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PRONTO SOCCORSO

Alcuni pronti soccorsi nell’attesa del medico

Può capitare di dover prestare le prime cure ad una persona ferita o svenuta, o asfissiata, o colta, insomma, da una di
quelle disgrazie che sono proprio le ultime ad essere previste, e che possono, purtroppo, capitare da un momento
all’altro.
Nell’attesa del medico, che sarà chiamato immediatamente, per quanto reso possibile dalla situazione, bisogna fare
qualcosa noi, con calma, senza affanni e con padronanza di sé, utilizzando anche ciò che l’ambiente circostante può
offrire.

Abrasioni

Le abrasioni sono semplici lacerazioni della pelle, che però se trascurate, potrebbero talvolta dare luogo ad un’infezione.
Vanno perciò trattate con acqua ossigenata e asciugate con acqua sterile o del buon disinfettante. Per maggior prudenza,
si cospargono di polvere sulfamidica e, poi, si coprono con garza sterile e si fasciano leggermente.

Avvelenamento

Dell’avvelenamento, non sempre si conosce la natura del veleno. La prima cosa da fare è provocare il vomito più
rapidamente e abbondantemente possibile. Così quando una persona crede di avere del veleno nello stomaco deve
affrettarsi a inghiottire una gran quantità d’acqua, preferibilmente tiepida, dentro di cui si può mettere un po’ d’olio
d’oliva o sciogliere un pizzico di senapa. Quando lo stomaco n’è ben pieno, si solletica la gola con un dito o con la barba
d’una penna di pollo (o altro uccello) che, se l’avvelenato rifiuta d’aprire bocca, s’introduce giù per le narici, fino in
fondo. Questa operazione si può ripetere alcune volte fino a quando lo stomaco sarà sbarazzato: allora si somministra
quello dei contro veleni che il medico indicherà.

Asfissia

E’ la sospensione della respirazione, della sensibilità e del movimento. Può avere diverse cause: aria viziata o gas deleteri,
soffocazione per compressione, strangolamento, sommersione.
Qualunque ne sia la causa, è necessari ristabilire prontamente la respirazione, sia con trazioni automatiche della lingua,
sia con la manovra delle braccia, sia con l’insufflazione. Giova anche l’ossigeno, se a portata di mano.

Se l’asfissia deriva da annegamento, in seguito a malore in acqua, per imprudenza o perché non si è capaci di nuotare,
all’annegato, tratto fuori dell’acqua, rapidamente, vanno tolti i vestiti, tagliandoli ove occorra. Pur avendo perso
conoscenza, presenterà ancora movimenti respiratori, il polso e i battiti cardiaci saranno ancora apprezzabili, anche se
frequenti e poco intensi. L’annegamento impedisce all’apparato respiratorio intasato dall’acqua oppure ostacolato da
spasmi delle corde vocali o della laringe di ossigenare il sangue, potendo danneggiare i centri nervosi vitali e organi
importanti come cuore e reni.
Se le difficoltà di respirazione sono notevoli e l’individuo ha ingerito molta acqua, è necessario provocare prima di tutto
la fuoriuscita del liquido accumulatosi nei polmoni. Successivamente si potrà praticare la respirazione “bocca a bocca” e
si inizierà la cosiddetta respirazione meccanica, che, attraverso ritmici movimenti delle braccia, consentirà di dilatare la
cassa toracica a intervalli regolari, affinché l’acqua sia espulsa dai polmoni. Per fare ciò l’annegato va subito posto in
posizione obbligata con la testa rivolta verso il basso e le gambe verso l’alto; in questo modo l’acqua ingerita potrà
defluire. Tutte le manovre citate vanno ripetute per molto tempo, fino a che il paziente riprende a respirare o nella attesa di
soccorsi qualificati. Se il polso e battiti cardiaci sono assenti (stato di estrema gravità) giova procedere al massaggio
cardiaco esterno oltre alla respirazione artificiale. Questa manovra si attua comprimendo ripetutamente e ritmicamente lo
sterno (parte anteriore del torace) al fine di sollecitare il cuore a pompare il sangue che così, anche se poco ossigenato,
continuerà a circolare. Andrà, contemporaneamente chiamata un’ambulanza attrezzata per trasportare l’annegato al più
vicino ospedale. Nel frattempo, si avviluppa l’annegato in una coperta ben calda, gli si riscalda il corpo con bottiglie
d’acqua bollente, frizionando gambe e braccia con flanelle inzuppate di canfora o acquavite. Se la pelle resta fredda, può
essere immerso in un bagno scaldato a 32° ma soltanto dopo ch’egli abbia cominciato a respirare.

Se la causa dell’asfissia sono gas non respirabili, provenienti da dalla combustione del carbone e simili, bisognerà
esporre il malcapitato, rapidamente, all’aria aperta o aprire le finestre e quant’altro, poi posarlo sul letto. Può servire farli
annusare (non tenendo la bottiglietta troppo accosta al naso) essenze forti - anche cospargendogli il viso - come l’aceto
o l’acquavite o ammoniaca, frizionandogli il petto con le stesse essenze imbevute su una flanella. Quando il caso è molto
grave si applica l’insufflazione, non tralasciando le frizioni.

Nell’asfissia dovuta al caldo e al colpo di sole, si trasporta il malato in un luogo fresco riparato dal sole. Il colpo di calore
è un disturbo dovuto a un’alterazione dei centri che regolano la nostra temperatura corporea. E’ caratterizzato dalla
comparsa di torpore psichico o improvvisa perdita di coscienza, con febbre molto elevata e assenza di sudorazione. Il
malessere è preceduto da segni premonitori come mal di testa, vertigini, nausea e disturbi visivi. La pelle è assai calda,
secca, il polso è molto piccolo e frequente, la pressione del sangue bassa. La temperatura corporea è molto elevata, le
labbra e la lingua sono aride e screpolate, la mancanza di salivazione è quasi totale. In contrazioni gravi possono inoltre
comparire contrazioni muscolari involontarie. La prolungata esposizione all’azione dei raggi solari, la permanenza in
ambienti molto caldi con un’elevata percentuale di umidità nell’aria provocano dapprima un superlavoro dei centri
nervosi regolatori e, successivamente, la loro alterazione con la conseguente incapacità ad abbassare la temperatura
corporea: fortunatamente, in molti casi, non si arriva alla perdita di coscienza e i disturbi sono limitati a mal di testa,
nausea, febbre elevata. I soggetti più esposti al colpo di sole sono gli anziani e i bambini.
Come soccorso immediato, gli si slacciano i vestiti, gli si immergono i piedi in acqua calda cui si è mescolato del sale o
dell’aceto, gli si applicano sulla fronte e sulle tempie impacchi o compresse di acqua fredda e rinfrescando con una buona
ventilazione il resto del corpo, dopo averlo spruzzato con acqua. La temperatura corporea non va, in ogni modo,
diminuita troppo rapidamente, ma lentamente per evitare uno shock termico. Le mani e i piedi vanno massaggiate per
riattivare la circolazione. Nelle situazioni più gravi deve essere richiesto urgentemente il ricovero ospedaliero.
Come prevenzione, evitare di esporsi eccessivamente al caldo, usare copricapo larghi, bagnare frequentemente i capelli
con acqua fresca se il sole è cocente. Bere liquidi (acqua, tè, ecc.) se la sudorazione è abbondante, mangiare qualche
grano di sale da cucina. Se si è convalescenti e si ha una certa età è necessario ripararsi accuratamente dal sole. Le
giornate più pericolose sono quelle di afa.

