
Fantasma di Gelosia. Tutte.
Che fiero sospetto La palma a noi cedete
Mi lacera il petto! Del contrastato onor.
Fantasma di Dolore. Le due parti.
Che duolo tiranno! Non attendiamo al varco
Alme d’Amore amiche;

76 Sia … verrà: cfr. la sentenza in Metastasio, Siroe I, 1, 22-3 («ma i difetti d’entrambi il tempo e l’uso | a poco a
poco emenderà»), ennesima variante della senecana: «Iam tempus illi fecit aerumnas leves» (Thyestes 305). 77 venatrici: ‘cacciatrici’.

188 189
Fra l’utili fatiche Fantasma di Diana.
Siam molli di sudor. Sorgi, Adon, siegui i miei passi,
Tutte. Scendi meco alla foresta.
La palma a noi cedete
Del contrastato onor. Adone.
Alcune seguaci. Sì, mia Dea.
Ecco la Dea, che giunge: (Destandosi.)
Date al suo nome onor. Qual voce è questa!
Tutte. Che spavento! … Che stupor!
Casta Dea de’ boschi amica, (Osservando all’intorno, e nulla vedendo di quanto le si offerse al pensiero, resta
Noi sciogliam devoto canto attonito, e confuso.)
A te, degno e nobil vanto Giusti Dei, che sarà! Son mille oggetti
D’ogni illustre cacciator. Che m’ingombrano l’alma. Incerto ondeggio
Fantasma di Diana. Più che nave in tempesta,78 e mentre sono
Su compagne alla fatica. Nella scelta indeciso,
Sorta omai la nuova aurora, Se son desto o se sogno io non ravviso.
Tutto il Ciel già si colora Questo di Citerea
Del vermiglio suo splendor. L’usato è pur delizïoso albergo;
Tutte. Qui degli Amori è il nido;
Al travaglio, alla fatica Qui dell’Ozio è la fede, regnan quivi
Con coraggio, e con ardor. La Mol[l]ezza, e il Piacer. Mai la più casta
Fantasma di Diana. Delle Dive immortali, a lei, fra questi,
Ma che fai? Perché sepolto Troppo ingrati, recessi, il piè non pose.
Stai nell’ozio, e nell’amore? Come dunque m’impose in questo loco,
Ah codardo! Ah traditore! Ed io stesso la vidi,
Io stesso l’ascoltai,
Adone. Di doverla seguire? … Eh ch’io sognai!
Sento … oh Dio! tremarmi … il cor. Ma pur ne’ sogni ancóra
Spesso parlano i Numi, ed io comprendo
Tutte. In simulato aspetto
Al travaglio, alla fatica L’imagine del ver. Spiace alla Diva
Con coraggio, e con ardor. Inimica d’Amor, che in ozio vile
Fantasma di Diana. Traëndo i giorni miei,
Prendi l’arco e la faretra, La sua bella rival posponga a lei,
Lascia, Adon, la mia nemica. E avvertirmi le piace
Non voler ch’io più ti dica
Vile, ingrato, e traditor.
Tutte. 78 Incerto … tempesta: è proverbiale per descrivere uno stato di conflitto interiore, la cui confusione è replicata
nei versi seguenti, ma qui nel risveglio senza il conforto psichico nel riconoscimento della interruzione del sogno (e
Al travaglio, alla fatica delle immagini d’incubo), nonché manifestazione latente, in Adone, di una debolezza del desiderio e un’incapacità
Con coraggio, e con valor. di costanza; per un uso opposto della figura cfr. Metastasio, Ezio I, 13, 618 sgg.

190 191
Per mio ben, per mia gloria, e per mia pace. INTRODUZIONE
Ah sì! Seguiam l’impulso AL TERZO BALLO.
Della tacita voce,79
Che al primiero ci chiama Parte ombrosa d’antica ed orrida selva, che esternamente in più strade, fra le robu-
Trascurato sentier. Nella vicina ste e frondose piante diràmasi, dilatando l’interno in un’angusta e paludosa valle,
Rinserrata foresta andiam tracciando80 circondata da palustri canne, e chiusa all’intorno da scagliose selci,82 entro le quali
Le più indomite belve, e in questa guisa travedonsi al chiarore d’un’incerta luce fra le torte spine, che interrottamente83 le
Si cancelli il rossore, coprano alcune cavernose aperture, dalle quali vanno sbucando varii animali feroci
S’è colpa amor, d’un giovanile errore. che poi s’internano nella selva, e vanno a perdersi fra numerose piante di essa.
T’intendo, amica voce, All’aprirsi la scena escano da varie parti del bosco le Driadi ed Amadriadi,84
Tu mi favelli al cor. assettandosi85 i crini dalla natural negligenza incomposti,86 tergendosi il volto nelle
Sognai, ma pure io sento, limpide sorgenti, che tra que’ selci zampillano, ed occupandosi in tutto ciò che con-
viene a rustiche abitatrici, sorte allora dal carpito riposo. Dopo di che intrecciando
Fra cento sogni e cento,
fra loro, per la mattutina allegrezza, una danza, vengano villanamente sorprese da
Qualche rimorso81 ancor.
Satiri, Fauni e Silvani, che facendo cenno di voler entrare anch’essi a ballare, e ve-
In ozio il vil sepolto
dendosi ributtati,87 impiegano la forza e la violenza per riescirvi. Nel mentre però,
Non porterò sul volto
che si dispongano ad una danza universale, un improviso strepito la sospende, ed il
Impresso il mio rossor. terrore che mettono l’Odio, l’Ira, la Discordia, il Dispetto, la Crudeltà, la Vendetta
Ah! che a ragion mi dice ed altri orridi Mostri seguaci di Marte, ivi dal Furore guidati, li costringe per ogni
Che un’alma vile io sono, parte a fuggire intimoriti, e dispersi, ritornando solo a riprendere la danza interrotta
Che sono un traditor. allorché quell’orribile schiera, ricevuti gl’ordini dal suo duce, corre a nascondersi nel
Ma, oh Dio! perché infelice, più folto della Foresta. Ma, quando sentano di lontano le selvagge Deità, una lieta
Se non l’intendo appieno, sinfonia di cacciatori dànno fine con la lor fuga alla danza, gl’accidenti della quale
Mi rende il mio timor? vengono espressi dal Coro seguente. (…)
Oh rimembranza atroce,
Che mi trafigge il seno, [Nell’atto quarto, Adone «all’uso d’Arabo cacciatore vestito» viene inseguito «da
Del mio passato error! un orrido e smisurato cinghiale»; mentre colpisce l’animale, Adone è abbagliato da
T’intendo, amica voce, un improvviso turbine che lo costringe alla fuga. Adone viene trafitto dal cinghiale
Tu mi favelli al cor. fuori scena e, sorretto, ricompare per esalare le ultime parole nelle quali riconosce
(Parte.) che «D’inesorabil legge | Cieco destin, m’uccide, | Trasgressor d’un comando (ecco il
delitto | Una belva crudel, com’è prescritto.)». Adone spira fra le braccia di Venere,
che promette vendetta sulla bestia assassina. Invoca Amore affinché scenda nell’Ade
Fine dell’Atto terzo. per rapire alla Morte Adone, «Questa preda non sua».

82 selci: ‘pietre, rocce’.


79 tacita voce: quella della coscienza, in piena rimozione però della tirannia del desiderio; per il sintagma vd. 83 interrottamente: ‘a intervalli, in modo discontinuo’.
Marino, L’Adone VI, 142, 2 («con muta lingua, e taciturna voce»).
84 Driadi ed Amadriadi: ninfe dei boschi.
80 tracciando: ‘inseguendo (le tracce)’.
85 assettandosi: ‘riordinandosi’.
81 rimorso: il risveglio morale di Adone (a favore di Diana), di cui questo dolore del rimorso accompagna la
vergogna emergente dal pensiero di avere, per viltà, agito male, è la diretta conseguenza della castrazione dell’im- 86 incomposti: ‘disordinati’, come in Marino, L’Adone III, 29, 3 («e le chiome incomposte e diseguali»).
maginario operata da Venere. 87 ributtati: ‘rifiutati’.

192 193
Nell’atto quinto, Adone sulla spiaggia di Cipro riflette attonito sull’accaduto («Vidi,
e provai | Quanto mai di funesto | La mia sorte adunò.») senza capire come («Oh Dio!
comprendo | Che non son fra gl’estinti e non l’intendo»). Venere compare sotto sem-
bianza di Diana e Adone sùbito la rimprovera rifiutandosi di seguirla. Venere/Diana
si tradisce confessando il suo passato amore per Endimione: una debolezza impos-
sibile sulle labbra della vera Diana. Per ricompensa del «noioso ritardo» con cui gli
ha reso «Più la gioia gradita», Venere concede ad Adone, con il consenso di Giove,
il dono dell’immortalità, mentre sullo sfondo il giardino e il Palazzo si incendiano
a suggello del superamento definitivo della dimensione regressiva dell’idillio, verso
un’idea di maturità di Adone che coincide qui con l’accesso alla eternità.]
EX OSSIBUS

194
Gaetano Grossatesta
VENERE SULLA TOMBA DI ADONE. BALLO
(Napoli, 1748)

NOTA DE’ BALLI

Nella fine dell’Atto Primo.

Finge, che Venere col corteggio delle tre Grazie, e mesta per la morte di Adone,
trasportata siasi in un delizioso Giardino di fiori a visitarne la Tomba,1 ornandola di
fiori, e versandovi l’acqua Lustrale,2 in segno di Sacrifizio, frastornàtane3 da alcuni
Guerrieri, che del Tumulo minacciano la ruina,4 impeditale da un Mago, che sorten-
do5 da una Caverna, per arte maggica tramuta la Tomba in un Trono di fiori, sopra

In Pietro Metastasio, Ezio. Drama per musica, Napoli, Per Domenico Langiano, 1748, p. 3 [copia consultata pres-
so la Biblioteca Braidense di Milano; ringrazio Gloria Giordano per la cortese e puntuale segnalazione]. Gaetano
Grossatesta (Modena, 1700 circa - 1775 circa), danzatore, coreografo e maestro di ballo nello stile accademico
francese nei maggiori teatri italiani del nord (1720-1745), nonché anche impresario del Regio Teatro di San Carlo
a Napoli (dal 1753). Ricordato da Goldoni e Metastasio, debuttò come coreografo nel 1720 a Venezia; ricoprì
importanti incarichi in occasione di feste aristocratiche come per le nozze Duodo-Grimani (6 maggio 1726), di
cui ci restano manoscritte le coreografie dei Balletti (una suite di tre balli composti di 24 figure, con partitura nei
tempi grave, bourrée, passepied, oggi riprodotte a c. di Gloria Giordano, Lucca, LIM, 2005).

1 … Tomba: la visitatio estende il rituale descritto da Saffo in uno dei suoi frammenti dedicati ad Adone (tr. Fi-
lippo Maria Pontani, Torino, Einaudi, 1965, p. 41: «– Il dolcissimo Adone è morto, Citerea: che fare? | – Fanciulle
mie, battetevi, strappatevi le vesti»), ma soprattutto la descrizione in Colonna, HP 372 sgg.
2 acqua Lustrale: ossia ‘di purificazione’, come già in Sannazaro, Arcadia X, 37 («Se uscire da amore totalmente
vorrai, con acqua lustrale e benedetta ti inaffiarò tutto»), e poi in Foscolo, Sepolcri 124-6 («Le fontane versando
acque lustrali | Amaranti educavano e vïole | Su la funebre zolla»); ma tutta la scena dipende e traduce da Colon-
na, HP 375 («Et in omni anno anniversariamente il pridiano dì delle calende di Magio, veni qui la Divina matre,
cum il dilecto filio, cum divina pompa di lustrazione …»).
3 frastornàtane: nel senso di ‘impedita, deviata’, come in Boccaccio, Dec. V, 1, 49 («erasi il matrimonio per
diversi accidenti più volte frastornato»), o ‘distolta, distratta’, come in Morando, La Rosalinda 256 («scelse
per materia del canto tal argomento ch’espressivo de i pensier’ virginali di lei potesse lui frastornare da i men
che onesti»).
4 ruina: ‘distruzione’.
5 sortendo: ‘uscendo’.

197
cui vedrassi assisa Flora,6 accompagnata da’ suoi seguaci, quali sortiranno da alcuni
Gabinetti7 di verdure,8 posti ne’ viali dell’accennato Giardino.

(…) Direttore, e Compositore de’ balli il Signor D. Gaetano Grossatesta attual


Maestro di ballo delle Serenissime Regali Infante. Jean-Georges Noverre
GLI AMORI DI VENERE OSSIA
LA VENDETTA DI VULCANO. BALLO EPISODICO
(Milano, 1775)

GLI AMORI DI VENERE

OSSIA

LA VENDETTA
DI VULCANO

Ballo Episodico.1

La prima scena rappresenta una Sala, dove Venere dà a Marte una Festa abbellita
da Amore, dalle Grazie, e da Ninfe.2 Marte, cui belliche gesta chiamano altrove, si
allontana dalla Madre degli Amori. Questa Dea esprime la sua inquietudine: ma egli
la rassicura promettendole di rivolare in breve a’ di lei piedi. Il rincrescimento di
Venere non è che apparente. Lasciata appena da Marte,3 ella si dà tutta al piacere di
andar in cerca di Adone.

In La prima età dell’innocenza o sia la rosaia di Salency. Ballo pantomimo del Sig. Noverre, [senza altra indicazio-
ne, ma dato alla Scala di Milano nel 1775]. pp. 19- 23 [copia consultata presso la Biblioteca del Conservatorio «G.
Verdi» di Milano, libretti S 14]. Si tratta della versione italiana di un libretto in francese del ballo dato probabilmente
a Vienna nel 1773, delle cui differenze sostanziali si dà notizia nelle note (l’ed. da cui si cita per le note è quella
contenuta in: Jean-Georges Noverre, Oeuvres, St. Petersbourg, imprimé chez Jean Charles Schnoor 1804, t. III, pp.
169-75, consultata presso la Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda). Ulteriori indicazioni sulle edizioni
in Elena Randi, Pittura vivente. Jean Georges Noverre e il balletto d’action, Venezia, Corbo e Fiore, 1989, p. 158;
sulla presenza di Noverre alla Scala, vd. José Sasportes, Noverre in Italia, in «La danza italiana», 2, 1985, pp. 39-66
(sopr. p. 55). Jean-Georges Noverre (1727-1810) studia danza con Louis Dupré; debutta nel 1743 all’Opéra-Comi-
que di Parigi; la sua prima creazione sono Les Fêtes Chinoises (1754); lavora a Londra (1755-1757) e Lione (1759)
ma è a Stoccarda dove raccoglie i suoi più grandi successi (1760-1766) e a Vienna (1767-1774): comporrà circa
150 balletti e divertissements d’opéra. Come teorico, pubblica nel 1760 le note Lettres sur la danse et sur les ballets
6 Flora: dea romana dei fiori e dei giardini (Clori, per i greci), amata da Zefiro che la rese madre della Primavera (completate poi nel 1803-1804) che legittimano la «danse en action» a partire essenzialmente dall’introduzione di
e le fece dono dell’eterno splendore della giovinezza e dell’impero dei fiori; entrambe per la metamorfosi già in una pantomima espressiva; il suo primo balletto pantomimo, La Toilette de Vénus, risale al 1757.
Marino, L’Adone XIX, 417, 1-8.
7 Gabinetti: nel senso di ‘loggie’; il Battaglia segnala O. Rucellai e A. Segni.
1 Ballo Episodico: ma in Noverre, Les amours de Vénus è detto: «Petit Ballet en Action».
8 verdure: ossia ‘decorati con elementi vegetali, floreali’; e cfr. più opportunamente Angelo Ingegneri, Della poesia
rappresentativa p. 7 («le pastorali … con apparato rustico e di verdura, e con abiti più leggiadri che sontuosi, 2 … Ninfe: in Noverre, Les amours de Vénus si aggiunge: «Vénus et Mars expriment dans un pas de deux plein
riescono alla vista vaghissime»). Tuttavia, al di là dell’elemento decorativo, si ricordi l’evidente rinvio all’idea, d’action les sentimens qui les animent» (I, 1).
anche, di bellezza fisica dell’età giovanile (come già in Cavalcanti: «Avete ‘n voi li fior’ e la verdura | e ciò che luce 3 … Marte: diversa l’uscita di scena di Marte in Noverre, Les amours de Vénus: «Vénus joue l’évanouissement; elle
od è bello a vedere») qui tangente al mito adonico, e la sua connessione topica con le fioriture primaverili. tombe dans les bras des Graces. Mars profite de cet instant pour voler à la gloire» (I, 2).

