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PRIMA LEZIONE

900 è un secolo di grandi trasformazioni per l’Italia. Trasformazioni che investono il piano
giuridico con riconoscimenti dei diritti, del voto, della possibilità delle donne di essere
elette e riforme importanti per quanto riguarda i diritti di famiglia, trasformazioni politiche,
culturali, sociali economiche, che investono il campo lavorativo, del costume e della
famiglia. Trasformazioni che investono anche il protagonismo delle donne nella sfera
pubblica.

Tutti questi cambiamenti, si sono articolati poi nelle diverse figure femminili presenti nel
900 italiano. È un lungo cammino che ha portato a grandi risultati. Basti pensare alle
posizioni di partenza e arrivo. All’inizio del 900 troviamo una donna in posizione sempre
subordinata anche da un punto di vista giuridico, con restrizioni anche se l’occupazione
femminile risulta presente. Una occupazione femminile che risulta prevalentemente
come madre e moglie: poca emancipazione. Alla fine negli anni 2000 troviamo un’Italia
come una nazione urbana con un tasso di crescita tra i più bassi nel mondo ma con una
donna libera e con una identità trasformata rispetto all’inizio del 900 anche per quanto
riguarda le aspettative e le opportunità. Abbiamo un altissimo avanzamento nell’ambito
del lavoro e si sono eliminati tutti gli ostacoli giuridici mutati e sono mutati anche gli
atteggiamenti riguardo alla sessualità. L’aspirazione delle donne quindi non è solo alla
maternità anche se le donne fanno meno figli e viene introdotto quel fattore della doppia
presenza della donna nella famiglia e nel lavoro che sarà uno dei fili grossi da analizzare.
Abbiamo negli anni 2000 un mutamento degli assetti della famiglia: la fine del modello
patriarcale e la donna che assume un ruolo sempre più importante. Questo processo
complesso ha avuto un impatto sulla società e sui rapporti di genere. Ci sono stati molti
fattori diversi che hanno inciso in tutto ciò, si sono intrecciati. Per esempio alle cesure
del 900, prima guerra mondiale, seconda, fascismo, boom economico, boom economico
degli anni 70 ecc.

Anche se non sempre le tappe della storia di genere anche coinciso con questi eventi
appena citati. Le donne hanno avuto sia problemi che vantaggi. Un altro fattore riguarda
anche gli aspetti politici perché nel 900 la politica è la forza di cambiamento rilevante
nelle relazioni di genere e le donne entrano in pieno titolo nella politica con
organizzazioni, movimenti, partiti ecc.

Poi vi sono i fattori economici e le condizioni dei diversi periodi delle condizioni
economiche, che per l’Italia, avviene più tardi rispetto agli altri paesi.

Importante è anche quello che è il contesto culturale e religioso. L’influenza della chiesa.
Vanno tenuti in conto anche gli stimoli provenienti dall’estero come i libri, ruoli delle
attiviste, ma anche l’impulso data dalla comunità e unione europea. Le donne sono state
agenti del cambiamento e hanno lottato duramente per conquistare la parità,
dimostrando con i movimenti femministi, l’attivismo. Il loro è stato un impegno costante
nonostante gli ostacoli.

Le conquiste raggiunte hanno richiesto grandi sforzi e l’unione di grandi generazioni per
arrivare a questo cambiamento. Va sottolineato che è un processo che non si è svolto in
modo lineare. Per esempio il lavoro delle donne, nonostante aperture e progresso con
retribuzioni e tutele, la tipizzazione sessuale che ha caratterizzato tutto il secolo è stata
molto evidente.

Significato che si attribuisce al lavoro delle donne, è molto importante per fare riflettere.

Ulteriori situazioni sono le articolazioni di queste conquiste: in quale modo e dove si sono
radicate nel territorio Italiano? Bisogna tener conto delle diversificazioni delle regioni
italiane, della cultura di quella zona, nel censo, per valutare quelle che sono state le
resistenze al cambiamento e le spinte.

In questo quadro si possono trovare elementi di continuità che attraversano il secolo:

-la famiglia che nonostante si modifichi, tiene a diversi mutamenti

-controllo delle nascite: le donne che hanno tentato con maggiore o minore fortuna, di
controllare la propria fertilità

-permanere di alcune disuguaglianze, nel senso che se la famiglia patriarcale tramonta,


la suddivisione dei ruoli all’interno della famiglia non muta. Una differenza a rispetto di
una famiglia a sfera pubblica.

-quanto sono cambiati gli uomini anche rispetto al nord Europa? E quanto questo ha
influito?

È opportuno citare le parole di Luisa Passerini che scrive: le donne sono diventate più
visibili in una pluralità di luoghi e più visibili le una e le altre. Ciò nonostante, l’Italia rimane
un paese nel quale le relazioni di genere sono formate da un maschilismo implicito,
velato e rilevato palese. Questo maschilismo perpetua le vecchie tradizioni e ne inventa
di nuove.

Prevalgono dunque disuguaglianze anche alla fine di questo lungo e positivo percorso
del 900 che riguardano l’ambito politico nonostante tutti i passi grandi fatti che non vede
riconoscere ancora o del tutto, il ruolo delle donne, poi ci sono le rappresentazioni: li
stereopiti vincolati dai media, che suggeriscono una riflessione su quale sia la vera
emancipazione.

Un ulteriore problema è quello di conciliare maternità e vita professionale. Una


disuguaglianza non ancora risorta.

Nel corso di questo secolo, emergono contraddizioni: se da un lato non si può che
rilevare un grande miglioramento delle condizioni delle donne dal 900 al 2000, dovute in
gran parte dall’impegno delle donne stesse, bisogna rilevare allo stesso tempo che
questo miglioramento è avvenuto, in una affascinante intreccio di modernità e tradizione
quindi mantenendo questi due aspetti.

Un accenno rapido va fatto anche alla stereografia delle donne italiane:

la storiografia italiana ha avuto un percorso più lento rispetto ai paesi europei e degli
USA.

Nel 75 e 81 c’è stata la diffusione delle prime riviste di storia di genere e nel 1987 per la
pubblicazione del saggio della Scott sulla categoria di genere che ha contribuito ad aprire
un grande dibattito.

Il centro del discorso sono rimasti i rapporti di potere, la decostruzione di un modello


obsoleto che vede il dominio maschile da una parte e la subordinazione della donna
dall’altra e la non valorizzazione dell’azione e soggettività delle donne.

Un altro punto importante è il 1989: la creazione della società italiana delle storiche con
il forte lavoro della soggettività femminile e dei ruoli avuti dalle donne nella storia: questo
ha aperto a nuove opportunità come la diffusione dell’insegnamento e dei risultati ottenuti
dalla ricerca per modificare quella unilaterale definizione dei saperi con la spinta di
unificare le differenze di genere. La valorizzazione della soggettività del soggetto e
oggetto è importante per distinguere la storiografia italiana sulle donne che si orienta
verso il mettere in luce gli aspetti soggettivi e la relazione tra soggetto e oggetto.

Nel 90 si fonda la scuola estiva di storia delle donne e nel 2002 le storiche fondano la
rivista Genesis. Collana di studi di generi sulle donne pubblicato dalla casa editrice
Vienna fondamentali per spiegare questa tematica.

Audio 2

CONTESTO SOCIALE E POLITICO E CULTURALE DELL’ITALIA A FINE 800 E PRIMI


900.
All’inizio del XX secolo, sempre più donne ricevono istruzione e sempre più donne
avanzano nel campo della sfera pubblica: insegnamento, letteratura, medicina. Escono
sempre di più dalla sfera domestica e cominciano ad infrangere anche le altre sfere che
le tenevano separate. Si assiste alla presenza e all’azione di un piccolo e determinato
movimento femminista, che porta avanti proposte di riforme giuridiche e proposte su
ruolo di riforma della donna che muove per arrivare all’acquisizione di diritti di
cittadinanza politica, civile e sociale.

In generale questa è una epoca di grandi cambiamenti che non investono solo i ceti più
elevati bensì tutte le classi.

L’Italia inizia a vedere uno sviluppo industriale nelle zone dell’Italia settentrionale, ma
uno sviluppo che comporta un esodo dalla campagna alla città; il tasso di natalità si
abbassa e diminuisce anche quello di mortalità. La popolazione cresce di molto
nonostante la forte migrazione interna e all’estero. Siamo in anni in cui si sviluppa il
socialismo e si discute del primato della chiesa, non solo in ambito religioso, ma
soprattutto in ambito morale.

Va considerato che questi sono cambiamenti disomogenei che investono l’Italia a


seconda delle regioni e che hanno un apporto limitato poiché sono ancora ampie le
divisioni di genere e la condizione giuridica, sociale ed economica delle donne, presenta
un quadro inferiore rispetto agli uomini. Le donne in questo periodo non possono dirsi
ancora cittadine attive. Questi fattori condizionano lo status della donna che è
dipendente anche dalla fragilità e disuguaglianza dello stato unitario. Prevalgono molte
tare e differenze: le donne sono viste come elementi fragili e delicati. Si da molta
importanza al concetto di onore e rispetto delle donne specie nel sud, ma in buona parte
dell’Italia.

Si da anche in portanza alla moralità sessuale: i due elementi che condizionano di più
questo atteggiamento sono da un lato il forte ruolo della chiesa e dall’altro, l’impronta
che da il nuovo stato liberale. Per quanto riguarda la chiesa, essa non da segnali di
percepire il cambiamento che è nato nelle diverse forme e regioni.

La chiesa continua a sostenere la superiorità degli uomini, la disuguaglianza tra i sessi


del matrimonio, la maternità come principalità della donna e in generale osteggia
l’emancipazione femminile. Questo sarà un atteggiamento di lungo periodo. Se
pensiamo al 1930, troviamo ribaditi concetti che sono chiari ed esposti come la gerarchia
della famiglia, l’obbedienza della moglie al marito.
Ciò nonostante, per la chiesa, il modello di donna della metà dell’800, cede un passo
nel ruolo dell’educazione della donna per i figli e come custode della fede insediata da
vari fattori della modernità.

L’altro protagonista è lo status liberale che fa poco per sottrarre il terreno alla chiesa. La
campagna per il divorzio messo in atto a fine dell’800 fallisce.

La sessualità è scarsamente regolamentata dalle leggi dello stato liberale, che


regolamenta solo la prostituzione.

L’unico aspetto buono è che non viene varata nessuna legge contro la omosessualità.

Il più esteso contesto culturale, facilita il ruolo e l’emancipazione, che cominciano a


portare avanti i movimenti femminili: criminologi, demografi e sessuologi, scrivono molte
opere per dimostrare quella che è la presunta inferiorità della donna sotto l’aspetto
biologico, intellettuale ecc. ci si mettono di impegno anche medici che interpretano
comportamenti femminili, che si discostano sostanzialmente da quella che è moralità
borghese come forme di malattia o isteria. Ha strascichi molti lunghi sia con approcci di
psichiatria sia aspetti legati alla giustizia penale e al ruolo che possono avere alcune
donne che hanno commesso dei crimini.

Tutte queste concezioni e atteggiamenti sono presenti esplicitamente e non, nelle norme
legislative. Importante è prendere le mosse dal codice civile che anche nei primi del 900
è il codice Pisanelli. Questo codice rimarrà con alcune modifiche emanate nel 1919, a
lungo in vigore, nel dopoguerra, durante la guerra e verrà riformato nel 60.

Nel codice Pisanelli c’è una posizione subalterna nel luogo della famiglia, appunto fino
al 1919, sarà definita la superiorità giuridica del marito: questo elemento significa
regressione per molte zone di Italia, soprattutto a quelle che erano sotto un impero
Asburgico e che avevano un codice civile più avanzato.

Ragazzi e ragazze nel codice Pisanelli hanno uguali diritti per quanto riguarda l’eredità.
Nonostante ciò, rimane l’istituzione della dote anche se non più obbligatoria.

La superiorità dell’uomo, rispetto alla donna, è sancita da altri e più evidenti elementi: le
donne non possono votare, non sono ammesse nel pubblico impiego. All’interno della
famiglia questa superiorità è marcata in modo ancora più evidente, nel senso che, l’uomo
può picchiare la donna per disciplinarla, c’è un apparato di difesa dell’onore (un aspetto
che avrà uno strascico lungo). L’adulterio viene sanzionato in modo diverso tra donna e
uomo infatti le pene previste per la donna arrivano anche al carcere. Ma i generale,
l’atteggiamento è di sanzionare l’adulterio in modo diverso: quello maschile è tollerato
ma quello femminile può essere motivo di separazione.

Si prevede la possibilità di chiedere il divorzio in casi specifici ma questo comporta


differenze molto evidenti tra uomini e donne.

Il codice Pisanelli stabilisce che con il matrimonio, la donna limitava i suoi diritti giuridici,
prendeva il cognome del marito, la sua cittadinanza e residenza. Rendeva necessaria
l’autorizzazione maritale per l’eredità, per compiere atti sul patrimonio e rendeva
evidente la prevalenza del parere del marito in caso di disaccordo tra i coniugi. La patria
potestà per le donne era possibile solo se l’uomo era emigrato, si trovava in carcere, era
scappato o erano vedove.

Il codice Pisanelli prevedeva anche una discriminazione dei figli nati fuori il matrimonio
e, impediva la ricerca della paternità (sarà uno degli aspetti sui quali le femministe
insisteranno).

Quali sono gli altri elementi che caratterizzano la condizione delle donne nel 900?
Importante è la famiglia. Il modello borghese è quello di riferimento ma sono presenti
molte strutture di famiglia che dipendono dalla regione, dal contesto sociale e urbano,
se in campagna, lavoro ecc.

Molto diffuse sono le famiglie medrodili, al sud questo dato è più contenuto, in città
prevalgono le famiglie di tipo nucleare; molto diffuse sono le famiglie estese ovvero che
prevedono sotto lo stesso tetto, diverse generazioni.

I ruoli e le dinamiche della famiglia sono definiti e sono sottoposti a un controllo molto
rigido. Molto spesso prevale il ruolo del capo famiglia e tra marito e moglie ci si da del
voi. Il marito cura gli interessi della famiglia, fa da vertice, cura i contatti tra l’esterno, è
un padrone che comanda i componenti del nucleo famigliare. Nelle campagne c’è molto
spesso la figura della reggitrice: la moglie del capo famiglia che ha un ruolo gerarchico
sulle altre donne presenti nella famiglia e allargata: è quella che va sola al mercato, ma
che soprattutto gestisce e struttura il lavoro di tutte le donne. (troviamo la letteratura con
esperienze molto toccanti tra rapporti tra nuore e suocere o donne che entrano nella
famiglia del marito e devono ritagliarsi un ruolo e uno spazio).

In generale rispetto alla famiglia, i comportamenti che mettono in discussione i ruoli di


genere sono censurati e chi se ne fa protagonista nei primi del 900 è estracizzato.

Un altro aspetto per definire la condizione delle donne nei primi del 900 è il matrimonio
(ci si rimanda al volume “storia del matrimonio da ieri a oggi” del Mulino, uscito nel
2008”). Il matrimonio rappresenta nei primi decenni del 900, il centro dell’esistenza della
donna. La questione economica è quella spesso a prevalere. Molto spesso la moglie ha
un ruolo secondario e la decisione di chi sposare e no è presa dalla sua famiglia. La
fretta sarebbe la caratterizzazione: molte donne manifestavano una grande fretta di
giungere al matrimonio per evitare di rimanere sola e zitella.

La dote, vigeva ancora, escludeva la donna dall’eredità della sua famiglia di origine.

La fretta poteva manifestarsi in caso anche di povertà di mezzi delle famiglie con la forma
del ratto: la pratica di rapimento o compromissione della donna che doveva portare la
donna a celebrare rapidamente il matrimonio. Questa pratica però, poteva avere rischi
concreti per la donna e molto spesso negativi; è una pratica che è destinata a durare a
lungo. L’atteggiamento delle famiglie, verso le donne di età da marito, era di protezione
delle ragazze nubili: queste donne avevano poche occasioni per conoscere membri fuori
dalla loro famiglia; rimanevano forti restrizioni anche per quanto riguarda le forme di
corteggiamento, forme di etichetta e tradizione a seconda del ceto sociale, che
mettevano in atto una serie di comportamenti tra quelli che erano ritenuti convenienti e
no. In questo modo le ragazze non sceglievano quasi mai o senza l’autorizzazione dei
genitori. Nonostante queste etichette, tradizioni, comportamenti, non tutte arrivavano
vergini al matrimonio. Nei primi del 900, circa il 15% delle spose risultava già incinta.

Questo ci da elementi per riflettere, l’importanza, in alcune regioni di Italia, che aveva la
promessa del matrimonio: quel rito con il quale due giovani promettevano di sposarsi
entro un certo periodo; tra alcune regioni era molto importante il matrimonio. Molto
spesso però le donne non conoscevano bene l’uomo con cui avrebbero passato la loro
futura vita. Il matrimonio poteva assumere significati e valenze differenze a seconda
delle diverse classi sociali: per i borghesi e donne borghesi, era la possibilità di lasciare
le costrizioni della casa paterna ma questo comportava la perdita dei diritti giuridici (per
le norme infatti citate del codice Pisanelli). Ciò nonostante, per le donne borghesi, il
matrimonio poteva concedere maggiore movimento e autorevolezza, che era dal fatto di
essere una “donna sposata”. Per le contadine invece si trattava di sostituire una
sottomissione ad un’altra. Moltissime sono le storie di contadine tiranneggiate dalle
suocere o dalla famiglia del marito.

È anche importante parlare delle donne che rimanevano sole: non tutte riuscivano a
sposarsi o a rimanere spose per tutta la vita: erano nubili appunto quelle che non erano
riuscite a sposarsi e la loro condizione era vissuta come un fallimento, vi erano le vedove
e infine pochissime divorziate (molte di queste straniere).
La condizione delle vedove toccava poi alle così dette “vedove bianche” che molto
spesso erano giovani, non avevano la presenza del marito perché molto spesso
emigrato.

Ci sono anche le monache che fanno parte delle donne sole, in forte aumento nei primi
anni del secolo, per una rinascita del sentimento religioso e che spesso si impiegano
come insegnanti, infermiere negli ospedali e orfanotrofi.

Ultima categoria di donne che nonostante il desiderio di matrimonio, riguardano sole,


riguarda le lesbiche. Sappiamo poco: per le forme di pregiudizio e anche perché questa
condizione fosse riputata al pari di una malattia.

Audio 3

Un altro elemento, per inquadrare la situazione delle donne tra fine 800 e inizio 900, è
quello che fa riferimento alla maternità.

Definizione che da Anna Bravo dello stereotipo di “mamma italiana” che viene a
costituirsi a partire da questo periodo e che avrà fortuna nel 900.

Anna Bravo, definisce in questi termini lo stereotipo della mamma italiana:


“innarivabilmente amorosa, serva e proprietaria dei figli, spesso in lacrime ma sempre in
piedi a reggere la famiglia. Adorata, temuta e messa in caricatura, la mamma si imposta
nel discorso famigliare italiano, come un glorioso archetipo. Resta popolare una roccia
in rocciosa immagine che contempla il figlio maschio innamorato e gli si dedica
intensivamente, ottenendo in cambio, diritto di veto sulle sue scelte, quotidianità e
dipendenza affettiva, simbolica, senza eguali”. Un ulteriore riflessione sul ruolo della
madre, è fornito da Marina D’Amelio che parla in un libro “la mamma” nel 2005, parla
dell’invenzione di una tradizione. Importante rilevare da queste riflessioni, qual è il risalto
che si da al ruolo materno della donna. In questi decenni viene scritta letteratura che
porta avanti l’idea della saluta e nazione e difesa della razza che si appoggia sul ruolo
materno e fondamentale della donna.

Viene al contempo a formarsi un approccio moderno verso la maternità, riferito alla cura
dei figli, all’attenzione che si deve dare a loro ecc…

Un modello che però è poco seguito dai ceti bassi, soprattutto contadino: nel loro
approccio prevale severità e poco affetto ai figli, che dipendono dalle condizioni
economico e sociali, dal poco tempo che hanno a disposizione da dedicare ai figli poiché
il loro tempo è dedicato in gran parte dai diversi lavori che devono svolgere; ma in parte
anche dall’alto tasso di mortalità infantile. Va anche rilevato che nonostante ci sia un
grande risalto per il ruolo materno della donna, anche lo stato aiuta poco le madri; solo
nel 1902, viene promulgata la prima legge per la tutela delle madri lavoratrici e nel 1910
si avrà una prima legge a scarsi risultati, sul congedo di maternità.

Un altro elemento, per inquadrare il contesto culturale e sociale del 900, riguarda il tempo
libero: gli svaghi sono diversi in base al sesso. In maggioranza sono dedicati agli uomini.
In Itali rimane una maggiore segregazione, sempre dipendente dagli aspetti legati
all’onore, donne ecc.

In realtà le donne hanno poco tempo libero, diminuisce per classi inferiori; per donne
soprattutto contadine, i momenti liberi si limitano alla partecipazione alla messa o riti
religiosi, visite o feste di parenti come matrimoni.

Nei ceti più elevati, le donne hanno maggiori svaghi. Si legano soprattutto a una
situazione domestica anche se le cose cominciano a mutare. Le donne dei ceti elevati
saranno più libere di frequentare balli e teatri, passeggiate (anche se all’inizio devono
essere accompagnate da un uomo che vegli su di loro della famiglia).

Al sud del nostro paese, questa situazione avviene meno. Siamo nel periodo in cui
iniziano le prime attività sportive che vedono le donne protagoniste; la figura
emblematica è quella della regina Margherita e anche altri membri di casa Savoia hanno
attenzione per sport e alpinismo.

Per fare uscire di casa le donne, contribuiscono anche i viaggi, soprattutto l’istruzione.

Questo è un altro elemento determinante.

Legge Casati del 1859: questa legge varata per il Piemonte e poi estesa a tutta Italia,
prevedeva l’istruzione sia a fanciulli sia a bimbe, con una differenza poco rilevante nei
programmi anche se alle bambine erano destinati corsi specifici come quelli di economia
domestica.

Nel complesso, la legge Casati, rappresenta un avanzamento però non lo fu per alcune
regioni di Italia che avevano un sistema che prevedeva norme più avanzate e questa
legge mostrava un arretramento.

La legge Casati, si stabiliva di risolvere il problema dell’analfabetismo: era una piaga che
toccava sia i maschi sia le femmine ma soprattutto queste ultime. Pur con i limiti, nel
1861, circa il 72% delle donne era analfabeta. Con gli interventi nel 1901, la percentuale
scenderà al 51%, quindi un processo molto evidente, che però è dettato anche dal fatto
che partiamo da livelli di analfabetismo molto bassi. L’analfabetismo della popolazione
maschile si riduce molto di più di quella femminile; questo perché l’istruzione femminile
è ritenuta meno importante di quella maschile. All’inizio del 900, l’idea che le donne
dovessero rimanere ignoranti, venne superata.

Però, c’è il problema su quale istruzione dare loro. Un problema che riguarda una
possibile concorrenza delle donne sugli uomini.

Nel 1883, viene varata una legge che concede l’iscrizione delle donne ai ginnasi, licei,
istituti tecnici. In generale si registra un numero di iscrizione poco elevato; le donne
vengono messe in sezioni separate e sono trattate come mosche bianche, invece nelle
sezioni miste affrontano le lezioni con i maschi. È un processo ancora lento.

Vengono date anche alternative al percorso di istruzione. Viene istituita una scuola
normale che prevede i lavori per piccola borghesia.

Nel 1882 c’è la creazione degli istituti superiori di magistero femminile, con due sedi: una
a Roma e l’altra a Firenze, che avrebbero dovuto rappresentare una alternativa alle
donne al posto della frequentazione all’università.

Vengono anche istituite scuole private gestite da religiosi che prevedono materie di
ordimento. Importante è la cultura morale delle fanciulle che la frequentano. Ci sono le
prime pioniere che vogliono e frequentano le università. Tra le prime laureate troviamo
donne provenienti da famiglie straniere o di religione non cattolica (ebree e protestanti).

La prima donna italiana a laurearsi è Ernestina Paper, che si riesce a laureare in


medicina a Firenze. Dopo di lei ci sono altre laureate nelle università del nord. Sono dati
in linea con le altre realtà europee. Da queste pioniere, emergono molte militanti
femministe.

Lavoro all’inizio del 900: le donne che più spesso svolgono attività retribuite, sono le
donne povere. I loro salari anche se bassi e ridotti rispetto a quelli degli uomini, servono
molto spesso a mantenere la famiglia e a contribuire al bilancio famigliare. Queste donne
svolgono moltissimi lavori: sarte, cameriere, lavandaia, fioraia, industria tessile, fabbrica,
e svolgono lavoro per un certo numero di mesi. Le donne assunte in fabbrica lo sono
come i bambini, perché ritenute docili e pagate meno. Molti dei lavori che svolgono
hanno carattere stagionale. Nelle fabbriche le donne lavorano in condizioni dure, con
rischi molto forti per la loro salute. Molto spesso si pone importanza sui rischi della
moralità che correrebbero le donne e con gli uomini con cui vengono a contatto. Spesso
infatti, queste donne vengono segregate in reparti per evitare rapporti che potrebbero
essere pericolosi, e i loro impieghi sono legati a dei settori produttivi che stanno
affrontando un periodo di crisi e declino (industria tessile).
Una forte attività è svolta dalle donne nel settore agricolo: un settore che impiega più
donne. Di solito c’è una divisione dei ruoli nel lavoro della campagna. Gli uomini lavorano
nei campi e le donne in tutti gli altri lavori; ma rivestono diversi ruoli a seconda dell’età,
della posizione della famiglia e a seconda della zona geografica.

Una eccezione a questo schema è rappresentato dalle mondine: lavoravano alla monda
del riso, che hanno posizioni energiche e sono sempre rimaste difficili da inquadrare, sia
dai socialisti prima e poi dai fascisti, ma anche per aspetti di tipo morale e per l’energia
che mettevano nelle rivendicazioni che portavano avanti.

Un altro settore che vede una presenza femminile è quello del servizio domestico:
categoria fluida e amplia, spesso fugge alle definizioni e inquadramento che vede un
impiego delle donne.

L’ultima categoria è quella legata alla prostituzione: una categoria che presenta problemi
nel lato morale e su come lo stato debba regolamentare la prostituzione. Le posizioni
sono articolate e riferite al punto di vista maschile che vede la prostituzione come
necessità o uno sfogo necessario agli uomini o un fenomeno positivo perché in qualche
modo incanala una aggressività in un ambito.

Sono posizioni maschili e le donne non si interpellano. Un primo regolamento sulla


gestione della prostituzione, era stato varato da Cavour nel 1860,prevedeva visite
obbligatorie, controlli dei luoghi, arresti per le donne che violavano le regole.

Era però difficile mollare questa professione una volta intrapresa. La legislazione sulla
prostituzione viene più volte riformata. Ciò nonostante, rimane la registrazione delle
prostitute che lavoravano nelle case di tolleranza. Con il 900, c’è la regolamentazione
che però non riesce a risolvere un altro problema: la prostituzione clandestina.

In generale rapporto tra donne e lavoro vede questi elementi. Le donne aristocratiche,
lavorano raramente e il ruolo lavoro consiste in gestire e amministrare la casa. Le donne
contadine o classi inferiori, lavorano moltissimo e in diversi ambiti; spesso sono mal
pagate.

Le donne della piccola borghesia sono più propense a lavorare ma spesso lo fanno fino
al matrimonio o arrivo del primo figlio e svolgono attività di interdette di pubblici uffici. Il
marito può concedere alle donne di continuare a lavorare anche dopo essersi sposate o
avere avuto un figlio.

Poche sono le donne che svolgono lavori impiegatizzi in Italia, ma molto si impiegano
nel commercio.
In questi anni sono ancora poche le donne nelle professioni, le ragioni sono diversi:
pregiudizi e oggettive difficoltà. Le più avversate sono le donne che svolgono attività di
avvocato e la difficoltà è anche nell’accesso all’impegno pubblico.

Tra fino 800 e inizio 900, vanno citate anche alcune categorie: donne scrittrici, perché in
questo periodo c’è molta letteratura dedicata alla donne e scritta dalle donne; un ruolo
che diventa sempre più pubblico e donne che scrivono per un pubblico di donne che
inizia a diventare di massa.

L’ultima categoria di lavoratrici è quella riferita alle insegnanti: l’unica vera professione
femminile di massa. Molte donne lo fanno alle elementari e poche sono alle superiore.
Questa femminilizzazione del docente è molto rapida. Le maestre elementari sono mal
pagate e lavorano in situazioni complesse. La loro situazione migliora nelle città rispetto
alle campagne o montagne, in cui si trova a subire uno shock culturale per le condizioni
di estrema arretratezza e povertà in cui si trovano a far fronte. Soprattutto in periferie e
campagne, svolgono funzioni di segretariato per le comunità. Ci sono molte insegnanti
per l’importanza che lo stato unitario da all’istruzione ma anche perché l’insegnamento
in questo periodo è uno delle professioni più riputata accettabile perché coniuga due
aspetti: destino domestico orientato all’educazione dei giovani.

Lezione 2

L’EMANCIPAZIONE FEMMINILE TRA OTTO E NOVECENTO

Audio 1

Emancipazione femminile tra 800 e 900cento.

Tra la fine dell’800 e inizio 900, le emancipazioniste diedero vita a un movimento molto
variegato. Le loro iniziative furono molto differenti e anche le loro rivendicazioni.

Alcune proponevano e si attivarono per attivare alcune riforme anche relativamente


limitate mentre altre volevano operare una profonda trasformazione della società e
volevano cambiare la prospettiva su quello che era ruolo e compiti delle donne.

Femminismo italiano passa da una idea a un movimento che ha la sua ragione di essere
anche nella politica.

Quali obiettivi si pone? Il primo ad avere il suffragio poi la parità giuridica, rendere
possibile la ricerca della paternità, assicurare parità di retribuzione a uomo e donna e
operare anche una riforma di un altro ambito: la prostituzione.
Si disegna una parabola che ha il suo apice intorno al 1910; principali tappe di questo
processo:

-i primi passi si fanno risalire al 1880, quando c’è la nascita di una lega promotrice degli
interessi femminili. In questa lega ci sono delle figure molto importanti, come Anna Maria
Mozzoni o Paolina Sheep che operano a Milano (capoluogo lombardo fulcro di queste
attività). Milano sarà uno dei centri culturali ed economici più avanzati tra la fine dell’800.

Questa lega propone il voto per le donne, una parità salariale per le donne e la possibilità
per le donne di operare alla ricerca della paternità. Anche se il diritto di famiglia andava
riformato, non si mette in discussione il ruolo della donna che rimane ancorato al ruolo
di madre o moglie.

Ma chi sono queste emancipazioniste? Chi sono le donne animatrici di questi


movimenti? Sono donne borghesi o aristocratiche che però si impegnano di fare queste
campagne che vadano a favore anche delle donne di altri censi e operaie. Sono donne
che abitano prevalentemente nelle zone urbane e più o meno di mezza età. Una
generazione quindi non di giovani, che non pone l’accento sulla realizzazione di desideri
individuali; anzi si pone l’obiettivo di fare del bene per tutta la società. Queste
emancipazioniste italiane si basano anche sulle idee delle altre donne all’estero e dei
movimenti femministi che si stanno affermando già a partire dagli anni 60 dell’800
(soprattutto nei paesi anglosassoni).

In Italia il ruolo forte delle donne appartiene anche a minoranze religiose e appartenenti
ad altri paesi; tra queste vi sono protestanti ed ebree perché sono più istruite e meno
conformiste.

Il movimento emancipazionista italiano è molto articolato a partire dagli anni 80 dell’800


si svilupperanno varie idee con diversi contenuti che molto spesso si sovrappongono in
una moltitudine di voci che spesso fugge ad un inquadramento anche in ragione della
durata limitata di alcune esperienze.

Si intravedono due tendenze principali che evidenziano il movimento emancipazionista


italiano alla fine dell800:

1) Dalle piccole associazioni si passa al tentativo di creare delle entità che le


colleghi. E questo avviene soprattutto all’inizio del secolo.

2) Spostamento verso posizioni conservatrici di questi movimenti che nella prima


parte erano stati movimento e supportati da esponenti di sinistra. Questo
spostamento poi darà poggio ad alcune posizioni militari e politiche in Italia nei
primi anni del 900.

