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Cinema, Film e Registi Corso
Cinema, Film e Registi Corso
2018-19
1) PARTE GENERALE
- “Slide del Corso” (sono disponibili sul mio sito)
- Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi, pp. 127-303 (si
trova su Feltrinelli a 8,99 e in ebook)
2) APPROFONDIMENTO (A SCELTA) DI UNO TRAI SEGUENTI LIBRI:
- Alberto Crespi, Storia d'Italia in 15 film, Laterza
- Franco Montini/Vito Zagarrio, Istantanee sul cinema italiano, Rubbettino
- Emiliano Morreale Il cinema d'autore degli anni Sessanta, Il castoro
- Stefania Parigi, Neorealismo. Il nuovo cinema del dopoguerra, Marsilio
- Giovanni Spagnoletti/Antonio V. Spera, Risate all'italiana. Il cinema di commedia dal
secondo dopoguerra ad oggi, UniversItalia
Sugli autori o gli argomenti portati, possono (non devono) essere fatte delle tesine di
circa 10.000 caratteri (spazi esclusi) che vanno consegnate SU CARTA (e non via email)
IMPROROGABILMENTE ALMENO UNA SETTIMANA PRIMA DELL’ ESAME
Previo accordo con il docente, si possono portare dei testi alternativi rispetto a
quelli indicati
INDIRIZZO SUL SITO: http://lettere.uniroma2.it/it/insegnamento/storia-del-cinema-
italiano-2018-2019-modulo-laurea-triennale
ELENCO DEI FILM PER L’ESAME (1)
1) Novecento (1975) di Bernardo Bertolucci: Atto primo o Atto secondo
(meglio fare uno sforzo e vedere tutte e due le parti – sarà
apprezzato)
2) La grande guerra (1959) di Mario Monicelli o Uomini contro (1970) di
Francesco Rosi
3) Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci o Amarcord (1974) di
Federico Fellini
4) Roma città aperta (1945) o Paisà (1946) di Roberto Rossellini
5) Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola o Vincere (2009) di
Marco Bellocchio
6) Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini o Mediterraneo (1991), di
Gabriele Salvatores
7) La notte di San Lorenzo di Paolo e Vittorio Taviani (1982) o L’uomo
che verrà (2009) di Giorgio Diritti
ELENCO DEI FILM PER L’ESAME (2)
8) La dolce vita (1960) di Federico Fellini o Il sorpasso (1962) di Dino Risi
9) Uccellacci e Uccellini (1964) di Pier Paolo Pasolini o I pugni in tasca
(1965) di Marco Bellocchio
10 ) Salvatore Giuliano (1961) di Francesco Rosi o Dillinger è morto
(1969) di Marco Ferreri o Nostra Signora dei Turchi (1968) di Carmelo
Bene
11) Un vita difficile (1961) di Dino Risi 0 C’eravamo tanto amati (1974) di
Ettore Scola o La meglio gioventù (2003) di Marco Tullio Giordana
12) Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi o Buongiorno notte
(2003) di Marco Bellocchio
13) Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino o Il caimano (2006) di Nanni
Moretti
14) Gomorra (2008) di Matteo Garrone o Diaz (2012) di Daniele Vicari.
I FONDAMENTI DEL NEOREALISMO E L’OPERA
DI ROBERTO ROSSELLINI (1)
«Sono un regista di film, non un esteta, e non credo che saprei indicare con
assoluta precisione che cosa sia il realismo. Posso dire, però, come io lo sento,
qual è l’idea che me ne sono fatta. […] Una maggiore curiosità per gli individui. Un
bisogno, che è proprio dell’uomo moderno, di dire le cose come sono, di rendersi
conto della realtà direi in modo spietatamente concreto, conforme a
quell’interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statistici e scientifici.
Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza
ricorrere allo stratagemma di inventare lo straordinario. Una coscienza di
ottenere lo straordinario con la ricerca. Un desiderio, infine, di chiarire se stessi e
di non ignorare la realtà, qualunque essa sia.
Ecco perché, nei miei film, ho cercato di raggiungere l’intelligenza delle cose,
dando loro il valore che hanno […] perché dare il vero valore a una qualsiasi cosa
significa averne appreso il senso autentico e universale.
I FONDAMENTI DEL NEOREALISMO E L’OPERA DI
ROBERTO ROSSELLINI (2)
Il realismo, per me, non è che la forma artistica della verità. Quando
la verità è ricostituita, si raggiunge l’espressione. Oggetto vivo del
film realistico è il mondo, non la storia, non il racconto. Esso non ha
tesi precostituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo
spettacolare, che anzi rifiuta; ma va al sodo. Non si ferma alla
superficie, ma cerca i più sottili fili dell’anima. Rifiuta i lenocini e le
formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. È, in breve, il
film che pone e si pone dei problemi». (Roberto Rossellini, in R.R. e
Mario Verdone, Colloquio sul Neorealismo, in «Bianco e Nero», XIII,
n.2, 1952, p.5).
Per definire il cinema di Rossellini
Caratteristiche costanti del cinema rosselliniano sono la narrazione corale, la maniera
quasi documentaria di osservare e analizzare il reale ma anche il ritorno alla fantasia e
alla spinta verso l’immaginazione.
Rossellini andava sperimentando un cinema, spesso interpretato da attori non
professionisti e senza una sceneggiatura di ferro, contrapposto alla retorica fascista,
interessandosi soprattutto dei piccoli fatti quotidiani, degli “anti eroi”, della realtà minuta
ma rivelatrice di un comportamento morale. Per Rossellini, semplificando, il
Neorealismo significava soprattutto una posizione morale.
L’importante per lui non sono le immagini ma le idee, evitando i luoghi comuni, ma
penetrando all’interno delle cose con sincerità. Di conseguenza, giacché il film
neorealista cerca la verità, non è tanto la sceneggiatura il fulcro della realizzazione
filmica, quanto l’ispirazione. Rossellini arriva ad affermare che il plot diventa il suo
nemico, quando lo costringe ad usare solo i nessi logici. Perciò egli dichiara di trovarsi
più a suo agio nella realizzazione di film ad episodi, in quanto la sua attenzione è
interamente concentrata, su episodi conchiusi.
Tutta l’opera di Rossellini ruota attorno al tema della solitudine, inteso come sostrato
dell’esistenza umana, dal quale tutti gli altri problemi scaturiscono. L’isolamento
dell’uomo nella società, i vari gradi e aspetti dell’incomunicabilità, l’incomprensione,
sono gli argomenti del suo discorso filmico, che si concentra, più è meglio, su pochi e
ricorrenti elementi per portare l’analisi fino alle estreme conseguenze del
ragionamento.
Gli esordi di ROBERTO ROSSELLINI (1906-
1977)
- Nato nel 1906 a Roma, da un’agiata famiglia borghese (il padre aveva costruito
uno dei primi cinematografi della Capitale), Rossellini inizia a frequentare il mondo
del cinema in giovanissima età. Rimasto orfano, lavora prima come rumorista, per
poi realizzare, sia come montatore che come regista, per l’Istituto LUCE e la
Genepesca sei cortometraggi, alcuni dei quali (i primi due) andati perduti: Daphne
(1936), Prélude à l’après-midi d’un faune (1937) , La vispa Teresa (1939), Il tacchino
prepotente (1939), Fantasia sottomarina (1940), Il ruscello di Ripasottile (1941).
- Nel 1938 collabora alla sceneggiatura di Luciano Serra pilota, diretto da Goffredo
Alessandrini e due anni dopo è l’assistente di Francesco De Robertis per Uomini sul
fondo (1940), il film da cui molti fanno scaturire il Neorealismo.
- La nave bianca (1941), film prodotto per iniziativa della propaganda della Regia
Marina, è il lungometraggio di debutto di Rossellini e il primo film della
cosiddetta “Trilogia della guerra fascista”, assieme a Un pilota ritorna (1942)
e L’uomo dalla croce (1943). Qui la sua visione è insieme documentaria e
propagandistica, ma nasce da una Weltanschaung cattolica fortemente orientata alla
constatazione delle sofferenze fisiche e morali della guerra.
Roma città aperta (1945)
Con la fine del regime fascista nel 1943, a soli due mesi dalla liberazione di Roma,
Rossellini progetta Roma città aperta (1945), da un soggetto di Sergio
Amidei. Realizzato con mezzi di fortuna, il film segna l’inizio della nuova
epoca, emblema della volontà di rinascita morale e civile dell’Italia. Esso
costituisce un preciso segnale circa la direzione in cui si dovrà muovere
il nuovo cinema: trarre ispirazione dalla realtà quotidiana, dare la priorità
assoluta alla cronaca e alla forza delle reazioni di fronte alla disumanità
di una tragedia che non ha risparmiato nessuno.
Trama: Roma città aperta prende spunto da vari fatti di cronaca relativi
al periodo in cui, caduto il fascismo, Roma, in attesa dell’arrivo delle
truppe americane, fu teatro dello scontro tra le forze della resistenza e
l’esercito tedesco. Tra queste storie, uno spicco particolare assumono
le traversie di un un capo partigiano comunista, Manfredi (Marcello Pagliero), e di un
prete di quartiere, don Pietro (Aldo Fabrizi) che, pur da diverse posizioni ideologiche,
affrontano un comune destino di morte. Ad essi si aggiunge il tragico destino di una
popolana Pina (Anna Magnani) barbaramente uccisa quando cerca di raggiungere il suo
uomo rastrellato dai tedeschi.
Il film doveva essere un documentario sul sacrificio del sacerdote romano Don Luigi
Morosini, durante l’occupazione ma la storia fu ampliata, girando le riprese di alcuni
interni nel vecchio teatro Capitani, in via degli Avignonesi, nel centro di Roma.
Paisà (1946)
Con Roma città aperta inizia la cosiddetta “Trilogia della guerra antifascista”, il cui secondo
titolo è Paisà (1946), girato con attori non-professionisti. Incentrato sulla tragedia dell’Italia
del 1944 al passaggio degli eserciti, si vuole raccontare la sofferenza degli abitanti e la violenza
spietata degli occupanti. I diversi episodi compongono un affresco a quadri complementari,
sembrano quasi affiancati senza un vero nesso logico, con assoluta, apparente noncuranza, il
che costituisce la grande novità del linguaggio di R.R.
Trama: Il film si compone di sei episodi: una ragazza, durante lo sbarco americano in Sicilia,
insegna la strada agli americani, resta con uno di loro e lo vede morire per mano tedesca. A
sua volta si ribella ai nazisti e resta uccisa. Ma, poiché nessuno sa quello che è veramente
accaduto, i commilitoni che scoprono il morto sono propensi a credere al tradimento della
“sporca ragazza italiana”. Il secondo si svolge a Napoli: un bimbo, Alfonsino, cerca di derubare
un soldato di colore. Più tardi è ritrovato, condotto per mano dai genitori perché lo puniscano.
Ma i genitori, tra gli sfollati delle grotte di Mergellina, non ci sono più, perché sono morti. Il
militare fugge, non avendo il coraggio di riferirlo allo sciuscià. Poi due storie, incentrate su
incontri tra personaggi diversi, ambientati a Roma e a Firenze. Segue l’episodio del convento,
sull’Appennino in Romagna, dove i frati, in refettorio, davanti a tre cappellani americani (uno
cattolico, uno protestante, uno israelita) danno prova di ingenua fede francescana nel loro
“fioretto” - il digiuno perché i non cattolici possano convertirsi. Infine alle foci del Po, i
partigiani combattono contro i tedeschi insieme a un gruppo di militari americani e inglesi, i
quali, tutelati dalle leggi di guerra, riescono a sfuggire alla morte a differenza dei combattenti
italiani.
Il Resto della produzione di Rossellini sino alla fine
del neorealismo
Il terzo film della Trilogia della guerra è Germania anno zero (1946), girato nel settore francese
di Berlino.
