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7 «Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà
forse, quando quello torna a casa dai campi: "Vieni subito a met
terti a tavola"? 8 Non gli dirà invece: "Preparami la cena, rimbóc
cati le vesti e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, poi man
gerai e berrai tu"? 9 Si ritiene forse obbligato verso quel servo
perché ha fatto quello che gli era stato comandato? 10 Così, an
che voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite:
"Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in ob
bligo di fare"».
Care sorelle, cari fratelli,
leggendo questo brano non posso far a meno di pensare che una
volta sono davvero riuscito a dare una mano ad una persona arri
vata al fondo. Una persona che stava per fare una cosa che l'a
vrebbe portata in una situazione senza via d'uscita e senza la mi
nima possibilità di essere più aiutata.
Non mi ricordo se alla fine questa persona mi ha ringraziato. Non
so nemmeno se ha veramente capito che il mio intervento di aiuto
era stato decisivo per la svolta nella sua vita.
Ve lo racconto perché c'è anche l'altra situazione: una volta sono
stato io a trovarmi in una situazione difficile. Il lavoro di anni, gli
studi, tutto sembrava inutile. E poi c'è stata una persona che mi ha
dato una mano. Questa persona ha rischiato tanto. Ciò nonostante
mi ha voluto aiutare.
Quando la mia situazione è migliorata gli sono stato molto grato.
Dopo un po' di tempo però la gratitudine è scesa verso zero. Oggi
non sono più nemmeno in contatto con questa persona. Le ultime
lettere sembravano già artificiali. Ovviamente la persona era stata
un aiuto nella mia situazione di allora, ma un rapporto non si può
basare solo su questo.
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Forse anche voi conoscete degli esempi in cui vi rendete conto
delle poche capacità di mostrare veramente gratitudine. Tutto
sembra naturale e dovuto, ringraziare è difficile, e poi, c'è chi di
mentica velocemente il bene che ha ricevuto.
E ora sembra che il nostro brano biblico ci dica: Dio è come noi.
La parabola sembra voler evidenziare questo: il padrone è Dio,
gli schiavi chiamati a servirlo siamo noi. Il succo della parabola
sembra: quando avremo fatto tutto il possibile, tutto il lavoro da
fare, quando ci saremo impegnati al massimo, quando investiamo
tutta la nostra vita nel servizio per Dio, una cosa sembra certa, al
meno in questa parabola: non ci sarà gratitudine da parte di Dio.
Non ci sarà ricompensa, non potremo discutere con Dio: “Dio,
ma tu dovresti ...” Dio non deve niente e non ha nessun senso
dire: “Ma io ho fatto ...” La parabola sembra dire che non abbia
mo fatto più di quanto ci è stato chiesto. Non c'è merito, non c'è
ricompensa, Dio non paga per i nostri lavori dandoci uno “stipen
dio” che ci permette di vivere bene. Dio non esprime gratitudine,
anzi è lui a ricordarci l'imperfezione del nostro agire.
Tutto ciò è molto protestante, vero? La parabola sembra descrive
re un pilastro della fede evangelica: davanti a Dio non ci sono
meriti; anche se fossimo in grado di fare le più belle e utili cose
del mondo, non potremmo presentarci davanti a Dio volendo una
ricompensa o una qualità migliore della salvezza.
E' giusto che sia così, la salvezza per grazia è un tesoro enorme
che ci toglie tante paure, soprattutto la paura di non farcela.
Rimane però un gusto un po' amaro sulla lingua. Io non mi senti
rei contento, se il sermone dovesse finire qui, con questa verità
evangelica. Qualcosa in questa parabola non mi ha convinto, per
ché conosco tante persone che vivono la fede senza gioia in que
sta purezza di servizio senza ricompensa. La fede diventa un peso
da sopportare e la rende poco invitante.
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Perché la salvezza per grazia rischia di di fare di noi delle persone
che vivono la fede come un peso?
Manca una cosa, anzi LA cosa più importante. Ve lo spiego con
ciò che mi ricordo delle lezioni di fisica nucleare seguite a scuola,
cioè: quando particelle con carica negativa vengono messe in
contatto con un numero più elevato di particelle positive il tutto
diventa positivo. Le particelle negative vengono, per dirlo in pa
role semplici, neutralizzate. Una cosa negativa può quindi diven
tare positiva se viene messa in contatto con delle cose positive.
Per la nostra questione significa: il duro lavoro senza ricevere
nemmeno un semplice “grazie” riceve una sovraccarica positiva
se lo vediamo nelle coordinate dell'amore.
