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La civiltà dei Greci

Forme, luoghi, contesti

A cura di Massimo Vetta

Estratto

Carocci editore
Roma 2001
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Alla ricerca della polis


di Maurizio Giangiulio

Premessa

In anni recenti la nozione invalsa di Polis è venuta apparendo sempre


più problematica. Da un lato si è visto quale peso ha avuto nella sua
costruzione la cultura politica dell’Ottocento europeo, dall’altro la ri-
cerca attuale sta esplorando con crescente successo le “alternative”
alla polis, in particolare le organizzazioni etnico-cantonali e territoriali
che tanta fortuna avrebbero avuto in età tardo-classica ed ellenistica.
Taluni, insomma, rilevano la matrice esclusivamente storiografica e
moderna del “modello-polis”, mentre altri insistono sull’importanza e
la diffusione in Grecia di differenti modalità di organizzazione politi-
ca e statuale.
Preme dire che né l’uno né l’altro punto di vista obbligano vera-
mente a rinunciare alla categoria polis come strumento di interpreta-
zione storica. Certo, è il caso di abbandonare una nozione “reificata”
di polis, che trasformi quello che deve rimanere un modello interpre-
tativo in “oggetto” storico dato e definibile una volta per tutte. Ma
invocare l’irriducibilità delle singole concrete realtà politiche cittadine
alla nozione di polis non è certo una soluzione. Sembra preferibile,
piuttosto, restituire alla nozione di polis tutto il suo valore di modello
euristico e nello stesso tempo intenderla in un senso accentuatamente
“processuale” insistendo sull’insieme di dinamiche diverse, molteplici
e non univoche che concorrono a definire il fenomeno storico in
questione.
In questa prospettiva la riflessione non può che essere una “ri-
cerca”, vale a dire una verifica e un’esplorazione di definizioni, imma-
gini antiche e moderne, paradigmi interpretativi, problematiche stori-
che. Qui non possiamo che limitarci a proporre l’inizio di un itinera-
rio. Pare importante, scontato il peso schiacciante della costruzione
storiografica moderna (Un mito storiografico?), partire dalla discussio-
ne di definizioni e rappresentazioni antiche (Definizioni, rappresenta-

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LA CIVILTÀ DEI GRECI

zioni), il cui precipuo interesse sta nel fatto che esse sembrano addi-
tare nella semantica di polis una compresenza di valenze di ordine
insediativo e territoriale da un lato e politico dall’altro che si ritrova –
significativamente – tanto nell’immagine che la polis sembra avere di
se stessa in età classica, quanto nella riflessione aristotelica. Ma questa
compresenza di sociale e politico nella polis, su cui si insiste in tutto
il presente contributo, non si presta a essere riassunta nella formula,
infelice e fuorviante, di “città-stato” (“Città-stato?”). Dei due termini
che la compongono, entrambi inadeguati, si preferisce discutere in
questa sede soprattutto il secondo, insistendo sulla natura assoluta-
mente peculiare della statualità della polis.
Beninteso, l’accertamento delle rappresentazioni antiche non può
esaurire il compito dello storico. Una conferma della necessità della
messa a punto di un modello euristico viene dal problema delle origi-
ni della polis (Nascita della polis?). Il punto è che tanto l’invalsa no-
zione che abbiamo definito “reificata” di Polis greca, quanto la più
moderna equivalenza di “nascita della polis” e “apparizione di un’or-
ganizzazione statale” propugnata da archeologi e antropologi si rivela-
no deboli sul piano metodologico e difficilmente conciliabili con la
documentazione (La “grande trasformazione”). Solo una visione della
polis che insista sulle diverse origini delle sue molteplici componenti
formative può risultare pertinente (Prospettive interpretative).
Anche la vivace discussione odierna sulla polis “omerica” mostra
che sarebbe inadeguato limitarsi a retrodatare, collocandola nel cuore
dell’orizzonte epico, l’origine della polis tradizionalmente intesa. È
vero che dobbiamo riconoscere nei poemi omerici una significativa
equiparazione dell’insediamento nucleato con l’ambito per eccellenza
della vita civile (Spazio dell’insediamento, luogo della civiltà), mentre
d’altra parte si individuano agevolmente una rilevante dimensione co-
munitaria, una decisionalità collettiva, un qualche ordine della vita as-
sociata (Comunità omeriche). E tuttavia, fare della polis omerica un
embrione della comunità politica arcaica significherebbe trasformare
in continuità storica reale quella che davvero è solo un’analogia tra
l’immagine della polis nella tradizione epica e un’idea astratta e molto
schematica della polis classica. È invece necessario precisare – e non
annullare nell’indistinzione – il rapporto tipologico e storico tra l’im-
magine omerica della comunità e l’insieme degli sviluppi che condus-
sero alla definizione delle comunità politiche dei cittadini nel corso
dell’età arcaica (Tradizione e innovazione).
Quali questi sviluppi siano stati e quali le tendenze e le problema-
tiche sul tappeto è quanto viene sommariamente indicato nella quarta
sezione di questo testo. Attirata l’attenzione sulla delimitazione delle

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2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

più antiche compagini civiche, con i connessi fenomeni di esclusione,


intesa quale fondamentale momento della definizione delle medesime,
in contrapposizione alla onnicomprensività della comunità omerica
(Esclusione e innovazione), si insiste sull’irriducibilità della vicenda
della polis arcaica al solo processo di istituzionalizzazione della vita
collettiva (Istituzionalizzazione) e viceversa sull’importanza dell’inte-
grazione di una società politica quale presupposto cruciale dell’esi-
stenza e della stabilità della comunità civica (Integrazione). Constatato
il rapporto intimo tra integrazione e sviluppo di valori politici e iden-
titari comunitari come premessa per la crescita del senso di apparte-
nenza alla polis (Dall’appartenenza all’identità del cittadino), diviene
necessario sottolineare come l’unica possibilità di organizzazione poli-
tica di una società, in assenza di un potere in grado di ordinarla dal-
l’alto, risiedesse nella partecipazione: partecipazione vista come iden-
tificazione tra appartenenza alla comunità e coscienza dei cittadini di
esserne membri attivi (Partecipazione e impegno civico). A conclusione
non si affermerà l’assenza di una statualità nell’ambito di quella co-
munità politica dei cittadini che in definitiva è la polis. Si tratta inve-
ce di riconoscere il carattere peculiare di quella statualità, che è iden-
tificabile nel rapporto intimo tra ambito sociale e ambito politico, nel
quadro di una coesistenza di “città-istituzione” e “città-società” in
virtù della quale la polis si configura non come una sfera puramente
politica, ma come una società intimamente politica.

La parola e le cose

UN MITO STORIOGRAFICO ?

Nella riflessione moderna ha avuto un posto di spicco l’identificazio-


ne della polis con la forma tipicamente ellenica dell’ordinamento sta-
tale. Ne sono alla base l’individuazione, all’inizio del secolo scorso, di
una “idea greca dello stato”, ovvero di uno “stato greco” 1, e molto
contribuirono le risonanze del dibattito su libertà politica, natura del-
lo stato e rapporto tra potere di questo e libertà dell’individuo. Oggi,
l’idea che nella polis possa vedersi all’opera l’“onnipotenza” dello sta-
to nei confronti dell’individuo è rifiutata dai più. Ma la nozione di
“stato greco” è restata in auge a lungo. Ancora negli anni Sessanta si
poteva autorevolmente rivendicare il «diritto di considerare la polis
[...] come lo stato greco per antonomasia, allo stesso modo che i
Greci stessi vi scorsero la forma normale del loro stato, i filosofi addi-
rittura quella di ogni stato» 2. Il fatto è che l’identificazione di polis e

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LA CIVILTÀ DEI GRECI

stato greco ha rappresentato un aspetto saliente dell’immagine com-


plessiva della grecità presso i moderni. Da questo punto di vista sia-
mo di fronte a un vero mito storiografico.
Non deve peraltro sorprendere che il presupposto stesso del mito
della polis scopra il fianco a serie obiezioni. In primo luogo è dubbio
che si possa identificare uno “stato greco”: la diversificazione delle
formazioni statali in Grecia è in realtà cospicua, e va ben al di là
della dicotomia stato etnico/stato polis di tutta una tradizione di stu-
di. In secondo luogo, anche pensare – con Ehrenberg – che i tratti di
una statualità tipica possano essere desunti dalle caratteristiche delle
singole empiriche poleis non risolve il problema: perché un consimile
procedimento tipizzante può forse consentire di individuare un mo-
dello-polis, ma non certo una forma-stato 3.
Non manca nemmeno chi è arrivato a escludere la possibilità di
individuare persino una forma-polis 4. Tuttavia fino a questo punto
non sembra consentito spingersi: gli elementi dell’organizzazione ter-
ritoriale, sociale e politica delle singole poleis rivelano uniformità di
fondo che vanno al di là delle differenze contingenti.
Cosa debba esattamente intendersi per polis è però questione non
del tutto chiarita. Rivolgersi in primo luogo alla sfera linguistica è lo-
gico: forse cominciamo a intravedere cosa i Greci stessi con il termi-
ne polis designassero.

DEFINIZIONI, RAPPRESENTAZIONI

Terminologia

La semantica del termine polis è stata analizzata solo di recente sulla


base di una documentazione organica 5. P(t)olis risulta termine di ma-
trice indoeuropea, il cui senso di “borgo munito, roccaforte”, in via
di superamento già nella tradizione epica, sopravvive però a lungo 6.
In età arcaico-classica le accezioni di polis di gran lunga prevalenti
sono 1. “centro abitato” e 2. “entità statale” (nel senso dell’inglese
polity).
Nell’accezione 1 il termine si riferisce all’abitato in quanto realtà
topografica e insediativa. Tende a coincidere con asty, e in genere de-
signa non un agglomerato urbano quale che sia, bensì quello che è al
tempo stesso il centro politico di un’unità statale 7. L’accezione 2 è
solo in apparenza generica. Perché di rado è chiamata in causa un’u-
nità statale quale che sia 8, ed è evidente che siamo di fronte a un uso

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2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

antonomastico, nel quale viene assolutizzata proprio l’equivalenza po-


lis-unità statale. Infine, polis vale talora “patria”, “paese”, come l’in-
glese country, ma anche in questo caso sarebbe arbitrario ritenere ge-
nerico il valore basilare del termine, perché in realtà è presupposto
un riferimento all’entità politico-statale nel suo complesso, pur se non
dal punto di vista giuridico 9.
In definitiva, polis riveste pressoché esclusivamente tre distinte ac-
cezioni: “centro abitato”, “entità statale”, “paese” (patria). Tutte però
si riferiscono a un’unità politica che si configura come ambito territo-
riale provvisto di un insediamento cui compete un ruolo centrale a
livello insediativo e politico.

Riflessione aristotelica e semantica di polis

È degno di nota che i rilevamenti semantici trovino riscontro su altri


piani. Ad esempio, c’è convergenza tra le accezioni del termine e la
riflessione aristotelica. Nella Politica la polis è ora una società umana
che raggruppa gli abitanti di un determinato luogo, e dunque una
collettività cui l’uomo apppartiene in quanto essere sociale (politikon
zoon); ora invece solo una comunità esclusiva di cittadini, volta a rea-
lizzare la partecipazione politica, vale a dire il fine della “vera” vita
(to eu zen). Dunque la polis è in un senso un’unità sociale, in un altro
un ambito di natura civico-politica 10. È facile notare che un analogo
rapporto di tipo “polare” intercorre tra l’accezione concreta (“abita-
to”) e quella politica (“entità statale”) del termine polis. In entrambi i
casi la distinzione collega, più di quanto contrapponga. Riflessione
aristotelica e semantica di polis possono dunque essere messe in pa-
rallelo. Ma anche altra documentazione punta in questa direzione.

Un’immagine della polis

Lasciamo parlare per un momento Erodoto e Tucidide. Poco prima


dello scontro con la flotta persiana davanti a Salamina, i Greci ancora
discutono il da farsi:

Al termine di questo discorso di Temistocle, il corinzio Adimanto lo attaccò


di nuovo, ingiungendogli di tacere, in quanto non aveva patria (patris), e
nel contempo diffidando Euribiade dal far votare un uomo privo di una città
(apolis aner); perché Temistocle – diceva – doveva esibire una città (polis),
prima di dare il suo parere. Lo attaccava in questi termini, in quanto Atene
era stata presa e occupata. Allora Temistocle rivolse una serie di invettive
contro di lui e contro i Corinzi, e dimostrò che essi, gli Ateniesi, ce l’aveva-
no sì una città (polis) e una patria (ghe), e più grande della loro, finché aves-

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LA CIVILTÀ DEI GRECI

sero avuto duecento navi in assetto di guerra: perché nessuno dei Greci ne
avrebbe certo potuto respingere l’attacco 11.

Qui Temistocle non sta dicendo che gli Ateniesi imbarcati sulle navi
sono la polis. Dice che la comunità (in questo caso degli armati) in
grado di autodeterminarsi politicamente ne rappresenta l’essenziale
elemento costituente, anche in quanto in grado di installarsi in un
contesto locale quale che sia. Ma si dirà che Nicia, nel discorso ai
soldati dopo l’ultima sconfitta nel porto di Siracusa (i primi di set-
tembre del 413) avrebbe proclamato che: «sono gli uomini a costitui-
re una città, non le mura e le navi prive di uomini» 12.
A ben vedere, però, Nicia non vuole negare in assoluto il rilievo
del contesto territoriale e urbanistico per la polis; egli stesso aveva
detto immediatamente prima: «riflettete, invece, sul fatto che voi,
ovunque vogliate stabilirvi, costituirete immediatamente, da soli, una
città (polis) e che in Sicilia non ne esiste un’altra che vi possa resi-
stere facilmente se deciderete di attaccarla o che vi possa scacciare
una volta che vi siate insediati da qualche parte» 13.
Insomma, la comunità che fa la polis può distinguersi dall’ambito
spaziale e insediativo cui si rapporta, ma non prescinderne in senso
assoluto.
Dopo aver prestato attenzione alla riflessione aristotelica e osser-
vato la realtà linguistica di epoca arcaica e classica, abbiamo verificato
un aspetto significativo dell’immagine che la polis sembra avere di se
stessa. In modi diversi e per il tramite di “linguaggi” specifici, la polis
risulta non semplice realtà topografica, né pura sfera politico-militare,
ma l’una e l’altra cosa insieme. Sì struttura politica in cui sono orga-
nizzati i cittadini, ma anche più ampio contesto di realtà socio-econo-
miche e territoriali in cui questi ultimi si trovano inclusi.