Primi passi mossi del movimento femminista: poche donne sono impegnate nei primi
decenni dell’unità sul fronte femminista. Sono per lo più alte borghesi, aristocratiche. Nel
loro modo di agire c’è una carica di patriotismo e al ruolo materno che devono avere le
donne, con l’attenzione di quel destino differente tra donna e uomini. Spesso hanno
attenzione a migliorare l’istruzione femminile e a riformare il codice civile. In questo
contesto si segnala la figura di Anna Maria Mozzoni, maggiore esponente italiana liberale
del femminismo italiano, che ha dato i primi passi del movimento. Anche se poi dopo, la
Mazzoni si avvicini alle posizioni socialiste, ritiene che ciascun uomo sia dotato di
ragione e debba avere pari diritti. Lei denuncia la disparità del nuovo codice civile (era
con Pisanelli e Lombarda e questo codice era un passo indietro rispetto) e propone un
miglioramento dell’istruzione femminile. La posizione di partenza è la sua convinzione
che il lavoro salariato favorisce l’emancipazione e si spenderà anche per le campagne
a favore del voto e per cambiare la legge sulla prostituzione.

Farà anche diverse petizioni per il suffragio femminile.

Nell’ultimo decennio dell’800, si sviluppano varie leghe. Alcune riviste sono molto
importanti come “vita femminile”, una rivista che cerca di tenere in contatto questo
movimento.

Audio 2

Queste leghe sono coordinate e tenute insieme da una rivista femminile e hanno un
orientamento interclassista e misto.

Sono messe in ombra da nuove associazioni che vengono a costituirsi da fine 800 e
inizio 900.” L’associazione per la donna”, nata a Roma nel 1887, divenuta poi “nazionale
per la donna”. Accanto a questa c’è la costituzione femminile del comitato nazionale pro
suffragio del consiglio nazionale delle donne italiane. Avviene contestualmente la nascita
di diverse riviste. Questo pone anche accenno sull’aspetto culturale che si vuole dare ai
contesti femministi di questo periodo. Riviste che svolgono un ruolo importante per
legare questi movimenti.

Un’altra questione riguarda la presenza delle donne nei sindacati: alcune presenze sono
estremamente importanti come Argentina Altabelli, ma va valutato per tenere insieme
questo quadro, che la maggior parte delle lavoratrici in questo periodo non sono
organizzate, seppure alcuni risultati migliori si registrino nei sindacati cattolici.
Un ulteriore aspetto, per comprendere lo sviluppo dei movimenti femministi, è guardare
all’adesione delle donne ai partiti e come i partiti guardano le donne. Poche donne
aderiscono ai partiti politici poiché favorivano i movimenti femminili; anche forse, la
mancata adesione non riguarda solo l’atteggiamento dei partiti e degli uomini che
dirigevano i partiti, ma anche la mancanza di un vero e proprio sistema partitico.

Con l’inizio del XX secolo, il partito socialista italiano, dava maggior sostegno alla causa
femminile. Ma dava maggiore attenzione agli aspetti economici; poco sostegno infatti
darà in una prima fase, al tema del suffragio.

Slogan per sintetizzare questa questione: il concetto di classe era più importante di
quello di genere. Ma pesano anche altri pregiudizi che rimangono in alcune attitudini
della classe dirigente di questo periodo, come ad esempio forti accenni al maschilismo
e minorità delle donne.

Nonostante ciò, anche alcune donne assunsero posizioni di rilievo nel partito socialista
italiano tra fine 800 e inizio 900: Argentina Altobelli e Angelica, che hanno posizione nella
direzione del partito.

Una delle figure più importanti di questo periodo è Anna Culishof. Socialista di maggior
rilievo che abbraccia la questione femminile. Lei era di origine russa, con una lunga
esperienza politica alle spalle. Una donna carismatica e affascinante, intelligente, che
affronta e medita attorno al tema della questione femminile e abbandona il partito
socialista e non partecipa a manifestazioni femministe. Insiste sull’importanza del lavoro
per le donne e porta avanti una campagna contro i privilegi del sesso maschile.

Anche per questo, si troverà isolata all’interno del suo partito. La sua è una figura molto
importante; la questione se sia stata una femminista rimane aperta. Qualcuno la ritiene
femminista e altri no.

Importante anche il suo contributo sulla legge per migliorare le condizioni di lavoro delle
donne.

Movimenti femministi che si strutturano tra 800 e 900, è opportuno citare la formazione
dell’unione femminile nazionale. Fondata da esponenti di quello che si chiama
femminismo pratico. Rappresenta una dei movimenti emancipazionisti più importanti
nello scenario italiano. L’unione poi diventerà “femminile nazionale” e con l’idea di
portare avanti questo femminismo pratico, intende associare la lotta per la parificazione
giuridica ad una grande varietà di attività assistenziale. Si prende per educare le proprie
socie e per aiutare quelle in difficoltà con altre iniziative
L’unione femminile serviva a gettare le basi di azioni che poi si sperava potessero essere
portate avanti dallo stato. L’unione incoraggiava le donne ad assumere cariche pubbliche
per esempio nei consigli di amministrazione dei caritatevoli, carica che le donne
potevano assumere dal 1890 (?)

L’unione pose anche il sostegno della maternità, quel diritto di essere madre, portando
avanti delle azioni come la legge sul congedo di maternità, anche se con risultati minori
rispetto alle aspettative.

È importante rilevare che questa pressione che cerca di esercitare, porterà alla
creazione della cassa della maternità del 1910.

Nella storiografia, il femminismo pratico è stato controverso. Si è discussione quale e


quanto sia stato il contributo dato all’emancipazione delle donne in questo periodo,
semplificando molto, si può ridurre in due posizioni: alcuni ne danno un giudizio poco
positivo come Bortolotti, altri invece come Buttafuoco, ne rivalutano l’azione.

Sempre parlando di gruppi e articolazioni del femminismo nel 800 e 900, bisogna parlare
del femminismo cattolico: un movimento che per molti aspetti è molto diverso da quelli
analizzati. Esso esalta il ruolo materno e le attività assistenziali. È uno slancio
dipendente dall’enciclica di Papa Leone XIII del 1891, che fa riferimento a quel
cattolicesimo sociale che deve essere partecipato anche da donne.

Per la chiesa, l’azione delle donne è utile anche come contrasto al socialismo e ai
fenomeni di secolarizzazione che caratterizzano questo periodo. Le donne vengono
viste nella difesa contro la modernità. Nel femminismo cattolico, le donne sono pari agli
uomini ma solo sul piano spirituale. Non si propone un cambiamento nel ruolo delle
donne o la concessione di nuovi diritti, ma al contrario di nuovi doveri e modi di servire
Dio. Tutto questo senza allontanarsi dalla missione di madre e moglie.

Le femministe cattoliche propongono un miglioramento dell’istruzione delle donne e si


spendono per proporre il tema della possibilità della ricerca della paternità. Hanno anche
posizioni non condivisi, non in linea con le gerarchie ecclesiastiche: alcune infatti
pensano alla fede come percorso per emanciparsi altre invece per poter portare avanti
iniziative assistenziali e organizzare scuole, altre si avvicinano alle posizioni del
femminismo laico almeno su alcuni punti come sul suffragio (invece molte femministe
cattoliche non ritengono opportuno questo). La cosa che le accomuna comunque tutte,
è il fatto che non sostengono il divorzio, azione che alcuni esponenti politici stavano
portando avanti e non mettono in discussione l’istituzione della famiglia.
Audio 3

Sul piano generale, in questo periodo, si registrarono diverse spinte per creare unione
tra i vari movimenti di emancipazione delle donne.

Alcune iniziative soprattutto nei primi del 900, rivendicarono uno spazio pubblico per le
donne. Le organizzazioni femminili si affacciavano sempre di più sulla scena pubblica.
Nel 1903, venne costituito il consiglio nazionale delle donne italiane: aspirava a dominare
il movimento femminista e a rappresentarlo anche all’estero.

Si proponeva di essere laico, interclassista e apolitico; in realtà implicitamente ebbe un


orientamento conservatorio. Vedeva infatti, anche una numerosa presenza di
aristocratiche, alto borghese, esponenti di Casa Savoia e personalità che avevano
rapporti con il governo.

Al consiglio nazionale delle donne italiane, aderivano molte organizzazioni femminili; non
aveva una formazione professionale da parte della chiesa; ma fece campagne per una
riforma giuridica e culturale. Non era a favore di concedere i diritti di voto in quanto
riteneva le donne non ancora pronte per questo passo. Spingeva sui riconoscimenti dei
diritti e dei doveri delle donne; aveva una spinta evidente al patriotismo. Questo consiglio
indica la strada da seguire per i diritti e l’assistenza sociale e di attività simili anche con
strumenti di controllo sociale. Insiste molto sulla moralità e sulla disciplina che dovevano
avere le donne anche durante le attività di assistenza. Seppur con mezzi finanziari non
molto larghi, riesce a mettere in atto iniziative che riguardano anche il sostegno alle
attività percepite per le donne: tradizionali e di artigianato (diffusione del merletto).

Nel 1908, il consiglio nazionale delle donne italiane, organizza il primo congresso
nazionale del movimento femminile. A questo importante appuntamento presero parte
circa 1400 delegate, che rappresentavano oltre 70 associazioni, l’intero spettro delle
opinioni politiche. Questo convegno fu organizzato su più sezioni a seconda della
tematica: igiene, assistenza, condizione morale e giuridica delle donne ecc. questo
evento, rappresenta un forte momento di unità, destinato ad una frattura. Nascono
appunto molti contrasti, nel confronto tra le delegate e le associazioni, che riguardano le
posizioni anche all’interno delle associazioni stesse. Tra i contrasti più rilevanti, se ne
individuano almeno 3: discussione su chi debba contribuire al pagamento necessario
per sostenere le casse di maternità e quali donne e lavoratrici devono sostenere per
mantenere in funzione la cassa o se lo debba fare lo stato. Un altro argomento di
discussione, fu quello dell’insegnamento della religione nelle scuole elementari, tra chi
vuole mantenerlo e tra chi ritenga vada riformato.
Un’altra questione pregiudiziale per molte cattoliche e tradizionaliste, riguarda il tema del
divorzio e il fatto che possa essere inquadrato nel quadrato legislativo dello stato italiano.

È importante rilevare che questo progresso, segna anche la fine del femminismo
cattolico. Adelaide Colai pubblica i resoconti di questo convegno e subisce molte critiche
da parte delle gerarchie mandandola via di scena; questo apre ad un nuovo scenario
infatti dal 1908, si viene a costituire l’unione delle donne cattoliche di Italia: c’è un
controllo gerarchico autoritario di Cristina Vardini che si pone una nuova missione: non
tanto di migliorare le sorti generali della donna ma della difesa della donna della
cristianità, in contrasto con il femminismo laico.

L’unione delle donne cattoliche italiane, si dedica anche essa molto al piano
dell’assistenza e insegnamento religioso, rivendicazioni salario minimo e presenza
sindacato. È una organizzazione centralizzata che vede Vaticano e Papa come un
qualcosa di supporto. Il Papa in questo momento ribadisce in modo esplicito che non è
opportuno che le donne votino. Ma alcuni comitati contribuiscono alla modernizzazione
della figura della donna cattolica, con un ruolo attivo anche fuori dalle mura domestiche.
Questo movimento religioso, ha un rapido sviluppo e successo perché 4 anni dopo nel
1912, riuscirà ad avere circa 300.000socie.

Un’altra importante questione che caratterizza questo periodo è la campagna per dare il
voto alle donne, chiedendo leggi che possano concedere alle donne di votare.

Bisogna considerare qual è la situazione del voto in Italia. A partire dal 1861, il voto è
concesso ad una minoranza di uomini. Nel 1882, vengono abbassati i limiti di censo di
istruzione per accedere al voto e questo comporta che al voto siano ammessi anche
piccoli borghesi e parte della classe operaia.

Un ulteriore avanzamento si ha nel 1912, quando con Giolitti, il diritto di voto viene esteso
a tutti gli uomini capaci di leggere e scrivere, a tutti coloro che hanno fatto il militare e
agli analfabeti sopra i 30 anni di età. In questo modo, il suffragio si allarga moltissimo.

Ovviamente questi provvedimenti riguardano la popolazione maschile (le donne ne sono


escluse). In questi anni si sviluppa una complessa discussione sull’opportunità di dare il
voto alle donne, che comporta una serie di argomenti sia a favore che contro. Questa
discussione è portata avanti anche dalle donne stesse, in confronto anche a ciò che
stava avvenendo negli altri paesi (come in Gran Bretagna o negli USA). Per quanto
riguarda l’Italia, bisogna fissare delle tappe importanti. La prima è il 1888 quando una
commissione parlamentare esprime un parere favorevole a far votare le donne alle
elezioni amministrative, questa è una proposta che sarà poi respinta da Crispi, con
argomenti di ogni tipo, dal fatto che le donne siano deboli e fragili o promiscue, al fatto
che le donne non erano ritenute in grado di comprendere le questioni politiche. Anche
più avanti Giolitti pensò al voto femminile come un vero salto nel “buio” ritenendole non
ancora pronte. Nonostante questi fallimenti, comincia a passare nell’ultimo decennio
dell’800, che le donne possono votare almeno per le elezioni amministrative anche se
non per quelle politiche. Per quelle amministrative perché c’era un riferimento alla casa,
all’amministrazione, insomma un qualcosa che veniva in qualche modo ricondotto alla
donna e alle sue facoltà nel poter gestire queste attività.

Alcune suffragiste, provenienti dal regno Lombardo-Veneto e anche Toscano, tentano


invece di far valere i loro diritti di voto che avevano pregressi (sotto l’amministrazione
Austro-Ungarica) che poi erano venuti a meno con l’unità di Italia. Questa azione fallisce
ma ottengo concessioni. Nel 1877 viene concesso alle donne di testimoniare ai processi.
Nel 1890, le donne sono ammesse ai consigli di amministrazione degli istituti caritatevoli.
Nel 1910 possono essere titolari di attività commerciali e farsi votare dai membri per
esempio delle camere di commercio.

Solo dal 1911, possono votare e candidarsi alle cariche degli istituti scolastici. Il voto
diventa quindi, una questione centrali per i movimenti femministi, un punto di svolta
anche determinante per le altre rivendicazioni; un punto di partenza.

Ma, rimangono ancora concezioni diverse e problemi, quali obiettivi porsi per
raggiungere il voto e strategia per raggiungerla.

Nel 1904, la proposta di legge del deputato Mirabelli, cerca di fare passare una legge sul
suffragio femminile: questa proposta provoca grande discussione e dal 1905, sorgono
comitati sul suffragi in Italia e cercano di collegarsi ad altri comitati attivi in Europa.

Cosa fanno questi comitati? Chiedono alle donne di iscriversi alle liste elettorali (poiché
questo non era espressamente vietato dalla legge), verrà poi annullata dalle sentenze
dei tribunali che riconoscono come questi provvedimenti non siano legittimi. Si tratta di
un gesto simbolico ma che serve a dare visibilità a questa causa e anche a sensibilizzare
le altre donne e fasce della popolazione.

Dal 1907, le donne cominciano a fare petizione per portare avanti una idea che possa
passare una legge per il suffragio femminile. Giolitti nomina una commissione per
valutare il voto femminile in ambito amministrativo. Questa commissione conclude il
lavoro affermando che il voto delle donne avrebbe un esito troppo incerto.

Nel 1909, vengono fatti altri tentativi per sostenere il suffragio, spostando l’attenzione sui
deputati; far eleggere deputati che fossero sensibili alla causa femminista.
Però questa strategia crea molte fratture in quanto dipende molto dalla appartenenza
stessa di questi deputati ai diversi partiti. Molte donne socialiste non ci stanno a fare
campagna elettorale per deputati di un altro schieramento politico seppur sensibili alla
situazione del genere.

Una ulteriore frattura causata è dalla guerra di Libia (1911-1912). Il consiglio nazionale
delle donne Italiane esprime il suo favore con slancio patriottico per questa campagna
militare e coloniale. Al contrario invece, le socialiste esprimono posizioni totalmente
diverse e il movimento si spacca anche su questo, avendo ripercussioni anche sulla
possibilità di voto.

Anna Kulishof, chiede alle socialiste di abbandonare i comitati per il suffragio. In generale
il partito socialista ha un atteggiamento tiepido verso il voto alle donne. Turati dice che il
suffragio va concesso prima agli uomini (prima ovviamente del 1912) e poi
eventualmente al resto della popolazione.

Solo con il congresso di Modena del 1911 il PSI, si impegnerà a sostenere il voto alle
donne. In questo contesto si arriva al 1912, a quella discussione parlamentare che porta
a concedere il suffragio universale maschile.

Per fare in modo che questo provvedimento passi, alcuni deputati socialisti cercano di
approfittare della situazione per estendere il voto anche alle donne.

I socialisti Turati e Treves fanno un emendamento per estendere appunto il voto anche
alle donne. Questo loro emendamento viene affossato in parlamento con un grande
numero di voti contrari.

Ciò nonostante, la riforma elettorale del 1912, ha un esito negativo sulle donne ma fa
aumentare un dibattito tra la disparità di trattamento che ora il voto dato anche ai maschi
analfabeti pone in essere la condizione delle donne.

Ma prima della grande guerra, le donne erano distanti da ottenere gli obiettivi che si
ponevano.

LA SESSUALITÀ:

Nel periodo che stiamo analizzando, anche le emancipazioniste, si caratterizzano per


una morale puritana. La maternità ha un ruolo in primo piano, la sessualità molto spesso
ha un valore negativo. Permane un senso del pudore. Molte donne dei movimenti
femministi, rivendicano la dignità anche per le madri non sposate e sostengono
l’istituzione del matrimonio.
Anche rispetto alla prostituzione, c’è un atteggiamento orientato all’esigenza di
redenzione delle prostitute con una attenzione agli aspetti morali più che ai caratteri
sociali ed economici di questa problematica. Alcune cominciano a maturare che la
prostituzione non sia un male non necessario e che non si può evitare, ma soprattutto
non è giusto che lo stato faccia un vantaggio economico da questa professione.

Il problema è molto diffuso e vengono messe in atto delle campagne anche contro la
tratta delle bianche: un fenomeno che voleva rendere meno vulnerabili le donne e le
madri nubili.

Concludendo, tra 80 e 900, le femministe danno vita ad un movimento molto rinnovato


e variegato che ha obiettivi e ambizioni differenti.

In Italia si ottengono risultati limitati. Solo alcuni progressi ma mancano riforme


significative legislative e organiche. Il movimento non ha assunto una dimensione di
massa e fa fatica a fare presa sulle nuove generazioni, per uno scarto tra le generazioni
che sono impegnate in questo tipo di lotta.

Quali sono i punti di debolezza nel femminismo tra fine 800 e inizio 900? La debolezza
è dovuta alla situazione politica e sociale e alla poca esperienza delle donne e alle
condizioni di presenza. Anche la posizione dei massi che ne sono contro fanno sfociare
una sorta di caricatura di questi movimenti. La difficoltà delle donne di ritagliarsi un posto
nella scena pubblica, a maggior ragione se sono nubili, e a rimanere conformi.

Inoltre, pesano anche il controllo dei partiti e lo scarso spazio di azione che concedono
alle donne, come anche il ruolo forte della chiesa. Ci sono spaccature tra i diversi
movimenti che non consentono di portare avanti il movimento.

Ciò nonostante, va sottolineato che in questi decenni, le donne lottano con molto
coraggio, riescono a fare emergere e a porre sul tavolo quella che possiamo definire la
questione femminile.

Un passo in avanti sarà portato dalla grande guerra e con l’avvento del fascismo.

Terza lezione: La grande guerra.

Prima guerra mondiale e ruoli assunti dalle donne durante il conflitto mondiale.

Quale importanza hanno le guerre nel percorso che porta all’emancipazione delle
donne? Quali nuove possibilità aprono?
Le possibilità sono aperte ma prevalgono per periodi limitati; l’ordine dopo viene
restaurato.

Durante la guerra c’è una esaltazione dei ruoli di genere tradizionali, semplificando:
l’uomo che combatte e la donna che rimane a casa, anche se, nella grande guerra le
donne assumeranno ruoli inediti con conseguenze importanti.

Alcuni cambiamenti in Italia sopravviveranno dopo il conflitto. Molto importante è il


volontariato. Nel complesso i cambiamenti duraturi sono limitati.

Il primo conflitto mondiale, è un evento drammatico. Investe la società italiana a partire


dalla lacerazione che c’è tra interventisti e neutralisti. Questa ripercussione di lungo
periodo anche in temi politici dopo il conflitto.

Un altro elemento è anche tenere in considerazione quella che à la separazione tra


fronte interno e fronte esterno; anche se per le zone del Friuli Venezia Giulia, la presenta
del fronte è molto forte.

Il conflitto comporta privazione non solo per i soldati al fronte ma anche per le popolazioni
investite al conflitto, e per la popolazione civile specie tra le fasce povere. Tra i civili
cresce la mortalità e anche a causa della epidemia spagnola.

È importante ragionare sul fatto che durante la prima guerra mondiale, le donne vengono
investite dalla guerra con conseguenze. In generale, nel paese, le donne vengono
chiamate per fare la loro parte per sostenere l’impegno del paese, non solo per il punto
di vista morale ma anche pratico. È la prima guerra mondiale in cui il paese è investito
nello sforzo bellico, mobilitando non solo un forte movimento economico ma anche il
bisogno della popolazione civile per sostenere il conflitto. Per le donne si aprono dunque
nuovi scenari, vengono impiegate nelle attività lavorative in supplenza degli uomini e
sono impiegate anche in ruoli di tipo assistenziale. Anche un ruolo politico poiché madri
e mogli dei deceduti, sono autorizzate ad esaltare lo sforzo bellico.

Secondo alcune emancipazioniste, questi aspetti potevano giustificare ad acquisire dei


diritti, soprattutto quello di voto. Alcune donne si impiegano con maggior vigore in queste
attività lavorative, assistenziali e a sostegno del sacrificio della patria.

Le donne poi vengono investite dalla violenza della guerra come mai era avvenuto, nella
presenza del fronte. Ancora di più lo saranno in quei territori dopo la caduta di Caporetto
nel 17.
L’impatto dell’occupazione dopo la rotta di Caporetto con distruzioni, situazione di
profughi e donne spedite in parti di Italia e che subiscono un processo di sdradicamento
dalle loro case.

Scritti della reale commissione di inchiesta, messa in campo dall’Italia nel primo dopo
guerra e che raccoglie una cospicua documentazione su quelle che sono le violenze,
danni e furti commessi dalle truppe austro-tedesche nel corso dell’invasione seguita alla
rotta di Caporetto: questo inchiesta pubblicata si chiama “relazione della reale
commissione di inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commesse dal nemico” in
sette volumi uscita negli anni 20. Questo documento ci restituisce anche l’impatto sulla
violenza delle donne, come vittime di violenze e stupri. Una tattica di guerra usata per
umiliare il nemico, intimidirlo e prendere possesso il territorio, un tipo di strategia che
accompagna questa parte del conflitto. Le conseguenze delle donne a causa di questi
crimini sono molto importanti, sia nel breve sia nel lungo periodo; oltre allo shock, trauma
e malattie che comporta una violenza sessuale, sono molti i bambini che nascono da
queste violenze, i così detti: “figli del nemico”. Il problema è così rilevante in Friuli e del
Veneto orientale, che viene istituito un vero e proprio orfanotrofio che si occupa della
tutela di questi figli del nemico che spesso vengono abbandonati o affidati all’ente dalle
madri, concepito dalla Diocesi di Pordenone.

Alcuni riferimenti, ci fanno comprendere come le donne vennero investite in modo diretto
dalla guerra. Si può fare riferimento ad una bibliografia, un saggio di Ceschin su una
rivista “deportati, esuli e profughi”; il saggio di Barbara Mortesi “l’Italia e la grande
guerra”, contenuto in un volume intitolato: stupri di guerra, violenza sulle donne” e per il
contesto Friulano e Veneto ci sono studi specifici “guerre e violenze sessuali”, “le donne
friulane e la violenza di guerra durante la guerra”.

Va considerato inoltre, che il primo conflitto mondiale, rimescola le carte e pone in atto
anche se temporaneamente, dei cambiamenti evidenti del ruolo e visibilità delle donne.
Questo avviene anche perché l’idea di mascolinità viene travolta dalle dinamiche stesse
del conflitto. Per esempio le condizioni reali e materiali del conflitto, al tipo di guerra che
si combatte, alle difficoltà che avvengono con i rovesci militari (Caporetto). Per le donne
questo cambiamento avviene aprendo nuove opportunità in ambito lavorativo e attività
di volontariato. Va tenuto conto della estrema durezza del tempo in cui si realizzano:
tempi di privazioni, di ansia, di traumi, lutti e insicurezze.

per le donne, la prima guerra mondiale, significa anche angosciosa attesa, con poche o
nulle notizie di famigliari impiegati sul fronte; significa difficoltà di sostegno che porta alla
necessità di uscire dai ruoli tradizionali che si rivestivano. Significa anche cura di feriti,
di persone che hanno subito traumi psicologici. Per le donne significa anche subire il
trauma della guerra legato a violenza ma anche traumi subiti a livello psicologico a causa
del conflitto.

Un ulteriore dato per analizzare quanto la prima guerra mondiale incida sulla vita delle
donne, riguarda il fatto che il conflitto crea numerose vedove. Ci sono circa 600.000
caduti italiani e 200.000 le donne che diventano vedove. Diventa un problema rilevante
poiché molte di esse sono giovani. Si tratta di una categoria che acquista importanza nel
contesto pubblico. Le vedove insieme alle madri dei caduti, diventano anche esse eroi
della guerra, simbolo di lutto nazionale, di sforzi e sacrificio per il conflitto.

Spesso si ricorre anche ad immagini che escono dalla cultura cattolica con un riferimento
a un a femminilità sofferente.

Si assumono anche tratti emancipatori, nel senso che la donna diventa capofamiglia,
anche se più spesso deve far fronte a problemi economici che lo stato fatica a risolvere.

La questione giravano intorno al ruolo e al fatto che per analizzare ciò che avviene
durante la prima guerra mondiale, bisogna tener conto del gran numero di vedove.
Queste sono circa 200.000 e creano problemi evidenti perché molte sono giovani. Si
tratta di una categoria che assume una importanza rilevante. Le vedove insieme alle
madri dei caduti, diventano il simbolo del lutto nazionale, diventano vittime eroiche di
una nazione che ha sofferto per tutti gli sforzi che ha dovuto condurre la nazione alle
vittorie.

Questi sforzi sono il loro e il sacrificio fatto per la nazione. Spesso le immagini cattoliche
riflettono la donna che soffre. La vedovanza oltre al lutto e alle difficoltà di ordine
materiale, assume tratti di emancipazione per le donne perché spesso essa possa
diventare capofamiglia ma questo comporta problemi economici e di difficile gestione
per lo stato non prevede molto all’aiuto. Lo stato però mette in atto questi sussidi anche
per le fidanzate che sono rimaste vedove. Si sottolinea anche il valore della promessa e
quindi quanto fosse importante il fidanzamento che portava poi al matrimonio.

Ultimo aspetto, era che nel 1917, si viene a strutturare la associazione “madri e vedove
dei caduti in guerra” che contribuisce anche a ideologizzare e a imbalsamare il ruolo e
la figura della donna e delle vedove nelle cerimonie pubbliche.

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Complesso è anche il rapporto che si viene a creare tra femminismo e guerra. Nel solco
della divisione fra interventisti e neutralisti, troviamo anche le posizioni espresse da
donne impegnate nel femminismo. Non troviamo nessuna posizione netta contro la
guerra, alcune femministe sono a favore come Anna Kulishof, anche se alcune,
soprattutto all’inizio, assumono una posizione neutrale.

La posizione di Zanetta che invece, partendo dal socialismo, si schiera contro il conflitto
e assume posizioni antimilitariste e nel 1918, per gli scritti che cerca di diffondere, finirà
in carcere.

Queste posizioni ci danno una idea del fatto che prevale nel femminismo il senso del
dovere e l’attaccamento alla patria. Ciò nonostante, la guerra mette in luce differenze di
classe perché spesso le fasce più povere di donne tendono a protestare contro la guerra
o hanno dei comportamenti tiepidi mentre le fasce alte si impegnano alla propaganda e
adesione al conflitto. Anche dalla spinta del femminismo, nascono associazioni che si
dedicano all’opera assistenziale. Con il trascorrere dei mesi e il proseguire del conflitto,
il lavoro è associato alla guerra e le femministe stesse si trasformano; nei comitati infatti
molte di queste incontrano esponenti della destra nazionalista venendo influenzate.

Con il procedere del conflitto, molte donne si occupano di propaganda: organizzano


manifestazioni patriotiche, distribuiscono opuscoli, promuovono il reclutamento di mano
d’opera femminile; parliamo anche della lega delle seminatrici del coraggio.

Durante la guerra, il femminismo cede il passo al patriottismo.

Ciò nonostante, alcune femministe credono che questi ruoli che vengono sempre di più
assunti dalle donne, servano anche a preparare il campo a creare una sorta di patrimonio
che ponga le base a dei riconoscimenti di diritti politici e civili una volta che il conflitto
fosse finito. Chiedono quindi di partecipare allo sforzo bellico ancor più attivamente. Va
valutato che è un fronte che rimane comunque diviso e frammentato in conseguenza dei
fattori analizzati.

Va evidenziato che durante la prima guerra mondiale, molte donne soprattutto borghesi
e aristocratiche si dedicano all’assistenza di combattenti e delle loro famiglie. Per far
questo si poggiano su reti pre-esistenti. Sono attive anche le donne dell’unione “donne
cattoliche d’Italia”. Durante il conflitto sorgono comitati a livello comunale anche perché
lo stato si poggia su di loro per attività essenziali: fornire sussidi, organizzare zone di
ristoro per le truppe in transito, raccogliere fondi, organizzare e raccogliere cibo da
spedire al fronte.
Molte donne diventano anche madrine di guerra ovvero quelle donne che confrontano i
militari al fronte e instaurando un rapporto affettivo e scrivendo lettere. Aiutano anche i
comitati a organizzare matrimoni a procura e per garantire anche alle giovani che si
sposano, alcuni benefici che non avrebbero. Questi comitati hanno anche un ruolo per
sostenere in generale lo sforzo bellico italiano. Il controllo di tutte le attività che possono
essere ostili alla guerra è molto controllato e quindi va evidenziato che l’assistenza
materiale e la propaganda, si legano strettamente.

La propaganda: in quale modo le donne e il loro corpo venga sfruttato da tutti gli stati per
fare propaganda? Diventano immagini simbolo della nazione; rappresentano la tenuta
dell’onore e del rispetto, del suolo stesso della nazione. Durante il primo conflitto
mondiale se ne fa un largo uso, sia come sostegno interno dei paesi, sia per denunciare
i crimini compiuti dagli altri stati nemici.

Nella prima guerra mondiale, le donne non combattono, non avverrà mai in Italia ma
alcune assumono ruoli che le portano in contatto con la guerra e il fronte; la prima figura
è quella delle infermiere, divisa in crocerossine (circa 10.000) ma anche infermiere
religiose, volontarie e professionali che lavorano negli ospedali delle città, nei treni e
dietro la linea del fronte.

La crocerossina è tra le figure più importanti della prima guerra mondiale.

Chi sono le crocerossine? Infermiere volontarie presenti già dal 1908 in occasione del
terremoto di Messina e la guerra in Libia. Infermiere che hanno avuto un ruolo iconico
della grande guerra anche per la loro azione di affettuosità e cura materna che le
caratterizza nel sostegno ai militari impiegati al fronte. Sono di solito donne nubili e senza
figli, appartenenti agli alti stadi della società.

La loro presenza e il loro lavoro non sono da sottovalutare, anche se all’inizio, in Italia
sono sottoposte a una ferrea disciplina. Queste volontarie decido di impiegarsi in questa
opera complessa e non priva di rischi; molte lo fanno per patriottismo, per non rimanere
a casa, per mettersi una divisa e contribuire allo sforzo bellico italiano.

