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Opus 31 Sonate (3) in sol

maggiore, re minore, mi
bemolle maggiore per
pianoforte
Seconda Sonata Anche di questa il manoscritto originale è perduto. Gli
abbozzi, riguardanti prevalentemente il primo tempo, si trovano nel
quaderno Kessler, ove precedono di una cinquantina di pagine quelli della
Sonata in sol maggiore, testé veduta, che tuttavia figura come la prima
dell’opera. Nella proposizione Adagio-Allegro delle prime venti battute è
contenuto già in nuce lo spirito dell’intero tempo : non vi appare soltanto il
primo tema — esposto per così dire allo stato di riposo — ma anche il senso
di agitazione del secondo, che seguirà con tanta ampiezza e passione dopo
che il primo, completato in un certo senso dall’aggiunta di una tenue frase
implorante, sarà passato all’azione con l’entrata dell’ Allegro vero e proprio
alla ventunesima battuta. Lo sviluppo, basato sul primo tema, è anch’esso a
forte tinta drammatica. Molta efficacia ha poi l’introduzione del recitativo
nella riproposizione Largo-Allegro con cui si inizia la ripresa. Nella coda
una ulteriore derivazione del secondo tema disperde l’agitazione nel cupo
mormorio del basso.
Un Adagio segue una linea di graduale schiarita: dallo esordio misterioso, a
piccole frasi, alla progressione ascendente della melodia in crescendo
accompagnata dalla figura di timpano del basso e alla limpida definizione
del secondo tema, che ne stabilisce il punto centrale luminoso, per poi
tornare di nuovo ad oscurarsi e ripetere il ciclo, con un poco più di
animazione nella prima parte, fino alla conclusione insieme tranquilla e
velata. Una pagina di fascinosa fantasia, che prepara adeguatamente
l’Allegro finale. Di questo è stato detto ch’esso « risuscita una specie di
super clavicembalo, o evoca una inesistente arpa a tastiera con il suo moto
fitto e continuo nello svariare dei coloriti dinamici e delle tinte armoniche
»-1 Parole che, mentre definiscono la fisionomia tecnica, schiudono l’adito
a immaginazioni di delicatezza, di colori translucidi, di giuoco raffinato, di
preziose filigrane. È da ricordare una qualche analogia con l’ultimo tempo
della Sonata in la minore K. 310 di Mozart, tenendo sempre presente però
che quello che era ivi elemento concomitante sostenitore o integratore di
melodia assurge ora ad entità per sé stante assunta a nucleo primo ed
indipendente di un fatto creativo nuovo. Si potrebbero riferire a questo
tempo gli abbozzi di cui ai nn. 317 e 318 del presente catalogo. Un
movimento simile assumerà anche la paginetta pianistica Per Elisa
composta da Beethoven nel 1810. Lo Schindler racconta che, avendo molti
anni dopo (1823) chiesto a Beethoven di rivelargli la chiave per
l’interpretazione delle due Sonate op. 31 n. 2 e op. 57 (.Appassionata), si
sarebbe sentito rispondere : « Leggete La tempesta di Shakespeare ». Se
Beethoven abbia in tal modo voluto suggerire il primo spunto di una «
interpretazione autentica », o non piuttosto liberarsi evasivamente da una
domanda importuna, non sapremmo dire ; fra i moderni esegeti il Rolland
pende per la prima ipotesi, il Riezler per la seconda. Il Rolland paragona la
Stimmung generale della Tempesta (« Le déchainement des forces
élémentaires, passions, folies des hommes et des Eléments. Et la
domination de l’Esprit magicien qui assemble et dissipe, à sa volonté,
l’illusion ») all’arte beethoveniana di quest’epoca e particolarmente nel
primo tempo dell’op. 31 n. 2 e in tutta l’op. 5 7 (« Le torrent d’une Force
implacable et sauvage. La souveraineté de la pensée qui piane par dessus
»). Ma tornando ad una interpretazione più aderente alle parole che
avrebbe detto Beethoven -—- e ben lontani tuttavia sempre dalla
preoccupazione di Schindler che si domandava: dovei — potremmo
pensare ch’egli abbia rivissuto e risentito inconsciamente in sé tutto il
mondo della commedia shakespeariana: nell’orrore e nella grandiosità
della tempesta, nella magia di Prospero, negli incantesimi che avvolgono
l’isola di suoni e rumori misteriosi, nel trasvolare di Ariele, nel tenero
amore di Miranda e di Fernando; e che a tutto questo, come ad una
determinante generica, l’anima dell’artista possa aver attinto la sua prima e
profonda ispirazione di fantasia, attuandola poi in forme concrete
puramente musicali, libere da ogni particolare riferimento. Tale non è
l’idea dello Schering che, quasi a rispondere oggi al dove? dello Schindler,
ha voluto invece localizzare scene e musiche, citando per il primo tempo
l’atto I, scena III (Fernando sente il richiamo dell’invisibile Ariele e ascolta
commosso la ballata con la quale esso gli parla del padre morto); per il
secondo l’atto III, scena I (duetto d’amore tra Fernando e Miranda); per il
terzo l’atto V, scena I (immagine caratteristica del folletto Ariele, secondo
la sua canzone).

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