“CITTÀ-STATO” ?

È invalso – si sa – rendere polis con termini quali “città-stato”, city-


state, Stadtstaat 14. E di recente si è affermato che non si tratterebbe
di un’etichetta fuorviante, come molti invece ritengono 15. Certo, è le-
cito insistere – con Hansen – sul fatto che ogni polis in senso politico
è incentrata attorno a un insediamento. E tuttavia, la nozione di “cit-
tà-stato” di per sé invita alla comparazione con realtà storiche estra-
nee al mondo greco-romano, nelle quali lo stato si risolve nella città
in quanto entità distinta rispetto alla campagna. Laddove la polis pro-
prio in questo è profondamente diversa dal punto di vista strutturale,
perché la contraddistingue una fondamentale unità di città e campa-

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2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

gna, insediamento nucleato e territorio circostante. Ne risulta una


formazione sociale peculiare, nella quale l’integrazione giuridica e po-
litica del territorio è così profonda che l’appartenenza alla comunità
politica arriva a prescindere dalla residenza nell’insediamento centra-
le. Ma c’è di più, perché il modello della “città-stato” chiama in cau-
sa situazioni nelle quali il centro urbano è il luogo in cui si concentra
il potere e prende forma lo stato come entità giuridico-politica. Vice-
versa, una delle caratteristiche più essenziali della polis è il suo ca-
rattere personale, il fatto che essa coincida con la collettività dei citta-
dini (i politai). Ed è perciò da discutere quanto sia utile definire “sta-
to” quella che è in realtà una società politica strutturata intorno alla
nozione di cittadinanza.
Parlare dunque di città-stato rischia di essere fonte di equivoci.
Più pertinente risulta l’equazione polis = “stato dei cittadini” (ovve-
ro, come sarebbe meglio dire, “comunità politica dei cittadini”). In
effetti identificare la polis con la comunità politica dei cittadini confe-
risce adeguato risalto a un aspetto assolutamente centrale della sua
natura. Anche se non è bene dimenticare che la comunità politica
non è tutto e che essa si trova pur sempre inserita entro una più
complessa dimensione territoriale ed economico-sociale. Parleremo al-
lora di Città, implicando con l’uso della maiuscola l’essenziale distin-
zione rispetto al fenomeno urbanistico? Ma perché poi non di polis,
pur con le precisazioni fatte e tutte le altre che è doveroso operare?

Le origini come problema

NASCITA DELLA POLIS ?

A partire dagli anni Settanta la ricerca guarda con un’attenzione priva


di precedenti alla “nascita”, ovvero alla “formazione” della polis. È
tempo di chiedersi perché il problema sia stato impostato in questi
termini.
Ci sono studi la cui influenza sulla riflessione posteriore diviene
chiara solo dopo molto tempo. È il caso di Quando nacque la polis?,
l’articolo del 1937 di Victor Ehrenberg 16, nel quale il grande studio-
so della politica e dello “stato” dei Greci reagiva a certe sopravvalu-
tazioni del ruolo storico delle personalità “principesche” in età arcai-
ca e rifiutava la conseguente limitazione al V secolo dell’esperienza
della polis. Viceversa, egli intendeva dimostrarne la natura di organi-
smo politico comunitario, e insieme la sua esistenza già in pieno VIII
secolo. Più che la prima tesi, ebbe particolare risonanza la seconda, e

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LA CIVILTÀ DEI GRECI

con essa i suoi presupposti: l’identificazione di polis e stato greco e la


persuasione che la “nascita della polis” configurasse un evento collo-
cabile in un preciso contesto cronologico 17.
La ricerca storica e archeologica recente ha adottato presupposti
analoghi. Ci si è posti l’obiettivo di individuare sulla base della docu-
mentazione materiale quella sorta di “soglia” storica superata la quale
diviene impossibile negare l’esistenza della polis. E alla soluzione di
questo problema si è finalizzato il dibattito sulla formazione dello sta-
to in Grecia, impostato sì in sofisticati termini antropologici, ma pur
sempre sulla base dell’equiparazione di polis e stato 18.

Ma per quale ragione il paradigma della “nascita della polis” ha con-


tinuato ad apparire imprescindibile? Ehrenberg – e moltissimi con lui
– ritenevano che al crollo del mondo miceneo fosse seguita «una de-
cisa ricaduta in condizioni primitive», nelle quali «l’orinamento tri-
bale si fece valere di nuovo» 19. Ma questa visione del passaggio dalla
tribu – potremmo dire – alla Città si ritrova più tardi alla base del-
l’interpretazione dei dati archeologici che venivano rivelando una sor-
ta di “rinascita” dell’VIII secolo 20. Diveniva naturale, così, intendere
la nascita della polis come il rivoluzionario sviluppo che in pochi de-
cenni cruciali poneva fine all’ordine primitivo dei “secoli bui”. E
quando importanti ricerche francesi confutarono l’invalsa nozione
della preesistenza alla polis di un ordine sociale largamente basato sul
ruolo della parentela 21, l’interpretazione in chiave tribale dei secoli
dall’XI al IX venne fortemente ridimensionata, ma non fu davvero ri-
messa in discussione la visione della “nascita della polis” quale evento
che “rompe” con l’ordine preesistente e afferma complessità sociale e
organizzazione politico-territoriale.
Il punto essenziale qui non è la storia di un paradigma interpreta-
tivo, quanto la sua critica. Importa perciò insistere sulle difficoltà di
ordine logico-metodologico che una riflessione storica incentrata sulla
nozione di “nascita” della polis comporta.
Come si sa, per Ehrenberg si poteva conseguire un’immagine si-
gnificativa della polis generalizzando i tratti più tipici delle singole
concrete poleis. Veniva configurato una sorta di modello ideale 22, che
però si voleva corrispondente all’intrinseca natura di un fenomeno
storico tangibile. Il che però comporta un’aporia. Perché cercare le
concrete origini di un tipo astratto significa confondere il piano logi-
co-tipologico con quello storico, e “reificare” un’entità concettuale
per farne una realtà storico-fenomenica individuale. Se costruiamo
un’immagine fondata sui tratti più tipici comuni alle singole storiche
poleis di epoche e luoghi diversi, non potremo certo valercene per

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2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

individuare l’origine della polis. Quest’immagine è un’astrazione a


scopi euristici e non è proiettata da una realtà storica individuale col-
locata nel tempo e nello spazio.
Né le difficoltà diminuiscono se parliamo, come si preferisce nel-
l’ambito della ricerca storico-archeologica recente, di “formazione
dello stato”. Perché si continua così a identificare polis e stato greco
tipico. E perché lo sviluppo della statualità non è ciò che veramente
caratterizza la polis, né in generale, né nelle sue fasi più antiche. Tut-
to ciò che fa della polis un’esperienza di funzionalità comunitaria e
vita politica collettiva a carattere diretto e partecipativo non si accor-
da con i modelli del passaggio da un “regime dei capi” (chiefdom)
allo stato elaborati dall’antropologia sociale anglosassone 23, i quali in
genere presuppongono dinamiche formative fondate sull’accumulazio-
ne e la centralizzazione del potere.
Resta da vedere perché nemmeno il quadro complessivo della si-
tuazione storica tra XI e VIII secolo autorizza a riconoscere le tracce di
un fenomeno dirompente che avrebbe compendiato – se non addi-
rittura provocato – la “grande trasformazione” da cui nacque il mon-
do arcaico.

LA “GRANDE TRASFORMAZIONE”

Uno sguardo d’insieme al mondo greco dell’inizio del VII secolo mo-
stra immediatamente il grande rilievo storico e strutturale delle tra-
sformazioni verificatesi. Si sono ormai definite le basi economiche
della società: la primaria importanza dell’agricoltura è stabilita, sono
praticate le principali colture, appaiono delineati i vari assetti sociali
della campagna. Si stanno profilando le varie tipologie delle forme
statali e va configurandosi il sistema delle diverse entità politiche in
cui il mondo greco continuerà a restare diviso. L’attività cultuale è
ormai organizzata sulla base di strutture destinate a non mutare per
secoli. È comparsa la scrittura alfabetica e ha conosciuto da subito
notevole radicamento sociale e ampia diversificazione funzionale. Si è
affermata un’arte figurativa e gran parte delle tecniche arcaico-classi-
che è già praticata. Organizzazione sociale, cultura materiale, forme
ideali sono in tutto diverse rispetto alla civiltà micenea, e notevole
appare il mutamento anche rispetto all’età “protogeometrica” (grosso
modo i secoli XI e X).
A partire dalla fine degli anni Settanta si è affermata un’interpre-
tazione storica di questa “grande trasformazione”. Il merito ne va
ascritto soprattutto al grande archeologo inglese Anthony Snodgrass.

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LA CIVILTÀ DEI GRECI

I mutamenti osservabili sarebbero frutto di un processo imponente


quanto rapido, a carattere pressoché “rivoluzionario”, verificatosi so-
stanzialmente nel corso dell’VIII secolo, l’epoca del “Rinascimento
greco” 24. Una “rivoluzione” agricola avrebbe condotto all’abbandono
della precedente economia prevalentemente pastorale che comportava
instabilità insediativa e mobilità territoriale. In un complesso rappor-
to di interazione, alla nuova economia agricola si sarebbe affiancato
un boom demografico. Nel giro di poche generazioni la penisola gre-
ca avrebbe visto il ripopolamento di un paesaggio prima semivuoto,
la moltiplicazione delle comunità stabilmente legate a un territorio
agricolo, un generale aumento della prosperità e con esso un deciso
incremento della stratificazione sociale; la formazione dello stato si sa-
rebbe accompagnata per ragioni strutturali abbastanza evidenti a que-
ste dinamiche 25. Rinascimento greco e nascita della polis sarebbero
dunque concomitanti e inestricabilmente connessi.
In questo che potrebbe definirsi una sorta di “modello standard”,
nascita della polis e formazione dello stato occupano un posto sicura-
mente centrale. Ma si è anche arrivati a ritenere che proprio lo stato
(la polis) abbia rappresentato il fattore scatenante della grande tra-
sformazione. Lo ha sostenuto lo stesso Snodgrass:

la formazione dello stato fu il fattore decisivo che causò l’istutuzione di san-


tuari comunitari, l’adozione di insediamenti pianificati, la soppressione dell’e-
sibizione della ricchezza nelle tombe da parte dei singoli, l’inizio di una co-
municazione che si serviva dei nuovi media rappresentati dalla scrittura e
dall’arte figurativa, le spedizioni oltremare di gruppi organizzati di coloni, la
creazione delle precondizioni dell’incremento demografico 26.

Come si vede, il “modello standard” si presta a essere profilato in


due modi: nel primo si insiste sulla concomitanza tra “nascita della
polis” e trasformazioni strutturali di VIII secolo, nel secondo si po-
stula una relazione di causalità tra la prima e le seconde.
Oggi però tutto torna in discussione. Diviene sempre più chiaro,
in particolare, che l’interpretazione della documentazione archeologi-
ca dell’Attica e dell’Argolide in chiave di boom demografico dev’esse-
re rivista 27. Per quanto riguarda le stime basate sul numero delle se-
polture, anche ragioni non demografiche possono spiegare l’esistenza
in un dato periodo di un maggior numero di tombe. Inoltre, l’incre-
mento della popolazione calcolato sulla base dei dati delle necropoli,
una volta che si distinguano – com’è corretto – gli adulti dai bambi-
ni, si rivela inspiegabile alla luce della teoria demografica. In definiti-
va, sembra consigliabile rinunciare a inferire i mutamenti della popo-

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2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

lazione dalla documentazione delle necropoli. D’altra parte, anche il


pur indubitabile e notevolissimo aumento del numero dei siti abitati
non si lascia tradurre in precisi termini demografici, e in sé non con-
forta necessariamente l’ipotesi del boom 28. Infine è un fatto che la
moltiplicazione degli insediamenti comincia ben prima dell’VIII seco-
lo, ed è anzi una delle caratteristiche che vanno qualificando il IX se-
colo come epoca di trasormazioni già importanti. Pare il caso di con-
cludere che quanto in definitiva resta probabile, ma non quantificabi-
le, è «una crescita lenta e costante della popolazione, continua dal X
secolo in poi, e non una subitanea esplosione nell’VIII secolo» 29.
Non solo dal punto di vista demografico negli ultimi anni è venu-
ta profilandosi la crescente importanza del IX secolo. Prendiamo in
considerazione, ad esempio, la sfera della religione 30. Certo, l’VIII se-
colo, soprattutto nella sua ultima parte, conosce sviluppi – soprattut-
to nell’ambito dei santuari – che vanno senz’altro messi in relazione
con la progressiva configurazione di comunità quali le poleis che defi-
nivano la loro identità attraverso la religione. Tuttavia l’attività cul-
tuale comunitaria entro uno spazio sacro riservato ha una lunga storia
che inizia in età protogeometrica, e la tipologia santuariale e templare
si è già costituita nel IX secolo. Non c’è una “rottura” di VIII secolo,
non si apprezzano mutamenti radicali, “di sistema” 31. Considerazioni
analoghe valgono in riferimento allo sviluppo della cerealicoltura e
dell’olivicoltura, ai progressi nel campo dell’attività metallurgica ed
estrattiva, all’attivazione di contatti con gli ambienti levantini, all’or-
ganizzazione di comunità (Smirne, Zagora, Lefkandì) che nel IX seco-
lo e talora prima erano senza dubbio già coese e in grado di coopera-
re a fini di collettiva utilità. Né da ultimo va trascurata la possibilità
che anche gli inizi della scrittura alfabetica appartengano al IX secolo,
piuttosto che al successivo. Insomma, veniamo constatando che tutta
una serie di sviluppi ritenuti tipici del Rinascimento greco di VIII se-
colo vanno retrodatati. Occorre in altri termini far conto su dinami-
che storiche più graduali e distese nel tempo, processi che si attivano
a partire dal IX secolo e talora dal X. I fenomeni che a lungo sono
apparsi una testimonianza di una sorta di rottura storica, rivelano a
ben vedere “radici lunghe” 32.
La conseguenza cruciale è che sfuma la concomitanza tra “grande
trasformazione” di VIII secolo e “nascita della polis”. Ma viene meno
anche la possibilità stessa di riconoscere in quest’ultima il fattore
strutturale scatenante delle trasformazioni.
Non è possibile discutere qui le interpretazioni complessive della
società greca tra XI e VII secolo che in anni recenti hanno cercato di