Le loro mansioni inizialmente non toccano tratti molto tragici ma presto devono prendere
mano con ferite, traumi e shock della guerra. All’inizio prestano servizio nei treni e
ospedali ma nel 1916 dall’aggravarsi della situazione al fronte, vengono impiegate dietro
le linee del fronte, sperimentando ritmi frenetici, pericoli ma anche l’aspetto psicologico
legato ai traumi dei feriti e la guerra. Nonostante i loro buoni propositi, molte non erano
pronte a sostenere quanto vennero chiamate a fare.
Una ulteriore categoria di donne in stretto contatto con le linee, riguarda le portatrici
carniche: una figura iconica meno conosciuta ed esaltata, con una esperienza localizzata
al settore della Carnia. Sono donne che operarono nel fronte Carnico in supporto delle
truppe impiegate. Si tratta della lunga linea del fronte che corre dal Monte Colian. Erano
impiegate nel trasporto di materiali e munizioni sino alle prime linee; portavano 30 o 40
kg sulle cernie, per tragitti che prevedevano 1000 kg di dislivello; erano pagate
pochissimo. Come segno distintivo, portavano un bracciale rosso con il numero del
reparto dal quale dipendevano. Si trattava di donne tra i 15 e 60 anni, che decidevano
di fare questo lavoro massacrante per incrementare le entrate delle famiglie in quella
difficile situazione e che da la misura della grave situazione delle popolazioni che
vivevano a ridosso della linea del fronte. Sono note alcune figure: Maria Ploz Narmentin,
uccisa nel 1916 da un cecchino. Lei ricevette anche una medaglia.

Queste donne compirono questo lavoro per spirito di patriottismo e questioni di


necessità: questo ci introduce un elemento importante, quello delle forme di lavoro
praticato dalle donne durante la prima guerra mondiale. Il lavoro è un aspetto importante
sul quale riflettere, per inquadrare la figura della donna che durante la guerra si articola
in una serie di posizioni diverse. In primo luogo va tenuto in considerazione quella che è
l’espansione indutriale dovuta al conflitto. Ciò nonostante la maggior parte delle addette
alla situazione bellica, confezionava capi di abbigliamento; una richiesta incessante
dall’esercito, dovuta anche al fatto che ci fosse una organizzazione carente poiché
organizzata non dallo stato ma dalle organizzazioni borghesi. Questa manifattura
rappresentava una opzione di guadagno anche pe ri piùpoveri ma era una ssistenza
sociale che faceva si che il lavoro fosse insufficiente alle richieste pressanti delle
richieste dell’esericto italiano. Ampli sono i dibattiti riguardante l’occupazione femminile
e sui ruoli lavorativi che le donne hanno assunto nelle fabbriche. Emerge che durante il
conflitto, le donne assumo impieghi in industrie, trasporti e ufficili; ma tutto sommato va
rilevato che sia modesta la percentuale delle donne economicamente attive. Perry
Wilson afferma che le donne raramente sostituivano gli uomini: tendevano invece ad
assumere i ruoli prodotti dalla espansione economica prodotta dal conflitto. Le munizioni
per esempio erano gestite dagli uomini.

Questo perché, gli operai maschi volevano tenersi stretti i posti di lavoro, se fossero stati
sostituiti infatti, sarebbero dovuti partire per il fronte. Temevano inoltre che, la
concorrenza delle donne, erano pagate in modo inferiore rispetto agli uomini. Le donne
invece sub entrarono nel campo dei trasporti ed ebbero una visibilità maggiore. Questo
fu tra tutto uno dei lavori a carattere temporaneo: vennero licenziate rapidamente a fine
guerra con rientro degli uomini. Questo accadrà anche con la seconda guerra mondiale.
Importante è la presenza delle donne anche nelle funzioni impiegatizie: non si
sostituiscono gli uomini ma si insediano in un momento di grande espansione di questo
settore. Ciò nonostante, va valutato che solitamente sono impiegate in compiti più noiosi
e meno difficili.

Una parte importante del lavoro svolto dalle donne durante la guerra, è il lavoro nelle
campagne: spesso infatti il conflitto rappresenta per le donne un peggioramento della
loro vita, questo perché mancano con loro i loro uomini impiegati nel conflitto e questo
ha un impatto determinante. Questo ambito, l’aggravio e l’incremento della loro presenza
non favorisce l’emancipazione.

Inoltre la prostituzione e l’impiego della prostituzione oltre la linea del fronte: c’è una
grande richiesta di prostitutive nei “casini di guerra”, divisi tra ufficiali e soldati. Ci sono
pochi controlli e le condizioni di vita delle prostitute sono terrificanti.

Audio 3

La prima guerra mondiale rappresenta per le donne anche un periodo di fermento: fame,
sofferenza, rabbia, lutti, portano proteste sia rurali che urbane che vengono messi in atto
con tentativi di protesta che vedono come protagoniste le donne. 1917 a Torino dove a
causa della mancanza di pane, ci sono 5 giorni di proteste con 10 morti o proteste nelle
fabbriche con scioperi per protestare contro il mancato aumento di salario. Altre proteste
riguardano l’ambito rurale con l’occupazione di terre incolte o pascoli. In città i pochi
generi alimentari e sussidi fanno scattare proteste, investendo anche un movimento del
“non si parte” che vede le donne rompere le liste di partenza alla leva, le donne che
cercano di fermare i treni, la diffidenza verso lo stato e le attività che questo cerca di
mettere in atto. Ma perché le donne sono le protagoniste di questi episodi e proteste?
Perché corrono rischi minori rispetto agli uomini e perché è un motivo di risentimento per
le condizioni di povertà che portano alla guerra, sacrifici e presenze di lutti e sofferenze
che esasperano e creano una insofferenza.

Specie dopo Caporetto, queste proteste portano ad alcuni benefici: non c’è solo la
repressione da parte dello stato, ma si pone attenzione alle condizioni sociali e materiali
della popolazione.

Breve cenno alla transizione tra guerra e pace, primi anni del dopo guerra:
le donne anche a fine conflitto sono in primo piano per l’uscita dalla tragedia; hanno una
posizione importante in quella parte di processo del lutto del conflitto, delle dinamiche di
rientro a casa, di supplenza di quelli che non ci sono più e della tenuta della famiglia e
della società in generale.

L’elaborazione del lutto e figura della donne che anche le istituzioni e il governo cerca di
far passare: tra tutte le figure femminili, Maria Bergamas , narrazione e la cronaca del
ruolo di ruolo come donne e madre di un caduto nella guerra. Una donna che
rappresenta tutte le donne e madri che hanno subito un lutto.

Questa narrazione del mito del sacrificio, investe Maria Bergamas e altre donne, dalle
narrazioni di cui rimane traccia ancora ora; ad Aquileia e a quella statua che rappresenta
la Crocerossina Angela che sostiene un militare nella posizione di Cristo sulla croce, che
in un qualche modo dal punto di vista religioso e laico e struttura una narrazione di
genere evidente.

Uno slancio delle donne, dopo la guerra tra la fine della guerra e l’inizio del dopoguerra,
riguarda anche il pacifismo; nel dopo guerra, i ruoli assunti dalle donne, creano uno
slancio per porre in atto quella che è la riforma giuridica della loro condizione. Nel 1919,
grazie al lavoro svolto, arriveranno ad essere ad un passo dal voto, almeno di quello
amministrativo. Infatti nel primo dopoguerra, il partito popolare di orientamento cattolico,
è a favore delle donne e questo ovviamente serve a tenere a bada il socialismo. La legge
che vuole concedere alle donne il voto, passerà alla camera ed è disposto che entri in
funzione alle leggi successive. Il senato però non lo approva. Sarà quindi un tentativo
frustato

La fine della prima guerra mondiale porta comunque ad un concreto avanzamento, però
viene riformata la posizione giuridica delle donne. Nel 1919, avviene la brograzione
dell’autorizzazione maritale e le donne possono lavorare in qualsiasi mansione e
ricoprire i pubblici impieghi.

Anche se vengono messi in atto provvedimenti che fanno in modo che questo
provvedimento non sia da fare; nei provvedimenti del 1920, le donne vengono escluse
da alcuni professioni, tra i più importanti la magistratura, polizia e livelli superiori della
pubblica amministrazione. Le donne sono escluse anche dai ruoli che avevano ricoperto
dalla guerra, complice anche la grave crisi economica. Difficoltà ci sono anche con le
vedove che possono usufruire dei sussidi ma molto speso non sufficienti a far fronte alle
loro necessità.
In generale il lavoro femminile che non sia allineato nei canoni tradizionali, non ha avuto
un buon risultato. Si ritorna quindi a riassumere i ruoli che si avevano prima della guerra.
Si vuole far prevalere la figura della donna come madre. Sotto alcuni aspetti quindi la
prima guerra mondiale segna cambiamenti reali nella vita delle donne; non solo ruoli o
lavoro ma anche sfide, prospettive e fa emergere anche il ruolo della donna come figura
importante per la società e patria. Tuttavia, alcuni cambiamenti portati dal conflitto,
hanno natura temporanea e alla fine della guerra c’è il ritorno ai vecchi ruoli precedenti
al conflitto.

Quarta lezione. Il contesto italiano ed europeo dagli anni Venti agli anni Quaranta
del XX secolo.

Cronologia come riferimento ai fatti principali:

1919: fondazione dei fasci di combattimento e al Biennio rosso.

1921: proclamazione del partito nazionale fascista

1922: marcia su Roma

1924: delitto Matteotti

Discorso Mussolini il 3 Gennaio 1925

1926: leggi Fascistissime

1929: concordato con la chiesa cattolica.

Molta è la bibliografia sul ruolo delle donne soprattutto in lingua inglese. Sembra che
questo argomento e questi anni siano ostici per la storiografia italiana, che ha dimostrato
maggiore interesse per le donne antifasciste, che protestano al regime ma soprattutto al
ruolo delle donne nella residenza.

La storiografia, a partire dalla stagione degli anni 70, ha segnalato alcuni lavori
significativi sul rapporto tra donna e fascismo.

Durante il fascismo, le donne vengono tratteggiate come vittime del fascismo e di un


regime patriarcale violento (secondo un libro)
“Donne del 20ennio fascista” della Vaccari, parla di donne antifasciste, proteste e
scioperi compiti nonostante il divieto del regime e anche delle proteste messe in atto
dalle categorie delle tessili e delle mondine, particolarmente dinamiche.

Nel 1992, è necessario citare il volume di Vittoria di Grazia, che si focalizza su un periodo
di mutamenti diversi e inquadra il regime con cambiamenti contraddittori e complessi; il
fascismo rappresenta un periodo nel quale le donne hanno avuto grandi opportunità.

Quali aspetti delle ideologie fascista, condizionano le donne nel periodo che abbiamo
delineato?

I tratti di anti democraticità, maschilismo e machismo del fascismo e la carica di violenza


che porta avanti, gli scoppi che persegue e i metodi che adotta, non giocano a favore
della emancipazione delle donne e del loro inserimento a pieno titolo nella società.

Inoltre all’inizio il fascismo pone attenzione ai ruoli di genere, classificandoli in ambiti che
saranno sempre più rigidi.

Inoltre, il fascismo attua una intromissione nella sfera privata dei cittadini italiani,
condizionandola sempre di più.

L’ideologia fascista, pone in risalto l’orgoglio maschile, la virilità e privilegia quel modello
del capofamiglia che porta a casa il pane.

Al contrario, il fascismo interpreta l’ambito femminile come un ruolo passivo e apatico, la


donna per i fascisti è l’angelo, con funzione materna. Progressivamente declinata sulla
quantità di figli che deve mettere al mondo per la patria.

Un atteggiamento che è funzionale alla campagna demografica che porta avanti il


fascismo.

Principi di base dell’ideologia fascista: La guerra sta all’uomo, come la maternità sta alla
donna.

Anche lo stesso Mussolini incarna questi ideali, anche in riferimento all’uso che fa delle
donne. Il suo fu un atteggiamento sprezzante e poi sia lo scarto tra la rappresentazione
del duce come marito e padre di famiglia esemplare rispetto poi a quelli che furono i suoi
atteggiamenti e condotta reale.

In Mussolini emerge molto una doppia moralità, dettata dal privilegio della sua
condizione e dalle sue inclinazioni. I rapporti con donna Rachele e quelli con le
chiacchierate delle sue amanti.
Interessante è anche il rapporto che Mussolini ebbe con sua figlia favorita: Edda: una
figura femminile che incarna una eccezione emancipata e con comportamenti ed
atteggiamenti in contrasto con l’ideologia del regime.

Per il fascismo, le donne dovevano essere donne e madri esemplari. Una maternità che
andava interpretata come un servizio da rendere alla patria. L’ideale della donna
fascista, come si può ricavare anche dai manifesti di propaganda, era una donna florida,
rurale, in contrasto con una donna moderna, concentrata su se stessa.

Il fascismo insiste anche sul ruolo domestico delle donne. Successivamente il lavoro
avrà anche idee non molto positive, anche se non del tutto organico nella politica messa
in atto.

Si da grande importanza al matrimonio e alla famiglia e al ruolo che deve avere la donna
con ruolo tradizionalista.

Questi aspetti sono resi espliciti dalla propaganda di regime che ha effetti maggiori sui
ceti medi rispetto a quelli alti e bassi, in particolare alla resistenza dei ceti rurali, perché
molto distanti da molte tematiche.

In questo quadro, va evidenziato che questo stesso periodo è stato anche un periodo di
opportunità per le donne, per le occasioni che furono date a loro per affacciarsi alla sfera
pubblica; per esempio, le occasioni e alle strutture di cui il partito nazionale fascista si
adotta e che coinvolge le donne. Questo rappresenta il tentativo del regime di
politicalizare ed inquadrare le donne dentro le sue strutture ma comunque consente loro
di affacciarsi nell’ambito pubblico e coprire cariche che anni prima erano impensabili.

Uno degli aspetti più importanti che il fascismo attua riguarda la campagna demografica
che porta avanti a partire dagli anni 20.

Nell’Italia degli anni 20 e 30, si registra il calo di tasso di natalità, che anche avendo indici
diversi a causa dei territori, registra questo calo delle nascite. Va comunque valutato che
la popolazione non era in calo, anche perché, al diminuire delle natalità, c’era una
diminuzione della mortalità.

Ciò nonostante, questo calo delle nascite, è interpretato dai fascisti come una vera
emergenza; il loro obiettivo era quello di portare la popolazione da 40 a più o meno 60
milioni di abitanti. Risultato che non raggiungeranno.

Da dove nascono queste idee e perché il regime si pone questo obiettivo?

Teorie sulla qualità e quantità della popolazione.


Altro aspetto è che il fascismo pone importanza al numero della popolazione legato alla
forza che questo doveva avere: creare presupposti per espandersi sempre di più. “Il
numero è potenza” (slogan), sono famose le frasi di Mussolini sul paragone numerico
della popolazione italiana rispetto agli altri paesi europei e all’America, anche con la fobia
di essere schiacciati da nazioni più popolose e quindi più forti.

L’aumento del numero si intreccia anche alla campagna di ruralizzazione: il ritorno alle
campagne e togliere popolazione alla città e impiegarla ai campi.

Questi elementi rafforzano le idee del regime rispetto ai ruoli di genere. Tutti questi
aspetti si legano anche ad elementi di propaganda che puntano a strutturale le politiche
del regime. La giornata del 24 dicembre del 1923, non è scelta a casa, si celebra la vigilia
di natale e la giornata della madre ed infanzia: giornata in cui si da onore alle madri,
premi e riconoscimenti, assegni e pacchi, per fare in modo di fare emergere una parte di
popolazione che sposa la politica del fascismo e da figli da donare alla patria.

Tutti questi elementi, si intrecciano e sono sostenuti anche da provvedimenti legislativi


che attua il governo e che vengono varati nel corso di un lungo periodo del regime:

dal 1927 il regime attua la tassa sul celibato, per incentivare il matrimonio, si tassano
con una tassa i celibi tra i 25 e i 65 anni di età, che hanno un pagamento differente a
seconda delle fasce economiche ed età. Questo provvedimento ha una applicazione e
fortuna visibili perché vengono celebrati tanti matrimoni per sottrarsi al pagamento.

Il fascismo, con un’altra legge, abbassa anche l’età minima per potersi sposare

Inoltre, mette in campo una serie di premi per l’assistenza di famiglie numerosi; pone
preferenze negli impieghi per le persone sposate, con una valenza nei concorsi,
esperienze di carriera: insomma vengono previlegiate le persone che hanno figli.

Dagli anni 30, si mettono in atto prestiti matrimoniali e assegni famigliari: i prestiti sono
modellati su quelli che vengono varati anche in Germania e prevedono prassi
vantaggiose per le coppie che decido di sposarsi, successivamente sono estesi anche
a lavoratori del settore pubblico. Questi prestiti, rispetto alla Germania, hanno un
successo più contenuto.

Di più lungo periodo invece avranno gli assegni famigliari che ci sono ancora ora e
incrementano il reddito a seconda nel numero dei figli.

Contemporaneamente però, il fascismo mette in atto anche alcune azioni restrittive;


misure repressive sono attuate per il controllo della fertilità. Un tema con poca
informazione, quello del controllo sulle nascite, in cui non c’è nessun provvedimento di
educazione sessuale; non viene meno l’idea del sesso come peccato e tabù di
argomento. Una doppia morale prevale comunque.

Il fascismo vieta le pubblicazioni e diffusioni di notizie e controllo delle nascite. Questo


sarà un elemento che rimarrà molto in vigore.

Il fascismo poi inasprisce la pena per l’aborto, che era già illegale ma ora invece viene
punita con la reclusione. La pratica degli aborti era diffusa e la legislazione varata dal
codice Rocco, inserisce un reato contro la sanità e l’integrità della stirpe.

La legislazione è applicata anche con maggior rigore rispetto al periodo precedente.

Cosa prevede il codice Rocco del 1930? Che per perseguire il reato di aborto, si
prevedono pene che vanno dai 7 ai 12 anni di reclusione, per qualunque lo cagioni.
Siamo tra i 2 e 5 anni per colui che provoca un aborto ad una donna.

Da 1 a 4 anni per una donna che si procura l’aborto da sola.

Erano anche previste altri tipi di pene aggravanti e severe, stabilite anche per chi istigava
a commettere il reato e a chi procurava la morte alla donna durante l’operazione.

Una questione che avrà nel lungo periodo, nel codice era anche rilevante l’attuante del
motivo di onore. Se l’aborto era stato procurato per salvare l’onore proprio o di un
congiunto, le pene diminuivano della metà o addirittura di 2 terzi.

Elementi che rimangono a lungo nella legislazione italiana:

il fascismo mette in atto azioni per il sostegno della maternità. In questo periodo il 95%
dei parti avviene in casa e le donne sono aiutate di rado da medici, la maggior parte delle
volte dalla levatrice. Il fascismo cerca di professionalizzare la professione della levatrice.
Mette in atto provvedimenti per formare e vigila sulla loro azione sul territorio.

La preparazione delle donne non è alta ma rappresenta comunque un avanzamento


della tutela o tentativo di venire in conto all’esigenza delle donne.

Nel 1923, è abolita la ruota per i neonati: un meccanismo che permetteva di lasciare i
bambini appena nati ad istituti caricatevoli e religiosi. Una pratica che ricordava il
medioevo. Nonostante l’abolizione nel 1923, rimarrà ancora in alcuni territori.

Il tentativo del regime è anche quello di migliorare la qualità degli orfanotrofi e a partire
dal 1927, mette in atto dei sussidi per le madri nubili. In realtà non sono molto potenti
questi assegni. In alcune regioni, questo porta a conseguenze tragiche perché negli anni
40, il tasso di mortalità dei figli legittimi rimane molto atto.
Gli ultimi due aspetti riguardano la formazione (organizzazione), dell’opera nazionale per
la maternità e l’infanzia, che risale al 1925. L’obiettivo principale è quella di ridurre il
tasso di mortalità infantile, per far crescere nuove generazioni con regole razionali e
specifiche nel rapporto con la maternità. Pone in atto l’assistenza medica e
l’informazione con i comitati di patronato in cui sono presenti molte donne. Nonostante
gli scopi importanti, i fondi sono molti pochi e marcate differenze che questa opera riesce
a fare nelle regioni del nord e del sud. È un ente che a metà strada tra un programma
statale di assistenza e un ente benefico ma politico. È molto efficace nel campo della
propaganda e del controllo. Se dobbiamo trovare un filo che unisce i provvedimenti sulla
maternità, possiamo far giungere questo filo fino alla legislazione razziale, perché dal
1935, per le colonie e per il 38, per i Semiti, la sessualità viene connotata con temi
sempre più razzisti.

La maternità c’entra perché viene posta in atto la purezza della stirpe dalla commissione
delle colonie ed ebrei.

Questa campagna demografica portata avanti dal fascismo, non ha avuto successo
sostanziale. Gli incentivi che furono dati erano modesti ed inefficaci.

Chiara Saraceno sostiene che la politica di assistenza alla maternità, ha effetti negativi
perché promuove l’esigenza dei bambini ed incoraggia ad averne bene, l’esatto contrario
di quello che il fascismo si proponeva.

Audio 2

Un altro ambito che ha importanti conseguenze per evidenziare il rapporto che viene a
crearsi negli anni venti tra donne e fascismo, riguarda l’istruzione. Questo infatti è un
fattore molto importante.

L’istruzione sarà sempre un dato importante. Nel 1923, Gentile pone in atto una riforma
sostanziale dell’ordinamento scolastico. Rende l’istruzione obbligatoria per 8 anni, sia
per maschi sia per femmine. Anche se comunque è una riforma che trova difficile
problema soprattutto nel contesto rurale.

Nella scuola elementare questa riforma ha risultati più evidenti. Il tasso di analfabetismo
scende dal 31% al 24% nel 1931. Questi dati cambiano a seconda della regione e si
deve considerare che gli alunni maschi registrano risultati migliori della bambine ma il
regime vede che tutto sommato è positivo che le bimbe frequentino la scuola elementare,
per incrementare l’alfabetizzazione e per portare avanti anche la propaganda che il
regime ritiene necessario.

I maschi registrano risultati migliori perché si ritiene comunque, soprattutto dai ceti medio
bassi, che l’istruzione femminile sia meno importante. Non è infatti strano se nelle
famiglie si preferisce far studiare solo i maschi e tenere a casa le femmine per cominciare
a farle lavorare.

Per le classi successive, la riforma di Gentile pone in atto grandi innovazioni. Gentile,
non era un sostenitore del femminismo e riduce gli istituti magistrali, crea un liceo
femminile che non ha molto successo. Si cerca anche di incentivare l’inscrizione dei
maschi agli istituti magistrali.

Le riforme che vengono messe in atto sono diverse nel corso degli anni 20 e 30. L’ultima
evoluzione sarà quella attuata nella “carta di Bottai” del 1939, che non ha applicazione
per l’arrivo della seconda guerra mondiale, ma si cerca di creare nuovi istituti femminili,
dedicati all’istruzione che si pensa sia utile per le donne per prepararle ai lavori che
faranno loro e un disincentivo di alcune altre carriere perché si incominciano a mettere
in atto provvedimenti che prevedono un maggior costo di tasso per le donne rispetto agli
uomini. Ciò nonostante, la presenza delle ragazze nelle scuole medie e licei, cresce
molto. Alla fine degli anni 30, le donne sono più o meno 1 terzo degli iscritti. Le iscrizioni
alle università, sono triplicati rispetto agli anni 30, anche se va tenuto in considerazione
che il tasso di abbandono è molto elevato. Le donne scelgono facoltà che hanno come
sbocco l’insegnamento. Le donne che scelgono facoltà di medicina molto spesso lo
fanno intraprendendo una carriera legata alla sfera della maternità: rimango attive
preferenze riguardo l’insegnamento, che è una professione ritenuta adatta alla donna e
alle sue caratteristiche e all’altra sfera della maternità.

Questi dati evidenziano l’importanza che l’istruzione, specie per i ceti medi, da per
migliorare la propria condizione e avere un lavoro soddisfacente.

Il tema del lavoro è un ambito importante. Per i fascisti, il lavoro è un fattore essenziale
dell’orgoglio maschile e del successo demografico. Il lavoro femminile non viene
incentivato, anzi, la donna ha un ruolo materno oppure può svolgere lavori che gli uomini
non vogliono svolgere. Non c’è dunque relazione tra lavoro ed emancipazione per le
donne.

Il fascismo vara leggi che sono discriminatorie verso il lavoro delle donne. Nel campo
dell’istruzione dal 1923, alle donne viene impedito di fare il preside, dal 1926 non
possono insegnare materie ritenute prestigiose nei licei come italiano e storia. La storia
era ritenuta una materia di prestigio.

Dal 1934, le donne vennero escluse anche da ruoli di scuole tecniche. La tendenza era
fare in modo che le donne fossero impegnate in livelli bassi dell’istruzione. Alcune
soprattutto alle elementari e medie. Delle materie professionalizzate o di maggiore
prestigio, fossero affidate agli uomini.

Ciò nonostante, nella scuola e nell’istruzione, la presenza femminile era elevata. Il 100%
delle insegnanti nelle scuole materne era di donne. La percentuale cambiava anche se
non di molto, alle elementari dove le donne erano l’81%, calava nei livelli di istruzione
femminile nelle scuole superiori (erano un 41%).

Le donne impegnate nelle scuole elementari, erano coloro che dovevano far fronte a
situazioni complesse. Questo riguardava i contesti rurali o sociali disagiati. Diari e
memorie di giovani maestre, spesso al primo incarico, sono ricchi di shock avuti da
giovani insegnanti che venivano catapultati in situazioni rurali o di provincia che molto
spesso faticavano a comprendere che non solo la situazione dove si trovavano ma
anche lo stesso dialetto che parlavano i loro studenti; erano costrette a non dover fare
solo le insegnanti ma ad occuparsi anche di altre problematiche sociali ed altro.

Al campo del lavoro, è importante citare anche il campo delle libere professioni. Le donne
a partire dagli anni 20 e 30, devono affrontare forti concorrenze da parte dei loro colleghi
maschi; ma tutto sommato le cifre di professioniste sono in crescita. La legislazione non
presenta discriminazione diretta a parte se le donne non volessero lavorare per la
pubblica amministrazione, il che di per se rimaneva un aspetto limitante.

Nel settore terziario, abbiamo un incremento del settore femminile, in negozi e uffici. È
un fenomeno che era già iniziato dai primi anni del 900. Le donne hanno spesso impieghi
precari e vengono molto sfruttate. Sono costrette a dare dimissioni in caso di matrimonio
o se sono incinte. Negli uffici si trovano a fare mansioni umili o poco professionali. Hanno
salari che non garantiscono autonomia, mantenersi prima del matrimonio.

Nel 1923, dopo il periodo di pausa dato dalla fine del primo conflitto mondiale, avviene
un largo e numeroso licenziamento dalla pubblica amministrazione, di quanti erano stati
assunti dalla guerra. Tra queste persone vi erano molte donne, solo le vedove non
vennero toccate.

La stessa cosa accadde nel 1926, per il ministero delle poste. Provvedimenti ancora più
discriminatori, si manifestavano nel 1930; quando nel 1933, le donne vennero escluse,
dai concorsi o si pose un tetto massimo nelle loro assunzioni.
Nel 1938 questo limite venne posto al 10% di assunzioni femminili in posti di lavoro non
manuali. Questo viene attuato con provvedimenti di urgenza o transitori perché nel 19
era stata varata la legge Sacchi che diceva che le donne potevano lavorare in tutti i lavori
e pubblici impieghi, nonostante appunto, il regolamento del 1920 che li limitava.

Il fascismo non potendo riformare questa legge, vara provvedimenti temporali che pongo
una situazione stabile e fa in modo che le assunzioni siano limitate ad una percentuale
bassa. Il governo fascista, cerca di ricompensare questi provvedimenti con una
legislazione di impianto protettivo: aumenta i giorni di congedo di maternità e vara una
legislazione per stabilire che le donne minorenne fossero escluse da lavori pericolosi o
insalubri. Ma questa disposizione ha conseguenze limitate. Ciò che ne deriva è la
maggiore difficoltà di assumere le donne e una divisione tra i sessi nelle mansioni
lavorative e un monopolio nelle attività lavorative che dipende dal sesso.

Tra le altre categorie di lavoratrici ci sono le contadine: durante il fascismo negli anni 20
e 30, cambiano poco le loro condizioni rispetto ai primi del 900. Molta fatica e molto
lavoro nella loro vita, anche se questi aspetti sfuggono e non sono registrati, in questi
anni sfuggono in misura maggiore rispetto agli anni 10.

Ulteriore aspetto riguarda l’industria: più o meno le donne sono circa il 25% della forza
lavoro e sono concentrate in specifiche attività: industria cartiera, cocciaia, chimica,
alimentare, tipografica e un po`meno metallica. Importante è quella tessile che
aggravando una crisi in corso, pone le donne a lavorare in condizioni di lavoro pesanti e
pericolose. Inoltre, negli anni 20 e 30, troviamo ancora donne che svolgono lavori a
domicilio. Donne sono presenti anche in locante ed alberghi e svolgono lavori domestici
(aumentano in questi anni); la loro vita è molto dura e gli stipendi sono molto bassi.

Ciò nonostante, rappresentano una risorsa per le famiglie contadine e un veicolo di


modernizzazione. Ci sono molte giovani inviate a servire nelle case di borghesi e nobili,
inoltre queste fanciulle portano indietro o restituiscono idee e conoscenze del mondo
che soprattutto nelle zone di campagna, facevano fatica ad arrivare.

Un’altra interessante categoria è quella delle balie, ovvero una categoria che rimaneva
esclusa da gran parte delle leggi protettive.

Un’altra era la prostituzione. Dal 1923, viene rafforzata la regolamentazione della


prostituzione e c’è l’obbligo di registrarsi nelle case di tolleranza. Dal 26 c’è l’obbligo di
visita per le donne che adescano clienti fuori dai luoghi consentiti. Questo per cercare di
colpire la prostituzione irregolare, un problema che si fa molta fatica a contenere e che
ci da conto di alcune critiche condizioni economiche di alcune fasce sociali.
Questi dati ci vengono restituite dalle relazioni fatte dai prefetti, la prostituzione era una
attività monitorata. i documenti scritti dai prefetti raccontano molto su di esse.

Nel 20ennio quindi rimangono ed emergono rimanendo sotto traccia, elementi di


modernità, rispetto all’ideale fascista di donna madre. Nel lungo periodo, si tende a
raggiungere livelli più elevati anche nell’istruzione. Le famiglie diventano meno numerosi
e c’è una urbanizzazione in atto nonostante le leggi contro le migrazioni del governo
fascista. Sempre di più i matrimoni vengono fatti per libera scelta (non più matrimoni
combinati o scelti dalla famiglia). Si modernizza anche l’abbigliamento anche in linea al
piano internazionale. Ma nelle campagne la gerarchia rimane sempre molto presente e
pressante. Il diritto di famiglia non conosce modifiche sostanziali, infatti dobbiamo
attendere oltre il 42. Nel costume, le donne sono molto spesso escluse in alcuni luoghi
pubblici. C’è da chiedersi se il regime riesce a creare questa donna fascista? E quale
scarto si può individuare tra le diverse generazioni?

Quinta lezione: Donne e regime: mobilitazione di massa.

Il regime fascista rappresenta una battuta di arresto per molta parte del femminismo
italiano.

L’avvento al potere di Mussolini e poi il consolidarsi della dittatura, pone fine a molte
istanze che il movimento femminile aveva portato avanti con difficoltà fino agli anni 20.

Progressivamente il fascismo riesce a mobilitare bambine e donne come mai accaduto


prima; questo aprirà nuovi scenari anche nella sfera pubblica.

Il fascismo rappresenta una battuta di arresto per il femminismo italiano:

Le organizzazioni autonome poco a poco scompaiono e vengono assorbite dalle


organizzazioni che mette in campo il partito fascista. Ma non tutte queste organizzazioni
vennero soppresse subito dal regime; alcune infatti rimasero attive in vita fino agli anni
30. Ma la maggior parte venne assorbita quando il fascismo puntò a divenire un regime
totalitario.

Si cerca di allargare gli ambiti del partito politico in più campi, fare lo stato fascista e
portare la camicia nera la nazione.

In questo contesto, le organizzazioni femminili che riescono a sopravvivere sono poche


e hanno una autonomia e intervento molto ridotti. Alcuni esempi di organizzazioni
femminili che continuano sono la “federazione italiana laureate e diplomate in istituti
superiori” e “l’unione femminile nazionale” 8anche queste verranno assorbite).
In parte diversa è il consiglio nazionale delle donne italiane. organizzazione che per molti
aspetti era venata da connotazioni patriottiche e anti socialiste che si adatta alle
circostanze e che avanti la propria attività.

Un altro aspetto riguarda anche donne che continuarono ad opporsi al fascismo;


rifiutarono di essere inquadrate in questa organizzazione e cercarono metodi di vere
opposizioni. Si parla di un numero ridotto di donne anti fasciste e clandestine.

Non sono molte le donne che si impegnano in modo attivo nelle organizzazioni anti-
fasciste, soprattutto tenendo conto delle donne tesserate al partito nazionale fascista.