L’asfissiato per il freddo, o per congelamento, non si cura, come si potrebbe istintivamente pensare, creando una
repentina reazione di calore. Bisogna, invece, trasportarlo in un luogo senza fuoco, applicargli compresse fredde, fargli
energiche frizioni su tutte le membra, se possibile con la neve o con panni inzuppati in acqua fredda.
In conseguenza alla prolungata permanenza in ambienti dove la temperatura è molto bassa, senza un adeguato
abbigliamento, compare dapprima un rossore molto vivo e successivamente un rigonfiamento delle parti colpite dal gelo;
in seguito si avverte un dolore bruciante. Il protrarsi dell’esposizione al freddo e la permanenza in ambiente gelido
causano la formazione di ulcerazioni dalle quali fuoriesce del liquido sieroso. Con il passare del tempo, la parte colpita va
in necrosi e si verifica il distacco di brandelli di tessuto. Il gelo può colpire indifferentemente le orecchie, il naso, gli arti
superiori e inferiori: generalmente però sono questi ultimi i più esposti.
Le basse temperature provocano alterazioni della circolazione sanguigna. Si ha dapprima una vasocostrizione con
diminuzione dell’afflusso del sangue nella parte interessata (ischemia); a questa situazione segue una vasoparalisi che è
responsabile dell’intenso rossore (eritema); si giunge poi alle ulcerazioni e alla produzione di essudato e, infine, i tessuti
malnutriti si alterano e finiscono col morire distaccandosi (necrosi). La persona avverte inizialmente la sensazione che la
parte colpita sia come morta; se si sono congelati gli arti inferiori è impossibilitata a mantenere la posizione eretta e a
camminare. Quando il paziente è soccorso in tempo si può arrestare il processo di congelamento riscaldando lentamente
la parte colpita in una vasca piena d’acqua, iniziando da sei – sette gradi centigradi e successivamente aumentando la
temperatura fino a circa quaranta gradi. La persona va subito ricoverata in ospedale se la circolazione non si riattiva, per
la somministrazione di sostanze vasodilatatorie atte cioè a provocare una dilatazione dei vasi.
Quando la respirazione, la circolazione e il calore si saranno un po’ ristabiliti, nella attesa di soccorso attrezzato, si
trasporterà il malato in una camera non riscaldata, si metterà in un letto che abbia la temperatura simile a quella del corpo,
si coprirà con coperte leggere. Se può inghiottire, gli si farà bere qualche cucchiaio d’acqua fredda contenente poche
gocce di melissa, di cognac o di acquavite.
Le persone affette da disturbi della circolazione arteriosa periferica devono assolutamente evitare di esporsi per molto
tempo a basse temperature o, qualora questo evento si verifichi, badare a proteggere in modo particolare gli arti inferiori.
Ai primi disturbi (rossore, rigonfiamento e dolori brucianti), bisogna abbandonare subito l’ambiente freddo.

Bruciature

Possono essere più o meno gravi. Le più frequenti sono quelle causate dalla fiamma, dal forno o dall’acqua bollente; ma
non bisogna dimenticare il sole (scottature e ustioni estive) né le sostanze chimiche.
Sono un evento molto frequente nei bambini che incautamente si avvicinano alla fiamma o, per scarsa attenzione dei
genitori, si rovesciano addosso acqua bollente o toccano fornelli. La parte si arrossa, il calore elevato provoca uno
scompaginamento dei tessuti con la morte degli strati superficiali e una raccolta, al di sotto della parte bruciata, di
materiale liquido che, aumentando, da origine alle caratteristiche bolle. La crosta, che di seguito compare, tende a
staccarsi dopo il decimo giorno. Il dolore è intenso, e provoca grave malessere quando l’estensione è ampia. Si parla di
ustioni di primo, secondo e terzo grado a seconda che interessino gli strati superficiali o profondi della pelle. Le
bruciature sono lievi quando riguardano meno del 15% della superficie del corpo; di media gravità quando concernono il
15 – 30 %; gravi quando si oltrepassa il 30 %.
E’ preferibile evitare di ricoprire le bruciature quando sono leggere e non molto ampie. Vale la pena, in questo caso, di
lasciarle respirare all’aria. L’applicazione di sostanze oleose (olio d’oliva) o unguenti opportuni può essere utile per
rendere morbidi i tessuti. In circostanze particolari si applicano pomate contenenti, tra l’altro, una piccola percentuale
d’anestetico che lenisce il dolore. Non si tratta mai una scottatura con acqua.
Non applicate oli o unguenti grassi su bruciature estese o profonde. Tali grassi dovrebbero poi essere detersi a prezzo di
forti dolori e di ulteriori choc, prima di iniziare il trattamento medico della piaga.
Se la bruciatura è responsabile di un’abbondante perdita di pelle, è necessario ricorrere a un medico, che potrà giudicare
se è opportuno o meno applicare garze. Non strappate dalla parte offesa brandelli d’indumenti bruciacchiati. La più
appropriata misura d’emergenza consiste nell’applicare sulla ferita una garza o una tela fresca di bucato (mai cotone
idrofilo né tanto meno tessuto sintetico) imbevuta in una soluzione tiepida di bicarbonato di sodio.

Contusioni articolari

Nelle articolazioni (in genere quelle grosse: ginocchia, gomiti, spalla, anca, caviglia), in seguito a colpi, si verifica un
immediato gonfiore che causa forte dolore e l’impossibilità di compiere certi movimenti. La parte danneggiata si presenta
lucida, la pelle può essere arrossata; la palpazione dell’articolazione provoca un vivo dolore e spesso è impossibile
camminare e mantenere la posizione eretta. Se il colpo è stato molto forte, possono anche comparire sotto pelle delle
soffusioni emorragiche (ecchimosi) con febbre elevata. Il colpo provoca una rottura dei vasi linfatici o dei capillari
sanguigni sottopelle cui conseguono il gonfiore e il dolore. Ci può essere anche un versamento di liquido sieroso e
sangue nella cavità articolare che, dolentissima, finisce col bloccarsi (blocco articolare).
Possono associarsi a questi guai fratture dei capi articolari con raccolta di sangue nell’articolazione. Se il danno non si
risolve in breve tempo, spontaneamente o in seguito ai medicamenti somministrati, l’articolazione può andare incontro a
un’infiammazione artritica con disturbi che si ripercuoteranno anche dopo la scomparsa dei sintomi descritti.
Se alla contusione è associata una ferita può insorgere un’infezione.
In attesa di indagine clinica ed eventuali esami radiografici (eseguiti controllando attentamente la zona colpita onde
escludere la presenza di lesioni delle parti ossee) usare compresse d’acqua ben fredda, spray a uso sportivo (detergente
igienizzante e desensibilizzante per ipotermia a base di ticarcillina e acido clavulanico), rinnovati frequentemente. Qualora
vi fossero distorsioni o fratture andrebbero subito sistemate da un medico ortopedico (bendaggi, gessati, tutori o altro).

Contusioni del testicolo

Viene anche definita, impropriamente, orchite traumatica. Si verifica in conseguenza a colpi accidentali o provocati
volontariamente che causano dolore molto vivo alla parte con conseguente rigonfiamento ed ecchimosi dello scroto (in
altre parole il “sacchetto” contenente i testicoli diventa grosso e violaceo). Se il colpo è stato molto forte ci possono
essere anche ferite con sanguinamento della pelle che possono infettarsi e riempirsi di pus. Talora compare anche febbre
più o meno elevata e il paziente avverte dolori al pene nel momento della minzione, cioè durante l’emissione di urine.
Se il colpo è stato molto forte ci può essere inoltre l’emissione di sangue dal pene che può fuoriuscire solo o frammisto
alle urine (quando il trauma provoca anche la rottura dell’uretra). In alcuni casi molto gravi la contusione può anche
provocare la frattura delle ossa vicine (pube). Frequentemente è pure la sovrapposizione di processi infettivi interni che
possono anche diffondersi all’intero testicolo con il pericolo di una sua compromissione definitiva.
Durante alcune attività sportive (hockey su ghiaccio, rugby, pugilato, lotta greco-romana, arti marziali) sarà necessaria
una corretta protezione dello scroto con apposite coppe rigide o di cuoio; in auto usare sempre la cintura di sicurezza.
La cura prevede un necessario riposo a letto; lo scroto deve essere sollevato mediante l’uso di un sospensorio ed è bene
tenere una borsa di ghiaccio sulla parte per un lungo periodo (anche più di 24 ore). Questa pratica è vantaggiosa sia per
ridurre il dolore sia per sgonfiare la parte tumefatta. Può essere, inoltre, utile la somministrazione di antibiotici per via
generale allo scopo di evitare delle complicazioni infettive che sono molto frequenti e pomate decongestionanti locali. Il
dolore deve essere sedato, oltre che con il ghiaccio e il riposo, con l’uso di sostanze antidolorifiche da somministrare per
via intramuscolare, endovenosa o orale.