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LA CIVILTÀ DEI GRECI

tener conto delle difficoltà in cui incorrono le ricostruzioni ispirate al


“modello standard”. Vale la pena di avvertire però che da più parti si
è arrivati a una valutazione dei secoli X-VIII la quale finisce per smi-
nuire troppo il profilo innovativo dell’VIII secolo rispetto ai preceden-
ti. Di questi ultimi si esaspera la caratterizzazione in termini di popo-
losità, continuità insediativa e culturale, stratificazione e organizzazio-
ni sociali già complesse, capacità di collegamenti esterni. Non si è
mancato di sostenere ad esempio che «la polis è sempre esistita» 33, o
che tra XI e VIII «continuò a esistere una società complessa, stratifica-
ta in ranghi» 34, ovvero che il crollo del mondo miceneo lasciò intatte
e consegnò ai secoli seguenti le strutture di potere locali 35. Si tratta
però di posizioni che non sempre sono disposte ad accettare – pur in
tutta la loro provvisorietà – i dati della documentazione disponibile,
ovvero ne forzano le indicazioni. Rifiutare di vedere nella “nascita
della polis” un evento “rivoluzionario”, di cercarne le presunte prove
archeologiche puntuali 36, di identificarlo con la “formazione dello
stato greco” non significa certo dover necessariamente accedere a in-
terpretazioni ispirate a un continuismo assoluto, in riferimento vuoi al
passaggio dal II al I millennio, vuoi alle dinamiche storiche dei primi
secoli del I millennio.

PROSPETTIVE INTERPRETATIVE

In ogni caso, il vero problema non è scegliere tra un’interpretazione


“continuista” e una “discontinuista”. In riferimento all’interpretazio-
ne complessiva dell’epoca posta tra la fine del mondo miceneo e il VII
secolo si tratterebbe quantomeno di una scelta manichea. Ma in spe-
cifico riferimento al problema della formazione della polis si tratta di
un’impostazione fuorviante. Il punto è che pare necessario mettere in
discussione non solo la nozione di “nascita”, ma anche quella di “for-
mazione” della polis.
Tutto ormai invita a far conto non su un unico grande processo
storico (appunto la formazione della polis), bensì su vari processi di-
versi: la formazione degli insediamenti di tipo “urbano”, la costituzio-
ne delle varie categorie di unità statali del mondo greco, le origini
della polis. Come ha scritto John Kenyon Davies, si tratta di processi
distinti e che si sovrappongono gli uni con gli altri in ogni modo pos-
sibile: «non tutti gli stati erano, o divennero, poleis (ad esempio la
Tessaglia), non tutti gli agglomerati urbani divennero il centro di po-
leis (ad esempio Acarne, Gonnoi), non tutte le poleis erano agglome-

70
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

rati urbani, e così via» 37. In una prospettiva del genere appare evi-
dente che lo spazio storico di questi processi si apre prima dell’VIII
secolo e si estende almeno fino al VI.
Questione connessa, e cruciale, è quale rapporto debba ricono-
scersi tra i processi di formazione dello stato e le dinamiche di for-
mazione della polis. Tenere distinte le due problematiche implica la
definitiva rinuncia alla prospettiva che era stata di Ehrenberg: non
solo la polis non è “lo stato dei Greci”, ma non si può identifi-
carne la caratteristica saliente con la sua natura statuale. Se voglia-
mo, la formazione della polis è sì un aspetto dei processi di forma-
zione dello stato in Grecia 38, ma solo nel senso – vale la pena
insistervi – che la polis tende a configurarsi come un’unità politica
distinta da un’altra, con una propria compagine territoriale. Invece
cosa diversa e meno agevolmente comparabile con altre situazioni è
il configurarsi della peculiare – e mai compiutamente strutturatasi –
statualità della polis.
In secondo luogo, pur restringendo il discorso alle origini del
modello-polis quale forma particolare di comunità politica, anch’es-
so oggi appare l’esito non di un unico processo di sviluppo, bensì
di più processi, almeno tanti quante sono le principali componenti
storiche e strutturali del modello stesso: l’integrazione territoriale,
specialmente la definizione dei limiti spaziali della comunità e la re-
alizzazione dell’unità di città e campagna; la strutturazione della co-
munità politica dei cittadini; la configurazione di una coesione co-
munitaria, con le sue basi socio-economiche e i relativi fatti di au-
tocoscienza collettiva e di identità culturale; la crescita di una di-
mensione statuale in senso politico-istituzionale formale. Ognuna di
queste componenti si va configurando nel tempo e risulta l’esito di
processi provvisti di un “ritmo” proprio e di punti di partenza e
di arrivo diversi.
Non ci è dato insomma di guardare, come in un fotogramma,
alla “nascita della polis”. E dunque una riflessione storica incentra-
ta su una nozione troppo schematica di “origini” risulta assoluta-
mente problematica. Siamo in realtà di fronte a una vicenda lunga,
plurisecolare, parte della quale probabilmente non riusciamo a ve-
dere, perché non è detto tra l’altro che abbia lasciato sufficienti
tracce archeologiche. La polis in effetti non è che l’insieme degli
esiti cui dopo più secoli perviene una serie di concrete dinamiche
storiche.
Prima di provare a identificarne le principali, converrà però ri-
volgere qualche attenzione a Omero.

71
LA CIVILTÀ DEI GRECI

Tradizione epica e strutture storiche


SPAZIO DELL’INSEDIAMENTO, LUOGO DELLA CIVILTÀ

Ma appena prossimi alla città, con intorno alte


mura, ecco ai due lati di essa un bel porto
e, stretta, un’entrata: navi veloci a virare son tratte
[...] Lì, intorno al bel Posideio, c’è la piazza
serrata da massi trascinati e confitti nel suolo.
Hom. Od. 6,262-7; trad. di G. A. Privitera

Una polis murata, servita da due porti attrezzati, provvista di un’agora


e di un tempio del dio che protegge la comunità: ecco Scheria, la
città dei Feaci. Un’eccezione nel contesto dei poemi, come spesso si
ritiene? In realtà, è un’immagine che evoca in forma compiuta un
modello i cui tratti caratteristici sono ben attestati 39. Troia ha mura,
templi, case, strade. E di Itaca si menzionano il porto, le case e l’ago-
ra, se non le mura e i templi 40. Le fortificazioni circondano centri
grandi e famosi 41, ma anche insediamenti minori 42; sono diffuse case
e strade vere e proprie 43; è sempre presente lo spazio delimitato e
riservato dell’agora 44, né mancano altari e templi, con i connessi ri-
tuali 45. Talora sono menzionate anche altre strutture comunitarie 46.
Sembreremmo di fronte, in definitiva, a una collettività che organizza
l’insediamento, distingue spazi destinati alle sue riunioni, predispone
strutture “pubbliche”, condivide culti.
Con questo quadro non contrasta la terminologia dell’insediamen-
to. Polis nei poemi è l’abitato, e in questo senso è intercambiabile
con asty 47. Ma solo il primo dei due termini può riferirsi al gruppo
umano insediato in un ambito territoriale, fino ad arrivare a designare
l’intera comunità. Una certa tendenza al conguaglio di polis e demos
mostra che una dinamica fondamentale per la successiva storia della
Città greca è ormai in moto, pur restando lontano dal compiersi 48.
Della centralità dell’abitato di tipo cittadino nei poemi è indice il
fatto che esso vi figuri come la forma insediativa assolutamente tipica.
Come già aveva intuito Eduard Meyer: «tanto predominante è lo sta-
to cittadino all’epoca della poesia epica che i poemi non conoscono
nessun altro ordine di rapporti e ne trasferiscono la forma non solo a
tutte le stirpi greche fino a Itaca, ma anche agli stessi Lestrigoni e
Cimmerii» 49. La spiegazione è probabilmente in questo: che la polis
è concepita come il luogo della civiltà per antonomasia. Lo ha ampia-
mente argomentato Stephen Scully: la polis in quanto identificata e
delimitata dalle mura rispetto alla “natura”, è spazio per eccellenza
della civiltà, il luogo in certo senso sacro dell’ordine umano e civile

72
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

sanzionato dagli dei 50. Essa è l’organizzazione sociale in relazione


alla quale nei poemi omerici la vita umana prende senso. Non è un
caso che la polis come forma insediativa tangibile e comunità di vita
sociale e religiosa regolata rappresenti il contesto per eccellenza della
vita associata nello Scudo di Achille nel XVIII dell’Iliade 51.

COMUNITÀ OMERICHE

La società dei poemi omerici [...] [è] ancora un


agglomerato di unità familiari individuali di tipo
“ciclopico”, assai più che una società mmmmmm
integrata.
Adkins, 1960, pp. 53-4

Sullo sfondo del poetico ritratto dell’aristocrazia


omerica, si individua chiaramente una vita mmm
comunitaria più articolata.
Murray, 1993a, p. 57

La dimensione comunitaria

Un’assemblea, a Itaca: un anziano notabile si alza a chiedere se chi


l’ha riunita «ha sentito qualche notizia di un’armata che viene / [...] o
vuole esporre e discutere qualche altro pubblico affare (ti de-
mion)» 52. Dunque esistono demia, affari della comunità locale che
questa appare idonea a discutere. Si tratta soprattutto di ogni minac-
cia nei confronti del gruppo. Nell’Iliade è l’assemblea dei Troiani a
ricevere l’ambasceria achea che chiede la restituzione di Elena, pena
la guerra 53; nell’assemblea, e probabilmente nel Consiglio 54, hanno
luogo dibattiti il cui esito è il rifiuto di restituire Elena e quindi la
guerra. Più tardi, aspetti importanti della condotta bellica di Ettore
sono determinati dal Consiglio 55. Ma anche sul piano delle relazioni
pacifiche, è significativo che si riscontrino nei poemi rapporti inter-
comunitari durevoli e rilevanti per l’intera collettività 56.
Già solo su questa base la comunità appare provvista di una pro-
pria autonoma realtà. Essa non dipende da un vertice socio-politico e
non si risolve in esso. In più – e non soprprende – travertice e comu-
nità sembra intercorrere un rapporto di interdipendenza, nel senso
che l’uno non può veramente prescindere dal consenso e dal ricono-
scimento dell’altra 57.
Parleremo dunque di comunità omeriche. Senza peraltro enfatiz-
zarne la contiguità con le collettività civiche arcaiche, converrà in
ogni caso prendere risolutamente le distanze da qualsiasi valutazione

73
LA CIVILTÀ DEI GRECI

della società omerica che voglia farne un agglomerato privo di coesio-


ne di unità familiari.

Il ruolo della comunità

Non solo dell’esistenza di una dimensione comunitaria omerica si


danno indizi consistenti. Anche il suo complessivo rilievo – ed è
più importante – trova validi riscontri. Consideriamo il caso della
discussione degli affari di interesse collettivo in sede assembleare e
consiliare. La comunità affronta collettivamente i problemi che la
coinvolgono (Od. 2,30-2; 42-4) riunendosi nell’agora. Sembra impli-
cata la partecipazione dell’intero demos (anche se nulla sappiamo
della sua inclusività sociale): l’assemblea è la manifestazione tangibi-
le della collettività, la realizzazione della concreta “presenza” pub-
blica dei suoi componenti. Almeno 22 assemblee e 20 riunioni
“consiliari” scandiscono i poemi omerici 58. E anche gli dei si riu-
niscono in assemblea 59. Solo al di fuori del mondo ordinato della
civiltà umana non c’è collettività che discute e delibera: i Ciclopi
non hanno «assemblee che portano consiglio (agorai boulephoroi)»
(Od. 9,112).
L’assemblea, in definitiva, risulta un significativo emblema del
rilievo che la dimensione comunitaria riveste nel “mondo omerico”.
Lungi dal rappresentare un’istanza formale, a carattere politico-isti-
tuzionale, dotata di prerogative funzionali definite, essa configura
l’occasione in cui la comunità riunita, posti “in mezzo” ta demia
(gli affari della collettività), afferma e rinnova la propria unità, su-
perando tensioni e conflitti attraverso la costruzione del consenso
collettivo.

La comunità “ordinata”

L’assemblea omerica, peraltro, si conforma a delle regole. Partecipe


di un ordine divino cui presiedono Zeus e Themis 60, è regolata da
norme consuetudinarie, come mostra bene – e contrario – l’immagine
inquietante dell’adunanza “disordinata” (ou kata kosmon), il cui esito
non a caso è la divisione, la frattura irrimediabile del contingento gre-
co (Od. 3,136 ss.) 61. Anche il Consiglio presenta aspetti di organizza-
zione e regolarizzazione per ciò che concerne funzionamento e prero-
gative. E quanto alla regalità, ad essa non sembra si possa negare un
posto nel pur elementare ordinamento della comunità; la basileia
omerica in realtà non può essere ridotta a un occasionale ruolo ege-
mone conseguito da un’individualità eminente 62.