Non molte donne continuano o riescono ad opporsi al fascismo e questi aspetti


dipendono da cause diverse. In primo luogo, le donne sono poche nei partiti politici, le
organizzazioni che si faranno carico dell’opposizione fascista. Lo erano già prima che il
fascismo arrivasse al potere, non riempivano neanche ruoli molto importanti; inoltre c’era
la difficoltà di partecipare nelle condizioni di clandestinità alla lotta antifascista. La
campagna di clandestinità, presenta difficoltà di sostentamento ma rappresentava la
rottura con i legami famigliari. In questo periodo, l’idea degli antifascisti, era
rappresentata anche dalla famiglia; una famiglia importante per educare, per il percorso
che porta a formare l’idea di opposizione antifascista. Per le donne era una idea
complessa dal fatto delle difficoltà che una donna isolata poteva avere nel vivere in
clandestinità, sotto un falso nome, trovarsi un lavoro per mantenersi o data la situazione,
per vivere sola senza parenti e famiglia.

Non sono molte le donne che si oppongo al fascismo ma quelle che si impegnano e
partecipano alle attività spesso sono donne che assumono ruoli articolati in base ai
generi. Di solito agli uomini spetta il compito di propaganda o di idee di opposizione. Le
donne svolgono compiti di assistenza o di collegamento portando materiale,
mantenendo contatti e compiendo viaggi in altri paesi. Compiti non meno pericolosi dato
il controllo sempre più forte della pubblica sicurezza.

Sono 748 le donne deferite al tribunale speciale della sicurezza dello stato, per giudicare
gli oppositori politici. 500 vengono condannate per reati politici.

Fa emergere alcuni ruoli e biografie di militanti molto impegnate in queste lotte: tra le più
importanti troviamo Teresa Noce e Adelia Bei. Donne che fanno esperienze dure del
carcere, che però rappresentano, esperienze dure quanto importanti come momento di
evoluzione, educazione, per incrementare la loro consapevolezza politica.

Dobbiamo inoltre rilevare che ci sono altre forme di opposizione meno organizzate di
protesta: scioperi e proteste portate avanti da donne nel corso del 20ennio. Tali
manifestazioni erano vietati per leggi e si realizzavano con gesti banali ma con un
significato molto importante (per esempio si indossavano le sciarpe rosse il primo
maggio o si cantavano canzoni ) tra queste si distinguono le operaie tessili e le mondine
(donne impiegante per la monda del riso).

Luisa Passerini, ha introdotto nel suo testo, l’ipotesi di un’altra forma di opposizione di
questo periodo con le donne. La legislazione varata dal fascismo era stringente riguardo
gli aborti e il regime da importanza a questa legge per la politica di natalità.

Forse le cause sono complesse, per praticare gli aborti e non vanno ridotte ad una forma
di opposizione al fascismo. Bisogna guardare anche la situazione sociale e tutti i
problemi legati a queste pratiche. Spesso la politica del fascismo era in contrasto con
quelle che erano necessità avvertite dalle donne stesse.

È importante rilevare che tutte le esperienze che abbiamo ripercorso, sono rilevanti
anche per la loro importanza simbolica e daranno frutti e saranno riprese nel corso della
resistenza. È fondamentale anche per dimostrare che non tutte le donne hanno
appoggiato il fascismo e ne hanno sposato l’ideologia, ne hanno condiviso le idee e i
ruoli che il regime tributava alle donne.

Accanto a queste forme di opposizioni, ci sono le organizzazioni delle donne cattoliche.


Non siamo nell’ambito dell’antifascismo, ma queste organizzazioni non cercano neanche
di essere tanto fasciste. Sono molto numerose rispetto a quelle citate da un punto di
vista quantitative e agiscono sotto leggi del vaticano, che infatti già dal 1917-1919,
comincia a sostenere l’idea che le donne dovessero svolgere servizi per la chiesa anche
fuori dalle mura domestiche. Viene inteso senza dover dimenticare i propri doveri.
Questa unione diventa una unione femminile cattolica italiana, con una sezione
femminile e diverse sezioni. Una organizzazione molto ben strutturata e subordinata alle
gerarchie e direttive della chiesa. Questa organizzazione, cresce notevolmente, tanto
che alla fine degli anni 30, riuscirà a contarci molte iscritte. Rappresenta ovviamente
numeri molto inferiori rispetto alle organizzazioni fasciste; ma questi dati ci testimoniano
l’importanza del cattolicesimo nella vita delle donne equante esse abbiamo il desiderio
di rivolgere ad autorità che non hanno a che vedere con il partito.

Quali sono le loro posizioni e attività? Questa unione femminile, cattolica ed italiana, si
pone molto per sostenere il ruolo materno delle donne. È un atteggiamento rigido, nei
confronti della modernità e talvolta anche più rigido di quello del fascismo. Le donne che
ne fanno parte insistono per la formazione sociale e religiosa che devono aver madre e
mogli; è una visione molto tradizionale del genere. In estrema sintesi, le donne devono
rimanere nella posizione domestica e assumere ruolo di madre e donna. L’attività è
quella di unione ed è distinta per classi sociali. Tutte le classi sono unite dalla spiritualità,
organizzazione di conferenze e soprattutto per le classi più basse le opere di assistenza.
Le donne dell’unione sono molto attive. Le loro dirigenti sono formate e anche per
controllare i tratti femminili ritenuti più opportuni e si pongono l’obiettivo di diffondere i
caratteri religiosi e di obbedire alla chiesa.

Queste associazioni rappresentano una alternativa reale alle associazioni fasciste.

Audio 2

In quale modo e con quali risultati, il fascismo mobilitò le donne?

Va detto che, un numero limitato di donne presero parte alla nascita del fascismo; solo
9 furono le san sepolcriste ovvero quelle donne che parteciparono alla riunione di
fondazione dei fasci di combattimento a Milano e non sembrano avere poi un ruolo
particolarmente rilevante.

Successivamente nei primi anni di attività dei fasci di combattimento e poi del partito
nazionale fascista, la figura più nota è di Ines Donati: una eroina squadrista, divenuta
poi una figura iconica, una vera e propria martire fascista, per il suo impegno profuso
anche nelle squadre di azione. Va però considerato che, accanto alla costituzione dei
primi fasci di combattimento, si creano dei gruppi femminili. All’inizio si chiameranno
“gruppi femminili fascisti”, poi diventeranno “fasci femminili”. Il primo di questi, nasce a
Monza nel 1920, poi vengono organizzati soprattutto in aeree urbane dell’Italia centro
settentrionale.

Altri gruppi più tradizionalisti di donne, appoggiano il fascismo contro il cos’i detto
pericolo rosso.

Altre donne manifestano tendenze simili alle politiche irredentiste e confluiscono nel
movimento. Alcuni dirigenti del consiglio nazionale delle donne italiane, aderiscono alla
causa fascista. Il patriottismo caratterizza infatti questo movimento. Molte delle donne
che tra la fine degli anni 10 e inizio anni 20 che sono femministe e abbracciano il
fascismo, lo fanno più per appartenenza di classe che per motivazione di tipo ideologico.

Il libro Italiane di Wilson, cita testimonianze. Ad esempio cita le parole di una fascista
che ricorda: “Fu in questo momento (1920), che divenni una fascista. Essere fascisti nel
1920-21-22, voleva dire essere amanti dell’ordine, della giustizia e del rispetto. Essere
amanti dei crocefissi, scuole, rispetto della patria e famiglia”. Allo stesso tempo Wilson
cita Elisa Lombardi, una donna che diventerà direttrice dell’accademia femminile
nazionale di educazione fisica, che cita: “Non si poteva criticare il fascismo quando è
nato, quando c’era la rivoluzione in Italia. Dopo la guerra che sputavano addosso i
militari, che non potevano andare i miei fratelli in divisa.”

Ora queste citazioni, ci fanno comprendere che molte erano convinte che l’adesione al
fascismo, significava salvare la patria dal pericolo bolscevico, fare riferimento all’ordine,
ridare onore alla patria.

Pongono poco rilievo alla anti democraticità del momento. È un momento in cui si
considera che quanto importante sia l’appartenenza di classe più che di genere.

Il ruolo delle donne non è percepito con particolare interesse da molti fascisti; ad
esempio nell’organizzazione che da il partito nazionale fascista nel 21, i gruppi femministi
vengono organizzati come sezioni interni ai fasci di combattimento e sono controllati dai
gerarchi. I ruoli che vengono assegnati ai fasci femminili sono due: assistenza e
propaganda. Però le donne si muovono dentro questi fasci con un certo grado di
autonomia che è reso possibile anche per il disinteresse mostrato anche da molti uomini
(almeno nel primo periodo), per l’attività di assistenza e propaganda svolto dalle donne.
Fino alla svolta autoritaria, possiamo registrare un femminismo e patriottismo dentro
questi fasci femminili che aprono spazi anche per alcune rivendicazioni per portare
avanti ancora alcune istanze talvolta precedenti alla avventura fascista; non è un caso
che nel 1924, Elisa Maria Rizzoli, sia nominata ispettrice nazionale dei fasci femminili.
Lei era stata una femminista moderata e non accontenterà molti fascisti.

In ragione di questo, si può anche inquadrare ciò che accade nel 1925: il fascismo
concede il voto ad alcune categorie di voto (amministrativo) per le donne con più di 25
anni con alcune specifiche caratteristiche: aver compiuto più di 25 anni e che
rientrassero in una categoria come quella delle donne decorate per il servizio reso
durante la guerra o per motivi civili, le vedove dei caduti in guerra, le madri dei caduti, le
donne capofamiglia, coloro che erano in grado di leggere e scrivere, coloro che avevano
completato con successo il percorso elementare e coloro che versavano almeno 100 lire
di tasse e sapevano leggere e scrivere. Ma per esercitare questo diritto di voto, le donne
ammesse, dovevano comunque presentare una domanda per essere iscritte alle liste
elettorali.

Questo provvedimento si fa risalire ad alcune idee del socialismo che aveva pensato
Mussolini; vedevano il suffragio femminile una possibilità. Ma nel 25 suonano come una
beffa perché questa legge non ha rilevanza perché dal 26 i sindaci, quindi le persone
elette con voto amministrativo, sono sostituiti da podestà che vengono chiamati a questo
posto.
Nel 26, i fasci femminili sono sottoposti al controllo del segretario del partito e sono
sempre di più sottoposti alla gerarchia del PNF (partito nazionale fascista).

Il fascismo cerca di controllare le donne, e di limitare l’apporto e le loro rivendicazioni.


Molte delle femministe che avevano abbracciato il fascismo riferendosi agli ideali citati
in precedenza, se ne pentono molto, altre invece rimangono anche conservando dubbi.
La svolta autoritaria strige ancora di più il loro margine di azione.

Il femminismo infatti viene ritratto dal fascismo come una dottrina antiquata, straniera,
del tutto non adatta al contesto italiano.

Nel 1931, viene rafforzato il controllo dei fasci femminili; questo è frutto delle politiche
della segreteria, dell’iscrizione di massa al partito, del proliferare dei gruppi femminili.
Tanto che dal 1932, viene stabilito che ogni sezione del fascio, superiore ad un numero
di iscritti, debba avere un proprio gruppo femminile non autonomo: le catene di comando
femminili vengono sempre subordinate a quelle maschili.

Il PNF, riesce ad avere un tesseramento femminile di massa; questo è un aspetto inedito.


Alle donne veniva chiesto di appoggiare il fascismo, di darne consenso e di attuare un
lavoro preciso nell’assistenza sociale. Un lavoro assistenziale che non era differente a
quello svolto in precedenza o che facevano contemporaneamente le donne in altri paesi
dell’ UE. Ma nel caso italiano, è dedicato alla propaganda e a supportare il regime. Le
donne riescono a mettere in campo una azione che spesso volontaria e non gratificata
dalle gerarchie, ma che serve ad arrivare a milioni di famiglie.

Gli strumenti messi in campo sono: distribuzione di cibo e generi di prima necessità,
accesso ai campi estivi, colonie e organizzazioni organizzate dai regimi. Le attività
specie al nord e nel centro sono molto intense seppur si svolgano con poche risorse.

Dal 1935, le donne sono sottoposte a nuovi impegni. Devono organizzare il fronte interno
e hanno un ruolo attivo per far fronte alle sanzioni e per organizzare alla campagna di
autoarchia.

Organizzano corsi alla vita coloniale, sono attive anche nella campagne per la raccolta
delle fedi nunziali: la raccolta dell’oro che serve a finanziare l’impresa imperiale.

Nel 35-36, fa maturare molte donne a livello personale, alcuni contrasti; il fatto di donar
la propria fede, per molte donne delle campagne era l’unico oggetto prezioso, e con un
valore religioso e morale, in qualche modo è uno degli aspetti che crea una maturazione
diversa di contrasto.
Negli anni 30, il fascismo cerca di attuare una mobilitazione nelle fasce più basse e
pensa a contadine e classe operaia. Lo fa con attività formative ed assistenziali ma
l’intento politico è quello di inquadrare ogni ambito della società nelle strutture del partito:
mettere in visione fascista l’intera nazione.

I fasci femminili si allargano e comprendono due sezioni. Queste sezioni vi si accede


solo con la tessera del partito e un fazzoletto: aspetti che rendevano più accessibile la
partecipazione a queste sezioni perché era meno costoso della divisa che dovevano
avere le donne membri dei fasci. Queste due sezioni sono le massaie rurali e la sold .

Le massaie rurali, sono una organizzazione creata tra il 1933 e il 1934, come sezione
dei fasci femminili. Prevedeva dei corsi per migliorare la condizione delle donne senza
che però venissero modificati i ruoli e le gerarchie consolidati.

Si cercava anche di applicare i principi dell’agricoltura e per far questo venivano


organizzati premi e concorsi, corsi di igiene, corsi per la coltivazione di orti e allevamento.

Nel 1935, questa sezione si mobilita attivamente per la autarchia.

Nel 1937 viene istituita la seconda sezione: la sold, che sta a significare sezione operaie
e operanti a domicilio. Si ricalca il modello delle massaie rurali ma il bacino di
reclutamento è tra le operaie, casalinghe e domestiche. Vengono organizzate gite,
attività sportive, vacanze e corsi; una formazione, propaganda e assistenza.

Nonostante l’impegno e l’istituzione delle organizzazioni, le donne non ottengono mai un


vero e proprio potere politico. Le ispettrici nazionali che sono quelle figure che avevano
il compito di verificare l’applicazione di politica e controllare le attività dei fasci femminili,
hanno un potere limitato. Solo dal 1940, le fiduciarie provinciali saranno ammesse nelle
direzioni provinciali del partito per vigilari su quelli che erano gli affari economici locali.

Il vero suolo di potere le donne ce l’avevano esercitando potere sulle donne povere; su
quelle che erano le beneficiarie della assistenza che veniva erogata dal partito.

Nonostante ciò, la capacità nel fascismo nel mobilitare le donne emerge dai dati del
tesseramento, con cifre molto imponenti. Nei primi anni 40 abbiamo oltre 700.000 donne
iscritte ai fasci femminili.

Tutto cambia dalle età e dalle fasce economiche ma per gli strati popolari, l’adesione più
o meno consapevole al regime si basò su questione materiale, opportunismo, lavoro e
impiego; anche perché spesso la tessera ai fasci femminili era un requisito per accedere
al lavoro o benefici.
Per i ceti medio o medio alti, si registra maggiore adesione delle donne. Non è
secondaria anche il successo del culto del duce che si viene a realizzare soprattutto
negli anni 30; di quella attenzione molto spesso stringente e ossessiva ai destini di Italia.,
ragioni di opportunismo, desiderio di ascesa sociale e per alcune che fosse difficile
rifiutare.

La mobilitazione messa in atto dal fascismo, investe tutte le fasce di età: il maggiore
impatto si ha su giovani e ragazze anche perché qui il regime organizza attività sin da
partire dall’infanzia e a fare livelli fino ad età adulta. Si parte dalle figlie della lupa, poi
alle piccole italiane, poi alle giovani italiane, alla gioventù italiana fino ai gruppi
universitari fascisti: da livello prescolare a livello universitario e da li ai fasci e
organizzazioni.

Il regime organizza anche il tempo: sabato fascista, diverse cerimonie, raduni, ricorrenze
civili e politiche.

Le donne non svolgono attività paramilitare, come invece accade per i maschi, dai balilla.
Ma svolgono attività demografiche. Il regime le prepara e le dottrina al futuro ruolo
materno che devono investire, con corsi, attività assistenziali e propaganda.

Vengono messi in atto corsi di cultura fascista ma anche concorsi premi.

Queste giovani e donne hanno però la possibilità di svolgere attività che le portano fuori
dalla famiglia, anche sportive; per loro sono grandi occasioni ma va considerato che
erano attività pensate e organizzate in modo tale che la donna potesse essere sana e
potesse fare dei figli sani.

Gare sportive erano organizzate e tenute separate da quelle dei maschi. Un aspetto
importante è che venne fondata una accademia femminile di educazione fisica nazionale
nel 32, che si faceva portatrice di questi ideali e cercava di rappresentare il volto moderno
del fascismo.

La mobilitazione femminile del fascismo, rappresenta un fenomeno inedito per la storia


di Italia. A causa della propaganda degli incentivi materiali, molte donne, vennero
persuase o costrette ad aderire alle strutture del partito. L’unica eccezione, sono le
associazioni cattoliche, dopo la scomparsa degli altri movimenti femminili.

Il modello di mobilitazione fascista, ha ripercussioni nel lungo periodo, perché


rappresenta un freno di modernismo posto in atto fino a quel momento e le spinte che
erano emerse dopo la prima guerra mondiale. Questo modello di mobilitazione limita la
democrazia. Il regime non riesce a far diventare fasciste le donne ma la mobilitazione
diventa anche un precedente dal quale è difficile sbarazzarsi. Rimane evidente la
predominanza degli uomini e lo spazio di azione delle donne è limitato al campo
assistenziale con una idea netta di quella che deve essere la loro condotta e il ruolo che
devono rivestire le donne.

Il modello di mobilitazione però, rimane e verrà adottato dai partiti politici del dopoguerra,
anche se fu la chiesa colei che raccolse più i frutti da questo tipo di mobilitazione. Però,
l’aspetto importante è che, comincia a passare l’idea che sia necessario mobilitare e
coinvolgere le donne nell’ambito politico nel nostro paese.

Sesta lezione: La seconda guerra mondiale: mobilitazione, ruoli e vita quotidiana


1940-1943

SECONDA GUERRA MONDIALE.

È stato un periodo durissimo e complesso per le donne italiane. nel periodo compreso
tra il 1940 e il 1945, vanno analizzati due periodi distinti: il primo abbraccia i primi tre
anni, dal 40 al 43, gli anni della guerra fascista di fianco alla Germania, delle campagne
di Francia, Grecia, Libia. Il secondo periodo inizia con l’armistizio a settembre del 43 e
dura fino al 25 aprile del 45, e in alcune zone come il Friuli anche nel Giugno del 45.

L’armistizio del 43, apre la complessa fase della guerra civile dei tre governi e due
occupazioni e lotta per la liberazione. Dei 3 governi parliamo di quello del sud ovvero il
governo legittimo con il Re, la continuità dello stato Italiano, il governo militare italiano
che si insedia nel fronte e il governo della repubblica sociale italiana (quello stato
istaurato dopo la liberazione di Mussolini e pone l’italia settentrionale nella complessa
situazione); ci sono le due occupazioni: quella alleata e quella dei tedeschi che dopo l’8
settembre, mettono in atto i piani per occupare la penisola fino al sud d’Italia.

Questo regime di occupazione ha due eccezioni; i tedeschi dopo l’8 settembre occupano
due zone: una delle prealpi (trenino alto-adige, belluno) e l’altra la zona dell’Adriatico che
comprende il Friuli, il Venezia Giulia, l’Istria, Carnaro. Questi due soggetti sono dei piccoli
“stati” autonomi in cui i tedeschi instaurano un regime particolare.

Aspetti della seconda guerra mondiali:

-viene meno rispetto al precedente, la distinzione tra fronte interno e fronte.

-Si registra un coinvolgimento nella guerra dei civili; si pensa ai bombardamenti, alla
fame, malattie, violenze ecc
-le donne assumono ruoli e funzioni nella sfera pubblica come mai era accaduto prima;
non solo compiti tradizionali ma anche ruoli nuovi che investono una serie di fattori:
lavoro, lotta partigiana, sopravvivenza ecc.

-la storiografia ha analizzato la questione delle donne spesso sbilanciando il punto di


osservazione sulla resistenza armata. Ma a partire dagli anni 90, si è posta sempre
maggiore attenzione anche agli altri ruoli, sia nella resistenza, allargando le categorie
che dentro la resistenza stavano, ma anche guardando le donne come civili, vittime della
guerra e anche nei contributi che hanno dato come collaborazioniste con i tedeschi dopo
l’8 settembre.

GLI ANNI DAL 1940-1943:

Sono anni di mobilitazione civile e lavoro per le donne. Nel 40, Mussolini diceva che la
guerra scatenata l’anno prima da Hitler, sarebbe stata breve e vittoriosa. Molte sono le
sue frasi sui migliaia di morti, nota è la sua strategia della guerra da fare parallela a
fianco dei tedeschi ma con vittoria propria; e cercare di sfruttare le vittorie e strategie
tedesche che nel 40 e 41 sembravano definitive per avere benefici.

Il regime, credono e cadono nel tranello teso dalla loro stessa propaganda. All’inizio c’è
una scarsa movimentazione dei civili e molto evidente è la scarsa preparazione generale
e delle difese anti aeree e questi investe anche le donne nei primi bombardamenti dopo
la dichiarazione di guerra.

L’economia del paese non è pronta per la guerra e nemmeno l’esercito lo è, nonostante
l’Italia fosse ormai dal 1935 in guerra.

Le donne non sono entusiaste di questo conflitto, ce lo dico i rapporti di polizia.

All’annuncio della guerra, molte donne piangono, ci sono testimonianze su questi aspetti
legati alle memorie e diari.

La propaganda di regime ha toni diversi. Nei primi mesi, dopo il giugno del 40, la guerra
sembra molto distante e i danni causati dal conflitto sembrano tutto sommato limitati.
Nonostante ciò, l’Italia mostra una debolezza da subito (bombardamento di Torino che
rende evidente che l’Italia non è pronta); ma la situazione è destinata ad aggravarsi. Con
l’inizio del conflitto, il partito nazionale fascista, sancisce le donne tra i 18 e 60 anni per
mettere in atto la mobilitazione del paese. Sono circa 6 milioni e mezzo le donne
chiamate in casa e si varano provvedimenti per sostituire le donne agli uomini nella
pubblica amministrazione. Sono sospese le quote delle donne negli uffici (che limitavano
al 10% la presenza femminile). Vengono incoraggiate dal partito per lavorare nelle poste,
nei trasporti, seppur per periodo limitato perché l’idea comunque è che la guerra durerà
poco e gli uomini torneranno al lavoro. Con la guerra e con il passare dei mesi, la mole
di lavoro per le donne aumenta molto; per le contadine si vede molto. C’è sempre più
chiamata alle armi per gli uomini.

La forza lavoro femminile cresce progressivamente anche nelle industrie ma esse


rimangono una minoranza.

Questa mobilitazione civile, significa maggior controllo sui lavoratori e al peggiorare della
situazione bellica, si cerca di incoraggiare le donne a lavorare ma i risultati sono
deludenti.

Nel 1942, il regime deve far fronte al problema di convincere le lavoratrici che vogliono
abbandonare il lavoro; nel 42 Mussolini fa un discorso nel quale invita i lavoratori a
lasciare le città che non sono difendibili dagli attacchi aerei.

I fasci femminili, in questo periodo, intensificano la loro attività, nei campi assistenziali e
anche nei corsi che servivano a aiutare le donne nelle difficili condizioni del conflitto.
Molte ragazze sono madrine di guerra, scrivono ai soldati al fronte e alcune partecipano
anche all’UMPA: difesa anti-aerea.

In Italia le donne non vengono reclutate nelle forze armate e il ruolo più vicino ai militari
è quello delle crocerossine: ci saranno molte donne che si impiegano come nella prima
guerra mondiale, operano nelle navi ospedali e negli ospedali del fronte russo.

La vita quotidiana negli anni tra 40 e 43, c’è un peggioramento della situazione. Il regime
dimostra impreparazione e difficoltà nel gestire la situazione che si aggrava sempre di
più. Per le donne, è un periodo difficile e disorientante; sono poste spesso di fronte a
nuove e stringenti situazioni. Nel 42.43, emerge ancora di più l’incapacità di difendere la
propria nazione: sono maggiori i bombardamenti, le conseguenze di una politica che fa
acqua da molte parti. Le donne devono scendere in campo, darsi da fare, per provvedere
anche alle necessità pratiche e necessarie. Arrivano anche notizie di rovesci militari.
Matura anche nelle donne, maggiore ostilità al regime. Si aggrava ancora di più quando
il razionamento di guerra che era gestito dalle carte annuali: questa tessera, questo
strumento, successivamente diventerà uno strumento danneggiato quotidianamente
dalle donne che si devono mettere sempre in file e cercare di inventarsi qualcosa per
mettere insieme il pranzo.

Questo razionamento viene messo in atto sempre di più per bene di necessità. C’è
sempre più una diversità tra classi sociali; si sviluppa sempre di più il mercato nero, una
vera ossessione per il cibo che costringe le donne a spostamenti e girare per città e
campagne e mete in moto le contadine e piccole commercianti che mettono in atto
commerci.

Avviene anche un rovesciamento che vede nelle donne un protagonismo, dei rapporti
di forza tra campagna e città. Gli sfollamenti complicano il quadro, perché molte donne
si trovano ad essere sdradicate dal loro contesto di città, per trovare rifugio dai
bombardamenti andando nelle campagne, una ricerca costante di donne per pane e
cibo, che non viene organizzata dallo stato ma che vede le donne che sono costrette a
cavarsela da solo; questo evidenzia sempre più marcate differenze tra ricchi e poveri,
creando un sotto bosco di profitto di ogni genere.

Settima lezione. La guerra civile: donne guerra, resistenza e collaborazionismo


1943-1945

Molto complesso è il periodo tra il 43 e il 45.

25 luglio del 43, viene possa la sfiducia a Mussolini che si deve dimettere e Badoglio è
nominato capo del governo. Comincia il periodo noto come i 45 giorni, che termina con
l’armistizio dell’8 settembre, al quale segue l’occupazione tedesca e la nascita della
Repubblica sociale Italiana.

Comincia la guerra civile, di liberazione che diventa un fronte di guerra.

Per il Friuli Venezia Giulia, si crea la condizione della zona di operazioni del litorale
Adriatico.

Per le donne, da questo periodo, è sempre più difficile sfuggire agli orrori della guerra.
La guerra entra in casa e ruoli e posizioni delle donne si articolano in modo ancora più
complesso. Partigiane, civili…

Resistenti: sposano la causa della lotta di liberazione e si impegnano nel movimento


partigiano.

La storiografia, sul ruolo delle donne nella resistenza è molto grande. Si è data molta
importanza nella resistenza e nel ruolo giocato dalle donne, nel passaggio tra fascismo
e democrazia, vista in funzione di quel preludio all’emancipazione delle donne che è
stata conquistata a partire dalla guerra.

Abbiamo fonti orali e memorialistiche. Quale idea della donna passa nella resistenza?
Mutua nel corso del tempo, spesso interpretato nella prospettiva di democrazia e voto;
va detto che all’inizio, dagli anni 50 agli 70, la resistenza era interpretata come
movimento militare maschile, la donna e la sua partecipazione crea difficoltà di
inquadramento e alcune cose venivano ridotte perché quell’idea di movimento militare
maschile, voleva dare costruirsi su un riferimento a quello che poteva essere un esercito
tradizionale, anche se la guerra partigiana non si può inserire in queste categorie. La
donna con le armi metteva in dubbio questo paradigma (Persilia Fenomio ci dice che le
donne vennero fatte sfilare alla fine della guerra con la liberazione, perché mettevano in
crisi quella anima rispettabile e tradizionale degli eserciti.). Persilia Fenomio dice: “alla
sfilata non ho partecipato. Ero fuori ad applaudire. Ho visto passare il mio comandante.
Per fortuna che non sono andata. La gente diceva che erano puttane le donne. Anche
in un momento di festa, quello della dichiarazione, vedere delle donne in armi, era
destabilizzante; questo avrà vita lunga. È complesso capire quante donne combatterono
in armi o aiutarono il movimento partigiano, perché spesso i riconoscimenti delle donne
dopo la guerra come partigiane o patriote, vengono fatti in misura minore rispetto agli
uomini. È importante rilevare che le donne sono molto presenti nella resistenza e hanno
un ruolo molto importante. 2 milioni di donne appoggiano o contribuiscono alla
resistenza.

Al movimento di liberazione, partecipano donne di tutte le classi. Partecipano a tutti i


partiti che animano la lotta partigiana, socialisti, repubblicani.

Partecipano anche senza schierarsi con un partito. Spesso le donne, cominciano a


partecipare alla resistenza e quelle che avevano avuto esperienze antifasciste nel
ventennio, non sono molte.

L’importanza del tessuto famigliare per orientare le loro scelte sia politiche, sia nella lotta
partigiana, sono molto importanti.

Perché partecipano le donne? Con quale motivazione? Le ragioni sono politiche,


patriottiche, sentimenti umani e pacifisti, invasione dello straniero (tedesco), sentimenti
religiosi, convinzioni o valori personali, desiderio di emancipazione e avventura,
sentimento materno con significati complessi.

I compiti delle donne nella resistenza, sono spesso modellati sui ruoli di genere
tradizionali. Non sono molte le donne che impugnano e usano le armi. L’immagine
predominante è quella della staffetta partigiana: quella donna che fa da collegamento tra
ai vari reparti.

Non mancano eccezioni: in Emilia Romagna, troviamo donne che comandano uomini
nel combattimento o donne della residenza friulana come Paola Tramonti.
Altri ruoli che vanno oltre alla partigiana combattente che spara, sono molti. Molto
complessi e non privi di rischi: il primo è l’assistenza ai militari sbandati dopo l’8
settembre.

Questi ruoli sono stati analizzati da Anna Bravo, che parla della categoria del maternash:
le donne in questo periodo, mettono in atto un maternash nei confronti di combattenti
ebrei, Italiani ma anche stranieri e partigiani.

Ruolo più famoso è quello della staffetta: raccolta di informazioni, invii di viveri e
materiali. Soprattutto collegamento tra i vari reparti e azione di propaganda. Ruolo molto
importante, spesso impegnativo e rischioso.

Le donne poi prendono parte anche a scioperi e manifestazioni di protesta per la cacciata
di tedeschi. Lo fanno perché la loro condizione è meno esposta a quella degli uomini e
hanno margine di manovra in più visto di potersi muovere.

Inoltre nella resistenza con le donne, troviamo il gruppo della difesa delle donne, ovvero
quei gruppi che si organizzano e che ricavano viveri, denaro e portavano assistenza ai
combattenti. I gruppi della difesa della donna hanno ruoli importanti, riunivano donne di
tutte le convinzioni politiche. Ruoli di supplenza delle figure maschili vengono gestiti dalle
donne in modo sempre più grande. Spesso gli uomini sono lontani e assenti ed
impossibilitati a tornare (prigionieri per esempio, feriti, mutilati). Questi ruoli di supplenza,
fanno in modo che la loro partecipazione sia molto attiva e che questo le proietti sulla
scena pubblica. In alcuni contesti, questi ruoli di supplenza, investono cariche politiche
ed amministrativi. Ci sono due esperienze che vedono le donne nelle repubbliche
partigiane istituite nei territori liberati dai partigiani nel 44, queste donne rivestono cariche
all’interno dei ruoli di governo, diventando ministro nella repubblica partigiana o nella
repubblica partigiana della Carnia, in cui le donne entrano come soggetti negli organi di
governi e se rivestono ruolo di famiglia, possono esprimere il voto.

Negli anni 70 inizia un nuovo studio riguardo il fascismo, molto importante e che strizza
l’occhio al movimento femminista degli anni 70 che è molto più forte. In questo modo si
intrecciano testimonianze e viene fuori uno spaccato di una resistenza.

A partire dagli anni 90, con il mutato clima politico, si comincia a ripensare a nuovi criteri
per definire le attività della resistenza.

Importante è che la categoria storiografica che si viene a formulare negli anni 90,
guardando il ruolo delle donne durante la resistenza, è quella della resistenza civile: a
quelle azioni che non comprendono il combattere in armi ma sono opposizioni forti e
nette al fascismo e occupazione tedesca. Implicano, queste opposizioni civili, di non
volersi sottomettere o di difendere la società civile; si tratta di forme di organizzazione
fluide o forme di ribellione diversificate rispetto alle strutture militare e politiche delle
formazioni partigiane.

