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DI GIUSEPPE UNGARETTI
di Mario Allegri
2. Struttura. 14
6. Nota bibliografica. 33
Milano 1952. Le ultime due, comunque, nella ristampa milanese del 1954 recheranno il consueto sopratitolo.
3 G. UNGARETTI, Vie d’un homme, traduzione dall’italiano e prefazione di J. Chuzeville, Paris 1939. Già in que-
sta edizione L’Allegria e Sentimento del tempo, presenti in un’ampia scelta, costituivano, rispettivamente, il Livre pre-
mier e il Livre second. Due poesie (Mort de mon frère e Chute de l’homme) erano invece inedite e scritte, come recita-
va l’avvertenza, «direttamente in francese».
4 Jean Chuzeville aveva in precedenza ospitato generosamente Ungaretti nella sua Anthologie des poètes italiens
contemporains (1880-1920), Paris 1920, ed era considerato dagli Italiani uno dei promotori più benemeriti della nostra
letteratura contemporanea in Francia: cfr. G. UNGARETTI, Considérations sur la littérature italienne moderne
(1923), in ID., Vita d’un Uomo. Saggi e interventi, a cura di M. Diacono e L. Rebay, Milano 1974, pp. 55-59.
5 Cfr. C. OSSOLA, Giuseppe Ungaretti, Milano 1982 (nuova edizione accresciuta), pp. 27-28, secondo il quale lo
spunto per il frontespizio di Vita d’un Uomo potrebbe risalire addirittura a un articolo del poeta (Italia, Francia, Iugo-
slavia) scritto per «Il Popolo d’Italia» dell’11 dicembre 1919.
6 G. UNGARETTI, Lettere a Giovanni Papini. 1915-1948, a cura di M. A. Terzoli, introduzione di L. Piccioni, Mi-
fotografo, in primipiani rugosi e spiritati che mirano a restituire, si direbbe, fisiognomicamente il lambiccare sulla pa-
rola del «vecchissimo ossesso»: così si autodefinirà egli stesso nell’ultima sua lirica, L’impietrito e il velluto, ora in G.
UNGARETTI, Vita d’un Uomo. Tutte le poesie (1969), a cura di L. Piccioni, Milano 19715 p. 326. Tutte le citazioni
delle poesie di Ungaretti, e delle note, prefazioni, chiose, ecc. che le accompagnano in questo volume, devono inten-
dersi da tale edizione (tra parentesi, titolo eventuale e indicazione di pagina).
bandona sempre più volentieri con il procedere degli anni8. Una sorta di nove-
centesca Dichtung und Wahrheit9, sorretta da un instancabile ammasso di testi-
monianze biografiche, di attestazioni encomiastiche10 e di aneddoti romanzati, in
special modo circa la giovinezza africana, che da ultimo hanno fatto non poco ve-
lo ai testi. La mira alla confessione diaristica, alla biografia in versi di ascendenza
probabilmente petrarchesca, già esplicita nella memoranda premessa all’Allegria
del 1931:
Questo vecchio libro è un diario. L’autore non ha altra ambizione, e crede che anche
i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella di lasciare una sua bella biografia. Le
sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse
una buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazioni
del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse an-
che qualche perfezione raggiunta come uomo. Egli si è maturato uomo in mezzo ad av-
venimenti straordinari ai quali non è mai stato estraneo. Senza mai negare le necessità
universali della poesia, ha sempre pensato che, per lasciarsi immaginare, l’universale
deve attraverso un attivo sentimento storico, accordarsi colla voce singolare del poeta
(Note, pp. 527-28)
sarà riaffermata con forza ancora dall’ultimo Ungaretti, ripercorrendo, nella Nota
introduttiva appositamente stesa per l’edizione ormai compiuta del suo libro poe-
tico, i primi e incerti esordi lacerbiani:
Quelle mie poesie sono ciò che saranno tutte le mie poesie che verranno dopo, cioè
poesie che hanno fondamento in uno stato psicologico strettamente dipendente dalla
mia biografia: non conosco sognare poetico che non sia fondato sulla mia esperienza di-
retta. (ibid., p. 511).
Tanti pronunciamenti in un’unica direzione insinuano il sospetto di una com-
messura in qualche modo istituita retrospettivamente, ricomponendo in categorie
astratte (l’amore e la guerra, l’isola e il deserto, l’esilio e la terra promessa) e in
chiave di mitologia personale (il nomade e il soldato, l’uomo di pena e il naufra-
go) spezzoni di esperienze disorganiche o di segno persino contrario (per tutte,
l’anarchia e il fascismo) della cui successione egli mostrerà di possedere, tutto
sommato, insufficiente coscienza storica. In ogni caso, bisognerà subito intender-
8 Cfr., per esempio, Ungaretti commenta Ungaretti, in «La Fiera Letteraria», 15 settembre 1963, pp. 1-2, ove si può
leggere: «Il carattere, il primo carattere di tutta la mia attività è autobiografico. Io credo che non vi possa essere né sin-
cerità né verità in un’opera d’arte se in primo luogo tale opera d’arte non sia una confessione» (ora in id., Vita d’un
Uomo. Saggi e interventi cit., p. 815).
9 Il rapporto con Goethe, nome ricorrente nella produzione saggistica di Ungaretti con citazioni anche da più ope-
poeta raccolte a cura di L. Piccioni, e con uno scritto introduttivo di J. Paulhan, Milano 1960.
11
Si trattava di sedici poesie apparse a più riprese su «Lacerba» nel 1915 e poi riunite, rielaborate nella scrittura e
variate in successive edizioni nel numero, nella sezione Ultime, collocata definitivamente in apertura dell’Allegria.
12 Sull’attività letteraria e sulle letture dell’Ungaretti “egiziano” si vedano L. REBAY, Le origini della poesia di Giu-
seppe Ungaretti, Roma 1962; L. PICCIONI, Vita di un poeta. Giuseppe Ungaretti, Milano 1970, pp. 11-45; e, ancora,
L. REBAY, Ungaretti: gli scritti egiziani 1909-1912, in Atti del Convegno internazionale su Giuseppe Ungaretti (Urbino,
3-6 ottobre 1979), a cura di C. Bo e M. Petrucciani, 2 voll., Urbino 1981, pp. 33-60.
13 Per l’amicizia con Enrico Pea, cfr. G. UNGARETTI, Lettere a Enrico Pea, a cura di J. Soldateschi, con una no-
ta introduttiva di G. Luti, Milano 1983, ricco anche di testimonianze sulla leggendaria Baracca Rossa.
14 Secondo C. OSSOLA, Giuseppe Ungaretti cit., «il poeta fu inevitabilmente, ad Alessandria d’Egitto, per effetto
di una “geografia della letteratura” che vale anche per il Novecento, “lettore di provincia”, lettore attento cioè del più
recente e autorizzato Ottocento francese, da Baudelaire a Mallarmé [...], e anche italiano, da Pascoli a D’Annunzio
[...] e senza escludere puntate su Leopardi e Manzoni. Ed insieme, per uno scrupolo d’aggiornamento tanto più pun-
gente quanto più forte era la distanza dai “laboratori” europei di cultura, volle divenire – prima del gran “balzo” –
spettatore informato delle avanguardie abbonandosi nel 1911 alla “Voce”» (p. 151).
stica che ad Alessandria si impongono di necessità gli torneranno di aiuto nel di-
simpegnarsi, più tardi, dagli ordinamenti formali della tradizione italiana.