74
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

Ma torniamo ai Ciclopi. C’è un aspetto centrale della loro sauva-


gerie: non vi sono themistes che li vincolino, e significativamente
ognungo di essi, nell’ambito della sua unità familiare, è padrone asso-
luto di sentenziare (themisteuein). Viceversa la comunità omerica si
conforma a regole consuetudinarie: le themistes, appunto. Dato co-
stitutivo del mondo umano, esse si oggettivano in costumi, privilegi
usuali, norme tradizionali. In questo momento divengono il vincolo
associativo per eccellenza, il vero fondamento della vita della comuni-
tà ordinata 63. Prescindere dalle themistes è porsi al di fuori di ogni
vincolo sociale e comunitario 64.
Abbiamo dunque constatato esistenza e rilievo della dimensione
comunitaria, riconosciuto occasioni e dinamiche decisionali collettive,
visto all’opera la comunità “ordinata”. Eppure non troviamo avviati
processi di istituzionalizzazione in senso stretto. E soprattutto, la co-
munità omerica non conosce un’autodefinizione, né – a maggior ra-
gione – un’esplicita delimitazione. Tutti sembrano appartenervi, ed è
sintomatica in questo senso la tendenziale coincidenza dell’assemblea
con la riunione della comunità. Siamo lontani dalla costituzione di un
corpo di soggetti partecipi della vita collettiva e, in quanto tali, di-
stinti da altri.

TRADIZIONE E INNOVAZIONE

Entro quale orizzonte storico, allora, si deve collocare la comunità


omerica? E quale il rapporto tra questa e la polis arcaica? Sono que-
siti cruciali, cui è impossibile fornire una risposta esaustiva. Limitia-
moci a poche sommarie notazioni.
La comunità omerica rivela chiari limiti: dell’integrazione politico-
territoriale, del “pubblico” e della dimensione politica, delle strutture
dell’appartenenza, dell’identità collettiva. Rispondere agli interrogativi
sul tappeto in termini di marcata continuità tra comunità omerica e
polis arcaico-classica, come oggi taluno vorrebbe, in verità non pare
affatto scontato.

Integrazione territoriale

È dubbio si possa considerare la polis dei poemi omerici in tutto e


per tutto un’entità politico-statale, nel senso dell’inglese polity. Per
George M. Calhoun, ad esempio, era chiaro che «lo stato omerico»
comprendeva di regola diverse poleis, ognuna con il suo territorio 65.
La formulazione è forse troppo recisa. Peraltro unità politiche com-
prendenti più poleis insieme sono ben attestate, nel Catalogo delle

75
LA CIVILTÀ DEI GRECI

Navi e altrove nell’Iliade, ma soprattutto nell’Odissea 66. Si possono


citare in particolare la pluralità di poleis che il demos dei Cefalleni
include 67, ovvero la comunità pilia con le sue nove poleis, che si
comporta come un’entità coesa rispetto a un’aggressione esterna nei
confronti di una di esse 68.
Certo, Troia ha invece l’immagine di un vero e proprio “micro-
stato” del tipo polis. Ma non è così chiaro che quest’immagine pre-
supponga una realtà storica in cui il modello-polis ha ormai preso
forma anche per quanto riguarda il rapporto tra nucleo insediativo e
territorio, configurando una situazione nella quale l’insediamento si
risolve nel territorio e questo a sua volta si identifica con quello. Un
indizio prezioso in proposito sarebbe una diffusa equivalenza nei
poemi tra polis e demos, insediamento e comunità territoriale. Ma ciò
accade in pochi casi, in primo luogo quello di Atene 69. Nonostante
asserzioni in senso contrario 70, predomina la distinzione tra polis e
demos (ovvero, ancor più significativamente, quella tra polis e pas de-
mos) 71.
Dobbiamo concludere di essere di fronte a un quadro di incom-
pleta integrazione territoriale. Nella sfera politica le cose non stanno
diversamente.

Un deficit di integrazione politica

Si tende oggi a enfatizzare l’esistenza di una distinzione tra pubblico


e privato nelle comunità epiche 72. In effetti, esiste una opposizione
demion/idion. Però demion è “ciò che pertiene al demos”, dunque ciò
che concretamente tocca la comunità, laddove è idion non il persona-
le, l’individuale (e tantomeno il privato), bensì ciò che pertiene all’u-
nità familiare e al suo signore. E se dunque la comunità omerica non
è altro che l’insieme dei suoi componenti, il gruppo sociale nella sua
concreta immediatezza, non sarà allora il caso di negare a demion il
valore astratto di “pubblico”?
Che in questo contesto non possano ravvisarsi strutture e pro-
cedure politico-istituzionali non può meravigliare. Assemblea e
Consiglio hanno sì ordine, ritualità e frequenza, e possiamo consi-
derarli componenti consolidate della vita collettiva. Ma se ne deve
escludere il carattere istituzionale. Non siamo di fronte a strutture
davvero impersonali: perché non vi si esprime il potere di decisio-
ne di un organismo “di governo”, né vi si forma una volontà col-
lettiva distinta da quella dei leaders e formalmente valida per tutti.
In definitiva vi si manifesta l’autorità sociale e personale dei notabi-

76
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

li, non il potere pubblico che la comunità deferisce a un organo


istituzionale.
Il punto cruciale si fa più evidente: con il deficit di integrazio-
ne territoriale si associa un deficit di integrazione politica. Ne offre
qualche conferma il rapporto che intercorre tra singolo e colletti-
vità.

“Patriottismo” omerico?

Non si può non riconoscere il rilievo che in Omero riveste l’attacca-


mento dell’eroe alla comunità. Il valore del combattere e del morire
per la patria 73, ovvero per la città 74, non è un elemento isolato e
accessorio. Ad esempio fa parte integrante dell’immagine di Ettore,
l’eroe che più di ogni altro pare curarsi della sorte della collettività 75.
Ma più in generale, ha molti riscontri nei poemi la nozione della vir-
tù guerriera che si erge a tutela del gruppo 76.
Si impongono però alcune precisazioni. La “patria” non è ben di-
stinta da famiglia e oikos, né risulta sovraordinata all’una o all’altro:
soprattutto, non orienta in misura prevalente il senso di appartenen-
za 77. Non diversamente, la polis per la quale è concepibile morire
non è la “comunità”, né designa un’unità politico-statale 78. Perché
dunque ipotizzare che le modalità non individualistiche dell’agire
eroico presuppongano la formazione della polis come istanza comuni-
taria inedita? È bene ricordare, invece, che il ruolo comunitario del-
l’eroe affonda le radici in una concezione del rapporto singolo/comu-
nità che ha un più generale fondamento antropologico 79: nel senso
che non si danno comunità umane le quali sanciscano comportamenti
individuali dirompenti e non sviluppino dinamiche integrative e cen-
tripete. Occorre poi riconoscere, a proposito dell’eroe patriottico, che
altro è difendere il gruppo quale concreto contesto di affetti e inte-
ressi e altro vivere l’identificazione con la collettività sulla base di un
preciso senso di appartenenza a una comunità politica che si definisce
e si delimita in quanto tale.
Proviamo a concludere. L’immagine della società omerica come di
una lassa aggregazione di unità familiari assolutamente autonome è
certamente da respingere una volta per tutte. Com’è stato opportuna-
mente rilevato, «la koinonia greca fu politica sin dall’inizio» 80. Il
punto cruciale è però che questa politicità appare embrionale. Basta a
configurare una comunità. Ma quest’ultima non arriva a determinare
il senso di appartenenza dei suoi membri, né la sua natura politica
riesce a esprimersi sul piano dell’identità.

77
LA CIVILTÀ DEI GRECI

Possiamo allora considerare questa comunità un’attestazione solo


più antica, più semplice e meno formalizzata della polis classica,
come da più parti ormai si sostiene? 81 Il fatto è che oggi si tende
a risolvere le analogie tra l’immagine della comunità omerica e il
modello idealtipico della polis in una continuità storica tra polis
omerica e polis arcaica. Invece è essenziale distinguere. La comuni-
tà omerica non appare in grado di “manipolare” se stessa sul piano
dell’organizzazione politica. La sua intima natura è quella di una
società “tradizionale” che si conforma a norme immemoriali di ori-
gine divina. Una società che nel suo assetto all’attività umana pree-
siste ed è quasi preordinata 82. Mentre già la polis arcaica si ca-
ratterizza per la radicalità con cui la comunità civica sa definirsi e
ristrutturarsi, manipolando con libertà e coerenza istituzioni e prati-
che tradizionali per metterle consapevolmente a servizio dei proces-
si di riorganizzazione politica della comunità. È per questo che
essa poté, come ha scritto Oswyn Murray, «intravedere per prima
la possibilità di vivere secondo ragione piuttosto che in conformità
con il proprio passato» 83.

La comunità politica dei cittadini


ESCLUSIONE/INCLUSIONE

Non c’è bisogno di insistere: la configurazione di una compagine civi-


ca è un momento cruciale per la polis, e non a caso gli interventi di
manipolazione del corpo civico ne costellano la storia. Perché la co-
munità politica è, per sua natura intrinseca, un ambito cui si appartie-
ne o da cui si è esclusi, una dimensione politico-istituzionale della
quale si è parte o no. E l’estensione della compagine civica non è mai
scontata, o data una volta per tutte, ma riflette i limiti che la comuni-
tà di volta in volta si dà.
La più antica configurazione delle cerchie civiche non significò
peraltro la ratifica dell’onnicomprensività della comunità omerica. In
realtà, la polis più arcaica conosce fenomeni di rigida delimitazione
della propria compagine. Nel VII secolo poco mancò che la secolare
connotazione associativa e partecipativa della vita collettiva fosse ri-
messa in discussione dal costituirsi in molti ambienti di una forte su-
premazia aristocratica sulla comunità. In certi casi la polis in statu na-
scendi appare nelle mani di gruppi elitari ristrettissimi, vere e proprie
dynasteiai aristocratiche: nel mondo eolico 84, nell’ambiente ionico 85,
nonché a Corinto con i Bacchiadi. È inevitabile vi si accompagnasse-

78
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

ro fenomeni di esclusione formale o di svuotamento dell’appartenen-


za alla comunità per ampie cerchie di liberi.
Altrove invece la polis sembra aver stabilizzato presto una dimen-
sione comunitaria, sia pur entro limiti ristretti, che emarginavano
componenti significative della popolazione libera. È il caso dei cosid-
detti “regimi a numero fisso”, quali quelli dei “Seicento” a Marsiglia,
o dei “Mille” a Crotone, Locri, Colofone. È nell’ambito del corpo
civico privilegiato di queste poleis che forse trovò una prima realizza-
zione la nozione di cittadinanza.
Una rassegna delle forme dell’esclusione socio-politica arcaica non
può prescindere da Sparta. La “via spartana” alla polis presuppone
una comunità che si configura come sodalizio esclusivo di cittadini-
guerrieri, privilegiati rispetto tanto ai liberi che fanno parte della real-
tà statale, ma non partecipano della sfera politica (i perieci), quanto
allo strato servile legato alla terra cui è demandata la produzione
agricola (gli iloti) 86. Ma anche altrove comunità esclusive di politai
più o meno egalitarie al proprio interno sono sovraordinate a gruppi
di servi rurali, nonché a comunità “perieciche” libere. Il caso delle
città cretesi è il più vicino a quello spartano; ma anche il Peloponne-
so nord-orientale conosce fenomeni di esclusione politica e riduzione
a rango servile o “periecico” degli strati contadini. Più complesse, ma
non prive di analogie, sono situazioni come quelle coloniali (Siracusa,
Eraclea Pontica) e ioniche d’Asia (Mileto?) 87. È dunque lecito dire
che esiste una polis “esclusiva, anche al di là dei casi in cui opera
una delimitazione formale e “numerica” della compagine civica: l’e-
sclusione si configura in realtà come una delle possibili soluzioni ai
problemi della polis arcaica.
Viceversa, là dove l’esclusione non viene istituzionalizzata, tende
col tempo a essere superata. Entrano in gioco dinamiche che condu-
cono all’incorporazione politica di cerchie via via più larghe e al rico-
noscimento del plethos dei liberi come elemento attivamente parteci-
pe alla vita politica. Potremmo parlare di un modello “inclusivo” di
polis basato sull’incorporazione politica. Ma nella realtà siamo di
fronte a una molteplicità di casi diversi. In molti è la rottura, anche
traumatica, degli asfittici equilibri socio-politici arcaici che apre la
strada, tanto in regimi a “numero fisso” (Crotone), quanto in contesti
in cui sono presenti forme di servitù rurale (Atene, Argo, Siracusa),
ad assetti di tipo democratico in cui la cittadinanza tende a coincide-
re con il complesso della popolazione libera. Altrove si procede con
molta lentezza, attraverso esperienze tiranniche e nomotetiche, o sulla
scia della crescente articolazione della compagine sociale, verso regi-
mi che valorizzano politicamente un largo ceto oplitico e talora non

79
LA CIVILTÀ DEI GRECI

emarginano nemmeno componenti più minute legate all’artigianato e


allo scambio, come nel caso di Corinto 88.
L’organizzazione della polis in quanto comunità politica presup-
pone dunque la definizione dei limiti di quest’ultima, nonché un
equilibrio tra inclusione ed esclusione politica. Ma implica altresì
strutture politiche stabili idonee a orientare la collettività ponendo
in essere scelte efficaci in ordine ai problemi che la coinvolgono.
Non ricercheremo però “le origini dello stato”. Proviamo piuttosto
a riflettere sui processi di istituzionalizzazione delle comunità ar-
caiche.

ISTITUZIONALIZZAZIONE

Eretto un tempio a Zeus Sillanio e Atena Sillania, organizzate le tribu


come tribu e le obe come obe, stabilito un Consiglio degli anziani compo-
sto di trenta membri compresi i re arcageti, tenere periodicamente le as-
semblee, in occasione delle Apelle, tra Babica e Cnacione; in questo asset-
to i geronti presentino proposte [all’assemblea] e si allontanino, ponendo
fine alla seduta; al popolo spettino vittoria [?] e potere. Qualora il popolo
parli in modo distorto, gli anziani e i re sciolgano la riunione (Plutarco,
Vita di Licurgo, 6,2; 8).