(scritto dal professore) Episodio di resistenza civile avvenuta a Tolmezzo, durante i


funerali di un partigiano che si intitola “sfidare il nemico senza armi”. Accaduto in
regione.)

Audio 2

Categoria dei civili: amplia e articolata ma che ci restituisce molti elementi per indagare
intorno a quelle che sono le condizioni di vita quotidiana delle donne sotto l’occupazione
nazista. La maggior parte delle donne civili cerca di sopravvivere. Si crea una zona
grigia; questa zona grigia comprende anche forme di opportunismo, donne e uomini che
si fanno pochi scrupoli. Una ricerca di cibo mette molte donne di fronte all’alternativa di
fuggire da zone che sono investite dal fronte. Per molte è una esperienza dura e
drammatica. Furono moltissimi i morti civili durante il bombardamento (circa 50.000
civili). Molte donne morirono in seguito alla fame, malattie, condizioni fisiche provocate
dal conflitto. Nel bilancio troviamo anche le deportazioni di oppositori politici, ebrei. La
deportazione degli ebrei parte dalle reggi raziali del 38, con gli atti discriminatori del
fascismo.

Se ci riferiamo alla zona Adriatica e a Trieste, città che vede una forte presenza ebraica,
ci si riferisce anche alla legislazione raziale tedesca che viene applicata anche qua.

Forte è anche l’impatto della violenza e delle stragi nazi-fasciste. C’è presenza di stragi
che investono i civili e una guerra portata ai civili e donne, lungo la linea del fronte dei
territori occupati dai tedeschi.

Un altro aspetto importante per analizzare i civili nella seconda guerra mondiale, sono le
donne vittime di violenza sessuale: molte partigiane e civili; avviene nella prossimità del
fronte quando determinate zone sono investite dalla guerra. Lo stupro, nella seconda
guerra mondiale, diventa strumento di guerra praticato non solo da fascisti e tedeschi.
Uno strumento utilizzato per umiliare il nemico, prendere possesso del territorio e come
strumento di conquista di territorio. Le donne in Italia e come accade anche in altri
contesti (violenze fatte dai sovietici al momento di conquistare la Germania), il corpo
delle donne diventa un ulteriore campo di battaglia nel quale combattere la guerra totale.
Sono spesso militari, tedeschi o della repubblica sociale.

Dinamiche che ricordano la guerra e che vedono molte donne vittime di questa violenza.
Non solo militari tedeschi e repubblicani ma anche alleati ne praticarono. Il caso più
evidente è quello che passa alla storia come le marocchinate: reparti marocchini
inquadrati dai francesi che prendono possesso di territori della ciociara e commettono
violenze sulla popolazione di quelle zone.

Testimonianza estratta dal libro della Wilsom e parla di donne di ogni età della cioceria,
subirono abusi, anche anziane e monache e alcuni uomini. Lei dice che “Uno con il mitro
in mano stava vicino alla porta. Entrarono tutti dentro e presero le donne che non
riuscirono a scappare. E fecero tutto. E queste donne furono anche picchiate. Furono
peggio delle bestie. Molte donne sono morte. Tutte rotte e dissanguate. La vallata era
un pianto e lamento, loro non badavano a niente, neanche all’età.”

È ben tenere presente quali furono gli spostamenti della linea del fronte e le diverse
situazioni che si vennero a creare nelle diverse zone. La violenza alle donne fu portata
dai liberatori e ci mette di fronte ad un altro problema: la situazione di vita delle donne fu
molto dura anche nelle zone liberate perché si registrò mancanza di cibo e gli alleati non
erano in grado di prevedere al bisogno della popolazione. Il mercato nero fu più grave
del periodo precedente e si crea una situazione che per molte donne non vede nella
liberazione un miglioramento di vita, anzi, nel meridionale un peggioramento.

L’aumento della prostituzione, attuata per sopravvivenza e anche una criminalità che
investe le donne. Un punto di partenza può essere Napoli che ci dice quanto fu grave il
problema della prostituzione di massa o la difficoltà delle donne per poter far
sopravvivere le proprie famiglie.

L’ultima categoria riguarda le collaborazioniste ovvero quelle donne che dopo ‘8


settembre del 43, decisero di abbracciare la causa fascista o nazista e sostennero la
repubblica sociale o le forze armate tedesche. Quali forme di collaborazionismo
attuarono le donne?

Lo scenario è complesso, venero riformati e ricostruiti gruppi fascisti sui modelli dei fasci
e vennero diretti da Lucia Abruzzese.

Si occuparono di assistenza. Dopo di che, vennero organizzate le SAFF: Il servizio di


assistenza femminile. Erano poche in questo servizio. Ci fu una disciplina militare ma le
donne non portavano armi. Ebbero compito di ausilio per la repubblica sociale.

Alcune donne presero parte anche alle bande: la banda nera e banda cock.

Negli ultimi anni, ci sono forme di collaborazionismo che investe le donne civili ma senza
armi, che mette in atto forme intermittenti o convinte di aiuto e supporto al fascismo.
Sono dettate da necessità e obbligo; si differenziano molto da ordine sociale e censo,
convinzioni politiche.

Importante è anche la collaborazione che mettono in atto delegate: molti denunciano


ebrei, antifascisti, informatori.

Un’altra categoria è quella delle amanti del nemico: legate a dei personaggi implicati con
il fascismo, vengono implicate in queste collaborazioni.

Come studiare le figure femminili della guerra e la transizione tra fascismo e democrazia
con procedimenti giudiziari? È difficile.

Questi processi aprono un qualcosa di molto interessante sui colpevoli, vittime e molte
forme e ruoli assunti dalle donne in questo periodo.

In conclusione: la seconda guerra mondiale è un periodo di intensa attività per le donne.


Nuove situazioni danno modo di assumere nuovi ruoli e comportamenti inediti.

L’esposizione pubblica che ne consegue è evidente. Non solo le partigiane e le


collaborazioniste escono sulla sfera pubblica, ma anche le donne comuni perché si
trovano a dover scegliere, agire, supplire alle situazioni della guerra.

Si registra molto attivismo e le condizioni della guerra, dopo l’occupazione tedesca,


rendono necessario per le donne che si affaccino sul mondo. Le condizioni invece degli
uomini, è molto differente e stanno nascosti se non prendono parte attiva.

La seconda guerra mondiale per le donne è un periodo di angoscia nella quale vengono
a meno delle certezze che avevano. È un periodo di fame, violenza e lutti. Moltissime
sono anche le vedove. È un periodo di scelte complessi che pongono la domanda da
che parte stare e scelte politiche e morali non facili e non scontate.

La guerra contribuisce ad emancipare le donne?

La risposta non è scontata perché abbiamo elementi a sostegno che dicono di si, si
elimina il fascismo e dopo le donne ottengono il voto, hanno ruoli nella sfera pubblica e
rappresentano una sfera grande che ha capacità di reazione. Sono artefici di importanti
processi che porta alla carta costituzionale. Ma queste riforme giuridiche richiedono
tempi lunghi e l’applicazione delle leggi sarà problematica. Nuovi ruoli assunti verranno
riassorbiti nel dopo guerra in modo rapido. Molto spesso ci sarà un ruolo materno che
dovrebbe rappresentare che fa voce alle altre componenti. Anna Bravo dice che il
contributo dato dalla guerra sulla emancipazione è limitato e temporaneo. La resistenza,
questa spinta e moto, è stata celebrata e imbalsamata come lotta maschile, anche come
forma di riscatto di una mascolinità fortemente caduta a causa del conflitto. Spesso le
partigiane, dopo la guerra, si sono rivelate timide e modeste per rivendicare il ruolo che
avevano avuto.

Nei primi anni del dopo guerra, c’è una esigenza di un ritorno di normalità e una donna
con quei ruoli normali e tradizionali, di lasciare il posto agli uomini. Nonostante ciò, anche
la normalità sarà cambiata e la trasformazione del dopo guerra, avrebbe investito i campi
economici, sociali e culturali, con un processo lungo che riguarda gli anni del primo dopo
guerra fino a quelli del miracolo economico.

Lezione 8. Dai primi anni del dopoguerra agli anni Sessanta: dalla fine della guerra
al boom economico

Periodo che va dalla fine del conflitto della guerra fino al boom economico.

La resistenza aveva legittimato la partecipazione delle donne nella sfera pubblica e


ambito politico. Molte avevano partecipato alla lotta di liberazione ma questo cammino
per loro fu in salita. Permanevano infatti atteggiamenti ambivalenti sul ruolo che
potevano assumere. Permanevano atteggiamenti del passato fascista non ancora
digerito e sull’impronta e ruoli che aveva dato sull’apporto che le donne dovevano dare
sulla sfera sia pubblica che privata.

Ciò nonostante, i frutti più evidenti di questo cammino sono 3: il voto, la repubblica e
costituzione.

VOTO: le italiane votarono per la prima volta nel 1946. È ancora aperto il dibattito sul
fatto che il diritto al voto sia stato conquistato o concesso a loro. Forse entrambe le cose.
Il provvedimento varato per questo è stato il 1 febbraio dal governo Bonomi nel 1945.

Siamo in un contesto in cui la guerra è ancora presente e viene stabilito dal governo
Bonomi con un provvedimento legislativo, che il voto è concesso a tutte le donne adulte;
ne rimangono escluse le prostitute ma poi verranno ammesse.

Nel marzo del 46, abbiamo le prime elezioni amministrative alle quali partecipano anche
le donne. Il governo stabilisce che le donne possono anche essere elette e questo viene
esplicitato perché sino al quel momento non era esplicito. Questo avviene nonostante le
donne siano già presenti nell’assemblea legislativa provvisoria durante dopo la guerra
mondiale.
In questa consulta nazionale erano presenti 13 donne. Il voto, alla luce di questo
cammino, era un provvedimento inevitabile. Era stato approvato dal governo e senza
discussione.

Aveva visto la possibilità di concedere i voti anche con l’aiuto e consenso dei partiti di
massa, come il partito comunista e la democrazia cristiana. Ma era stato frutto di una
battaglia molto lunga e che aveva avuto nel 1919, la possibilità di portare a termine
l’obiettivo che si era proposto. Una battaglia che aveva subito battute di arresto durante
il fascismo ma che era seguita soprattutto dopo il 25 aprile.

È importate rilevare che c’era stati gruppi e comitati che durante la guerra avevano fatto
pressione a vari livelli ad esponenti del governo, per fare in modo che questo
provvedimento venisse approvato.

La guerra e i mutamenti che essa portò, resero inevitabile che venisse concesso il
suffragio alle donne. In Italia, come in altri paesi che non l’avevano ancora provato.

Questo fu possibile grazie al ruolo ed importanza che raggiunsero le donne durante la


resistenza; anche perché la legittimità della partecipazione, passa, nella storia, molto
spesso, con l’utilizzo delle armi; cosa che abbiamo visto, avevano fatto anche le donne
durante la resistenza. Anche altri ruoli ebbero un ruolo importante, quei ruoli che erano
stati assunti durante la guerra (assistenza, supplenza).

Il voto rappresentava un elemento importante per contribuire alla partecipazione della


metà della popolazione italiana a quella che era la modernità e la nuova Italia
democratica. Una modernità che vedeva nella parità tra uomo e donna un aspetto molto
importante. Lo scenario non prevede una omogeneità delle vedute perché le opinioni
maschili per esempio, sul voto alle donne, non furono solo quelli favorevoli alla
concezione del voto. Opinioni maschili furono diverse: c’era chi pensava che dare il voto
alle donne sarebbe stato irrilevante perché esse avrebbero votato come i padri o i loro
mariti; altri dissero che era un pericolo perché mirava all’autorità del marito.

Altre posizioni maschiliste dicevano che le donne non erano pronte a votare e
l’avrebbero fatto come avrebbe detto il clero (lo dissero esponenti del partito comunista).

Tutte queste posizioni danno una misura di atteggiamenti non progressisti anche in seno
a quei partiti più riformatori.

Comunque le donne manifestano una gran voglia di esprimersi e contare. Di dire la loro.

Nel 1946, votano alle elezioni amministrative, l’81%. Alle politiche successive votano
l’89%. Nel 1954, si raggiunge il 94%.
Questi dati sono dovuti alla voglia della voglia di esprimersi ma anche al fatto che in
questi anni si organizzano campagne per far capire alle donne come si vota e
l’importanza del loro voto; molto spesso le organizzano i partiti stessi.

Democrazia cristiana e partito comunista, erano in testa e hanno previsioni su come si


orienterà il voto nelle diverse giornate elettorali. La democrazia cristiana fece presa sul
voto femminile con espressioni esplicite del vaticano.

Importante fu dunque la loro partecipazione e la loro scelta, a partire dal referendum


costituzionale monarchia repubblica del 2 giugno 1946. Questo episodio è importante e
fu la prima volta che le donne poterono esprimere il loro voto. Si creò una grande
mobilitazione intorno al voto.

Il voto ebbe anche una forte valenza simbolica e per molte donne fu un momento
emozionante. Testimonianza di Resca racconta la sua esperienza di voto: finalmente
potemmo votare. Era una rivincita. Una rivincita come donne, che non avevamo mai
potuto far niente. Le nostre madri che non potevano dire mai niente, ora potevano. Io
sono emozionata anche adesso quando vado a votare”.

Vi sono molte fotografie di donne elettrici che furono pubblicate anche dalla stampa.

La fotografia più famosa che fa da immaginario da questo passaggio, è la foto della


fanciulla che rappresenta la figura di una giovane Italia che è nata da questo esito.

Interessante anche come abbiano votato le donne.

È difficile valutare e avere dati, ma una tendenza è quella di un sostegno alla democrazia
cristiana. Tuttavia, si sostiene che il voto delle donne abbia rafforzato la democrazia
cristiana ma anche il partito socialista, quei due partiti che davano particolare importanza
al genere femminile e alla loro partecipazione.

Il voto rappresenta una conquista determinante, una svolta per la storia delle donne in
Italia nel 900, anche se questo avviene più tardi rispetto ad altri paesi (Germania e
Inghilterra già nel 1918). Il voto rappresenta l’ingresso delle donne nell’ambito dei diritti
politici, anche se molti diritti no.

Un altro aspetto è la costituzione sia nei suoi contenuti sia nel contributo che fu dato
dalle donne per scriverla. Una prima considerazione ci fa ragionare sul fatto che le
deputate alle costituenti furono solo un 3%. Una ristretta minoranza che però riuscì a
fare causa comune sui provvedimenti che proponevano un avanzamento concreto
sull’uguaglianza dei sessi. Il loro contributo non fu trascurato. 5 di loro entrarono
nell’assemblea dei 75 (quella incaricata di dirigere le norme della costituzione).
La costituzione è un testo forte e fondante in termini di diritti che stabilisce pari diritti e
retribuzione tra uomo e donna; la possibilità per le donne di votare e di tutti i diritti.
Rappresenta un gigantesco passo avanti per la parità tra i sessi però, Wilson afferma
che in alcune parti risulta contraddittori, vi sono principi belli ma molti rimarranno lettera
morta.

Per capire ciò, bisogna parlare di alcuni articoli della costituzione nella quale emerge la
questione dei generi:

il primo che fa riferimento ai diritti fondamentali è quello dell’articolo 3: tutti i cittadini sono
uguali alla legge senza distinzione di sesso, razza e lingue.

Riguardo alla famiglia, si fa riferimento all’articolo 29: si parla di uguaglianza ma


implicitamente si pongono limiti all’uguaglianza che c’è dentro la famiglia perché
stabilisce che il matrimonio è basato sulla morale giuridica dei coniugi però mantiene in
atto le norme stabilite dalla legge precedente; una uguaglianza dei coniugi di fatto negata
nella seconda parte. Si cercò di inserire anche il divorzio ma non si riuscì.

Inoltre l’articolo 37, si parla del lavoro e dei ruoli: si dice che la donna lavoratrice ha gli
stessi diritti e stessa retribuzione. È un articolo ambiguo perché rispecchia i valori
cattolici: vi si afferma infatti che le condizioni di lavoro devono consentire l’adepimento
della funzione famigliare della donna che deve fare da madre ai bambini. Una tutela della
maternità che non è un elemento negativo ma in qualche modo mette il ruolo delle donne
in sfera privata con lavoro in secondo piano.

Articolo 48: voto dei cittadini uomo e donne e 51 per il lavoro e pubblica amministrazione:
anche se si è lontani da una parità. Le donne rimangono escluse da alcune professioni
(per esempio la magistratura in cui potranno lavorarci dal 1963).

Ciò nonostante, la costituzione è un passo avanti molto rilevante. Sono applicati da


subito i diritti politici e più lenta o inesistente, è l’applicazione di altri diritti. Molte leggi in
conflitto con la costituzione, rimangono in vigore per molti anni (per esempio il codice
famiglia). Ci sarà bisogno di una complessa azione legislativa. Comunque, rimane un
passo avanti determinante in tutta la storia del novecento italiano.

Audio 2

Il periodo che va dal 1945 al 1967, è un periodo di grandi cambiamenti per le donne,
specie per le più giovani. I primi anni del dopo guerra vedono la conquista della
democrazia ma premane una situazione molto grave di fame e di miseria; la ricostruzione
procede con molte difficoltà lasciando premanere uno stato di arretratezza in molte zone
della penisola. Inoltre moltissimi sono il problemi sul tavolo: oltre una valutazione
nazionale sul lutto e una ricomposizione della guerra civile, c’è un problema
nell’assistenza delle vittime, dei reduci e degli invalidi.

Le donne si adattano alla situazione, rientrano nei ranghi; molte donne infatti perdono il
lavoro che avevano ottenuto durante la guerra e avviene una situazione più complessa
specie per le donne prostitute, clandestine o vittime di violenza.

Tutto cambierà negli anni del boom tra il 58 e il 63: il così detto miracolo economico, un
periodo in cui vi sono trasformazioni economiche e sociali. Un periodo in cui cambia il
modo di pensare e consumare, di sognare, di vivere il presente e progettare il futuro.

L’Italia è un paese povero, agricolo ed arretrato, uscito sconfitto e devastato dal conflitto;
un paese che però, nonostante queste condizioni di partenza, diventa uno dei paesi più
industrializzati del mondo. Un paese che registra una grandissima mobilità con famosi
treni che arrivano dal sud al nord, una mobilità che investe anche campagna e città, un
periodo in cui prevale anche una forte immigrazione verso l’estero. In questi anni
cambiano anche lo stile di vita che diventa da agricolo a una cultura consumistica ed
urbana; cambia anche la possibilità di muoversi con la vespa, 600, 500. Cambia il modo
di lavorare dentro e fuori dalle abitazioni. Cambia anche il modo di avere tempo libero.
Prevalgono comunque miseria e i costi di questo cambiamento sono alti. Le condizioni
di chi emigra e lavora sono spesso precarie e vicine allo sfruttamento. Le condizioni della
periferia molto spesso creano disagi, vi è mancanza di servizi, forme di razzismo verso
gli italiani e anche una perdita di un patrimonio culturale che aveva caratterizzato la
cultura italiana. Un periodo di inquinamento, speculazioni e la nascita di un problema
che ci portiamo avanti anche ora. Si crea una nuova società data da questo boom
economico, che rimane comunque un intreccio di tradizione e di modernità. Vecchie e
nuove idee. Tra gli aspetti peculiari si segnala il marcato declino della religiosità; l’Italia
rimane un paese cattolico ma si trascurano degli insegnamenti della chiesa.

Una secolarizzazione che investe soprattutto la società maschile delle aree urbane. È
un periodo di ottimismo e vi era un desiderio di lasciare alle spalle la guerra. Molti italiani
riescono ad affrancarsi dalla fame o migliorano le proprie condizioni. Grandi cambiamenti
che però suscitano anche inquietudini anche sul lato della moralità.

A livello nazionale, le principali trasformazioni che avvengono sono:

il primo aspetto è quello del declino della famiglia contadina patriarcale: una delle
maggiori trasformazioni dell’anno del boom. Avviene con l’immigrazione, con il fatto che
si formano nuovi nuclei famigliari che diventano la norma per le altri classi sociali. Ciò
che rimane nel nostro paese e lo distingue dagli altri anche ora, è una forte rete famigliare
parentale che compensa e sostituisce la struttura della famiglia patriarcale.

Questo declino ha un forte impatto sulla vita delle donne, perché rappresenta una
liberazione per loro dalla fame, miseria, carico di lavoro, complesse regole di convivenza
e gerarchie che la caratterizzavano (rapporti complessi tra suocere e nuore della cultura
contadina). In questo periodo molte donne cercano di sposare uomini che non facciano
il mestiere di contadino. Molte lasciano le campagne e significa maggiore possibilità di
essere trattate alla pari, sia nel matrimonio che in famiglia; anche se la disuguaglianza
è la norma perché gli uomini tendono a mantenere saldi i loro valori e la differenziazione
dei generi e ruoli è molto marcata, specie nelle regioni meridionali del paese.

Il secondo aspetto di trasformazione, riguarda i mass media e l’abbigliamento,


l’attenzione al corpo: in Italia si diffondono i mezzi di comunicazione di massa: cinema,
radio, carta stampata, la televisione. Diventano punto di riferimento gli Stati Uniti. Per le
donne, diventano importanti le riviste e fotoromanzi. Si apre il mondo della carta
stampata a un numero di donne che prima ne erano state escluse. Ora vi possono
accedere anche donne che sapevano leggere poco. I fotoromanzi fanno una grande
parte. Contribuiscono anche alla alfabetizzazione e diffusione di idee e stili di vita.

Una nuova attenzione viene attribuita anche ai corpi delle donne, con nuovi modelli: film
di Holiwood, modelli di riferimento di bellezza delle Pin Up, ma va valutato che
personaggi e ruoli di questi film e Pin Up, sono molto distanti dalle donne italiane e dalla
loro vita. Anche gesti banali come fumare, guidare la macchina, svolgere attività sportive
o avere posizioni e ruoli sociali. Caratteristici del periodo sono anche i concorsi di
bellezza: un trampolino per arrivare alla fama e garantiscono anche una mobilità sociale
(Sofia Loren). C’è una maggiore attenzione anche per i propri corpi: una diffusione di
cosmetici, anche per le classi non ricche. Si registra un cambio dell’abbigliamento
(definito New Look). Rappresenta anche il trionfo della femminilità (rispetto alle divise
della guerra). È un percorso che giunge fino alla minigonna e poi bikini. Un vestiario
sempre più comodo e pratico e funzionale ai nuovi ruoli delle donne. Marca sempre
meno la differenza tra le varie classi sociali; un vestiario che cerca di marcare meno le
classi sociali.

Un altro aspetto è l’istruzione e i giovani: gli adolescenti cominciano a diventare una


categoria a se. Un gruppo sociale identificabile e distinto dagli adulti. Un gruppo che
vuole lasciarsi alle spalle la guerra e che si vuole divertire. Per le ragazze, spesso è più
complesso essere indipendenti dalle proprie famiglie, ma manifestano il desiderio di
vivere in modo diverso dai genitori; spesso queste ragazze vogliono lavorare, aspirano
ad una parità tra i sessi e avere dei ruoli e attività che possano valorizzarle.

Per l’istruzione si registra che ci sono enormi progressi nei livelli di istruzione femminile,
che sono dovuti a fattori diversi: da parte delle bambine, ragazze e donne, c’è una
aspirazione ad avere un lavoro migliore, avere un reddito, poter gestire la propria vita e
il proprio futuro. Un aspetto incentivato anche dalle famiglie rispetto al periodo
precedente. Gli aspetti più evidenti sono che l’analfabetismo femminile si riduce molto di
più. Le donne analfabete, per esempio, nel 1951 sono il 15% e questa percentuale cala
in una trentina di anni fino al 3,8%. È una percentuale che cambia in modo maggiore
rispetto a quella dei maschi ma perché i punti di partenza sono diversi. Aumenta anche
il numero delle ragazze iscritte alle scuole medie e superiori e avviene prima della riforma
del 62. I numeri delle giovani donne che frequentano le università, sono in aumento. Il
divario di genere si riduce anche se rimangono alcuni divari regionali. Va considerato
anche che, gli studi superiori rimangono ancora molto elitari. Cambiano anche le
modalità della scuola e cresce il numero delle classi miste. Mutuano anche i rapporti tra
compagni di classe che sono molto meno imbalsamati rispetto al periodo precedente.
Per molti non è più una novità sconvolgente avere una compagna ragazza in classe.
Molte donne raggiungono un livello di istruzione molto più alto rispetto a quello delle loro
madri.

Audio 3

Più complesso è il quadro del mondo del lavoro. Maggiori livelli di istruzione non
compartano subito un aumento dell’occupazione femminile. Negli anni 50 e fino agli anni
60, solo un terzo delle donne era economicamente attivo.

In questo periodo si registra un aumento dell’occupazione femminile, una diminuzione


del lavoro agricolo e aumento nelle industrie e lavoro terziario, ma avverrà negli anni 50
e poi sarà in calo. Sarà un periodo in cui vengono varate norme importanti come nel 60
che prevedono la parità della retribuzione; ma questa sarà una arma a doppio taglio,
perché renderà l’assunzione femminile meno conveniente e provocherà licenziamenti
delle donne nelle aziende con esuberi.
Al tempo, la percezione era diversa e le donne sembravano essere più presenti
nell’ambito del lavoro. Tipologie di lavoro più visibili erano quelli assunti delle donne
(impiegate, commercio). Ma quali tendenze emergono sul piano generale?

In questo periodo le donne abbandonano la campagna più lentamente dagli uomini; ci


sono anche vedove dette bianche a causa della migrazione anche all’interno del paese.
Spesso rimangono a casa per sostenere la famiglia. Si ricavano nuovi ruoli ma non è un
momento di emancipazione per le donne. Va anche valutato che contribuiscono, le
contadine, al sostegno delle famiglie e alla situazione economica. Il modello che si
afferma è quello delle donne che lavorano da giovani o che lo fanno fino al momento del
matrimonio o del primo figlio e poi lo lasciano. C’è molto lavoro nero (delle casalinghe).

In questi anni aumenta il numero delle professioniste e l’occupazione femminile è molto


presente nel commercio e nell’ambito dei servizi.

Alcune donne si affacciano alla carriera universitaria, diventando docenti universitarie,


anche se con molta difficoltà. La norma è che le donne rivestono ruoli di solito, nei livelli
più bassi nella pubblica amministrazione.

Forte presenza delle donne si ha nell’insegnamento: nel 1951, circa la metà dei
professori della scuola media sono donne, e nel 70% nelle scuole elementari.

Da questo periodo ci sono anche nuove opportunità e lavori che si modellano sul
componente femminile e concepiti solo come femminili: hostess, modella, estetista,
attrice che rimane una carriera sogno che porta alla fama, si aspira a fare questo
mestiere per avere un rapido successo, una scorciatoia di ascesa sociale.

Molte sono ancora le donne impiegate in lavori tradizionali; il settore domestico per
esempio registra un calo solo dagli anni 70, con la maggiore diffusione della tecnologia.

In generale, il lavoro delle donne si caratterizza per una retribuzione bassa e spesso
hanno ruoli sub alterni non prestigiosi. Spesso hanno aspettative che sono maggiori della
realtà e spesso fa in modo che le donne siano costrette a vivere con i genitori fino al
matrimonio.

Quali sono i fattori che consolidano questa situazione? La mancanza di impieghi a tempo
parziali che permettano di conciliare i lavori di casa e il lavoro (grande problema ancora
non risolto). Anche se nel 1950, ci sono leggi per migliorare le condizioni delle lavoratrici
madri e che garantiscono periodi più lunghi di assenza di lavoro e impediscono il
licenziamento delle donne fino al primo anno di età del bambino, queste norme sono
spesso non rispettate, con dimissioni in bianco, clausule di nubilato o con pressioni.
Rimane ancora la difficoltà di affidare i figli ad altre persone e questo rende il lavoro
femminile non economicamente vantaggioso. Si registra anche una lenta crescita del
settore dei servizi e pesa in modo grande anche l’assenza di un sistema sanitario italiano
efficiente.

Molte delle donne che fanno la casalinga, non lo fanno solo per necessità e condizioni
economiche: in questo periodo molte donne contadine, vedono nella casalinga, una
conquista, avanzamento della loro posizione, la possibilità di accudire per bene i loro figli
e in modo in cui lo avevano fatto solo le classi agiate, perché una contadina degli anni
40, non aveva tempo per dedicarsi per bene ai figli; quindi questo per alcune, viene
interpretato anche come un miglioramento delle condizioni di vita, un avanzamento della
modernità.

Importante anche il nuovo paradigma della casalinga moderna che si intreccia con la
diffusione del consumismo.

Tra gli anni 50 e 60, sono circa 15 milioni le casalinghe. Sotto tale qualifica ci sono molte
posizioni, tra le quali molte lavoratrici agricole. Ma dopo il dopo guerra, vi è l’idea della
casalinga moderna, che si occupa delle faccende di casa ma molte continuano a fare
lavori a domicilio. La tecnologia rivoluziona il lavoro della casalinga, per esempio l’acqua
corrente in casa, i servizi igienici, gli elettrodomestici, il frigo, la lavatrice, la possibilità di
avere detersivi: cose che rendono meno faticoso il lavoro domestico e che comportano
però maggiori acquisiti. Nonostante ciò, è una rivoluzione progressiva perché solo negli
anni 60, la tecnologia domestica entrerà nelle case degli italiani e renderà moderna la
casalinga. Prima, questa tecnologia domestica era molto costosa.

Nel 1968, il 72% delle case italiane ha un frigorifero.

Il consumismo che però comincia a prendere piede, diventa un elemento centrale della
modernità: i prodotti vengono promossi dalla pubblicità che ha sempre di più una
differenza di genere. Gli stereopiti che questi manifesti ci sono rispetto alla figura
dell’uomo e della donna.

Negli anni del boom e poi sempre più, le campagne pubblicitarie sono rivolte sempre di
più alle donne, e questo fa di esse, elemento di consumatrici. Si registra un aumento
delle pagine e spazi a loro rivolte nelle riviste. Precedentemente invece era l’uomo il
principale e le pubblicità erano rivolte a loro poiché decidevano loro se un prodotto era
da acquistare o no. Ma con questo si comincia a cambiare. Spesso si riconosce alle
donne un ruolo di guida nel campo dei nuovi costumi, e a loro viene attribuita la capacità
di rompere quello stile di vita e arrivare sempre di più alla vita moderna.
A molte però, risulta difficile rompere quello stile di vita del passato e rimangono molti
aspetti legati al risparmio.

Le donne accolgono con favore questa nuova cultura “materialistica” anche in termini di
vantaggi e miglioramento dei tempi e della fatica. Le tecnologie, sono liberatorie per le
donne; infatti gli elettrodomestici come la lavatrice, fa in modo che si alzino gli standard
di pulizia e le donne abbiano più tempo.

Nelle pubblicità poi, si esalta anche il ruolo della casalinga, ma nello stesso tempo, di
una casalinga moderna che si fa garante e sintetizza il benessere suo, della sua famiglia
e dei suoi figli. Questa tecnologia ha anche un impatto negativo, nel senso che un po`alla
volta, le donne vengono intrappolate nelle loro abitazioni: una vita più confortevole e che
è in grado di far unire molte donne andando per esempio a fare la spesa ma che provoca
progressivamente un maggiore isolamento sociale.

Questi sono i “costi della modernità”.

Un ulteriore aspetto di questi anni, riguarda la demografia e la sessualità: molti sono i


cambiamenti che investono questi due ambiti. In Italia non si registra un boom come
negli altri paesi ma c’è un aumento della popolazione e un miglioramento delle condizioni
di vita. Si registra un mutamento rispetto ai temi della sessualità: nuovi spazi e
concezioni rispetto al corpo e al controllo delle nascite.

Si sviluppano molte preoccupazioni legate a questi cambiamenti perché c’è una modifica
dei ruoli, valori tradizionali. Il primo aspetto è l’importanza del ruolo delle donne nella
famiglia e maternità: in questi anni, le donne tengono unite le famiglie, in tempi in cui i
mariti e i figli trascorrono molto tempo fuori casa. Vi è un accento al ruolo materno e
Wilson la definisce la nascita del “mammismo”.

C’è un rinnovamento per la legislazione perché in questo periodo la donna è in una


posizione sub alterna ma si vedono dei cambiamenti che vogliono maturare.