198 199
La Scena rappresenta una Foresta. Amore sta meditando di mettere lo scompi- te. Ecco Amore che cade a’ piedi di sua Madre in figura del Dio della guerra. Tal
glio nel cuor delle Ninfe. Vuole che àrdano del suo fuoco. Le chiama a sé; e in una metamorfosi fa rider Venere; ma ella gli rimprovera la partenza di Adone. Amore le
spezie di lezione4 loro fa delineare i sentimenti che in esse inspira. Le Ninfe scherzano giura che a momenti le ricondurrà il suo Pastore: ma esige dalla Madre un bacio per
con Amore. Egli vuole vendicarsi della più giovine, le dà un bacio. Questa si accorda guiderdone. Ottenuto il favore, parte, e ritorna: ma in vece di presentare Adone, le
con le compagne, e preso il Fanciullo alato lo legano ad un albero con ghirlande di conduce Vulcano. Accortasi dell’inganno, Vulcano è ricevuto con indifferenza. Egli
fiori. La Giovinetta Ninfa impossessatasi dell’arco, e delle frecce, prende la mira per viene per mostrar a Venere parte dell’armatura ch’ella gli avea comandata12 per
iscoccàrgliene una. Amore che vuol ferire, e non esser ferito, rompe le catene, chiama Enea. Applaude ella al lavoro con distrazione. Da un’altra parte assicura Amore che
de’ Giovani Fauni sommessi alle sue leggi, loro ordina di vendicarlo con prender le non gli perdonerà mai i cattivi tiri ch’egli le ha fatti. Le Ninfe impegnano13 Vulcano
Ninfe. Queste non fanno che una debole resistenza. Amore le unisce ai Fauni, e con a giuocar con esse. Egli diviene il divertimento della truppa amorosa.
esso loro si ritira in luogo appartato della foresta. Sentesi un nuovo strepito guerriero. È Marte, che ritorna. Vulcano si trova molto
Venere cerca Adone: esprime la sua impazienza. Il Pastorello compare; si precipi- imbarazzato, la gelosia gli turba il cervello. Marte senza far attenzione a lui, raddop-
ta a’ ginocchi di lei, le spiega i sentimenti più teneri. Ma i due Amanti interrotti dal pia le sue premure per Venere. Vulcano esprimendo la sua rabbia, e la risoluzione di
vario scorrere5 delle Ninfe e de’ Fauni per la Foresta, s’allontanano.6 vendicarsi di Venere, di Marte e di Amore, parte.
Il divertimento divien generale. Si rivede Adone co’ Pastori: egli cela accurata-
Le Ninfe sono inquiete: van cercando Venere. Amore, che sa e vede tutto ciò che mente la sua passione. Venere, Marte ed Amore siedon sull’erba. In quel momento
passa nel suo Regno, fa loro cenno di tacere. S’avvicina belbello7 ad un frondoso comparisce Vulcano, e i due Amanti col Figlio di Citerea si trovano involti fra le
boschetto, ne separa con precauzione8 i rami, e discopre sua Madre. La Dea non reti fabbricate da Vulcano stesso, il quale vuole che gli Dei sian testimoni della sua
può perdonare ad Amore questo tratto maligno;9 si corruccia con lui, ed egli parte vendetta. In fatti l’Olimpo si scopre, e si vedono le Divinità. Questo quadro termina
risoluto di vendicarsi de’ capricci di sua Madre. il Ballo Episodico.14
Venere entra a parte10 de’ giuochi de’ Fauni, e delle Ninfe. Un Pastore, ed una L’ultimo pezzo di Danza, composto di parecchie entrate è fatto sopra una
Pastorella novellamente uniti da Amore vengono per offerire a questa Dea le prime ciaccona a due tempi, genere assolutamente nuovo, e composizione di Monsieur
rose della primavera, e tortorelle simbolo della costanza e della fedeltà. Il loro omag- Floquet.15
gio è interrotto da uno strepito militare. Egli è Marte (per quanto Venere suppone),
il cui ritorno è stato accelerato dall’impazienza di rivederla. Adone diviene l’oggetto
delle inquietudini11 di Venere. Ella lo fa fuggire per sottrarlo al furor geloso di Mar-

4 spezie di lezione: secondo il noto topos petrarchesco (RVF 360, 119) già in Tasso, G.l. I, 57, 1 («Ne le scole
d’Amor che non s’apprende?»), poi in Marino, L’Adone IX, 172, 7-8.
5 vario scorrere: quella che si descrive qui è una serie di veloci inseguimenti, di natura erotica a dominante prin-
cipalmente visiva, giocata sul far finta di non vedere (per vedere), e di non esser visti (per mostrarsi).
6 s’allontanano: più stemperato dal punto di vista espressivo in Noverre, Les amours de Vénus: «se dérobent à
leurs régards, et se retirent dans un bosquet» (II, 2).
7 belbello: ‘tranquillamente, piano piano’ ossia per non farsi sentire né vedere e dunque con incauta malizia;
l’espressione che descrive il movimento di un’azione carica anche di ironico presagio, non può non ricordare ai
lettori meno sprovveduti l’incedere improvvido, e insieme fatale, di don Abbondio, in apertura di Manzoni, Pr. sp. Paris, Robert Laffont, 2005, pp. 779-84: «Sous leurs ombrages verts loge la solitude | Là le jeune Adonis, exempt
1, 8 («Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa …»). d’inquiétude, | Loin du bruit des cités s’exerçait à chasser»)
8 precauzione: ‘circospezione’. 12 comandata: nel senso di ‘commissionata’.
9 tratto maligno: ossia ‘cattiva malizia’ o anche ‘dispetto perverso’ (in Noverre, Les amours de Vénus è detta: 13 impegnano: ‘obbligano’.
«cette méchanceté»). 14 … Episodico: di poco diverso il finale in Noverre, Les amours de Vénus che prosegue: «elles s’amusent à rire et
10 a parte: ‘a far parte (del gruppo)’. à se moquer de lui. Vivement irrité, il prend la fruite. L’Amour fait disparoitre les filets, les Faunes et les Nymphes
11 inquietudini: questa terza ricorrenza del termine (già in rif. a Venere e poi alle Ninfe) richiama con insistenza accourent de toutes parts; et ce petit ballet est terminé par des danses vives et voluptueuses.» (II, 6).
il coefficiente espressivo che governa l’azione; a contraggenio, si vd. l’Adone dispensato d’inquietudine descritto 15 … Floquet: così l’indicazione di chiusura (e in rif. al primo ballo): «La Musica della rosaia è del Sig. Baillou,
invece da Jean de La Fontaine, Adonis (1658) 31-3 (in La poésie à l’âge baroque 1598-1660, par Alain Niderst, già al servizio di S[ua]. A[ltezza]. S[erenissima]. il Duca di Virtemberga».

200 201
Giuseppe Canziani
VENERE IN CIPRO. BALLO PANTOMIMO
(Milano, 1779)

prefazione dell’autore.

Trascurati li noti suoi amori con Marte la sempre infida Venere s’invaghì del giovanet-
to Adone, ed abbandonando il celeste soggiorno per liberamente attendere a questo
novello amore portossi in Cipro, Isola particolarmente consacrata al di lei culto. Quivi
un dì l’amato giovane per mala sorte cacciando fu da un feroce cinghiale miseramente
ucciso. Per lo che molto afflitta l’innamorata Dea, desiderosa di lasciar memoria del
suo dolore, cangiò l’estinto amante nel fiore anemolo. Così ci lasciò descritto Ovidio
nel libro decimo delle sue metamorfosi. D’onde volendo io trarre Soggetto per una
graziosa danza pantomima, giudicai, seguendo l’esempio d’alcun Poeta, che trattò
un simile argomento, di fingere che Marte venuto in Cipro in traccia della sua Dea
scoprisse il rivale, di cui Venere operasse la trasformazione per sottrarlo alle micidiali
vendette del geloso Dio della guerra, il quale altro più non potendo sfogasse l’ira con-
tro del fiore. In tal modo tralasciando il mal eseguibile accidente della fiera,1 mi parve
di poter dare un maggior risalto al componimento della favola, condurla con un più
interessante nodo preso dal verisimile, e renderla nello stesso tempo suscettibile di quel

L’opera da cui si trascrive è Venere in Cipro. Ballo pantomimo in un solo atto. Inventato e diretto dal Sig. Giu-
seppe Canziani. Da rappresentarsi in Milano per Secondo Ballo, nella Second’Opera del Carnevale dell’anno
1779, Milano, Gio. Battista Bianchi, 1779 (ma con indicazione sul retro dell’ultima pagina di stampa), pp. 12
[volume consultato presso la Biblioteca del Conservatorio «Santa Cecilia» di Roma, segnatura: n° 20.5]. In realtà
questo ballo è del 1778, e fu composto come primo ballo con il titolo L’arrivo di Venere nell’isola di Cipro. Ballo
eroico pantomimo, Venezia, presso Modesto Fenzo, 1778; esistono segnalate almeno tre copie di questa edizione:
presso l’Ambrosiana di Milano, che a una verifica sembra essere andato perduto; presso una biblioteca privata,
al momento non raggiungibile; e presso la Fondazione Cini di Venezia, ove il testo, contenuto alle pp. 25-30 di
G. Radicchi, Medonte Re di Epiro. Dramma per musica, è in gran parte però mutilo (sono intuibili alcune diffe-
renze linguistiche e narrative non incidentali, di cui si darà notizia nelle note). Giuseppe Canziani (forse Venezia,
1750-1793), ballerino, coreografo e pedagogo italiano, lavora con Noverre, Angiolini e Le Picq; dal 1771 al 1774
è attivo presso l’Hoftheater di Monaco, poi a Venezia fino al 1778, accanto alla moglie, la prima ballerina Maria
Casassi; compone, per l’apertura della Scala, il ballo Apollo placato ossia la Riapparizione del Sole dopo la caduta
di Fetonte (agosto 1778); sempre nel 1778 crea e dirige a Bologna i balli per l’Alceste di Gluck, suscitando aspre
polemiche; l’anno dopo, chiusa la sua attività scaligera con la Venere in Cipro, succede ad Angiolini come coreo-
grafo a San Pietroburgo. Di ritorno a Venezia nel 1793, compose qui i suoi ultimi balletti conosciuti.

1 … fiera: ovviamente, in senso scenico.

203
contrasto, di quei gruppi, e di quel finimento, onde bella, ed aggradevole oggi giorno PROGRAMMA.
riesce l’esecuzione dell’arte mia. Su tali idee formai il piano di questa mia piccola
azione pantomima. Se con essa avrò ottenuto l’intento di divertire l’erudita nazione, a Parte deliziosa dell’Isola di Cipro alle spiagge
cui l’espongo, mi crederò ben fortunato. Troppo fisso mi sta nell’animo, e troppo per del mare.
me glorioso è il compatimento, con cui Milano si degnò di onorare le antecedenti mie
deboli fatiche. Per ultima di esse non mi lasciò ora la vicenda, che di dare tra questi scena prima.
grandiosi Spettacoli il minor Ballo. Deh potessi con questo pure dimostrare l’impegno
della mia servitù eguale a quei sentimenti di gratitudine, e di venerazione, che per I Nazionali2 di Cipro celebrano in onore di Venere con liete danze una Festa, fra
questo rispettabilissimo Pubblico mi farò sempre gloria di conservare! la quale da un dolce susurro è annunziato l’arrivo dell’invocata Dea.

Il luogo dell’azione è nell’Isola scena ii.


di Cipro.
Sul suo leggiadro carro dalla parte del mare Venere col suo Adone sen’ viene
PERSONAGGI DANZANTI. accompagnata dalle tre Grazie, e seguíta dai soliti Genietti amorosi.3 L’accoglie col
dovuto omaggio il Popolo tutto, a cui ella dà segni del suo favore. Quindi assisa
Marte coll’amato Adone su l’elegante trono formato all’istante da’ suoi Genii, ordina, che
Sig. Claudio le Grand. si ripiglino le festose danze, alle quali non isdegna ella pure in uno con Adone, e
colle Grazie di frammischiarsi.4 Diventa generale la danza, ecco che un improvviso
Venere strepito mette tutti in iscompiglio.
Signora Maria Canziani.
scena iii.
Adone
Sig. Giuseppe Canziani. Marte n’è la cagione, che addirizzato5 a questa volta si vede sul suo carro per
l’aria passare. Venere timorosa non sa come nascondere alla di lui vista il caro Ado-
| Signora Anna Agostini. ne: dubbiosa or lo consegna alle Grazie, ora al Popolo, or agli Amori; infine risoluta
Le tre Grazie | Signora Margherita Rossi. lo affida agli Isolani, che seco loro altrove il conducono. Resta la Dea colle Grazie a
| Signora Giuseppa Radaelli. ricevere il bellicoso Dio.

Nazionali dell’Isola di Cipro. scena iv.


Genii amorosi seguaci di Venere.
Marte giunge, e sorpreso dell’inusitato freddo accoglimento di Venere, non può
Inventore, e Pittore dello Scenario. dalla confusa Diva ricavarne6 la cagione. Opportunamente per soccorrerla le Grazie
Sig. Pietro Gonzaga Viniziano.

Compositore della Musica. 2 Nazionali: ossia i ‘popoli (qui accorsi)’, in aggiunta ai nativi, poco oltre detti «Isolani»; ma cfr. con l’ed.
Il celebre Sig. Maestro Alessandri. 1778:«Varie Nazioni qui sbarcate per rendere il loro omaggio al Tempio della dea Venere».
3 Genietti amorosi: sono gli amorini, con effetto a rilievo quasi pittorico.
4 … frammischiarsi: la sequenza è ribaltata nell’ed. 1778: «ambi uniti alle Grazie formano un passo a cinque
espressivo, e brillante, nel tempo che li giuochi, e piaceri formano in un istante un leggiadro Trono».
5 addirizzato: ‘raddrizzato’ nel senso di ‘girato (verso questa direzione)’, con marcato senso spaziale; mentre per
quello sonoro si noti il «susurro» che annuncia Venere, in contrapposizione allo «strepito» che introduce Marte.
6 ricavarne: ‘conoscerne’ in senso fig.

204 205
con dolci maniere distraggono il Dio dall’imbarazzanti richieste; ed alleggerendolo scena viii.
dell’armi, che appendono a un tronco, l’adornano di fiorite ghirlande. L’intervallo dà
campo7 alla Dea di ricomporsi, e con finti vezzi dileguare i sospetti del già ingelosito L’improvviso ritorno di Marte sorprende Adone fra le braccia della sua Venere.
Marte, che dalle artifiziose lusinghe resta abbagliato, e contento.8 L’ira, di cui avvampa quel feroce Dio fa inorridire ogni cuore. Scàgliasi contro del
rivale per trafiggerlo. Tutti interéssansi12 per riparare i colpi. Venere quanto può pro-
scena v. cura difenderlo. Ma alla fine conviene,13 che tutto ceda al fiero Marte. Già egli è per
atterrare il miserello Adone; allorché la Dea per involare l’amante al mortal colpo, lo
L’amoroso Adone impaziente di rivedere la sua Dea qui viene, e trovando quella trasforma prodigiosamente nel fiore Anemolo. Stupisce Marte. E Venere dileggiando
col rivale, stimolato da desìo di vendetta s’affretta a vestirsi dell’armi, che vede il tradito deluso Dio, riprende colle Grazie, e cogli Amori il proprio carro, e parte.
appese al tronco. Si volge Venere, e sorpresa di tale incauta temerità lo trattiene, lo
rimprovera. Tutto ciò da Adone è interpretato a favore di Marte; ond’egli, tuttocché scena ix., ed ultima.
assicurato in amore dalla Dea, si fa più furioso nella volontà di assalirlo. Frattanto le
consapevoli Grazie impediscono a Marte di veder l’azione, che passa fra Venere, ed Marte tanto più furibondo, quanto più fu schernito, per saziare in parte le sma-
Adone; ed allorché Marte da esse svilùppasi9 per rintracciare la Dea, questa accorta nie dell’inutile suo furore, distrugge il testé nato Anemolo, e cangia il delizioso con-
a lui prontamente s’affaccia,10 lasciando l’amato Adone in custodia delle Grazie, le torno nel più orrendo deserto.14
quali colle loro ghirlande incatenandolo altrove malgrado suo lo traggono.

IL FINE.15
scena vi.

Uno strepito di guerresche trombe eccita il valor di Marte, che abbandonando


la Dea ricerca l’armi. Finge amorosa afflizione la Dea, e scaltramente del di lui poco
amore si lagna. Il credulo Marte se ne scusa, ed insiste per l’armi, le quali al cenno di
Venere gli son dalle Grazie, che ne spogliarono Adone, portate. Avutele, con ingan-
natrici riprove d’amore sen’ parte fastoso.11

scena vii.

Profittando di tal partenza Venere richiama il suo Adone, che a lei è dal Popolo,
dalle Grazie, e dagli Amori condotto. Le riesce scacciar dall’animo del giovanetto i
mal concepiti sospetti di gelosia; laonde pel giubbilo ripigliansi più liete le danze.

7 campo: ‘opportunità’, il termine coniuga perfettamente lo sfondo spaziale e insieme temporale necessarî al-
l’azione teatrale di Venere; se si ricorda l’impiego che poi il termine avrà, ad esempio, nel linguaggio cinemato-
grafico (dove il campo, lungo medio o corto a seconda della sua ampiezza, designa la parte della scena che entra
nell’angolo di presa dell’obiettivo), è impossibile non rilevare qui, direttamente sulla pratica testuale, il sistema 12 interéssansi: l’effetto sdrucciolo della parola rende bene l’interessato movimento di gruppo, simultaneo ma
del movimento nella pratica delle immagini e dei segni che è invece del ballo. non all’unisono, che descrive.
8 abbagliato, e contento: ossia la persuasione di Marte deriva dalla messa in scena artificiosa di Venere e del suo 13 conviene: ‘riconosce, accetta’, per manifesta evidenza.
affetto, non da una convinzione per confutazione dei sospetti.
14 orrendo deserto: la descrizione evoca quella della regione abitata da Marte, in Marino (da Stazio), L’Adone XII,
9 svilùppasi: ‘si libera’, in senso fig. 34, 3-4 («cinta di selve sterili e deserte | trova di Marte la spietata stanza»).
10 s’affaccia: ‘si accosta’ ovvero ‘gli si presenta davanti’ (e nascondendo la scena che la tradirebbe). 15 IL FINE: nel retro: «In Milano. | Nella Stamperia di Gio. Battista Bianchi | Regio Stampatore. | Colla permis-
11 fastoso: per l’effetto delle armi indossate, il feticismo della divisa militare. sione. ||».

206 207
Jean Dutarque
IL RITORNO DI ADONE, O SIA ANACREONTE
FRA LE GRAZIE. BALLO MITOLOGICO
(Napoli, 1824)

IL RITORNO DI ADONE.

Sorta appena l’Aurora, vedesi un celeste soggiorno1 sostenuto dalle nuvole, in cui
Venere e le Grazie giacciono addormentate sopra molli fioriti letti, e circondate dagli
Amorini, dormendo anch’essi. Il moto delle nuvole scopre una parte del soggiorno
di Plutone. — Sogno della dea: ella vede le Ore2 che precedono Adone fuggendo
dall’Erebo3 dopo sei mesi di prigionia, a cui venne condannato da Giove.4 Egli è
condotto da Cupido, e viene in traccia di lei. Vede nel tempo stesso Proserpina, che,
desolata per non aver potuto trattenere il giovine pastore, cade fra le braccia delle
sue seguaci. Vede quindi disparire quel tetro soggiorno.
Comparisce Zeffiro, e col soffio leggero solleva i veli che coprono il volto delle
belle dormienti. Si sente il suono della cetra d’Anacreonte.5 Zeffiro parte.

Il ritorno di Adone, o sia Anacreonte fra le Grazie. Ballo mitologico composto e diretto da Giovanni Dutarque, Rap-
presentato la prima volta in Napoli nel Real Teatro S. Carlo a’ 19 Agosto 1824, ricorrendo il fausto giorno natalizio
di Sua Altezza Reale il Duca di Calabria, Napoli, dalla Tipografia Flautina, 1824 (dopo il frontespizio sono indicati:
« La musica è del Sig. Maestro Sogner. Primo violino de’ balli Sig. Doché. Architetto de’ reali teatri e direttore delle
decorazioni Sig. Cav. D. Antonio Niccolini. Le scene sono nuove e disegnate dal Sig. Pasquale Canna. Macchinisti
Signori Moulin e Toubeau. Il vestiario è d’invenzione e direzione de’ Signori Tommaso Novi e Filippo Giovinetti»),
libretto contenuto in Ginevra di Scozia. Dramma per musica rappresentato in Napoli nel Real Teatro S. Carlo a’ 19
agosto 1824, Napoli, Tipografia Flautina, 1824, pp. 1-8 [copia consultata presso la Biblioteca del Conservatorio di
musica «San Pietro a Majella» di Napoli, segnatura Rari 10.32(12)]. Di Jean Dutarque sono poche le notizie; fu attivo
al Teatro San Carlo di Napoli nel 1820 e nel 1824; ed è ricordato da Blasis nel suo Traité come un suo maestro, molto
capace nel far scoprire al giovane: «una bellezza seducente, ma con delle nuove difficoltà; e la maniera di sormon-
tarle m’incoraggiò nella fatica, facendomi parere che i miei sforzi non sarebbero inutili» (cit. in Flavia Pappacena, Il
Trattato di Danza di Carlo Blasis 1820-1830, Lucca, LIM, 2005, pp. 108-9 e n. 6).