Corpi estranei
I corpi estranei, se penetrati nella pelle (una scheggia di legno, un ago, una spina) cercate di allontanarli con molta
prudenza, disinfettando con alcool. Altri (una lisca, un fagiolo, un ossicino) possono entrare nella gola; e allora si
provoca il vomito introducendo una piuma: mai un dito, perché si rischierebbe di cacciare più addentro il corpo estraneo.
L’occhio può essere aggredito da pulviscolo o da un insetto. Con l’indice ed il pollice, si abbassa quanto è possibile la
palpebra superiore, e si mantiene così qualche attimo; appena si lascia, dall’occhio, con le lacrime, esce quasi sempre il
pulviscolo noioso e irritante. Ma non si deve tentare altro, non irritare con corpi duri, usare del buon collirio e,
eventualmente, rivolgersi al medico.

Corpi estranei nel naso

In seguito all’introduzione accidentale o volontaria di corpi estranei si avverte dolore alle narici, al naso e alla parte
anteriore del volto. I corpi estranei provocano l’ostruzione delle fosse nasali e, successivamente, l’infezione delle stesse
con comparsa di abbondanti secrezioni dalla parte più colpita e, a volte, la presenza di pus. Le secrezioni possono avere
odore sgradevole; in alcuni casi può comparire febbre più o meno elevata e la faccia può presentarsi alquanto gonfia
intorno alla zona infetta.
Accadde spesso che i bambini, particolarmente attratti dal volto e dai suoi orifizi durante l’esplorazione manuale del
proprio corpo, introducano nel naso oggetti di ogni genere; possono essere granelli di sabbia, terriccio, chicchi di grano
o riso, perline di plastica o vetro: la loro varietà è limitata solo dalla dimensione delle narici.
Questi corpi provocano l’ostruzione delle fosse nasali, infiammano la mucosa e la rendono più aggredibile dai germi: da
ciò la secrezione del muco, pus e l’eventuale comparsa di febbre. Non sempre è facile trovare ed estrarre i corpi estranei
perché spesso sono mascherati dall’edema (il gonfiore) della mucosa e dalla suppurazione. Non bisogna tentare manovre
maldestre: soltanto se il corpo estraneo è superficiale, si cercherà di trarlo fuori, prudentemente, con una pinza pulita; se
non ci si riesce, per non peggiorare la situazione, lasciare fare al medico otorinolaringoiatra.
E’ opportuno, prima di tutto, sapere quali sintomi possono far sospettare la presenza di corpi estranei nel naso: quando
da una sola narice del bambino si verifica una secrezione di muco o pus è probabile che lo stato infiammatorio sia dovuto
proprio a questo motivo. Con un accurato controllo il medico potrà accertare la presenza di materiali estranei e
provvedere alla rimozione di essi.

Corpi estranei nell’orecchio

Può accadere, specie nei bambini, che siano introdotti nell’orecchio volontariamente, o incidentalmente, piccoli oggetti;
questi, fermandosi nel condotto uditivo, causano fastidiosi disturbi. Altre volte piccoli insetti (zanzare e mosche, ecc.),
attraverso l’apertura esterna dell’orecchio, entrano e si “bloccano” al suo interno. Più spesso, ciò succede con la sabbia,
al mare. In alcune situazioni l’evento passa inosservato, in altre può insorgere dolore con comparsa di ronzii e di una
leggera sordità. Se il corpo estraneo non è esportato in fretta, può causare una secrezione di materiale liquido, giallastro,
di origine infiammatoria.
La sabbia, gli insetti, i bottoni, i sassolini, i fagioli o piselli, ecc. causano infiammazioni del condotto uditivo, secrezione di
liquido infiammatorio e insorgenza di dolore. Una misura immediata può essere l’istillazione nell’orecchio di un po’ d’olio
d’oliva intiepidito, che in genere provoca la fuoriuscita del corpo estraneo, curvando la testa: cadendo l’olio trascina con
sé il pulviscolo o l’insetto. E’ consigliabile astenersi dal tentativo di rimuovere da sé un corpo estraneo: si rischia di ferire
il timpano. Un esame accurato da parte del medico permetterà di valutare le eventuali lesioni provocate.

Distorsione della caviglia

In seguito a un colpo, o alle cosiddette storte (dovute a inciampi o a posizionamenti scorretti del piede nella
deambulazione), compare vivo dolore all’articolazione della caviglia, gonfiore che va poi rapidamente aumentando;
successivamente sopravviene l’impossibilità di muovere e caricare l’articolazione stessa. In alcuni casi, oltre al gonfiore,
compaiono sulla pelle chiazze rossastre, dovute a un travaso di sangue sottocutaneo. Se i dolori si presentano dopo una
caduta, sono spesso evidenti sulla pelle graffiature, sbucciature o ferite, più o meno profonde, con lacerazioni
sanguinanti. Il paziente, come già sottolineato, non è più in grado di camminare e/o zoppica vistosamente.
Anche se sta seduto i semplici movimenti di rotazione del piede risvegliano il dolore, così come la compressione (toccare,
urtare, o schiacciare la parte) provoca vive fitte.
La distorsione della caviglia consiste nell’allontanamento dei capi articolari ossei e nella lesione delle altre componenti
dell’articolazione (capsula articolare e legamenti). A causa di ciò, si rompono i vasi linfatici, compare uno stato
infiammatorio della parte con relativo gonfiore. Se si rompono i capillari sanguigni, compare l’emorragia (ematoma)
sottocutanea. Il forte dolore è legato alla lacerazione delle varie parti dell’articolazione.
Come cura, nelle forme lievi, quando il gonfiore non è elevato e i dolori non sono forti, sarà sufficiente il riposo. Quando
però le lacerazioni dei legamenti e della capsula articolare sono marcate, sarà necessario immobilizzare subito
l’articolazione e applicare impacchi freddi sulla caviglia anche per una – due ore. In seguito andrà fatta una fasciatura
compressiva con benda elastica, sopra uno strato molto spesso di cotone, disteso tutt’intorno all’articolazione. Nei
giorni successivi, la fasciatura andrà sostituita con cerotti, per permettere una maggiore mobilità. Se esistono lesioni più
gravi, sarà compito dell’ortopedico decidere ulteriori accertamenti e cure specifiche.
Come prevenzione, è utile evitare scarpe con tacchi troppo alti. Se si è al corrente di avere una particolare fragilità dei
legamenti della caviglia, è consigliabile fare uso di scarpe che imbriglino l’articolazione, evitando che la caviglia si possa
distorcere, adottando scarpe ortopediche.

Epistassi

O emorragia nasale, o sangue dal naso. Si fa sedere subito chi ne è colpito, col braccio corrispondente alla narice lesa
sollevato; gli si applica una borsa di ghiaccio o compresse fredde sulla fronte e sulla radice nasale, obbligandolo alla
tranquillità e al silenzio.
Se l’emorragia continua, si introduce nelle narici un po’ d’ovatta o di garza imbevuta in acqua ossigenata diluita.