Nei film successivi, a partire dal 1948, Rossellini prosegue un suo discorso personale sull’uomo
accentuando l’indagine sui sentimenti sul comportamento interpersonale, nonostante pare
allontanarsi sempre più da quel dibattito politico culturale legato ai temi della resistenza e
dell’antifascismo che si andava formando attorno al cinema e alla letteratura del neorealismo.
Per l’appunto nei film L’amore, un film in due episodi e La macchina ammazzacattivi, realizzati
fra 1948 e 1951, Stromboli, terra di Dio (1949) e Francesco, giullare di Dio (1950), indicano
chiaramente i nuovi interessi dell’autore, o meglio mettono in maggior luce quegli elementi
della sua poetica che già erano presenti, ma non preminente, nei film precedenti.
Ad esempio Francesco, giullare di Dio è liberamente ispirato ai fioretti di San Francesco e
composto di episodi scelti, soprattutto per il loro carattere aneddotico. Gli episodi si susseguono
sulla traccia di un esile sviluppo cronologico e narrativo, ma sostanzialmente si presentano come
autonomi. Nel film la santità di Francesco è sinonimo di sincerità totale, di anticonformismo, di
disponibilità verso gli altri, persino di “follia”, la sola capace di superare gli odi e gli egoismi. La
posizione di Rossellini e ancora una volta contro gli schemi tradizionali, contro la falsa agiografia,
contro il conformismo ideologico ed estetico.
Con Stromboli, terra di Dio, Europa 51 (1952) e Viaggio in Italia (1953), Rossellini da vita a una
seconda trilogia, questa volta detta “della solitudine”, incentrata sui personaggi femminili,
interpretati dalla moglie Ingrid Bergman dove la macchina da presa sembra non accontentarsi
più dei dati del visibile e l’autore si interroga sul vuoto esistenziale, sul silenzio di Dio.
Federico Fellini (1920-1993)
- Poeta, scrittore, critico, semiologo, autore di testi teatrali e cineasta, Pasolini nasce a
Bologna il 5 marzo 1922 e dopo molti spostamenti dovuti alla professione del padre,
ufficiale di carriera, trascorre la giovinezza tra la città emiliana (dove ha studiato
all’Università) e la materna Casarsa (in Friuli dove vede le sue vere radici/poesie in
dialetto friulano ed infatti la sua prima raccolta poetica pubblicata a ventanni nel 1942
si intitola proprio “Poesie a Casarsa”).
- La sua giovinezza è segnata da diversi traumi: il rapporto con il padre, la morte del
fratello partigiano e soprattutto l’espulsione nel 1949 dal PCI “per indegnità morale e
politica”. Segue il trasferimento a Roma e il lavoro di sceneggiatore. Escono la
raccolta di poesie La meglio gioventù (1954), Le ceneri di Gramsci (1957) L’usignolo della
chiesa cattolica (1958) e i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959).
- Il suo primo lavoro cinematografico è per La donna del fiume (1954) di Mario
Soldati, scrive i dialoghi delle Notti di Cabiria (1956) di Fellini e inizia un intenso
sodalizio cinematografico con Mauro Bolognini (La notte brava del 1959 “il primo film
veramente mio” tratto da Ragazzi di vita). Finalmente nel 1961 il debutta alla regia
con Accattone.
- “ Devo dire, a distanza di anni, che i film di Charlot, di Dreyer, di Ejzenstein hanno
avuto in sostanza più influenza sul mio gusto e sul mio stile che il contemporaneo
apprendistato letterario”.
Pier Paolo Pasolini
“Perché sono passato dalla letteratura al cinema ?
Questa è, nelle domande prevedibili in un’intervista,
una domanda inevitabile, e lo è stata.
Rispondevo sempre ch’era per cambiare tecnica,
che io avevo bisogno di una nuova tecnica per dire
una cosa nuova,o, il contrario, che dicevo la stessa cosa sempre, e perciò
dovevo cambiare tecnica: secondo le varianti dell’ossessione.
Ma ero solo in parte sincero nel dare questa risposta:
il vero di essa era in quello che avevo fatto fino allora.
Poi mi accorsi che non si trattava di una tecnica letteraria, quasi
appartenente alla stessa lingua con cui si scrive.
ma era, essa stessa, una lingua... [...]
Poiché il cinema non è solo un’esperienza linguistica,
ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica”.
(Da Una premessa in versi)
La teoria di Pier Paolo Pasolini (1)
«Uccellacci e uccellini è stato il mio film che ho amato e continuo ad amare di più, prima di
tutto perché come dissi quando uscì è "il più povero e il più bello" e poi perché è l'unico mio
film che non ha deluso le attese. Collaborare con lui [Totò] "reduce da quegli orribili film che
oggi una stupida intellighenzia riscopre" fu molto bello: era un uomo buono e senza
aggressività, di dolce cera. Voglio ricordare anche che oltre che un film con Totò, Uccellacci
e uccellini è anche un film con Ninetto, attore per forza, che con quel film cominciava la sua
allegra carriera. Ho amato moltissimo i due protagonisti, Totò, ricca statua di cera, e
Ninetto. Non mancarono le difficoltà, quando giravamo. Ma in mezzo a tanta difficoltà,
ebbi in compenso la gioia di dirigere Totò e Ninetto: uno stradivario e uno zuffoletto. Ma
che bel concertino.» (P.P. Pasolini)
UCCELLACCI E
UCCELLINI (2)
Trama: Totò e suo figlio Ninetto vagano per le periferie e le campagne circostanti Roma.
Durante il loro cammino incontrano un corvo. Come viene precisato durante il film da una
didascalia: «Per chi avesse dei dubbi o si fosse distratto, ricordiamo che il corvo è un
intellettuale di sinistra - diciamo così - di prima della morte di Palmiro Togliatti.» Il corvo narra
loro il racconto di Ciccillo e Ninetto (anch'essi interpretati da Totò e Ninetto), due monaci
francescani a cui San Francesco ordina di evangelizzare i falchi ed i passeri. I due frati non
riusciranno a raggiungere il loro obiettivo: per questa mancanza verranno rimproverati da San
Francesco ed invitati ad intraprendere nuovamente il cammino di evangelizzazione.
Chiusa la parentesi del racconto nel racconto, il viaggio di Totò e Ninetto prosegue; il corvo li
segue e continua a parlare in tono intellettualistico e altisonante. I protagonisti, in un contesto
fortemente visionario, incontrano alcuni proprietari terrieri che ordinano a Totò e Ninetto di
allontanarsi dalle loro proprietà e finiscono per sparare contro i due, che non vogliono obbedire;
una famiglia, che vive in condizioni assai degradate, a cui Totò intima di abbandonare la propria
casa; un gruppo di attori itineranti a bordo di una Cadillac; i partecipanti al "1º convegno dei
dentisti dantisti"; un uomo d'affari di cui Totò è debitore. In seguito, prima i due si ritrovano ai
funerali di Togliatti (1893-1964) e poi incontrano la prostituta Luna. Alla fine i due, stanchi delle
chiacchiere del corvo, lo uccidono e se lo mangiano.
UCCELLACCI E UCCELLINI (3)
Un film «ideo-comico», che sarebbe l’umorismo applicato alla politica,
l’impegno ideologico superato dalla favola, insomma il cervello
scavalcato dalla poesia.
Pasolini era un intellettuale scontento, che sentiva l’insufficienza
degli schemi razionali della cultura di sinistra, intuendo come la storia
proceda per vie ignote e misteriose. Uccellacci e uccellini è appunto la
confessione,sincera e confusa, di un momento di crisi successivo alla sconfitta, ma
espresso in un tal cocktail di polemica culturale e di slanci lirici, e così vagamente risolto
sul piano del racconto, che il film assume il carattere di un’agenda di fatti personali.
Il film consiste grosso modo di due episodi, ambedue interpretati da Totò e dal giovane
Ninetto Davoli: due figure picaresche assunte a simbolo dell’umanità incamminata verso
l’ignoto. La realtà è così indecifrabile che in loro non desta alcuna, sorpresa l’arrivo di un
corvo parlante. L’animale dichiara di venire dal paese dell’ Ideologia, d’esser figlio del
dubbio e della coscienza.
Il resto lo fa Totò, che col suo impagabile istinto comico, servito da una mimica stavolta
magistralmente controllata, riassume e affranca il film mutando un personaggio
bislacco nella vivente idea dell’assurdo. Musica di Ennio Morricone, titoli di testa cantati
da Domenico Modugno. Menzione speciale della Giuria al Festival di Cannes per Totò.
LE VARIE FASI DEL CINEMA DI PPP
Il film ebbe una complessa storia produttiva . La sceneggiatura iniziale era di Piero
Tellini, da una idea originaria di Federico Fellini. In un primo tempo si propose
il film a Anna Magnani nella parte della ladra. Il compito di dirigere la pellicola andò
poi al regista Luigi Zampa e quella del protagonista a Peppino De Filippo. Infine
film passò nelle mani di Mario Monicelli e Steno, i quali si erano già impegnati nella
sperimentazione di una sorta di “parodia del neorealismo”.
Il titolo del film è simbolico, è un riferimento all’omonimo e antichissimo gioco da
bambini.
I soliti ignoti (1958)
Con: Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni,
Renato Salvatori, Totò, Carla Gravina, Claudia
Cardinale, Tiberio Murgia, Carlo Pisacane,
Memmo Carotenuto.
.
Gli esordi di Dino Risi (1)
- Regista di più di 50 film, Dino Risi nasce a Milano il 23 dicembre
1916, in una famiglia borghese liberale e valdese.
Fa parte di un nutrito gruppo di giovani intellettuali e aspiranti
registi amanti del cinema che ruotavano intorno alla capitale
lombarda, tra cui lo scrittore e cineasta Mario Soldati, Alberto Lattuada, Luigi
Comencini – i due insieme fonderanno nel 1947 la Cineteca Italiana -, Marco Ferreri e
il fratello minore Nelo Risi (poeta scrittore e anche regista: Diario di una schizofrenica,
1968) e in parte di Monicelli. Scrive degli sketch per la rivista satirica “Il Bertoldo”
fondata da Angelo Rizzoli nel 1936 e diretta da Cesare Zavattini per seguire il successo
del romano “Marc’Aurelio” (nata nel 1931).
Inizia a fare il critico cinematografico ma poi passa alla prassi: il suo primo contatto
con il cinema si ha nel 1941 come aiuto di un aiuto (Alberto Lattuada) per un film di
Mario Soldati Piccolo Mondo Antico (e poi per Giacomo l’idealista (1942, sempre di
Soldati).
A partire dall’8 settembre 1943 Risi si rifugia in Svizzera dove inizialmente viene
internato e dove conosce quella che diventerà sua moglie Claudia Mazzocchi, anche lei
figlia di un medico – dal loro matrimonio nasceranno due figli: Claudio e Marco
destinati in particolare il secondo, a diventare anch’essi registi.
Gli esordi di Dino Risi (2)
- Dopo la guerra Dino Risi (1916-2008) si laurea in
psichiatria seguendo le orme del padre medico ma abbandona
quasi subito la professione per dedicarsi alla sceneggiatura, al
documentario e alla pubblicità con un vulcanico produttore
Gigi Martello.
- Girati diversi documentari e un cm di metacinema Buio in
sala (1950), debutta nel 1952 con un dignitoso film
interpretato da bambini Vacanze col gangster a cui segue un
secondo lm dedicato al mondo del cinema Viale della
speranza (1953) con un giovanissimo Marcello Mastroianni.
- Più significativa la partecipazione a Amore in città (1953),
il canto del cigno dell’ esperienza neorealista, in cui già si
riconosce la mano del futuro maestro della “commedia
all’italiana” nell’episodio Paradiso per quattro ore.