1 soggiorno: ‘ambiente, luogo’ ma l’indicazione evoca concretamente già tutto lo sfondo, come in Petrarca (RVF
251, 12: «eterno soggiorno»), o Marino (L’Adone VI, 184, 6: «divin soggiorno»); a contraggenio, quasi sullo
scadere del secolo, l’occorrenza in Pascoli, Myricae, Anniversario (1889) vv. 12-3 («Ma nel soggiorno | freddo de’
morti») nella designazione materialistica di ‘camposanto’.
2 le Ore: sono le tre figlie di Temi, per Esiodo (Theog. 901 sgg.) Eunomia, Dike e Irene.
3 Erebo: (gr.) è l’oscura dimora sotterranea dei morti.
4 … da Giove: la fonte è teocritea (Id. XV).
5 Anacreonte: poeta greco nativo di Teo nella Ionia (570ca-480? a.C.), come personaggio è emblema di poesia

209
Giunge Anacreonte. Vedendo Venere e le Grazie tuttavia addormentate, siede,
suona la cetra e fa che si risveglino. Sorgono le deità da’ loro letti, i quali spariscono,
e quello di Venere cangiasi in ricco seggio in cui la dea si pone per adornarsi.
Tre ninfe recano preziosi arredi, con cui le Grazie si accingono ad ornare la dea.
Ebe6 festeggiante sopraggiunge. Venere va incontro al suo Adone. Giovanni Casati
Anacreonte, rimasto solo, riprende il suono della lira, che fa dileguare le nuvole, ADONE NELL’ISOLA CIPRIGNA.
e comparisce allora uno de’ più deliziosi luoghi di Citera dove tutto è disposto per BALLO ANACREONTICO
una pruova del festeggiamento immaginato da lui pel ritorno di Adone. Anacreonte, (Firenze, 1832)
circondato da’ Giuochi e da’ Piaceri, vuol sottomettere l’opera sua a Tersicore.
Comparisce questa musa, indi Apollo, ed ambo7 ammirano quanto si è immagi-
nato dal poeta di Teo. Le danze di più felici amanti le inebriano di piacere, e voglio- PERSONAGGI
no prendervi parte.
Zeffiro e Flora brillano fra gli altri. Nel bacino di una fontana veggonsi i Giuochi ADONE, Leggiadro Giovane cacciatore
sul dorso de’ delfini. Anacreonte si compiace di quanto l’estro poetico gli ha suggerito. Amante di
— Le nuvole ingombrano questo delizioso soggiorno di Citera. Sig. Giovanni Casati.
Venere, fra Cupido e Adone, discende accompagnata dalle Grazie, dalle Ore e
dagli Amorini. VENERE,
Le nuvole si dileguano, e mostrano l’interno di sontuoso palagio. Anacreonte, al Sig. Lauretta Sichera.
suono della lira, dà anima e moto a quanto ivi si vede. Venere e Adone dànno prin-
cipio alla danza; succedono poi quelle di Zeffiro, di Flora, delle Grazie e delle altre PROSERPINA, invaghita di Adone
deità festeggianti. Sig. Irene Rinaldi.
Il luogo cangiasi, e comparisce un sentiero il quale conduce al tempio della dea.
— Un quadro generale dà termine all’azione.8
AMORE
Sig. Assunta Razzanelli.

Adone nell’isola di Ciprigna. Ballo anacreontico in due atti del Sig. Giovanni Casati, in Chiara di Rosem-
bergh, melodramma in due atti da rappresentarsi nell’Imp. e R. Teatro in via della Pergola l’autunno del
1832, Firenze, Fantosini, 1832, pp. I-IV; a p. 4 si legge: «I Balli saranno composti, e diretti dal Sig. Giovanni
Casati, ed eseguiti dai seguenti. Primi Ballerini Serj Francesi, Giovanni Casati, Signora Lauretta Sichera;
Primo Artista serio assoluto per le Parti nel secondo Ballo soltanto, Sig. Antonio Ramaccini; Primi Ballerini
raffinata non di rado erotica; il suo nome è legato, nella storia delle forme letterarie, a un verso che costituì il metro per le parti, Sig. Antonio Coppini, Sig. Irene Rinaldi, Sig. Emanuelle Viotti; Per le parti giocose, Francesco
delle «anacreontiche» la cui riscoperta (che risale a Henri Estienne nel 1544) specie nel Seicento e nel Settecento Ramaccini; Primi Ballerini di mezzo carattere, Sig. Giovaceh. Coppini, Sig. Franc. Ramaccini sud., Sig.
diede vita a una voga diffusissima. Molto presente come protagonista di balletti, a partire da Anacréon, ballet Giacomo Montallegro, Sig. Giuseppe Moini, Sig. Rachele Viotti, Sig. Luigi Nevellò, Sig. Giovanna Ramaccini,
heroïque di Luois de Cahusac per Philippe Rameau (Fontaineblau, 1754) fino alla versione di Salvatore Taglioni, Sig. Barbera [sic!] Rosmini, Signora Carolina Bonvicini; Secondi Ballerini, Sig. Gaetano Fissi, Sig. Antonio
Anacreonte, balletto eroico in 4 atti, dato al San Carlo di Napoli nel 1853. Bernardini, Sig. Giuseppe Orsini; Seconde Ballerine, Sig. Irene Calci, Sig. Anna Carraresi, Sig. Maria Tren-
6 Ebe: dea greca della giovinezza, figlia di Zeus e di Era; prima di Ganimede, fu coppiere degli dèi dell’Olimpo e tanove, Sig. Ginevra Boschi; Con Numero 16. Comparse, e un adeguato numero di Ballerini di Concerto»
fu data in sposa a Eracle quando questi fu ammesso fra gli dèi. [copia consultata presso la biblioteca dell’Istituto di Lettere della Fondazione Cini di Venezia]. Giovanni
Casati (Milano, 3 giugno 1809 - Milano, 20 luglio 1895) fu allievo alla Scala di Charles Villeneuve (allievo di
7 ambo: ‘entrambi’. Noverre e Saint-Léon); dalla madre ricevette un’ottima educazione musicale (teorica e di canto), tale da per-
8 … azione: in questa rimozione del dramma e della morte a favore del ritorno ciclico della vicenda adonica, mettergli la composizione di molte musiche per i suoi balli; debuttò come primo ballerino di mezzo carattere
sopravvive e sembra prefigurarsi già l’interesse per i riti della fertilità e della vegetazione, correlati al mito, che nel 1827 alla Scala; a Parigi si perfezionò con Armando Vestris, ottenendo un grande successo al suo esordio
sarà, ad esempio, di Pound (The fifth decad of cantos, XLVII) o di Yeats (Her Vision in the Wood). Occorre però all’Opéra; dopo aver lavorato in quasi tutti i maggiori centri italiani, nel 1840 a Lisbona si dedicò interamente
accennare di sfuggita anche all’effetto di espulsione, dal mondo percettivo dei viventi, dell’agonia del morire di alla coreografia, e dal 1841 abbandonò i temi mitologici per le azioni storiche; così Regli nel suo repertorio:
Adone, nell’armonia ostentata dalla presenza di Anacreonte, che rimanda a un tempo eterno ripulito nel presente «Casati è un coreografo che cura l’effetto, ma non ne abusa: conosce il gusto dei Pubblici, e sa compiacerli,
dalla vista dei morenti, cacciati dalla società borghese nei sanatorî e negli ospedali. però senza lasciarsi imporre».

210 211
Sig. Rachele Viotti. di rendergli l’amante a condizione che essa giuri di osservare i suoi decreti. La desolata
LE TRE Sig. Luigia Novellò. Venere tutto promette purché ricuperar possa l’idolo suo. Proserpina cangiando allora
GRAZIE. Sig. Giovanna Ramaccini. Adone in un cespuglio,9 compariscono in esso i seguenti detti:

Ninfe, Pastori e Cacciatori del Séguito Adone risorgerà, mentre a vicenda il


d’Adone, Furie e Genî del Tempio. suo amore sia fra noi diviso.

Benché rattristata dall’ingiustissimo patto, Venere cede ai voleri dell’infernal


ATTO PRIMO Dea. Il cespuglio scomparisce, ed Adone in novelle forme vitali apparisce.10 Venere
Amena Campagna con Colline, vola nelle sue braccia e stretto in sua balìa,11 lo tiene, Proserpina anch’essa pretende
ed una Grotta. l’uguale guiderdone al suo operato. Ma Adone fuggendogli e disprezzandola, giura
di amare solo che Venere. Lo sdegno il disprezzo e la gelosia accendono il furore di
Venere assisa sopra ridente Collinetta,1 attende il ritorno dell’amato suo Adone Proserpina, la quale chiamando tutte le Furie dell’inferno comanda che Adone sia da
dalla caccia, frattanto che le tre Grazie, le leggiadre ninfe, ed i pastori vanno racco- Venere diviso e tratto12 al suo primiero essere. Le Furie ingombrano13 l’isola d’urli e
gliendo i primi fiori che l’aurora ha fatto dischiudere, e ne intrecciano ghirlande e spavento, esse sono per avventarsi sopra Adone, ma nell’atto medesimo la scena si
corone per adornare il crine della vaga Dea. cambia.
Un lontano suono di corno annunzia il ritorno di Adone. Venere giubbilante2 corre
in traccia3 di esso, il quale seguìto da’ suoi compagni abbraccia la ciprigna amante, e
gli mostra i prodotti acquistati4 alla caccia; Venere sempre più rimane di sua bellezza ATTO SECONDO
invaghita, ed i due amanti si abbandonano nelle più soavi amorose cure. Una deforme Splendida Reggia d’amore.
e smisurata belva in questo5 attraversa il luogo; Adone tosto impugna la sua lancia
e rapido la segue. Vane sono le suppliche di Venere per trattenerlo, che conoscendo Alla vista e per comando del pargoletto Nume, le Furie con Proserpina spro-
il grave cimento6 di sua temerità si abbandona al più cruccioso dolore. Intanto l’in- fondano nel loro regno. Venere ed Adone invitati da Cupido salgono il risplendente
cauto giovane sostenuto da’ suoi compagni lacero e sfinito è di ritorno, egli non può trono ed abbracciati rendono grazie al padre de’ Numi, e sono dall’Amore uniti. Le
sostenersi,7 il feroce animale mortalmente l’ha ferito. Disperata Venere e le tre Grazie Grazie ed i Genii fanno corona14 ai due Amanti celesti15 [e] termina il divertimento
congiungono tutti i mezzi onde porgergli aiuto, ma inutilmente, il misero dopo i più con liete danze.
compassionevoli e teneri amplessi8 diretti alla sua amata Venere spira a’ suoi piedi. Il
dolore e la desolazione agita gli astanti. Venere chiede il soccorso de’ Numi per ottenere
la vita all’amante. Le sue preghiere sembrano ascoltate, un rumoreggiante tuono ma- FINE.
nifesta il sospirato soccorso. Ma Proserpina che dell’infelice è la giudicatrice, dal pro-
fondo suo regno comparisce a Venere, e mostrando pietà del suo dolore, gli promette
9 cespuglio: con forte valore drammaturgico di un oggetto scenico già in Guarini, Pastor fido III, 3 («[Corisca.]
Qui ripongo il suo dardo, e nel cespuglio | torno per osservar ciò che ne segue»).
1 Collinetta: l’uso dimin. accentua spesso l’ambientazione pastorale descritta, per cui vd. Tasso, G.l. XVI, 19, 5
(«Apriche collinette, ombrose valli») e Marino, L’Adone XI, 22, 4 («scogli muscosi e collinette amene»). 10 … apparisce: per l’effetto cfr. Ariosto, O.f. I, 52, 1-2 («E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco | fa di sé bella
et improvisa mostra»).
2 giubbilante: ‘con manifesta gioia’, il cui fervore allude per estens. al movimento del corpo e dello sguardo.
11 sua balìa: ‘suo potere, possesso’, forse con allusione all’azione di un abbraccio amoroso e insieme protettivo,
3 in traccia: ‘alla ricerca, incontro’. con accentuazione della ridotta volontà di Adone, sottomesso da una Venere materna.
4 prodotti acquistati: ‘prede catturate’. 12 tratto: ‘riportato’.
5 in questo: sottinteso ‘stesso momento’. 13 ingombrano: in senso fig., ‘diffondono, riempiono’.
6 cimento: ‘pericolo’. 14 fanno corona: ‘circondano’, con chiara indicazione coreografica e spaziale.
7 sostenersi: ossia ‘reggersi in piedi’. 15 celesti: nel senso di ‘divini’ ma forse anche con indicazione cromatica, ossia che ‘splendono del colore azzurro
8 amplessi: nel senso di ‘abbracci’. del cielo’.

212 213
CODA
Gabriele d’Annunzio
LA MORTE DEL DIO
(Roma, 1893)

LA MORTE DEL DIO

я›ҸƪƤƲƮ›ƠƢzưѓƣƷƬƨư

«Spargono del più dolce olio aromale2


élleno3 e di lor pianto le supine
membra del dio.4 Per ogni effuso crine5
armonïosamente il dolor sale.»6

Pubblicato in «Tribuna Illustrata», il 10 dicembre 1893. Una probabile fonte è il sonetto di José-Maria de Heredia,
Le réveil d’un Dieu (in Le livre des Sonnets, Paris, Lemerre, 1874, poi in Les trophées, Paris, Lemerre, 1893).
Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 e muore a Gardone Riviera (Brescia) il 1 marzo 1938;
poeta precocissimo, la sua lunga carriera letteraria abbraccia più generi (lirica, romanzo, giornalismo, teatro) e
più stagioni, dall’estetismo decadente di fine secolo al superomismo modernista che coniugò acceso interventismo
e sogno di un «vivere inimitabile»: «Sotto apparenze di inquietudine sperimentale, in abito di incontentabile e
espertissimo artifex, egli racchiuse in verità il più impavido eclettismo» (Sanguineti).

1 … ѓƣƷƬƨư: l’emistichio da Bione (Epitaph. Adonis I): «Il bell’Adone è morto»; alcuni inserti in greco dall’epitaf-
fio di Bione, quali emblemi di rinascita, saranno presenti anche nella sezione adonica del viaggio odissiaco di Ezra
Pound, per cui vd. Cantos XLVII (The fifth decad of cantos. Siena - The Leopoldine Reforms).
2 aromale: ‘aromatico, odoroso’, «aròmale: da Aròma o Aròmato, profumo» (G.L. Passerini, Il vocabolario della
poesia dannunziana, Firenze, Sansoni, 1912, pp. 41-2), come ancóra in d’Annunzio, Isaotta 1-2 («Spiran le rose
l’aròmale Anima ne’ roseti»), Alcyone, Il Commiato 21-2 («amo la tua materia prometèa, | la sabbia delle tue selve
aromali»).
3 élleno: per ‘elle’, come in d’Annunzio, Il Fuoco p. 237 («Tutte le cose avevano una eloquenza profonda, come se
un segno invisibile e per un divino privilegio élleno vivessero nella superiore verità dell’arte»).
4 «Spargono … dio: cfr. Bione (trad. G.M. Pagnini), Canto funebre d’Adone. Idillio I 89-92 («Aspergil’anco | E di
mirti, e di balsami e d’unguenti, | Ogni balsamo pèra or che perìo | Il tuo balsamo Adon») e Marino, L’Adone XIX,
351, 1-4 («Or perché’l corpo del Garzon defunto | fin ne’ più chiusi penetrali interni | già tutto oleza imbalsamato
ed unto | de’ prezïosi aromati materni»).
5 effuso crine: ‘capello sparso’, per il sintagma v. d’Annunzio, La Chimera, Sonetti dell’anima VII. L’Esperidi e le
Górgoni 3 («A la mia chioma effusa») e Alcyone, L’oleandro III, 215 («per la capellatura umida effusa»).
6 … sale.»: una consimile invocazione sarà del protagonista, reso folle e credutosi Adone, in Auden-Kallman, The
Rake’s Progress, III, 3 («[Tom] Wash you and make you clean. | Anoint your limbs with oil, | put on your wedding
garments | and crown your heads with flowers»).

217
O antico Sogno di deliziale7 5
morte, io ti prego che t’avveri al fine,
se può la morte rendere divine
le mie membra su’l letto funerale!8

«Al ciel vermiglio, ove il dolor si spande


solo, tendon le braccia e ne l’ebrezza 10
lùgubre chiamano a gran voce Astarte.»9

Così moriva il Giovine, in un grande


mistero di dolore e di bellezza «REVIVISCENT MORTUI TUI»
quale già finsero il mio Sogno e l’Arte.10

7 deliziale: ‘voluttuosa’.
8 funerale: ‘funebre, funerario’.
9 Astarte.»: è Afrodite/Venere; il nome ricorre, nostalgico, anche in Nerval, Voyage en Orient (ed. it. p. 364: «I
giardini di Sidone fioriscono ancóra come al tempo del culto di Astarte»).
10 grande … Arte: allusione alla tradizione misterica del mito di Adone, per cui vd. ancóra Nerval, Voyage en
Orient (ed. it. pp. 276-7: «Questi boschi e queste montagne hanno risuonato delle grida di Venere che piangeva
Adone, ed era in queste grotte misteriose, dove qualche setta idolatra celebra ancóra delle orge notturne, che an-
davano a pregare sul simulacro della vittima, pallido idolo di marmo o d’avorio dalle ferite sanguinanti, attorno
al quale le donne sconsolate imitavano le grida lamentose della dea»).

218
Niccolò Cambi
LA CACCIA DI VENERE, E DI ADONE
(Firenze, 1764)

L’invenzione, e direzione del Ballo è del Sig. Niccolò Cambi,


ed eseguito da i seguenti.

Sig. Lucia Lolli. | Sig. Giuseppe Banti.


Sig. Teresa Banti. | Sig. Zaccaria Banti.
Sig. Eleonora Fran- | Sig. Paolo Franchi.
chi. |
Sig. Annunziata Van- | Sig.Pietro Beati.
destich. |

Il Ballo rappresenta la Caccia di Venere, e di Adone, del quale per essere Pantomi-
mo1 si dà in ristretto2 la seguente favolosa descrizione.

Il Teatro rappresenterà un bosco con una piccola montagna praticabile3 nel fon-
do, in questo si ritruovano di ritorno dalla Caccia Venere, e Adone, col loro séguito
di Cacciatori, e Cacciatrici, e dopo essersi fra loro con breve danza divertiti, prende

In Il mercato di Malmantile. Dramma giocoso per musica, Firenze, Anton Giuseppe Pagani, 1764, pp. 4-6 [copia
consultata presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna]. Niccolò Cambi lavorò come inventore dei
balli al Teatro del Cocomero di Firenze dal 1759 al 1764.