Già nelle relazioni umane sappiamo che quando si ama una per
sona la si “serve”. L'amore fa sì che le persone sono attente una
verso l'altra. Ci si dona reciprocamente. E tutto ciò non per aspet
tarsi una ricompensa. L'amore non contabilizza le sue azioni. L'a
more vive senza commercialista, perché l'amore che dà per rice
vere non è amore.
Gesù in fondo vuole dire questo: vivere nell'amore non ci dà l'im
pressione di essere costretti a fare certe cose. L'amore fa sì che ci
impegniamo volentieri con tutte le nostre forze senza pensarci
due volte e senza trovare delle scuse e mettere il servizio per Dio
alla fine della scala delle cose da fare.
Come vivere però l'amore? Alla base sta la sensazione di essere
amate o amati. Alla base sta l'amore di Dio per noi. Tutto ciò che
egli fa per noi è segno d'amore. E Dio è l'ultimo a volere una ri
compensa, a dirci: vedete, io vi faccio tante cose, sono pure morto
in croce, mi sono sacrificato interamente per voi, ora spetta a voi
sacrificarvi per me.
Dio ama e l'amore non vuole ricompensa, l'amore è incondiziona
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to. Dio non dice: se fai così, ti salvo, se non lo fai o non sei in
grado di farlo, sei fuori.
Dio ama, e di questo amore possiamo essere certi. Vi ricordo solo
il mio versetto preferito in Romani 8. L'amore di Dio non viene
mai meno.
E questo è molto importante, perché noi umani siamo dei perden
ti: perdiamo la forza, la giovinezza, la salute, perdiamo nel corso
della nostra vita delle persone a noi care, vuoi perché lasciano
questa terra, vuoi perché non ci si capisce più.
Dio non lo perdiamo e Dio non ci manda via, anzi ci invita a vi
vere nel suo amore, a fare sì che il suo amore non rimanga un
amore a senso unico, cosa impossibile, ma amore reciproco.
Se ci facciamo contagiare da questo amore lo viviamo anche noi,
e succede come quando due persone sono innamorate: si dedica
no l'una all'altra senza pensare minimamente ad una ricompensa.
L'amore rende naturale voler fare qualcosa. Non è un surplus, ma
la condizione di base di chi esprime il suo amore: fare qualcosa
per la persona amata.
Come può essere il nostro servizio per Dio? Certamente non si
esaurisce nella partecipazione al culto e allo studio biblico, anzi,
le attività tipicamente ecclesiastiche come chiamiamo di solito il
culto e lo studio biblico non sono servizi nostri per Dio, ma servi
zi di Dio per noi. Per questo non ci si può rinunciare. Nello studio
biblico e ancor di più nel culto accade che Dio ci mette in piedi,
ci prepara al servizio d'amore.
Il nostro servizio d'amore per Dio lo svolgiamo al di fuori delle
mura della chiesa. Il nostro servizio è servizio d'amore per altri.
Il teologo Adam dice: “Dio si sente talmente vicino all'essere
umano, che chi dice di amare Dio non può non amare gli umani.”
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Attenzione però che non diciamo: dove gli umani si amano lì si
trova Dio. Non possiamo ridurre Dio ad un evento infraumano. E
c'è l'altro equivoco che potrebbe sfociare dalle nostre riflessioni
di stamattina: “non vado mai al culto, ma sono un cristiano mi
gliore di quelli che corrono in chiesa la domenica. Io amo il pros
simo.”
Anche questa tesi non ha senso. L'amore di noi cristiani per il
prossimo non nasce dalla motivazione di un umanista o di un fi
lantropo. Le nostre azioni che, per chi sta fuori, non si distinguo
no e non si devono distinguere dalle azioni filantropiche o umani
stiche, le nostre azioni hanno il loro senso solo nell'amore di Dio,
diventano ”normali” per chi si sa amato e risponde all'amore.
Dice Giovanni: Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'a
more è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio.
Chi ama vede l'altro con occhi diversi, impara a capire se chi ci
sta davanti ha sete di acqua o di amore, vuole un pezzo di pane o
un quarto d'ora in cui qualcuno lo ascolta, desidera stare con altri
o ha bisogno di ritirarsi un po'.
Per vivere l'amore bisogna conoscere gli umani, dobbiamo andare
al cuore e non fermarci alle apparenze. Se ci fermiamo alle appa
renze vedremo spesso solo delle facciate.
Certo potremmo dire che questi sermoni li abbiamo sentiti spesso.
Ma una cosa è sentire e ascoltare e un'altra è fare. E se vediamo
attorno a noi tante persone sofferenti e disperate ci dobbiamo
chiedere il perché. Forse perché parliamo e ascoltiamo volentieri
ma non ci sentiamo talmente contagiati dall'amore di Dio da fare
il passo e vivere questo amore? Amen.
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