La cosiddetta “grande Rhetra” fa riferimento a un momento decisivo,


forse da porre all’inizio del VII secolo, dell’organizzazione civico-poli-
tica di Sparta. Siamo di fronte, in effetti, alla strutturazione di una
comunità civica per mezzo delle unità minori di ripartizione (tribu e
obe). Contestualmente, ci giunge l’eco di una dinamica di istituziona-
lizzazione delle strutture politiche. Vengono definite composizione e
prerogative di un Consiglio degli anziani; l’assemblea viene stabilmen-
te localizzata, ne è fissata la periodicità, ne sono precisati i poteri;
infine vengono configurati i rapporti tra re e Consiglio da un lato e
assemblea dall’altro.
Così suona il linguaggio politico di una comunità civica di VII se-
colo in un documento dell’epoca:

In questo modo ha deciso la polis: chi sia stato cosmo, non possa esserlo di
nuovo per dieci anni; ma se giunga ad essere cosmo, in tutti i casi in cui avrà
pronunciato un giudizio, dovrà pagare un’ammenda del doppio – il dio lo
maledica [?] – e non potrà ricoprire una carica pubblica per il resto della
sua vita e ciò che abbia fatto in qualità di cosmo non abbia valore. Giuranti:
il collegio dei cosmi, i damioi e i venti della polis 89.

80
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

Siamo a Drero, nell’area centro-orientale di Creta, forse pochi decen-


ni prima del 600 a.C. Una decisione presa dalla collettività attraverso
i suoi organi istituzionali interviene a regolare l’esercizione della massi-
ma carica pubblica, sanzionandone gli abusi. Sullo sfondo, una strut-
tura istituzionale nel cui quadro i deliberati della polis si pretendono
collettivamente cogenti, anche nei confronti del titolare della princi-
pale magistratura civica.
Ma lasciamo parlare anche un’altra pietra. Si legge in un fram-
mento di un celebre testo, a quanto sembra rinvenuto a Chio e risa-
lente al tardo VI secolo:

[...] faccia appello al Consiglio nazionale (boule he demosie); il terzo giorno


dopo la festa degli Hebdomaia [cioè il nono giorno del mese] il Consiglio
nazionale, eletto in ragione di cinquanta membri per tribu, si riunisca, con
facoltà di infliggere ammende. Si occuperà di tutti gli affari della comunità
(demos) e in particolare delle cause giudiziarie nelle quali si sia fatta istanza
d’appello nel corso del mese 90.

In altri frammenti si fa riferimento a «promulgazioni del popolo» (de-


mou rhetrai, A 1-2) e all’assemblea cittadina (A 7); inoltre si contem-
plano casi in cui le massime magistrature cittadine (demarco: A 3-6;
B 3; basileis: A 4; D 4) sono assoggettate ad ammende. Composizio-
ne, meccanismo d’elezione, periodicità di riunione e prerogative del
massimo organo consiliare della polis risultano chiaramente determi-
nate.
Continuare l’esemplificazione non semplificherebbe il quadro. Sia-
mo di fronte, tra VII e VI secolo, a un imponente processo di istituzio-
nalizzazione. Le strutture di tipo “omerico” si definiscono come orga-
nismi politici formali, con competenze definite, attivi con regolarità e
continuità, idonei a indirizzare l’agire collettivo verso il conseguimen-
to di obiettivi comuni significativi 91. Contestualmente, le magistratu-
re vanno configurandosi come ruoli pubblici sottoposti a limiti e con-
trolli stabiliti dalla collettività.
Sullo sfondo si colloca una comunità ora protagonista di un’azio-
ne organizzativa e politica che interessa il suo stesso ordinamento.
Ormai identificatasi con il corpo civico, fornisce a se stessa delle re-
gole di funzionamento collettivamente adottate e collettivamente vin-
colanti. È il grande tema delle leggi della Città arcaica 92.
Un’organizzazione politica collettiva certo implica una statualità.
Ma la presenza di strutture istituzionali può essere di per sé un crite-
rio per decidere se siamo in presenza di una vera comunità politica?
Se fosse scontata una risposta affermativa, sarebbe inevitabile identifi-

81
LA CIVILTÀ DEI GRECI

care lo sviluppo della polis con il processo di istituzionalizzazione. In


tal caso non potremmo che sottoscrivere la formula di Walter Don-
lan: «la forma-polis non fece che sviluppare, senza cambiamenti radi-
cali, lo stile politico della comunità pre-statale» 93. La polis arcaico-
classica non sarebbe allora che una sorta di esito naturale dell’istitu-
zionalizzazione della comunità omerica.
In realtà il rapporto tra istituzionalizzazione e pieno sviluppo del-
la comunità politica è problematico. I due processi non vanno ne-
cessariamente di pari passo.
Sparta conosce un precoce processo di istituzionalizzazione, ma in
seguito risoluzione dei conflitti e integrazione comunitaria non furono
perseguite attraverso l’ulteriore sviluppo civico e istituzionale. È inve-
ce sulla base di una peculiare configurazione dello stile di vita collet-
tivo e dei corrispondenti valori che Sparta sviluppa una forte ideolo-
gia della comunione civica.
Nelle poleis cretesi, viceversa, la normazione della vita pubblica
appare pervasiva, mentre l’integrazione della comunità resta man-
chevole. Dato l’imponente fenomeno della legislazione, se la matu-
razione della comunità politica fosse in diretta relazione con l’istitu-
zionalizzazione, dovremmo attenderci che nel mondo cretese i valo-
ri comunitari trovassero ampio spazio. Invece il quadro appare ben
diverso. Stando ad Aristotele (Pol. 1272b 1 ss.), nel IV secolo sia-
mo di fronte a comunità politiche che soggiacciono non al Nomos,
bensì al potere personale 94. Ma è una situazione che doveva risali-
re nel tempo: il conflitto interno e la disponibilità all’uso della for-
za paiono davvero un dato strutturale della società cretese 95. Nor-
mazione e tendenze disgregatrici della comunità sembrano qui ine-
stricabilmente connesse.
In generale pare innegabile – e il caso cretese sembra confermarlo
– che leggi e istituzioni sono destinate a rivelarsi insufficienti ove
manchino nella società sufficienti spinte all’integrazione e permanga-
no squilibri profondi e tensioni troppo forti. La polis è pur sempre
una comunità che esprime dal suo seno stesso la dimensione istituzio-
nale. Questa non è sorretta da un’autorità “esterna”. E perciò le isti-
tuzioni possono rivelarsi impari di fronte alle forze che rallentano lo
sviluppo della comunità politica o addirittura ne favoriscono il dis-
solvimento.
Lo sviluppo della polis, in definitiva, è dubbio possa considerarsi
esclusivamente l’esito di un processo di istituzionalizzazione. Tutto la-
scia credere che un ruolo essenziale abbiano giocato forti dinamiche
di integrazione.

82
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

INTEGRAZIONE

Ha scritto Denis Roussel in Tribu et Cité che «la Città non è nata
dall’incontro di un potere politico e di una società preesistente ad
esso; piuttosto, la Città è una società che si è organizzata essa stes-
sa in una comunità politica» 96. Queste parole riassumono conve-
nientemente la tesi, ormai accreditata, secondo la quale il modello-
polis non risulterebbe dalla statualizzazione di una società data,
bensì dalla progressiva definizione di una società politica. In effetti,
se una società in cui manchi un’istanza politica o religiosa sovraor-
dinata è chiamata da esigenze strutturali a esprimere un potere or-
ganizzativo e decisionale, è inevitabile che tenda ad acquisire coe-
renza interna e funzionalità comunitaria. Vale a dire a raggiungere
una misura sufficiente di integrazione territoriale, politico-sociale e,
non da ultimo, etico-culturale.
E davvero l’integrazione è il problema cruciale della polis, perché
è in gioco l’esistenza stessa della comunità. Il modello-polis presuppo-
ne una koinonia di liberi che siano sullo stesso piano dal punto di
vista politico e partecipino di una comune dimensione collettiva. Non
vi sono le possibilità strutturali perché possa funzionare diversamen-
te, ad esempio per impulso di accumulazioni di potere stabili e ido-
nee a dominare la società. E anche se ciò fosse stato possibile i Greci
non avrebbero riconosciuto la polis: «non c’è polis che sia di un solo
uomo» proclama Emone nell’Antigone (v. 737).
Tuttavia non solo dell’esistenza della polis l’integrazione è presup-
posto essenziale, ma anche della sua stabilità. La comunità arcaica
agitata dal conflitto si stabilizza accentuando la solidarietà interna,
cioè integrandosi. Va interpretato in questa prospettiva il consolida-
mento di Sparta a partire dal VI secolo 97. E tutto l’operato di Solone
ad Atene può essere inteso come un tentativo di stabilizzare la polis
attraverso misure che promuovevano il potenziamento – anche sul
piano etico-politico – della dimensione comunitaria. A Clistene si do-
vrà poi l’integrazione della polis e del corpo civico su scala regionale,
in definitiva la vera e propria configurazione dell’Attica tutta come la
polis degli Ateniesi.
Quello clistenico è solo il più noto dei casi in cui un profondo
riordinamento del corpo civico comporta radicali innovazioni nel si-
stema di ripartizione della cittadinanza basato sulle tribu. Con que-
sto veniamo a una questione fondamentale: vale a dire il ruolo del-
le cosiddette unità di ripartizione della polis. Il dato essenziale è
che queste, in particolare tribu e fratrie, configurano una soluzione

83
LA CIVILTÀ DEI GRECI

al problema della coesione e della funzionalità comunitarie che è


tipica del modello-polis: dove in Grecia l’organizzazione politica è
rimasta a livelli embrionali o ha battuto altre strade, esse mancano!
Ed è chiaro che le unità minori della polis sopperiscono a necessità
collettive che non possono essere soddisfatte per via burocratico-
amministrativa 98.
Tuttavia una prospettiva funzionalistica non sarebbe esauriente,
perché proprio nell’integrazione della comunità le unità minori gio-
cano un ruolo essenziale. Esse non sono ripartizioni amministrative,
ma vere e proprie comunità (koinoniai) più piccole; a loro volta,
come sosteneva Aristotele (Eth. Nic. 1160,28-9), «parti della comu-
nità politica», nonché luoghi privilegiati di quella philia costitutiva
di ogni koinonia 99, la quale per tale ragione rappresentava «il bene
più grande per le poleis» 100. Siamo dunque di fronte a strutture
della sociabilità civica, cruciali centri di partecipazione alla, e di
identificazione nella, vita comunitaria. Questo ruolo delle unità mi-
nori rivela bene l’importanza della dimensione associativa quale
fondamento dell’integrazione della polis in quanto struttura comuni-
taria. La koinonia politike sussiste perché integra non tanto una
pluralità di soggetti individuali, quanto un insieme di koinoniai più
piccole, configurandosi come una rete di strutture partecipative
minori.

DALL’APPARTENENZA ALL’IDENTITÀ DEL CITTADINO

È logico attendersi che i processi di integrazione arcaica abbiano avu-


to un risvolto sul piano delle forme ideali 101.
Questo rapporto tra integrazione e sviluppo di valori politici co-
munitari si lascia verificare in vari casi. Quello dell’etica comunitaria
e politica propugnata da Solone è emblematico. Non siamo di fronte
a un meccanico riflesso dell’integrazione della polis ateniese, né, gene-
ricamente, alla “mentalità” della polis, bensì a un elemento che con-
corre esso stesso alla formazione dell’identità politica della collettività
civica. Nell’Eunomia (fr. 3 Gentili-Prato) 102, la polis è intesa come
una dimensione comunitaria del cui assetto e andamento i singoli
sono responsabili. E non solo è pensata come un’unità solidale, ma
acquista anche un valore astratto, perché viene a identificarsi con
quell’ambito “demarcato” del koinon in cui non vigono le regole che
vigono per l’oikos.
Possiamo ora continuare a seguire il filo del rapporto tra integra-

84
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

zione e sviluppo di valori politici comunitari. Non è forse inutile al-


meno suggerire un percorso lungo il quale, a partire dalle forme ar-
caiche di appartenenza, arriva a costituirsi la forma ideale più com-
piuta dell’integrazione della polis, vale a dire appunto l’identità politi-
ca del cittadino. Perché questa si affermi saranno necessarie la politi-
cizzazione dell’identità collettiva e la definizione di una nozione for-
male di cittadinanza.

