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Ci eravamo tutti addormentati in un mondo,e svegliati in un altro.

Gli
abbracci e i baci erano improvvisamente diventati armi e non visitare i
propri cari un atto d'amore.

AGGIUNGI DETTAGLI COLMI DI DRAMA SULLA SITUA COVID-19

Il mio nome è Ada. Al tempo la mia famiglia possedeva un antico


casale,adibito a masseria e colmo di turisti nei mesi estivi,ma
sfortunatamente vuoto da settembre in poi. Ancora oggi non riesco a capire
cosa avesse spinto i miei genitori ad accettare di ospitarli,quando quei nove
ragazzi si presentarono sulla soglia del nostro casale: quello non era
certamente il tempo di stringere rapporti,specialmente con sconosciuti,ma
forse i miei genitori sentivano di far parte di quel puzzle di solidarietà che
solitamente si assemblava in situazioni come quella.

Erano arrivati a Roma da pochi giorni quando il governo annunciò l'inizio della
quarantena:le loro famiglie ospitanti non potevano più accoglierli nelle loro case,e
prendere un aereo per ritornare dai loro genitori non era più possibile. Dovevano
trovare un luogo sicuro per sfuggire al contagio,un luogo dove rimanere in attesa del
momento in cui sarebbero potuti ritornare alla loro quotidianità. Nove ragazzi
stranieri in cerca di un rifugio, in cerca di un angolo di paradiso lontano dalla
realtà,lontano da quello che era cominciato come un semplice raffreddore dall'altra
parte del globo. SPOSTA PARTE PARADISO (?)

Rimasero con noi solo undici giorni,ma è sempre inevitabile legarsi indissolubilmente
a qualcuno con cui condividi lo spazio vitale in tempi di tragedia,e così fu anche per
me.

La cosa più interessante era capire cosa quei ragazzi avessero lasciato alle loro spalle
e cosa avrebbero trovato al loro ritorno. Akame e Shaoran,due gemelli
asioamericani,avrebbero dovuto confrontarsi con il razzismo che traeva sempre più
energia dal panico da coronavirus. Il padre di Isabel,una ragazza portoghese, gestiva
un'azienda manifatturiera e avrebbe perso il lavoro di lì a poco a causa della crisi
economica,mentre i genitori i di Felix,due medici tedeschi,lavoravano giorno e notte
in prima linea per salvare più vite possibili.
Ogni sera ci riunivamo nel salone principale e,con la stessa curiosità di una bambina
che sente una parola per la prima volta,mi feci raccontare le loro storie e ne
raccontai anche di mie:storie di amori perduti e ritrovati,di amicizie,storie di cose
ordinarie,che in quel tempo di reclusione non sembravano poi così scontate.

Ogni giorno uno di noi avrebbe dovuto fare una domanda che riteneva fondamentale
per conoscere davvero una persona, e gli altri dovevano rispondere con un racconto
su quel determinato tema. Chi avesse raccontato la storia più coinvolgente avrebbe
potuto fare la domanda il giorno successivo.

Amahle,una ragazza di Città del Capo,ci chiese se qualcuno di noi si fosse mai
ritrovato costretto a scegliere tra passione e talento,Lars,che amava le storie
dell'orrore,ci domandò quale fosse stata l'esperienza più spaventosa della nostra
vita. Petra,che proveniva da Atene,ci invitò a raccontarle il gesto d'amore più bello a
cui avessimo mai assistito,mentre Shaoran volle sapere quale fosse stata la lezione
più importante imparata dalla nostra famiglia. Infine raccontammo di una giornata
che avremmo voluto dimenticare,su richiesta del simpatico Ivan.

E mentre trascorevamo il tempo a raccontarci segreti e verità,le notizie che i


telegiornali divulgavano in merito al quel famigerato "covid-19" giungevano alle
nostre orecchie come suoni indistinti.

E in una di quelle giornate di racconti fatti di frasi spezzate,qualcuno chiese: "Come


vedete il futuro?"

E visto che quel futuro di cui tanto ci piaceva parlare ormai l'ho vissuto,ho deciso di
dedicare questa serie di racconti a coloro che nel FINISCI DEDICA SCROFA LAVATIVA

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