Nessuna meraviglia che, al momento di lasciare l’Africa, Ungaretti trovi più
congeniale e più coerente con la propria storia proseguire, dopo una sosta fioren-
tina brevissima ma già densa di implicazioni future15, per Parigi, «un miraggio
[...] per quanti intendevano, e diventavano, o speravano di diventare artisti, scrit-
tori, o solo completarvi gli studi» (ibid., p. 509). Nei due anni che rimane in que-
sta «città santa dell’uomo moderno»16 la sua trasformazione è imponente e tutta
nel segno di un guadagno rapido di autocoscienza intellettuale («Questa è la Sen-
na | e in quel suo torbido | mi sono rimescolato | e mi sono conosciuto»: I Fiumi,
p. 45) e di consapevolezza repentina del proprio talento di poeta, tuttavia men
che esordiente, se, indirizzando nel ’14 a Giuseppe Prezzolini i versi di Primavera,
egli può già dichiararsi in questi termini:
Conosci un altro che in Italia sappia fare meglio di così? Conosco in Italia molti profes-
sori; conosco un grandissimo artista, Soffici; un grande scrittore, Papini; un allegro nar-
ratore, Baldini; un’anima religiosa, Jahier; ma quanti poeti che senza ripetere Baudelai-
re o Mallarmé, o Verlaine, o Laforgue, o il diavolo sappiano far poesia ci sono in Italia?
Ho questa certezza; tutte le piccole cantaridi italiane posso scansarle con i piedi, senza
pericolo che riescano a farmi male17.
Al caffè o all’università; nelle conversazioni libere con Apollinaire, Picasso e
Braque, o annotando le lezioni di Bergson, Bédier e Strowski; negli incontri con
Cendrars, Fort e Péguy, o ragionando con Jacob, Léger e Lunacarskij, Ungaretti
affina una conoscenza straordinariamente articolata della cultura europea, non
soltanto letteraria e non soltanto d’avanguardia. Lo interessano in egual misura la
poesia e la politica, le arti figurative e la filosofia, la musica e la scienza, la filolo-
gia e la storia. Tutto il suo lavoro successivo di poeta, di critico d’arte, di narrato-
re e persino di insegnante universitario può davvero dirsi già contenuto in questa
densa e concitata esperienza parigina18, durante la quale, tuttavia, Ungaretti sem-
15 Sui riferimenti fiorentini di Ungaretti tra il ’12 e il ’15 si vedano, oltre che le precisazioni di L. REBAY, Le origi-
ni cit., pp. 35-63, e di L. PICCIONI, Vita di un poeta cit., pp. 49-63, le recenti integrazioni di G. LUTI, Ungaretti e «
les compagnons de route» dell’avanguardia fiorentina, in Atti del Convegno internazionale cit., pp. 277-303.
16
G. UNGARETTI, Lettere a Enrico Pea cit., p. 50 (8 marzo 1913).
17 ID., Lettera a Giuseppe Prezzolini, senza data [ma collocabile attorno al ’14], in L. PICCIONI, Vita di un poe-
ta cit., p. 55. Per inciso, la poesia non sarà pubblicata dalla «Voce», bensì, sei anni più tardi, dalla «Rivista di Milano»,
III (1920), n. 39, con qualche variante rispetto al testo spedito a Prezzolini (ora nella sezione Altre poesie ritrovate di
Vita d’un Uomo, p. 400). L’autoconsiderazione di Ungaretti è ben testimoniata anche nelle lettere al «grande fratello
Soffici»; in una di queste (27 maggio 1918), sconosciuto ai più e quasi senza storia letteraria, si spingerà ad affermare:
«in arte non mi sento secondo a nessuno» (G. UNGARETTI, Lettere a Soffici. 1917-1930, a cura di P. Montefoschi e
L. Piccioni, Firenze 1981, p. 24).
18 L. PICCIONI, Ungaretti, la guerra, la poesia, prefazione a G. UNGARETTI, Lettere a Soffici cit., pp. XIV-XV.
Tra Milano e la Versilia, in attesa della chiamata alle armi e alternando a manife-
stazioni interventistiche discussioni appassionate con Carrà e Barili, con Viani e
Rebora, con Banfi e Jahier (ma ci sono anche incontri con Mussolini che merite-
rebbero di essere più approfonditi)21, Ungaretti comincia a scrivere, forse pen-
sando davvero per la prima volta alla loro pubblicazione, poesie per «Lacerba»,
19 L’ammissione è contenuta in una lettera a Giuseppe Prezzolini scritta verosimilmente nel novembre 1914, pub-
rapporti tra Ungaretti e Mussolini, sui quali la critica più affezionata al poeta si mostra tuttora molto suscettibile.
22 Cfr. ibid., p. 62.
23 Nella prima stesura Universo costituiva soltanto la chiusa della lirica La notte bella.
ta a concludersi, nelle mie speranze, colla vittoria del popolo, che qualsiasi cosa m’a-
vesse minimamente distinto da un altro fante, mi sarebbe sembrata un odioso privilegio
e un gesto offensivo verso il popolo al quale, accettando la guerra nello stato più umile,
avevo inteso dare un segno di completa dedizione.
Questo era l’animo del soldato che se ne andava quella mattina per le strade di Ver-
sa, portando i suoi pensieri, quando fu accostato da un tenentino. Non ebbi il coraggio
di non confidarmi a quel giovine ufficiale che mi domandò il nome, e gli raccontai che
non avevo altro ristoro se non di cercarmi e di trovarmi in qualche parola, e ch’era il
mio modo di progredire umanamente. Ettore Serra portò con sé il tascapane, ordinò i
rimasugli di carta, mi portò, un giorno che finalmente scavalcammo il San Michele, le
bozze del mio Porto Sepolto. (Note, pp. 521-22. I corsivi sono nostri).
24
Lindoro di deserto risaliva addirittura al 22 dicembre del 1915.
25 Sulla «Diana» erano state pubblicate anche altre due liriche: Bisbigli di singhiozzi e Poesia, nel fascicolo di no-
vembre-dicembre. Verranno ricuperate molto più tardi nelle Poesie disperse, 1945.
26 G. UNGARETTI, Lettere dal fronte a Gherardo Marone (1916-1918), Milano 1978, pp. 48-49 (in data del 14 lu-
glio).
27
ID., Lettere a Giovanni Papini cit., p. 75 (probabilmente scritta verso la fine di novembre 1916).
28
Ibid., p. 45 (lettera del 7 ottobre 1916).
29 Ibid., p. 80 (lettera degli ultimi giorni di dicembre 1916).
30
Ibid.
31 Ibid., p. 85 (cartolina postale del 10 gennaio 1917).
32 Ibid., p. 76 (cartolina postale del 5 dicembre 1916).
33 Per la struttura e la storia dell’Allegria, cfr. ID., L’Allegria, edizione critica a cura di C. Maggi Romano e D. De
l’Allegria di naufragi.
questo momento e, si può dire, lungo tutta la sua evoluzione, la ricerca di Unga-
retti sarà sempre assistita «dalla solidarietà e dalla acribia della migliore critica
militante»36.
Il secondo ritorno in Italia, nel 1920, impiegato a Roma presso il ministero
degli Esteri, coincide con una stagione quanto mai fitta di scrittura (nuove liriche,
contributi a varie riviste letterarie, corrispondenze per giornali, traduzioni) e con
il consenso esplicito al fascismo. Con prefazione di Benito Mussolini, Ungaretti
ripropone a La Spezia nel 1923 Il porto sepolto, abbondantemente ritoccato, ma
pure accresciuto di poesie inedite, che, con il titolo di Prime37, costituiranno il nu-
cleo iniziale della sua seconda grande raccolta, Sentimento del tempo (1933).