Gli atteggiamenti nei confronti del sesso e matrimonio, restituiscono complessità perché
restituiscono le trasformazioni dell’Italia e nel mondo occidentale ma con specificità:
maggiore attenzione sull’idea del matrimonio fondato sull’amore. Rimangono anche se
in modo non ufficiale, la dote ed influenza dei genitori ma le donne cominciano ad avere
maggiori occasione (scuola, lavoro), per poter uscire e conoscere il futuro marito. Non
c’è ancora il divorzio ma cresce il numero delle coppie che si separa in modo ufficioso.
In questi anni viene formulata una proposta di divorzio formulata da Sansone, che non
ha successo, che però ci restituisce un problema vissuto dalla società e da una classe
politica che marcia indietro rispetto ai problemi del paese.

In questo periodo, c’è una progressiva abrogazione di leggi pronataliste varate dal
fascismo. Cresce la tendenza alla medicalizzazione del parto, progressivamente
scomparendo la figura della levatrice (anche se non diffusa in tutta Italia).

Nel 1961, sono circa la metà i parti che avvengono in casa. Si registra una riduzione
della mortalità femminile.

L’aborto è illegale e la pillola non può essere prescritta per fermare il parto.

Il preservativo è presentato come una protezione dalle malattie. Ma si levano voci che
vanno contro questo atteggiamento.

Nel 1953, l’associazione italiana per la situazione demografica, spinge per mettere in
atto provvedimenti del controllo delle nascite e per fare educazione sessuale.

Anche la famiglia, si riduce dal punto di vista quantitativo. La maggior parte dei figli si
hanno tra 25 e 29 anni.

Il rapporto che ha la chiesa con questi atteggiamenti: la chiesa cattolica non è d’accordo
con il controllo delle nascite e il modello chinsey. È un misto tra conservazione e realtà.

La chiesa vede nel basso tasso di natalità, un degrado nella società moderna e una
forma di egoismo da parte delle donne.

Siamo in un periodo di transizione, per quanto riguarda la sfera della sessualità, che
vede la possibilità del sesso non solo nel matrimonio. Ma vede anche maggiori occasioni
e di libertà in più. Questo però va osservato nella prospettiva dell’idea di rispettabilità, di
onore e reputazione, che molto spesso caratterizza la società borghese ma anche la
percezione di molte donne.

Prevalgono le problematiche causate dalla mancanza di contraccettivi e da una


scarsissima educazione sessuale. Le conseguenze sono molto rilevanti e molte donne
subiscono il fatto di essere sedotte ed abbandonate: questo soprattutto nel meridione,
sdogana la pratica del diritto di onore. Molta attenzione si pone alla moralità e castità
femminile e anche alla fedeltà matrimoniale. Ritorna la questione del diritto di onore ma
sempre di più avviene lo scarto della doppia moralità maschile. Una attenzione alla
rispettabilità e castità delle donne, mentre agli uomini è ancora consentito avere un
rapporto anche fuori dal matrimonio.
In questo periodo è quando si registrano cambiamenti rapidi che mettono in atto un
entusiasmo che questa modernità porta e per il consumismo e desiderio di conservare
stili di vita tradizionali: desiderio di modernità ma anche di tradizione, che nel ruolo di
genere crea un legame di vecchio e di nuovo.

(Molto importanti anche i Rotocalchi)

Nona Lezione. La politica delle donne nei primi anni del dopoguerra

Audio 1

La politica delle donne nei primi anni del dopoguerra e la prima politica della guerra
fredda.

In questo periodo rimangono attive organizzazioni ed associazioni delle donne. Va


considerato però, che le donne, operarono all’interno dei partiti politici e in particolare
dei due patiti politi di massa più importanti nel panorama politico italiano ovvero la
democrazia cristiana e il partito comunista. All’interno di questi partiti, le donne vennero
inquadrate nelle organizzazioni di massa che talvolta erano esclusivamente femminili.
Questi due partiti cercarono di mobilitare le donne e crearono organizzazioni femminili
di massa. Anche se ci sono differenze tra i due partiti, ci sono aspetti comuni che vennero
dati dai partiti stessi, come riferimento a ruolo e funzioni che dovevano svolgere le donne
all’interno delle organizzazioni di massa e anche all’interno di concetto di donna che
avevano questi partiti.

Questi aspetti comuni ponevano l’accento a quello che era il ruolo materno della donna
e al fatto che la donna fosse un difensore della famiglia.

La storiografia degli anni 70, ha visto questi movimenti come timidi, antiquati, poco
incisivi. Invece di recente, si è cominciato a riconoscere che all’interno dei partiti politici,
le donne si ricavarono posizioni importanti e misero in atto premesse per quella che fu
la stagione politica degli anni 70 e varie riforme. Questo è stato (quello del dopo guerra),
un periodo in cui le donne hanno visto aprirsi opportunità politiche senza precedenti.
Potevano entrare nelle stanze del potere ai pari degli uomini anche se rimangono molte
contraddizioni tra spinte all’emancipazione e richiami a una vocazione materna e
domestica delle donne. Nei partiti, nonostante questa spinta di massa a mobilitare le
donne e dare esercizio politico, le donne sono in secondo piano e svolgono attività
marginali. Le donne elette al parlamento sono poche, ad esempio solo nel 1076,
abbiamo la prima donna ministro (Tina Anselmi).

Questi dati ci testimoniano che sono poche le donne elette in parlamento. Per esempio
nella camera dei deputati, sono il 3,8% nel 46 e il 7,8 nel 48 e poi calano nelle legislature
successive. Nel 1968, toccano il 2,8%.

Perché sono così poche? Perché sono poche le candidate. Il partito comunista fa un
po`meglio che ne candida di più. Nella democrazia cristiana si registrano più difficoltà.

L’altro aspetto è che le donne elette, non sono così comuni. Per loro, è necessario
vincere una serie di pregiudizi, critiche. Più difficile per la democrazia cristiana e per
regioni del sud Italia, vincere anche quella rete di clientele che fa esprimere candidati.

Un ulteriore aspetto è che, le donne sono poche inclini a votare per una donna. Questo
in virtù anche di antichi pregiudizi, fa in modo che la presenza femminile sia così bassa.

Molte delle donne che si affermano sulla scena politica in questo periodo, possono
vantare una esperienza come artigiane o sostenitrici del movimento di liberazione;
questo ci fa capire quanto questo movimento al partigianato, abbia creato un buon
impulso di partecipazione tra le donne.

Il quadro è scuro per l’aspetto politico, problemi analoghi si evidenziano anche in campo
amministrativo: le donne non riescono ad affermarsi neppure nelle elezioni
amministrative.

Un altro aspetto da analizzare è anche la questione riferita a ruolo, obiettivi e metodi


delle donne applicate alla politica: questioni che si riferivano alle donne stesse e che non
si ponevano anche agli uomini; le donne elette avrebbero rappresentato tutti gli italiani o
solo le donne? Sarebbero state in grado di discutere di tutto o solo delle questioni a loro
più vicine? Molte dovettero vincere le resistenze ed ostilità soprattutto nei primi anni del
dopoguerra.

Principali atteggiamenti politici nei primi anni della repubblica:

rapporti tra chiesa e democrazia cristiana: mettono insieme una rete capillare importante.
Democrazia cristiana tesse legami molto stretti con la chiesa e su questa si appoggia. Il
ruolo materno delle donne e la differenza tra i sessi sono cardini del pensiero cattolico
nei primi anni del dopoguerra. (Citazione di una frase di Pio XII, che nel 1945, esortando
le donne a recarsi alle urne, tratteggia con una frase le attitudini e il destino che deve
avere la donna nella propria vita: “Ogni donna è destinata ad essere madre, la donna
veramente tale, non può non comprendere e vedere la vita della famiglia. L’uguaglianza
della famiglia con l’uomo che abbandona la donna, ha soggettato la donna allo stesso
peso e tempo di lavoro. Stordita dal mondo, agitata in cui vive, lavorando nel mondo,
diventa avida di bruschi piaceri”.

Una chiesa come testimoniano queste parole, allarmata dalla modernità e di tutti gli
atteggiamenti che implicano una maggiore libertà anche in campo sessuale. Negli anni
50, questi atteggiamenti cominciano a mutare anche se non velocemente. Il ruolo
centrale comunque, è sempre rivestito per la chiesta dalla maternità. Si apre quella
parabola che ci condurrà al concilio del vaticano II; le donne hanno parità giuridica e
sono incoraggiate ad assumere un ruolo più attivo nel cattolicesimo.

Però, va detto che ci si concentra molto di più sui doveri delle donne che sui loro diritti.

Azione del partito comunista e socialista:

Era fortemente schierato per l’emancipazione della donna. Per il resto non aveva molte
idee da quelle dei cattolici. L’emancipazione della donna riguardava l’ambito economico
ed era legata al capitalismo.

Gli esponenti del Partito comunista era meno propenso a discutere sugli equilibri delle
famiglie e sui ruoli generali delle donne. La cultura dei suoi militanti oscillava tra
tradizione e spinte alla modernità; l’obiettivo era anche quello di rendere il PC partito di
massa e di contenere in qualche modo quelle spinte più estreme alla modernità. In
qualche modo avere una platea più grande possibile.

La donna, per il partito comunista era una lavoratrice ma anche una buona madre di
famiglia e moglie. Il PC fece molte campagne per il miglioramento delle donne però non
mise mai in discussione radicalmente i ruoli di genere. Con prudenza e furbizia politica,
si guardò bene nell’affrontare temi spinosi come il divorzio o il controllo delle nascite.
Poneva un modello di donna rassicurante e non eccessiva. Anche nella propaganda e
riferimenti, si sta attenti a non eccedere (per esempio donne dell’unione sovietica che in
questo periodo sono sbandierate dall’unione sovietica come lavoratrici, aviatrici, tecnici,
con ruoli molto pari agli uomini). Il PC italiano, sceglie immagini di riferimento di donne
rassicuranti e che non rompano l’equilibrio.

Importanza anche nella formazione dei dirigenti è data alla moralità, contro quel modello
decadente capitalista. Moralità molto spiccata che vede nell’eccesso un qualcosa che
non va bene.
Anche il partito socialista italiano ha un atteggiamento simile. La differenza è che le
donne socialiste in questi anni, non si organizzano in sezioni separate all’interno delle
federazioni del PSI. I socialisti invitano a lottare le donne insieme agli uomini. Vietano in
certi vesti le specificità di alcuni problemi femminili. A partire dagli anni 50, deputanti e
militanti socialisti, saranno insieme al PC, protagonisti di importanti riforme e saranno gli
esponenti che proporranno leggi scomode e difficili da portare avanti ma con una
legislazione progressista e moderna.

In quale modo le donne prendono parte e partecipano a queste organizzazioni politiche?

In generale, un discreto numero di donne partecipa alla politica in questi anni. Le donne
aderiscono ad associazioni, cooperative e sindacati, che spesso al loro interno creano
sezioni femminili. L’azione cattolica è in forte espansione.

Le donne partecipano a scioperi, proteste, mobilizzazioni (per esempio nel sud Italia e
problemi di riforme agrarie). Riemergono anche organizzazioni fondate prima del
fascismo, per esempio il consiglio dell’unione delle donne italiane e il consiglio nazionale.

Questa partecipazione delle donne nella vita politica, sia fondamentale in questi anni,
anche per le loro identità. In questo periodo la parte importante è rappresentata
dall’azione nei partiti politici. La democrazia cristiana, propone una forte mobilitazione e
crea la sezione politica diretto da Angela Guidi, che rimane una parte separata dal partito
ma non priva di influenza. Ci sono molte tesserate iscritte anche dai famigliari.

Il PC crea vera e proprie sezioni ma non solo a livello locale. Alcune sono attive e hanno
ruoli non marginali. Nel partito comunista oltre 1 terzo degli iscritti sia donne; questo però
va interpretato tenendo conto di quanto contasse l’adesione di intere famiglie al partito.

Audio 2

I due soggetti fondamentali per l’azione delle donne sono l’UDI e il CIF.

UDI: unione delle donne italiane

CIF: centro italiano femminile.

L’Udi è la prosecuzione dei gruppi delle donne che abbiamo incontrato parlando della
guerra civile ovvero quei gruppi che portavano avanti i diritti delle donne e la causa
partigiana.

Nel dopo guerra si tenta un approccio aperto a tutte le donne di vari o senza orientamenti
politici, ma il clima e tensione del dopo guerra, fa in modo che le donne di diversi partiti,
scelgano strade diverse e che dentro l’unione donne italiane prevalga quelli di sinistra
soprattutto PC.

L’UDI lavora in modo autonomo fino dal 1947; poi diventa subordinata dipendente dalla
politica di sinistra. Ha una fortissima presenza nelle regioni rosse, quelle dell’Italia centro
settentrionale (Emilia Romagna). Diventa, l’UDI, uno strumento di persuasione delle
donne alla causa comunista. Il PC, diventa un partito di massa. All’inizio l’UDI mette in
atto una forte campagna di emancipazione per le donne: propone campagne per la parità
di salario, per l’istituzione di asili, delle leggi per tutelari i figli illegittimi, migliorare le
scuole ecc. poi si ritira su posizioni più conservatrici e diventa la cinghia di trasmissione
dell’idea del partito. La mobilitazione dell’idea del partito è molto evidente. L’UDI si
spende per il pacifismo, per l’assistenza, per le attività che erano ritenute maggiormente
inclini alla sensibilità delle donne.

Una data spartiacque per l’attività dell’UDI è il 1956: da questo periodo diminuisce i
legami con il PC. Pone maggiore attenzione al tema della parità e alla riforma del codice
civile. Rivista “noi donne”: rivista ufficiale dell’UDI che avrà grande diffusione. L’UDI un
po`alla volta, si staccherà sempre di più dal partito e comincia a trattare temi scomodi
come il divorzio, legge sul controllo delle nascite.

L’UDI è una esperienza importante e formative per le donne, nonostante alcune criticità,
mette in atto idee molto innovative per il periodo; raggiunge moltissime donne.

Le copertine della rivista “noi donne” è molto importante infatti cambia, nel corso degli
anni, la raffigurazione di una idea femminile e su quali argomenti si pone attenzione nei
diversi periodi.

CIF: Centro italiano femminile. Rappresenta la reazione cattolica all’UDI. Rimane distinta
dalla azione cattolica, ha l’obiettivo di portare le donne cattoliche a svolgere un ruolo
attivo e dinamico nel mondo. CIF non è subordinato alle gerarchie ecclesiastiche (come
lo è l’azione cattolica), ma prevede la presenza di un consulente religioso, spesso un
sacerdote, che controlla l’operato. Il CIF è staccato dalla democrazia cristiana, anche se
prevalgono molti legami. La struttura, è complicata dalla presenza di molte associazioni
e che lo rendono concorrente anche all’azione cattolica stessa. il CIF propone un ruolo
di donna tradizionale come moglie, madre, casalinga. La famiglia è il primo obiettivo ma
sostiene anche i diritti delle donne sul luogo di lavoro e porta avanti l’idea di poter
lavorare ma senza trascurare il luogo di famiglia. Questo centro italiano femminile, è
messo in crisi dal BOOM economico (1958) e soprattutto dai movimenti femministi che
si sviluppano negli anni 70. Cerca di trasformarsi ma in qualche modo deve registrare
un forte calo delle iscritte, che dagli anni 70 pone in essere una politica delle idee che
appaiono anche alle cattoliche datate.

UDI E CIF sono rivali ma per certi versi speculari. Si propongono entrambi di preparare
le donne ad un ruolo attivo nella società. Inoltre, si propongono di educarle alla
democrazia, al voto, propaganda.

Mettono in atto una mobilitazione in favore delle riforme legislative: pensione alle
casalinghe, congedo di maternità.

Pongono anche attività assistenziali ai profughi, orfani; cerano di fare pressione per
creare centri di assistenza, educazione per adulti.

Forte attenzione pongono al campo assistenziale, cercando di non essere paternalisti o


classisti ma anche per ricevere consensi dai partiti di riferimento.

Il CIF è avvantaggiato dal fato che ha più fondi.

Entrambi forniscono anche svaghi e intrattenimenti culturali. L’UDI pone in atto attività
che culminava con la festa dell’8 marzo.

Entrambi sono importanti e moderni. Forniscono alle donne nuove occasioni e momenti
per socializzare.

Non sono autonomi dalle forze politiche di riferimento ma mobilitano e sostengono in


modo attivo, le campagne per le deputate che cercano di portare avanti riformi giuridiche
riferenti alle questioni di genere.

Quali sono i progressi e gli avanzamenti nel campo dell’emancipazione e parità che
avvengono nel primo dopo guerra:

il quadro è importante perché ci sono riforme legislative che consentono un passo avanti
determinante.

Le prime riforme legislative vedono il contributo importante delle prime parlamentari


elette, seppur in numero limitato, le elette discutono e pongono in atto, nonostante le
ostilità, delle riforme che le fanno agire in modo unitario e le fanno andare oltre le divisioni
ideologiche di partito (che in questo periodo sono molto forti).

Ci fa capire che riescono a portare avanti istanze progressiste, nonostante le condizioni


di partenza anche da un punto di vista ideologico e politico molto differente.
Principali provvedimenti che si riescono ad adottare:

nel 1950, Teresa Noce porta avanti una legge a sostegno della protezione delle
lavoratrici madri. Un provvedimento atteso da molti anni.

Nel 1956, un ulteriore provvedimento, fa in modo che le donne siano ammesse alle giurie
popolari delle corti di Assisi e siano giudici onorari nei tribunali minorenni. Le donne
possono finalmente entrare a far parte delle giurie. Si apre la loro partecipazione ai
processi (tema più alto della magistratura), da quello che poteva essere uno dei primi
elementi affini alla loro sensibilità quindi quello dei minorenni. Questo provvedimento ci
dice il pregiudizio delle donne legate alla sfera della maternità, educazione e protezione
dei minori.

Importantissima legge del 1958 è quella detta “Legge Merlin”: legge sulla prostituzione
che crea un dibattito acceso in Italia, perché era uno tra gli ultimi paesi ad avere una
prostituzione legalizzata. Si proponeva la chiusura delle case di tolleranza, della
legalizzazione della prostituzione e dello sfruttamento della prostituzione. Si voleva
mettere in campo un corpo di polizia speciale e delle azioni speciali per le donne che
volevano lasciare questo mestiere, al quale era molto facile incominciare ma molto
complesso poter uscire.

Si formano due partiti: quello dei regolmentazionisti e quello degli abolizionisti ovvero di
quanti vogliono regolamentare la prostituzione e di quanti la vogliono eliminare.

Si ricorre spesso ad un repertorio sterotipato e maschilista in questo dibattito, che ha il


limite più evidente nel fatto di non mettere al centro il problema reale e soprattutto
l’esigenza, idee e sensibilità di quelle donne che lo vivono. La legge Merlin viene scritta
dalla senatrice Merlin in nome dei diritti delle donne e come ci riporta Wilson, la senatrice
presentò la sua proposta in nome dei diritti delle donne e affermò che la funzione della
legge non era tutelare la salute pubblica bensì gli interessi degli uomini in genere. Il testo
fu poi riveduto e stemperato dagli interventi e dibattito pubblico e parlamentare e dalla
democrazia cristiana. Questi interventi e modifiche, stemperarono la portata della legge
e non si consultarono mai le prostitute stesse.

Molte proteste si elevarono da parte maschile all’abrogazione della legge che


permetteva alla prostituzione. Talvolta si è detto come un attacco a quel previlegio della
doppia morale. Fallì il progetto della legge Merlin che intendeva eliminare
completamente la prostituzione.

Nel 1958, abbiamo una legge importante che è riferita al riconoscimento dei lavoratori a
domicilio; categoria in cui entravano molte donne e che concede loro diritti. Ebbe una
applicazione inneficace per limiti stessi e per il fatto che molte donne impegnate a
domicilio, lo facevano in situazioni di lavoro in nero o non essendo riconosciute.

1959: permise alle donne di essere ammesse in polizia. All’inizio in modo limitato e solo
in appositi reparti e in apposite mansioni.

Nel 1960: abolizione della qualificazione dell’addizione legata all’ambito femminile nei
lavori collettivi. È un passo in avanti nell’ambito salariale, anche se rimanevano
eccezioni.

Siamo negli anni dei primi governi di centro sinistra, ulteriori riforme sono operate dal 63.
Dal 63 si vieta la clausola del nubilato nei contratti di lavoro ovvero quella clausola che
permetteva il licenziamento o poneva di dimissioni di una donna che avesse deciso di
contrarre matrimonio. Sempre nel 63, c’è la soppressione dei limiti riservati alle donne
nei pubblici uffici: quella legge che trovava applicazione sia dal periodo fascista.
Eccezione rimase per l’esercito e per i corpi speciali.

Nel 1963, le donne poterono entrare in magistratura: il primo concorso fu nel 63 e la


prima donna magistrato fu Letizia De Martino.

Nello stesso anno, le casalinghe ottennero la pensione.

Nel 1969, la ottennero anche quelle che non avevano versato i contributi.

Nel 1970, c’è la abolizione del coefficiente Sempieri, ovvero quel coefficiente che
valutava in modo diverso il lavoro di una contadina rispetto a quello compiuto da un
uomo. Per calcolare quanto pagare o quanto incideva il lavoro della donna rispetto a
quello dell’uomo, c’era un coefficiente diverso.

1967: legge sulla tutela del lavoro dei minori che per la prima volta è distinta da quella
delle lavoratrici. Si distingue il lavoro tutelato delle lavoratrici da quello dei minori (prima
erano considerate invece come due categorie con le stesse tutele).

Nonostante i diversi schieramenti, le donne riescono in questo periodo, a fare causa


comune. Dato il clima politico e la situazione sociale italiana, il contribuito delle donne
non è per niente emarginale. Però, queste leggi riguardano solo la sfera pubblica e la
partecipazione della donna in ambito pubblico. Molte leggi con disuguaglianze
rimangono in vigore: molte sulla sfera privata e sul corpo, e queste devono attendere
solo gli anni 70 per essere discusse e in qualche modo digerite sia dall’opinione pubblica
e trovare una scrittura.

Non va trascurato che il terreno era stato ben preparato.


Decima lezione. Gli anni Settanta: il femminismo

Ci riferiamo al 1968 e 1981.

1968: si riferisce agli anni tra 68-69, al movimento socio-culturale di protesta; quando si
comincia l’età dei movimenti.

1981: Referendum sull’aborto (in Italia). Si chiude una parabola che era iniziata dagli
anni 60.

Si tratta di un decennio che vede molte lotte e rivendicazioni. Ci sono grandi


avanzamenti, sia nel campo del femminismo, sia nel campo dei diritti; un avanzamento
anche per la situazione generale delle donne.

In questo periodo possiamo distinguere almeno quattro momenti caratteristici:

1) Compreso tra il 1968 e 1975.


2) Apice del movimento femminista 75-77
3) Rapido declino tra gli anni 77-78
4) Un nuovo impulso anche con vita breve è tra il 79 e 81. C’è una raccolta di firme
per proporre la legge contro la violenza sulle donne e a grande mobilitazione con
il referendum sull’aborto.

È un periodo di rinnovamento sociale, economico e culturale ma che porta poi al


terrorismo.

Nell’economia del nostro ragionamento, dobbiamo occuparci del tema riferito al


movimento femminista. Va inquadrato con un occhio alla dimensione europea e
mondiale che ci permette poi, di capire le qualità e specialità presenti nel contesto
italiano.

Il femminismo ci può sintetizzare con uno slogan: “Io sono mia”. È importante rilevare
che negli anni 70, c’è una rappresentazione di uno spartiacque nella storia delle donne;
questo perché l’importanza e la complessità di questo periodo, fanno in modo che ci sia
un decennio denso di tumulti politici e culturali e che vede, un movimento femminista
esuberante. Nello stesso tempo, si vede anche la nascita di nuovi movimenti, come
quello studentesco, della politica extraparlamentare , ma anche del terrorismo di destra
e sinistra. È un decennio di grande energia, politica e sogni, ma alla fine segnato da
sangue e violenza. Per molti movimenti c’è una sconfitta.

In Italia, questo fenomeno è prolungato e violento ma vede i giovani come protagonisti.


Il movimento femminista si colloca in questo scenario e va considerata la pluralità dello
stesso movimento femminista che assume. Si parla di femminismi.

Le femministe in questi anni, assumono atteggiamenti radicali e irrealistici, senza


compromessi. Attuano sfide aperte, confronti anche tesi e violenti, spesso contro lo stato
e chiesa. Lottano anche contro quello che viene riconosciuto “potere costituito maschile”.
Questo vale all’interno della società, cultura e famiglia, nel matrimonio.

La strategia del femminismo in questi anni non è molto efficace, nonostante la forza con
cui si esprimono le proprie idee. Il femminismo in diversi aspetti è un movimento che si
articola con diverse entità, non riesce ad essere incisivo perché manca una unità. Va
comunque detto che conduce frutti duraturi.

Le femministe infatti affrontano moltissime questioni e la principale è quella della


riflessione sulla differenza ed uguaglianza tra uomini e donne. In Italia si da maggior
risalto agli aspetti legati alla sfera delle differenze tra uomo e donne; c’è una forte
attenzione ai cambiamenti che stanno avvenendo dai tempi precedenti quindi sessualità,
corpo. Nelle sue organizzazioni interne, il femminismo si struttura con autonomia non
gerarchica: lo rende peculiare; vuole rappresentare un modello e struttura differente
rispetto a quello maschile che si cercano di contestare.

Qual è la traiettoria del movimento femminile in Italia?

Fino al 1974 (referendum sul divorzio), le femministe operano in gruppi piccoli, privi di
coordinamento. Sono protagoniste di dibattiti e riflessioni, su idee che fanno di questi
femminismi una fabbrica di discussione.

1974-1976: sulla base della spinta del successo del referendum, c’è una forte
mobilitazione e il femminismo diventa un movimento di massa. Le manifestazioni sono
molto recenti e vengono messe in atto attività concrete su molti campi, che lasciano un
segno profondo e avrà frutti che andranno oltre.

Una cesura avviene dopo il 76 quando si va verso gli anni del terrorismo. Il femminismo
diventa confuso.

Negli anni 80, non esiste più come movimento, provocando un senso di smarrimento.
Non scompare del tutto ma assume nuove forme che danno frutti negli anni successivi.

Questi dati riferiti al contesto generale, ci danno idee per riflettere sulle origini del
movimento delle donne negli anni 70. Un fattore importante per la nascita di questo
movimento e protagonismo delle donne, si ricerca nei cambiamenti del boom economico.
Le donne, vogliono di più, sono insoddisfatte della loro posizione e vogliono cambiare il
destino. Nel 68-69, infatti con il movimento studentesco, rivendicazioni, movimenti di
operai, si trova un catalizzatore perfetto. Inoltre, c’è anche la conoscenza di quello che
sta accadendo all’estero, soprattutto stati uniti e Francia. Si diffondono sempre di più
dibattiti, pubblicazioni, che questi movimenti portano avanti.

Però, il femminismo italiano, ha caratteristiche proprie e specifiche. Alcune di queste non


sono come quelle estere ma sono radiche nel contesto sociale e culturale e nella
situazione complessa degli anni 70 in Italia.

Qual è lo sviluppo del movimento femminista nei primi anni 70 in Italia?

I primi segnali che possiamo raccogliere sono tra il 65 e il 66. Quando avviene la
costituzione dei Mau (demistificazione dell’autoritarismo). Si tratta di un collettivo nato a
Milano, femminile ma aperto anche agli uomini, nato per l’analisi del ruolo delle donne
nella società. Le posizioni espresse dal movimento sono la contrarietà all’integrazione
della donna nella società e il superamento dei concetti maschili e femminili; smontare le
pratiche autoritarie e paternaliste che caratterizzavano la cultura e società italiana.

Nel 68-69 c’è anche il fatto che molte più donne si avvicinano al movimento femminista.
Il movimento studentesco è un terreno fertile; circa un terzo degli studenti erano donne
e sono forti le spinte contro l’autoritarismo. L’idea di poter e dovere mettere tutto in
discussione. In questo periodo, quindi, molte studentesse e donne entrano in politica
anche se poi, si rivoltano spesso contro il movimento, per le posizioni per nulla
progressiste di alcune presenze maschili del movimento studentesco, che molto spesso
pensano alle donne come semplici angeli, con un ruolo sub alterno non differente a
quello che pensavano i loro padri. Però, le energie espresse da queste donne nel
movimento non vanno disperse e vengono canalizzate in altre posizioni; le donne si
trovano quindi anche a fare i conti con tutta la serie di cambiamenti portati da questo
movimento studentesco e che saranno importanti per le riflessioni negli anni successivi
(per esempio nell’ambito sessuale rispetto ai concetti di onore e morale che facevano
ancora parte di quel periodo). Il 68 rappresenta un momento liberatorio e di inizio di
riflessione su dinamiche ampie; ma rappresenta anche un momento di confusione,
timore, per le conseguenze e rotture che si possono creare rispetto al periodo
precedente.

Sempre più ampia e articolata si fa dal 68 in poi, la discussione delle donne intorno ad
alcuni temi come parità, uguaglianza e differenza tra u omo e donne. Il movimento
femminista si allarga e manifesta sempre di più tendenze che non sono univoche anzi,
anche contrastanti tra loro. Ciò nonostante, ci sono questioni comuni: vi è un rifiuti di una
idea di uguaglianza tra i sessi e un accento che dice che le differenze sia causate da
una cultura e non da una natura: si pone una riflessione che vede fondamentali le
differenze tra i sessi ma che la parità giuridica non sia un elemento sufficiente a creare
una parità tra i sessi.

Le donne maturano l’idea che esse stesse non debbano integrarsi in una società e
cultura concepita dagli uomini. Devono cercare e prendere coscienza della propria
identità. Quindi donne che prendono l’idea che non vadano definite in rapporto all’uomo.

Il secondo elemento di tendenze comuni in questi quadro articolato, fa riferimento al


fatto, che le femministe italiane maturano un sentimento che si può sintetizzare nello
slogan “Il personale e politico”. Si concentrano e riflettono sulla sfera personale, facendo
riferimento ai ruoli, sessualità e famiglia. Sostengono la concetrazione quindi un nuovo
modo per vedere la sessualità e si pongono molto nettamente contro la violenza alle
donne. Molte di queste sono spinte da un anti capitalismo, ideologia di Marx. Sono anche
contro la politica portata avanti dalla sinistra.

Alcune cercano di coniugare il femminismo con la lotta di classe. Il movimento “lotta


femminista”, nato a Padova che cercò di coniugare le teorie marxiste con l’analisi dei
ruoli di genere.

Audio 2

Un ulteriore aspetto per indagare alla genesi femminista è riferirsi anche agli aspetti
organizzativi. In quale modo il femminismo si struttura e si radica?

Vi pe una opposizione alla politica tradizionale e alla gerarchia; i movimenti femministi


cerano di pensare alle strutture organizzative, specie a quelle che reputano impronta
maschile. Vi è una critica, una assenza di diplomazia in questo atteggiamento e molti di
questi movimenti, decidono di collocarsi fuori da ogni schema politico esistente. Di non
avere quindi legami con i partiti. Tutti i fattori portano ad una articolazione e libertà, tanto
grande quanto la debolezza sul piano politico. Si sviluppano migliaia di collettivi, spesso
con dimensioni molto diversi. Collettivi che non sono strutturati e collegati tra loro; molti
hanno carattere informale, talvolta conflittuali al loro interno. Dei gruppi con dimensioni
favorevoli sono il movimento “liberazione per la donna” che nel 1970, si affilia al partito
radicale; un gruppo poi strutturato degli altri che sarà attivo per la campagna per l’aborto.

Ma molti altri gruppi, rifiutano l’appoggio con altri partiti, ritenendo che l’autonomia sia il
dato essenziale, anche perché puntano a creare spazi che siano esclusivamente
femminili.
I primi collettivi appaiono tra il 69 e 71 (Rivolta femminile nato a Milano e poi a Roma,
Lotta femminista a Padova e Roma, Cerchio spezzato a Trento); molte sono le
contraddizioni al loro interno, come l’autocoscienza, attività in cui l’IO diventa centro di
se, una pratica molto usata all’interno dei collettivi.

Soprattutto nella prima metà degli anni 70, c’è una attenzione per l’interno. Dalla metà
degli anni 70 invece, questo atteggiamento viene meno e si cerca di dare più attenzione
all’esterno dei movimenti.

Cosa fanno e quali sono le loro attività?

Si concentrano molto su tematiche anche specifiche. Una che lega tutti, è quella legata
all’aborto. Molti creano gruppi di autoaiuti, altri creano radio, consultori, teatri o occasioni
di cultura, scritti, stampano e diffondono opuscoli. Aspetto fondamentale è
l’autocoscienza; si tratta molto spesso di discutere su alcuni argomenti essenziali e
fondamentali per esempio cosa si prova ad essere donna. Spesso lo si fa in piccoli
gruppi, con discussioni e approfondimenti su aspetti personali e della propria esistenza.
La questione è cercare una risposta dentro se stessi e questa è una esperienza che
spesso cambia la vita a molte donne che la praticano: si ha una conoscenza e
protagonismo che però non ha sempre esperienze positive; non sono rari i conflitti.