1 Pantomimo: ossia ‘ballo pantomimico’; cfr. Tesauro, Canocchiale aristotelico (p. 55: «qui s’aggira la principal
facondia de’ Pantomími, come si è detto: che col mistero degli habiti, e col ministero de’ Cenni, ogni cosa tacciono,
e dicono ogni cosa»); per Marina Nordera: «Nei teatri di Firenze (…) La prima definizione di “ballo pantomimo”
compare nel programma [di questo ballo]» (La cultura di danza nella Firenze dei Lorena, in Aspetti della cultura
di danza nell’Europa del Settecento. Atti del convegno Bologna 2-4 giugno 2000, a c. di Fabio Mòllica, Bologna,
I Libri della Società di Danza, 2001, p. 177).
2 in ristretto: ‘in sintesi, in breve’; colpisce la dichiarata (dunque anche politica) diretta consequenzialità tra il
genere teatrale e quello della scrittura.
3 praticabile: su cui è possibile agire e muoversi; ma l’uso di questo e altri termini («fondo», l’apertura con «Il
Teatro», o più avanti «Scena»), qui come in altri argomenti/libretti per il ballo, e che rimandano non al contesto
narrativo ma direttamente al contesto spaziale della pratica scenica, questo uso raffredda la convinzione che, per
la storia, tutto possa esaurirsi nella illusione della sola lettura; mostrando gli apparati proprî delle parti puramente
testuali con valore essenzialmente strumentale (la materia) si presuppone (o si rinvia) a una natura esterna, ulte-
riore alla scrittura e del suo inveramento.

221
Venere il suo congedo, e ripòstasi4 nel suo Carro, se ne parte. Afflitto Adone per la
di lei partenza, ama di5 restar solo, e sopraffatto dalla sua tristezza, licenzia tutto il
suo séguito. Poco dopo di aver dimostrato6 tale sua tristezza, vedesi all’improvviso
assalito da un Cignale, e dando tosto di piglio ad7 una lancia, lo attacca, valorosa- Giuseppe Fabiani
mente combatte; ma resta dalla ferocia del Cignale vinto, ed ucciso. Allo strepito del ADONE. BALLO EROICO PANTOMIMO
combattimento discende di nuovo Venere, e piena di fiera inquietudine, rivolgendo (Firenze, 1769)
gli occhi da ogni parte, e cercando da per tutto Adone, lo scorge finalmente estinto.
Rimane immediatamente investita8 di un acerbo dolore la Dea amante, eccitando9
in quell’istante la maggior tenerezza, ricorre supplichevole a Giove, acciò si degni
di convertire in un vago odoroso Fiore, il sangue dell’estinto amato Adone. Ascolta L’ADONE
favorevolmente il propenso Nume le sue preghiere, onde nell’istesso momento si
compiace di esaudirle. Da questo felice successo, restando Venere alquanto rassere- secondo Ballo Eroico Pantomimo, eseguito
nata, si raggira intorno al Fiore, ed accarezzandolo, fa maggiore la sua consolazione. da’ suddetti Signori Ballerini
Sopraggiunge in quest’istante Marte, ed alla vista di Venere si dispone tosto a corteg-
giarla, e a procurarsi il di lei amore,10 ma essa non lo cura, lo rifiuta, e lo fugge. Con- Rappresenta la Scena un piacevole Bosco illuminato da’ raggi della Luna, e delle
siderandosi allora Marte d’esser posposto11 ad un caduco Fiore, scagliasi contro di Stelle, in cui stanco già dalla Caccia dorme Adone co’ suoi compagni. Alla venuta
esso per svellerlo, ed estirparlo,12 ma da un improvviso lampo abbagliato, è costretto di altri seguaci si risvegliano i primi, e tutti insieme preparano nuovi divertimenti
di sospendere il suo attentato. Venere, che erasi ritirata sopra la montagna della per [il] dì futuro al loro Signore ancóra addormentato. Scende intanto dal Cielo una
Scena, rimirando più che mai inferocito Marte contro del Fiore, di nuovo con tutto leggiadra schiera d’Amori, seguìti da Venere assisa sopra il suo Cocchio tirato dalle
il fervore implora il soccorso di Giove, ed in un istante cambiandosi la Scena, com- Colombe, i quali dopo avere accennato1 alla Dea il suo Amante, volano in folla a
parisce un trasparente13 Giardino, e si vede contemporaneamente sparire il Fiore, e risvegliarlo, e corteggiarlo.2 Frettolosa3 allor Venere va incontro a lui, e rinnuovansi
ravvivarsi14 Adone. Oppresso allora Marte da fiero sdegno, se ne fugge, lasciando li fra di loro proteste scambievoli4 di eterno affetto; ma mentre si ritrovano in que-
teneri Amanti in libertà degli scambievoli loro amori. Incominciano perciò le affet-
tuose loro danze, e queste sono poi da altri varii piacevolissimi caratteri ornate.15
In L’Antigono. Dramma per musica (carnevale 1769), Firenze, Stamperia in Borgo de’ Greci, 1769, pp. 5-7
[copia consultata presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna, Lo.0.949]: «I balli sono d’inven-
4 ripòstasi: nel senso di ‘ritornata sul’, con valore iterativo e indicazione di un tempo d’azione ulteriore, quello zione e composizione del Sig. Giuseppe Fabiani. Il primo Ballo rappresenta lo Sposalizio di due gran Signori
precedente della sua venuta. Chinesi, che vanno al Tempio col séguito di tutta la magnifica Corte, che precede l’Imperatore de’ Chinesi, e con
5 ama di: ‘desidera, preferisce’. le Cirimonie all’uso Chinese; eseguito da’ seguenti Signori Ballerini. Primi ballerini: Giuseppe Fabiani. Anna
6 dimostrato: nel senso di ‘mostrato in modo non verbale’ (come in Dante, Purg. 9, 61), con allusione alla parti- Salomoni. Giovanni Guidetti. Angela Ricci. Gaspero Bonucci. Seguono i primi Ballerini. Fuori de’ Concerti:
tura gestuale dell’interprete. Cammillo Fabiani. Maura Fabiani. Teresa Banti. Figuranti: (…)». L’argomento che segue si trova a p. 7. Giu-
seppe Fabiani, fiorentino, fu attivo come ballerino e inventore di balli tra il 1768, presso il Teatro della Pergola
7 dando … ad: ‘impugnando velocemente’. a Firenze, e il 1798; fu al Teatro San Cassiano di Venezia, nel 1775, per Semiramide.
8 investita: ‘colpita, aggredita’ in senso fig.
9 eccitando: ‘suscitando’, negli occhi di chi guarda (ancóra con effetto di commento alla scena, a favore dell’interprete,
1 accennato: ‘avvertito, indicato’ (col gesto, in una chiara amplificazione della dimensione mimica).
qui Venere, che dovrà avvantaggiarsene, e pregiudiziale nei confronti dello spettatore, che potrà infine accertarsene).
10 procurarsi … amore: ossia ne cerca corresponsione. 2 corteggiarlo: ‘rivolgergli gentilezze, complimenti’ (anche per ottenere di poter godere da vicino il premio della
sua bellezza).
11 posposto: ‘tenuto in minor considerazione’.
3 frettolosa: questo precipitarsi immediato di Venere nell’opera di seduzione, a livello espressivo ritiene qualcosa
12 … estirparlo: il gesto riassume, simbolicamente, tutta l’umiliazione narcisistica della forza bruta, gelosa della di fatale; allude all’emergere incontrollato del desiderio ma anche denuncia un’ansia per l’incertezza della sua
bellezza fragile e delicata («vago odoroso … caduco Fiore») dell’antagonista; se ne ricorderà Shelley, nella Preface durata; è scelta semantica in stretta dipendenza con il movimento dell’azione, come in Metastasio, L’Olimpiade
al suo Adonais (1821), elegia per la morte di John Keats («[Keats] was not less delicate and fragile than it was
II, 13, 944-6 («L’onda percossa | balzò, s’aperse; in frettolosi giri | si riunì»); in Marino, invece, designa il correre
beautiful; … what wonder if its young flower was blighted in the bud»).
dell’«Occasïon», «Suora minor de la Fortuna» (L’Adone VI, 193, 1-2), e si ricordi che sarà proprio la Fortuna a
13 trasparente: nel senso di poco folto, e senza ombre, ossia luminoso. guidare Adone all’incontro con Venere.
14 ravvivarsi: ‘tornare in vita’. 4 proteste scambievoli: ‘attestazioni, dichiarazioni reciproche’ (di amore); l’enfasi del sintagma descrive in poten-
15 ornate: ‘accompagnate’. za tutta la teatralità figurale della scena danzata.

222 223
sti dolci ragionamenti5 comparisce Marte, che sorpreso dalla gelosia, tenta uccidere
Adone. Egli è difeso ora con lusinghe, ora con forza6 dalla sua Dea; onde Marte
ritìrasi,7 giurando però la morte del suo rivale. Ritornano frattanto i Cacciatori,
ed invitano Adone alla Caccia, ed ei dopo aver replicate8 le sue tenerezze a Venere,
l’abbandona, sale il monte, s’affronta con uno smisurato Cinghiale, che evitando il Giacomo Romoli
suo colpo, infelicemente9 lo sbrana. Venere incontra l’amato cadavere,10 lo piange, e VENERE, E ADONE. BALLO
supplica suo Padre Giove per la di lui immortalità. Il Bosco si cangia nella Reg[g]ia (Venezia, 1775)
di Giove, si mira Adone reso immortale, e pieno di gloria,11 dalla quale discende per
rendersi alla Dea sua amante. S’intrecciano12 allora da’ Cacciatori seguaci danze di
gioia, con le quali si dà fine alla Favola.
IL PRIMO BALLO RAPPRESENTA

VENERE, E ADONE.

SCENA PRIMA,

Bosco con montagna in mezzo, alle di cui falde1 si vede Adone addormentato.
Una truppa di Cacciatori con i respettivi Istrumenti in mano parte in osservazio-
ne dello svegliarsi di Adone, e parte addormentata. Giunge un’altra Truppa di
Cacciatori, che viene ad annunziare essere già pronta la Caccia, e tutti insieme
partono.

5 dolci ragionamenti: ‘amorose spiegazioni’ ed è raddoppiamento del precedente, ma il termine ragionamento


SCENA II.
ricade non tanto sulla dimensione parlata della scena descritta ma su quella narrata (e illustrata), come già in
Dante, Purg. 18, 1 («Posto avea fine al suo ragionamento | l’alto dottore»), o forse anche derivazione dalla dimen- Al suono di grata Sinfonia comparisce Venere corteggiata2 dalle Ninfe, e viene
sione silenziosa del ragionare, dalla forza del fra sé e sé come nella Vita nova 15, 1 («mi giunse uno pensamento
forte, lo quale poco si partia da me, …, ed era di cotale ragionamento meco»). dall’Amore accompagnata presso Adone che dorme. Venere se gli asside accanto,
6 lusinghe … forza: ossia con le buone e con le cattive. lo rimira, lo abbraccia, e dimostra la sua viva passione per lui. Adone si sveglia, e
7 ritìrasi: anche questa indicazione non è univoca, e sta per ‘indietreggia’, come davanti a un avversario in duello trovandosi nelle braccia della Dea resta sorpreso per l’estremo contento, ed amendue
(per cui vd. Tasso, G.l. VI, 43, 7-8) e ‘abbandona l’azione, si allontana dal luogo’, nel senso di una sua momen- esprimono la propria consolazione.3 Le Ninfe, e Amore ancor essi dimostrano la loro
tanea astensione.
contentezza.
8 replicate: ossia ‘ribadite’ a conforto di una amante insicura.
9 infelicemente: l’uso del termine è quanto mai ricco di sollecitazioni sceniche, sta per ‘sfortunatamente, malaugu-
ratamente’, con insistenza sull’esito avverso dell’azione che sta precipitando (e dunque con indicazione temporale
dello svolgersi della scena), ma anche ‘vanamente, senza speranza’ in riferimento a un amore non corrisposto, del In La contadina incivilita. Dramma giocoso per musica, Venezia, presso Antonio Graziosi, 1775; con a p. 3 l’in-
cinghiale per Adone, con indicazione spaziale del quadro scenico e in contrapposizione speculare ai «dolci ragio- dicazione dei «Ballerini. I Balli sono: il Primo d’invenzione, e direzione del Sig. Giacomo Romoli. Il Secondo sarà
namenti» di questo con Venere (per cui vd. Boccaccio, Dec. III, 5: «Avea lungo tempo amata e vagheggiata infeli- d’invenzione, e direzione del Sig. Giuseppe Forti, eseguiti dalli seguenti. [segue lista coi nomi comprendente il Romoli
cemente la donna», e Foscolo, Ortis lett. 27 maggio: «E chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemente?»). in coppia con Catterina Curz; copia consultata presso la biblioteca di Casa Goldoni, a Venezia]». Di Giacomo Romoli,
romano, sappiamo che era presente a Firenze tra il 1768 e il 1774; a Reggio Emilia per la Fiera nel 1775.
10 l’amato cadavere: ricorda Marino, L’Adone V, 60, 7-8 («Del cadavere freddo il collo amato | abbraccia»).
11 pieno di gloria: ‘dignità superiore’ per mezzo dell’immortalità concessa (la cui condizione è descritta da Dante,
Convivio IV, 19, 7), ma in riferimento all’indicazione per l’azione seguente (discende) Battaglia spiega che gloria 1 falde: ossia nella parte iniziale del pendio.
è anche il nome della «Macchina scenica costituita da un piano che s’innalza o s’abbassa per mezzo di cavi, sul 2 corteggiata: ‘seguìta in corteo’, come poi in Manzoni, Adelchi I, 1, 11-2 («[Vermondo.] I riverenti | Lunghi
quale prendono posto i personaggi». commiati del corteggio»).
12 S’intrecciano: ‘si formano, si eseguono’. 3 consolazione: ‘piacere’, trovato uno nell’altra.

224 225
SCENA III. Cacciatori, ed esala lo spirito alla presenza dell’adorata Dea.

Preceduto da fiera armonia comparisce Marte in ricerca di Venere sua diletta. La SCENA ULTIMA.
ritrova in braccio di Adone, e furioso minaccia stragi e ruine. Amore prende l’elmo
e lo scudo per garantir Venere dagli attacchi di Marte, che non lascia momento in Venere disperata per la perdita del suo Tesoro, ben ne ravvisa in Marte l’Autore
cui non le rinfacci la sua infedeltà. La Dea cerca placarlo, ma sempre invano. Marte di sua sventura; si abbandona al pianto, e in tanto suo cordoglio ricorre a Giove, ed
finalmente si rivolge contro Adone per ucciderlo, ma Venere e Amore lo trattengono. elevando le braccia al Cielo8 si apre la montagna e comparisce la magnifica Reg[g]ia
Venere si pone ai piedi di Marte per implorare il perdono ad Adone. Egli riflette, e di Giove, dove il Padre de’ Numi rende all’innamorata Dea il suo fedele Adone.9
dopo breve spazio risolve di vendicarsi, e parte.

SCENA IV.

Venere e Adone stanno in osservazione per vedere se Marte sia veramente parti-
to, e non vedendolo d’appresso prorompono in lieta danza esprimente il giubilo del
loro cuore.

SCENA V.

Comparisce sulla montagna gran quantità di cacciatori inseguendo un Cignale,


quindi esce una truppa di seguaci di Adone additandogli la facil vicina presa del
Cignale, ed inducendolo a dar prova di sua bravura. Adone non potendo resistere
agli impulsi di sua inclinazione4 per la caccia risolve di andare ad uccidere il Ci-
gnale, e prende congedo da Venere, [la] quale dimostra l’acerbo suo cordoglio nel
dividersi da lui, quasi presaga della futura disgrazia di Adone, ma a niente gio-
vando le premure di Venere nel petto dell’appassionato Cacciatore, le dà l’ultimo
addio, e parte.

SCENA VI.

S’insegue da per tutto il Cignale. I Cacciatori tentano, ma invano, di trafigger-


lo, quando in un tratto comparisce Adone per ucciderlo. Segue un breve contrasto
tra le astuzie della belva, e l’arte di Adone,5 il quale finalmente6 assalito dal Cigna-
le soccombe per ferita mortale ricevuta nel seno;7 moribondo vien sostenuto da’

4 inclinazione: ‘attitudine, propensione naturale’, ma anche introiezione che asseconda una pulsione, la caccia,
sottomessa al principio di piacere.
5 astuzie … Adone: in questa contrapposizione («astuzie» vs. «arte») tra la furbizia istintuale dell’animale e la tecni- 8 elevando … Cielo: il tipo di gestualità che coinvolge le braccia, e che conserva memoria scritturale (2 Mac 3,15;
ca studiata nell’esercizio del cacciatore, si inscrive una gerarchia fittizia e pregiudiziale in cui il dominio della tecnica Eccli 46, 2; etc.), nella riflessione di François Delsarte (1811-1871) diventerà sostanza per inscrivere nello spazio
(qui soccombente, in una fase precapitalista) può riscattare dalla forza bruta (e indifferente) della natura. la consapevolezza dei differenti gradi di affermazione del corpo unitario.
6 finalmente: ‘in fine’. 9 Segue: «Il secondo ballo rappresenta. Le astuzie di diversi Marinarj Inglesi per usurpare le donne al Bey di
7 seno: ossia nel petto, con piena rimozione della meno eroica ferita all’inguine. Algeri nella sua delizia; e non riuscendogli ottengono il perdono, e si forma il ballo tra Inglesi e Turchi.»

226 227
Antonio Berti
VENERE E ADONE. BALLO MITOLOGICO
(Firenze, 1788)

VENERE E ADONE

BALLO MITOLOGICO

ARGOMENTO

Sono troppo noti nella Mitologia gli Amori di Venere e Adone. Dicesi che la di Lui
bellezza traesse Venere ad amarlo ardentemente, e che Marte di ciò sdegnato si tra-
sformasse in Cinghiale, e mentre Adone era a Caccia lo piagasse1 a morte. Che Ve-
nere scendesse all’Inferno2 e ottenesse da Proserpina che fosse restituito alla vita,3 e
che essendosene invaghita ricusasse di renderlo a Venere, e finalmente che le gare4
di queste due Dee Amanti fossero terminate da Giove. Su questo fatto è tessuto l’in-
treccio del presente Ballo.5

In La caduta dei Decemviri. Dramma per musica, Firenze, A. G. Pagani e Comp., 1788 (musica di Gaetano An-
dreozzi), p. 6; l’argomento è preceduto dall’avviso del ballo con la lista degli interpreti: «ballerini | Il Ballo avrà
per titolo VENERE e ADONE inventato e diretto dal Sig. Antonio Berti ed eseguito da’ seguenti …» [libretto consultato
presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna]. Antonio Berti come ballerino debutta a Firenze nel
1768, lavora poi anche a Bologna con i fiorentini Vincenzo Turchi e Gaspare Burci (1777), e il francese Domenico
Ballon (1781), mentre le sue prime creazioni risalgono al 1786 per il Teatro della Pallacorda o Teatro Nuovo di
Firenze, cui seguono ancóra puntate bolognesi (1788 e 1790); sappiamo che nel 1804 a Reggio Emilia compose, in
tempo di fiera (28 aprile-7 giugno), il ballo eroicomico in tre atti Le nozze di Vulcano ossia Vulcano ricompensato
da Giove, con lo stesso Berti nel ruolo di Vulcano.

