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Sono fortemente interessato a partecipare al workshop in quanto in esso vedo coincidere i miei

interessi artistici e musicologici, studi che sto portando avanti parallelamente. L'improvvisazione
rappresenta un elemento fondamentale del mio percorso musicale. Inizialmente interessato al jazz
ho abbandonato questo percorso didattico all'ultimo anno del diploma di II livello, per una serie di
motivazioni, in gran parte personali, ma credo che l'insieme di stilemi e norme su come
improvvisare impostemi nel contesto accademico abbia contribuito in modo determinante a farmi
abbandonare gli studi. Nel frattempo mi ero già avvicinato alla musica colta del XX° e XXI° sec.
attraverso gli studi di composizione. Sto infatti portando avanti sia la prospettiva storica che
l'esplorazione dei linguaggi più contemporanei. Tra questi è riapparsa la componente
improvvisativa, la quale decontestualizzata dal mondo accademico jazzistico mi si è riproposta in
modo fresco e stimolante. Da qualche anno sto quindi cercando di allacciare contatti con
improvvisatori attivi nelle zone in cui ho abitato, vicende personali e di studio mi hanno portato in
Toscana,Veneto, Lombardia, in Alsazia e adesso a Ferrara, questo da un lato ha limitato le mie
possibilità di instaurare collaborazioni durature, dall'altro mi ha permesso di confrontarmi con un
grande numero di musicisti e musicologi. Questo workshop rappresenterebbe per me un'ulteriore
grande opportunità di scambio con nomi illustri e musicisti più giovani, nonché la possibilità di
osservare come questa mia passione possa tradursi anche in un ambito di ricerca musicologico.

Come si arriva a o si parte dall’improvvisazione?


Si è spesso portati a pensare che l'assoluta padronanza tecnica dello strumento e dei meccanismi di
comunicazione musicale siano i presupposti imprescindibili per poter esprimere la propria voce
all'interno di un contesto improvvisativo. La competenza musicale, insieme alla capacità tecnica
necessaria per tradurre in suono la propria idea in modo estemporaneo, sono effettivamente due
competenze di fondamentale importanza ma queste, a mio avviso, non rappresentano l'inevitabile
punto di partenza attraverso i quali poter arrivare faticosamente alla possibilità di improvvisare
liberamente.
Le prime note di ogni musicista sul suo strumento sono state improvvisate, anche il neonato
attraverso la lallazione esplora le possibilità sonore del suo apparato vocale prima di comprendere le
strutture del linguaggio verbale. In questo senso ogni musicista parte dall'improvvisazione, ma lo
studio (anche se condotto autonomamente) porta spesso ad una normazione del proprio linguaggio
musicale. Attraverso lo studio si ripercorrono i passi dei musicisti che ci hanno preceduto e questo
ci è di fondamentale importanza per raggiungere "luoghi" che altrimenti non avremmo mai potuto
esplorare. Tuttavia continuando a marciare su quei sentieri, con la volontà di approfondirli, si
finisce spesso per non potervi più uscire, un po' come quando osserviamo le antiche via romane con
i solchi scavati dalle ruote dei carri.
Le strade indicateci dalla tradizione ci conducono dove non arriveremmo da soli, mentre lo studio
dello strumento ci offre i mezzi tecnici per percorrerle. Durante tutto questo viaggio,
l'improvvisazione, intesa nella sua accezione più libera, resta un elemento prezioso ed
indispensabile per osservare il panorama, indagare quel che c'è intorno, per fare delle deviazioni
momentanee o radicali. Dall'improvvisazione si parte e si arriva allo stesso modo, l'improvvisazione
è una compagno di viaggio nel percorso di ogni musicista, poi ognuno è libero di lasciarsi più o
meno guidare da lei.

Perché improvvisazione oggi?