Per alcune queste esperienze sono così impattanti che costringono le donne a risolvere
questi problemi con medici e psicologi.

Chi sono le donne che animano questo movimento?

La maggior parte sono giovani. Anche se non mancano persone più mature, i ceti medi
e medio bassi sono quelli più rappresentati. Molto spesso c’è il tentativo di coinvolgere
in questi collettivi anche donne appartenenti alla classe operaia con alterno successo.

Non si sa bene quante donne partecipano a questi collettivi, data la natura anarchica e
fluida. Si può affermare però che sono più presenti nel centro e nord Italia nei centri
urbani. Maggiori difficoltà anche per le età culturali ma anche per la geografia stessa,
maggiori difficoltà si registrano nella campagna e meridione.

Si tratta id un movimento fluido e in costante evoluzione: donne e diversi gruppi


partecipano a campagne diverse e vi sono molti femminismi. Non divisi nettamente in
linee ideologiche come invece accadeva nello stesso periodo per altri movimenti.

L’azione che tiene insieme e guida e fa da collettore tra tutti i movimenti, è la questione
della legalizzazione dell’aborto che in qualche modo, tiene insieme questo movimento.
Anche le donne lesbiche rimangono su questo solco e si organizzano separatamente
solo dalla fine degli anni 70. La prima presenza lesbica in una manifestazione politica è
quella messa in atto da Maria Silvia Spolato, ritratta in una famosa foto con un cartello
con scritto liberazione omosessuale.

Su queste tematiche e sulla figura della Spolato, studentessa all’università di Padova e


che per queste sue posizioni, si era dovuta allontanare anche dalla scuola nella quale
era insegnante.

Parlando del movimento omosessuale, va fatto il cenno del movimento chiamato “fuori”:
acronimo che sta per fronte unitario omosessuale italiano, che nei primi anni in mano
agli uomini, vede la creazione di una sezione per la donna, nel 76.

Il movimento e le lesbiche, hanno molte difficoltà ad uscire fuori. Dalla fine degli anni 70,
si crea un clima più favorevole che permette loro di vivere più serenamente e gettare le
basi in una presenza pubblica.

Quali rapporti vi sono tra il femminismo e le altre organizzazioni attive negli anni 70?

Il femminismo si articola nelle diverse regioni e realtà italiane. non ci sono solo collettivi
femminili ma anche l’UDI, sindacati, che fino al 1975, nonostante l’opposizione dei
sindacati, vedono le donne ricavarsi margini di azione. Nel 75, si crea un coordinamento
delle donne, sindacati della CSL, CISS, e si portano avanti delle istanze come i corsi di
autocoscienza, ottenimento delle 150 ore retribuite per corsi di formazione o istruzione.
Molto spesso nel movimento femminista, i confini ideologici e di appartenenza politica
possono essere sfumati ma il movimento femminista si pone, rispetto ai movimenti
politici, in modo conflittuale.

Le femministe sono contro le politiche e l’atteggiamento dei partiti tradizionali e di massa,


nei quali vedono il perpetuarsi della struttura patriarcale.

I partiti, non accolgono molte delle rivendicazioni portate avanti dalle femministe e le
rivendicazioni legate a tutto quello che fa riferimento alla sfera personale, negli anni 70,
sono viste come inconcepibili con il modello tradizionale e in riferimento al bene comune.

Le femministe osteggiano la democrazia cristiana per le sue posizioni tradizionaliste e il


CIF. Contro questo, perché meno aperto al cambiamento e ci saranno critiche feroci. Il
CIF entra in crisi per il fatto che molte donne entrano in un periodo di crisi riguardo alle
associazioni cattoliche, che portano avanti un approccio anticato. Non giova l’idea della
chiesa e gerarchie su alcune posizioni; sopravviverà comune il CIF.
Critiche sono poste dalla femministe anche ai partiti di sinistra ma non comunista,
soprattutto ai cambiamenti visti necessari nella sfera privata con atteggiamento che le
femministe vedono come difensivo e critico del PC, che in questi anni è impegnato nel
compromesso storico e nel non conflitto con la democrazia cristiana.

Le cose cambiano alla fine degli anni 70, quando anche il quadro politico generale,
subisce un profondo cambiamento.

Oltre che al PC e alla politica difensiva non così impegnata nelle questioni di genere, vi
è una critica anche all’unione femminile, anche se l’iscrizione all’UDI si erano ridotte; le
idee erano contrastanti perché si vedono due atteggiamenti: quelli delle femministe
orientate ad una parte di liberazione, quelle dell’UDI legate al concetto di emancipazione
delle donne.

I semi di questo conflitto sono anche ricercati nell’ambito generazionale; bisogna vedere
due generazioni a confronto. Le madri dell’UDI e le figlie nel femminismo; le figlie
contestano le madri in alcuni atteggiamenti timidi dei primi due decenni del dopoguerra
e che vedono la loro azione come vera svolta che si vuole liberare del contributo dato
dalla generazione precedente.

Questa ostilità si riduce in occasione della campagna per l’aborto che viene appoggiata
dall’UDI e che sopravvive e rimane attivo anche oggi.

La questione dell’aborto è importantissima per unire questi movimenti.

Eccezione riguarda il partito radicale; unico partito che abbraccia la causa femminista.
Attivo dal 1970, come ascolto formale delle donne e veicolo delle loro istanze.

Il femminismo poi, ha rapporti più complessi con la sinistra extraparlamentare. All’inizio


si registra la doppia militanza delle femministe: dentro il movimento femminista e dentro
quei movimenti che non si riconoscono nei partiti del parlamento.

Si staccano le femministe dai movimenti marxisti e rivoluzionari di questi movimenti. Un


caso emblematico riguarda la manifestazione per l’aborto nel 75, alla quale partecipano
esponenti di lotta continua con le femministe che stavano manifestando.

Abbandono di molte donne di questi gruppi per dedicarsi solo alla causa femminista.
Nonostante le critiche delle femministe, i dati di iscrizioni ai partiti politici, sono in linea
con quelli del decennio precedente. Ma il sostegno alla democrazia cristiana viene
sempre meno e cresce quello verso il partito comunista.

Una svolta avviene nel 1976, quando il femminismo nonostante le opposizioni interne
riesce ad avere un canale istituzionale e sono create consulte femminili: organi di
consulto che dovevano portare avanti le istanze presenti dai vari movimenti, al governo
centrale e periferico, su questioni femminili. Alcune istante saranno molto efficaci e
saranno poste in essere in quel cammino delle riforme giuridiche degli anni 70.

Audio 3

Gli anni 70 sono un decennio nel quale vengono introdotte anche importantissime
riforme attese da molto tempo e appare evidente lo scarto tra società e i suoi problemi e
la legislazione, impantanata in una azione irrilevante e distante da quelle che erano le
esigenze della società che riteneva urgenti e necessarie.

Le femministe e tutti i gruppi del femminismo, svolsero un ruolo decisivo. Non ebbero
una strategia efficace condotta in modo organico, ma riuscirono a mettere in agenda
provvedimenti urgenti e rilevanti. Riuscirono a fare pressioni a vari livelli con cortei,
manifestazione, proponendo dei provvedimenti legislativi in parlamento appoggiando
l’azione di partiti, associazioni e sindacati: azioni importanti per un cambiamento
sostanziale.

TAPPE PRINCIPALI DI QUESTO CAMBIAMENTO E RIFORME:

La prima, fa riferimento al divorzio (1970): un provvedimento approvato in distretta


misura a causa delle esigente del vaticano, parlamento, opposizione della democrazia
cristiana, gruppi monarchici e fascisti. Una legge che aveva cominciato il suo percorso
nel 65 con Loris Fortuna, un deputato socialista di Udine che aveva proposto dei vincoli
a questa legge, che consentiva il divorzio qualora uno dei due coniugi fosse stato
dichiarato con reati o pene di violenza sessuale o incesto, oppure fosse stato assolto
anche nel caso in cui uno dei due coniugi si fosse risposato all’estero non con un italiano.
Ma importante stava nel fatto che qualsiasi coppia poteva chiedere un divorzio, dopo un
periodo di separazione di 5 anni. La democrazia cristiana, posta di fronte a questo
provvedimento, nonostante fosse già passato, propose di fare un referendum per
abrogare questa legge. I dirigenti si spesero in prima persona (della democrazia
cristiana). Ma il 59,3% dei voti andarono a favore del divorzio, evidenziando uno scarto
dell’opinione pubblica e quelle della chiesa. Altri partiti come il comunista, avevano avuto
posizioni ambivalenti su questa questione.

La vittoria al referendum, aprì la strada anche a nuove richieste e rappresentò uno


slancio molto importante.
Nel 1971, si registrarono miglioramenti alla legge di tutela della maternità (che risaliva
agli anni 50), con un prolungamento del congedo di maternità e dei permessi retribuiti
fino ai 3 anni di età del bambino. Sempre nello stesso anno, venne abrogata la legge
fascista contro la diffusione di informazioni sulla contraccezione e viene istituto dal
servizio nazionale asili nido (anche se all’inizio ebbe pochissimi posti disponibili).

Nel 73, venne varata la legge sulla tutela del lavoro a domicilio che riguardava molte
donne ma anche ai lavoratori autonomi.

Il 1975 sarà un anno molto importante. Nel 75 c’è la costituzione dei consultori famigliari
e quindi degli organismi che dovevano mettere in atto consulenza in materia di
anticoccezionali e materie sessuali. Sempre nel 75 c’è la riforma del codice civile: era
quello degli anni 30 e che non era mai stato modificato ma finalmente venne soppressa
la disparità nella famiglia, una riforma sostenuta da tutti i partiti a parte dai liberali e
neofascisti.

Dopo la riscrittura del codice civile, uomini e donne furono uguali nel matrimonio e fu
eliminata la questione dell’uomo come capo famiglia. Fu eliminata la norma che
obbligava a prendere il cognome dal marito ma si mantenne il doppio cognome e che
spettasse solo all’uomo fissare la residenza dei coniugi.

Venne eliminata la autorizzazione maritale (che faceva si che il marito dovesse


concedere il permesso alla donna per una serie di attività), venne abolita la dote e fu
concesso alle donne di conservare la propria cittadinanza anche se sposavano cittadini
stranieri.

Altri provvedimenti riguardarono la condivisione sull’educazione dei figli e la parità,


uguaglianza e diritti dei figli sia legittimi che illegittimi (invece fino al 75 godevano di
diversi diritti). Alcune disparità rimasero, ad esempio il cognome dei figli era quello del
marito e non della donna però questa riforma del codice civile fu un grande passo in
avanti per la modernità della legislazione italiana e l’espulsione delle norme codificate
dal fascismo ed era immutate attraverso la guerra, costituzione e primi due decenni del
dopo guerra.

Sempre con l’esito, nel 1977 c’è una nuova legge: quella sulla parità, che accoglieva poi
la direttiva della comunità europea; serviva ad eliminare le discriminazioni sul posto di
lavoro in base al sesso. Riguardava l’accesso al lavoro, le posizioni professionali, il
licenziamento; introdusse il congedo di maternità e altri permessi retribuiti. Questa legge
sulla parità ebbe buoni principi ma fu carente in termini di applicazione perché non pose
in essere alcune disposizione per rintegrare dei lavoratori o inserirli se erano stati
discriminati. Nonostante ciò, ebbe un grande valore simbolico per le donne e offrì loro
grandi possibilità di impiego. Tutti questi provvedimenti rappresentano dei passi avanti
molto importanti e altri se ne fecero nell’ultima parte di questo decennio.

Lezione 11: Il cammino delle riforme negli anni Settanta

Negli anni 70 sono state introdotte riforme che hanno reso evidente lo scarto realizzato
tra società e legislazione e l’azione della classe dirigente era in ritardo molto differente
dalla società civile.

In questo contesto, le femministe hanno svolto un ruolo decisivo. Non hanno avuto una
strategia unitaria e completa, ma sono riuscite comunque a mettere sul tavolo alcuni dei
provvedimenti e cambiamenti più importanti. Le pressioni sono state manifestate con
cortei, manifestazioni, proposte di provvedimenti di leggi discusse in parlamento.

Tra le battaglie più dure delle donne troviamo la violenza alle donne e l’aborto. Questo
perché rappresentò una sfida molto forte all’autorità della chiesa e fu condotta in modi e
modalità diverse anche con forme di disobbedienza civile. Fu una lotta in forte impatto
simbolico per gli aspetti personali e morali che implicò e investì molti piani: etico,
religioso, sociale ma anche materiale ed economico.

Una lotta fu anche per la legalizzazione dell’aborto che fu molto dura, anche per la
situazione di partenza in Italia, per quella morale comune, per la mancata diffusione
politica della contraccezione ma anche a quelle politiche e pratiche legate al tema della
sessualità.

Il problema della legalizzazione dell’aborto, si radicava in un contesto impressionante;


rappresentava l’aborto un problema di amplia portata. Nei primi anni 70, il ministero della
sanità, stimava circa 850 mila le interruzioni di gravidanza illegali ogni anno e questa
cifra c’erano 20 mila donne che morivano per le conseguenza degli aborti illegali, che
erano praticati con livelli di igiene terribili. Alcune operazioni erano svolte in cliniche, altre
in condizioni brutte nelle case con donne impreparate dal punto di vista sanitario.

L’inizio della battaglia si può far risalire all’inizio degli anni 70. Alcuni punti importanti
riguardano questi aspetti: nel 1971, il movimento di liberazione delle donne, lanciò una
campagna per una legge popolare, che abolisse il reato di aborto, questo movimento si
allineò al movimento radicale e mise in atto alcune delle prime proteste ed iniziative
come l’autodenuncia: alcune donne praticarono l’aborto e andavano a denunciare
all’autorità, creando shock ma permise l’esposizione del problema.
Una altra cosa che fece il movimento di liberazione della donna, fu anche mettere in
campo pratiche di autoaiuto e dal 1975, vennero realizzati i primi centri contro la violenza
delle donne. Ma l’iniziativa si consolidò dopo il referendum sull’aborto.

Le donne furono molto coinvolte, vennero poste in atto campagne per la libertà di scelta
che suscitarono forte dibattito, fratturandosi in vari modi di pensiero; ovviamente la
chiesa cattolica fu contraria a questa iniziativa e di conseguenza, nemmeno i partiti
politici appoggiavano questo. Anche il PC lo fu all’inizio anche se poi cambiò linea.

Nel 1973, venne formulato un progetto di legge importante per la legalizzazione


dell’aborto sempre con il deputato socialista Loris Fortuna. Lui formulò una proposta per
un progetto di legge moderato che legalizzava l’aborto in caso di salute fisica e della
psiche della donna; però, da questo impulso, venne poi organizzata una raccolta di firme
a sostegno della legalizzazione dell’aborto; nel 1975, una sentenza della corte
costituzionale, depenalizzò l’aborto terapeutico: realizzato appunto per salvare la salute
della donna.

Sempre nel 75, c’è un altro passo avanti: primo disegno di legge disegnato dal PC, che
proponeva l’aborto gratuito nelle strutture pubbliche ma solo in alcune condizioni: se la
donna era rimasta incinta a seguito di uno stupro, per incesto o se la gravidanza
comportava un grave pericolo per la sua salute o se il feto presentava gravissime mal
formazioni.

Anche se, progressivamente, il PC si vicina alle istanze delle donne, non abbracciò mai
una idea di libertà e scelta per le donne. La DC (democrazia cristiana) fu invece contraria
a questo tipo di iniziative. Contraria fu anche il CIF (centro italiano femminile), ma furono
sempre più distanti dalla sensibilità del paese reale.

Il partito radicale invece fu la forza politica che sostenne sempre la donna e la sua libera
scelta. Anche le femministe furono divise sulle questioni di metodo, tattiche e questioni
morali dipendenti dalla proposta di legalizzare l’aborto. Ma nonostante questa
frammentazione, riuscirono a portare avanti insieme una campagna intensa che
prevedeva aspetti fondamentali:

1) Mettere in atto azioni di disobbedienza civile.


2) Far funzionare e costruire gruppi di autoaiuto che praticavano aborti o si
mettevano in contatto con cliniche estere per far spostare le donne e farle abortire
negli stati in cui era consentito

Venne messa in atto anche l’azione del CISA: centro italiano per la sterilizzazione e
aborto, anche se alcune di queste iniziative non hanno comportamento corretto nei
confronti delle donne. Per esempio ci sono state denunce di donne che aiutavano o
praticavano aborti che vennero messe in atto solo per avere visibilità pubblica.

Un aspetto importante dell’azione delle femministe, è quello di creare una


mobilitazione costante sempre più incisiva nella società, creando appunto,
mobilitazione, organizzando manifestazioni per garantire un aborto libero e gratuito.

Volevano sottolineare il fatto che la decisione su questo tema così importante era
che la decisione spettasse alle donne; fossero le donne coloro che dovevano
autodeterminarsi e avere la piena scelta e non fossero sottoposte ai mariti, padri e
medici che decidevano per loro.

Nonostante ciò, emergono aspetti e posizioni controverse; per esempio il dibattito


sui termini entro i quali l’aborto potesse essere consentito o meno, ma anche l’età
minima per una donna per essere cosciente delle proprie decisioni e questo creò
varie discussioni tra le donne.

Una lotta combattuta che non ebbe una strategia efficace perché le femministe
faticarono a tradurre queste istante per far si che potessero arrivare proposte in
parlamento o farsi strada nel potere.

1975, viene scritto un progetto di legge unico e approvato dal senato ma purtroppo
la legge viene interrotto dalle leggi in conventi e si conclude con il nulla.

Sempre nel 75.76, sono organizzate manifestazioni per l’aborto, partecipate da molte
donne. Avvengono anche episodi in piazze e strade che condizionano anche lo
sviluppo legislativo di legge, per esempio arretri degli esponenti radicali che avevano
praticato aborti e autodenunciati alla polizia. Progressivamente il fronte dei partiti
politici vede un sostegno delle posizioni di radicali con una contrarietà sempre della
chiesa e partito sociale italiano.

Tra 75 e 76, viene posto termine alla campagna di raccolta firma per depenalizzare
l’aborto e vengono raccolte molte firme.

Il 5 dicembre del 76, un decreto del presidente della repubblica, fissa un giorno per
una consultazione referendaria su questo tema. Poche settimane dopo, il presidente
della repubblica Leone è costretto a sciogliere le camere. Questo crea un nuovo
ostacolo all’azione legislativa su questo tema.

Solo nel 1978 e la formulazione di nove disegni di legge, per vedere approvata la
legge che legalizza l’aborto e che dispone norme per praticarlo: la famosa legge 194
del 22 maggio 78; questa data segna la conclusione di un percorso complesso.
La legge passa nonostante l’opposizione di democrazia cristiana e neofascisti ma la
legge è formulata con punti al di sotto delle richieste di femministi e radicali. Però
alcuni passi avanti significati sono passi avanti: abrogazione della legge precedente
e si consente l’interruzione volontaria della gravidanza entro i 30 giorni a spese dello
stato. Si pone in atto che l’aborto sia illegale nelle strutture private.

L’aborto è possibile se la gravidanza e parto, potevano portare rischi seri alla salute
della donna e tenendo conto anche al livello sociale della donna e del modo in cui
era avvenuto il concepimento o in casi di malformazione del feto. Si pone un periodo
anche di 7 giorni alla donna per riflettere prima di procedere all’aborto. Inoltre pone
come termine di tre mesi concedendo di effettuare l’aborto dopo i tre mesi solo per
scopo terapeutico. Per le minorenni pone dei limiti e serve il consenso di genitori o
giudici. Alcune tutele sono espresse in modo netto: anonimato per le donne che
scelgono di praticare l’aborto, il fatto di poter consultare il padre solo se la donna lo
consente. Questa legge inoltre, prevede pratiche si sostegno alla donna, misure che
avevano lo scopo di limitare il numero di interruzioni di gravidanza; di informare
donne e uomini su metodi concettivi e su i modi fisici e morali per evitare di giungere
a questo punto. Sono previsti la formazione dei consultori della rete e tutela.

Questa legge prevede anche alcuni compromessi, che avevano fatto in modo di
evidenziare le critiche dei radicali: obiezione di coscienza da parte del personale
medico che nel 1979, vede questi dati 72 % dei medici sono obiettori di coscienza e
lo fanno non solo per ragioni etiche o religiose o per una pratica chirurgica con rischi
ma anche per altre ragioni di interesse legate a una serie di questioni che investono
anche il campo politico. In confronto con gli altri paesi (ancora oggi), è impietoso:
negli altri paesi come scandinavi, le percentuali sono molto ridotti mentre in Italia
alte. La legge prevede che la salute della donna viene prima e l’obiezione di
coscienza non vale in caso di pericolo o per tutelare la salute della donna in casi di
emergenza, assicurare i diritti di abortire per la carenza di medici, sembra essere
abbastanza complicato, soprattutto in alcune regioni di Italia.

Per la portata e implicazioni che questa legge comporta, si realizza il tentativo di farla
abrogare, da parte di vari partiti che non erano d’accordo. Si propone anche il
referendum che si svolge nel 1981 e vede una amplia mobilitazione; la vittoria è
schiacciante per mantenere la legge e si mantiene. La chiesa cattolica non aveva
compreso ciò che i suoi fedeli volevano.

Gli Italiani comunque nell’81, volevano risolvere un problema antico. A 40 anni dalla
sua adozione, il pieno accesso all’interruzione di gravidanza, resta ancora da
garantire, soprattutto a situazioni socio economiche, situazioni di regioni e spesso si
rileva una ignoranza su questi temi. Il cammino proposto dalla legge in ambito
educativo è ancora lungo.

Questa legge funziona? Nel 2015, va rilevato che il numero di aborto è stato di 87600
circa. Cifre differenti da quelle degli anni 70 e in calo.

Il tasso quindi, di aborti è molto calato. Negli ultimi anni, i casi registrati nelle strutture
sanitarie, hanno visto articolazione tra donne italiane e straniere.

È un tema che vede ancora accese discussioni. Spesso lo vediamo tirato in campo
da politica ma con poca cognizione da quello che questo problema rappresenta.

Questa legge 194, ha rappresentato un netto avanzamento per risolvere il problema


degli aborti clandestini e delle disparità di classe. Sul tema della formazione, bisogna
ancora riflettere con una attenzione anche all’aspetto ideologico che non deve
essere pregiudiziale sul tema. La libertà per la donna riguardo questa legge è molto
importante. Questa legge rappresenta un netto avanzamento rispetto alla situazione
di partenza e non impone nessun comportamento ma garantisce una scelta che deve
essere consapevole.

Audio 2

Il tema della violenza sessuale, rappresenta un altro tema cruciale della lotta
condotta in questi anni per portare avanti quel cammino di riforme giuridiche, sociali
e culturali degli anni 70.

Lo stupro, rappresentava un problema rilevante. Le denunce sugli stupri, raccolti


dalla polizia, rappresentavano solo una piccola punta. Un numero rilevante di stupri,
viene rilevato in questi periodi per fattori diversi.

Conta la nuova libertà e spazi occupati dalle donne, il fatto che partecipano sulla
sfera pubblica; questo da agli aggressori ulteriori occasioni.

Inoltre, rimangono quei vecchi atteggiamenti maschilisti e spesso rimangono anche


negli anni 70, situazioni tradizionali nei quali queste violenze si realizzano.

Per esempio: a una giovane, Franca Viola (siciliana) nel 65 questa ragazza di 17
anni viene sequestrata e violentata per più giorni da un giovane suo spasimante ma
sempre respinto da lei, questo contava anche sulla clausola del matrimonio
riparatore. Ma lei, con l’aiuto del padre, accetta di non sposare il suo stupratore ma
anzi, lo denuncia; l’uomo è condannato e questo segna un passo in avanti nel
costume italiano, per cominciare a riflettere su questo antico problema trascurato.
Negli anni 70, il corpo delle donne diventa un nuovo campo di battaglia dello scontro
politico di quel momento. Ci sono anche casi di stupro politico; per esempio la
violenza della donna di Dario Fo, da parte di un gruppo di neofascisti nel 73. La
donna riuscirà anche a raccontare questo episodio. Ci da l’idea di questo problema
di violenza.

Il monologo che realizza la donna, ci porta in una dimensione emotiva di cosa


significa questa violenza.

La società si sensibilizza a questa violenza; negli anni 70 ci si muove per risolvere


questo problema.

Altri casi gravi di cronaca, danno un impulso nuovo a questa discussione. 1975, viene
celebrato il processo a 3 stupratori accusati di omicidio di una vittima (massacro del
circeo), nel quale due donne vengono invitate a partecipare ad una festa ma vengono
violentata da 3 giovani. Donatella che sopravvive, viene rappresentata dall’avvocata
Tina Bassi. Questo processo ci restituisci un concesso nel quale la vittima dello
stupro viene drammattimizzata come la donna che se la va a cercare.

1975: caso del circeo, fa discutere la società civile. L’anno successivo avviene una
grande mobilitazione (riprendiamoci la notte) per riprendersi quegli spazi e tempi
reputati tra i più rischiosi per le donne.

Consapevolezza e mobilitazione sono aitate anche dalla diffusione di pubblicazioni


con libri.

Un altro aspetto che porta avanti la riflessione sulla violenza, è la creazione di centri anti
stupro. Uno dei più famosi è creato nel 67 a Roma.

Questi centri proporranno proposte di legge di iniziativa popolare che codifichino lo


stupro come un reato contro la persona e non come la morale (codice Rocco).

Attenzione è posta anche nella sfera domestica; queste iniziative si concludono nel 1980
e raccolgono oltre 300.000 firme per cambiare il codice penale; si registrano ancora
divisioni all’interno del movimento femminista e questa proposta di legge ha diverse
proposte.

Un altro fatto di cronaca che contribuisce a questo dibattito e sensibilizza l’opinione


pubblica, avviene nel 78: abbiamo la diffusione in televisione sulla Rai, di un
documentario intitolato: “processo per stupro”. La regista è Loredana Lordi che vuole
documentare il meccanismo sociale segnalato da molte femministe e cioè il fatto che la
violenza sulle donne, sia spesso considerato dai processi che seguono queste violenze,
in modo arbitrario e vedono che la vittima si trasforma in imputata. si analizza il processo
celebrato nel tribunale di Latina dal quale viene tratto un documentario seguito da 9
milioni di telespettatori. La vittima di questo processo è una giovane di 18 anni che
denuncia di aver subito una violenza da 4 uomini. Il processo è reso complesso in quanto
la vittima conosceva uno dei 4 imputati e che non presentava segni di maltrattamenti.
Come difensore troviamo ancora Tina che, esprime in modo efficace, lo stato d’animo
nel quale il processo avviene e dice che la gente era sconvolta perché nessuno
immaginava quello che avveniva in una aula giudiziaria, dove la giustizia era violenta
degli stupratori nei confronti delle donne. Era una violenza. gli avvocati difensori a questo
processo, inquisiscono dettagli della violenza e vanno a scavare nella vita della persona
offesa, per addossare la responsabilità della violenza stessa. l’avvocata precisa che la
vittima è la giovane, non gli altri. Ne emerge un atteggiamento mentale diffuso nell’Italia,
che vedeva questo pregiudizio: una donna di buoni costumi non poteva essere violentata
e se questa violenza c’era stata, evidentemente sarebbe stata provocata da qualche
atteggiamento sconveniente da parte di questa donna.

Si apre la porta al fatto di giustificare la violenza subita. Tentativo di avvocati difensori,


era quello di far passare l’idea che in qualche modo dubbi e moralità dovessero attestare
che la donna fosse consenziente. Ci fa comprendere quali sono stati i punti di partenza.

Il cammino per queste riforme nel campo della violenza, non si esaurisce negli anni 70;
bisogna aspettare il 1996, perché il reato di stupro sia definito come crimine contro la
persona e non contro la morale e per vedere le pene inasprite contro quelli che hanno
commesso il reato, anche se sappiamo che la strada è ancora lunga e il cammino è in
salita.

Un’altra riforma legislazione riguarda il diritto di onore. Finalmente nel 1981 ha un punto
di svolta: sono abrogate quelle norme del codice penale che prevedevano l’onore come
una delle circostanze attenuanti per i reati come l’omicidio. I delitti di onore però non
scompaiono e rimangono sottotraccia, riemergono anche nelle culture malavitose.
Sempre nel 1981, viene abrogato anche il matrimonio riparatore ovvero quel matrimonio
che per salvare l’onore della donna e rispettabilità, prevedeva che chi aveva commesso
la violenza, potesse riparare il reato sposando la donna stessa. come se una donna che
sposasse il proprio stupratore fosse a riparo o che un uomo che aveva commesso una
violenza, sposandosi, non avrebbe più dovuto pagare il danno.

Audio 3
Con la fine degli anni 70 e gli eventi visti, il movimento femminista, manifesta segni di
cedimento a causa di un contesto politico, sociale, generale; si parla di deflusso della
partecipazione politica così pervasiva negli anni 70. Anche a causa del terrorismo.

Donne nel terrorismo: destra e sinistra:

In quello di matrice rossa e comunista, le donne sono circa un quarto degli affiliati.
Spesso hanno ruoli minori perché nelle organizzazioni e spostamenti creano meno
sospetti; alcune comunque hanno ruoli di comando come Maria Clara Brioschi.

Alla fine degli anni 70, le femministe sono stremate. L’anarchismo del movimento,
l’assenza di strutture formali, le delusioni e i vari conflitti interni, rendono difficile tenere
insieme un movimento composito ed eterogeneo e che poi si articolava su varie questioni
nell’ambito della politica, leggi, società ecc.

Alcune conquiste erano state fatte; quella dei consultori, divorzi e aborto e rendevano
superflui i contenuti di gruppi fondati per portare avanti i contributi su questi specifici
programmi.

In generale, è stato un movimento caratterizzato da aspetti legati all’utopia che al


pragmatismo, ma ha contribuito a fondare una riflessione amplia sui ruoli di genere
seppur con limiti nei risultati.

Il femminismo ha portato avanti miglioramenti oggettivi sul piano degli atti normativi
(maternità, divorzio e aborto); ma alcuni limiti nella loro applicazione ad esempio, un
tema rimasto sulla tavola e non risolto riguarda la distinzione del salario tra uomo e
donna, rapporto tra figli-lavoro che non è risolto.

In generale, l’ideologia femminista si concentrò sull’idea di differenza e sulle questioni


che competevano alle donne giovani. Si svelano anche un rapporto complesso con la
generazione precedente, quella della madre, con una differenza anche sulle idee che
identificavano liberazione dalla emancipazione.

Però è il periodo in cui si registrano anche molti esordi nel campo politico di donne che
poi riescono ad avere posizioni di protagonismo, come Tina Anselmi nella DC, che nel
76 diventa la prima donna ministro del lavoro; però se teniamo conto dei dati forniti dal
parlamento, le donne sono solo 8% dei parlamentari anche se il dato è in aumento.

Sul fronte del lavoro, in questi anni va rilevato che l’occupazione femminile cresce e dal
71, cresce nella fascia di età tra i 25 e 35: comporta una maggiore consapevolezza su
molti aspetti; istruzione, sviluppo e incremento del settore terziario. Molto spesso però,
va valutato che le donne svolgono un lavoro precario e mal pagato. Ci sono donne che
sono iscritte nei censimenti come casalinghe ma che non fanno solo quello e si occupano
anche si altri piccoli lavoro ma senza diritti.

Le riforme giuridiche non sono la perfezione ma rappresentano un avanzamento. La


parità in famiglia viene stabilita e questo anche sul luogo di lavoro.

Avviene anche una emancipazione delle donne da quello che era il riferimento della
chiesa cattolica che non cambia idea su molte questioni però prende atto che molti
italiani vogliono decidere da soli.

In generale, il femminismo e riforme, influenza atteggiamenti e prospettive di molte


donne, anche se vede una partecipazione attiva di una minoranza; questo movimento
trova sostegno anche in molti uomini e donne come dimostrano le campagne messe in
atto su aborto e divorzio.

Il movimento femminista, consente a molte donne di acquisire fiducia, nuove prospettive


e opportunità sulle loro vite.

Un cambio netto dal quale non si torna indietro rispetto al passato. Il femminismo
contribuisce ad accelerare la modernizzazione dei costumi, che in Italia era cominciata
con il miracolo economico ma con gli anni 70 accelera.