Dunque, la storia dell’Allegria e delle sue interminabili revisioni formali e struttu-
rali prende già da questi anni a intrecciarsi con quella del Sentimento, con cui si
accompagnerà, lungo un percorso tribolatissimo di emendamenti continui e di
riassetti sempre nuovi, per quasi un ventennio. La rettifica, il riutilizzo o l’espun-
zione improvvisa di testi o di intere sezioni poetiche paiono il corrispettivo for-
male dei mutamenti ideologici e culturali che, nel frattempo, intervengono nella
sua vita: dagli entusiasmi per l’«originalità del fascismo»38, che lo accomunano
nell’involuzione ideologica a tanti altri reduci delusi, alla clamorosa conversione
cattolica del 1928; dalla riscoperta della direttrice più tradizionale italiana (la li-
nea Petrarca-Leopardi, sottoposta, però, «al corto circuito con un barocco pre-
potentemente rivissuto»39, che Ungaretti comincia ad approfondire per la prima
volta a Roma) ai pronunciamenti in favore dell’ordine e della misura40, maturati in
parte a Parigi e, in grado maggiore, a contatto con gli amici rondisti. Non c’è in
questo periodo verso, o capoverso, di Ungaretti che possa ritenersi al riparo da
ipotesi sempre nuove; non c’è acquisto, o abbandono, che possa dirsi definitivo.
Così, nel 1931 l’Allegria di naufragi guadagna, con l’edizione milanese Preda,
l’intestazione ultima e più accorciata (d’ora in avanti sarà soltanto L’Allegria), ma
vede una volta ancora rimescolarsi l’assetto interno, la sequenza e i titoli stessi
delle singole liriche, nell’«impresa quasi disperata», per ammissione dello stesso
Ungaretti, «di trovare un modo di coincidenza tra due punti lontani di comples-
sità umana e di maturità artistica, ottenendo dalla mano diversa di tenersi nasco-
sta» (Note, p. 527). Il risultato è tutt’altro che acquisito. Tre anni dopo l’appari-
41 Sempre per «Novissima», nello stesso anno vedeva la luce anche il primo volume di traduzioni, con scelte da
perla morte del figlio Antonietto e pubblicati solo più tardi, dapprima in rivista e poi in Un grido e paesaggi, 1952; e le
due liriche per la morte del fratello Costantino, nel 1937: Tutto ho perduto e Se tu mio fratello, che, scritte in francese,
appaiono per la prima volta nella Vie d’un homme del 1939.
43 Oltre che di letteratura brasiliana, allora del tutto sconosciuta in Italia, Ungaretti si interesserà moltissimo di re-
ligioni e di riti magici, di musica latina e di tradizioni popolari, traducendo nel frattempo con molto impegno da più
letterature. Sulla sua produzione poetica in questo periodo e sul suo mito brasiliano, cfr. L. STEGAGNO PICCHIO,
il sesto fiume. il Brasile nella poesia di Giuseppe Ungaretti, in Atti del Convegno internazionale cit., pp. 527-79.
44 Già nel 1944 usciranno, per le edizioni Documento, G. UNGARETTI, XXII sonetti di Shakespeare scelti e tra-
dotti, Roma 1944. Due anni più tardi raddoppieranno: ID., Vita d’un Uomo. Quaranta sonetti di Shakespeare tradotti,
Milano 1946.
45 Il volume reca, tuttavia, sul colophon la data del gennaio 1943. Da notare che nella sesta riedizione (1962) del-
l’Allegria verranno apportati tre lievi ritocchi ai testi, sia pure insignificanti. Divertita la confessione di Ungaretti: «Sic-
come il lupo perde il pelo, ma non il vizio, l’autore che pure aveva chiamato le sopraddette, edizioni definitive, non ha
saputo resistere [...] a qualche ritocco di forma» (Nota all’Allegria, p. 528).
46 Sottoposto a processo di epurazione da parte del Sindacato Scrittori e sospeso dall’insegnamento, Ungaretti ve-
drà dopo qualche tempo riconosciuta la sua buona fede, riottenendo sia l’iscrizione al Sindacato sia la cattedra uni-
versitaria. Per la fortissima tensione nervosa, tuttavia, si ammalerà gravemente durante il 1946. Significative in questo
periodo le confidenze, molto turbate, all’amico francese Jean Paulhan: cfr. Correspondance Jean Paulhan - Giuseppe
Ungaretti si avvia, tra ricuperi di esperienze lontane (le Poesie disperse, pubblica-
te nel 1945 da Giuseppe De Robertis con apparato di varianti; e le liriche di Der-
niers Jours. 1919, 1947) e nuove produzioni (una terza raccolta, Il dolore, 1947; La
terra promessa, 1950, e poi Un grido e paesaggi, 1952, scarni compendi di poesie o
di frammenti in parte databili già al finire degli anni Trenta), a convertirsi in una
sorta di nume tutelare delle nostre lettere, con riconoscimenti che ormai gli pro-
vengono d’ogni parte d’Italia e del mondo. Molti di questi li vorrà premettere, pa-
lesemente compiaciuto (un segno di quella «traboccante vitalità» che pareva indi-
spettire tanto Montale)47, al Taccuino del vecchio (1960), ultima stazione del suo
itinerario compositivo.
Anche se, sino in fondo, continuerà a scrivere48 e a sfornare sempre nuove va-
rianti di liriche già pubblicate o lontane, la stagione più creativa di Ungaretti sem-
bra, a questo punto, esaurirsi in una intensa attività di riepilogo. Ogni suo sforzo
residuo sarà prevalentemente indirizzato, attraverso un abile lavoro di rattoppo
d’ogni trama spezzata, di attenuazione di ogni disfonia o di attondamento di qual-
che spigolo, a fare della sua composita esperienza di poeta una storia poetica coe-
rentemente conclusa.
2. Struttura.
La struttura del diario in versi risulta evidente dal riesame diacronico delle due
prime raccolte. Non è far torto alla vitalità sperimentale che caratterizza tutta la
ricerca di Ungaretti, o alla sua curiosità non mai troppo sazia, ravvisare proprio in
esse la dorsale dell’intera Vita d’un Uomo: anche a voler riconoscere nell’opera un
terzo o, addirittura, un quarto tempo (secondo una sua ripartizione in stagioni
non estranea forse a qualche progetto e familiare, semmai, alla cultura musicale e
figurativa del poeta), è indubbio che, pur in un ventaglio molto disteso di ipotesi
sempre nuove e incontrate con fresco entusiasmo, i due poli dell’Allegria e del
Ungaretti. 1921-1968, edizione critica a cura di J. Paulhan, L. Rebay e J.-Ch. Vegliante, prefazione di L. Rebay, Paris
1989. Alle sue trascorse simpatie fasciste, peraltro innegabili (si confronti, per esempio, G. UNGARETTI e G. DE
ROBERTIS, Carteggio, costellato di convinzioni «che il fascismo sia giustizia», p. 9, e di elogi per |Il Duce, buono co-
me sempre», p. 10), Ungaretti imputerà il mancato riconoscimento, da lui ambitissimo, del Nobel per la Letteratura,
abbandonandosi spesso ad autentiche manifestazioni d’ira nei confronti del “rivale” Salvatore Quasimodo.
47 E. MONTALE, La mia testimonianza. Ungaretti (1970), in ID., Sulla poesia, Milano 1976, p. 345.
48 Da segnalare la raccoltina Dialogo (1966-68): nove composizioni d’amore con le Repliche della poetessa Bruna
Bianco.