- Amore in città Regia di Carlo Lizzani, Dino Risi,
Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Francesco Maselli,
Cesare Zavattini, Alberto Lattuada. Prodotto da Marco
Ferreri, ideato e supervisionato da Cesare Zavattini, più che
un film a episodi è, o voleva essere, un’inchiesta giornalistica
filmata in 6 parti.
Le commedie popolari degli anni
Cinquanta: Il segno di Venere (1955)
Il primo film importante di Risi è Il segno di
Venere, una delle più divertenti commedie degli
anni Cinquanta scritta (tra gli altri) da Ennio
Flaiano e Age/Scarpelli.
Con Sophia Loren, Franca Valeri, Vittorio De
Sica, Alberto Sordi, Peppino de Filippo.
Trama: Agnese, napoletana, e Cesira, milanese,
vivono a Roma in casa del padre della prima e di
una zia nubile. Cesira lavora come dattilografa
mentre la cugina è in cerca di un lavoro. Se
Agnese viene fatta segno delle attenzioni molto
invadenti degli uomini, Cesira invece vorrebbe
sempre trovare l'anima gemella. Una chiromante
la informa che si trova sotto il segno di Venere e
che il periodo è favorevole agli incontri amorosi...
La commedia popolare degli anni
Cinquanta: Poveri ma belli (1956)
Nello stesso anno del Il segno di Venere Risi dirige Pane,
amore e... terza parte della celebre serie iniziata con Pane
amore e fantasia (1953) di Luigi Comencini (1916 –
2007), il maggior successo italiano degli anni Cinquanta,
legata al filone del “neorealismo rosa”.
Risi si inventa una serie altrettanto fortunata e tipica degli
anni Cinquanta, quella dei Poveri ma belli (1956). Su
soggetto di Risi, sceneggiato insieme a Pasquale Festa
Campanile e Massimo Franciosa, è il miglior prodotto di
quel neorealismo rosa che qui si trasferisce in città, un raro
esempio di commedia di successo non affidata a comici di
professione, ma all’abilità del copione e della regia. Nato
come film a low budget, salverà la Titanus dal fallimento.
Seguiranno due sequel meno significativi ma molto redditizi
al box office: Belle ma povere (1957) e Poveri milionari
(1959). Trent’anni dopo Risi realizzerà un brutto remake di
Poveri ma belli, Giovani e belli (1996), il suo ultimo lavoro
per il grande schermo.
Le commedie di Risi alla fine
degli anni Cinquanta
Tra le commedie significative “pre boom economico”
ricordiamo ancora La nonna Sabella (1957) con la
caratterista Tina Pica.
Poi a partire 1959 inizia la fase più scatenata di Dino
Risi: oltre al Vedovo (con Alberto Sordi) si segnala Il
mattatore con Vittorio Gassman che diventerà l’attore
preferito di Risi (15 film insieme!).
Qui Gassman da prova di tutto il suo istrionismo
camaleontico che passa da un personaggio all’altro. La
trama: in una serie di episodi narrati in un lungo flash-
back e spesso da una voce fuori campo, si mostra il
protagonista Gerardo, che diventa un asso della truffa.
Inutilmente la moglie tenta di redimerlo: la sua è una
vocazione irresistibile come si dimostra nel finale.
La sceneggiatura ha più di un debito con I tromboni
(1956) di Federico Zardi una commedia nella quale
Gassman interpretava nove personaggi, ognuno
rappresentativo del costume italiano: dallo “sportivo”
al “consigliere delegato”, dall’“intellettuale marxista”,
all’“onorevole”.
Il sorpasso (1962)
Con: Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine
Spaak, Claudio Gora, la Lancia Aurelia B24 sport
supercompressa.
Trama: per Bruno Cortona (Gassman), quarantenne
ossessionato dalla furia di vivere e dal timore della
vecchiaia, correre in auto diventa una rivincita sui
fallimenti della vita privata. Coinvolgerà nelle sue
avventure Roberto Mariani, uno studente timido e
introverso (Trintignant) sino ad un tragico epilogo.
Punti essenziali del film:
Sceneggiato da Risi, Ettore Scola e Ruggero Maccari
(1919 – 1989), il film capta l’atmosfera del “boom”, della
società del periodo agli inizi degli anni Sessanta con
un’euforia rara e insieme con un’ammirevole sapienza nel
passare dall’agro al dolce, dal comico al grave.
“Il gran merito del film è non solo di aver così bene
isolato e descritto quel personaggio emblematico, ma
anche di averlo giudicato, con la catastrofe finale frutto
della sua incoscienza; di avere insomma insinuato
qualche dubbio di inquietudine nel tempo delle vacche
apparentemente grasse...” (Masolino D’Amico).
Il sorpasso (1962) (2)
Alla vera e propria “commedia all’italiana” (tutti film su sceneggiatura di Age &
Scarpelli) offre un suo apporto molto particolare con Tutti a casa (1960), A
cavallo della tigre (1961) al limite del dramma e Il commissario (1962) che
anticipa il poliziesco impegnato. E’ stato detto che in questi casi Comencini
applica “i meccanismi e l’ideologia della commedia all’italiana a film che
commedie non sono o che lo sono sino ad un certo punto”
Il successivo La ragazza di Bube (1963, dal romanzo di Carlo Cassola) è il
primo film drammatico della sua carriera. In seguito realizzerà opere molto
varie con sempre o quasi al centro il tema dell’infanzia e della crescita in cui si
insegna spesso che il bambino deve sempre cavarsela da solo: da
Incompreso (1967) a Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo
Casanova ,veneziano (1969, una commedia in costume) da Le avventure di
Pinocchio (1972, miniserie tv) a Cuore (1984 miniserie tv), da Voltati
Eugenio (1980) a La storia (1986) e Un ragazzo di Calabria (1987) .
Marcellino pane e vino (remake del celebre film spagnolo, 1991) è stato il
suo ultimo film a cui a collaborato alla regia la figlia Francesca.
Luigi Comencini (3)
- Tra le opere migliori della sua carriera possiamo ricordare
ancora due gialli: La donna della domenica (1975, Fruttero &
Lucentini) e Il gatto (1977). 0ppure alcuni “racconti morali” cupi e
“catastrofici” tipo Lo scopone scientifico (1972) o L’ingorgo
(1979, su modello di Roma di Fellini).
- In Comencini dunque – una delle maggiori personalità del
cinema classico italiano - c’è oltre all’al tema dell’infanzia, il
prevalere del carattere della favola e una marcato interesse per
le figure femminili che a volta divengono protagoniste dei suoi
film (in concomitanza con i testi letterari di Carlo Cassola, Elsa
Morante).
- Perciò il regista bresciano (che nella sua famiglia reale è
sempre stato circondato da donne) predilige mettere in scena
spesso dei forti caratteri femminili e di donne lottatrici.
Tutti a casa (1960)
Con : Alberto Sordi, Serge Reggiani,Martin Balsam
Eduardo De Filippo, Carla Gravina,Claudio Gora.
Trama: L’8 settembre del 1943, il sottotenente
Alberto Innocenzi viene sorpreso dall'armistizio.
La sua compagnia si squaglia e con sempre meno
uomini, vaga per il Veneto; poi cerca di tornare a
casa, nell'Agro pontino. Il gruppo ha diverse
peripezie e, quando la meta è raggiunta, l'ufficiale con l'unico
soldato rimastogli, il Geniere Assunto Ceccarelli, viene arruolato a
forza e portato nella Napoli in rivolta per l’arrivo degli americani.
Mentre i nazisti uccidono anche Ceccarelli, Alberto capisce che
bisogna riprendere le armi e partecipare alla resistenza.
Marcello Fondato ha collaborato alla sceneggiatura insieme a Age
& Scarpelli. Il critico Morando Morandini ha scritto: «Forse il miglior
film di Comencini, una delle rare mediazioni felici tra neorealismo e
commedia italiana...»
GLI ESORDI DI ETTORE SCOLA
(1931-2016)
Con Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca (1970) scritto del regista
con Age & Scarpelli, autori anche della sceneggiatura dell'affine Straziami, ma di
baci saziami (1968) di Dino Risi, si racconta una storia a tre: il muratore Oreste
(Marcello Mastroianni) si innamora della bella fioraia Adelaide (Monica Vitti). Per
lei lascia la famiglia, ma l'amore si interrompe all’arrivo del più giovane e aitante
Nello (Giancarlo Giannini), che, dopo essere diventato amico della coppia, finisce
per sedurre Adelaide. Segue la tragedia
Si tratta di una commedia divertente e dal ritmo sostenuto fino all'amaro finale.
Uno dei motivi di fascino sta nella struttura interpellante, con gli attori che
parlano allo schermo per riferirsi al giudice (e quindi allo spettatore) di un
invisibile processo.
Come nel citato film di Risi, si ricorre al linguaggio della sottocultura, al
fotoromanzo, ai rotocalchi, alla cronaca rosa oppure nera, per raccontare -
attraverso la lente deformante del pittoresco - la vita di personaggi umili e
impossibilitati a vivere il proprio destino.
Mastroianni vincerà a Cannes la Palma per la migliore interpretazione maschile.
C’ERAVAMO TANTO AMATI
(1974)
Credevamo di cambiare il mondo,
invece il mondo ha cambiato noi.
- Nella storia di tre amici e di una ragazza, trent'anni di storia italiana. Si conoscono in
montagna facendo i partigiani e affrontano il dopoguerra pieni di energia e di idee, ma
l'infermiere rimane infermiere e il professore meridionale passa da una delusione
all'altra. Solo il più smagato dei tre, l'avvocato Gianni, diventa ricco e potente. Quando
si incontrano dopo molto tempo, non avrà il coraggio di confessare agli amici il proprio
successo, ottenuto grazie a imbrogli, ad affari avventurosi, a un ricco matrimonio.
- Parabola sociale e morale dell'Italia, proiettata nel microcosmo di quattro amici che
affrontano il passaggio dall'idealismo al disincanto in modi diversi.
- Si traccia un bilancio del dopoguerra, tingendo inevitabilmente l'esito di amarezza e il
ritratto storico dell'Italia del dopoguerra assume le sembianze di affresco intimo e
personale
- Narrazione costruita con un continuo intreccio di flashback, con l'uso di immagini di
repertorio, con inserti onirici, con attenzione al costume del nostro paese (vedi
l'episodio di Lascia o raddoppia?), con espliciti omaggi a Fellini, Antonioni, De Sica,
Ejzenstejn, O'Neill, e con un richiamo continuo all'ideologia ed alla politica.
Una giornata particolare
(1977)
Trama: 6 maggio del 1938, giorno della visita di Hitler a Roma. In un casermone
popolare, Antonietta, moglie di un usciere e madre di sei figli, prepara la colazione,
sveglia la famiglia, aiuta nei preparativi per la parata. Una volta sola,
inavvertitamente, apre la gabbietta del merlo che va a posarsi sul davanzale di una
appartamento di fronte al suo. Bussa alla porta, ad aprirle è Gabriele, ex
annunciatore dell'EIAR che sta preparando la valigia in attesa di andare al confino
perché omosessuale. Mentre la radio continua a trasmettere la radiocronaca
dell'incontro tra Hitler e Mussolini, Antonietta e Gabriele si confronteranno l'uno
nell'altro.
Si tratta di una delle vette del cinema di Scola, autore anche della sceneggiatura
scritta con Ruggero Maccari e di Maurizio Costanzo.
Aperto da 6’ di cinegiornali a contestualizzare il momento storico, questo
Kammerspiel si contraddistingue per una inedita Sofia Loren e per i movimenti di
una macchina da presa mobilissima, con la fotografia color seppia di Pasqualino
De Santis, con un'atmosfera ovattata che, meglio di qualunque altra, comunica
una dolorosa sensazione d'attesa e che dinamizza gli ambienti chiusi del film.