Come già detto l'improvvisazione per me rappresenta il mezzo per esplorare nuovi territori
musicali. L'oggi musicale sembra spesso proporre due strade: quella della normalizzazione imposta
dal mercato e quella del puro accademismo, entrambe dettate dall'omologazione ad un modello. Le
vie alternative, portano spesso a nicchie isolate che qualora non sfocino nell'autoreferenzialità,
spesso faticano a trovare un loro spazio ed una comunità a cui parlare.
Le musiche improvvisate non rappresentano certo una realtà aliena a questo scenario, anche le sue
espressioni più popolari come il jazz stanno subendo una pericolosa accademizzazione che se da un
lato sta riconoscendo un valore artistico in passato negatogli, dall'altro sta portando ad una sua
cristallizzazione che vede nelle correnti degli anni '60 la sua espressione più alta e pura.
L'improvvisazione jazzistica accademica sta andando verso una normalizzazione della pratica nella
quale, volendo fare un commento provocatorio, si intravede un destino non troppo dissimile da ciò
che fu il ruolo dell'improvvisazione nella musica barocca.
L'improvvisazione libera, intesa come atto pratico e non come corrente musicale, rappresenta il
mezzo per fuggire dall'accademismo, perché ciò avvenga è necessario che musicisti di differente
estrazione artistica e culturale si incontrino ed interagiscano al fine di mettere costantemente in
discussione le proprie concezioni estetiche con la volontà di allontanare il rischio di una
normalizzazione sempre presente.
Inoltre proprio la possibilità di interazione alla pari tra musicisti provenienti da differenti ambiti
culturali rappresenta una delle ricchezze più importanti della pratica improvvisativa. Le barriere di
contesto musicale si ergono sempre più alte anche grazie a fenomeni innescati dalle nuove
tecnologie, che se da un lato permettono l'accesso a realtà distanti geograficamente, spesso
precludono i contatti tra ambienti artistici differenti.
L'improvvisazione libera offre un contatto tra tutte le musiche di oggi e rappresenta uno dei pochi
strumenti utili per la ricerca di un linguaggio non omologato ma comprensibile oltre i confini della
nicchia.

Quale è il ruolo dell’ascoltatore durante un’improvvisazione?


Chi è presente durante l'atto improvvisativo ma per definizione di ruolo (spettatore) o per scelta non
partecipi attivamente alla costruzione sonora, non riveste soltanto il ruolo di ascoltatore, esso è
presente in tutto se stesso nell' hic et nunc dell'esecuzione ed abita lo spazio sonoro e fisico insieme
a chi sta agendo attivamente sul palco.
La comunicazione è un azione inevitabile dell'essere umano, il primo assioma della comunicazione
di Paul Watzlawick dice che è impossibile non comunicare o, per dirlo con John Cage, I have
nothing to say and i am saying it.
Il ruolo dell'ascoltatore non coinvolge quindi solo l'orecchio, ma non si limita neanche a quello di
ricevente passivo nell'insieme sensoriale. L'ascoltatore interagisce, in tutti gli aspetti ed in tutti i
momenti con l'improvvisazione, i suoi contributi comunicativi non sono solo visivi/gestuali ma
anche acustici. Possiamo pensare, sempre strizzando l'occhio a Cage, all'assenza del silenzio, ai
commenti durante la performance che fanno parte della tipica espressione del pubblico jazzistico
oppure alle illimitate possibilità di interazione acustica, volontaria o meno, insite nell'essere umano.
Il colpo di tosse, il suono del telefono o il pianto del bambino, siano essi graditi o meno, influiscono
sull'insieme sonoro, e il musicista sul palco non può esimersi dal relazionarvisi, sia pur ignorandoli.
L'ascoltatore rappresenta un soggetto nell'atto comunicativo che si svolge nel momento
dell'improvvisazione; un musicista è chiamato a comunicare con lui tanto quanto lo è nei confronti
degli altri musicisti. Il musicista deve (può?) cercare di farsi comprendere dall'ascoltatore e dagli
altri musicisti, e da entrambi riceve altri stimoli con i quali deve interagire.

Che cosa è importante quando si ascolta la registrazione di una propria improvvisazione?


In coerenza con quanto ho detto prima, quando si ascolta una propria improvvisazione non viviamo
la stessa esperienza dell'ascoltatore. Ascoltare una traccia audio o un video, non rimette in moto i
meccanismi comunicativi che erano in funzione nel momento della registrazione. Tuttavia l'ascolto
della propria esecuzione permette di osservare un'esperienza, già vissuta e conclusa, da un punto di
vista differente, in cui non siamo coinvolti attivamente. Rivivere con distacco ciò che è avvenuto,
comprendere come noi ci siamo relazionati agli altri, e viceversa, costituisce un esercizio di grande
importanza. Comparare l'esperienza del riascolto con quella della memoria dell'evento vissuto, ci
permette di definire le azioni musicali personali da una prospettiva più ampia, che ha un ruolo di
primo piano nell'orientare la propria ricerca musicale.
Se osserviamo l'improvvisazione da una prospettiva storica, ascoltare una propria improvvisazione
era una possibilità impensabile fino a relativamente pochi anni fa, tuttavia i musicisti hanno da
sempre improvvisato e sarebbe quindi inappropriato definire il ri-ascolto una componente
indispensabile per lo sviluppo di competenze improvvisative. E' innegabile però che non sfruttare
questa possibilità tecnologica vada solo a svantaggio dell'improvvisatore che adesso possiede un
prezioso strumento per indagare, in modo distaccato e analitico, gli effetti sonori e i meccanismi
comunicativi che si instaurano intorno alla sua azione performativa.

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