«tanto più importante quanto più la condizione normale dei testi poetici di quel-
la raccolta è appunto quella della variante»52, balza subito agli occhi che ben do-
dici delle ventiquattro poesie rimaste pressoché immutate discendono dal Porto.
E, infine, mentre nel 1919 le poesie di questa silloge venivano a costituire meno di
un terzo dei componimenti radunati nell’Allegria di naufragi, nell’edizione defini-
tiva del 1942 esse rappresenteranno circa la metà (33 su 74) di tutte le liriche rite-
nute idonee al progetto del libro. La struttura del Porto si delinea, dunque, come
il referente più durevole dell’Allegria, un modello linguistico, metrico e simbolico
sopra cui calibrare ogni intervento successivo53.
Di pari passo con questi rivolgimenti tutti interni alla raccolta d’esordio, Un-
garetti comincia già ad elaborare, come si è visto, le poesie che daranno luogo in
seguito al Sentimento e che sembrano volersi distinguere piuttosto nettamente dai
precedenti esercizi nella struttura metrico-sintattica e nella scelta lessicale. Alcune
di queste (O notte, Paesaggio, Le stagioni, Silenzio in Liguria, Alla noia, Sirene,
composte in prevalenza tra il 1919 e il 1922 e radunate poi, con l’aggiunta di Ri-
cordo d’Affrica, nella sezione Prime) trovano presto accoglienza nella riedizione
1923 del Porto: mentre viene così ribadita la straordinaria capacità di richiamo del
libriccino, si delinea il procedere, per autoriproduzione e per variazioni endoge-
ne, della lirica ungarettiana su due tavoli di lavoro paralleli, ma costantemente in
vista l’uno dell’altro (Montale parlerà di una poesia sempre «in movimento, alla
frontiera di due tempi, di due gusti e persino di due lingue diverse»)54. Sparsi,
nell’arco di un decennio, in riviste italiane e francesi (dalla «Ronda» a «Commer-
ce», dal «Convegno» alla «Fiera Letteraria«, alla «Nouvelle Revue Française»,
all’«Italia Letteraria», «Espero» o «Fronte») e riformati senza posa (Sirene con-
terà ben sette redazioni; quattro o cinque ne potranno vantare Alla noia, O notte,
Le stagioni: ma quasi ogni componimento sarà in qualche misura ritoccato), i ver-
si del Sentimento si sistemano gradualmente (per agglutinazione, per gemmazione
o per disgregazione) nei sette nuclei che comporranno infine la raccolta, dopo es-
sere stati coinvolti in un furente contenzioso metrico-lessicale che li vedrà più vol-
te smembrarsi e ricomporsi nel passaggio da una rivista all’altra, sino a confonde-
re l’identità d’origine55.
Il procedimento, anche se con esito finale differente, è il medesimo speri-
mentato per intanto sull’Allegria, con tutto il carico di possibili interferenze reci-
proche, dirette o indirette, che la concomitanza cronologica produce. Sia, infatti,
che la poetica più tradizionale del Sentimento abbia suggerito alcune variazioni
apportate in quegli stessi anni all’Allegria; sia che proprio tale discordanza abbia
invece «indotto Ungaretti ad accentuare maggiormente nel tempo l’individualità
differenziale»56 di quest’ultima, le due sillogi si propongono, al termine del loro
turbolento viaggio, quali capitoli diversi di un racconto autobiografico ininterrot-
to e coeso: livre premier e livre second di un unico diario poetico, secondo quanto
aveva voluto sancire l’edizione parigina del 1939, sottolineandone la diversità, e
non l’antagonismo, soprattutto nella evoluzione del registro stilistico. Conformi
nel numero di liriche che le compongono (74 per L’Allegria, 70 per il Sentimento),
esse risultano saldate ancor più l’una all’altra mediante due sezioni dall’identico
titolo (Prime) e di sette componimenti ciascuna, perfettamente combacianti in
chiusura e in apertura delle rispettive raccolte.
La sproporzione quantitativa e il distacco cronologico di quasi quindici anni
che sembrano poterle separare nettamente da quelle, assai più ridotte nel nume-
ro, che seguiranno57, non comportano tuttavia soluzione di continuità. I primi
versi del Dolore (1947), suddiviso al proprio interno in sei esili sezioni, risalgono
infatti al 1937 (Tutto ho perduto e Se tu mio fratello), incuneandosi perciò tra la se-
conda e la terza edizione del Sentimento e tra la terza e la quarta dell’Allegria. Ma
già al 1932 rimontano gli esperimenti attorno alla fondamentale Canzone, punto
di partenza, come confiderà lo stesso Ungaretti58, della Terra promessa (1950-53),
mentre data al 1939-40 la lirica Gridasti: Soffoco, poi confluita in Un grido e pae-
saggi (1952). Nel progetto e nella elaborazione dei primi versi La terra promessa
precede dunque, oltre che Il dolore, addirittura la prima edizione finita del Senti-
mento, e tuttavia sarà portata a termine soltanto vent’anni più tardi, preceduta di
poco (tenendo conto del termine cronologico estremo costituito dal Segreto del
poeta, 1953) anche da Un grido e paesaggi, avviato invece qualche anno dopo.
Concomitanti nei tempi di composizione e strettamente connessi nella tematica (il
dolore, privato, per la morte del figlio e del fratello, e pubblico, per la Roma mar-
toriata dai nazisti, su cui si innesta la Sehnsucht della terra promessa e dell’inno-
cenza edenica), questi tre libriccini formano un nucleo ben definito e subito rico-
noscibile rispetto a tutti gli esiti precedenti, che prende forma provvisoria proprio
56 P.
V. MENGALDO, Poeti italiani del Novecento cit., p. 386.
57 Nei suoi ultimi venticinque anni di attività (1945-70) Ungaretti produce non più di cinquanta poesie, contro le
duecento composte invece tra il 1915 e il 1945: cfr. C. OSSOLA, Giuseppe Ungaretti cit., p. 282.
58 Cfr. L. PICCIONI, Le origini della “Terra promessa”, in G. UNGARETTI, Vita d’un Uomo cit., pp. 427-31, e le
mentre le due prime grandi raccolte stanno per assumere quella definitiva. Un si-
stema a scatole cinesi, si potrebbe dire, se non fosse che il procedere di Ungaretti
esclude ogni successione graduale e sistematica: sul suo tavolo di lavoro, non mai
sgombro e dove indugiano e persistono anche edizioni già licenziate per la stam-
pa, le ipotesi si accumulano e si contessono vorticosamente, tra ricuperi inaspet-
tati e abbandoni repentini, tra ritrovamenti quasi sorpresi e rigetti sorprendenti,
che potrebbero alla fine anche invalidare o rendere superflua ogni classificazione
cronologica.
Così, a concludere Vita d’un Uomo non saranno le quattro liriche estreme di
Nuove (1968-70), bensì i versi in francese (lingua degli esordi letterari e poetici) di
Derniers Jours e di P-L-M, richiamati dal lontano 1919, nonché le ventitré Poesie
disperse e le sette Altre poesie ritrovate, comprese perlopiù tra gli anni 1916-1927,
ma capaci in qualche caso di retrocedere anche sino al 1914-15 (Viavai e La ver-
dura estenuata dal sole), agli albori cioè della scrittura pubblica di Ungaretti. Se la
sezione che principia il diario in versi porta il titolo di Ultime, le poesie che lo ul-
timano risultano essere tra le prime scritte. In tal modo il cerchio si è chiuso: il li-
bro compreso tra questi due estremi è ormai un libro senza data, sigillato in una
perfezione atemporale che lo elegge a testimonianza assoluta.