Prendiamo le mosse da Omero. Il fatto che la comunità omerica non


configuri una dimensione che vada al di là dell’insieme fisico degli
abitanti, e non determini l’appartenenza spiega perché non si può
parlare di un’identità politica comunitaria, né dell’esistenza di un cor-
po civico.
Un passo in avanti viene compiuto quando l’appartenenza divie-
ne la dimensione esistenziale entro la quale le aristocrazie dell’asty
vivono il proprio coinvolgimento nella vita politica. Una significati-
va testimonianza viene dal carme 130 di Alceo (fr. 130b Voigt) 103.
Qui la “persona poetica” è presentata come vittima di un bando
che l’ha allontanata dal centro della vita politica. I versi restitui-
scono l’immagine di una partecipazione politica coinvolgente, che è
una componente avita dell’identità individuale e familiare. In un
certo senso c’è una politicizzazione dell’appartenenza: ciò da cui si
lamenta l’esclusione è esattamente l’attività nel quadro delle struttu-
re civiche istituzionali. Ma si osservi: in questo caso l’appartenenza
presuppone una presenza “concreta” – e protagonistica – sulla sce-
na politica. Mentre né qui, né in quanto ci è noto di questa cultu-
ra aristocratica lesbia pare emergere la consapevolezza di far parte
di una comunità che agisce politicamente come gruppo ed è titola-
re di un potere per definizione collettivo. In definitiva, il coinvolgi-
mento esistenziale e identitario nella dimensione pubblica cui Alceo
130 ci mette di fronte non è tanto identificazione con la polis
quanto aspirazione a “usare” la presenza politica a favore di se
stessi e, si può aggiungere, della propria eteria.
Altrove il rapporto con la polis si va configurando diversamente.
Nell’Atene soloniana emerge una consapevolezza della comunanza
che ha un forte valore identitario. «La nostra polis» leggiamo all’ini-
zio dell’Eunomia (v. 1): dove polis è una dimensione che include la
collettività e nello stesso tempo alla collettività “appartiene”. Coeren-
temente Solone apre la strada anche a concreti progressi dell’integra-
zione comunitaria. L’abolizione dello status di “ectemoro” da un lato
e della schiavitù per debiti dall’altro definì una linea invalicabile al di

85
LA CIVILTÀ DEI GRECI

sotto della quale un Ateniese libero non poteva finire. Il che contri-
buì a fare del cittadino il detentore di particolari prerogative ad altri
precluse. Dunque il membro di una comunità privilegiata. D’altro
canto, la legislazione e il riordinamento del campo politico fondavano
un nuovo ordine comunitario ispirato a un ideale di giustizia colletti-
va. In questo contesto la “cittadinanza” come «appartenenza pubbli-
camente definita a un corpo civico nell’ambito di uno spazio propria-
mente politico» 104 poteva avviarsi a diventare una vera e propria
identità attiva.
Tuttavia per la concretizzazione del ruolo partecipativo intrinseco
a questa nozione di cittadinanza si dovettero attendere la caduta della
tirannide pisistratide e la svolta clistenica. Come aveva visto già Ari-
stotele (Costituzione degli Ateniesi 20,1), Clistene restituì a tutti gli
Ateniesi il posto nella vita pubblica che loro competeva. Conferì uno
statuto politico ai villaggi, ponendo per questa via le premesse istitu-
zionali perché la campagna assumesse un’identità politica. Il ruolo es-
senziale dei demi locali nella costituzione del Consiglio dei Cinque-
cento e la riforma delle tribu consentivano il coinvolgimento nell’or-
dine politico dell’intera Attica. E l’assemblea si avviò ad acquistare
una centralità nei processi di decisione pubblica mai avuta in prece-
denza in tutto il mondo greco.
Così la cittadinanza acquisì un senso inedito. Sul piano formale,
la registrazione dei cittadini nelle liste dei demi secondo procedure
fisse, uguali per tutta l’Attica e giuridicamente tutelate, istituiva per
la prima volta un sistema omogeneo che sanciva l’appartenenza le-
gale alla comunità politica degli Ateniesi. Sul piano sostanziale di-
venne più forte e tangibile il rapporto tra la polis e ognuno dei
suoi membri. E prese gradualmente forma un sistema idoneo a va-
lorizzare sul piano politico ampie cerchie del plethos civico e so-
prattutto a incentivarne la partecipazione ai processi decisionali. La
specificità della condizione di cittadino poteva così assumere un
posto centrale nel modo in cui era vissuta l’appartenenza alla co-
munità, perché tutti i membri del corpo civico, al di là di ogni
altra differenza, venivano a collocarsi sullo stesso piano nella di-
mensione politica.
Date queste premesse, nel corso del V secolo il progressivo dispie-
garsi dell’uguaglianza politica nel concreto contesto delle istituzioni
non poté non ripercuotersi sull’intensità dell’identità civica. Si è volu-
to sostenere che gli Ateniesi abbiano potuto cominciare a sentirsi
«cittadini nella misura più intensa, perché solo grazie a questa specifi-
cità potevano essere uguali» 105.

86
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

PARTECIPAZIONE E IMPEGNO CIVICO

[...] la frase banale secondo la quale nell’antichità


l’uomo non sarebbe stato che politico [...].
J. G. Droysen, Die attische Communalverfassung, in
Kleine Schriften zur alten Geschichte, Leipzig 1893,
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa vol. I p. 384

Tutto questo forse aiuta a spiegare la disponibilità senza precedenti


della cittadinanza ateniese all’impegno civico. Ma giova anche rifarsi
più lontano. In effetti il carattere non mediato dell’azione politica è
intrinseco alla natura comunitaria della polis. Del resto, l’unica possi-
bilità di auto-organizzazione politica di una società, in assenza di uno
stato in senso moderno, risiedeva nella partecipazione. Persino la po-
lis “aristocratica” conosce un impegno diretto almeno dei maggioren-
ti, come si è visto nel caso di Lesbo. E il nesso tra cittadinanza e
partecipazione era già tipico in età arcaica delle poleis che limitavano
il corpo civico. La democrazia appunto tale nesso generalizza ed
estende:

Niente lo dimostra meglio, in linea generale – ha scritto Philippe Gauthier –


delle formule dei decreti di concessione della cittadinanza, in cui in genere è
l’idea stessa della partecipazione (metechein) a esplicitare la nozione di citta-
dinanza: «e che un tale partecipi di tutto ciò di cui partecipano tutti gli altri
cittadini» 106.

Tutto questo, inoltre, aveva risvolti materiali o almeno concretamente


percepibili sul piano simbolico, come da ultimo ha ribadito Carmine
Ampolo:

I cittadini [...] ricevevano porzioni di carne nei giorni delle grandi feste, par-
tecipavano della bellezza, della grazia dei riti e dei santuari, ottenevano talo-
ra la loro quota parte dei doni fatti alla città [...], potevano partecipare a
certi banchetti pubblici. [...] Potremmo aggiungere a questo quadro somma-
rio la divisione del bottino tra i cittadini-soldati e la stessa costruzione di
santuari che spesso è finanziata con prede di guerra, e per finire con la de-
mocrazia ateniese, gli stessi µισϑοί, le paghe o indennità pubbliche 107.

Tuttavia, il fatto che la polis sia in sé – come abbiamo visto – una


struttura di partecipazione non spiega fino in fondo il fenomeno del-
l’impegno civico. Occorre anche insistere sul nesso tra impegno civi-
co e identità politica del cittadino. Perché nella democrazia ateniese

87
LA CIVILTÀ DEI GRECI

questa era esperita soprattutto sul piano della partecipazione alla vita
pubblica.
L’identificazione tra appartenenza alla comunità e la coscienza di
essere membri attivi dell’ordine politico collettivo dovette arrivare a
coinvolgere, nella democrazia ateniese degli ultimi decenni del V se-
colo, ceti minuti che nel mondo antico mai erano stati, o sarebbero
diventati, protagonisti sul piano politico. Ed è solo in questo contesto
che poté affermarsi quell’ideologia democratica della partecipazione
pubblica documentata dalla famosa affermazione periclea in Tucidi-
de: «siamo i soli a considerare un cittadino che non prende parte agli
affari pubblici, più che inattivo, inutile» (2,40, trad. it. di G. Doni-
ni).
Con ciò veniamo a un punto cruciale. Perché questa valutazione
dell’impegno civico non implica necessariamente che il cittadino de-
mocratico fosse una sorta di individuo totus politicus, per il quale la
politica era la dimensione esistenziale predominante. Non si dovrà
sottovalutare, in altri termini, il carattere ideologico della svalutazione
periclea del disimpegno. Significherebbe soggiacere ancora una volta
al fascino del mito storiografico della Polis 108. Inoltre va dato spazio
a un differente ordine di considerazioni. Ad Atene negli ultimi de-
cenni del V secolo avevano corso, anche se non erano “egemoni”, po-
sizioni che ammettevano ci si potesse astenere dall’impegno civico
pur restando membri della comunità. L’inattività politica (apragmosy-
ne) non era unanimemente condannata 109. Né mancano idealizzazio-
ni, certo non disinteressate, dell’agricoltore attico alieno dalla scena
pubblica 110. Nella democrazia di IV secolo acquista rilievo una posi-
zione non dissimile, e si arriva ad ammettere una distinzione tra go-
vernanti e governati, un certo grado di “professionismo” nei politici e
una certa misura di “disimpegno” politico nei cittadini 111.
Del resto, se ci spostiamo sul piano della realtà concreta della
partecipazione civica, siamo costretti a riconoscere una situazione che
non può essere vista certo come l’esatto corrispettivo delle parole di
Pericle. Nelle riunioni dell’assemblea il quorum di 6.000 cittadini era
richiesto solo in pochi casi e la grande maggioranza delle sedute era
meno frequentata. E nel IV secolo, più di 7.000 cittadini non poteva-
no nemmeno fisicamente trovarsi riuniti nella Pnice 112. Ma il punto
essenziale è un altro. Si va oggi affermando una revisione della tesi
invalsa secondo la quale il possesso di alcuni schiavi anche da parte
dei medi e piccoli agricoltori attici consentiva loro di disporre delle
possibilità economiche e del tempo necessario di prendere parte attiva
ai processi decisionali pubblici sulla scena politica dell’asty 113. In
realtà, la scarsa disponibilità di personale servile, nonché le difficoltà

88
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

di un’economia agraria spesso al limite della sussistenza, costringeva


molti a non assentarsi, o a ridurre al minimo le assenze, dalla campa-
gna. E a questo si aggiungeva la distanza topografica da Atene. Per la
grande maggioranza dei piccoli e medi proprietari terrieri attici che
non risiedevano nelle vicinanze della città, la partecipazione all’assem-
blea era impossibile o assai difficile.
In definitiva, è pur vero che con Clistene era stata inclusa nell’or-
dine politico l’intera Attica e si era configurata sul piano istituzionale
una piena parità di città e territorio, come mostra il meccanismo che
presiedeva al reclutamento dei membri del Consiglio dei Cinquecen-
to. Ma è necessario riconoscere che la realtà sociale e territoriale po-
neva ostacoli alla diretta partecipazione all’assemblea. La conseguenza
era probabilmente una non trascurabile “apoliticità” della campagna.
Si può pensare che l’ideologia della democrazia al suo apogeo tendes-
se a rimuovere questo aspetto. E che la “militanza civica” esaltata da
Pericle fosse uno dei tratti salienti di questa ideologia.
Ad essa si contrappone con penetrante lucidità la forte preoccu-
pazione del pensiero politico moderato ateniese per la politicità della
campagna e la presenza civica dei ceti minuti. Per Aristotele la mi-
gliore tra le democrazie era quella in cui il demo era occupato nell’a-
gricoltura e non nella politica:

[i contadini], poiché non possiedono molto, non godono di tempo libero,


tanto da non radunarsi spesso in assemblea; d’altra parte, la mancanza del
necessario per vivere li obbliga a dedicarsi al lavoro e a non desiderare i beni
altrui: trovano più piacere a lavorare che a vivere da cittadini (politeuesthai)
e a ricoprire una magistratura (archein), là dove i profitti derivanti dalle cari-
che non siano grandi 114.

Possiamo non simpatizzare, ma anche questa concezione rientra nel


quadro delle rappresentazioni antiche della polis. In più, dobbiamo
ritenere che corrisponda alla realtà degli assetti politici, soprattutto
non ateniesi. Perché nelle poche altre democrazie greche – per non
parlare, ovviamente, di altri regimi – non esistevano meccanismi di
valorizzazione politico-istituzionale della campagna. E quanto alla
partecipazione diretta dei piccoli e medi proprietari, le condizioni so-
cio-economiche dovevano essere di ostacolo ancor più che non ad
Atene. Né forse la cultura politica di questi ambienti contrastava tali
tendenze, se ha qualche valore il proclama pericleo circa la peculiari-
tà ateniese della riprovazione del disimpegno politico. In generale la
democrazia fu tutt’altro che l’organico compimento della polis: restò
una «fragile conquista politica» che, come ha scritto Paul Veyne, non

89
LA CIVILTÀ DEI GRECI

avrebbe resistito «neppure due secoli alle potenze sociali: verso la


fine del IV secolo i notabili prenderanno il potere e non lo lasceranno
più» 115.

Per una conclusione. Polis, stato, società

Per intendere la particolare statualità della polis è essenziale tener


presente una circostanza di ordine generale. In Grecia lo sviluppo di
un ordinamento stabile della collettività dovette prescindere da tutti
quei fattori che in altri ambienti hanno contribuito alla “origine dello
stato”. Non si poteva far conto sull’impulso fornito da un potere mo-
narchico o da istanze detentrici di tecniche complesse, non era possi-
bile l’aggregazione intorno a un’autorità religiosa, né le condizioni na-
turali o la minaccia di potenze esterne favorivano la concentrazione
del potere. Così, ordinamento pubblico e giustizia collettiva dovettero
costituirsi contestualmente, nel corso di un faticoso processo di orga-
nizzazione politica che ebbe luogo in seno alla comunità. Siamo di
fronte non alla strutturazione di una società da parte di un’istanza di
potere, bensì al progressivo definirsi di una società politica, in cui l’e-
sigenza della collettività di esprimere capacità organizzative e decisio-
nali è soddisfatta attraverso lo sviluppo di una funzionalità comunita-
ria. L’ordine comunitario della polis, osserva Oswyn Murray, «non
viene imposto dall’alto, ma piuttosto concordato dalla comunità nel
suo insieme, e accettato nella misura in cui è conforme a giusti-
zia» 116. Perciò la peculiarità della “statualità” della polis consiste nel
fatto che le decisione e le forme di organizzazione sono assicurate
preminentemente da un agire politico che prende posto “nel mezzo”
della collettività, cui partecipano direttamente i membri della colletti-
vità stessa.
In questa prospettiva trovano chiara spiegazione tratti essenziali
della polis, ben noti quanto spesso malintesi. Ecco perché non si dà
una differenziazione tra stato come struttura che organizza la società
da un lato e insieme dei cittadini dall’altro, e si può ripetere che la
polis coincide con quanti ne fanno parte. E perché non esiste una
vera distinzione tra governanti e governati. Anche quello che noi
chiamiamo il potere esecutivo dei titolari di funzioni pubbliche non
era veramente tale, e in ogni caso era assai debole; soprattutto essi
rimanevano semplici cittadini incaricati di un ufficio dalla collettività.
Né c’era un’organizzazione burocratica, o funzioni riservate a specia-
listi. È il caso di citare ancora una volta le parole di Murray:

90
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

L’amministrazione [...] era gestita da cittadini comuni a prescindere dalla


loro esperienza o abilità, [...] abitualmente nominati per un solo anno e spes-
so scelti per sorteggio. La legge [...] era essenzialmente una forma di arbi-
trato sottoposto al controllo di oratori e giurie di massa. Non c’erano esperti
in materie giuridiche o giudici, il cittadino comune era interprete della legge.
Non c’era cultura della punizione [...] 117.