Ferite da taglio

In seguito a traumi accidentali o volontari (episodi di violenza) provocati da lame, forbici, lamette, vetri, plastica o metalli,
si produce una ferita lineare, più o meno profonda, estremamente sanguinante nella gran parte dei casi. Le parti che più
frequentemente sono colpite da queste ferite sono gli arti superiori e quelli inferiori nei bambini, quando giocano, ma in
genere non provocano lesioni di eccessiva gravità. Le ferite più pericolose sono quelle in cui sono colpiti o recisi grossi
vasi arteriosi (sangue a getto rosso vivo) e venosi (sangue a fiotto largo e lento rosso scuro) o sono lesi tendini e centri
nervosi.
Se l’oggetto che provoca la ferita è sporco e infetto può dare origine a fenomeni infettivi e può comparire la febbre.
Frequente e la possibilità di infezione tetanica, in assenza di vaccinazione antitetanica.
E’ importante, prima di tutto, arrestare l’emorragia, qualora questa sia intesa. Se l’oggetto che l’ha provocata resta infisso
nella ferita, non deve di norma essere toccato prima dell’arrivo del medico, perché la rimozione eseguita da un profano
potrebbe causare un’emorragia molto violenta. In questi casi, la misura più immediata e opportuna consiste nel
proteggere il più possibile la ferita con un bendaggio sterile, in attesa del dottore. Quando il taglio è in un arto (superiore
o inferiore), è buona norma del sangue e apporre un laccio emostatico al di sopra della ferita. Si dovrà anche procedere a
un accurato lavaggio e alla disinfezione della parte lesa per evitare il rischio di infezioni. Nei giorni successivi, la ferita
andrà medicata con garze sterili. Quando è meglio evitare movimenti che potrebbero “slabbrare” la ferita, l’arto ferito può
essere “steccato”. Se la ferita è grossa, ci si recherà a un pronto soccorso per dare dei punti di sutura; se la parte
dovesse infettare sarà necessaria la somministrazione di antibiotici. Nel caso le ferite da taglio colpiscano organi
addominali o toracici, il collo e, e in genere, parti di vitale importanza, si dovrà immediatamente procedere
all’ospedalizzazione del paziente.

Folgorazione elettrica

In seguito a una scarica elettrica più o meno violenta può comparire, oltre alla perdita di coscienza (non sempre presente,
fortunatamente), una sensazione di formicolio estremamente violento nella parte che ha toccato i fili elettrici e in tutto il
corpo; con convulsioni e perdita della sensibilità. In rapporto a questi fatti, il paziente può presentare un collasso, con
abbassamento della pressione arteriosa e pallore diffuso a tutto il corpo. In casi molto gravi può sopravvenire la morte
per arresto cardiaco. La parte che ha toccato i fili può mostrarsi più o carbonizzata.
In conseguenza del contatto con la corrente elettrica, l’organismo è invaso dalla scarica che causa i disturbi segnalati.
Tra questi il più grave è sicuramente l’arresto momentaneo o definitivo dell’attività cardiaca, con perdita di coscienza: la
corrente, infatti, viene a contrastare l’attività elettrica del cuore, bloccandone le funzioni.
Se la scarica è stata particolarmente intensa, il paziente va immediatamente steso, i suoi indumenti allentati e si devono
togliere le scarpe ed eventualmente i guanti. In caso di arresto cardiaco andrà prontamente praticato il cosiddetto
massaggio cardiaco esterno, che consiste in colpi ritmici (premendo sullo sterno) da imporre al torace, per fare riprendere
l’attività del cuore. Vanno somministrate sostanze eccitanti come il caffè e/o fatti inalare al paziente stimolanti come
l’ammoniaca. Gli arti vanno massaggiati; in queste fasi talvolta è anche necessaria la respirazione artificiale bocca a
bocca. In casi di particolare gravità tutte queste manovre devono essere precedute dalla rapida chiamata di un’ambulanza
attrezzata con apparecchi di rianimazione.
Se l’individuo è ancora attaccato ai fili, bisogna operare usando stracci asciutti sulle mani o, meglio guanti isolanti;
occorre portare scarpe isolanti o zoccoli e aiutarsi anche con un lungo bastone; con pinze isolanti si potrà eventualmente
tagliare il filo conduttore, bloccando il circuito. Le mani devono essere sempre asciutte. Negli appartamenti la corrente va
staccata manovrando sull’interruttore generale. Le lesioni locali, se profonde, vanno trattate con l’asportazione in blocco
della parte e con la relativa sutura; eventualmente, in un secondo tempo, si potrà ricorrere a un innesto di cute, con
trapianto di pelle proveniente da altra parte.
Frattura

In seguito a un urto violento, risulta impossibile muovere la parte colpita che è, naturalmente, anche dolente, gonfia e
tumefatta. In secondo tempo, senza che la situazione sia migliorata, possono comparire anche febbre alta e malessere
generale. Nei casi più gravi, quando si sia riportata anche una ferita profonda e lacera, possono addirittura sporgere, ben
visibili, i capi articolari dell’osso rotto.
Le ossa sono normalmente molto resistenti, tuttavia, anch’esse hanno dei limiti di resistenza e in caso di urti e traumi
molto violenti possono rompersi: si ha così una “frattura” che può riguardare qualsiasi parte dello scheletro. Le fratture,
oltre che da cause accidentali, sono talvolta provocate anche da motivi patologici. Ciò avviene quando le ossa sono
anormalmente fragili, come succede nei pazienti affetti da malattie quali l’osteoporosi o la plasmocitosi. In simili situazioni
le fratture possono verificarsi facendo cose del tutto normali come salire le scale, spiccare un salto, ecc.
Il paziente va messo innanzitutto a riposo. Subito dopo l’incidente può essere spostato solo da persone esperte:
manovre scorrette possono provocare un ulteriore allontanamento dei capi articolari, aggravando la situazione.
Se la frattura riguarda un arto, questo va immobilizzato al più presto mediante steccatura. Questa operazione consiste nel
fissare la parte lesa su di un’assicella mediante un bendaggio solido ma non troppo stretto, in modo da non ostacolare la
circolazione sanguigna e quella linfatica.
Non tentare di cambiare la posizione d’un gomito leso: ciò potrebbe peggiorare la lesione della giuntura. Va fissato,
invece, con delle stecche di legno nella stessa posizione.
Prestati i primi soccorsi, l’infortunato va evidentemente ricoverato subito in ospedale.

Graffio del gatto


(Febbre da)

A distanza di circa dieci – venti giorni dalla graffiatura di un gatto compare febbre molto elevata, malessere generale e
ingrossamento progressivo delle ghiandole linfatiche più vicine alla sede della lesione. Queste ghiandole dopo essere
aumentate di volume in modo cospicuo (per es. quelle sotto l’ascella) diventano di consistenza molliccia e causano
dolore. Contemporaneamente si accentua anche l’infiammazione della zona del graffio che diviene particolarmente
arrossata e rilevata provocando un fastidioso bruciore. A questi sintomi si associano dolori muscolari, di testa,
congiuntiviti, il paziente è infastidito dalla luce.
La febbre da graffio (o morso) di gatto è provocata da un virus che viene inoculato nell’uomo attraverso le ferite che
l’animale produce. Da queste febbri vengono colpiti più spesso i bambini che hanno maggiori occasioni di essere graffiati
giocando con gli animali domestici. I gatti che causano il disturbo non presentano nessun segno di malattia perché il
virus alberga nel loro organismo come ospite innocuo, sono cioè dei portatori sani. Il virus, introdotto attraverso la ferita,
si localizza successivamente nelle ghiandole linfatiche più vicine provocando i dolori e determinando la febbre e lo stato
tossico.
Le terapie antibiotiche, che spesso vengono utilizzate, sono utili allo scopo di evitare sovrainfezione di altri germi come
misura preventiva, ma non possono debellare i virus che notoriamente non rispondono agli antibiotici per cui la malattia
deve fare il proprio corso. Al contrario, andranno somministrati farmaci antifebbrili per ridurre la febbre.
Con particolare attenzione andrà controllato l’animale, evitando che possa provocare una diffusione della malattia. La
prevenzione è attuabile con una corretta igiene degli animali domestici e dei loro proprietari.