1 piagasse: ‘ferisse’.
2 Che … Inferno: vd. Properzio, El. II, 13, 53-6.
3 ottenesse … vita: vd. Teocrito, Id. XV, 86.
4 le gare: ossia ‘il litigio’.
5 … Ballo: questo argomento è la forma più sintetica di descrizione dell’azione danzata, esile trama, «futile ed
esigua» secondo ancóra la definizione di Gino Tani (Enciclopedia dello spettacolo), destinata a un veloce e pronto
consumo; niente di mirabile né poeticamente rilevabile, è certo, pur tuttavia anche questa traccia senza vita, che
della danza altro non è che il segno del suo svanire, è capace di testimoniare un’idea di consumo frammentario
e non ubbidiente della mitologia, legata alla occasionalità della scrittura quasi quotidiana e ordinaria, perché
allusiva a una pratica eccezionale ed extraordinaria del corpo in scena.

229
Giuseppe Traffieri
ADONE, E VENERE. BALLO
(Torino, 1788)

DESCRIZIONE DE’ BALLI


BALLO PRIMO
ADONE, E VENERE

PERSONAGGI

VENERE
Signora Anna Favier Beretti.

ADONE
Sig. Pietro Angiolini.

MARTE
Sig. Giuseppe Herdlitzka.

DIANA
Signora Teresa Valtolina.

AMORE
LE GRAZIE

In Demofoonte. Dramma per musica da rappresentarsi nel Regio Teatro di Torino nel carnovale del 1788, Torino,
Onorato Derossi, 1788, pp. 65-71; a p. II si precisa: «Compositore delle Arie de’ Balli. Il sig. Vittorio Amedeo
Canavasso Virtuoso del corno da caccia di Camera, e Cappella di S.M.», mentre a p. VI: «Li Balli sono composti,
e diretti dal signor Giuseppe Traffieri» [copia consultata presso la biblioteca dell’Istituto di Lettere della Fonda-
zione Cini di Venezia]. Giuseppe Traffieri, di Lucca o Firenze, inventore di balli nel 1775 al Teatro del Cocomero
di Firenze e qui attivo come primo ballerino e inventore dei balli tra il 1768 e il 1795 (ne riferisce, per tutto
l’ambiente fiorentino, Marina Nordera, La cultura di danza nella Firenze dei Lorena, in Aspetti della cultura di
danza nell’Europa del Settecento, cit., pp. 166-89); risulta presente a Torino, come inventore dei balli durante il
Carnevale 1787-1788, mentre nella stagione 1776-1777 danza sempre a Torino in compagnia di un giovanissimo
Gaetano Gioia, suo allievo al Teatro San Carlo di Napoli. Traffieri compare inoltre a Firenze come «ballerino
fuori dei concerti» insieme alla moglie Anna Torselli Traffieri, e inventore del secondo ballo, per Venere, e Adone.
Azione teatrale per musica di Ferdinando Casorri, musiche del cremonese Francesco Bianchi (Firenze, Teatro
della Pergola, 1781).

231
Genii, e ninfe seguaci di Venere. Marte cala dall’alto unito a Diana, ed ebbro di sdegno6 si fa ridire li già saputi
Cacciatori seguaci d’Adone. amori di Venere. Diana le conferma quanto le ha già detto: Marte ansioso di vendi-
Cacciatrici seguaci di Diana. carsi parte con Diana per rintracciare Venere.
Amorini.

L’Azione è in Cipro. ATTO SECONDO.


La Scena rappresenta una deliziosa grotta vagamente adorna di fiori. Diversi Amo-
rini con ghirlande, che svolazzando vanno scherzando. Trono parte fatto dall’arte,
ATTO PRIMO. e parte dalla natura.
La Scena rappresenta una folta Selva
con collinetta all’intorno. Compaiono Adone, e Venere. Viene Amore con fiaccola in mano, vedendo i due
amanti chiama tutti i seguaci, e glieli mostra: questi ne rimproverano Amore: ma egli
Adone, e suo séguito, che stanno dormendo: arriva Diana, e sue seguaci, li destano, burlandosi delle loro querele mette tutto in ischerzo: e da tutti s’intreccia un ballo.
e gl’invitano a caccia, alla quale si dà principio con una fanfara.1 Adone inseguendo Venere dichiara a tutto il séguito essere Adone sovrano del suo cuore, e che vuole, che
un cervo lo disperde,2 e mentre sta indeciso da qual parte sia andato, vede coprirsi il sii il loro Re.7 Accettano con piacere la proposta, mettono Adone sul trono, quindi se li
bosco di luminose nubi,3 che giunte sulla superficie della terra si dileguano, e scopro- presta il giuramento. In questo tempo quattro Paesani si presentano al trono di Adone,
no Venere sopra il suo carro attorniata dagli Amorini, dalle Grazie, da’ Genii, e dalle e Venere offerendoli frutti: ballano un quartetto8 per il piacere d’esserle stati accettati,
Ninfe. Adone resta sorpreso.4 Venere esprime l’amore, che sente per Adone; questi ma vengono interrotti dall’arrivo di Marte, e Diana, i quali sospendono il comune con-
conoscendo la Deità cerca fuggire; Amore lo trattiene conducendolo quasi a forza ver- tento. Marte rimprovera aspramente Venere della sua incostanza. Questa furibonda
so la sua madre, la quale gli esprime il suo affetto. Adone dichiara essere cacciatore, inveisce contro Diana. Diana la disprezza,9 ed esorta Adone a seguirla. Marte volen-
ed in conseguenza seguace di Diana,5 la quale arriva in questo tempo con tutto il suo dosi vendicare di Venere vuole sacrificare al suo furore Adone: ma vedendosi da tutti
séguito; resta sospesa alla vista di Venere, quindi conoscendo per qual fine Venere trattenuto vieppiù10 s’accende di sdegno, e minaccioso parte seguìto da Diana. Venere
sia venuta, lei dichiara, che Adone è suo seguace: va per partire volendo condur seco disprezzando il furore d’entrambi corre dal suo Adone per confortarlo a nulla temere,
Adone: ma essendo in questo tempo stato Adone nascostamente ferito da Amore, non assicurandolo del suo costante amore. A tale dichiarazione disprezza Adone le furie del
può resistere alla ferita, disprezza Diana, e si dona a Venere. Diana fa ogni sforzo per suo rivale. Resta il loro spirito calmato, la tranquillità, e la gioia riprende il suo luogo,
riacquistare Adone; in fine vedendo, che inutilmente si adopera, minacciando ven- e s’intreccia nuovamente un’allegra danza, la quale però resta interrotta dall’arrivo di
detta va per partire: ordina al suo séguito di seguirla: ma rimane sorpresa vedendosi due Cacciatori, i quali avvertiscono, che un fiero cinghiale devasta, e uccide quanto a
lasciata da tutti i seguaci, che rivoltisi alle Ninfe, ed ai Genii più non ascoltano i suoi lui si oppone; a tale avviso si risveglia in Adone lo spirito11 della caccia: strappa un dar-
comandi: crescono a tal vista le sue smanie, e furibonda parte: s’intreccia da’ seguaci do dalle mani degli Araldi, e va per seguire l’acceso suo desiderio invitando il suo ségui-
di Diana, e di Venere un allegro ballo, finito il quale si ritirano tutti. to a seguirlo. Venere temendo la vendetta di Marte vuole trattenerlo; ma dopo qualche
contrasto12 Adone parte seguìto da’ suoi; Venere resta afflitta per la partenza del suo
Amante, e temendone le conseguenze corre alla volta13 di Adone per soccorrerlo.
1 fanfara: è il richiamo del corno che invita alla caccia, con significativo slittamento dal corpo di ballo al corpo
musicale.
6 ebbro di sdegno: in senso fig. ‘posseduto dalla collera’.
2 disperde: ‘perde di vista’.
7 loro Re: un’altra interpolazione da Fattiboni (Adone in Cipro I, 1), cui si rimanda.
3 luminose nubi: ricorda Dante, Pur. 32, 110 («foco di spessa nube») ma deriva da Casorri, Venere, e Adone 1, 3
8 quartetto: in questo caso un pas de quatre.
(in didascalia: «dense, ma chiare nubi», e poco oltre: «[Cidippe.] Già diradar si mira | Delle fulgide nubi il denso
velo, | E scuopre a noi quanto ha di bello il Cielo»). 9 disprezza: nel senso di ‘non la tiene in alcun conto’.
4 sorpreso: è lo stupore di fronte al divino, premio alla ferita e alla perdita che un tale incontro conduce, fino alla 10 vieppiù: ‘sempre più’.
meraviglia, «quel nulla dove ebetudine e beatitudine coincidono» (Carlo Ossola, Che nostalgia gli dèi minori di 11 lo spirito: ‘il desiderio’, come esplicitato appena dopo, ma nel senso proprio di una mancanza articolata nella
Boccaccio, nel domenicale del Sole24ore, 11 marzo 2001). parola.
5 seguace di Diana: come per G. F. Fattiboni (Adone in Cipro. Tragedia per musica II, 1, qui antologizzato), da 12 contrasto: ‘diverbio’.
cui quasi certamente la suggestione deriva, mentre la variante risale a Euripide, Ippolito 1420-2. 13 alla volta: ‘nella direzione’.

232 233
ATTO TERZO.
La Scena rappresenta la folta Selva
come nell’Atto Primo.

Odesi la fanfara. Il cinghiale passa inseguito da’ Cacciatori. Adone ne segue le Domenico Le Fevre
traccie: la fiera s’inselva.14 Caccia generale. Esce di nuovo la fiera, Adone la inve- VENERE CON ADONE
stisce,15 ma questa lo ferisce mortalmente. Venere sopraggiunge, e vedendo l’atroce OSSIA LE GELOSIE DI DIANA, E DI MARTE.
spettacolo corre dal suo Amante, che viene sostenuto da’ suoi Cacciatori: dà nelle BALLO ALLUSIVO
maggiori disperazioni, lo soccorre, ma inutili sono li suoi soccorsi, ed Adone spira. (Napoli, 1794)
Marte si presenta con Diana, e gioiscono dell’afflizione di Venere: questa inveisce
contro entrambi, ma è derisa, e disprezzata. Venere per non restare del tutto inven- primo ballo
dicata fa trasformare in vaghi, e rubicondi anemoni la spoglia di Adone; dichiaran-
do, che amerà sempre quel fiore. Marte ride di sì debole vendetta, e disprezzando VENERE CON ADONE
l’incostante Venere ritorna all’Olimpio. Diana dopo essersi derisa16 dell’afflizione ossia
di Venere parte contenta. Venere piange sul trasformato fiore: Amore la conforta, e le gelosie di Diana, e di Marte
promette di sollevarla: a tal fine fa trasformare la selva nell’ameno soggiorno17 degli
Orti Esperidi.18 Adone si trova sopra un sasso adorno di fiori vestito del colore del- Ballo allusivo al Dramma di Ero e Leandro;1
l’anemone. Tutto il resto del corpo del Ballo forma un quadro intorno a lui: Venere
trasportata dalla gioia corre dal suo Amante, che risvegliandosi come da un letar- Composto
go,19 e rivedendo la Dea gli corre incontro. Ambi ringraziano Amore, ed in segno di
giubbilo si forma un ballo generale.20 DAL SIGNOR DOMENICO LE-FEVRE.

Volendosi dare nella presente stagione, la quale richiede, più ch’ogni altra cosa,

14 s’inselva: ‘si nasconde nel bosco’, come in Poliziano, Stanze I, 32, 5-6 («quanto è più ardita fera più s’inselva,
In Ero e Leandro. Dramma per musica, da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 13. di Agosto 1794, Napo-
| e ’l sangue a tutte drento al cor s’aghiaccia»).
li, Vincenzo Flauto, 1794, pp. 9-15; a p. 8: «Inventore e Compositore de’ Balli Il Sig. Le-Fevre – Domenico Eseguiti
15 investisce: ‘incalza e colpisce’, come in un consimile contesto di scontro e combattimento in Tasso, G.l. VII, dai seguenti Ballerini per ordine Alfabetico. La Sig. Duprè – Eleonora prima Ballerina seria assoluta. Il suddetto Sig.
109, 1-2 («e là dove battaglia è piú mortale | vattene ad investir nel lato manco»). Le-Fevre – Domenico primo Ballerino serio assoluto. Il Sig. Gioja – Gaetano primo Ballerino assoluto. La Sig. Pitrot
16 essersi derisa: ‘aver fatto beffe (prendendola in giro)’. – Carolina prima Ballerina assoluta. Ballerini di mezzo Carattere. Il Sig. Gioja – Ferdinando primo Ballerino di
mezzo Carattere. Grotteschi. Il Sig. Calabresi – Camillo. La Sig. Cellini – Caterina. Il Sig. Scalese – Giuseppe primo
17 ameno soggiorno: in Virgilio, Æn. I, 530-531 (e III, 163-164) è detta «terra antiqua, potens armi atque urbe Grottesco assoluto. La Sig. Zannini – Anna prima Grottesca assoluta. Con numero 24. Figuranti». Domenico Le
glaebae», mentre a VI, 6-8, ne descrive le dense foreste, riparo di fiere. Fevre (o Lefévre) coreografo francese tra i più prolifici che lavorarono al Teatro San Carlo di Napoli tra il 1784 e il
18 Orti Esperidi: è il giardino (delle figlie della notte) su di un’isola ai confini occidentali del mondo, sorvegliato 1786, e il 1793 e il 1795; fu anche coreografo alla Pergola di Firenze tra il 1782 e il 1788; all’ingresso dei francesi
da un drago, con alberi dai pomi d’oro; variante già in Casorri, Venere, e Adone (dall’argomento: «[il Pubblico in Milano (15 maggio 1796) fu incaricato della realizzazione del Ballo del Papa ossia Il Generale Colli in Roma (27
illuminato] conoscerà ciò che questa Azione Teatrale ha di Episodico, e compatirà l’arbitrio presosi dall’Autore febbraio 1797), «il ballo più politico di tutti … vero emblema del fanatismo repubblicano … [Le Fevre] tra l’altro,
coll’anacronismo locale degli Orti Esperidi, essendosi ciò fatto in grazia d’una maggior vaghezza della Rappresen- era sorprendentemente somigliante a Pio VI, il papa ivi beffato … Fu tale lo scalpore e lo scandalo suscitati dal vedere
tazione, la quale è finalmente una favola anch’essa, che vuol dir suscettibile di qualche alterazione»; poi sviluppata il Papa danzare in scena con in testa la mitria, che dopo sole undici repliche il ballo fu tolto dal cartello e il Lefévre,
per tutta la scena 19 dell’atto II). su cui fu riversata per intero la responsabilità della messinscena, tacciato di eresia, perse tutte le lezioni private che
19 come da un letargo: l’allusione alla scena del sonno rimuove l’idea della morte e della finitudine, stato di teneva per le nobili fanciulle di Milano e, addirittura, ci fu chi lo disse morto annegato per la disperazione.» (Nadia
coscienza inaccettabile allo stadio inconscio; è espediente ‘politico’ di attenuazione anche in Marino, Strage de Scafidi, Il Teatro alla Scala, in La danza in Italia, Roma, Gremese, 1998, pp. 18-9).
gl’innocenti IV, 12, 5-6 («Cala la spada orribile e feroce | E ’n perpetuo letargo l’addormenta») e ancóra ne L’Ado-
ne IV, 278, 4-8. Qui, la parentela testuale con Venere, e Adone di Casorri è puntuale (vd. la didascalia introduttiva 1 Ballo … Leandro: ; vd. p. 5: «Argomento. (…) Questo momento, celebrato da molti, e spezialmente da Museo, a cui
alla scena 19, atto II: «Adone adornato con abito del color dell’anemolo vedesi giacente sopra un sedile di essi fiori, si attribuisce un elegante poemetto sugli Amori di Ero e Leandro, ha fornito il soggetto al presente Dramma. Il dippiù
e a poco a poco destandosi come da un profondo letargo osserva con stupore, e sorpresa le tre Esperidi, ed il loro è stato alla meglio immaginato. Tutto si fa succedere nel ricorrimento di quel giorno, che s’innamorarono scambie-
séguito, ed esamina con non minor maraviglia a parte a parte quell’allegro soggiorno»). volmente questi due amanti infelici e fedeli, e nel quale si celebravano gli antichi misteri di Adone. Si è perciò creduto
20 … generale: segue, a p. 71: «Ballo secondo. I viaggiatori Areostatici». opportuno il richiamare le amorose avventure di costui nel primo ballo, affidato al noto ingegno del Sig. Le-Fevre».

234 235
della brevità negli Spettacoli, un Ballo allusivo al Dramma,2 ed avendo dovuto SCENA I.
trattare il presente soggetto, fornitomi dal celebre Autore dello stesso, non ho
fatt’altro che adattare alla Pantomima le sue idee, se non in tutto, nella maggior Peristilio3 del Tempio di Venere.
parte almeno; lasciando però al medesimo tutto il merito dell’invenzione della Le Ninfe seguaci di Diana più inclinate al culto4 della Dea del piacere, che a
Favola, non mi estenderò in inutili dettagli sopra di un argomento così noto, e quello della Dea Cacciatrice, raccomandano Adone alla protezione di Venere.
mi contenterò d’implorare alle mie fatiche la solita indulgenza, che n’è il più bel
premio.
SCENA II.