Vale la pena di aggiungere che mancavano una vera e propria struttu-


ra di polizia incaricata di garantire l’ordine pubblico e un sistema
giudiziario in grado di perseguire di propria iniziativa i reati, mentre
l’esecuzione delle sentenze non era imposta dai tribunali, ma assicura-
ta grazie alla collaborazione delle parti in causa.
In anni molto vicini a noi non è mancato chi, sulla base del qua-
dro appena tracciato, ha conclamato il carattere non statale della po-
lis. «La polis può essere tranquillamente definita una comunità politi-
ca senza stato», è stato scritto 118. In quanto sprovvista di un potere
centrale e di un apparato coercitivo, essa sarebbe stata priva di vere
istituzioni, di un governo, nonché della possibilità stessa di essere go-
vernata 119. Si tratta di valutazioni che presuppongono la validità as-
soluta della definizione weberiana di “stato”: l’istituzione che può
dirsi tale quando e nella misura in cui può rivendicare con successo a
sé il monopolio dell’uso legittimo della costrizione nell’ambito di un
determinato territorio. Eppure Weber stesso riteneva che questo con-
cetto di stato fosse appropriato solo per lo stato moderno, razionale e
burocratico. Non a caso oggi si tende a credere che lo stato moderno
si sia definito appieno come struttura di organizzazione della società
solo all’inizio del secolo scorso 120. Perché dunque utilizzare il metro
della statualità moderna per valutare la realtà antica? Che senso ha
adottare criteri che costringono a identificare nella polis solo l’assenza
dei tratti distintivi dello stato moderno? In realtà è storicamente mol-
to più pertinente cercare di comprendere la peculiarità dell’organizza-
zione politico-istituzionale della polis che non rimarcarne le differenze
rispetto alle organizzazioni statali moderne e contemporanee. Tanto
più che uno degli aspetti cruciali di questa peculiarità è la funzionali-
tà comunitaria, su base consensuale e partecipativa, della polis: la
centralizzazione del potere e il monopolio dell’uso della coercizione
non sono obiettivi che la polis non raggiunge, bensì obiettivi che non
si pone 121.
Se dobbiamo rinunciare dunque a identificare la statualità della
polis esclusivamente con la centralizzazione del potere e il monopolio
dell’uso della costrizione, non possiamo peraltro negare il carattere
statale di altri aspetti. In particolare lo sviluppo di istituzioni formali

91
LA CIVILTÀ DEI GRECI

e la strutturazione di una sfera politica nel cui ambito si delinea una


distinzione tra pubblico e privato che, almeno sul piano concettuale,
nella democrazia ateniese perviene a un notevole grado di astrazio-
ne 122.
Ma ancora più essenziale è riconoscere che davvero tipica della
polis è proprio la scarsa differenziazione delle funzioni statali rispetto
alla società. Siamo di fronte, per usare una formula icastica, a una
«società politica e a uno stato fortemente determinato dalla socie-
tà» 123. Non si tratta certo di negare che nella polis e in particolare
nella democrazia ateniese la distinzione tra le sfere pubblica e privata
sia sufficiente a impedire che gli interessi privati influenzino il pro-
cesso decisionale pubblico. Né vale insistere sull’assenza delle nozioni
di “società civile” o di “individuo” detentore di inalienabili diritti ov-
vero sul carattere embrionale della differenziazione di una sfera “per-
sonale” 124. Piuttosto, si tratta di riconoscere le forme specifiche as-
sunte da quel particolare rapporto tra ambito politico e ambito socia-
le che pare in realtà costitutivo della polis.
Dobbiamo limitarci qui a pochi esempi. Nel campo legale si pos-
sono riscontrare istituti che sono politici in quanto tali nonché in
quanto regolano aspetti centrali del ruolo del cittadino, i quali tutta-
via hanno un preciso risvolto sociale perché toccano aspetti della
condotta personale e sociale. In definitiva istituti che sono intrinseca-
mente socio-politici ed esemplificano il nesso tra sfera politico-istitu-
zionale e sfera sociale. Ad esempio sono socio-politici l’istituto del
matrimonio e le leggi che lo regolano: un’istituzione sociale che sup-
porta la riproduzione del corpo civico 125. Ma poi c’è il grande tema
delle disuguaglianze di ricchezza e delle tensioni socio-economiche.
Con Josiah Ober va almeno ricordato che il sistema delle liturgie
pubbliche, insieme a certi istituti giuridici come lo scambio dei pa-
trimoni (antidosis), assolveva una funzione redistributiva all’interno
della polis, nel senso che gli Ateniesi più ricchi finivano di fatto per
sovvenzionare i cittadini più poveri. Altrettanto fondamentale è il fat-
to che le procedure democratiche nell’assemblea e nelle corti di giu-
stizia impedivano che la ricchezza privata dei ricchi si trasformasse in
una inattaccabile posizione di stabile superiorità socio-politica, collo-
cando un intero ceto al di là delle norme sociali e al di fuori della
portata del potere popolare. Da questo punto di vista le istituzioni, in
particolare la pratica della giustizia, erano funzionali a scopi di natura
sociale. Infine un altro aspetto rilevante, per quanto difficile da sop-
pesare e perciò spesso trascurato, del rapporto tra dimensione civico-
politica e ambito sociale è quello dell’influenza indiretta sulle decisio-
ni pubbliche dei non-cittadini (donne e meteci in particolare) 126.

92
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

In definitiva, le pratiche della sfera politica coinvolgevano la so-


cietà e viceversa. I due piani restavano distinti, ma non erano indi-
pendenti. Se la polis non è l’ambito del “puro politico” (in verità
neppure a Sparta), non è nemmeno la semplice forma politica dei
rapporti sociali. Piuttosto si configura, soprattutto nel caso ateniese,
come la risultante del rapporto tra una comunità di cittadini e un
contesto sociale più ampio. L’aveva intuito già Aristotele, come ab-
biamo visto, quando pensava la polis tanto come società umana che
raggruppa gli abitanti di un determinato luogo, quanto come comuni-
tà esclusiva di cittadini, dunque tanto unità sociale quanto ambito di
natura civico-statale.
Dovremmo parlare di una coesistenza di “città-istituzione” e “cit-
tà-società” 127, e probabilmente non ridurre la polis a mera dimensio-
ne politico-istituzionale. Ad ogni modo, questa coesistenza non durò
a lungo. Forse anche perché comportava una sorta di contraddizione.
Vale a dire la convivenza di una realtà civica di uguali in politicis e di
una società marcata dalla disuguaglianza socio-economica. C’è da
chiedersi, peraltro, se i moderni abbiano davvero trovato una solu-
zione.

Note

1. In generale, Gawantka, 1985.


2. Ehrenberg, 1967, p. 39.
3. Meier, 1969, p. 308.
4. Gawantka, 1985.
5. La cui raccolta e interpretazione costituiscono il primo compito che si è posto
il Copenhagen Polis Centre, voluto e indirizzato da Mogens Herman Hansen; per il
programma e l’impostazione della ricerca, cfr. Hansen, 1993b, 1994a, 1997. Per la
discussione delle valenze antiche di polis, cfr. Hansen, 1995b, pp. 45-52 e soprattutto
Hansen, 1996.
6. Su ptolis, cfr. Hansen, 1993b, pp. 9-10 e note; tradizione epica: si discute se il
senso di “roccaforte” non sia da riconoscersi in Il. 4,514 e 7,370: cfr. Lévy, 1983, pp.
59-60; sopravvivenza: nella terminologia “ufficiale” delle iscrizioni, soprattutto, ma
non solo, ad Atene: in questi casi l’accezione è quella di “acropoli”, talvolta anche –
ed è notevole – di un demo: documentazione in Hansen, 1996, pp. 26, 34-6.
7. Hansen generalizza questo risultato dell’analisi semantica e contestuale formu-
lando quella che si compiace di chiamare la Lex Hafniensis de civitate: cfr. Hansen,
1996, p. 33; Hansen, 1997.
8. Ad es. l’impero persiano in Aesch. Pers. 511-12 e 715.
9. Per la dimostrazione di questa e delle precedenti affermazioni, cfr. Hansen,
1996, in part. pp. 25 ss.
10. Cfr. al riguardo Hansen, 1996a, ma va tenuto anche presente, a parziale cor-
rettivo, Ober, 1993.
11. Herod. 8,61 (trad. mia).

93
LA CIVILTÀ DEI GRECI

12. Thuc. 7,77,7.


13. Thuc. 7,77,4 (trad. Moggi); cfr. quanto si aggiunge in 77,6: «ciascuno di voi
si convinca solo di questo: quale che sia il luogo in cui sarà costretto ad accettare la
battaglia, in tale luogo avrà, se riuscirà a vincere, una patria e un baluardo».
14. Cfr. ora Hansen, 1994.
15. Così Hansen, 1996b, pp. 33-4: «the traditional rendering of polis namely by
city-state, is basically correct and not a misnomer as it has become rather fashionable
to say»; cfr. in generale Hansen, 1994b e 1995a.
16. Ehrenberg, 1937.
17. Per quest’ultimo aspetto, cfr. in part. p. 155 (pp. 123-4 del testo italiano).
18. Cfr. ad es. Snodgrass, 1977 e 1980 e cfr. anche, con un’impostazione diffe-
rente, Morris, 1987; cfr. inoltre la discussione in Whitley, 1991, pp. 39-45. Per una
critica dell’equiparazione di “formazione dello stato” e “nascita della polis” (peraltro
in una non condivisibile prospettiva di continuismo con gli assetti del II millennio),
cfr. ora Morris, 1991, pp. 40 ss.
19. Ehrenberg, 1967, p. 16.
20. Cfr. ad es. Snodgrass, 1977, p. 8; 1980, pp. 26-8, con una parziale revisione.
Una rinuncia a postulare un ordine tribale come antecedente della polis è ora in
Snodgrass, 1991, p. 16.
21. Cfr. Bourriot, 1976 e Roussel, 1976.
22. Perché la polis di Ehrenberg non possa – nonostante Ehrenberg stesso –
configurare un “tipo ideale” weberiano è discusso con acume in Meier, 1969, pp.
369-70.
23. Cfr. ad es. Service, 1975; Cohen, Service, 1978 e ora Earle, 1991 (sintomati-
camente debole il saggio qui dedicato al mondo greco: Ferguson, 1991). Troppo lega-
to a questa antropologia politica evoluzionistica si mostra ora Donlan, 1997.
24. Per questa nozione cfr. Hägg, 1983.
25. Per questo tipo di ricostruzione, cfr. ad es. Snodgrass, 1977, 1980, 1991,
1993; cfr. anche Murray, 1996, pp. 84-6.
26. Snodgrass, 1993, p. 35.
27. Si rimanda alla penetrante discussione di tali questioni reperibile ora in Os-
borne, 1993, pp. 74-81.
28. Perché non sappiamo se l’incremento dei siti corrisponda in qualche misura
al passaggio a modalità insediative più stabili conseguenti alla crescente importanza di
un’economia a dominante agricola. Né possiamo dire se in certi casi la moltiplicazione
dei siti presupponga una maggiore frammentazione insediativa.
29. Osborne, 1993, p. 80.
30. Un’ottima discussione sintetica è in Osborne, 1993, pp. 88-90.
31. Importante in questo senso Sourvinou Inwood, 1993.
32. Mutuo l’espressione da Musti, 1991, p. 17, un contributo importante soprat-
tutto per l’insistenza, fuori dalla schematica contrapposizione “continuità/discontinui-
tà”, sul «lungo antefatto agli sviluppi di VIII secolo» (ivi, p. 21).
33. Van Effenterre, 1985.
34. Morris, 1991, p. 27; cfr. anche pp. 41-2.
35. Bintliff, 1994, p. 221.
36. Per una critica metodologica di tale pretesa cfr. Greco, Torelli, 1983, p. 92.
37. Davies, 1997, p. 29; l’intero contributo è ormai imprescindibile.
38. Così Davies, 1997, p. 30: «Early polis formation has therefore to be seen as a
special subset of state formation, occurring in certain areas of Greece».
39. Cfr. in part. van Wees, 1992, pp. 28-31 e Olson, 1995, pp. 184 ss.; più bre-
vemente, Crielaard, 1995, pp. 243-4.