Intertrigine

A livello delle pieghe del corpo , ascelle e inguine in particolare, compaiono degli arrossamenti. La pelle è pruriginosa e in
alcuni punti si desquama lasciando cadere gli strati superficiali. In seguito al forte prurito e allo sfregamento degli abiti,
talvolta si producono ulcerazioni con sanguinamento. I movimenti in questi casi causano dolore e i bruciori costringono
ad antiestetici e spasmodici grattamenti. Sulla parte così alterata si possono impiantare dei germi che, a volte, si
diffondono alle zone limitrofe ricche di peli provocando gravi infezioni del follicolo pilifero. Ora il dolore è violento e può
comparire febbre.
L’intertrigine è dovuta alla macerazione provocata dal calore, dal sudore e dall’attrito nelle pieghe cutanee. E’ più
frequente nelle persone grasse e/o in rapporto ai climi caldo – umidi. La scarsa pulizia rappresenta una delle più comuni
cause scatenanti. Spesso alla poca igiene si associa una dermatite seborroica (infiammazione della pelle legata a una
cospicua secrezione di grasso da parte delle ghiandole sebacee). In altri casi il disturbo è legato a uno stato di diabete più
o meno noto al paziente. Come si può ben comprendere questa forma trova nelle comunità in cui c’è una scarsa pulizia
(caserme, colonie, centri accoglienza, ecc.) un ambiente che favorisce il suo sviluppo.
Nella cura occorre usare polveri essiccanti da cospargere sulle aree colpite, due o tre volte al giorno, specialmente
quando la traspirazione è eccessiva. Per es. il borotalco può essere più che sufficiente. Ma , prima di applicarlo sulla
parte, questa va accuratamente pulita: occorre lavarla e asciugarla con cura perché la presenza di acqua può ulteriormente
favorire la macerazione. La biancheria deve essere particolarmente morbida e soffice. In alcuni casi può essere utile
l’applicazione delle sostanze funghicide, perché spesso il caldo – umido della pelle macerata favorisce la crescita di miceti
(funghi) che aggravano ulteriormente la lesione. In altre situazioni vengono consigliati unguenti o soluzioni di zolfo o
all’acido salicilico unitamente a shampoo medicamentosi che hanno il compito di ripristinare la normale acidità della pelle.
Nel caso si rilevi la presenza di diabete (dopo un corretto accertamento della glicemia) gioverà sottoporre il paziente a
cura antidiabetica e a dieta rigorosa. Se il paziente è in sovrappeso si dovrà ricorrere anche a terapia dimagrante.
L’uso di abiti o di tessuti morbidi, il peso non eccessivo e l’accurata igiene, dunque, sono elementi che possono evitare
l’insorgenza del fastidioso disturbo. Utili, inoltre, periodici controlli della glicemia.

Mal d’auto

In individui adulti con particolare fragilità neurovegetativa (generalmente ansiosi, instabili nell’umore e nel carattere) e in
bambini, compare durante gli spostamenti in automobile, in treno, in ascensore, in altalena, sulle giostre o in barca (mal di
mare) una serie di disturbi: pallore, sudorazione fredda, vertigini, nausea, vomito, salivazione abbondante, ronzii alle
orecchie, ecc. Ciò determina uno stato di malessere e il desiderio di arrestare immediatamente il movimento. Se è
impossibile farlo subito, dopo i primi disturbi, si può addirittura arrivare allo svenimento con perdita di coscienza,
cardiopalmo (il cuore batte forte) e respiro corto.
La causa, come già accennato, è legata alla particolare fragilità del sistema nervoso che regola gli organi interni; proprio
per questo i bambini sono segnatamente predisposti. Nel loro caso, tra l’altro, gli organi dell’equilibrio, specialmente
sensibili, sottoposti a bruschi movimenti passivi, causano buona parte dei sintomi descritti.
Ove possibile, vale la pena ricordare che è importante arrestarsi se in autovettura la persona avverte il disturbo. I
bambini, durante la sosta, vanno rassicurati e fatti respirare all’aria aperta incoraggiandoli a qualche passo a piedi.
Durante la crisi acuta del mal d’auto (o del mal di mare) possono essere somministrati specifici medicamenti: le sostanze
antivomito possono essere molto utili.
Il disturbo può essere prevenuto somministrando, prima della partenza in auto o in nave, piccole dosi di sostanze
antivomito o blandi preparati sedativi. E’ inoltre utile che chi soffre d’auto eviti di mettersi in viaggio a digiuno; è perciò
consigliabile un piccolo pasto solido prima dell’inizio dell’escursione. Per i trasferimenti in autovettura sono più adatte le
ore serali e notturne; si eviterà così il caldo della giornata, che scatena e aggrava le crisi di mal d’auto. A chi soffre del
disturbo è consigliabile il sedile anteriore che, alla bisogna, può essere abbassato. Sarà infine opportuno portare con sé
qualche gioco allo scopo di distrarre il bambino.

Mal di viaggio

Si tratta di disturbi, detti anche chinetosi, legati alle condizioni che si verificano durante viaggi compiuti in automobile o
pullman (i rapidi scuotimenti, passaggio rapido delle immagini del paesaggio davanti al passeggero), in treno (cattiva
aerazione), in aereo (difettosa pressurizzazione della cabina). Chinetosi posso anche verificarsi a bordo di funivie
(soprattutto quando si superano forti dislivelli) e, in modo particolare, di imbarcazioni. In questo caso si parla di mal di
mare. I sintomi sono soprattutto rappresentati da una sensazione diffusa di malessere, di cui inizialmente sfugge la causa
reale. Si manifestano poi un’intensa sudorazione fredda, senso violento di nausea, pallore. Quasi sempre un vomito
improvviso, che da per alcuni minuti una falsa sensazione di benessere.
La causa principale delle chinetosi è una stimolazione eccessiva dell’organo responsabile dell’equilibrio (l’apparato
vestibolare) localizzato all’interno dell’orecchio. Quando l’organismo è posto in situazioni di equilibrio instabile o deve
affrontare una serie di movimenti eccessivamente rapidi, si origina dall’apparato vestibolare una scarica di messaggi
nervosi tali che provoca la stimolazione anche di centri corticali adiacenti, dove è localizzato il centro corticale del vomito.
Come cura, è consigliabile coprirsi bene in modo da evitare colpi di freddo e fasciarsi strettamente lo stomaco. Prima di
affrontare un viaggio è preferibile ingoiare una compressa di preparati antistaminici che rallentano la velocità di
conduzione degli stimoli nervosi e attenuano quindi l’eccitabilità corticale.
Se è possibile, interrompere il viaggio appena si avvertono i sintomi della chinetosi. Scendere a passeggiare avanti e
indietro per una ventina di minuti, Respirare profondamente e lentamente in modo che il diaframma costringa lo stomaco a
una specie di ginnastica. Cercare inoltre di mettersi di fianco al guidatore in modo da avere davanti un’immagine fissa e
non vedere il paesaggio che fugge rapidamente sui lati. Non piegare bruscamente la testa e rinunciare alle bevande
frizzanti. Consigliabile anche piegare la testa all’indietro e mantenerla ferma. Aprire i finestrini in modo che si rinnovi
l’aria.

Malessere da alcool

L’ingestione di abbondanti quantità di alcool (vini, liquori), o piccole se l’individuo non ne ha l’abitudine, provoca un
senso di malessere generale con vertigini, difficoltà dell’attenzione, sonnolenza. In particolari situazioni, vi è stato di
euforia e i discorsi sono sconnessi, non del tutto pertinenti. La marcata intossicazione procura delirio, disorientamento
abnormi manifestazioni del comportamento (irritabilità, urla, atteggiamento aggressivo). Inoltre, gli effetti sgradevoli
sull’apparato digerente; compaiono dolori allo stomaco, con nausea e vomito, dopo il quale il soggetto ha una
sensazione di benessere, tende ad assopirsi. Il sonno è profondo, ristoratore. In dosi elevate, l’alcool deprime il desiderio
sessuale.
L’alcool agisce a diversi livelli sul sistema nervoso centrale e sull’apparato digerente. I disturbi a carico del sistema
nervoso sono dovuti al fatto che vengono inibiti i riflessi e intossicati i centri cerebrali dell’attenzione e della parola (gli
ubriachi parlano in modo strascicato, incomprensibile). A carico del tubo digerente, l’alcool opera come un tossico della
mucosa gastrica. A causa sua, la parete interna dello stomaco si irrita e compaiono la nausea e il vomito cui si è
accennato. Anche la diarrea può presentarsi. Chi ha bevuto molto tende, infine, a urinare abbondantemente. La copiosa
diuresi è provocata dall’azione dell’alcool sui reni e sul sistema nervoso centrale.
E’ essenziale, quando compaiono i primi sintomi dell’intossicazione, smettere di bere. Se il soggetto è in stato di
malessere avanzato, è buona norma somministrargli sostanze toniche generali (tè, caffè amaro). Gli analettici in gocce
(sostanze che stimolano i centri del respiro e dell’attenzione) possono essere usati nei casi particolarmente pesanti.
Talora, in rapporto ai disturbi gastrici (nausea, vomito) giova l’assunzione di limonate calde poco zuccherate. In presenza
di manifestazioni di carattere delirante o maniacale, andranno forniti tranquillanti per via orale o intramuscolare a piccole
dosi.
L’importante è non abusare degli alcolici, che a lungo andare provocano danni allo stomaco, al fegato, al sistema
nervoso. Negli individui abituati a bere, finisce col manifestarsi la cirrosi epatica, una malattia tipica. Il vizio dell’alcool
può essere contrastato consumando, prima di avvicinarsi ai liquori, molto latte; oppure prendendo, insieme coi liquori,
dei cibi leggeri; o ancora inghiottendo, dopo i liquori, acqua in abbondanza.