PERSONAGGI. I voti delle Ninfe sono esauditi; Venere accoglie Adone con distinzione,5 Diana,
che sopraggiunge, e se ne avvede, si turba, ma cerca di simulare la sua agitazione.
VENERE Le due Dee si abbracciano. Diana ordina segretamente al suo amante di seguitarla;
La Sig. Eleonora Duprè. Venere se ne ac[c]orge con dispiacere, e ne rimprovera Adone, il quale le dichiara in-
genuamente di non essere soggetto ad altri, che a Diana.6 Questa Dea nega tal cosa, e
ADONE per coprire i suoi intrighi amorosi, lo lascia padrone di rimanere. Vi acconsente egli,
Il Sig. Gaetano Gioja. purché resti anch’essa; una tal condizione è accettata con piacere da Diana. Comin-
ciano allora danze espressive,7 durante le quali si vede sempre più crescere l’amore
DIANA di Venere per Adone, ed il timore che ha Diana di perderlo. Cupido il quale se ne
La Sig. Carolina Pitrot. avvede, profitta di tutti i momenti opportuni per favorire la Madre, ed allontanare
Diana dal suo Amante.
MARTE
Sig. Domenico Le-Fevre.
SCENA III.
AMORE.
Le astuzie d’Amore sono interrotte da Marte, il quale sopraggiunge, e dopo
LE TRE GRAZIE. avere ricevute le più tenere carezze ed essere stato disarmato da Venere,8 ed Amo-
re, cerca di dimostrare a Diana la stima, che ha per essa, ed avvedendosi di Adone
Guerrieri seguaci di Marte. rimane sorpreso d’ivi trovarlo. Diana, e le sue Ninfe annunziano al Dio della
Ninfe seguaci di Diana. Guerra d’avere esse stesse condotte tal Giovine in quel luogo per raccomandarlo
Ninfe seguaci di Venere. a Venere. Una tal dichiarazione, e le affettuose premure di questa Dea per Marte,
producono un doppio effetto, poiché persuadono quel Nume della fedeltà di Vene-

3 Peristilio: cortile interno cinto da portici colonnati.


4 culto: la stampa: «culta».
5 distinzione: ‘cura, attenzione’.
6 … Diana: come per G. F. Fattiboni (Adone in Cipro. Tragedia per musica II, 1) e il ballo di Traffieri, entrambi
antologizzati, secondo l’antica variante introdotta da Euripide, Ippolito 1420-2, in questo ballo più diffusamente
sviluppata.
2 un … Dramma: è formulazione soprattutto di marca francese che riguarda il problema della collocazione dei 7 danze espressive: nel senso di ‘imitative, illustrative’, per creare in azione situazioni narrative non meramente
balli all’interno dell’opera musicale nonché il vagheggiamento di una vera e propria unità estetica, come precisato visive, ma capaci di sollecitare nel pubblico un’attenzione emozionalmente più partecipata, per cui vd. Noverre,
nell’esaustivo Andrea Chegai, L’esilio di Metastasio. Forme e riforme dello spettacolo d’opera fra Sette e Ottocento, Lettres sur la danse XIV (ed. it. pp. 112-3).
Firenze, Le Lettere, 1998 (cap. IV.2 I balli analoghi all’opera: un Gesamtkunstwerk settecentesco?, pp. 165-83). 8 Venere: la stampa: «Tenere».

236 237
re, e Diana di quella di Adone. Ciò dà luogo ad un divertimento generale, durante dànno a precipitosa fuga. Ne rimane egli stupìto, ma la sua sorpresa diviene ben
il quale Venere non perde di vista l’oggetto della sua nascente inclinazione. Adone presto maggiore nel sapere da Diana il nuovo tradimento di Venere; perciò la Dea
però non mostra, che il più profondo rispetto per essa, e la più viva passione per Cacciatrice, ed il Nume Guerriero penetràti dal medesimo sentimento si affrettano
Diana. L’occhio vigilante di Venere scopre i segni della corrispondenza di Adone e ad inseguire le traccie di Venere, ed Adone, e partono seguìti dalle Ninfe, e dai
Diana, e conoscendo di avere in questa una favorita rivale può contenere appena i Guerrieri accesi dal desiderio di farne la più terribile vendetta.
suoi gelosi trasporti. Questa Festa è interrotta da un suono d’Istromenti Guerrieri,
che invita Marte a partire coi suoi seguaci dopo d’essersi congedati da Venere, e
Diana. SCENA VII.
Grotta deliziosa.11

SCENA IV. Venere che arriva con Adone mette in opera quanto vi ha di più seducente per
indurlo a corrispondere al suo affetto. Adone all’opposto non cerca che Diana. Ve-
Diana, Adone, e le Ninfe credendo sincero il dolore, che ha dimostrato Venere nere disperata finalmente pare sul punto di soccombere al suo dolore. Adone vola
nell’allontanarsi di Marte, cercano a gara di consolarla, e per meglio riuscirvi Dia- a soccorrerla; all’accostarsi dell’adorato oggetto Venere incapace di resistere alla
na l’invita a prendere parte ad allegre danze, le quali non servono ad altro, che a violenza della sua passione, gli dichiara di nuovamente ardere per lui del più vivo
vieppiù accendere d’amore Venere per Adone. La passione di questa Dea è già così amore; Adone sorpreso, e confuso di non poter secondare la di lei tenerezza, e paven-
viva, che non può più tenerla segreta, e confidandosi a Cupido, lo mette a parte de’ tandone nell’istesso tempo lo sdegno, non sa che risolvere; si allontana, si arresta, e
suoi proggetti. Il piccol Dio sempre desioso di farne delle sue, approva con maligno sta finalmente per partire.
sorriso9 i disegni della Madre, e promette di secondarla. Infatti tanto fa, che gli riesce
di allontanare Diana da Adone, e di farlo trovare vicino a Venere, la quale profitta
di quell’istante per seco lui fuggire, e nascondersi in una nuvola, che gli trasporta SCENA VIII.
per aria.
Ma Amore sopraggiunto nel punto, in cui la Madre sua geme di non essere
corrisposta da Adone, fa un cenno alle Grazie, ed il Giovine Cacciatore è nello
SCENA V. stesso punto trattenuto, incatenato con ghirlande, e ferito da un acutissimo stra-
le, che gli lancia Amore. Venere è al colmo della sorpresa, e della Gioia; Adone
La sorpresa, e lo sdegno di Diana già irritata da tal tradimento si accrescono nel sebbene libero tenta invano di allontanarsi; Amore l’invita maliziosamente12 a
vedere Amore, che la deride; risoluta di vendicarsene impugna un dardo, e sta per partire, ma il nascente fuoco, che l’arde, arresta i suoi passi, guarda teneramente
lanciarlo contro quel malizioso Nume; ma le Grazie lo difendono, e le Ninfe implo- Venere, sospira, e se le accosta con timidezza; Venere gli stende impaziente le
rano grazia per lui. Ciò accresce vieppiù il furore della Dea. braccia, ed Amore lo guida egli stesso ai piedi della bella Dea. Soddisfatti allora
i due amanti rendono a Cupido le dovute grazie pella13 felicità, che ha loro pro-
curata, ed esprimono quanto ha di più delizioso14 una tenera scambievolmente
SCENA VI. corrisposta passione.

L’improvviso ritorno di Marte atterrisce10 Amore, e le Grazie a segno, che si


11 deliziosa: term. teatrale, per cui vd. Battaglia: «Tipo di scenario teatrale (in uso dalla fine del Seicento a tutto
il Settecento) in cui vari elementi decorativi, spesso arborei, arricchivano l’aspetto prospettico e spaziale del fondo
9 maligno sorriso: è attributo topico di Amore che risale alla descrizione che ne fa Venere nell’idillio di Mosco, della scena».
per cui si vd. l’illustre parafrasi di Tasso, Amor fuggitivo 109-12 («Ha sempre in bocca il ghigno, | e gl’inganni e
la frode sotto quel ghigno asconde, | come tra fronde e fior angue maligno»). Per il rilievo drammaturgico, una 12 maliziosamente: l’avverbio traduce una disposizione originaria di Amore, per cui vd. Marino, L’Adone VI, 175,
segnalabile occorrenza si legge in Metastasio, Il re pastore III, 4, 664-6 («Ma chi sarà costui | che ha dell’affanno 7-8 («e se ben l’ali ancor non gli eran nate, | con la malizia avantaggiò l’etate»).
altrui | sì maligno piacer?»). 13 pella: ‘per la’.
10 atterrisce: ‘spaventa’. 14 delizioso: ‘bello, piacevole’.

238 239
SCENA IX.

Diana, e Marte arrivano in tempo per osservare frementi di gelosia le prove di te-
nerezza, che si dànno reciprocamente Adone, e Venere. Irritati perciò si lanciano,15 e
li sorprendono; il furor di Marte è eccessivo, vuole colla sua spada passare il cuore di Louis-Antoine Duport
Adone; Diana armata di lancia invita Marte; Amore, Venere, le Grazie con pianti, e GLI AMORI DI ADONE E VENERE. BALLO
preghiere evitano destramente per poco, e sospendono il colpo fatale. La forza però, (Firenze, 1817)
e l’odio del Dio della Guerra sormontano ogni ostacolo, ed Adone non può schivare
il ferro fatale, che gli toglie la vita.

PERSONAGGI.
SCENA X., ed Ultima.
ADONE Giovine Cacciatore
Invano Venere, Amore, e le Grazie volano al di lui soccorso, e piangono la di lui Sig. Luigi Duport.
barbara sorte; Marte, e Diana insultano16 senza pietà il loro dolore, e gioiscono della
VENERE
compìta vendetta. Intanto Venere porge a Giove le più fervide preci pel suo Amante;
Sig. Teresa Duport.
sono queste benignamente accolte dal maggiore de’ Numi, e fanno trionfare la tenera
Dea dei suoi nemici. Un colpo di Tuono annunzia, che i di lei voti sono esauditi, si AMORE
scopre l’Olimpo, ed Adone ritornato in vita vola in Cielo assistito da Venere, e da Sig. Ferdinando Gioja.
Amore, i quali trionfano così de’ furori di Marte, e Diana, che restano pieni di dispe-
razione, e stupore.17 Le tre Grazie, e le Ninfe che vegliano all’educazione di Adone
Sig. Amalia Muzzarelli.
Sig. Maria Klainfurt Modena.
Sig. Giuditta Ramaccini.

ZEFFIRO
Sig. Pietro Campilli.

GIOVE
Sig. Gaetano Campilli.

MORFEO
Sig.1
Guerrieri seguaci di Marte; Amori; Ninfe; Piaceri; Sogni ameni.

Gli amori di Adone e Venere. Ballo in 5 atti composto e diretto dal Sig. Luigi Duport, in La Cecchina suonatrice.
Opera buffa, Firenze, nella stamperia Gran-Ducale, 1817, pp. 25-32. Il francese Louis-Antoine Duport (1783-1853)
è stato considerato come ballerino rivale di Auguste Vestris e come coreografo rivale di Pierre Gardel. Lavora al
Marinskij dal 1806 al 1816. Del suo successo in Russia resta qualche eco in Guerra e pace di Tolstoj. Fu attivo come
15 lanciano: ‘precipitano’. direttore al Teatro San Carlo di Napoli fra il 1817 (in occasione della riapertura, con La virtù premiata) e il 1823.
16 insultano: ‘scherniscono’, come in Metastasio, Demetrio I, x, 506-509 («Più cimentar non voglio | la sofferenza Poi a Vienna, come direttore del Karntnertor Theater. Come creatore è stato vicino alla sensibilità di Jean Dauberval,
mia. Tu scherzi meco, | m’insulti, mi deridi | e del rispetto mio troppo ti fidi»). anche se i puristi gli hanno rimproverato di aver coltivato una virtuosità italiana lontana dal gusto francese.
17 … stupore: segue, senza il testo, l’indicazione: «Secondo Ballo. Accampamento militare. L’istesso secondo Ballo
adorno di nuove operazioni». 1 Sig.: nella copia consultata presso la Fondazione Cini di Venezia non è riportato questo nominativo.

240 241
ARGOMENTO. A tal vista Adone crede appena a se stesso, e sembragli di sognar tuttavia; ma le
carezze di Venere lo rassicurano, e la sua passione trova infine un conforto nell’unirsi
Venere c[i]ecamente invaghita del Pastorello Adone abbandona i suoi regni per a quella della Dea.
seguirlo fra le selve. Senza esternare ad alcuno la sua viva passione, dessi in preda In un sùbito uno strepito guerriero annunzia l’arrivo di Marte. Venere impaurita
alle più affannose riflessioni.2 Amore tenta ma invano di consolarla, e di conoscere la dassi tutta la cura di far nascondere Adone, e nell’atto che le Ninfe eseguiscono i suoi
causa di tanta malinconia. Venere insensibile alle sollecitazioni del figlio non osa far ordini, alquanto ricompostasi dai suoi timori, va incontro a Marte, che la riceve fra
parola. Frattanto un improvviso segno di Caccia annunzia il ritorno del Giovinetto le sue braccia. Vien egli quindi spogliato dell’armatura dalle Grazie, e nell’atto, che
Adone. La viva commozione, che prova la Dea in tale istante, palesa al figlio il senti- ei si trattiene con Venere, Cupido con gli amori scherzano con l’armi deposte.
mento, che l’agita in favore di Adone. Amore dopo di aver soavemente rimproverata Per vie più insinuarsi nel cuore di Venere ordina Marte ai suoi compagni di ese-
la sua dissimulazione le promette di condurre Adone ai suoi piedi. guire dei giuochi guerrieri a dilei onore. Ma la Dea spaventata dallo strepito dell’armi,
Venere inebriata3 dalle non fallibili promesse di Amore entra con esso nel suo comanda alle sue Ninfe di arrestare6 i combattenti, e di avvincerli con trecce di fiori.
tempio. Le Ninfe obbediscono, e allontanano i seguaci di Marte dal luogo ove è Adone
Giunge Adone attorniato dalle Ninfe, che hanno l’incarico della di lui educa- nascosto.
zione. Dopo di avere ricevuto da esse diverse piacevoli lezioni, lo invitano a entrare Venere e le Grazie incatenano anch’esse Marte con trecce parimente di fiori, e
nelle loro grotte. Improvvisamente giunge Morfeo,4 che per ordine di Amore asperge seco lo portano, dando così tempo ad Amore di ritrovare Adone. Impaziente egli
il giovinetto con la soporifera verga. aspetta il ritorno della Dea, e sdegnasi per la dilei soverchia assenza. Amore procura
Adone cede al potere del Nume, e cade in un profondissimo sonno. di calmarlo, e va in cerca della Madre, che frettolosa giunge finalmente.
Amore chiama tosto la Madre, che in mezzo alle Grazie, e tra i più vivi splendori Adone a torto la colma dei più acerbi rimproveri; Venere per questo sdegnata,
della sua beltà presentasi in sogno all’accesa immaginazione di lui, che adora. vuole allontanarsi; Amore si oppone ai loro reciproci sdegni, e gli rappacifica.
Adone non potendo resistere alla magica forza di tante amabili impressioni che Marte inquieto anch’esso per la prolungata assenza di Venere, ne corre in traccia,
prova, precipitosamente risvégliasi. Ma Venere, le Grazie, gli Amori, sono scomparsi, e la sorprende con Adone. Furioso vuole ucciderlo, ma Venere, frapponendo il dilei
ed egli solo trovasi in mezzo alla Reggia della Dea, che egli percorre con una specie seno, ripara il colpo fatale, e calma la collera del Nume, che ne profitta per dar luogo
di stupore, e si dispera per non vedervi l’oggetto che forma lo scopo principale della alle Ninfe di salvar l’Amante. Marte però se n’accorge, e pieno di gelosa rabbia parte
sua vivissima fiamma. giurando lo sterminio dell’abborrito rivale.
Amore per vie più irritare la sua passione, gradatamente gli presenta ora le Gra- In questo frattempo Adone staccasi dalle braccia delle Ninfe, e pieno di coraggio
zie, ed ora le Ninfe, che lo colmano di carezze, e lo attorniano con piacevoli carole. presentasi per affrontare l’ira di Marte.
Inseguíto con passo breve e leggero si avanza la Dea adorna di tutti i suoi vezzi.5 Nel momento gli abitanti di Amatunta7 impauriti, annunziano la comparsa di
un furioso Cinghiale, [Per servire al raffinato costume della Scena, abbiamo sosti-
tuito al Cinghiale un furioso Leone.]8 e chiedono il soccorso di Adone per ucciderlo.
2 affannose riflessioni: ricorda Saffo, nella traduzione del cav. Caselli (1827), Ode 1, 3-4 («[Venere] Deh! non
gravar lo spirto a chi t’adora | Di cure e affanni»); anche se pertiene al programma di apertura nell’invocazione
Venere che temeva gli effetti della vendetta di Marte, tenta ma invano di trattenerlo
a Venere di Marino, L’Adone I, 4. 1-6 («Ma mentr’io tento pur, Diva cortese, | d’ordir testura ingiurïosa agli dall’impresa, poiché non curando egli le insinuazioni dell’amorosa Dea, vola alla
anni, | prendendo a dir del foco che t’accese | i pria sì grati, e poi sì gravi affanni»), questa postura, sùbito dopo caccia del Mostro. Venere lo segue piena di timore.
detta propriamente malinconica, già in Pierre Gardel, Vénus et Adonis. Ballet en un acte (1808) scène VII, p. 10
(«Vénus triste, inquiète, descend lentement la montagne du sommet de laquelle elle a suivi des yeux son amant»). Marte comparisce di nuovo; sente con sodisfazione i gemiti di Venere e degli
L’espressione ricorda, inoltre, Parini, Il giorno. Il mattino v. 436 («onde agitata in ansïoso affanno»). amori per l’eccidio fatto di Adone, e parte ebro di una gioia crudele.
3 inebriata: il verbo, felicissimo, indica il sopravanzare di un tipo di ‘felicità incosciente’, di una ‘rapita eccita-
zione’ ed è termine dantesco (Par. XXVII, 3) di derivazione scritturale (Ps. 35, 9: «inebriabuntur de pinguidine
domus tuae»); non incidentale l’uso del termine, in una scena carica del linguaggio dei gesti, in Manzoni, Pr.
sp. XXIII, 66 («L’animo, ancor tutto inebriato dalle soavi parole di Federigo, e come rifatto e ringiovanito nella 6 arrestare: ‘fermare, far cessare’.
nuova vita, s’elevava a quell’idee di misericordia, di perdono e d’amore; poi ricadeva sotto il peso del terribile 7 Amatunta: città sulla costa meridionale di Cipro, sede di un grande tempio di Venere.
passato»).
8 [Per … Leone.]: per comodità si riporta a testo questa didascalia nell’originale a piè di pagina. Qui servire sta
4 Morfeo: dio greco dei sogni, figlio di Ipno, appariva nei sogni sotto forma umana (vd. Ovidio, Met. 11, 635 sgg.); per ‘realizzare, garantire’: questa sostituzione di carattere contingente, però, non è neutrale sull’immaginario cul-
presente anche in Marino, L’Adone III, 92 sgg. turale, perché rimuove nel meraviglioso spettacolare di un «raffinato costume» probabilmente già disponibile (e
5 vezzi: ‘monili, collane’, come in Marino, L’Adone V, 13, 1. dunque già visto), il perturbante oscuro (ossia non illustre, senza fama) e selvaggio (perverso?) della Bestia.