LA FINE DELLA COMMEDIA
ALL’ITALIANA
C’eravamo tanto amati (Ettore Scola, 1974)
Amici miei (Mario Monicelli, 1975)
Un borghese piccolo piccolo (Mario Monicelli, 1977)
Una giornata particolare (Ettore Scola, 1977)
I nuovi mostri (Monicelli, Risi e Scola, 1977)
La terrazza (Ettore Scola, 1980)
Vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 31º Festival di Cannes,
Ciao maschio scritto con Gérard Brach e Rafael Azcona, girato in inglese,
appartiene al novero dei film catastrofici (come Il seme dell’uomo, 1969)
ma senza toni disperati, anzi è quasi un film ottimista.
Sembra – è stato scritto - “una favola angosciosa e ilare che s'avvale,
come spazio drammatico, di una New York magica e allucinante, come
vista dall'oblò di un'astronave”.
L’ULTIMO FERRERI
Dopo Chiedo asilo (1979 con Roberto Benigni), negli anni
Ottanta Ferreri diventa un po’ manierato o manierista, a
partire da Storie di ordinaria follia (1981, tratto dall’omonimo
libro di Charles Bukowski), seguito da Storia di Piera (1983) e Il
futuro è donna (1984). Il suo sguardo non manca certo di
lampi di anticonformismo, umori acidi, gusto per la dismisura e
eccesso surreale, come, in I Love You (1986). Tuttavia sembra
anche un po’ smarrirsi nella ripetizione della propria cifra
stilistica, quasi sorpreso dalla trasformazione sociale, come nei
successivi: Come sono buoni i bianchi (1987), La casa del
sorriso (1991), La carne (1991), Diario di un vizio (1993).
L’ultimo film, Nitrato d’argento (1996), sorta di riflessione sul
cinema e la vita, appare quasi il testamento spirituale del più
anarchico, irregolare e spiazzante regista mai nato in Italia.
CARATTERI DEL CINEMA DI FRANCESCO ROSI
(1922- 2015) (1)
La Trama: prima in Sicilia e poi a Roma vengono uccisi degli alti magistrati;
l’ispettore Rogas (Lino Ventura) fa l’ipotesi che i delitti siano il frutto di un piano
eversivo. Il magistrato alla fine verrà ucciso insieme al segretario del PCI a cui
voleva raccontare tutto ma la verità verrà messa a tacere dall’una e dall’altra parte,
dal Potere e dall’Opposizione.
Cadaveri eccellenti
(1976) (2)
La caratteristica di Cadaveri eccellenti è quella
di partire da fatti e situazioni vere degli anni
Settanta (attentati, strategia della tensione,
depistaggi, collusioni politiche internazionali,
ecc., tipiche della democrazia “bloccata”
dell’occidente di allora) per diventare uno
straordinario apologo politico sulla mostruosità del Potere, un giallo
sospeso tra sogno e realtà, ricco di riferimenti pirandelliani (il gioco
delle parti, il potere anonimo) e/o kafkiani (gli ambienti abnormi, gli
spazi immensi che schiacciano i personaggi, trasferiti sullo schermo
tramite il Barocco siciliano).
La TREGUA (1997)
In concorso a Festival di Cannes, vincitore di 4
David di Donatello.
Sulla sua fondamentale importanza dentro la cultura e il teatro italiano per favore
leggere la scheda dell’Enciclopedia Treccani on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia/carmelo-bene_(Dizionario-Biografico)/
Carmelo Bene e il cinema (1967-1973)
Nel 1967 Carmelo Bene pensa di abbandonare il teatro per dedicarsi ad altro. Pier Paolo
Pasolini lo invita a partecipare a Edipo re. Intanto Nelo Risi, avendo progettato un film su
Pinocchio, propone la parte della fatina a Brigitte Bardot, quella di Pinocchio a Bene e quella
di Geppetto a Totò; che morì proprio nel 1967, mandando in fumo il progetto.
Bene passa dietro la macchina da presa con il mediometraggio Hermitage (1968) e il corto Il
barocco leccese (1968) per poi realizzare sempre nello stesso anno il suo capolavoro, Nostra
Signora dei Turchi, unico film italiano restato in Concorso nell’anno della contestazione al
Festival di Venezia che vince il Leone d'Argento.
Nel 1969 lo vediamo come attore in Umano non umano di Mario Schifano mentre nel 1970
fallisce un Don Chisciotte televisivo per la RAI, il progetto viene ritenuto troppo "impopolare".
Il cast d'eccezione contemplava, oltre allo stesso attore, Eduardo De Filippo, il clown sovietico
Popov e Salvador Dalí. Stessa sorte è toccata a un altro progetto filmico fatto insieme con
Eduardo, tratto da La serata a Colono di Elsa Morante.
Capricci (1969) e Don Giovanni (1970) sono le sue successive regie di lungometraggio, inoltre
partecipa in qualità di attore a Necropolis (1970) di Franco Brocani e a Storie dell'anno mille
(1970) di Franco Indovina. Con Salomè (1972) e Un Amleto in meno (1973) si chiude la sua
grande carriera cinematografica, ripresa solo nel 1979 con le riprese di un Otello, girato per la
televisione e montato solo nel 2002 prima della morte.
Tutti i film di Carmelo Bene - il maggiore rappresentante di un underground italiano che ha
voluto creativamente confrontarsi con i modelli del “New American Cinema” - hanno
prodotto reazioni sconsiderate, spaccatura di pubblico e critica, tra fautori e detrattori. Quasi
senza mediazioni – è stato un vero, eccezionale provocatore che però non ha avuto eredi.
Nostra Signora dei Turchi
(1968)
Con: Carmelo Bene (protagonista senza nome), Lydia Mancinelli
(Santa Margherita), Ornella Ferrari (serva-bambina), Anita Masini
(Madonna/moglie), Salvatore Siniscalchi (editore)
Trama: Il Palazzo Moresco, voce off di Carmelo Bene che annuncia
un'autobiografia, musica di Musorgskij. Le immagini si deformano
e si intersecano con quelle della Cattedrale di Otranto, nella cappella-ossario dove sono conservate
le ossa di 260 martiri. Come loro, il protagonista avrà ancora il teschio coperto di carne tanti secoli
dopo la morte? E gli occhi? Oggetti senza senso ma non insignificanti, gesti di un "(sono) io" che è
difficile decifrare. Un doppio, più doppi, un gangster. Compare il primo personaggio femminile, la
serva-bambina. Voli impossibili da un balcone che si affaccia sul mare: cadute, letteralmente. Brindisi
al proprio riflesso distorto. Vocazione al martirio e primi amori, inginocchiati. Ancora voce off,
implicitamente ironica: l'invasione di Otranto da parte dei tur(isti)chi. Colori in libertà, una lettera al
Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Gli oggetti sono ostacoli. Presto apparirà Santa Margherita
e Arnoldo Foà recita García Lorca. Giunge la Santa che seduce il protagonista, lui resiste, poi cede, lei
adesso fuma e legge la rivista "Annabella". Lui si agita nel vuoto, ferito e bendato, mima gli oggetti, li
interpreta e vi si trasforma. Piazza di Santa Cesarea Terme: interni ed esterni tendono a confondersi.
L'idiozia inizia a manifestarsi, si chiudono i cassetti e si inchiodano le finestre e le porte. Una serva, un
editore preoccupato di utili e perdite, ancora le ferite (del protagonista come della pellicola) e un
funerale, quello della Madonna. Quindi il morto è lui, finalmente guarito. Altri doppi, due frati, una
gita in barca con la Santa. Adesso il protagonista è un cavaliere in armatura, la serva e la Santa si
scambiano impressioni, quest'ultima sta perdendo l'amore e si cristallizza, mentre il protagonista ‒
afasico ‒ si addormenta o muore. Il cinema si allontana.
Nostra Signora dei Turchi
(2)
Primo lungometraggio della breve carriera cinematografica di Bene,
accorciato per la presentazione a Venezia da 142 minuti a 125’, sembra,
come il romanzo, una voluta parodia del flusso di coscienza interiore, ma l’autore lo definiva
“ben altro. È il più bel saggio, in chiave di romanzo storico, su quel mio sud del Sud”. Le
immagini iniziali ci riportano alla strage del 1480 ad opera dei Turchi degli 800 martiri di Otranto
le cui ossa sono raccolte nella cappella-ossario della Cattedrale che gli spettatori vedono quasi
in apertura. Protagonista, attraverso la voce off di Bene è un ‘io’ che percorre tutto il film, un
‘uomo pugliese’ che incarna la solitudine metafisica dell’artista e preconizza l’imminente rovina
e, come quei martiri cristiani, sceglie di autodistruggersi, trovando solo nella morte la salvezza.
Senza una vera sceneggiatura, è stato girato nel Salento, nella casa di famiglia dove era nato e
cresciuto, in un set caotico, piccolo ma barocco. Bene è presente in ogni scena e prova a
distruggere il suo corpo. È ferito, bruciato, fasciato, gioca col fuoco. Coltiva un istinto di morte,
ma non riesce mai a morire. Al tempo stesso esprime il suo amore per Buster Keaton, per il
cinema comico delle origini, per la gag. Con molte improvvisazioni degli attori, tra l’invettiva
visionaria e la dissacrazione, tra religiosità e paganesimo, donne e madonne, carico di citazioni,
riferimenti colti, di poesia, Nostra signora… rappresenta un unicum nel panorama italiano (i
sincroni, il montaggio, la sequenza delle immagini tutto ha un gusto molto personale, fuori
dalla norma). Per lo spettatore si rivela un’esperienza affascinante, sorprendente e immersiva o
viceversa assolutamente respingente e noiosa. Dello spirito del 1968 ha tutta la carica
dell’immaginazione al potere sotto veste artistica.
Gli esordi di Bernardo Bertolucci
(1941-2018)
Nato a Parma (1941) e primo figlio del grande poeta Attilio Bertolucci
(1911-2000), Bernardo trascorre la sua infanzia a Baccanelli (nei dintorni di
Parma) per poi trasferirsi a Roma con la famiglia nel 1952. Anche il fratello
minore Giuseppe (1947- 2012) è stato un grande regista e organizzatore
culturale.
Del 1956 (La morte del maiale) e del 1957 (La teleferica) risalgono le sue
prime esperienze amatoriali in 8 mm, oggi andate perdute.
Malgrado una grande cinefilia, il giovane Bertolucci inizialmente vuole
diventare un poeta e frequenta, Pier Paolo Pasolini. Nel 1962 vince il
premio Viareggio con la raccolta In cerca del mistero.
Con Pasolini inizia il suo avvicinamento al cinema: prima come assistente
di Accattone (1961), poi dopo aver scritto la sceneggiatura de La commare
secca (insieme a Sergio Citti ), passa alla regia di questo progetto che
Pasolini avrebbe dovuto dirigere ma aveva lasciato al suo discepolo. Il film
viene presentato al Festival di Venezia del 1962 con discreto successo.
Influenza e distanza da Pasolini.
Prima della rivoluzione
(1964)
- E’ un film chiave nell’evoluzione artistica di Bertolucci perché
vi ritroviamo,in nuce, tutte le ossessioni cinematografica del nostro
autore.
Con: Adriana Asti, Allen Midget, Francesco Barilli, Morando Morandini,
Gianni Amico.
Trama: è la storia di un amore impossibile. Il ventenne Fabrizio (Barilli), figlio di un'agiata
famiglia di Parma, ama, riamato, Gina (Adriana Asti), giovane e nevrotica sorella di sua
madre, ma non ha il coraggio (e la maturità) di andare fino in fondo e si adatta a un
matrimonio di convenienza, rinunciando anche all'impegno politico di iscritto al PCI: "Per
gente come me è sempre prima della rivoluzione".
- La ”educazione sentimentale” di un giovane borghese in preda all’ambiguità - sia in
ambito politico e soprattutto personale (il rapporto con Gina e cioè dell’incesto).
- Per la prima volta vengono usati dei professionisti. Ma anche amici del regista.
- E’ una sorta di ritorno a casa: Parma e l’Opera italiana e contiene una scena di ballo .