Morsicature

Diversi animali, in particolari cani e gatti, criceti, conigli, ma anche cavalli, bovini o altri, sia domestici, sia in cattività, sia
nel loro ambiente naturale, possono azzannare l’uomo, più frequentemente agli arti superiori e a quelli inferiori. Un morso
leggero provoca in genere ecchimosi o escoriazioni, mentre una stretta più forte causa ferite lacerocontuse di forma
abbastanza netta, oppure ferite da punta, come quelle provocate dagli animali con grossi canini. Oltre il vivo dolore e al
senso di bruciore, chi viene morsicato può avere imponenti perdite di sangue. Nei giorni successivi alla morsicatura
possono comparire, in prossimità della ferita, zone molto infiammate, con arrossamento, gonfiore e dolore alle ghiandole
linfatiche più vicine (ascella, inguine, collo). Può altresì elevarsi di molto la temperatura, mentre le condizioni generali
decadono notevolmente. In alcuni casi, il morso può provocare rabbia o tetano. A volte le morsicature causano
amputazioni (per es. di dita o falangi).
L’imprudenza in particolari occasioni o l’incuria con la quale, speso, vengono tenuti gli animali domestici possono essere
all’origine di una morsicatura. Le ferite da morso si infettano facilmente a causa dei germi presenti in abbondanza nella
cavità orale degli animali. Anche il tetano è una complicazione frequente, mentre è oggi più rara la rabbia, grazie alle
norme che rendono obbligatoria la vaccinazione degli animali domestici. In alcune zone (Nordest), tuttavia, si è notata
una preoccupante diffusione della rabbia, trasmessa, sembra dalle volpi provenienti dai paesi balcanici.
Nella cura è importante disinfettare e pulire a fondo le ferite. E’ anche necessario, in presenza di gravi lacerazioni,
asportare quelle parti che sono evidentemente sporche o si sospettano particolarmente infette. Sono, inoltre, consigliabili
gli antibiotici per evitare le sovrainfezioni. Quando la ferita è molto grave è indispensabile ricorrere al pronto soccorso,
per chiuderla con opportuni punti di sutura. E’ però sempre consigliabile rivolgersi a un centro medico, per fare o
richiamare la vaccinazione antitetanica e quella antirabbica, se si sospetta che l’animale fosse portatore della malattia.
Quando è possibile, è sempre meglio far esaminare l’animale, per avere la certezza che non sia affetto da rabbia.
Nella prevenzione va evitato ogni imprudenza quando si viene a contatto con animali, in particolare mai avvicinati prima.
Curare con attenzione l’igiene e l’alimentazione degli animali domestici, che dovrebbero essere tutti provvisti di un
documento sanitario dal quale risultino le vaccinazioni.

Piaghe da decubito

Sono alterazioni che colpiscono prevalentemente le persone anziane costrette a letto, ma che possono essere presenti
anche in individui giovani, obbligati da qualche malattia a mantenere per lunghi periodi delle posizioni fisse. Nelle zone in
cui i tessuti e le ossa sono costantemente compressi da superfici d’appoggio come quelle dei letti o da ingessature,
protesi o apparecchi particolari, si formano delle grosse piaghe di forma rotondeggiante che vanno via via ingrandendosi.
La malattia si presenta inizialmente con arrossamento della parte, cui segue, per macerazione, la morte (necrosi) dei
tessuti. Le lesioni divengono via via profonde e si arriva addirittura alla formazione di piastre nerastre su cui si instaurano
spesso processi infiammatori purulenti.
La prolungata immobilizzazione del paziente nella stessa posizione provoca col tempo queste manifestazioni in
corrispondenza dei punti d’appoggio. Sono particolarmente frequenti le piaghe nella zona dell’osso sacro, specialmente
nei malati in cui l’incontinenza delle feci e delle urine facilita la macerazione della cute. Frequentemente le piaghe sono
presenti nei pazienti paralizzati e nei portatori di stadi avanzati di gravi malattie (tumori, arteriosclerosi, ecc.). La pelle
schiacciata tra le ossa e la superficie che la costringe, non respira perché non sufficientemente aerata; per questo si arriva
alla formazione della piaga, che spesso è settica e difficile da guarire.
Una volta che le piaghe si sono instaurate, sarà necessario disinfettare frequentemente la parte e trattarla con pomate
emollienti. E’ utile l’asportazione delle parti di pelle morta e la costante pulizia delle zone ulcerate. La piaga deve essere
massaggiata ai bordi e ricoperta con garza sterile medicata (meglio se anche con antibiotici). Potranno anche essere usate
pomate cicatrizzanti. E’ indispensabile cercare di far muovere il paziente il più possibile, per migliorare l’aerazione della
parte e ridurre la compressione.
La prevenzione è la cosa più importante. E’ assolutamente indispensabile ridurre al minimo i periodi di immobilizzazione.
Bisogna lavare frequentemente il paziente, specie se ha incontinenza di feci e urine (in certi casi è consigliabile ricorre a
personale sanitario per il cateterismo vescicale). La cute deve essere frizionata con acqua e sapone, disinfettanti e creme
emollienti. Le lenzuola devono essere sempre mantenute pulite e ben distese sul letto, che potrà essere fatto su uno
speciale materasso pneumatico (antidecubito). Se il malato è assolutamente costretto a letto, la sua posizione andrà
cambiata, anche durante la notte, circa ogni due ore.

Piedi gonfi

Il gonfiore ai piedi o alla parte inferiore delle gambe viene definito con il termine di “edema”. Tale edema può essere
localizzato unicamente al piede o interessare , in casi particolarmente gravi, tutta la gamba. Può inoltre essere localizzato
unicamente ad un arto o a entrambi. La sua insorgenza a volte è rapida, a volte lenta e graduale. In gonfiore può subire
delle variazioni nelle 24 ore presentandosi molto evidente alla sera e assente al mattino. In situazioni particolarmente gravi
permane per tutte le 24 ore.
Nelle persone anziane la causa del gonfiore ai piedi è costituita dal cosiddetto scompenso di cuore. E’ questa situazione
in cui il cuore non è in grado di “pompare” con sufficiente energia il sangue, favorendone così il ristagno nelle parti più
periferiche. Altra causa può essere la presenza di vene varicose alle gambe. In questo caso le vene che riportano il
sangue dalla periferia verso il cuore sono dilatate e si verifica ugualmente un ristagno di sangue causando l’aspetto
tipico del gonfiore. Vanno poi ricordate, come causa di questo disturbo, anche le flebiti (infiammazione delle vene) e
alcune malattie in cui è abbassata la normale quantità di proteine del sangue (malattie renali, di fegato, denutrimento,
ecc.). In presenza di vene varicose occorre avvolgere con fasce elastiche o con calze elastiche le gambe, essendo
sufficiente a fare sparire il disturbo; in caso di flebiti importante è la cura antibiotica. Si dovrà in entrambi i casi evitare di
rimanere fermi in piedi per molto tempo. Nel caso in cui il cuore risulti alla origine del disturbo, previo consulto con il
medico internista, andranno somministrati farmaci diuretici (stimolando il paziente a urinare). In questo modo la massa di
sangue che circola viene ridotta e i liquidi fuoriusciti negli edemi (cioè i gonfiori) sono richiamati all’interno delle vene.
Andrà poi favorita la forza di contrazione del cuore con opportune medicine.
Nelle malattie da denutrizione (es. anoressia) gioverà somministrare diete ricche di proteine, mentre in forme gravi, come
le malattie di reni e di fegato, andrà consultato lo specialista dietologo.
Si può parlare di prevenzione unicamente per le vene varicose alle gambe. In questo caso è importante prevenirne
l’insorgenza con il moto, evitando di stare a lungo fermi in piedi e portare, ai primi accenni di gonfiore, calze che fascino la
gamba. Utile a prevenire, anche, la digitopressione cinese ai piedi e alle gambe o il massaggio linfodrenante.