Lo abbiamo a più riprese sottolineato: non c’è, quasi, lirica di questo canzoniere
che non sia stata oggetto di una qualche modifica o che non abbia visto correg-
gersi, almeno una volta, la propria collocazione all’interno delle singole raccolte.
L’esercizio variantistico è costitutivo della poesia di Ungaretti e ad essa si accom-
pagna ininterrottamente lungo tutta la sua evoluzione: dai versicoli stesi nelle
trincee del Carso, da dove egli invia agli amici fiorentini anche le prime lezioni al-
ternative, lasciando ampia facoltà di scelta all’editore di turno («Ho mandato le
varianti a De Robertis. Farà secondo il suo gusto«)59 e dunque gratificando di pa-
ri dignità i cosiddetti scarti del suo accanito lavorio, sino alle ultime prove regi-
strate e censite dal fedele Leone Piccioni60.
Primo poeta contemporaneo, e per giunta vivente, a sollecitare le attenzioni
della filologia elaborativa61, Ungaretti continuerà ad aggirarsi inquieto tra le pro-
59 G.
UNGARETTI, Lettere a Giovanni Papini cit., p. 45 (lettera del 7 ottobre 1916 cit.).
60 Cfr. L. PICCIONI, Vita di un poeta cit., pp. 249-79 (il capitolo Varianti prime e ultime).
61 Nel disegno originario di Giuseppe De Robertis ai due volumi dell’Allegria e del Sentimento se ne sarebbe do-
vuto accompagnare un terzo con tutte le poesie non più ristampate e con un’appendice comprendente, per l’appunto,
le varianti conservate da Ungaretti o rintracciate altrove: cfr. G. UNGARETTI e G. DE ROBERTIS, Carteggio cit.,
prie pagine, a tutta prima così terse e istintive, producendo alla fine una quantità
di versi respinti equivalente, se non addirittura superiore, a quella dei versi rite-
nuti invece definitivi. Con qualche ironia, giustificata peraltro dagli atteggiamenti
feticistici di taluni collezionisti-lettori, Montale definirà queste interminabili riela-
borazioni «l’insieme degli stampini da lui rotti o buttati via»62 nell’avvicinamento
successivo al prodotto ritenuto ideale, rimarcandone comunque la loro straordi-
naria prerogativa di saper restituire in atto le oscillazioni anche impercettibili di
una poesia costantemente in progress, il suo inesausto moto magmatico.
Il sistema variantistico della Vita d’un Uomo contempla varie grandezze. Dal-
la maggiore, quella che Domenico De Robertis definisce la «variante Allegria-
Sentimento»63, ossia il processo mediante il quale l’una si integra nell’altro in un
cammino protratto per oltre cinque lustri (ma la tendenza investe, come abbiamo
appena visto, anche le altre raccolte e risponde a un preciso disegno di osmosi e,
in parte, di omogeneizzazione), a quelle in apparenza più irrilevanti (l’abrogazio-
ne di un articolo, lo spostamento di un aggettivo, l’aggiunta di una congiunzione
o la maiuscolatura di un capoverso) e tuttavia significative di una ricerca di inten-
sità espressiva perseguita allertando sino all’esasperazione ogni singolo elemento
del testo, anche il più marginale. Nel mezzo, tutto un campionario di variazioni
che possono andare dal trasloco di nuclei compatti di liriche alla scissione di un
solo verso oppure di una intera strofe; dalla scelta della misura monosillabica al
ripristino dell’endecasillabo; dalla epurazione radicale dell’ornamento alla sua re-
staurazione e addirittura alle suggestioni barocche; dalla concentrazione alla di-
stensione sintattica; dalla pausa o dallo stacco provocati soltanto visivamente sul-
la pagina al ricupero della punteggiatura più tradizionale.
Avvertiva ancora Montale che in genere non di varianti, nel senso più diffuso
del termine, si tratta, bensì di «altre poesie o altre ipotesi di poesie»64, lasciate poi
cadere, ma con sentenza tutt’altro che passata in giudicato, lungo il tragitto di av-
vicinamento a quel testo definitivo che la lirica di Ungaretti sembra, in realtà, per-
vicacemente respingere: lo scarto (vale a dire il naufragio) di un verso, di una pa-
rola, di una struttura grammaticale o di una immagine come pretesto per ripren-
dere ogni volta il viaggio verso un approdo pure ancora ignoto e non mai ritenu-
to sicuro. Come se il senso profondo della parola poetica potesse meglio disvelar-
si, più che nell’esito conclusivo, nel percorso compiuto per tentare strenuamente,
ma inutilmente, di fissarla.
pp. 27-28.
62 E. MONTALE, Ungaretti cit., p. 306.
63 D. DE ROBERTIS, Ungaretti e le varianti, in Atti del Convegno internazionale cit., p. 101.
64 E. MONTALE, Ungaretti cit., p. 307.
«La metrica oggi in corso, da Montale a Cardarelli a Saba ai più giovani, è stata
fissata faticosamente dal mio orecchio»65, può confidare con orgoglio Ungaretti a
Giuseppe De Robertis nel 1942. Non v’è dubbio che il nostro Novecento gli deb-
ba moltissimo in questo campo. Ritenuto da molti il poeta più rivoluzionario dei
primi cinquant’anni del secolo, egli in realtà mette a frutto meglio di ogni altro la
convulsa stagione sperimentale precedente (dal postsimbolismo alle avanguar-
die), approfittando di una libertà certamente nell’aria, ma di cui troppi non sape-
vano servirsi. Da solo e senza proclami, il poeta del Porto sepolto sembra riuscire
in quell’opera di demolizione degli istituti metrici nazionali in cui si erano cimen-
tati con ben altro clamore soprattutto quei futuristi che egli mostrerà sempre di
tenere in scarsa considerazione, probabilmente avendoli osservati e frequentati
più dal côté francese che non da quello italiano: Marinetti, per lui, è soltanto
quell’«adorato Philippe Tommasino»66 di cui ama prendersi gioco nelle lettere
agli amici.
Del resto, è proprio l’atteggiamento nei confronti della tradizione che presto
li distanzia, anche se L’Allegria riutilizza abbondantemente ingredienti futuristici:
la scomposizione del verso di Ungaretti prevede comunque la sua ricostruzione,
dopo averne ricuperato il timbro e la vitalità originaria sotto la crosta di una con-
suetudine letteraria sicuramente logora, ma ritenuta altresì irrinunciabile («Non
rispettando la nostra tradizione, dando retta a vocazioni che possono portare alla
grandezza popoli d’altra pasta, saremmo condannati a non vedere della realtà se
non l’aspetto provvisorio»)67. I versicoli del Porto e poi quelli dell’Allegria nasco-
no pertanto dalla spezzatura, e non dalla sprezzatura, del metro italiano più tradi-
zionale. La loro lunghezza media si attesta attorno alle cinque sillabe: se non man-
cano versi molto spesso di tre, di due e persino di un’unica sillaba, magari fram-
mischiati ad altri di lunghezza maggiore («Colle mie mani plasmo il suolo | diffu-
so di grilli | mi modulo | di | sommesso uguale | cuore»: Annientamento, p. 29;
«Sto | con le quattro | capriole | di fumo | del focolare»: Natale, p. 62; «A ogni |
nuovo | clima | che incontro | mi trovo languente | che | una volta | già gli ero sta-
to | assuefatto»: Girovago, p. 85), se ne possono incontrare altri che debordano
ben oltre le misure consuete («Calante malinconia lungo il corpo avvinto»: Ma-
linconia, p. 37)68.