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Adone nell’atto di morire è portato dalle Ninfe su di un letto di frondi.9 Venere è
al suo fianco, e riceve fra le sue braccia l’ultimo respiro dell’amato oggetto. In questo
momento la sua disperazione giunge al maggior eccesso, e dimenticando la sua im-
mortalità, afferra un dardo dall’abbandonato Turcasso10 di Adone, e vuole uccidersi;
ma nell’atto di vibrare il colpo il dardo si spezza nelle sue mani. Amore nulla lascia
intentato per consolarla; ella però lo respinge, e si getta sul freddo cadavere, giuran-
do di non volerlo giammai abbandonare.
Amore infine, non potendo far altro, implora il soccorso di Giove, che impietosito
restituisce Adone sano e salvo ai voti di Venere, che ambedue trasporta nell’Olimpo.

Quadro Generale. «SICUT NEBULA DISSOLVETUR»

9 frondi: ‘foglie delle felci’.


10 Turcasso: è la faretra, che custodisce le frecce.

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Antoine Bonaventure Pitrot
ADONE, E VENERE.
BALLO EROICO PANTOMIMO
(Milano, 1792)

AL RISPETTABILE PUBBLICO

IL COMPOSITORE.

Alla favola, ed ai suoi Dei, che a preferenza delle Storie, e dei loro gravi, e grandi
Personaggi devesi sempre considerare soggetto più proprio e confacente all’inven-
zione ed all’esecuzione d’un Ballo, mi sono appoggiato nella presente occasione, in
cui ho l’onore di servire a cotesto rispettabile Pubblico. La circostanza di dovere
sciegliere un argomento, né tragico, né troppo grandioso, genere riservato piuttosto
al Carnevale, ma che fosse però nobile, grazioso, e che richiedesse una sufficiente
decorazione, m’ha determinato a produrre questa mia fatica, colla quale mi lusingo
di non demeritarmi quel compatimento, di cui mi favorì altre volte il giudicio, e la
benignità di cotesti umanissimi Spettatori.

Adone, e Venere. Ballo eroico pantomimo d’invenzione, e direzione del sig. Antonio Pitrot, all’attuale servizio
della R. D. Corte di Parma, da rappresentarsi per primo ballo nel Teatro Grande alla Scala, l’autunno 1792,
contenuto in Il fanatico in berlina. Dramma giocoso in musica, da rappresentarsi nel Teatro alla Scala, l’Autun-
no dell’anno 1792, Milano, Gio. Battista Bianchi, 1792; a p. V: «Inventore, e compositore de’ balli, Sig. Antonio
Pitrot all’attuale servizio della R. D. Corte di Parma; Ballerini: Primi Ballerini Serj, Sig. Carlo Villeneuve,
Signora Eugenia Sperati; Altro Primo Ballerino, Sig. Giuseppe Paracca; Primi Grotteschi a vicenda, Sig. Nicola
Angiolini, Sig. Guglielmo Banti, Sig. Raffaele Ferlotti, Signora Brigida Cappelletti, Signora Teresa Pozzi; Bal-
lerino per far Parti, Sig. Lorenzo Coleoni; (…)»; inoltre, a p. VI: «Inventore, e Pittore delle Scene, Sig. Paolo
Landriani Milanese. Primo Ballo Eroico Pantomimo, Venere, ed Adone. Secondo Ballo Comico, La Guinguette,
ossia Baccanale popolare. Il programma del Primo Ballo si vede alla fine del presente Libro». Antoine Bonaven-
ture Pitrot, ballerino e coreografo francese nato a Marsiglia verso il 1720 e morto dopo il 1797, fu un interprete
dotato di eccellente tecnica non confortata, sembrerebbe, da grazia e leggerezza; il 30 maggio 1753 interpretò a
Napoli i balli di Grossatesta; nel 1759 fu primo ballerino della Comédie-Italienne a Parigi dove coreografò tra
numerosi altri, i due balletti pantomimi Télémaque dans l’île de Calipso (1759) e Ulysse dans l’île de Circée
(1764) nonché la sua prima edizione del ballo Vénus et Adonis (29 ottobre 1759); ebbe una brillante carriera
per tutta Europa, Russia compresa; fu presente a Firenze fino al 1797; è considerato un precursore del ballet
d’action a Parigi.

247
PERSONAGGI DANZANTI. SCENA II.

Venere Signora Eugenia Sperati Le tre Grazie conducono finalmente l’amante a Venere, la quale dopo i dolci rim-
proveri2 per lo suo essersi fatto aspettare, s’abbandona seco lui alla gioia; frattanto
Adone Sig. Carlo Villeneuve che Cupido trionfante d’aver soggetta3 alle sue leggi la Madre, sempreppiù infiamma
que’ due Amanti del suo ardore. Tutto il séguito forma delle danze, che caratte-
Marte Sig. Giuseppe Paracca rizzano l’universale piacere, nelle quali intrecciano le loro anche Venere, Adone, e
Cupido; poi tutti unitamente partono.
Amore Signora Luigia Acerbi

Signora Antonia Trabattoni SCENA III.


Le 3 Grazie Signora Brigida Cappelletti
Il Teatro rappresenta un gran Bosco.
Signora Teresa Pozzi
Una truppa di Guerrieri armati di grandi picche annuncia l’arrivo di Marte, che
Sig. Francesco Damato
si vede comparire portato in trionfo, ed alla di lui vista si fanno diverse evoluzioni
Condottieri dei Guer- Sig. Nicola Angiolini militari. Quando tutt’ad un tratto ad un segnale, che dà quel Dio, vengono piantate
rieri di Marte Sig. Guglielmo Banti le tende, formato un accampamento, onde soddisfatto de’ suoi Soldati, permette
Sig. Raffaele Ferlotti loro che si divertano colla danza, in cui egli pure si mischia. Tale divertimento viene
interrotto da un rumore di caccia, e Marte ansioso di sapere senza scoprirsi chi siano
Ninfe del séguito di Venere. i Cacciatori, che vengono a questa volta, fa levare il Campo ai suoi Soldati, e loro
ordina, che seco lui si appiattino4 nell’interiore più folto del Bosco.
Guerrieri al séguito di Marte.

Genii da Amori, Piaceri, etc. SCENA IV.

La Scena è in Cipro. Venere, Adone, e Cupido con tutto il séguito della Dea armati di dardi s’avan-
zano per la caccia, nella quale Venere è costretta di lasciare Adone, mentr’essa deve
salire all’Olimpo; lo raccomanda pertanto alle Grazie, ed alle Ninfe, e col più tenero
SCENA I. addio monta sul suo carro insieme col Figlio, ed ascende al cielo accompagnata dagli
sguardi, e dal rincrescimento di Adone, e di tutti li Circostanti.
Il Teatro rappresenta il Gabinetto di Venere,
con elegante Trono, ed ornamenti
confacenti a quella Dea. SCENA V.

Venere sta assisa sul suo Trono in mezzo alla sua Corte. Cupido al fianco. Gli Partita la Dea, si rinova l’ardor della caccia, e tutti vanno per essa ad internarsi
Amori ai piedi, e le Ninfe d’intorno, tutti concorrono ad apprestarle la Toeletta colla nel Bosco.
quale s’apparecchia a ricevere l’amato Adone, per la cui tardanza mostra in fine
impazienza, ed inquietudine, che interessa1 tutta la detta Corte. 2 dolci rimproveri: ricorda Metastasio, Demofoonte I, 5, 248-50 («e, se a parlar t’astringo | con rimproveri amici,
| molto a dir ti prepari e nulla dici»).
3 soggetta: ‘sottomessa’.
1 interessa: ‘riguarda, coinvolge’. 4 appiattino: ‘nascondano’.

248 249
SCENA VI. SCENA X.

Marte sorte5 dal suo agguato6 pieno di ira, e di disperazione per aver veduti gli La nube, che aveva sottratto dalla vista Adone, si va dissipando, e questi, a cui
amori dell’amata sua Venere con Adone, e giurando d’immolar questo rivale, deter- Venere ha resa la vita, compare con Cupido, e con la Dea, e a lei concorre tutto il suo
mina di farlo morire, per mezzo d’un furioso Cignale, e per saziare la sua vista del séguito a farle corteggio. Frattanto Marte, che credeva morto il Rivale, vedendolo nelle
piacere di tal vendetta si pone in disparte.7 braccia di Venere da lui amata, gli corre sopra per immolarlo al suo furore, cosa, che gli
viene impedita da Cupido, da Venere, da Adone, e dalle Ninfe, che si trovano armate dei
dardi, perlocché Marte inutilmente si dispera, e somministra10 motivo di riso alla Dea.
SCENA VII.

Ritornano le Grazie, e le Ninfe con Adone lasciato alla loro custodia, quand’ecco SCENA XI.
che appare un mostruoso Cignale, che mette timore ad ognuno, ed allorché Adone va
coraggiosamente incontro a questa feroce bestia, la quale furibonda a lui s’avventa, Al segnale di Marte comparisce la Truppa armata de’ suoi Guerrieri, ai quali
una nube copre alla vista d’ognuno il Giovane, e la Fiera. comanda di afferrare Adone, mentre Venere comanda alle Ninfe di difenderlo. Ma il
contrasto cessa, perché i Guerrieri abbassano le armi vinte dagli sguardi di Venere, e
del di lei séguito, a cui rendono omaggio, e ne trionfa Cupido. Marte dopo un breve
SCENA VIII. stupore viene agitato da rabbia, e furore; ma Venere, a cui tutto è facile, intraprende
a calmarlo, e vi riesce, e lo riconduce a sé in modo, che d’allora in poi non riguarderà
Le Grazie, e le Ninfe son fuori di sé per l’accidente sopravvenuto all’oggetto8 Adone, che come un rivale poco pericoloso.11 Cupido, che in questo caso riconosce
raccomandato a loro da Venere, e cercando inutilmente di penetrare fra quella nube, la sua forza, a cui nulla può resistere, e vede il suo perfetto trionfo, fa con un cenno
piangono, e si disperano, temendo il risentimento della loro Dea. cambiare la foresta nella sua Reggia.

SCENA IX. SCENA XII, ED ULTIMA.

Compare Marte in un’aria di soddisfazione, da cui le Ninfe implorano soccorso Magnifica Reggia d’Amore.
per Adone. Quel Dio fa loro capire, ch’ei fu quegli che fe’ perire Adone per vendicarsi
della infedeltà della loro Dea. Commosse le Ninfe vorrebbero prendersela contro di Quivi s’intrecciano liete Danze secondo il carattere d’ognuno, e con un ballo
lui coi dardi, che hanno in mano; ma un solo sguardo di Marte le arresta.9 generale si finisce in un gruppo, che dimostra, che tutti riconoscono superiormente
l’Impero d’Amore.

5 sorte: ‘sortisce’ ossia ‘esce’. FINE.


6 agguato: ‘nascondiglio’, da dove si è appostato per osservare il progredire dell’azione, come in un identico
contesto, già in Marino, L’Adone XVIII, 42, 5-6 («seco insieme [Marte e Cinzia scil.] in aguato ivi attendendo | fin
che venisse il bel Garzon, s’ascose»). designazione identitaria che duplica sulla scena gli sguardi consumati del pubblico (di fatti, l’unico escluso è il
7 disparte: di nuovo, e con valore compulsivo, questo invito di Marte a uno sguardo indiscreto (probabilmente, protagonista, che non guarda e, certo non a caso, è anche sottratto alla vista dalle nubi, che sono sì un espediente
qui, a lato della scena, o addirittura a proscenio, spalle al pubblico; prima invece, nella parte più lontana ma fron- scenotecnico per risolvere problemi di allestimento, ma anche una strategia politica per far meglio consumare la
tale del palcoscenico) da una parte introduce una vera e propria spazializzazione del desiderio, mentre dall’altra merce di questa esperienza estetica).
«disciplina il pubblico, guidando e concentrando la sua attenzione sulle azioni dei ballerini spiati», dando così 10 somministra: nel senso di ‘fornisce’.
«spessore alla trama» (sul ballerino indiscreto si vd. l’ammirevole ricerca di Susan Leigh Foster, Coreografia e
narrazione. Corpo, danza e società dalla pantomima a Giselle [1996], Roma, Audino, 2003, pp. 108-9) 11 rivale poco pericoloso: probabilmente come un giovane per l’età ancóra inadatto all’attività sessuale. È l’ultima
bocciatura di un personaggio che non è veramente mai stato in scena, se non come mero oggetto del desiderio, e per poi
8 oggetto: la designazione allude ad Adone soltanto in quanto mèta del desiderio di Venere, soggetto che lo sovra- disperdersi come nebbia di una nuvola. L’espressione, in altro contesto, sembra consuonare con Metastasio, Semirami-
sta, e anticipa la più piena svalutazione pulsionale in cui precipita nel finale il ballo. de I, 10, 342-4 («E, s’ei non m’ama, | perché si fa rivale | d’Ircano e di Mirteo? Chiedasi …»). Questa originaria (e fun-
9 … le arresta: è solo l’inizio di una serie di giochi di sguardi (fra poco quelli di Venere e delle Ninfe, irresistibili, zionale) impotenza del mito tornerà come indole morale del libertino adonico Tom nelle parole della sua Venere/Anne,
e quelli metaforici di Marte per deridere Adone) ben recintati, però, nella loro designazione eterosessista, una in Auden-Kallman, The Rake’s Progress I, 3 («while Tom is weak, and needs the comfort | of a helping hand»).

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Carlo Blasis
GLI AMORI DI VENERE E ADONE
BALLO MITOLOGICO
(versione in cinque atti, Milano, 1835)

PERSONAGGI

VENERE = sig. Annunciata Ramaccini Blasis.


ADONE = sig. Massimo Guillet.
VULCANO = (*) sig. Carlo Nichli.
APOLLO = sig. Francesco Ramaccini.
AMORE = sig. Teresina Bellini.
FLORA = sig. Giuditta Tanzi.
ZEFFIRO = sig. Antonio Pallerini.

Le Grazie — Ninfe — Cacciatori — Ciclopi


Amorini — Genio del suono — Statisti
Statiste — Comparse Militari ec. ec.

(*) Essendo lo scopo delle Belle Arti l’immitazione della bella natura, il Composito-
re ha creduto bene di non rappresentare sulla Scena la deformità del Dio di Lenno.1

Gli amori di Venere e Adone. Ballo mitologico in cinque atti, senza altra indicazione, copia consultata presso la
biblioteca Braidense di Milano. Probabilmente si tratta di quella citata in Delle composizioni coreografiche e delle
opere letterarie di Carlo Blasis, Milano, Centenari e comp., 1854, ove si legge a p. 7: «Il Blasis compose in Milano:
Elina ballo sentimentale, in 5 atti; Gli Amori di Adone e Venere, ballo mitologico in 5 atti». Esiste, tuttavia, un’al-
tra versione in quattro atti, di cui si darà conto nelle note di commento, contenuta in Giuseppe Sapio, Ildegonda
e Rizzardo. Tragedia Lirica, Milano, Pier Luigi di Giacomo Pirola, 1835 [copia consultata presso la biblioteca
dell’Istituto di Lettere della Fondazione Cini di Venezia]. Carlo Pasquale Francesco Raffaele Baldassarre De Blasis
(Napoli, 4 novembre 1795 - Cernobbio, Como, 15 gennaio 1878), ballerino, coreografo, pedagogo e teorico ita-
liano; ricevette la sua prima educazione artistica a Marsiglia dove la famiglia (di origine nobile) si era trasferita;
poi a Bordeaux, dove raccolse i suoi primi successi come interprete; grazie all’appoggio di Pierre Gardel, debuttò
all’Opéra di Parigi nel 1817; fino al 1823 è alla Scala in qualità di primo ballerino, poi al Regio di Torino fino al
1826, nonché poi nei teatri di Cremona, Venezia, Reggio Emilia e al King’s Theatre di Londra (1827-1830), anche
come autore di numerose coreografie; la sua carriera di interprete si chiude a Modena, a séguito di un incidente a
un piede, nel 1834 con la sua coreografia Leocadia. Dal 1837 al 1850 dirige, con la moglie Annunziata Ramaccini,
la scuola di balletto della Scala. È autore di numerose pubblicazioni a carattere teorico e filosofico con le quali ha
fissato per primo i princìpi estetici e didattici della danza accademica.

1 … Lenno: questa censura del deforme (e, in danza, del genere grottesco di scuola italiana) dipende essen-