- Il film ha scarso successo e segue un momento difficile e molto vario di proposte.
Bertolucci e il 68:Agonia,Partner
- La sua produzione successiva è molto varia: gira un doc. su
commissione per la RAI, La via del petrolio (1965/66) in due parti,
scrive la sceneggiatura (con Dario Argento) di C’era una volta il
West (1968) di Sergio Leone e dopo diversi progetti mancati
realizza 2 film molto legati al momento storico della rivolta
studentesca: Agonia (con il “Living Theater” di Julian Beck) per
Amore e rabbia (1969), composto da altri 4 episodi diretti da
Lizzani, Pasolini , Godard, Bellocchio (Discutiamo, discutiamo).
- Fatto quasi in diretta con gli eventi del maggio francese, Partner
(1968) apparentemente, è un adattamento letterario, l’
attualizzazione de Il sosia di Dostoevskij (1846) ma, in realtà, è
una parabola neanche troppo cifrata del contemporaneo
maggio ’68 nello stile tipico dei tempi con interminabili piano-
sequenza contro l’uso del montaggio.
Il 68’di Bertolucci:i Doc militanti
e La strategia del ragno
- - A seguito dell’insuccesso di Partner Bertolucci realizza in un “passo
doppio” Strategia del ragno (girato nell’estate 1969) e Il conformista.
- Il tv movie Strategia del ragno (per la Rai) rappresenta una rivisitazione
regionale della tradizione americano in chiave di cinema politico
“deluso” dagli ideali resistenziali che hanno fatto il loro tempo - ancora
una volta si riprende la classica figura dell’indeciso non ancora però
diventato un “conformista”. Lo spunto viene dal racconto Il tema del
traditore e dell’eroe di Jorge Luis Borges (1899-1986)
- Come ha dichiarato l’autore, la sua attività professionale è stata
profondamente influenza da una terapia psicanalitica in un mix tra
cinema e vita molto stretto. Come avverrà anche in seguito.
- A concludere l’esperienza del 68’ segue un’opera “militante” al pari di
quasi tutti i cineasti di sinistra all’epoca: nel 1971 realizza in 16 mm il
doc.: La salute è malata (I poveri muoiono prima) fatto per la campagna
elettore del PCI.
- Seguirà diversi anni dopo L'addio a Enrico Berlinguer (1984) , un doc–
omaggio collettivo al grande leader comunista.
Il conformista (1971) 1
Con : Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli,
Dominique Sanda, Gastone Moschin.
Trama: Marcello Clerici (Trintignant) si reca a
Parigi in luna di miele. Il viaggio è una copertura:
all'insaputa della moglie Giulia (Sandrelli), deve
eliminare il suo ex professore antifascista.
Il “conformista” sente vacillare la fede fascista
e in più s'innamora della moglie del Prof. (Sanda).
I caratteri principali del film:
1) Per la prima volta Bertolucci compie un vero adattamento
dell’omonimo romanzo (1951) di Alberto Moravia (1907 – 1990) e
non usa la letteratura solo come spunto (Borges o Dostrojevski).
E’ mutato l’atteggiamento nei confronti della sceneggiatura
mentre la struttura temporale è a flash-back incastrati l’uno
nell’altro a differenza del romanzo.
Il conformista (2)
- È assai difficile parlare di Last Tango in Paris (1972) al di fuori di quanto dal punto di vista extra-
cinematografico ha significato (la censura, il film bruciato, la moda, tutto il discorso femminista inizio
anni Settanta, le polemiche riprese dopo la morte della Schneider nel 2011 sulle conseguenze psicologiche
della celebre scena di sodomia). La cassazione italiana con un sentenza del gennaio 1976, considerando
osceno il film, ha ordinato che ne fossero bruciati i negativi. Nel 1987 una nuova sentenza ha stabilito la
"non oscenita'" del film consentendone la riedizione.
- Ultimo tango è veramente un film “alla metà dell’Atlantico” per il discorso America-Europa (Marlon
Brando ne è la perfetta incarnazione) e per il conseguente stile sviluppato nato dopo Il conformista. Si
contraddistingue per un continuo gioco di rimandi cinefili a partire da Brando che cita se stesso.
Bertolucci si permette quasi dell’ironia e del sarcasmo nei confronti della “Nouvelle Vague” che aveva
adorato.
Novecento I e II (1976)
La trama: la feroce dissoluzione di una famiglia borghese composta da una madre cieca e da quattro
fratelli: Augusto è l’unico “sano” del gruppo. ha una fidanzata e una vita di relazioni normali; il fratello
minore Leone, affetto da ritardo mentale ed epilessia, è un ragazzo tenero, indifeso ed immensamente
dolce ma inutile, un impaccio agli occhi degli altri; Giulia (Paola Pitagora), l’unica sorella, vive un
rapporto morboso con la famiglia e ha delle tendenze chiaramente incestuose; ed infine Alessandro
(Lou Castel), il protagonista, è quello che con maggiore lucidità ma in modo distorto avverte il disagio
familiare e cercherà di risolverlo a suo modo in maniera criminale (uccide prima la madre e poi il fratello
minorato, alla fine sarà lui stesso vittima del meccanismo).
- Il soggetto venne scritto in Inghilterra
- Il finanziamento maggiore del film venne - una cosa un po’ strana per un’opera profondamente
contro la famiglia – proprio dal fratello Tonino magistrato mentre la madre mise a disposizione due
ville di campagna a Bobbio dove sono stati girati gli interni.
- A parte Paola Pitagora, il cast era in gran parte costituito da non-professionisti a partire dal
protagonista Lou Castel (1943) conosciuto al Centro Sperimentale di Cinematografia.
- Il ruolo della musica
- Il grande dibattito scatenato dal film (ad esempio Pasolini)
La produzione “impegnata” sino a Marcia trionfale
(1976) I
Dopo la satira politica di La Cina è vicina (1967), Bellocchio si dedica ad una serie di
esperienze militanti o di lavoro in gruppo. Il movimento del 68’ e dalla contestazione
studentesca è vissuto da Bellocchio, molto più di Bertolucci, in maniera piena e militante e la
successiva carriera del giovane “arrabbiato” - considerato da P.P.Pasolini il massimo esempio
di un nuovo “cinema di prosa” - è di sicuro frastagliata ma segue sempre l’obbiettivo della
messa sotto accusa dei sistemi chiusi e autoritari: dopo la famiglia i suoi target saranno: la
scuola, l’esercito, la chiesa, il manicomio.
Pasolini in una lettera gli aveva scritto profeticamente: “Caro B., per finire questo nostro
dialogo di isolati le auguro, come devono suonare le conclusioni, di turbare sempre più le
coscienze dell’Esercito, della Magistratura, del Clero reazionario, e insomma della Piccola
Borghesia italiana, a cui abbiamo il disonore di appartenere. Saluti affettuosi dal suo P.P.
Pasolini.”
Interpretato dallo stesso regista nella parte del professore conservatore, Discutiamo,
discutiamo (1968) è una sorta di pièce teatrale, tra agit-prop e Brecht dove si mette
in scena senza fronzoli un esemplare caso di contestazione studentesca alla pedante
lezione di un cattedratico.
Poi Bellocchio gira due documentari militanti di propaganda: Paola e Viva il 1 maggio
rosso.
La produzione “impegnata” sino a Marcia trionfale
II
A questi primi esperimenti seguono film più tradizionali , “d’impegno” che rientrano
nel filone del cinema politico degli anni Settanta: Nel nome del padre (1972), l’opera
più significativa di questa fase e poi Sbatti il mostro in prima pagina (1972, con
protagonista Gian Maria Volontà) o Marcia trionfale (1976, con Franco Nero e Michele
Placido) sull’autoritarismo nell’esercito italiano.
Trama di Sbatti…: Alla vigilia delle elezioni del 1972 , la quindicenne Maria Grazia
viene trovata morta alla periferia di Milano. Il redattore-capo Bizanti (Volonté),
sentito il parere dell’ingegner Montelli, finanziatore de “Il Giornale”, incarica di
seguire il caso un giornalista principiante, Roveda, affiancandolo allo smaliziato e
senza scrupoli Lauri. Dal canto suo Bizanti avvia indagini private: avvicina la
professoressa Rita Zigai, amante di Mario Boni (della sinistra extraparlamentare) e in
possesso del diario della defunta. Manipolando le notizie ottenute, Bizanti e Lauri
presentano un colpevole alla polizia, alla magistratura e all’opinione pubblica. Solo
Roveda, che nutre dubbi, avvicina il bidello della scuola di Maria Grazia scoprendo
con orrore la mistificazione e l’autentico assassino. Il redattore-capo anziché
denunciare l’assassino, licenzia Roveda, tenendo pronta la notizia da sfruttarle
secondo l’esito delle elezioni.
Sbatti il mostro in prima pagina è un film su commissione poco amato dal regista
che si inserisce nel filone del cinema commerciale d’impegno anche per la presenta
di Gian Maria Volonté.
La produzione “impegnata” sino a Marcia trionfale
(III)
- Il film politico italiano più atteso, odiato ed amato e comunque discusso degli anni zero del
terzo millennio. All’apice del successo artistico raggiunto a Cannes con la Stanza del figlio, dopo
l’impegno diretto a partire dal 2002 nel creare il movimento dei “girotondi” contro la sinistra
tradizionale a suo giudizio votata alla sconfitta, Moretti ritorna a fare un film esplicitamente
legato ad un argomento di attualità politica.
- Per la prima volta in trent’anni di carriera Moretti e/o i suoi alter ego non sono i protagonisti di
un suo lavoro ma si affida, invece, a Silvio Orlando (l’attore professionista che più spesso è
comparso nei film di NM: 5 volte). Tuttavia comparirà nel finale ritagliandosi un grande
cammeo nella parte di Berlusconi stesso.
Il Caimano (2)
- Il caimano parla di temi e personaggi politici ma è, soprattutto, come Sogni d’oro o Aprile, un
film sul cinema o meglio su un film da fare (o non fare) e si avvale di una sceneggiatura molto
ambiziosa ed originale quanto caleidoscopica e frammentata. Moretti mostra alcuni momenti
ed aspetti della carriera di Silvio Berlusconi di volta in volta visualizzato e/o interpretato da
riprese televisive e da tre attori diversi: Elio De Capitani, Michele Placido che fa la parodia di
Volontè (e l’autoparodia di se stesso ) e infine il cammeo finale di Moretti stesso nelle parta edi
un Berlusconi vincitore su tutti..
-Molti gli elementi caratterizzanti: l’autoironia su se stessi, l’uso dei documenti visivi (come una
celebre gaffe di Berlusconi ), la caricatura di Placido che si paragone a Gian Maria Volontè in
Todo Modo (1976) di Elio Petri , il tentativo di fare un film politico che ambisce ad essere diverso
da quello del cinema classico italiano.
- Con tutti i suoi possibili difetti e errori , però,Todo modo oIl caso Mattei (1972) di Francesco
Rosi restano a paragone del Caimano, in una comune indignazione morale, molto superiori
perché non vogliono essere metacinema che chiede sempre al cinema una giustificazione del
proprio operato. Se la confezione è comunque alta - musiche di Franco Piersanti, fotografia di
Arnaldo Catinari – il risultato, però, resta abbastanza deludente.
- Se Marco Bellocchio aveva concluso Buongiorno notte (2003) con un sogno utopico (quello di
Aldo Moro liberato), qui invece Moretti chiude il film con un incubo terribile, dove si abbandona
ad una utopia negativa e a una visione distopica dove Berlusconi può realizzare quello che
vuole.
Gabriele Salvatores (1950)
- Nato a Napoli, si trasferisce a Milano con la sorella e i genitori e inizia
la sua attività artistica fondando nel 1972 il Teatro dell'Elfo, con il quale
ha diretto molti spettacoli, definibili d'avanguardia. Proprio da uno di
essi nasce nel 1983 la sua prima regia cinematografica, Sogno di una
notte d'estate.