65 G. UNGARETTI e G. DE ROBERTIS, Carteggio cit., pp. 18-19 (lettera del 25 luglio 1942).
66
G. UNGARETTI, Lettere a Giovanni Papini cit., p. 156 (cartolina postale del 3 ottobre 1917).
67 ID., Naufragio senza fine (Risposta a un’inchiesta sulla poesia), in ID., Vita d’un Uomo. Saggi e interventi cit., p. 266.
68 Ancora più esteso («Calante malinconia per il corpo avvinto al suo destino») nelle edizioni del Porto sepolto,
visibile nel Sentimento in alcune liriche di un solo verso («D’altri diluvi una co-
lomba ascolto»: Una colomba, p. 113; «In sé crede e nel vero chi dispera?»: Fine,
p. 132). Più in generale, col Sentimento non soltanto viene incrementata la lun-
ghezza media dei versi, ma questi tendono a farsi anche più regolari (oltre l’ende-
casillabo, anche novenari, settenari e talvolta quinari, riuniti addirittura tutti as-
sieme nel Canto Quinto della sezione La morte meditata: «Hai chiuso gli occhi. ||
Nasce una notte | piena di finte buche, | di suoni morti | come di sugheri | di reti
calate nell’acqua. || Le tue mani si fanno come un soffio | d’inviolabili lontananze,
| inafferrabili come le idee, || e l’equivoco della luna | e il dondolio, dolcissimi, | se
vuoi posarmele sugli occhi, | toccano l’anima», p. 185). La tendenza sarà ancora
più esplicita nel Dolore e nella Terra promessa (dove il Recitativo di Palinuro, pp.
250-51, ripropone nientemeno che lo schema della sestina provenzale), anche se
non conclusiva: la tentazione del verso irregolare, o addirittura libero, non sarà
mai del tutto ricacciata (Se tu mio fratello, p. 202; Di persona morta divenutami ca-
ra sentendone parlare, p. 243, provocatoria già nell’intitolazione; Segreto del poeta,
p. 253; Croazia segreta, p. 324), anche se endecasillabi e settenari saranno sul fini-
re i suoi versi prediletti e più consueti.
È certo che anche Ungaretti abbia in qualche misura dato ascolto alle sirene
dell’ordine che nell’immediato primo dopoguerra cominciavano a farsi sentire un
po’ dappertutto in Europa (e tanto più nell’Italia delle imminenti chiusure cultu-
rali fasciste). Tuttavia, quanti ravvisano nel passaggio a una metrica più-tradizio-
nale un brusco atto di restaurazione, e non un prolungamento in altre direzioni
della sua ricerca stilistico-espressiva, non soltanto adattano nel modo più rozzo e
schematico al secondo Ungaretti la formula del cosiddetto “richiamo all’ordine”
(ignorando, come ha osservato Mengaldo, che «al classicismo di Ungaretti non
immane già, nel profondo, il senso della continuità, ma quello della discontinuità
coi classici»)71, ma trascurano altresì una precisa confidenza del poeta:
Non cercavo il verso di Jacopone o quello di Dante, o quello del Petrarca, o quello di
Guittone, o quello del Tasso, o quello del Cavalcanti, o quello del Leopardi: cercavo in
loro il canto. Non era l’endecasillabo del tale, non il novenario, non il settenario del ta-
laltro che cercavo: era l’endecasillabo, era il novenario, era il settenario, era il canto ita-
liano, era il canto della lingua italiana che cercavo nella sua costanza attraverso i secoli,
attraverso voci così numerose e così diverse di timbro e così gelose della propria novità
e così singolari ciascuna nell’esprimere pensieri e sentimenti: era il battito del mio cuo-
re che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei miei maggiori di una terra
disperatamente amata. Nacquero così, dal ’19 al ’25, Le Stagioni, La fine di Crono, Sire-
71 P.
V. MENGALDO, La tradizione del Novecento. Seconda serie cit., p. 58.
ne, Inno alla Morte, e altre poesie nelle quali, aiutandomi quanto più potevo coll’orec-
chio, e coll’anima, cercai di accordare in chiave d’oggi un antico strumento musicale
che, reso così di nuovo a noi familiare, hanno in seguito, bene o male, adottato tutti.
(Ragioni d’una poesia, pp. LXXI-LXXII).
Ancora Mengaldo ha fatto osservare «come alla metrica più regolare del Sen-
timento immanga nel profondo la prosodia libera e discontinua dell’Allegria», ri-
cordando opportunamente le dizioni del poeta, «che leggeva il Sentimento esatta-
mente come l’Allegria»72, Del resto, non si dovrebbe mai dimenticare che quella
dell’avanguardia è spesso un’esperienza per molti versi senza ritorno, o perlome-
no di lunghissima decantazione73, e abbiamo visto quanto a fondo penetri l’Alle-
gria nel sistema della raccolta successiva.
Sul finire degli anni Venti, l’incontro di Ungaretti con il barocco («Il barocco
è qualche cosa che è saltato in aria, che s’è sbriciolato in mille briciole: è una cosa
nuova, rifatta colle briciole, che ritrova integrità, il vero»: Note al Sentimento del
tempo, p. 530) gli consentirà di esercitare in altro modo – nell’alveo, cioè, di una
tradizione alta e legittimata, ma pur sempre discosta rispetto all’asse principale di
quella italiana – il suo irrequieto sperimentalismo.
72
ID., Poeti italiani del Novecento cit., p. 389.
73 Per la dialettica incessante tra avanguardia e restaurazione negli anni Venti e, oltre tutto, nel milieu letterario-ar-
tistico frequentato da Ungaretti, assai illuminante ci sembra J. COCTEAU, Le rappel à l’ordre, 1926 (trad. it. di P. Dè-
cina Lombardi, Il ritorno all’ordine, Torino 1990).
74 Ungaretti commenta Ungaretti cit., pp. 816-17.
«Dondolo di ali in fumo» di Lindoro di deserto (1915) e il «dondolo del vuoto» dell’Impietrito e il velluto (1970).
76 «Alessandria è una città senza un monumento, o meglio senza quasi un monumento che ricordi il suo antico pas-
sato. Muta incessantemente. Il tempo la porta sempre via, in ogni tempo. È una città dove il sentimento del tempo, del
tempo distruttore è presente all’immaginazione prima di tutto e soprattutto. E dicendo nulla [«Tra un fiore colto e
l’altro donato | l’inesprimibile nulla»: Eterno, p. 5], in particolare ho pensato, difatti, a quel lavorio di costante an-
nientamento che il tempo vi produce» (Nota introduttiva, p. 497).
morte | si sconta | vivendo»: Sono una creatura, p. 41); o, vegliando «un compagno
| massacrato | con la sua bocca | digrignata | volta al plenilunio», scrive «lettere
piene d’amore» (Veglia, p. 25); o si ritrova somigliante al beduino egiziano della
sua infanzia («Mi sono accoccolato | vicino ai miei panni | sudici di guerra | e co-
me un beduino | mi sono chinato a ricevere | il sole»: I fiumi, p. 43). All’uno come
all’altro l’illusione-miraggio («Ungaretti | uomo di pena | ti basta un’illusione | per
farti coraggio»: Pellegrinaggio, p. 46) e la sosta-oasi («Cammina cammina | ho ri-
trovato | il pozzo d’amore || Nell’occhio | di mill’una notte | ho riposato»: Fase, p.