253
ATTO PRIMO traggono seco Adone con dispiacere di Venere; un mesto presentimento invade l’ani-
Grotta alla Spiaggia del mare, Simulacri di Cupido e di Venere. ma di questa Dea,8 le sue Ninfe se ne avveggono e cercano di distrarnela; ma restano
colpite da timore all’arrivo di Apollo. Venere risponde con freddezza alle amorose
La Corte di Venere sta in attenzione2 della Dea, che giunge in una splendida espressioni di Apollo: questi le rimprovera il cangiamento degli affetti, e le dice di
Conca al fianco dell’amato suo Adone, coronati entrambi da Cupido. Tutti festeggia- avere scoperto l’oggetto del nuovo amor suo. Venere offesa minaccia l’ardito Nume,
no la fortunata coppia; una leggiera mestizia3 appare sul volto di Venere, che teme di e gl’impone di escire. Apollo, col cuore pieno di ira e gelosia, si allontana giurando
una sorpresa del geloso suo marito. Ma Cupido con le lusinghe fa svanire il sospetto vendetta.9
della madre sua. Flora, Zeffiro, Amore, le Grazie e le Ninfe festeggiano con danze e
suoni la vaga Dea, che prende parte con Adone alla gioia universale. Appare dall’alto
il Carro del Sole, ed Apollo è testimone dei nuovi Amori dell’infida sua Amante; ne ATTO TERZO
esprime la sua gelosia, e giura di vendicarsi. Terminate le Danze Venere parte col Fucina di Vulcano.
suo Corteggio.
I Ciclòpi precedono il loro Sovrano, che ordina varii lavori, ai quali tosto si
ATTO SECONDO accingono con calore: soffiano i mantici, le fiamme s’innalzano in larghi vortici dai
Magnifico ed elegante Padiglione. focolari, e le incudini risuonano sotto i misurati colpi dei pesanti martelli. Varie
Armi, ed il folgore di Giove sono i lavori terminati dai possenti Fabbri. Il Dio di
Tutto si dispone per l’imminente Caccia. Zeffiro si allontana innosservato da Lenno ne sembra soddisfatto, ed ordina che vengano portati a chi li commise.
Flora, che accortasi della fuga del suo Amante va per seguirlo, ma viene trattenuta Eseguiscono i Ciclopi, ma pria d’escire dalla Caverna una forza irresistibile li trat-
da Adone che protesta d’essere di lei invaghito.4 Flora se ne offende, e lo minaccia tiene. Il Genio del sonno, che appare dalla volta di quella Fucina sparge sovr’essi i
della collera di Venere; Adone la supplica non respingere il suo omaggio;5 ma la suoi papaveri. Tentano indarno di resistere al sonno, e lo stesso Vulcano ne rimane
scaltra Dea perviene a sfuggirli.6 vinto. Il Genio sorride e sparisce. Agitato da’ sogni Vulcano scorge in essi l’infedel-
Adone indispettito vuol seguirla, ma Venere che ha tutto scoperto lo affrena: tà della moglie, ed il trionfo di Adone.10 Lo sdegno che prova a tale scoperta lo sve-
confusione di Adone e rimproveri di Venere. Adone disperato tenta trafiggersi con glia: sente immenso dolore, e ne giura vendetta. Giunge Apollo, e più lo irrita col
un dardo, allora l’innamorata Dea, tutto obbliando,7 lo impedisce, e Adone al colmo racconto di quant’esso vide in Cipro: al colmo dell’ira, Vulcano ordina a’ Ciclòpi
della gioia per l’ottenuto perdono, giura di esserle sempre fedele. Varii Cacciatori di andare a punire i colpevoli. Apollo contento affretta la partenza dell’infuriato
Nume, che esce accompagnato dai Ciclòpi coperti di armi, e minaccianti estreme
ruine.
zialmente dal concetto di grazia cui Blasis riconduceva tutto il sistema della arti imitatrici, su cui si vedano le
esaustive considerazioni, con gli opportuni rimandi, in Flavia Pappacena, Il Trattato di Danza di Carlo Blasis
1820-1830, Lucca, Lim, 2005, pp. 42-6.
ATTO QUARTO
2 in attenzione: ‘in vigile attesa’.
Sontuoso Gabinetto.
3 leggera mestizia: per questa topica figurazione nel sistema espressivo del volto si ricordino almeno Ariosto, O.f.
XXXVIII, 68, 5 («pur mostra affanno e gran mestizia in volto»), e Tasso, G.l. I, 49, 3-4 («cosí vien sospiroso, e cosí
porta | basse le ciglia e di mestizia piene»); per l’attenuata descrizione, cifra di un sentire in forma già romantica, si Venere, la Grazia, Adone e tutto il Corteggio della Diva sono abbandonati alla
ricordino la «dolce mestizia» dell’Ortis di Foscolo (p. 73), e la «mestizia rassegnata» in Manzoni, Pr. sp. (XXXVIII, 32).
gioia. Varie danze vengono intrecciate. Nel punto che tutto è in movimento, giunge
4 invaghito: questo Adone ‘libertino’ (ossia incostante, e infedele) è probabilmente speculare all’Adone refrattario
(ad es. in Shakespeare), portatore non da meno di una differenza nei confronti della natura e delle gerarchie sociali
attese e consolidate (dunque da riscattare, con la promessa successiva di fedeltà a Venere che lo perdona). 8 un mesto … Dea: di nuovo un atteggiamento di debolezza muliebre, per cui vd. Manzoni, Pr. sp. IV, 5 («tristo
5 omaggio: nel senso di ‘interesse, premura’ come già in Foscolo, Ricciarda II, 3, vv. 257-9 («[Guelfo.] Io sol presentimento in cuore»).
dell’oggi ho cura. Ardire a’ Guelfi, | Perché voi li temete; e omaggio a Roma, | Perché sta inerme e frena il volgo, 9 … vendetta: è variante tardiva del mito, per cui vd. Fozio, Biblioteca (ad indicem), nonché il cap. Apollon et
io presto»). Adonis in W. Atallah, Adonis dans la littérature et l’art grecs, Paris, Klincksieck, 1966, pp. 57-62.
6 perviene a sfuggirli: ‘riesce a sfuggirgli’. 10 trionfo di Adone: è termine del campo agonistico (militare e sportivo), che evoca qui la paura di Vulcano per la
7 obliando: il rancore per il tradimento, ma è l’equivalente di un’astuzia, l’amnistia come corrispettivo all’abuso messa in crisi della sua virilità, la fine della rassicurante costruzione dell’identità sessuale eteronormata nel recinto
del desiderio. abituale del dominio e del possesso.

254 255
Cupido ad annunciare che Vulcano accompagnato dai Ciclòpi si avvicina, e vuol
vendicare l’onta sofferta11 annientando il rivale. Agitazione di Venere.12 Adone pre-
ferisce la morte più terribile alla perdita dell’amante Dea.
Questa persuasa del suo potere lo rassicura e gli promette un avvenire felice.
Amore le assesta il Cinto divino che tutto incanta e tutto vince.13 Venere ordina a Bernardo Vestris
Cupido di armare le Ninfe onde combattere i nemici, e parte con Adone. VENERE E ADONE. DIVERTIMENTO ANACREONTICO
(Milano, 1844)

ATTO QUINTO
Si scorge sopra un’altura il Tempio di Venere. Luoghi ameni lo attorniano.
ARGOMENTO
Avanzano le Ninfe al suono de’ bellici Strumenti. Sotto gli occhi di Venere e
di Cupido eseguiscono evoluzioni Militari, e si dispongono a sostenere l’assalto dei Venere, accesa della più violenta passione pel tenero ed avvenente1 Adone, il
Ciclòpi. Giungono questi minacciosi. Vulcano ordina l’attacco: quei barbari in un quale schivo2 d’ogni altro piacere non abbandonàvasi con trasporto3 che al solo
punto si scagliano verso le Ninfe, ma il potere di Venere, delle Grazie e di Amore diletto della caccia, conseguì dal provvido suo figliuolo Cupido, che il giovine
li ferma. Inutile riesce ogni loro sforzo per ferire: inutili i comandi del Duce. Quei pastore rispondesse con pari effusione d’affetto all’inclinazione4 ch’essa nudriva
fieri li trovano insensibilmente vinti dai dolci modi, e dalle toccanti espressioni del- per lui.
le seguaci di Ciprigna. Vulcano stesso placato da Venere, soggiogato dalle Grazie, Marte, amante esso pure di Venere, e geloso della preferenza che questa accor-
ammaliato da Cupido, perdona,14 e si unisce all’infida Consorte. Uno sguardo di lei dava ad Adone, diè vita ad un enorme e spaventoso cinghiale che trasse a morte il
conforta Adone.15 Tutti riconciliati le Ninfe ed i Ciclòpi danzano insieme celebrando suo fortunato rivale. — Impietosito Cupido dello stato infelice a che venne condotta
il trionfo di Venere abbellito da Amorini e Zeffiri che le svolazzano intorno con ghir- la sua diletta madre, per la inattesa morte del giovane pastore, ottenne dal sommo
lande, corone, e variopinti veli. Giove la grazia che questi venisse ritornato in vita.

FINE DEL BALLO.


Venere e Adone. Divertimento anacreontico di B. Vestris, da rappresentarsi nell’I. R. Teatro alla Scala il car-
novale del 1844, Milano, per Gaspare Truffi, 1844 [copia consultata presso la Biblioteca del Conservatorio
«Santa Cecilia» di Roma, segnatura: n° 87.11, con l’inedita impaginatura della lista dei personaggi e degli
interpreti alla fine, qui conservata]. Poche sono le notizie su Bernardo Vestris, uno dei due figli illegittimi del
celebre Augusto Vestris, «dieu de la danse» (l’altro era Armand), probabilmente morto nel 1845, l’anno dopo
aver riprodotto il balletto Don Chisciotte, ossia il Cavaliere dalla triste figura (tratto dal balletto cervantino
di Louis-Jacques Milon, Les Noces de Gamache, Parigi 1801) alla Scala, dove era stato chiamato nel 1839
per rigenerare il ballo pantomimico; in questo anno ottenne un grande successo con La rivolta delle donne nel
11 sofferta: ‘subìta’, quasi avesse una ricaduta fisica perché nel dolore è sempre in gioco l’essere individuo e la sua serraglio, interpretato da Fanny Cerrito, con ben 45 repliche e poi ripreso nel 1845 con Fanny Elssler e Jules
distinzione sociale; ma cfr. la lezione in Blasis, Gli amori di Adone e Venere (ed. in quattro atti) 4 («Amore narra Perrot; insieme a Luigi Montani (per la mimica) insegnò presso il Conservatorio Nazionale di Lisbona, Porto-
come Vulcano si avanzi alla testa de’ suoi Ciclopi per fare aspra vendetta del suo nemico»). gallo (1838-1839); nel 1841 coreografa alla Fenice di Venezia i balli Il Masnadiero degli Abruzzi e Le fucine
di Vulcano o il potere dell’amore.
12 Agitazione di Venere: al contrario della lezione in Blasis, Gli amori di Adone e Venere (ed. in quattro atti) 4
(«Venere non si spaventa»).
13 Cinto … vince: vd. Marino, L’Adone XIX, 328, 5 («Questo mio cinto, ch’ogni sdegno acqueta»); azione assente 1 tenero ed avvenente: ossia ‘giovane e bello’; quale attributo maschile implica una coscienza della maturazione
in Blasis, Gli amori di Adone e Venere (ed. in quattro atti). del sé e della propria individualità, come in Alfieri, Vita III, 2 ma soprattutto IV, 6 (pp. 98 e 212: «d’età diciott’an-
ni, ed una figura avvenente»; «Perché mi persuadeva di essere in codesto assetto assai più snello e avvenente della
14 perdona: questa remissione ‘cristiana’ della colpa a Venere (e indirettamente ad Adone) da parte di Vulcano, persona. Ridi, o lettore, che tu n’hai ben donde. Ed aggiungi del tuo: che io dunque in ciò fare, puerilmente e
ottenuta nella sequenza «placato … soggiogato … ammaliato …», è una vera e propria messa in scena di un sconclusionatamente preferiva di forse parere agli altrui occhi piú bello, all’essere stimabile ai miei»).
dispositivo totalizzante di asservimento per seduzione, e ha luogo soltanto in vista della supposta (da Vulcano)
fragilità di Adone (il vero peccatore). 2 schivo: ‘ritroso, indifferente’.
15 Uno sguardo … Adone: in questa forma originaria della comunicazione Venere rassicura Adone svelandogli 3 con trasporto: perché il coinvolgimento implica l’illusione di una rassicurante condivisione del piacere, e che per
l’essenza stessa del suo potere, e la messa a punto di una tecnologia di asservimento, attraverso la cattura dello questo non possa essere censurabile.
sguardo, dell’illecito e del proibito. 4 inclinazione: ‘passione’.

256 257
Ecco le traccie5 sulle quali aggìrasi6 l’azione che il Coreografo raccomanda al-
l’esperimentata gentilezza del Pubblico.

PERSONAGGI ATTORI

VENERE Mad.a ELSSLER FANNY


ADONE Sig. Merante F.
CUPIDO Sig. Marra Paride
MARTE Sig. Fontana G.
GIOVE Sig. Maesani Francesco
| Sig.a Domenichéttis Augusta IN EXITU
Le tre Grazie | “ Fuoco M. A.
| “ Marzagora Tersilia

Seguaci di Marte — Seguaci di Adone — Ninfe

L’azione fingesi nell’Isola di Cipro.

decorazioni sceniche
Campagna.
La Reggia di Venere.

5 traccie: più che ‘abbozzo, schizzo, disegno’, qui forse sta per ‘percorso, cammino’ come già, del desiderio, in
Petrarca, RVF 178, 6; quasi deposito dei contenuti informativi in una condizione segnica di disponibilità alle
ragioni della pratica, là dove l’agire/aggirarsi del coreografo si raccomanda, infine, come un inno all’infinito (non
documentabile) dell’azione.
6 aggìrasi: ‘si svolge’, con valore di misura approssimativa, e implicita allusione all’impossibilità di ridurre tutto
il visivo allo scritto.

258
Gian Pietro Lucini
ADONE
(Milano, 1898)

i.

Teoria1 voluttuosa, come dorma


il castello, passeggia pel verziere;2
pallide carni d’or, nobile forma
e tese braccia verso al Cavaliere:
splende e incanta alla luna questa torma 5
di glorïose e infaticate Etere,
e sorge un lungo fremito dall’orma
dei sandali d’argento e dal sentiere.

Tra le musiche van Cloe3 e Glycera4


Leontia5 e Tais6 di nuovi baci esperta, 10

In Il libro delle Imagini terrene, Milano, Galli di Baldini, Castoldi & c., 1898, pp. 49-51, sezione Le Forme (Per la
Mente). Gian Pietro Lucini, narratore critico e poeta, è il massimo esponente del simbolismo italiano; nasce a Mi-
lano il 30 settembre 1867 e muore a Breglia il 13 luglio 1914; laureato in legge nel 1892, ma affetto da tubercolosi
ossea, trascorre gran parte della sua vita isolato, con la moglie Giuditta Cattaneo, tra il lago di Como e la riviera
ligure, salvo sporadiche partenze per Milano; convinto antimilitarista all’alba del primo conflitto mondiale, viene
anche incriminato. Dell’amico Carlo Dossi, con cui illustrò e dunque inventò la ‘linea lombarda’, cura l’edizione
delle opere per Treves. Fu il primo recensore italiano di F. T. Marinetti, 1902.

1 Teoria: (grec.) ‘corteo, processione’; è voce cara al d’Annunzio di Maia II, 202-204 («teoria | coronata di cane-
stre | votive»), VII, 1683-1684 («non teorie | solenni»), XV, 4924 («le teorie dei devoti»).
2 verziere: ‘giardino’, e per ciò che segue sembra un ulteriore sviluppo figurale di Lucini, Il libro delle figurazioni
ideali: La fata 10 («invitan l’acque d’or del mio verziere»).
3 Cloe: fanciulla bionda e ritrosa, cit. in Orazio, C. I, 23, 1 e III, 7, 10; 9, 6, 9, 19; 26, 12, nonché in Colonna, HP
180; al primo passo oraziano cit. si ispira anche d’Annunzio per A Cloe (1880), in Primo vere (1878-1880).
4 Glycera: fanciulla, cit. in Orazio, C. I, 19, 5; 30, 3 e III, 19, 28 al primo passo oraziano cit. si ispira anche d’An-
nunzio in Per Gliceria (1879), in Primo vere (1878-1880); ne La piccola Kelidonio («quasi un delizioso romanzo
epistolare» postumo, 1922) Lucini la introduce come cortigiana.
5 Leontia: famosa etera cit. in Athen. XIII 588b, e in Colonna, HP 258.
6 Tais: è Taide, cortigiana ateniese, compagna di Alessandro Magno in Asia.

261
Fryne7 baciando tra le man’ altera iii.
treccia composta,8 rosa di peccato,
angiole belle e nude, per l’aperta L’Eroe fa un largo gesto14 tra li acanti
piana lungi additando all’invocato. e li anelli gli brillan sulle dita: 30
«Amo un’ambigua voluttà di pianti
e colei che ricusa ho più gradita.
ii. Venere è morta15 e sfumò nell’incanti
torbidi d’un mistero: una squisita16
«Adone santo,9 le belle languenti 15 Vergine cerco, mobile alli istanti 35
sacrifican per te le chiome bionde delle carezze, Proteo d’una vita
e le brune ribelli ai patrii venti
della Frigia; impazzite, l’infeconde mal rivelata. Lesbo in frenesia,
s’imporporano10 l’omeri coi denti, sogno, anormale, e di baci scarlatte
Adone! Il sogno mistico nasconde 20 labra di fuoco a suggere; Ginandre,17
desiderii di senso e sulle ardenti voltolarsi incombuste18 salamandre, 40
labra invochiamo il labro!11 Gemebonde sulle bracie d’Amor, rigide o sfatte:
e conciliar da me l’Antinomia.»19
aspettiam nella sera il tuo apparire;
vediam brillare il gasco e l’armatura,12
vediam le stelle dell’occhi fatali; 25
e la nostra coscienza s’impaüra13
al tuo avvento e vibriamo di speciali
pene, affrante d’attendere e sofrire.»

7 Fryne: etera ateniese, cit. con Taide in Marino, Adone VIII, 60, 7.
8 composta: ‘formata’.
9 Adone santo: un consimile sincretismo anche in Lucini, In lode del mosto, in Le Antitesi e Le Perversità p. 32
(«Jesus Bacchico e pallido: l’Adone, esangue come il vino tuo, | piangon le donne frigie, Bacco d’istoria e di fan-
tasia»); v. anche Anguillara, Metamorfosi X, 310, 1-2 («Tutto di néttar santo ed odorato | Del suo gradito Adone
il sangue sparse»)
14 largo gesto: cfr. Lucini, Il libro delle figurazioni ideali: I sonetti della Chimera, Li amanti, 1-2 («Acrasia c’in-
10 s’imporporano: ‘si macchiano di sangue’ (coi morsi). vitava ai suoi festini | col gesto largo e le chiome fluenti»); si ricordi inoltre che «il sintagma è attestato nella lingua
11 ardenti labra … labro: v. Teocrito (trad. di G.M. Pagnini), L’amato. Idillio XII 43-44 («E chi più dolci labbra letteraria a partire dalla fine dell’Ottocento», «ed è d’uso prevalentemente prosastico» (Manuela Manfredini).
a labbra affigge, | Riede alla madre di ghirlande onusto»), e Bione (trad. G.M. Pagnini), Canto funebre d’Adone. 15 Venere è morta: è ribaltamento dell’incipit in Bione (trad. G.M. Pagnini), Canto funebre d’Adone. Idillio I 1
Idillio I 51 («Che a te m’annodi, e mischi labbra a labbra»), ma anche cfr. Lucini, Il libro delle figurazioni ideali: («Io piango Adone. Il vago Adone è spento»), programma poetico ripreso in apertura anche da Shelley nel suo
I sonetti della Chimera, Li amanti, 6-7 («Oh labra ardenti | a suggere l’ambrosia …»); Manfredini richiama, «per poema in morte di Keats, Adonais i, 1: «I weep for Adonis - he is dead!».
il sintagma labra ardenti», «considerate le occasionali tangenze luciniane con il linguaggio del melodramma e le
frequenti incursioni nella letteratura teatrale, Giacosa, Una partita a scacchi, ii: “Sì, quelle labbra ardenti sono 16 squisita: ‘delicata, raffinata’ oppure ‘ricercata’ e dunque ‘eletta’ in senso spirituale, come già in Lucini, Il libro
fatte pei baci”». delle figurazioni ideali: Prolegomena V.
12 vediam … armatura: cfr. Lucini, Il libro delle figurazioni ideali: I sonetti di Gloriana vi, 11 («brillano la divisa 17 Ginandre: ossia femmine con alcune caratteristiche anatomiche maschili.
e l’armatura»). 18 incombuste: ‘non bruciate’.
13 s’impaüra: sta per ‘si rattrista’, come nelle parole della shakesperiana Giulietta, sullo scadere della notte, 19 Antinomia: (lat.) ossia, ogni contraddizione di genere; la presentazione androgina risale al sincretismo elleni-
nella riscrittura di Lucini, Il libro delle figurazioni ideali: L’intermezzo della primavera ii, 155 («O Signor, come stico-romano degli inni orfici (56), qui ripresa dal gusto erudito e alessandrino di Lucini a favore dell’edificazione
il giorno m’impaura!»). di un raffinato individualismo estetico che è storia, già, del Novecento.

262 263
Finito di stampare nel mese di dicembre 2009
per conto di maria pacini fazzi editore in Lucca
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