Pidocchi

Il fenomeno oggi è molto diffuso, non solo tra le persone che vivono in ambienti sovraffollati, con servizi igienici
inadeguati, ma, in genere, anche tra chi frequenta comunità, come scuole e collegi, sia pure in presenza di una normale e
corretta igiene. Esistono tre diverse specie di pidocchi: una provoca l’infestazione (pediculosi) del capo, l’altra
aggredisce gli abiti (dimora tra le pieghe e le cuciture), la terza provoca la pediculosi del pube ed è più nota con il nome di
piattola. Questi parassiti depongono le uova sia sugli abiti sia sui peli del corpo: ogni pidocchio ne deposita normalmente
dalle due – trecento uova. Dopo circa una settimana, le uova si schiudono per dare vita alle larve. Gli insetti si nutrono
succhiando il sangue della persona infestata. La presenza di questi parassiti provoca intenso prurito.
La forma più frequente di pediculosi è quella che colpisce il cuoio capelluto. I pidocchi sono insetti di piccole dimensioni
(da uno a tre millimetri), di colorito nerastro: è facile scoprire le loro uova. Queste, dette anche “lendini”, assomigliano a
prima vista alla forfora, ma aderiscono fortemente ai capelli.
Le infestazione da pidocchio viene contratta con il contagio diretto o mediante l’impiego comune di pettini e cappelli,
oppure attraverso lo sbattimento o lo sfregamento di abiti. Il prurito è dovuto all’azione dei parassiti che, succhiando il
sangue, irritano la pelle.
La cura prevede, anzitutto, ad un’accurata disinfestazione con le apposite polveri da spargere sulla parte colpita. Oggi
esistono in commercio molti preparati adatti al caso; è, pero, bene accertarsi che non abbiano eventuali effetti tossici.
Andranno secondariamente eliminate le uova attaccate ai capelli aiutandosi con le opportune lozioni, che le rendono
meno aderenti alla superficie del capello. Successivamente si dovranno fare impacchi d’acqua e aceto e ricercare
attentamente le uova residue, asportandole una a una con piccole pinzette. La soluzione ideale è la “rasatura a zero” e la
frizione successiva con aceto. Il portatore di pediculosi andrà isolato a domicilio, onde evitare che possa contagiare.
Sempre per evitare la diffusione del guaio, indumenti, lenzuola, asciugamani, ecc. andranno conservati separatamente. La
pediculosi dei vestiti si annulla sterilizzando tutti gli abiti e lavandosi frequentemente.
Una scrupolosa igiene personale, quindi, riduce certamente i rischi d’infestazione. Ma, evidentemente, l’unica
prevenzione sicura consiste nell’evitare il contatto con chi è portatore di pidocchi: purtroppo, non è sempre possibile.

Punture d’insetti

Con questo termine si indicano tutte le eruzioni cutanee che insorgono successivamente alla trafittura di alcuni insetti,
cole le vespe, le api, gli scorpioni, ecc. A seguito della puntura compaiono sulla pelle dei gonfiori più o meno rilevati, di
forma rotondeggiante, estremamente dolenti, che possono anche raggiungere dimensioni di centimetri. In rare circostanze
il disturbo è grave e si accompagna a caduta della pressione arteriosa, a cardiopalmo (il cuore batte forte) e a difficoltà nel
respiro. Si tratta in questo caso di una reazione allergica molto seria, per la quale necessita l’immediato ricovero
ospedaliero. Ma, nella maggioranza degli episodi, l’unico disturbo è appunto è appunto l’eruzione infiammatoria. Il dolore
è di tipo urente (assomiglia a quello di una bruciatura) e la compressione della parte malata ne accentua l’intensità. Un
discorso a parte meritano le punture di ragni e scorpioni (frequenti nei paesi orientali, molto visitati per turismo), vere e
proprie forme di avvelenamento, in cui al malessere generale e ai segni della puntura possono associarsi tremori,
cardiopalmo, sudore, vomito e contratture (i muscoli si contraggono involontariamente). Gli incidenti del genere che si
verificano nel nostro paese sono dovuti per gran parte a vespe, api, zanzare (tipo tigre).
Con la puntura, l’insetto inocula nell’organismo umano una piccola quantità di tossico, che provoca una dilatazione dei
capillari sotto pelle e il conseguente arrossamento dei tessuti. Il dolore, dovuto alla liberazione di particolari sostanze
nella sede della puntura, tende a ridursi in breve tempo e a scomparire dopo l’estrazione del pungiglione.
Per quanto riguarda le punture di vespe e api, è buona norma estrarre il pungiglione, lenire il dolore con impacchi di
acqua fredda e, nel caso il punto colpito si gonfi notevolmente, spalmare la parte con pomate antiallergiche e
antinfiammatorie. Se ci si trova di fronte a punture d’insetti esotici (ragni, scorpioni) il discorso è più complesso. In
questo caso è necessario somministrare al paziente prodotti antinfiammatori e antiallergici per via orale o intramuscolare
(antistaminici e cortisonici); è opportuno inoltre ricorrere a un medico entro il più breve tempo possibile, il quale
sorveglierà attentamente l’infortunato per evitare che si manifestino nel suo organismo gravi complicazioni.
Utili, in questa circostanza, i sieri specifici antiveleno, usati spesso nei paesi tropicali.
Come prevenzione, è importante non molestare gli insetti, evitare di sdraiarsi a terra se non opportunamente protetti. Se si
viaggia nei paesi tropicali, di grossa utilità risulta l’impiego di zanzariere e “veli” nelle ore notturne.

Singhiozzo

Compare in rapporto a malattie di carattere generale ma più frequentemente in seguito ad abbondanti mangiate, bevute o
disturbi addominali. Il singhiozzo è caratterizzato da rapidi e frequenti atti inspiratori con sussulto e produzione del
caratteristico rumore. E’ frequente e normale nei neonati.
Tra le origini del disturbo ricordiamo l’ingestione troppo rapida di sostanze liquide e di alimenti solidi, l’ingestione di aria
durante l’alimentazione (aerofagia), le ulcere e le gastriti. Il singhiozzo può inoltre essere provocato da malattie che
compromettono gravemente l’organismo, come disturbi del sistema nervoso centrale (emorragie cerebrali, meningiti o
tumori), o fasi avanzate di malattie renali. Anche in seguito alla grave intossicazione generale, che si presenta in rapporto
a diabete e malattie infettive, il malato può spesso singhiozzare. Il singhiozzo del neonato è dovuto a spasmi del
diaframma che non hanno alcuna importanza specifica.
Esistono delle manovre estremamente semplici che permettono di eliminare questo fastidioso disturbo. Una regola che
viene frequentemente ricordata è inspirare profondamente e trattenere il respiro per un certo periodo di tempo. Altra
consuetudine è quella di ingerire piccoli sorsi d’acqua o piccole quantità di alimenti (per es. pane) trattenendo
ugualmente il respiro il più possibile. Queste manovre hanno tutte la funzione di evitare le contrazioni del diaframma che
sono alla base del singhiozzo, favorendo la ripresa del normale funzionamento dell’intestino. Altra manovra consigliata è
la compressione degli occhi. Se il singhiozzo non regredisce e dura da molto tempo si consiglia l’ingestione di zucchero
con sopra una o due gocce di etere. In questo modo si provoca un’anestesia dei nervi responsabili del singhiozzo.
Possono anche essere impiegati, nei casi più gravi, particolari medicinali, sotto forma di supposte, fiale o sciroppi.
Se il disturbo è legato a malattie del sistema nervoso centrale o a gravi stati di intossicazione il paziente andrà ricoverato
in ospedale: il singhiozzo è uno dei segni di una più seria malattia.
Il singhiozzo può essere prevenuto, in quelle persone che ne siano frequentemente colpiti, masticando correttamente,
deglutendo lentamente ed evitando di ingerire i cibi in maniera rapida. Così facendo non si irrita l’apparato digerente e
non si provoca il fastidioso disturbo. Per evitare il singhiozzo dei neonati è possibile ricorrere all’uso di tettarelle con
apposite valvole, vendute nei negozi specializzati.
Svenimento