-Abbandona il teatro nel 1989, anno in cui passa al mondo del cinema. Marrakech
Express (1989) e Turné (1990) sono stati girati con il suo gruppo di
attori-amici tra i quali Diego Abatantuono (insieme al quale e a
Maurizio Totti possiede e gestisce la società di produzione
cinematografica "Colorado“ ) e Fabrizio Bentivoglio. La consacrazione internazionale
giunge con l’oscar a Mediterraneo (1991) che chiude la cosiddetta "trilogia della fuga",
idealmente proseguita nel 1992 da Puerto Escondido, tratto dal romanzo
omonimo di Pino Cacucci.
- Segue Sud (1993), tentativo di denuncia della situazione politica e sociale dell'Italia in
cui spicca l'interpretazione di Silvio Orlando.
- Nirvana (1997) con le sue atmosfere cyberpunk apre l'inizio di un periodo di
sperimentazione narrativa e il film diventa il maggiore successo commerciale del regista.
Il periodo sperimentale-fantascientifico prosegue nei primi anni 2000 con le regie
di Denti (2000) e Amnèsia (2002), entrambi con Sergio Rubini come interprete.
Gabriele Salvatores (2)
- Nel 2003 altro cambio di rotta con un film sui rapimenti, Io non ho paura, tratto
dall'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti.
- In Quo vadis, baby? (2005), tratto dall'omonimo romanzo di Grazia Verasani,
Salvatores riprende la sua sperimentazione usando tecniche digitali per tutto l film,
dando vita a un noir sui generis con atmosfere dark e spazi al limite della
claustrofobia. Il ruolo di protagonista è stato affidato all'attrice e musicista Angela
Baraldi. Da esso è stata tratta nel 2008 una miniserie con la gran parte degli interpreti
del film. Nello stesso anno il regista torna a dirigere Come Dio comanda ricavato
sempre da un romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti.
- Happy Family (2010) è invece tratta da una commedia teatrale di Alessandro
Genovesi. A settembre dello stesso anno, fuori concorso al Festival di Venezia viene
presentato il documentario di montaggio1960.
- Dopo Educazione Siberiana (2013) una delle sue opere più infelici, dall'omonimo
romanzo autobiografico di Nicolai Lilin, realizza nel 2014 prima il doc. Italy in a day e
poi Il ragazzo invisibile, che segna la sesta collaborazione del regista con Fabrizio
Bentivoglio, nonché il ritorno di Salvatores al mondo della fantascienza e dei
supereroi all’italiana.
Nel 2018 esce il sequel Il ragazzo invisibile - Seconda generazione.
Mediterraneo (1991)
Con : Diego Abatantuono, Claudio Bigagli, Giuseppe
Cederna, Claudio Bisio, Gigio Alberti
Trama: 1941. Uno scalcinato manipolo di soldati italiani ha l'ordine di
presidiare un'isola greca, apparentemente deserta. C'è il tenente Montini col
suo attendente Farina, ci sono il sergente Lo Russo, il marconista Colasanti e
Strazzabosco, legatissimo a una mula. In una rissa si è rotta la radio, così
l'isolamento è totale. I soldati si trascinano nell'ozio finché ricompaiono gli
abitanti, tutti vecchi e donne. C'è anche la bella prostituta Vassilissa che fa
l'amore con tutti ma ama soltanto il timido Farina. Ecco che dopo 3 anni
atterra un ricognitore e il pilota informa il gruppo che Mussolini è caduto e che
gli alleati adesso sono gli americani. Tutti, meno Farina che sposa Vassilissa,
tornano a casa malvolentieri. Con un epilogo amaro a distanza di anni.
Quinto film di Gabriele Salvatores, terzo di successo dopo Marrakesh Express
(1989) e Turné (1990). Un passo avanti nello stile di Salvatores che ormai ha
raggiunto un suo riconoscibile linguaggio artistico. Ha ottenuto l'Oscar quale
miglior film straniero, un riconoscimento a dir poco generoso.
Giorgio Diritti (1959)
Bologna 1959, Giorgio Diritti ci ha consegnato sinora tre
lungometraggi di finzione (oltre a tre opere di teatro e due volumi
tra cui il romanzo Noi due, 2014), E’ nel cinema italiano
contemporaneo (verso cui mantiene una decisa distanza, quasi
aristocratica), un importante autore a se stante e fuori da ogni
tendenza.
Diritti si è formato lavorando al fianco di vari registi italiani e in particolare del
concittadino Pupi Avati,con cui collabora per vari film. Ha realizza vari casting per film
in Emilia-Romagna, tra cui La voce della luna (1990) di Federico Fellini. Ha partecipa
all'attività di “Ipotesi Cinema”, fondato e diretto da Ermanno Olmi (1931 – 2018).
Come autore e regista dirige documentari, cortometraggi e programmi televisivi. In
ambito cinematografico il suo primo corto, è Cappello da marinaio (1990) mentre il suo
lungometraggio d'esordio, Il vento fa il suo giro (2005), ha partecipato a oltre 60
Festival nazionali e internazionali, vincendo oltre 36 premi.
Il secondo film, L'uomo che verrà (2009), è stato presentato nella selezione ufficiale
del Festival di Roma 2009, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria Marc'Aurelio
D'argento, il Premio Marc'Aurelio D'oro del Pubblico e il Premio "La Meglio Gioventù“..
Nel 2013 dirige Un giorno devi andare, di cui ha curato anche soggetto e
sceneggiatura, che è stato presentato in anteprima al prestigioso Sundance Film
Festival negli Usa.
Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo. Sta preparando il suo quarto film.
L’uomo che verrà (2009)
Con: Greta Zuccheri Montanari (Martina), Maya Sansa (Lena), Alba Rohrwacher
(Beniamina), Claudio Casadio (Armando).
Trama: Nell'inverno 1943-1944 sull'Appennino emiliano, la piccola Martina, di 8 anni,
vive con i genitori e la numerosa famiglia che fa fatica a sopravvivere. Dalla morte del
fratello più piccolo, ha smesso di parlare e questo la rende oggetto di scherno da
parte dei coetanei, tuttavia il suo sguardo sul mondo che la circonda è molto
profondo. La guerra arriva anche sul Monte Sole ricoperto di neve. La madre Lena
resta nuovamente incinta e Martina segue i nove mesi della gestazione, mentre le
vicende della guerra si intersecano con la quotidianità della vita contadina: il bucato,
le ceste, la stalla, la macellazione del maiale, gli amoreggiamenti dei giovani, la Prima
Comunione. Il fratellino di Martina nasce in casa, a fine settembre del 1944. Allo
spuntar del giorno le SS e l’esercito tedesco mette in atto un feroce rastrellamento,
ricordato come la Strage di Marzabotto: vecchi, donne e bambini vengono trucidati,
dopo esser stati raccolti nei cimiteri, nelle chiese e nei casolari. Martina, che era
riuscita a fuggire, viene scoperta e rinchiusa in una chiesetta insieme a decine di altre
persone e, dopo avere chiuso le porte, attraverso le finestre i soldati lanciano
delle granate per fare una strage. La bambina resta miracolosamente illesa e torna a
casa, trovando solo stanze vuote e silenzio: prende la cesta con il fratellino, che
aveva nascosto in un rifugio dentro il bosco, e va nella canonica di un sacerdote.
Finita la strage, fa ritorno al casolare di famiglia, dove si prende cura del fratellino
intonando per lui una ninna nanna. Ha riacquistato l'uso della parola.
L’uomo che verrà (2009) (2)
- Dai registi con cui ha collaborato, Giorgio Diritti ha di fatto mutuato alcune caratteristiche della
sua opera: dal concittadino, Pupi Avati (1938) ha appreso l’importanza del lavoro con gli attori, la
concezione dell’arte che non disdegna la concretezza del migliore artigianato; dal romagnolo
Fellini ha imparato l’ottica di una discreta nostalgia dei tempi andati per avventurarsi nel sogno,
l’idea che fare un film ambientato nel passato implica e impone la stessa libertà di farne uno
ambientato nel futuro. Infine da Ermanno Olmi (1931 – 2018) ha ricevuto in dote l’attenzione a un
epos degli umili e il non tirarsi indietro di fronte anche a scelte scomode, ma che rileggono la
tensione realistica in una chiave superiore.
- Il regista si è lungamente documentato per questo film che racconta l’eccidio di Monte Sole (più
noto come la strage di Marzabotto), un insieme di massacri compiuti dalle truppe nazifasciste tra
il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 in quella zona delle colline bolognesi. E’ stato uno dei più
gravi crimini di guerra compiuti contro la popolazione civile dalle SS durante la II°guerra mondiale
con 1830 morti accertati.
- Nei titoli di coda si dichiara che i personaggi e le vicende del film sono frutto di finzione, ma lo
sfondo storico è reale e alcuni personaggi del film sono veramente esistiti.
-L’uomo che verrà ha in comune con La Notte di San Lorenzo dei Fratelli Taviani la centralità di
un’ottica infantile e il ricordo radicato nelle memoria collettiva della popolazione locale di un
grande trauma storico. Il film di Diritti è però molto più realistico a partire dal fatto che è recitato in
stretto dialetto bolognese e con un mix di attori professionisti e non.
- Il rapporto tra singoli e collettività è il cuore più pulsante di tutto il cinema di Giorgio Diritti
mentre l’equazione tra Uomo, Storia e Territorio connota un preciso rapporto della macchina da
presa con il territorio che ospita la narrazione.
Marco Tullio Giordana (1950)
Bio-filmografia (1)
Nato a Milano nel 1950, Giordana è autore di film a metà tra fiction e documentario,
strettamente legati alla realtà storica dei fatti. Con la collaborazione di Stefano Rulli e
Sandro Petraglia, creatori della maggior parte delle sue sceneggiature, ha rinnovato la
tradizione del cinema impegnato degli anni Settanta, indagando i casi controversi della
nostra storia, dalle vicende di Peppino Impastato al delitto Pasolini, fino alla grande
saga familiare La meglio gioventù.
Dopo intense esperienze politiche, si avvicina al cinema collaborando con Roberto
Faenza alla realizzazione diel doc. Forza Italia! alla fine degli anni Settanta. L'esordio alla
regia avviene con Maledetti vi amerò! (1980), divertita ma amara riflessione (una delle
prima se non la primissima) sulla generazione del '68. A quest'ultimo tema è dedicato
anche La caduta degli angeli ribelli (1981), senza però riuscire a raggiungere i risultati del
film precedente. In Notti e nebbie (1984, dall’omonimo romanzo di Carlo Castellaneta) si
narra il periodo della Repubblica di Salò, la Resistenza e la guerra civile dal punto di vista
del fascismo, diventando così uno dei rari esempi di cinema d'inchiesta. Anche se meno
incisivo e con qualche ingenuità di sceneggiatura, Appuntamento a Liverpool (1987)
racconta, invece, la strage dell'Heysel, la tragedia avvenuta nel 1985, poco prima
dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio
di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600.
Marco Tullio Giordana Bio-
filmografia (2)
Nel 1995 realizza il docu-drama Pasolini un delitto italiano dove si cerca di far luce sugli
errori e sulla sospettosa fretta delle indagini sull'omicidio efferato avvenuto a Ostia. È il
primo film popolare che racconta la morte del grande poeta e cineasta italiano.
Nel 2000 arriva il grande successo de I cento passi interpretato da Luigi Lo Cascio,
ispirato alla breve vita di Peppino Impastato, giovane militante siciliano che, per aver
osato combattere i mafiosi del suo paese, viene ucciso dai complici del boss Tino
Badalamenti, lo stesso giorno in cui a Roma si scopriva il cadavere dell'onorevole Aldo
Moro ammazzato dalle Brigate Rosse.