32) consentiranno ogni volta di ritentare il cammino dopo il naufragio nel porto
sepolto: «E subito riprende | il viaggio | come | dopo il naufragio | un superstite |
lupo di mare» (Allegria di naufragi, p. 61). Già in questo Ungaretti, come ha os-
servato Andrea Zanzotto, il tema del naufragio si affranca dalle più fruste sugge-
stioni simbolistiche, per assumere «quella colorazione, quella particolare consi-
stenza che avrà poi nell’elaborazione poetico-teoretica dell’esistenzialismo»77.
Il libro poetico diventa così la registrazione di stati d’animo elementari, l’au-
tobiografia per istantanee di un «uomo di pena» che la sofferenza ha sospinto ol-
tre ogni contingenza storica (non tragga in inganno la scrupolosa certificazione
cronologica e di luogo delle liriche, parte integrante, come tutti i lettori hanno or-
mai convenuto, del testo poetico). La condizione «interamente terrestre»78 del
soggetto e l’estinzione, quasi, dei suoi tratti di persona («Ho strascicato | la mia
carcassa | usata dal fango | come una suola | o come un seme | di spinalba»: Pelle-
grinaggio, p. 46), in una totale aderenza fisica al paesaggio («Fermato a due sassi |
languisco | sotto questa | volta appannata | di cielo»: Monotonia, p. 47), mentre
conducono il poeta (di volta in volta «foglia», «sasso», «stagno», «nuvola») a ri-
conoscersi «una docile fibra | dell’universo» (I fiumi, p. 44), si tendono in una
istanza quasi religiosa di assoluto («ero un uomo che non voleva altro per sé se
non i rapporti con l’assoluto»: Note all’Allegria, p. 520) che avrà poi una funzio-
ne decisiva nel prosieguo della ricerca ungarettiana. È da questo rapporto tragico
e totalizzante con la natura che scaturisce infine l’allegria, ovvero la volontà posi-
tiva (Contini la definisce «un quasi fisiologico ottimismo»)79 sintetizzata nel titolo
ossimorico della prima silloge.
Il Sentimento e le altre raccolte svilupperanno sostanzialmente gli stessi temi
della solitudine desertica e della pena, ma articolandoli entro un tempo e uno spa-
77 A. ZANZOTTO, «Ungaretti», in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di V. Branca, Torino 1984,
III, p. 358.
78 F. FORTINI, Da Ungaretti agli Ermetici, in La letteratura italiana. Storia e testi, diretta da C. Muscetta, IX/2. Il
Novecento. Dal decadentismo alla crisi dei modelli, Bari 1976, p. 300.
79 G. CONTINI, Letteratura dell’Italia unita. 1861-1968, Firenze 1968, p. 796.
zio più dilatati e indistinti, quasi astratti. Venuta meno l’emergenza della guerra e
riacquisita la misura normale del tempo («io avevo, disponevo di maggior tem-
po»)80, soggetto e natura, prima rifusi in una sorta di «simultaneità preistorica»81
tornano a distanziarsi, evidenziando una crepa metafisica attraverso cui irrompe
nella poesia di Ungaretti il problema religioso. Il Dio-miraggio dell’Allegria («Ma
ben sola e ben nuda | senza miraggio | porto la mia anima»: Peso, p. 34), investi-
gato talora con diffidente inquietudine («Perché bramo Dio?»: Dannazione, p.
35; «Ma Dio cos’è?»: Risvegli, p. 36), guadagna, a partire dal Sentimento, una
concretezza e una pregnanza prima sconosciute (e, a maggior ragione, dopo la
svolta religiosa del ’28), imprimendo tutt’altra direzione alla sua richiesta d’asso-
luto. Basterà, al proposito, un rapido confronto tra due coppie di liriche che, nel-
le rispettive raccolte, svolgono un identico tema, e per giunta con il medesimo ti-
tolo: Dannazione e Preghiera (più estesamente, La preghiera nel Sentimento). In
Dannazione dell’Allegria, muovendo dall’angustia delle «cose mortali», Ungaretti
può avanzare l’istanza, sebbene ancora indecifrabile, di una qualche divinità che
dia ragione di tanta sofferenza («Perché bramo Dio?», p. 35), mentre specular-
mente contrario è il percorso nell’omonima poesia del Sentimento, in cui, parten-
do dal postulato di una entità superiore, egli conclude la fralezza e l’incongruen-
za di quelle stesse cose. Con procedimento analogo, Preghiera si esaurisce in un
grido finale («di quel giovane giorno al primo grido», p. 97) di concitazione anco-
ra tutta umana, laddove il «sonno felice» che sigla La preghiera del Sentimento
preannunzia invece la comunione dei santi della teologia e dell’osservanza cattoli-
che («Le anime s’uniranno | e lassù formeranno, | eterna umanità, | il tuo sonno
felice», p. 175).
Al confronto elementare vita/morte delle poesie di guerra si sostituisce nella
produzione lirica successiva la dialettica innocenza/peccato, l’alterno procedere
tra Sehnsucht della purezza originaria perduta e tormento di una memoria che co-
stringe l’uomo in una storia infinita di desolazione. Esauritasi l’emergenza guerre-
sca, l’erotismo ebbro e vitale dell’Allegria evolve verso una carnalità sofferta e
continuamente contrastata dalla ricerca di misura («Il vero amore è una quiete ac-
cesa»: Silenzio in Liguria, p. 107) che iscrive in una contraddizione tutta barocca
la religiosità di questo secondo Ungaretti (ancora in Dannazione: «Tu non mi
guardi più, Signore... || E non cerco se non oblio | nella cecità della carne», p.
176), e riattualizza una tradizione letterario-religiosa che da sant’Agostino giunge
sino ai mistici spagnoli e a Pascal (tutti puntualmente attestati nelle sue conside-
80 Ungaretti
commenta Ungaretti cit., p. 827.
81
F. FORTINI, Da Ungaretti agli Ermetici cit., p. 307.
morte («Immemore sorella, morte, | l’uguale mi farai del sogno | baciandomi»: In-
no alla morte, p. 117). Sogno e memoria, comunque, sempre profondamente in-
tessuti l’uno nell’altra («il sogno stesso ci riconduce alla memoria», preciserà lo
stesso Ungaretti nel cuore del Sentimento)83: è evidente la suggestione dei poeti
barocchi o “visionari” spagnoli e inglesi da lui incontrati e tradotti in questo pe-
riodo.
Sull’ennui e sullo spleen di ascendenza baudelairiana delle prove iniziali e
delle suggestioni giovanili si innesta progressivamente un senso dell’esistenza tra-
gico e universale (soltanto nelle pagine del Dolore più intrise di lutto familiare la
scrittura del poeta tornerà a farsi, in qualche tratto, diaristica), che cerca riscatto
nell’acquiescenza al disegno divino: la fatalità “biologica” dell’Allegria («Si sta co-
me | d’autunno | sugli alberi | le foglie»: Soldati, p. 87) cede il passo ad una fatalità
religiosa di suggestione biblica (e, dunque, ritraducibile in mito); la preghiera tut-
ta insorgenze esclamata in trincea giunge a riprodurre nel Dolore quasi le cadenze
e il formulano della messa liturgica («Ecco, Ti chiamo, Santo, | Santo, Santo che
soffri»: Mio fiume anche tu, p. 230).