94
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

40. Su Troia e più in generale sulla “città” omerica è essenziale Scully, 1990 (di-
scusso bene da W. Donlan, in “Arion”, III, s. 5, 1, 1997, pp. 242-52). Su Itaca cfr.
Raaflaub, 1993, p. 49, ma la migliore discussione è Olson, 1995, pp. 189-99.
41. Interessante riferimento alla fondazione mitica di Tebe e delle sue mura in
Od. 11,262-5.
42. Ad es. la mal nota Feia (7,135); ma cfr. anche 9,552, 573-4 (Calidone); 2,559,
646 (Tirinto e Gortina).
43. Van Wees, 1992, p. 29 e p. 323, n. 10.
44. A Pilo, Troia, Itaca e Scheria (Van Wees, 1992, p. 29 e p. 323, n. 11), ma
persino presso i Lestrigoni (Od. 10,114); cfr., in generale, Hölkeskamp, 1997.
45. A Scheria (Od. 6,10,266), Troia (Il. 5,446; 6,297-303; 7,83); ad Atene (Il.
2,549-51); a Delfi (Il. 9,404-5; Od. 79-80); per gli altari, cfr. Crielaard, 1995, pp. 247
ss.
46. Una fontana pubblica, come a Itaca (Od. 17,205-11), nonché una lesche, am-
biente coperto che fungeva da luogo di incontro e di ricovero per chi ne avesse biso-
gno (18,329); infine, pare concepibile un demios oikos (20,264-5).
47. Mele, 1978, pp. 42-3 e note 108-12; ora anche Lévy, 1983, pp. 59-60; essen-
ziale però Cole, 1976.
48. La tendenza in questione pare adombrata, soprattutto nell’Odissea, dall’equi-
valenza delle espressioni kata ptolin e kata demon (documentazione in Mele, 1978, p.
43, n. 115).
49. Meyer, 1937, p. 307.
50. Scully, 1990.
51. Cfr. al riguardo Schnapp, 1996, pp. 122-9 (La città degli scudi).
52. Od. 2,30-2 (trad. di G. A. Privitera).
53. Cfr. Il. 3,204-24; 11,122-42 per l’ambasceria e 3,309 per l’assemblea troiana.
54. Come ha sostenuto con validi argomenti Sale, 1994, pp. 62-80.
55. Il. 6,113 ss.; 15,721 ss. Analogamente, sono il basileus e i gerontes a inviare il
giovane Odisseo a chiedere conto ai Messeni di un raid da essi compiuto contro Itaca
(Od. 21,11-21); al riguardo cfr. Raaflaub, 1997.
56. In un contesto complessivo in cui predominano i legami di amicizia e ospita-
lità reciproca su base personale e familiare, troviamo gli Itacesi e i Tesproti legati da
relazioni privilegiate che vengono rappresentate come particolarmente care all’intero
demos (Od. 21,11-21); al riguardo cfr. Raaflaub, 1997.
57. Come ha scritto con bella sintesi Alfonso Mele, «il capo che con la sua azio-
ne mette in pericolo la comunità si trova esposto al malumore e alla critica dei suoi
[...]. V’è perfino la possibilità dell’interdizione per chi, basileus, insiste in un atteggia-
mento lesivo della comunità; e v’è il pericolo di una reazione violenta, come quella
[...] attuata dagli Itacesi contro il padre del basileus Antinoo, reo di lesa alleanza con
i Tesproti» (Mele, 1968, pp. 79-80, con documentazione alle note 67-74).
58. Carlier, 1998.
59. Cfr. al riguardo Flaig, 1994, importante sull’assemblea omerica in generale;
cfr. da ultimo Flaig, 1997.
60. Cfr. ad es. Od. 2,68-9.
61. Sulle regole dell’adunanza e, più in generale, l’ordine comunitario in Omero
cfr. ora Hölkeskamp, 1997, pp. 11-4.
62. Se è vero che il basileus non è un big-man melanesiano, non direi che il mo-
dello di una big-men society proposto a suo tempo (Quiller, 1981) sia inutile a com-
prendere il mondo omerico, come troppo schematicamente si sostiene in Carlier,
1996; cfr., viceversa, le considerazioni in Mossé, Schnapp-Gourbeillon, 1997, pp.
119-23.

95
LA CIVILTÀ DEI GRECI

63. Cfr. Mele, 1968, pp. 40-60 (CAP. VIII, Themis e la società iliadica), in part. pp.
41 e 52; Mele, 1978, pp. 57-61.
64. Ad es. chi «si compiace di guerra intestina» è athemistos (nonché aphretor e
anestios): Il. 9,63-4.
65. Calhoun, 1962, pp. 432-3.
66. Od. 9,149-56; 291-8: i sette ptoliethra offerti ad Achille.
67. Od. 24,355 e 376-8; cfr. Il. 2,630-7; anche Syrie è un’entità unitaria che com-
prende due poleis (Od. 15,412-4).
68. Cfr. Il. 2,591-602 e 11,670-761, in part. II, 711. van Wees, 1992, pp. 36-41
documenta bene, ma appare troppo sbrigativo nel conclamare una (non meglio defini-
ta) natura statale di queste entità che vanno «beyond the town».
69. Cfr. Mele, 1978, p. 49.
70. Cfr. ad es. Donlan, 1989, p. 15: «quite clearly, the epic poet and his listeners
identified the word-concepts “land/people” with a central place, the principal settle-
ment of the land»; in Crielaard, 1995, p. 246 si può leggere che «there are passages
in Homer in which the word polis connotes a political, more than a topographical, defi-
nition of state, encompassing both city and countryside. This points at a conception
of the polis not unlike that of the Classical period».
71. Il. 3,50; 24,706; cfr. anche Mele, 1978, p. 42 e n. 108.
72. Cfr. ad es. Raaflaub, 1993, pp. 55-8.
73. Il. 12,243; 15,494-9.
74. Il. 6,327-31.
75. Il. 15,556-8; 3,48-50; 6,327-31; cfr. Metz, 1990; alcune sfumature esigono le
pur acute considerazioni di Walter, 1993, p. 73 sulla Polisgesinnung dell’eroe omeri-
co.
76. Ad es. nella paradigmatica storia di Meleagro che Fenice propone ad Achille
renitente a combattere (Il. 9,527-99) o in una similitudine oddissiaca (Od. 8,523-5).
77. Cfr. Il. 15,494-9 («chi dovesse tra voi / [...] incontrare la morte e il suo fato, /
muoia! Non sarà vergogna per lui restare ucciso / combattendo per la patria (patre);
ma sarà salva la moglie ed i figli, / intatti i beni e la casa (oikos kai kleros), se fi-
nalmente gli Achei / con le navi faranno ritorno alla loro terra nativa» (trad. di G.
Cerri) e 8,55-8 («Per tutta la città si armavano dall’altro lato i Troiani, / ed erano in
meno; ma tuttavia bramavano battersi, / per necessità assoluta, per i figli e per le
donne»). Ancora fondamentale Leimbach, 1978, che deve servire a sfumare Raaflaub,
1993, pp. 57-8.
78. Polis coincide, in senso materiale e topografico, con l’asty (Il. 6, 327-31), ov-
vero è distinta da demos e vale perciò “centro abitato”: non “collettività”, né tantome-
no “unità statale” (Il. 15, 556-8).
79. Come vide acutamente Wilhelm Hoffmann (1956, p. 160).
80. Donlan, 1989, p. 28.
81. Crielaard, 1995, p. 246; cfr. anche Raaflaub, 1993, p. 54 («la connessione,
tipica della polis sviluppata, tra proprietà della terra, capacità bellica e cittadinanza,
ovvero diritti politici, dev’essere esistita in questa polis omerica, per quanto in manie-
ra informale e poco sviluppata»).
82. Mele, 1968, p. 53.
83. Murray, 1993a, p. 47.
84. Con i Pentilidi di Mitilene, a proposito dei quali si parla esplicitamente di
basilike dynasteia (Arist. Pol. 1311b 26 ss.).
85. Con i Basilidi di Eritre ed Efeso, forse anche di Chio: cfr. Arist. Pol. 1305b
18 ss.

96
2. ALLA RICERCA DELLA POLIS

86. Nell’immensa bibliografia su Sparta si rimanda in part. a Finley, 1981; Na-


fissi 1991; Murray, 1993a, pp. 82-95 e 1996, pp. 195-219; Hodkinson, 1997.
87. Un utile quadro d’insieme su queste forme di servitù collettiva è in Garlan,
1984, pp. 77-92.
88. Per un’ottima disamina del caso di Corinto cfr. Welwei, 1988, pp. 365-70.
89. Meiggs, Lewis, 1988, nr. 2 (van Effenterre, Ruzé, 1994, nr. 81); per l’inter-
pretazione storica cfr. Gehrke, 1993, pp. 53-4 e 1997, p. 57 e n. 173.
90. Meiggs, Lewis, 1988, nr. 8, fr. C (van Effenterre, Ruzé, 1994, nr. 62); cfr., in
generale, Mazzarino, 1947, p. 231; Ampolo, 1983; Gehrke, 1993, pp. 51-3; Walter,
1993, pp. 91 ss.
91. Sulla decisionalità politica arcaica cfr., da ultimo, Ruzé, 1997; Carlier, 1998.
92. Un quadro esaustivo della documentazione ora in Hölkeskamp, 1999.
93. Donlan, 1989, pp. 28-9.
94. Cfr. in part. 1272b 13-5: «E in effetti, cosa differenzia una situazione del
genere – osservava Aristotele – da quella in cui una città non è temporaneamente più
tale e si è dissolta la comunità politica?» (trad. mia).
95. Come ha visto acutamente Hans Joachim Gehrke nel più importante studio
recente sulla società cretese (Gehrke, 1997, p. 66).
96. Roussel, 1976, p. 42.
97. Importante, da ultimo, Hodkinson, 1997.
98. Sulle unità minori di ripartizione della polis cfr., in generale, Roussel, 1976,
p. 43; Jones, 1987 e 1995; Lambert, 1993; Murray, 1993a, pp. 14-8, 95-100; Davies,
1996.
99. Arist. Eth. Nic. 1159b 27 ss.; 1160a 18 ss.
100. Pol. 1262b 7-8; cfr. Eth. Nic. 1155a 23 ss.
101. Per un fecondo approccio teorico al rapporto tra processi di integrazione
socio-culturale e sviluppo delle identità collettive si rimanda ad Assmann, 1997, in
part. pp. 107-11.
102. Una lettura socio-politica particolarmente fine è in Stahl, 1992.
103. «[...] Me sventurato, vivo la vita che tocca agli zotici, bramando di sentir
convocare dall’araldo l’assemblea, o Agesilaida, e il consiglio; è nel possesso di queste
prerogative che mio padre e il padre di mio padre sono invecchiati, insieme a questi
cittadini che ora si recano danno l’un l’altro, ma io me ne trovo escluso, esule in una
landa remota [...]» (vv. 1-9; trad. mia); importanti osservazioni, da ultimo, in Ampolo,
1996, pp. 309-10 (con documentazione e bibliografia).
104. Cartledge, 1996, p. 704. Sulla nozione formale e la configurazione istituzio-
nale della cittadinanza cfr. in generale Davies, 1977-78; Gauthier, 1981; Vatin, 1984;
Meier, 1989; Manville, 1990; Whitehead, 1991; Mossé, 1993; Todd, 1993, pp.
174-84.
105. Meier, 1989 (con lievi modifiche nella traduzione).
106. Gauthier, 1981, p. 171.
107. Ampolo, 1996, pp. 322-3; sulla partecipazione civica da un punto di vista
più generale sono importanti le pp. 312-24; vasta documentazione e buone analisi in
Sinclair, 1988.
108. Non è forse una caso che chi ha particolarmente insistito, come C. Meier,
sulla natura esclusivamente politica della dimensione entro la quale viveva il cittadino
greco, faccia ricorso a una serie di espressioni di Burckhardt che riflettono una visio-
ne della Polis come totalità organica cui l’individuo era ineludibilmente sottomesso:
cfr. Meier, 1989, pp. 59 e n. 113 (una «cittadinanza tanto veemente, in cui si è solo

97
LA CIVILTÀ DEI GRECI

cittadini») e 54, note 97-8 (il polites come «l’individuo completo dell’antichità»; i Gre-
ci quali il «popolo nel cui ambito chi solo avesse potuto si formava e viveva per la
totalità, non per un interesse particolare»).
109. Cfr. in generale, Carter, 1986.
110. Il Trigeo della Pace di Aristofane non era «amante dell’attività politica» (v.
191) e nei Georgoi un contadino è pronto a pagare pur di non ricoprire cariche pub-
bliche (fr. 102 Kassel-Austin). Nel dibattito delle Supplici euripidee Teseo non con-
traddice l’araldo tebano quando questi sottolinea le difficoltà che l’agricoltore non be-
nestante incontra nell’interessarsi degli affari pubblici (vv. 420-2), mentre nell’Oreste
l’autourgos, pur frequentando raramente l’asty e l’agora, svolge comunque un ruolo
essenziale per la comunità (vv. 917-30).
111. Demostene, ad es., che pure propugnava l’ideale della partecipazione “mili-
tante” non esitava a concedere che era possibile per la maggioranza dei suoi concitta-
dini «vivere tranquillamente senza esser ingiusti e senza nuocere alla città» (Sulla coro-
na, 308).
112. Cfr. Hansen, 1996c.
113. I termini della questione e la bibliografia relativa possono essere desunti da
Meiksins Wood, 1988 e Ameling, 1998.
114. Pol. 1318b 11-6 (trad. mia); cfr. anche, nello stesso senso, 1319a 32-8.
115. Veyne, 1988, p. 89.
116. Murray, 1993a, p. 101.
117. Ivi, p. XIV.
118. Cartledge, 1996, p. 45, con un rimando a Berent, 1994.
119. Berent, 1996, in part. p. 44.
120. Cfr. ad es. Blickle, 1998, p. 1, sulla base di Conze, 1990, p. 2.
121. Molto bene Osborne, 1985, p. 7.
122. Musti, 1985; cfr. anche Hansen, 1989, pp. 17-21, in generale un contributo
importante, di cui però non si condivide la rigida impostazione “separatista” in riferi-
mento al rapporto tra “stato” e “società”, per cui la polis sarebbe «uno stato, non una
fusione di stato e società» (ivi, p. 21).
123. Meier, 1969, p. 324.
124. Cartledge, 1996, pp. 47 ss.
125. Per un’analisi in questa prospettiva del rapporto tra mondo privato della
famiglia e dell’oikos da un lato e ambito civico dall’altro cfr. ora Patterson, 1988.
126. Cfr. Ober, 1989, in part. pp. 199-202 e 1993, pp. 145 ss.
127. Cfr. per la definizione Polignac, 1995, ma una distinzione analoga è in Mur-
ray, 1993b (a proposito di “polis necessaria” e “polis naturale”), nonché in Ober,
1993, in cui si ricorre ai termini di “politico-polis” e “geo-polis”.

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