Queste riforme e cambiamenti e l’eredità del movimento femminista, sono duratori. Idee
e cambi di mentalità che mettono in discussione atteggiamenti che spazzano via il
quadro giuridico che li sosteneva. A differenza di altri movimenti degli anni 70, il
femminismo messo in crisi alla fine di questo decennio, riesce a riaffiorare, seppur in
modo diverso, negli anni successivi.

Lezione 12: Gli ultimi due decenni del Novecento

Ultimi due decenni del 900.

In questo periodo, si assiste ad un rapido mutamento sociale, culturale e politico.

Dagli anni 80, l’Italia diviene una delle nazioni più ricche al mondo. Simile ad altri paesi
europei come tenore di vita ma con un modello proprio comune agli altri paesi del sud;
è caratterizzato da un tasso di natalità basso e forti affetti famigliari. Contestualmente
dalla presenza di servizi sociali cari.

Lato politico:

nel 92 abbiamo la fine della prima Repubblica e nel 94 la discesa in campo di Berlusconi
e di un nuovo scenario politico.
In questo periodo l’Italia diventa un paese di immigrazione proveniente da diversi paesi.

Rallenta il processo di secolarizzazione che abbiamo visto caratterizzare il decennio


precedente. Il mondo cattolico invece è molto importante; i cattolici non osservano più
con rigore la somma di precetti della chiesa su tema sessualità e controllo nascite.

Si assiste al pluralismo religioso, dovuto anche all’immigrazione.

Una situazione economica non brillante è quella che caratterizza l’Italia alla fine del 20
secolo ma comincia a cambiare l’idea di come intendere e tutelare il lavoro: in questo
scenario le donne fanno avanzamenti da gigante, in istituzioni e campi lavorativi; però,
è molto più lento il progresso nella vita politica.

Nella sfera privata c’è la divisione dei compiti in famiglia e va tenuto conto dell’immagine
che comincia a diffondersi dai media dagli anni 80, con tv private, pubblicità verso le
donne e si realizzano passi indietro rispetto al femminismo antico.

In questo periodo comunque abbiamo gli aspetti del lungo femminismo.

Come movimento, il femminismo è tramontato alla fine degli anni 70; nonostante ciò,
grazie a quelle basi solide degli anni 70, è stato sostituito da quello definito femminismo
diffuso quindi idee, il modo di intendere, di interpretare e concepire figura e ruolo
femminile, appaiono comuni e condivise da varie persone anche se non appartengono
a determinati movimenti.

Tutti questi fattori, portano ad una penetrazione amplia di idee e valori del femminismo,
sia nella sfera delle istituzioni, sia nella sfera della politica; appaiono chiari e non messi
in discussione, concetti di parità, libertà, diversità intesa sia tra uomini e donne e tra
donne.

Il femminismo quindi non è scomparso e continua a fiorire in forme diverse a quelle degli
anni 70. Le donne continuano ad organizzarsi e lo fanno in gruppi, spesso sono figli di
quelli degli anni 70.

Gruppi piccoli o grandi, con obiettivi specifici, la maggior parte si dedica ad attività
ricreative e culturali ma che portano avanti istanze concrete.

Più inclini all’organizzazione e collaborazione con le istituzioni, sono i movimenti che si


incarnano nelle regioni governate dalla sinistra e centro sinistra (esperienza Emilia-
Romagna).

Diversa è la situazione nelle università italiane che rimangono abbastanza impenetrabili


all’inclusione di corsi specifici sul ruolo delle donne; ma le cose stanno cambiando,
soprattutto nei paesi anglosassoni che per alcuni versi rappresentano un modello di
riferimento.

La diffusione della cultura e degli orientamenti frutto di questo femminismo, si ha fuori


dall’ambiente accademico. Due esempi si hanno nella costituzione del 1989 della società
italiana delle storiche, società che organizza convegni, riflessioni e altro.

Anche l’UDI rimane in funzione. La rivista noi donne rimane viva. Negli anni 2000 si
trasforma in “unione donne in Italia”, quindi mantenendo lo stesso acronimo ma con una
apertura anche alle donne immigrate.

Le idee del femminismo trovano però un concorrente nei valori diversi che comincia a
veicolare la televisione e i mezzi di massa in questo periodo; le idee femministe trovano
espressione solo in pochi programmi televisivi, proponendo modelli di riferimento e
questi programmi sono confinati su RAI 3.

La televisione è un elemento importante per analizzare questi decenni e questo


strumento è importante per formare le idee, atteggiamenti. Uno strumento di
comunicazione di massa che in questo periodo diventa tra i più diffusi e in questo periodo
è diffuso in tutte le case degli italiani.

Qual è l’immagine che si da della donna?

È un periodo di avanzamenti. Il numero delle giornaliste televisive è in grande aumento


e ci sono serie televisive che fanno riferimento a figure femminili forti. Conduttrici e figure
che si ricavano una rispettabilità che dura in lungo periodo. Si ricavano un posto in un
giornalismo che rimane comunque una attività prevalentemente maschile e che prevede
una divisione di ruoli basata sul genere.

Molto spesso argomenti specifici di alcune notizie, vengono affidati in base al genere,
con una marginalizzazione delle donne in certi ruoli. Per esempio, chi annuncia le
previsioni del tempo.

Immagini femminili sono spesso legate nella tv degli anni 80 e successivo, ad una
componente erotica. C’è spesso una differenza con la TV delle origini, in cui c’erano
figure femminili stereotipate da un pudore democristiano (doppie calze delle gemelle
Keisler, Raffella Carrà con i balli) ma poi questa misura si allenta.

Il fatto che sempre più tv private e poi con concessioni fatte da Berlusconi ecc, le
immagini femminili sono sempre più erotizzate. Per esempio cambia anche
l’abbigliamento. Nelle tv private, si da molta importanza ai consumi e pubblicità; per
esempio la funzione e ruoli che rivestono le donne nei quiz televisivi e sempre più imitati
dalla Rai. È un andamento contradditorio da una parte dall’educazione e istruzione delle
donne che assumono nel lavoro e politica e dall’altro una merceficazione, erotizzazione,
del loro compito.

Sembra che nelle TV si voglia assecondare sempre di più uno sguardo di tipo maschile,
anche se, metà della platea e femminile e se le donne molto spesso non sono soddisfatte
di questa situazione.

Oltre al dato televisivo, sono questi i due decenni in cui il femminismo da altri frutti. Uno
è il settore del movimento omossessuale.

Sempre di più le lesbiche escono alla luce del sole; si organizzano prima in gruppi locali
e poi nazionali e portano avanti azione di protesta. Per esempio nel 1981 a Roma c’è un
incontro di protesta per l’arresto di due donne che si erano baciate in pubblico.

Negli anni 80, però, le lesbiche e i movimenti che creano, rimangono isolati. Alla fine
degli anni 80 invece, hanno un periodo di maggiore visibilità. È questo anche il periodo
in cui si realizzano anche le sezioni dell’arcigay che poi diventerà autonomo in
arcilesbico.

La tendenza è quella di uscire alla luce del sole. Un manifesto è l’organizzazione del gay
pride: il primo in Italia si terrà a Roma nel 1994 con tutte le polemiche che ne
conseguirono anche per la scelta della città.

Questa onda lunga colpisce le diverse zone di Italia con intensità diverse. C’è molta
differenza tra le regioni e città del nord, dove si sperimentano modelli di vita come quelli
europei e nord americani mentre al sud, dove molto è molto più duro a morire il
stereopito.

Tra le altri questioni importanti, vi è anche quello della politica e dei partiti politici:

il partito comunista italiano, dagli anni 80, comincia a prendere più sul serio le idee
femministe e i suoi dirigenti sono creatori di importante cose come la carta delle donne,
dalle donne la forza delle donne: documento scritto nell’86 che pone in rilievo la
rappresentanza degli ordini femminili. Il PC istituirà quote all’interno dei suoi organi
dirigenti che incremento anche le candidature: in questi anni il numero di donne elette
nel PC aumenta.

Anche il PSI (partito socialista), vara una politica simile a quella del PC, di apertura alle
idee dette. Si registra un forte incremento di presenza femminile nelle candidature e
partito.
Maggiore resistenza invece è fatta dalla democrazia cristiana, che vede una presenza
femminile nei suoi ranghi, ancora ridotta; si mantiene in linea con gli atteggiamenti e
posizioni che aveva assunto negli anni precedenti ma c’è una forte presenza delle iscritte
alla DC. Forse iscritte per convenienza perché poche rivestono posizioni nel partito e in
posizione di vertice.

Tangentopoli (1992) è l’evento di svolta, che porta alla fine della prima repubblica. Come
sopportano le donne che sono in politica, questo terremoto?

Le donne sono assenti da questi sistemi di corruzione pervasivo dentro la politica


italiana. Le donne sono assenti e c’è da chiedersi, per quale motivo sia accaduto. Da
un lato si può rilevare che esse non avevano posizione di tale rilievo per accendere a
questo sistema di corruzione o anche per una integrità politica e morale maggiore
rispetto a quella dei loro colleghi uomini.

Audio 2

Il 1994, vede la discesa in campo e la vittoria di un nuovo protagonista della scena


politica: Silvio Berlusconi.

Nuove donne appaiono sulla scena politica (Pivetti) che hanno spesso posizioni critiche
e di censura verso il femminismo, e che vengono da ambienti cattolici.

Nonostante ciò, si evidenzia una solidarietà femminile che riesce ancora ad adattarsi in
parlamento su temi condivisi o provvedimenti reputati urgenti. Anche donne di diverse
stazioni e posizioni, non messe nella scia dei movimenti, anzi, li abbiano anche
censurati, siano in grado di fare causa comune; ad esempio per la legge sullo stupro che
viene riformata nel 1996 da reato contro morale a reato contro la persona. Era questo
un significato passo avanti e atteso.

Va detto però, che il numero delle donne in parlamento, non è ancora alto. C’è un
aumento delle donne nelle istituzioni 8come nella camera dei deputati), ma nel 2006 si
arriva al 17,1% delle donne elette deputate e a 14% per le senatrici della repubblica;
quindi donne in posizione di minoranza rispetto agli uomini.

Va considerato che le donne cominciano ad assumere ruoli importanti anche all’interno


dei parlamenti: Susanna Agnelli per esempio riveste la carica di ministro degli esteri nel
95 e 96, però spesso hanno ministeri femminili, che vengono dati alle donne come
istruzione perché reputati più inclini ad essere amministrati da una donna.
Ministero per le pari opportunità: ministero nuovo istituito nel 1996 per cercare di
superare lo stato delle cose.

La presenza delle donne nei posti di governo e come rappresentanza parlamentare, sia
molto bassa perché il sistema elettorale non aiuta e anche poche donne sono ancora in
posizione di vertici tali, da lasciare la carriera politica o utilizzare la posizione per la
carriera stessa.

Permangono antichi pregiudizi e logiche maschiliste; la politica è ancora interpretata


come una attività maschile che è difficile da far conciliare con la famiglia, lavoro, trasferte
ecc.

Lavori della commissione per le pari opportunità: emergono dati interessanti.

Le riforme elettorali sono molte in questo periodo e anche questo non aiuta le elezioni
delle donne perché se da un lato tolgono le preferenze, si cerca di introdurre le quote
ovvero nel 93, con la legge Anselmi, si istituisce un meccanismo complicato che fa in
modo che ci siano quote riservate alle donne; è un principio che non viene condiviso
dalle donne stesse. Nel 1995, una sentenza dichiara illegittime queste quote. Il problema
dell’Italia in questi anni vede nelle posizioni più bassi in Europa per la parità di accesso
tra uomini e donne; si cerca di porvi rimedio con un mandamento alla costituzione nel
2003, che stabilisce di mettere in atto “appositi provvedimenti per promuovere
l’uguaglianza alla parità, l’accesso ai pubblici uffici e all’elezione”.

Una legge del 2012, promuove un ri equilibrio dei generi nelle giunte ed equilibri locali
cosi come nei consigli regionali per cercare di incrementare il numero delle donne che
partecipano alle giunte e ai consigli provinciali, regionali e comunali.

Campo dell’istruzione: in questo periodo, si registrano dati sempre più incoraggianti. Le


ragazze sorpassano i ragazzi nella scuola. Vi sono più iscritte e ottengono risultati
migliori nelle scuole secondarie. Nel 1992, si registra un superamento delle donne
rispetto alle iscrizioni maschili, ovvero, per la prima volta, sono più del 50% le donne
iscritte alla università e si laureano anche più donne con risultati migliori.

La crescita è maggiore nelle zone dell’Italia meridionale perché partivano da posizioni


inferiori.

Si registrano differenze nelle scelte degli indirizzi di studio: prevale ancora il fatto che i
maschi siano orientati per gli indirizzi tecnici, mentre le ragazze siano orientati a quelli
più generici. Anche se queste differenze negli anni 90 iniziano a diventare meno nette;
anche nella scelta delle facoltà (per esempio pregiudizio dei maschi che si devono
dedicare all’ambito scientifico e le ragazze all’ambito umanistico sociale).

L’aumento dell’istruzione non determina però, un avanzamento nei livelli di occupazione


quindi, un numero maggiore di donne che concludono gli studi, non significa numero
maggiore di donne occupate e in posizioni corrispondenti al titolo di studio raggiunto.

L’istruzione infatti è solo uno dei fattori in campo da considerare, perché contano anche
gli altri per assicurare un lavoro alle donne a seconda del loro lavoro: conta la sua
posizione sociale, il reddito proprio e della famiglia, la regione, la provenienza da zone
di periferia e città.

Il tema del lavoro subisce un cambiamento. In questi anni viene archiviata l’idea che il
ruolo della donna sia solo quella di madre e casalinga. Quella della doppia presenza
della donna nell’ambito lavorativo e famigliare viene sdoganato: i ruoli famigliari lavorativi
sono sempre di più parte integrante dell’identità femminile; la maternità non è e non deve
essere incompatibile con il lavoro.

La crescita del lavoro femminile era cominciata negli anni 70. Nel 2001, avremmo però
solo il 37% delle donne occupate; è un passo avanti ovviamente. Nel nord si registravano
percentuali più elevate ma molto più bassa rispetto ad altri paesi europei.

I livelli di occupazione variano a seconda di fattori diversi: conta l’istruzione, la regione,


lo stato civile, conta l’ambizione ma si marcano e si differenziano ancora di più,
differenze tra nord e sud del paese, oltre a il riferimento culturale poiché i livelli di
occupazione cambiano e si appiattiscono anche a seconda del livello culturale.

Sempre più mogli con figli lavorano, quindi abbiamo un superamento del modello che si
lavora fino a quando si è nubili o con primo figlio. Vengono introdotte nuove norme sulla
parità ispirate e con direttive che provengono dalla comunità economica europea.

A partire dal 1993, con il governo di Cracsi, c’è la creazione di comitati che hanno scopo
di proporre leggi, dare consulenza al governo e operare come mediazione.

Viene creato il comitato nazionale per le pari opportunità nel ministero del lavoro e poi
c’è la costituzione della commissione nazionale per le pari opportunità presso la
presidenza del ministro.

Dall’84, c’è un consigliere per la parità nelle commissioni regionali per l’impiego e parità.

Cominciano a strutturarsi strutture che cercano di mettere ordine e considerare sempre


la questione della paritá: una questione da non lasciare mai sulla carta ma alla quale
dare applicazione.
Uno dei risultati portati avanti è la legge sulle azioni positive del 1991: una legge che
desiderava eliminare le discriminazioni dirette ed indirette sul luogo di lavoro, per favorire
l’occupazione femminile e portare avanti l’uguaglianza tra i due generi in ambito
lavorativo. Eliminare gli ostacoli con azioni positive, organizzare il lavoro per permetterlo
di farlo coincidere con le esigenze famigliari. Una legge con buoni propositi ma inefficace
perché fu rose obbligatoria nel pubblico ma facoltativa in ambito privato.

La maggiore occupazione che si registra è dovuta anche da mutamenti culturali: da un


lato il desiderio delle donne di emanciparsi e progredire con il lavoro e dall’altro il
desiderio di non limitare il proprio orizzonte.

Contribuiscono anche ad una maggiore occupazione in questi anni, l’espansione di due


ambiti lavorativi: terziario e sistema delle scuole materne che da lavoro a molte donne.

Tuttavia persiste una segregazione di genere nel mercato del lavoro. Le donne si fanno
strada in lavori inediti per loro come pilota di aerei, ma gran parte rimane legata ai lavori
e ambiti lavorativi tradizionali.

La maggior parte dell’aumento dell’occupazione femminile è assorbita dalla pubblica


amministrazione e commercio. Nel 2000 per la prima volta le donne sono maggiori nella
pubblica amministrazione.

l’insegnamento subisce una ulteriore femminilizzazione. Nell’89, l’89% delle maestre è


donna. Va rilevato che poche sono le presidi o docenti universitarie.

Molte donne hanno lavori autonomi o gestiscono piccole imprese molto spesso per la
flessibilità di questo lavoro.

Si varano leggi a sostegno di queste imprese.

Nella terza Italia (regione nord-est), le donne assumono anche ruoli importanti come
lavoratrici ed imprenditrici. Il nord est vede tassi di occupazione superiori alla media,
anche in riferimento alle piccole impresi e reti che le sostengono.

Maggiore occupazione è data anche dai passi avanti fatte nelle libere professioni, per
donne medico, magistrato, giornalista.

Nel 2000 c’è un altro aspetto che riguarda l’amissione delle donne nelle forze armate:
vera rivoluzione. La leva si conclude nel 2005 e l’esercito ammette le donne; prima, con
il vincolo del nubilato che poi viene tolto.

L’unica professione che rimane esclusa ancora alle donne, è quella ecclesiastica.
Alla fine del secolo, le posizioni elevate e di prestigio sono assunte ancora dagli uomini
e molto spesso le donne sono nelle posizioni medio basse; pesano ancora i pregiudizi,
ma anche le difficoltà a conciliare in maniera efficace lavoro con la famiglia.

L’Italia, è comunque indietro in questi ultimi decenni del 900, rispetto alle altre nazioni
europee. Un 37% nella metà degli anni 90 è occupata mentre la media europea è intorno
al 50%.

Per quali motivi in Italia si registrano posizioni così basse?

Ci sono ancora molte casalinghe, soprattutto nel sud Italia, legato anche ad un tasso di
disoccupazione. Rimangono ancora discriminazioni nonostante le leggi.

La mancata occupazione dipende anche dal fatto che pochi posti di lavoro part time sono
disponibili. La nuova legislazione sulla flessibilità del mercato di lavoro non aiuta e spinge
le donne ad una economia bassa.

Sono gli anni in cui si inventano i contratti a chiamata e progetto e questo non aiuta le
donne e riduce a poche tutele. Crea anche una economia sommersa: lavori per
tamponare situazioni di difficoltà dovuti alla perdita di lavoro. Incidono anche le conquiste
sindacali che rivendicavano il ruolo della donna e uomo: perché accade spesso, che è
meno conveniente assumere le donne per il pensionamento a 55 anni e maternità.

La limitata presenza dei servizi sociali dello stato non aiuta e molto spesso questi sono
scarsi e poco uniformi e le donne hanno ruolo di supplenza che le porta ad abbandonare
al lavoro per assistere i malati e anziani.

Si può parlare anche di tripla presenza: lavoro, famiglia, assistenza di malati-anziani.

C’è un ritorno di lavoratrici domestiche, attività che si pensava dovesse scomparire.


Sembra sia maggiore in Italia rispetto ad altri paesi europei; non sono coabitanti e sono
assunte a compiti di assistenza per anziani o disabili.

Audio 3

Un altro elemento di novità del 20 secolo, riguarda anche le donne immigrate. L’Italia
infatti diventa un paese di migrazione negli ultimi 25 anni del 900 e gli immigrati scelgono
il nostro paese per ragioni differenti: storiche, religiose, benessere e forma economica;
anche perché c’è mancanza di controlli e di flussi. L’Italia ha anche forme di sfruttamento
e si sfruttano persone provenienti da paesi concreti per fare svolgere lavori come
l’agricoltura per esempio.
L’immigrazione in Italia, è connotata molto dal punto di vista di genere: è tipicamente
maschile dai paesi africani e musulmani e femminile dai paesi cattolici e colonie italiane.

Dal 1965 all’85, le donne sono circa la metà degli immigrati ma poi questo dato è
destinato a ridursi. Ci sono anche modelli che portano ad una immigrazione diverse: le
donne possono emigrare da sole (quelle che vanno a fare lavori domestici) o donne che
seguono il marito. Dal 1986, c’è una legge sul ricongiungimento familiare.

Le condizioni delle donne che emigrano, molto spesso sono difficili; vi sono forme gravi
di razzismo, scarsa retribuzione, impreparazione e mancanza di alloggi che portano ad
isolamento sociale e povertà anche perché spesso i pochi soldi guadagnati vengono
spediti ai paesi di origine.

Particolarmente vulnerabili sono le donne che giungono in Italia prive di documenti e che
spesso sono aiutate da enti come la caritas.

Condizioni peggiori si rilevano per i primi arrivi; progressivamente invece c’è la possibilità
di ricongiungimenti familiari e creazione di strutture interne.

In Italia, per le donne immigrate, il lavoro domestico è la principale occupazione mentre


gli uomini fanno lavori diversi; questo vale anche per le donne che hanno un livello di
istruzione alto. Per le donne straniere, realizzare la doppia presenza è molto complesso;
ancora di più se abitano nella famiglia in cui lavorano o se lasciano figli nel loro paese di
origine.

Il ruolo di coabitante sostituisce quello di madre del loro paese di origine, creando anche
equilibri abbastanza complessi. L’attività di queste donne che lavorano, non ha una
spinta all’emancipazione, anche se godono di maggiore considerazione del loro paese.

In Italia c’è una forte richiesta di lavoratrici domestiche, spesso coabitanti però, più
essere interpretata come un indice di un modello di emancipazione italiana con
contraddizioni: se per una donna italiana, avere una collaboratrice domestica può
rappresentare un elemento di emancipazione perché le può permettere di dedicarsi
anche al suo lavoro e altro, il lavoro della lavoratrice non assume carattere di
emancipazione perché le condizioni sono differente.

Un forte gruppo di donne emigrate è sfruttata nel traffico e attività della prostituzione.
Verso la fine dello scorso secolo, le prostitute italiane sono in calo e sono sostituite da
un esercito di donne straniere giovani e spesso vulnerabili.

Alcune emigrano da sole e lavorano in modo autonomo ma la maggior parte sono donne
vittime, ingannate e costrette a lasciare il loro paese e ridotte in schiavitù. Tra le varie
nazionalità che subiscono questo crimine sono nigeriane e albanesi che vivono in una
condizione degradata.

Non abbiamo dati precisi su questo fenomeno anche per l’illegalità però si tratta di donne
che magari si affrancano dalla prostituzione ma diventano sfruttratrici o che si occupano
di reclutare altre donne; questo genera un dibattito su come risolvere questo problema.
Una soluzione non c’è ma ci sono posizioni che spesso hanno una forte impronta
ideologica e c’è una mancata volontà politica di procedere.

Un altro aspetto è la famiglia e demografia: la famiglia è un elemento identificativo molto


forte nella cultura Italiana, per la poca protezione offerta dallo stato, anche grazie a
piccole imprese. Viene data importanza ancora in questo periodo, al matrimonio.

Verso la fine del secolo, pochi pensano alla convivenza come alternativa al matrimonio;
convivono persone divorziate o separate ma il tasso di divorzio è inferiore agli altri paesi.

La maggior parte dei figli nasce ancora nel matrimonio. Anche la famiglia italiana è al
centro di molti cambiamenti e viene condizionata dal declino del tasso di natalità che
raggiunge la crescita 0, anzi va sotto 0. Aumenta l’aspettativa di vita e si realizza
l’invecchiamento della popolazione (ancora evidente) e il ruolo degli anziani che aiutano
nell’educazione dei figli.

I giovani rimangono sempre di più con i genitori, spesso se ne vanno di casa con il
matrimonio, c’è un attaccamento emotivo ma anche aiuti finanziari. C’è un indebolimento
dell’autorità paterna.

L’idea di una famiglia patriarcale e autoritaria è in discesa e mette anche in discussione


il ruolo dei padri che talvolta rimane ambivalente; molto spesso le famiglie si reggono sul
ruolo di super madre, impegnata con lavoro e famiglia.

In aumento sono anche nelle famiglie che a causa del divorzio hanno un solo genitore.
Comunque, c’è una propensione di rinviare a più tardi il matrimonio, a fare figli più tardi.

Da questi anni si inizia ad improntare anche un movimento omosessuale che inizia a far
pensare a quelli che sono i diritti giuridici delle coppie di fatto e si inizia a formulare
proposte per inquadrare le coppie civili; tentativi falliti anche nei due decenni successivi.

Arrivano anche le questioni bioetiche: il fatto che c’è un vuoto legislativo che in tema di
procreazione all’inzio degli anni 2000, concede speculazioni sulla gravidanza che
saranno oggetto di apposite leggi. Nel 2004 c’è la legge che da la fecondazione alle
donne di sesso diverso maggiorenni coniugate in età fertile, ponendo un termine ad una
serie di sperimentazioni e alternative.
Rimane la predominanza delle famiglie nucleari anche se i legami di parentela sono
molto forti, per esempio, rimane in questo periodo, l’atteggiamento di crearsi una famiglia
vicino al ruolo di residenza dei padri e madri o parenti.

La maternità è ancora un aspetto centrale della vita delle donne. Tuttavia questo calo
della maternità, ha conseguenze di lungo periodo. Le donne scelgono di fare meno figli
e hanno un ruolo gli anticoncettruali e l’educazione. C’è anche voglia di doppia presenza
quindi emancipazione.

Nella scelta delle donne generali di fare figli, anche la situazione economica del lavoro
che c’è e non c’è sposta tutto in avanti. C’è difficoltà anche a conciliare lavoro con la
cura dei figli, per gli orari di scuole ecc.

In questi anni, nella società Italiana, i bambini sono molto amati; i figli sono però pochi,
circa 1 o 2 figli per famiglia. I genitori italiani sono quelli che spendono di più in europa
per i propri figli. Si avverte un cambiamento lento ma costante nel ruolo dei padri che
lentamente prendono permessi, aiutano nelle faccende domestiche.

Quello dei lavori in casa forse è uno degli aspetti che lega le responsabilità dell’uomo
perché i lavori in casa sono concepiti come lavori che devono fare le donne e anche
l’accudimento di figli e figlie. Di solito il padre, sostiene consapevolmente il carico del
lavoro e partecipa poco alle attività domestiche, anche quando è disoccupato. Le donne
invece sono piene di lavoro.

In questo periodo pochi uomini vivono da soli e molte donne accettano questa situazione
come un fatto inevitabile.

Quali sono le politiche che il governo vara per sostenere le famiglie e il calo di natalità?

Abbassa priorità e pochi fondi. Un problema che scompare sempre nell’agenda politica.

Le linee attuate dai vari governi sono spesso ambigue; vengono incrementati gli assegni
familiari basati sul reddito. La rete degli asili nido è carente e privata.

Un nuovo impulso è dato nel 1996 con la vittoria del governo di centro sinistra, quando
vengono attuate riforme per la detrazione dei figli a carico, assegni per coppie giovani,
assegni familiari, ecc… operazioni che portano il sigillo della ministra Livia Turco e che
volevano dare la possibilità alle donne e alle giovani coppie di fare figli. Molte sono, le
contraddizioni che si possono rilevare e sono dovute al fatto che la società italiana è un
intreccio di modernità e tradizione. Abbiamo avuto una modernizzazione così rapida, che
molti elementi tradizionali sono rimasti intatti. La famiglia è molto forte, con due figli che
mangiano insieme è rimasto in vigore. Poche erano le famiglie con un solo genitore e gli
anziani potevano rimanere a casa per essere assistiti. Questo sistema crea opportunità
ma anche costrizioni. Emancipazione parziale delle donne in questo periodo, che arriva
a maturazione parziale in questi due ultimi decenni del 900.

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Il 900 è stato un secolo di grandi trasformazioni. Per le donne ha rappresentato


mutamenti nell’ambito giuridico, diritti, voto, possibilità di essere elette ma anche cultura,
società, economia, campo lavorativo, costume e famiglia.

Queste trasformazioni si sono articolate attraverso diverse figure femminili presenti nella
storia italiana; all’inizio del secolo troviamo donne in posizione subordinata anche
giuridicamente anche con numerose restrizioni. Una occupazione femminile diffusa ma
la donna vista soprattutto come donna madre: una limitata emancipazione.

Negli anni 2000, l’Italia è una nazione prospera, prevalentemente urbana e con un tasso
di crescita tra i più bassi al mondo. Troviamo donne libere, una identità femminile
trasformata sia per le aspettative e opportunità. Si registra un avanzamento nel campo
del lavoro ed istruzione. Sono stati eliminati tutti gli ostacoli giuridici presenti. Sono mutati
gli atteggiamenti riguardo la sessualità e i comportamenti delle donne.

L’aspirazione delle donne non è solo la maternità ma la doppia presenza. È avvenuto


anche un mutamento negli aspetti della famiglia che ha dato un ruolo sempre più
importante alla donna. Tutto questo ha un forte impatto sulla società e sui ruoli di genere
che dipende da molti fattori diversi. Contano i tempi, le cesure del 900, fascismo, guerre
e boom economico; anche se non sempre le tappe della storia di genere corrispondono
ai periodi generali. Va rilevato che i molteplici sistemi politici, creano insieme vantaggi e
problemi alle donne.

Gli aspetti politici del 900, la politica forza il cambiamento nel cambiamento di genere e
le donne entrano sempre di più nella politica. Inoltre il fattore economico è molto
importante; la differenza nei diversi periodi con crescita economica che parte tardi
rispetto ad altri paesi. Un impatto ha anche la chiesa e la secolarizzazione, anche se la
chiesa ha un atteggiamento tenace. Importanti sono gli stimoli provenienti dall’estero
(giornali, riviste, comunità europea). Pesa anche il fatto che le donne diventano agenti
di cambiamento e hanno lottato molto per conquistare la parità che hanno ottenuto. È
evidente la lotta dei vari movimento femministi e il loro attivismo. È evidente il loro
costante impegno nonostante tutte le difficoltà che hanno dovuto affrontare. Queste
conquiste hanno visto momento lunghi e unione di varie generazioni per attuare il
cambiamento. Non si è trattato di un processo con sviluppo lineare; per esempio il lavoro
con le donne: nonostante l’apertura al progresso, la tipizzazione sessuale ha
caratterizzato il mercato del lavoro per tutto il secolo. Bisogna anche pensare al
significato attribuito al lavoro delle donne; un altro fattore è tenere conto della
articolazione delle conquiste: in quale modo, dove e per quanto si sono radiche sul
territorio, tenendo presente la diversità delle regioni, grado sociale, condizioni
economiche ecc.

Alcuni elementi di continuità che in questo percorso fanno le donne e che attraversano
tutto il 900 sono:

da un lato la famiglia, che tiene ai diversi mutamento, anche al divorzio. Dall’altro il


controllo sul controllo delle nascite; momento in cui le donne hanno cercato di controllare
la loro fertilità dei loro corpi. Ci sono ancora disuguaglianze, la famiglia patriarcale
tramonta ma la divisione dei ruoli nelle famiglie non cambia.

Inoltre, quanto sono cambiati gli uomini? Anche nei loro colleghi dei paesi nord europei?
Quanta parte hanno in questo?

Interessanti sono le immagini dei maschi viziati.

Per una sintesi ci si affida alle parole di Luisa Passerini: “ le donne sono diventate più
visibili in una pluralità di luoghi e situazioni. E più visibili le une alle altre. Ciò nonostante,
l’Italia rimane un paese nel quale le relazioni di genere spesso sono ancora fondate in
un maschilismo implicito, antiquato, velato o palese. Questo maschilismo perpetua le
vecchie tradizioni e ne inventa di nuove”.

Rimango infatti disuguaglianze in ambito politico; fanno fatica le donne a ricavarsi un


ruolo di primo piano e se lo ricavano sono poche rispetto agli uomini che hanno lo stesso
ruolo. Importante è anche lo stereopito che molto spesso le donne continuano ad avere
nei media: per esempio ballerine e figure già citate al fine del secolo e se le loro
rappresentazioni siano davvero emancipazione e progresso.

Uno dei problemi non risolto o meglio, in parte, riguarda conciliare maternità e vita
professionale.

Tutte queste contradizioni vanno messe in una prospettiva di un indubbio miglioramento


della condizione della donna dal 900 agli anni 2000: tutto grazie alle donne stesse, in un
affascinante intreccio tra elementi di modernità ed elementi di tradizione.

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