Dopo questo film e La meglio gioventù , l'amore per le lotte storico-sociali diventa
sempre più la chiave stilistica di Giordana, con Quando sei nato non puoi più nasconderti
(2005) si affronta le contraddizioni di una famiglia borghese nei confronti della
solidarietà per gli immigrati clandestini. Nel 2008 lo vediamo alle prese con Luisa Ferida
e Osvaldo Valenti, interpretati da Monica Bellucci e Luca Zingaretti, in Sanguepazzo, in
cui si percorre gli ultimi anni di vita dei due attori, dalla fedeltà alla Repubblica di Salò
all'uccisione per mano dei partigiani.
Nel 2012 infine esce Romanzo di strage, dedicato al sanguinoso attentato di Piazza
Fontana del 12 dicembre 1969 e ai fatti che ne seguirono, fino all'assassinio del
commissario Luigi Calabresi il 17 maggio 1972., nel quale dirige Pierfrancesco Favino,
Valerio Mastandrea e Laura Chiatti.
La meglio gioventù (2003)
Con: Luigi Lo Cascio (Nicola), Alessio Boni (Matteo), Sonia Bergamasco
(Giulia), Maya Sansa, Fabrizio Gifuni, Adriana Asti, Jasmine Trinca, Valentina
Carnelutti, Riccardo Scamarcio, Claudio Gioé.
Trama: Trentasette anni di storia italiana, dall'estate del 1966 fino alla
primavera del 2003, attraverso le vicende di una famiglia della piccola
borghesia romana e la storia di due fratelli, Nicola e Matteo. Durante
l'alluvione a Firenze del '66, Nicola si innamora di Giulia e la segue per vivere
nella città di lei, Torino. E' la Torino degli anni '70, sullo sfondo del terrorismo,
dei problemi operai e dell'immigrazione dal Sud. Su questo incipit si prosegue
fino al 2003 per chiedersi e chiederci che cosa sia cambiato da allora e cosa sia
rimasto uguale.
- Il film nasce come miniserie televisiva in quattro episodi, un lavoro che la
Sacher di Moretti e Barbagallo produce per la RAI e che quest'ultima, per
motivi niente affatto chiariti, non manda in onda nonostante per ben due
volte ne avesse annunciato la trasmissione. Giordana riesce a portare la sua
opera a Cannes, vince con clamore la sezione “Un certain regard”
- Un'opera storica di 6 ore magnificamente interpretata da un grande cast,
ma soprattutto: “un affresco che descrive l'evoluzione dei costumi, dei
rapporti familiari e le trasformazioni sociali e qualche riflessione pungente
sulla politica del nostro Paese”.
Paolo Sorrentino (1970)
- Nato il 31 Marzo 1970, napoletano
purosangue, Paolo Sorrentino, regista
e/o sceneggiatore di tutti i suoi film si
è distinto per uno tipologia di cinema
molto personale ma anche internazionale (già la sua opera
seconda approda al grande traguardo del Festival Di
Cannes). E’ anche autore letterario.
- Sorrentino esibisce uno stile rigoroso, quasi geometrico
e molto costruito nella scelta delle inquadrature e dei
movimenti di macchina quanto innovativo ed eccentrico a
livello di scrittura della sceneggiatura. Tutto il contrario di
Matteo Garrone.
- La sua è una fucina di storie e di personaggi tanto forti
quanto originali, in cui mostra uno spirito creativo e
sofisticato anche sul piano visivo e musicale, passando in
modo disinvolto da Ornella Vanoni all’elettronica o meglio
l’”indietronica“ (indie electronic) dei Lali Puna.
Paolo Sorrentino (2)
- Pur fatte alcune esperienze pratiche, Sorrentino proviene
soprattutto dal mondo della scrittura cinematografica
(vincitore del Premio Solinas nel 1997 con Dragoncelli di
fuoco, e altre esperienze come la serie tv La squadra).
- Esordisce con il pluripremiato L’uomo in più (2001), forse il
miglior film di debutto dai tempi dei Pugni in tasca di
Bellocchio, dopo due corti tra cui L’amore non ha confini
(1998), con cui inizia la sua collaborazione con la società
napoletana “Indigo Film” (produttrice di tutti i suoi lavori).
Qui inizia anche un fortunato sodalizio artistico-produttivo,
con l’attore Toni Servillo (Afragola/Napoli, 1959),
protagonista e alter ego di gran parte delle sue opere.
L’uomo in più (2001)
Con: Toni Servillo, Andrea Renzi, Nello Mascia, Angela Goodwin.
Trama: si raccontano le vite parallele negli anni ottanta a Napoli di due
persone dallo stesso nome, Antonio Pisapia. Il più vecchio Tony (Servillo) è
un cantante di successo cocainamane; l’altro ( Renzi) è un onesto calciatore
che vorrebbe diventare allenatore. Entrambi, inizialmente ricchi e famosi,
cadono in disgrazia, cercano di rialzarsi ma precipitano nell’abisso.
- Ispirato a personaggi reali - il cantautore Franco Califano (1938-2013) e il
calciatore De Bartolomei - il film si svolge in una Napoli diversa, spietata e
cinica senza mai essere folkloristica. L’occhio di Sorrentino è caratterizzato
da uno sguardo critico sugli ambienti della canzone e del calcio, ma senza un
taglio predicatorio: l’amarezza sui destini e i casi della vita prevale sull’
indignazione morale. Il suo sembrerebbe quasi un cinema di pedinamento
post-zavattianiano ma rivisto con luce tutta moderna che racconta con
intensità, pudore e precisione di dettagli e che evita le scorciatoie e i clichè
della sintassi narrativa tipici della produzione mainstream americana.
Paolo Sorrentino (3)
- Segue il meno riuscito Le conseguenze dell’amore (2004) dove inizia a
collaborare con il grande direttore della fotografia Luca Bigazzi che è
presentato al Festival di Cannes, sempre con Toni Servillo nell’abito di un
drogato, di un personaggio scomodo e antipatico. Il protagonista vive
nell’albergo di un luogo imprecisato del Canton Ticino e nasconde un
segreto che emergerà a poco a poco anche grazie al progressivo
innamoramento per la ragazza del bar dell’hotel. La grande raffinatezza
stilistica del film sul piano visivo si accompagna però con un testo molto
scritto che appesantisce il film, malgrado la bravura del protagonista .
- Come il precedente (e il successivo) il film è montato da Giogiò Franchini
poi sostituito a partire da Il divo da Cristiano Travaglioli. Paolo Sorrentino
lavora (attore, tecnici) quasi sempre con le stesse persone.
Ritorna di nuovo a Cannes con L’amico di famiglia (2006), storia del vecchio
usuraio Geremia de’ Geremei (Giacomo Rizzo – è il primo film senza Toni
Servillo), ulteriore sgraziato antieroe nella galleria di creature disperate
create dalla penna e dalla macchina da presa del regista napoletano.
Il Divo (2008)
A Il Divo (2008) segue il meno fortunato This Must Be the Place (2011), scritto
con Umberto Contarello e interpretato da Sean Penn, Frances McDormand e
Judd Hirsch, il suo primo lavoro in inglese e ad alto budget.
- Il titolo del film è un tributo alla canzone “This Must Be the Place” dei Talking
Heads, del 1983. Infatti il protagonista è una ex rock star degli anni ottanta
ritiratosi dalle scene anche se continua a vestirsi come se ciò non fosse avvenuto
e non a caso le musiche del film sono state scritte da David Byrne ex leader dei
Talking Heads con la collaborazione del cantautore indie Will Oldham.
-Ancora una volta nella storia troviamo un personaggio che parecchi punti di
contato con i precedenti: Cheyenne, rocker ormai in disarmo ma che un tempo
fu celebre e di quella celebrità gode ancora i frutti economici, è un uomo che
quotidianamente si trasforma in maschera ma ha un enorme problema irrisolto
con il padre. Che dovrà cercare di affrontare quando muore.
- Nel 2010 Sorrentino esordisce anche in letteratura con Hanno tutti ragione
(risultato terzo classificato al Premio Strega) a cui è seguito il libro di racconti
Tony Pagoda e i suoi amici (2012) ispirato al personaggio del cantante de Un
uomo in più.
La grande bellezza (2013)
Con: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Roberto Herlitzka, Isabella
Ferrari, Giorgio Pasotti, Vernon Dobtcheff, Serena Grandi, Luca
Marinelli, Massimo Popolizio, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Ivan Franek.
Trama: Scrittore di un solo libro giovanile, "L'apparato umano", Jep
Gambardella, giornalista di costume, critico teatrale, opinionista tuttologo,
compie sessantacinque anni chiamando a sé, in una festa barocca e cafona, il
campionario freaks di amici e conoscenti con cui ama trascorrere infinite serate
sul bordo del suo terrazzo con vista sul Colosseo. Trasferitosi a Roma in giovane
età, come un novello vitellone in cerca di fortuna, Jep rifluisce presto nel girone
dantesco dell'alto borgo, diventandone il cantore supremo, il divo disincantato.
Re di un bestiario umano senza speranza, a un passo dall'abisso, prossimo
all'estinzione, eppure ancora sguaiatamente vitale fatto di poeti muti, attrici
cocainomani fallite in procinto di scrivere un romanzo, cardinali-cuochi in
odore di soglio pontificio, imprenditori erotomani che producono giocattoli,
scrittrici di partito con carriera televisiva, drammaturghi di provincia che mai
hanno esordito, misteriose spogliarelliste cinquantenni, sante oracolari
pauperiste ospiti di una suite dell'Hassler.
Jep Gambardella tutti seduce e tutti fustiga con la sua lingua affilata, la sua
intelligenza acuta, la sua disincantata ironia. (My Movie)
La grande bellezza
Come al solito in Concorso a Cannes, è il tentativo per
me riuscito di riscrivere attualizzata La dolce vita (1960)
di Federico Fellini, riportando in Italia dopo 15 anni la
statuetta dell’oscar come miglior film straniero. Si tratta
di un film piuttosto antinarrativo che è piaciuto quasi
più all’estero che non in Italia dove ha avuto numerosi
detrattori. Ne esistono due versioni diverse. Personalmente lo considero
il culmine dell’opera del regista napolatano.
“Forse l’opera più ambiziosa di Sorrentino fino ad oggi, La grande
bellezza è un film che vive delle stesse contraddizioni che racconta, di
eccessi barocchi e intimità commoventi, momenti di un surrealismo
concretissimo come di puro e cristallino godimento estetico essenziale,
di una crepuscolarità costante e ininterrotta perfino dalla luce del giorno
e momenti di straordinaria lucidità su sé stessi e sul mondo. Un film
opulento per ragionata necessità, ma nel quale il regista trova perfino,
niente affatto paradossalmente, lo spazio per calmierare la scalmatezza
della sua vorticosa macchina da presa”.
le ultime opere di Sorrentino
Con Youth - La giovinezza , al solito in Concorso al Festival
di Cannes 2015, Sorrentino realizza la sua seconda opera in
lingua inglese per l’interpretazione di Michael Caine,
Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano e Jane Fonda.
Dedicato a Francesco Rosi, il film è ambientato
prevalentemente in Svizzera è caratterizzato da uno stile
particolarmente estatico e rarefatto. A molti è sembrato
lezioso ma è sempre girato con grandissima maestria.
Infine nel 2016 scrive e dirige la sua prima serie tv prodotta
da Sky, Canal + e HBO, The Young Pope, con Jude Law,
Diane Keaton e Silvio Orlando protagonisti, che ha
riscontrato molte critiche positive.
Infine il film su Silvio Berlusconi (2018), Loro, in due parti,
con il “mattatore” Tony Servillo, un lavoro estremamente
diverso da quello di Nanni Moretti.
Matteo Garrone (1968)
- Nasce a Roma il 15 ottobre 1968 da una famiglia intellettuale:
il padre, Mirco, è un critico teatrale, la madre una fotografa. A
Scuola , il giovane Matteo pratica con successo Il tennis. Si diploma
al Liceo Artistico nel 1986, prima lavora come aiuto operatore e poi
si dedica alla pittura, a tempo pieno.