Un pallore improvviso, un reclinarsi del capo, un afflosciarsi del corpo, una momentanea perdita di conoscenza, indicano
questa lieve forma di sincope che è lo svenimento. La prima cosa da fare è mettere in posizione orizzontale la persona,
con la testa bassa e le gambe sollevate per riattivare il sangue al cervello, slacciare il colletto e ogni altra strettura e, se si
fanno fiutare i sali, non avvicinarli troppo al naso. Non dare bevande alcoliche, che attirano il sangue attorno all’apparato
digerente; non aprire le finestre per stabilire corrente d’aria, eventualmente coprire con una leggera coperta il corpo
inerte.
Se una persona ha perduto i sensi non bisogna cercare di farla tornare in sé scuotendola. La perdita di conoscenza può
indicare una forma di lesione alla testa, forse frattura del cranio (in caso di incidente stradale) o commozione cerebrale.
Non cercate di far bere una persona svenuta: si potrebbe farla morire soffocata. La trachea è protetta dall’epiglottide, che
la chiude automaticamente come una botola ogni volta che si inghiotte; in stato di incoscienza, può darsi che
l’epiglottide non funzioni.
Non somministrare stimolanti di nessun genere nei casi di lesione alla testa (potrebbe essere fatale) né, se c’è forte
emorragia, fino a quando questa sia stata arrestata.

Tetano

I sintomi principali sono spasmi muscolari (i muscoli si contraggono involontariamente) in tutto il corpo. Il volto di chi ne
è colpito assume un particolare aspetto: si atteggia a sogghigno (riso sardonico) per la contrazione dei muscoli facciali.
Se viene compromessa la muscolatura respiratoria, la funzione diventa difficoltosa e può addirittura sopravvenire
asfissia.
Il tetano è provocato da un germe detto clostridium tetani; l’azione lesiva è esercitata dalle sue spore (una forma
particolare dello sviluppo del germe), che si localizzano su pelle e mucose, alterate sia da ferite sia da atti operatori.
L’incubazione varia in genere tra le due e le tre settimane. Nelle sedi colpite le spore si moltiplicano e liberano una tossina
notevolmente velenosa, che va a ledere le vie nervose nella sede in cui si collegano col muscolo, provocando le
contratture.
In caso di tetano è necessario il rapido ricovero del paziente in ambiente ospedaliero; egli deve rimanere a riposo
assoluto, a letto, isolato da luce e rumori irritanti. Va rapidissimamente somministrato il siero antitossico antitetanico,
sotto stretto controllo medico.
La prevenzione obbliga alla vaccinazione già in tenera età. Per ogni ferita sospetta, oltre alla pulizia, alla disinfezione e
all’asportazione delle parti malate, va somministrato siero antitetanico, da ripetere eventualmente dopo una diecina di
giorni. Utile il cosiddetto richiamo.

Trauma cranico

Dopo un colpo al cranio la persona po’ perdere completamente conoscenza, presentare una diminuzione del tono
muscolare con pallore, pulsazioni cardiache molto rallentate, respiro superficiale. In casi particolarmente gravi
sopravviene vomito, c’è perdita di feci e di urina per contratture muscolari involontarie (si parla allora di commozione
cerebrale). E quando l’individuo si riprende, possono subentrare disturbi psichici con disorientamento e fasi alterne di
depressione ed euforia: la persona, generalmente, non ricorda quello che è accaduto. Questi sono i disturbi più gravi,
quelli cioè che si riscontrano a seguito di grossi traumi cranici; in altri casi la perdita di conoscenza è puramente
transitoria e l’individuo ritorna poi completamente alla normalità pur non ricordando quanto è successo. Il trauma può
anche non causare alcuna perdita di coscienza, limitandosi a produrre lesioni alla cute e alle ossa craniche, secondarie
alla botta. In casi particolari la perdita di coscienza (coma) insorge a distanza di ore o di giorni dal trauma.
In alcune situazioni le radiografie del cranio mostrano lesioni ossee con la presenza di frammenti che vanno rimossi
mediante intervento chirurgico. In seguito a piccoli traumi, quando gli esami clinici e radiologici risultano negativi, il
paziente si riprende del tutto.
Un colpo sulle ossa craniche può determinare, oltre a lesioni superficiali (ferite, escoriazioni, lacerazioni del cuoio
capelluto), la frattura delle ossa con alterazioni gravi del cervello. In casi particolari, senza rottura della teca cranica, si
lede il cervello per il contraccolpo. Tutti questi fatti hanno come risultato la sofferenza di una parte della materia
cerebrale, provocando un suo gonfiore (edema cerebrale); da qui la perdita di coscienza, le contrazioni muscolari, i
disturbi del respiro, essendo rovinati i centri che controllano questa funzione, ecc.
La cura va stabilita con attenzione. Se il trauma è stato grosso andrà immediatamente consultato un medico; nell’attesa il
paziente andrà tenuto in ambiente tranquillo, sul suo capo sarà opportuno porre del ghiaccio e dovranno essergli
somministrati stimolanti cardiaci e respiratori. Il riposo deve essere assoluto e prolungato, anche dopo la ripresa della
conoscenza. Indispensabile lo stretto controllo medico, in quanto il fenomeno potrebbe manifestarsi nuovamente e/o a
distanza anche in maniera più grave. Se vi sono fratture, con la presenza di frammenti ossei che possono ledere il
cervello, si dovrà operare rapidamente.
Note finali

Non muovete la vittima d’un incidente finché non siano note la natura e la gravità delle sue lesioni: trascurare questa
norma causa più danni di ogni altro errore.

Non sollevate la testa dell’infortunato neppure per dargli un sorso d’acqua: se il collo è stato leso, questo piccolo
movimento potrebbe recidergli il cordone spinale (lo stesso dicasi quando si tenta di togliere il casco).

Quando una persona non può aprire né chiudere le dita, è probabile che si sia fratturato il collo; se invece non può
muovere le gambe, può essersi fratturata la spina dorsale. Spostare le vittime di simili lesioni richiede una particolare
perizia medico – sanitaria.

Mantenere supina la persona ferita fino all’arrivo di un medico o infermiere specializzato. Non lasciarsi prendere la mano
se non si ha la competenza per farlo.

Se la persona è in mezzo la strada e impedisce il traffico, possibilmente, fare disporre un’auto in posizione tale che i
veicoli che sopraggiungendo debbano girare al largo, in attesa dei soccorsi e della Polizia, C.C., Vigili Del Fuoco, ecc.

Se il ferito è rimasto bloccato in un automezzo, lasciatelo dov’è, in attesa dei soccorritori, salvo che la macchina pigli
fuoco e vi sia impossibile spegnere le fiamme.

La vittima di un incidente soffre sempre di choc.

Si può subire un leggero choc quando ci si taglia, ci si schiaccia un dito o alla vista del sangue: si è presi da sudore
freddo, il polso s’accelera, ci si sente mancare. Ciò accade perché il sistema nervoso perde il controllo dei vasi sanguigni ,
il sangue ristagna, soprattutto nella regione addominale, il cuore non si riempie completamente ad ogni aspirazione.

In caso di choc grave, la persona che ne soffre è apatica o addirittura priva di conoscenza, gli occhi hanno
un’espressione vacua, la respirazione è irregolare. Spesso uno choc grave ha effetto letale.

Il calore è la prima cosa: coprite l’infortunato con coperte, con cappotti, persino con giornali; se è in sé, somministrategli
uno stimolante, tè o caffè caldo, non però alcolico.

Se assistete ad un incidente, mancando qualsiasi soccorso, non pensate solo di osservare considerando che qualcuno si
fermerà senz’altro: quel qualcuno può fare lo stesso pensiero vostro e non fermarsi. Fermatevi e chiamate soccorso.

Un soccorso immediato può salvare la vita

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