- Debutta con il cortometraggio Silhouette (1996), che vince il Festival Sacher.
Nel 1997 realizza il primo lm,Terra di mezzo, un collage di tre storie di
immigrazione (prostitute nigeriane, giovani albanesi in caccia di un lavoro
qualsiasi, un egiziano che di notte fa il benzinaio abusivo) ambientate nei dintorni
e dentro Roma.
- Sempre nel 1997 gira, a New York, il doc. Bienvenido Espirito Santo; dopo
l’incontro con gli sceneggiatori Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata, firma in co-
regia, Un caso di forza maggiore e, poi il doc. Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni
e il suo secondo lm, Ospiti (1998) che sembra essere la continuazione meno
riuscita del secondo episodio di Terra di mezzo.
- Garrone affina però il suo stile e modo di concepire il cinema: troupe
ridottissima di fedeli adepti, sempre più una sorta di ‘famiglia‘’quasi fissa (la
fotografia di Marco Onorato, il montaggio di Marco Spoletini, le musiche della
Banda Osiris); presa diretta sulla realtà, sia visiva che auditiva; utilizzo personale
delle logistiche di produzione, con possibilità, di ritornare sui set e sulle riprese.
A questa maniera resterà negli anni fedele.
Estate romana (2000)
Dopo aver affrontato il tema dell’emigrazione senza retorica,
si occupa del mondo dello spettacolo e delle cantine romane
nel suo terzo e meglio riuscito film rispetto al precedente,
Estate romana (2000) presentato al Festival di Venezia.
Trama: nella Roma accaldata del 1999, invasa dai cantieri per
il Giubileo del 2000, si sovrappongono gli itinerari tragicomici
di uno scenografo pigro senza ambizioni (Salvatore Sansone)
e del suo grande mappamondo, della sua assistente (Monica
Nappo) in lotta continua con la suocera megera e di una ex
attrice (Rossella Or) di teatro off, che, rimpatriata dopo molti
anni, si trova alquanto spaesata e depressa.
Con piazza Vittorio come punto di partenza, è un viaggio
attraverso una Roma inedita e teatrale all'insegna di una
precarietà subita, ma anche accettata con una tranquillità
non priva di irrequietezza.
L’imbalsamatore (2002)
Con L’imbalsamatore (2002), il regista romano fa un salto di qualità
estetica ma resta fedele al tema della marginalità che affrontato affinando
il discorso in una direzione più introspettiva (e di genere). Sono cambiate
un po’ le logiche di produzione (prima l’autoproduzione indipendente
adesso la Fandango di Domenico Procacci), ma non varia il suo approccio
personale. La realtà della storia viene letta con il sentimento del
documentarista o del fotografo: alla ricerca della verità, Garrone è
interessato a rivelare l’essenziale, indagato con occhio clinico.
Scritto con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ispirato a un fatto di cronaca
romana, reinventato da Vincenzo Cerami in L'omicidio del nano (in
Fattacci, 1997), rappresenta un raro esempio di noir all'italiana che
coniuga cinema d'atmosfera con lo scavo psicologico e il racconto
d'azione.
Analizzando i personaggi e le rispettive funzioni attribuite in maniera
ricorrente nella filmografia di Garrone, si assiste al suo intento di voler
sublimare anche argomenti di pressante attualità presenti nel cinema
contemporaneo, con elementi chiaramente riferibili alla tradizione
favolistica più esplicita in alcuni sui film successivi, oltre poi a veicolare la
trasmissione dei contenuti alla maniera orale, attraverso la macchina da
cinepresa.
Primo amore (2003)
Presentato con una certa risonanza mediatica, segue
Primo amore (2003), dal romanzo Il cacciatore di
anoressiche di Marco Mariolini, sceneggiato dal regista
con Massimo Gaudioso e lo scrittore vicentino Vitaliano
Trevisan (quest'ultimo anche protagonista improvvisato
insieme all’attrice teatrale Michela Cescon alla prima
esperienza dietro la mdp).
Con Primo amore Garrone continua il discorso iniziato ne
L’imbalsamatore sullo squallore della provincia italiana
profonda e quello su degli amori perversi. E lo fa sempre
con il suo stile “rubato” alla vita. Primo amore è un film
molto disturbante soprattutto per l’insistita ripresa sulla
nuda e spaventosa magrezza della protagonista che è
stata costretta a dimagrire più di 15 kl per rendere la
parte della ragazza anoressica.
Gomorra (2008)
Dopo diversi anni di attesa e sempre prodotto dalla Fandango, Garrone
torna dietro la mdp nel 2008 per cimentarsi con la trasposizione
cinematografica del bestseller sulla camorra e la criminalità napoletana
dello scrittore Roberto Saviano (1979), Gomorra (2006, 2.000.000 di copie
vendute in Italia, 33 traduzioni nel mondo).
Un film senza: Senza linearità, senza protagonista, senza attori noti
(tranne Toni Servillo), senza molte scene-madri, senza variazioni di tono,
senza prediche, senza catarsi.
Si parla di potere, sangue, soldi attraverso l'incrocio di 5 vicende che si
annodano fluidamente senza danneggiare l'omogeneità narrativa.
Racconta la camorra tra Napoli e Caserta, un sistema che - secondo i
titoli di coda - ha ucciso in 30 anni più di 10.000 persone. Con le altre mafie
(Sicilia, Calabria, Puglia) – dicono sempre le statistiche - fa parte di un
impero criminale con un giro d'affari di 150 miliardi di euro l'anno ( la Fiat
arriva a 58). Non li guadagna soltanto con droga, armi, estorsioni. Fa affari
in tutto. Omicidi a parte, è la storia di una normalità, di una catastrofe
pulita, di una Chernobil alla diossina. Un opera devastante.
Gli ultimi film
Dopo il grande successo di Gomorra ,nel 2012 gira Reality, con cui vince di nuovo il
Grand Prix a Cannes. Ispirato – sembra - alla vera storia dell'allora cognato di
Garrone, che nella realtà svolgeva la professione di pescivendolo e aveva cercato
di sfondare nel mondo dello spettacolo tramite il “Grande Fratello”, il film è una
commedia grottesca sull'influenza negativa che hanno i reality show sulle
persone. Il protagonista, interpretato da un attore che si era formato in carcere, è
tanto ossessionato dall’idea del successo che finisce con il perdere il senso della
realtà, distorcendo la percezione di ciò che lo circonda.
Sempre in questa chiave stilistica ma con un cast internazionale tra cui Salma
Hayek, Vincent Cassel, John C. Reilly e Toby Jones , nel 2015 dirige Il racconto dei
racconti - Tale of Tales, adattamento di tre racconti della raccolta di fiabe “Lo
cunto de li cunti “di Giambattista Basile, pubblicata postuma tra il 1634 ed il 1636.
Si tratta di un film coraggioso e atipico nel panorama del cinema italiano attuale,
un opera di fantasy dalle tinte horror che purtroppo ha avuto scarso successo di
pubblico malgrado l’ottima accoglienza critica.
Infine nel 2018 esce Dogman, ispirato alle vicende del delitto di Pietro De Negri,
detto il ”Canaro della Magliana”; a Cannes è valso al protagonista, Marcello
Fonte, il Prix d'interprétation masculine.
Sta preparando una nuova versione di Pinocchio.
Daniele Vicari (1967)
Nato a Collegiove, (Rieti), nel 1967, si laurea in “Storia e Critica del
cinema” all’Università la Sapienza di Roma. Collabora dal 1990 al 1996
come critico cinematografico alla rivista “Cinema Nuovo” e poi dal
1997 al 1999 a “Cinema 60”, interessandosi soprattutto di cinema
d’impegno. La passione per questo genere si riverbera anche nelle sue
prime produzioni di cortometraggi: Il nuovo, in 16 millimetri, seguito
poi da Mari del Sud, che tocca temi socio-ambientali. Nel 1997,
collabora con Guido Chiesa, Davide Ferrario, Antonio Leotti e Marco
Simon Puccioni, al documentario collettivo Partigiani, che racconta la
lotta al nazismo e al fascismo della cittadina emiliana di Correggio
(Reggio Emilia).
Il genere documentaristico d’impegno socio-politico ha costituito il
centro di ben quattro corti realizzati nel 1998: Comunisti, in cui descrive
omicidi di sacerdoti cattolici per mano di partigiani comunisti nell’Italia
dell’immediato dopoguerra; Uomini e lupi, ritratto sulla vita dei pastori
del Gran Sasso, Bajram e Sesso, marmitte e videogames, sulla passioni
automobilistiche degli italiani.
Nel 1999, dopo aver collaborato a Non mi basta mai, storia di cinque
operai licenziati dalla FIAT nel 1980, dirigerà Morto che parla, dedicato
all’attore di Pier Paolo Pasolini Mario Cipriani, (protagonista nel 1963
de La ricotta)
Daniele Vicari (2)
Il terzo millennio si apre con il passaggio al cinema di finzione in
Velocità Massima (2002), in concorso alla Mostra di Venezia, con cui
vince il David di Donatello come miglior regista esordiente. Nel 2005,
L’orizzonte degli eventi partecipa al Festival di Cannes nella sezione
Semaine de la Critique. Nel 2007, con il doc. Il mio paese, riceve un
secondo David di Donatello per il miglior documentario di
lungometraggio. Nel 2008 presenta al Festival di Roma Il passato è una
terra straniera, con protagonista Elio Germano, trasposizione del
romanzo di Gianrico Carofiglio.
Dopo Diaz - Don’t Clean Up This Blood del 2012. che si aggiudica quattro
David di Donatello, al Festival di Venezia sempre nel 2012 presenta
come evento speciale fuori concorso il doc. La nave dolce che si
aggiudica il “Premio Pasinetti”.
I suoi due ultimi film sono Sole cuore amore (2017) con Isabella
Ragonese, Eva Grieco e Francesco Montanari e questo anno il tv movie
Prima che la notte in cui racconta la storia di Pippo Fava (interpretato
da Fabrizio Gifuni), giornalista ucciso da Cosa nostra il 5 gennaio 1984.
È il direttore artistico della Scuola d’arte cinematografica Gian Maria
Volonté.
Diaz-NON PULIRE QUESTO SANGUE (2012)
Con: Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph
Amoussou
Trama: Si seguono diversi personaggi: Luca è un giornalista della “Gazzetta di Bologna”
che decide di andare a vedere cosa sta accadendo a Genova dove, in seguito agli scontri
per il G8, un ragazzo, Carlo Guliani, è stato ucciso. Alma è un'anarchica tedesca che ha
partecipato agli scontri e ora, insieme a Marco (organizzatore del Social Forum) è alla
ricerca dei dispersi. Nick è un manager francese giunto a Genova per seguire il seminario
dell'economista Susan George. Anselmo è un anziano militante della CGIL che ha preso
parte al corteo pacifico contro il G8. Bea e Ralf sono di passaggio ma cercano un luogo
presso cui dormire prima di ripartire. Max è vicequestore aggiunto e, nel corso della
giornata, ha già preso la decisione di non partecipare a una carica al fine di evitare una
strage di pacifici manifestanti. Tutti costoro e molti altri si troveranno la notte del 21
luglio 2001 all'interno della scuola “Diaz” dove la polizia scatenerà l'inferno.
Prodotto dalla Fandango, girato in gran parte in Romania, il film si pone nel solco del
cinema d’impegno civile degli anni Settanta per ricostruire uno degli episodi più
scandalosi della storia dell’ Italia repubblicana.
Un film che vuole essere un monito. E’ stato detto a questo proposito in una recensione:
“Una notte da dimenticare diranno alcuni. Una notte da ricordare afferma con forza e
rigore questo film. Perché fatti simili non accadano più .”