«Portati... ad altra esasperazione» (Note alla Terra promessa, p. 552), temi del-
la morte e dell’assenza, dell’innocenza perduta e dell’approdo mitico, trovano
pronuncia alta nei versi della Terra promessa, il libro che, nelle intenzioni del poe-
ta, avrebbe dovuto costituire il sigillo definitivo e più lucido della sua ricerca, il
frutto di «un autunno inoltrato» da cui staccare «per sempre l’ultimo segno di
giovinezza, di giovinezza terrena, l’ultimo appetito carnale» (ibid., p. 546). Per
tante ragioni (quelle, in parte, biografiche accampate da Ungaretti, ibid., p. 551,
ci sembrano le meno convincenti) l’opera rimarrà incompiuta e frammentaria ri-
spetto al disegno originario, incapace forse di contenere davvero tutta la sua ten-
sione sensuale: intermittente, ma ancora in grado di dettare, come nelle estreme
liriche amorose di Dialogo («È ora famelica, l’ora tua, matto»: È ora famelica, p.
301) e di aprirsi quindi un varco in una saggezza faticosamente raggiunta («Poeti,
poeti, ci siamo messi | tutte le maschere; | ma uno non è che la propria persona»:
Monologhetto, p. 261), ma non mai del tutto ratificata, minacciata quantomeno
dall’autoironia (per esempio, nei Proverbi). Su questa ostinata attesa di vita, sull’i-
nesausta querela d’amore, il poeta «matto» e «ossesso» si ritrova a concludere
proprio dove l’«uomo di pena» aveva cominciato.
83
G. UNGARETTI, Innocenza e memoria (1926), in ID., Vita d’un Uomo. Saggi e interventi cit., p. 130.
84
G. UNGARETTI e G. DE ROBERTIS, Carteggio cit., p. 5.
85 Ibid.,
p. 35 (lettera del 14 settembre 1942).
86 Citazione tratta da L. PICCIONI, Per conoscere Ungaretti, Milano 19932, p. 67.
87 «Nella storia di ogni poesia (e non solo della nostra) ogni tanto qualcuno s’affaccia e proclama ch’è tempo di
rompere i vetri e di “rinnovare l’aria chiusa”. Ungaretti, che ha davvero portato una nuova libertà nella lirica d’oggi,
non si è fatto precedere, pubblicando Il porto sepolto (1916), da alcuna dichiarazione di questo genere. Né a rigor di
termini ciò gli era consentito, perché fiumi di parole in libertà e diversi liberi d’altri poeti avevano precorso di poco
quelle sue prove» (E. MONTALE, Sulla poesia cit, p. 306).
Firenze 1959, e lo studio fondamentale di P. SPEZZANI, Per una storia del linguaggio di Ungaretti fino al «Sentimen-
to del Tempo», in AA.VV., Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, Padova 1966, pp. 91-160.
92 G. CONTINI, Esercizi di lettura, Torino 1974, p. 47 (Ungaretti, o dell’Allegria).
93 A. ZANZOTTO, «Ungaretti» cit., p. 358.
alla pronuncia (si ricordino le recitazioni del poeta), un significato prima scono-
sciuto, o comunque inatteso: è il caso degli articoli (Sogno), delle congiunzioni
(Giugno, Girovago), degli avverbi (In memoria, Allegria di naugrafi, Natale e an-
cora Giugno) o delle preposizioni (Annientamento) che i futuristi avevano invece
furibondamente raccomandato di bandire. Dall’altro, l’interruzione (Un sogno so-
lito), l’uso enfatizzato della pausa o gli spazi bianchi più o meno estesi tra un ver-
so e l’altro (Dannazione, Malinconia, Ritorno) si introducono prepotentemente
nella dinamica del testo e ne diventano parte essenziale, contribuendo infine a
prolungare la durata effettiva dei componimenti: procedimenti analoghi si regi-
strano nella musica d’avanguardia di quegli stessi anni, in cui la pausa pretende
d’essere ascoltata, e nella pittura, con il dilatarsi irresistibile degli spazi interstizia-
li o con il massiccio utilizzo del bianco (la cultura e le frequentazioni parigine e
milanesi di Ungaretti autorizzano il confronto).
Alla massiccia amplificazione espressiva cooperano, dunque, tutti gli effetti
fonici e visivi possibili (tuttavia, senza alcuna intenzione mimetica) e si può ben
comprendere come, in un contesto simile, ogni correzione anche minima (la va-
riante di un’elisione in Veglia; di una virgola in Fratelli; di un’apocope in Univer-
so; di un’aggiunta eufonica in In dormiveglia: cfr. l’Apparato critico delle varianti,
pp. 585-860) sia destinata in realtà a incidere profondamente sugli equilibri inter-
ni al testo, obbligandolo di continuo a disfarsi e a ricostituirsi, sino a perdere ogni
riferimento causale94: lo stillicidio dei versicoli sulla pagina bianca, di cui parla
Montale95, va certamente inteso in più sensi. L’isolamento delle parole nel verso,
sino alla coincidenza perfetta (cfr. Dolina notturna, Sogno, Vanità), prelude alla ri-
conquista del loro significato primigenio e alla liberazione della loro potenzialità
creatrice (Marziano Guglielminetti le definisce, con efficacia, «singole monadi
espressive creatrici “ex nihilo” d’un tutto»)96 e preannuncia il ricostituirsi del di-
scorso.
Il secondo tempo della partitura ungarettiana, designato dal poeta come ri-
cerca del canto, vede il ricupero di una comunicazione più complessa e distesa,
nel tentativo di trovare una qualche coincidenza fra tradizione e «necessità
94
Sull’accanimento variantistico di Ungaretti osserva Mengaldo: «Il fenomeno rientra nella più generale corrente
della poesia moderna che si può denominare da Mallarmé e Valéry, per la quale il testo è inteso come progressiva e in-
stabile approssimazione a un valore-limite, ma, al pari che in questi autori o da noi in un altro infaticabile correttore,
Cardarelli, va inteso anche come conseguenza operativa di una concezione della poesia come assolutezza sacrale che
aspira a sottrarsi alle causalità della storia; e che nel caso dell’Allegria urta dialetticamente alla contingenzialità bru-
ciante delle occasioni storico-biografiche che la generano» (P. V. MENGALDO, Poeti italiani del Novecento cit., p.
386).
95 E. MONTALE, Sulla poesia cit., p. 344.
96 M. GUGLIELMINETTI, Struttura e sintassi del romanzo italiano del primo Novecento, Milano 19672, p. 220.
espressive d’oggi» (Note al Sentimento del tempo, p. 541). Riesperita nella sua na-
turalezza e nella sua profondità, la parola viene ora innestata sulla linea Petrarca-
Leopardi della tradizione maestra italiana, articolandosi in dovizia lessicale, pre-
ziosità stilistica e complessità metrica. La «lentissima distillazione» (ibid., p. 529)
del Sentimento sconsiglia di rileggere questo secondo percorso in termini di sem-
plice restaurazione (dall’eversione all’ordine, secondo la formula più abusata),
anche perché essa procede di pari passo con quella dell’Allegria e, pur differen-
ziandosene poi a ogni livello, mostra di averne bene assorbito la lezione. I proce-
dimenti messi in atto in quest’altro cammino si collocano tutti nel segno della dif-
fusione e dell’accrescimento in volumi più dilatati che rischiano talora la gessosità
(La madre) e che sollecitano, ancora, il confronto con alcune esperienze similari
della pittura coeva (quella di Sironi, soprattutto, partito da paesaggi scabri ed es-
senziali, quasi privi di presenza umana, e poi approdato a un classicismo monu-
mentalistico).
Anche in questo caso ci limiteremo a riassumere i fenomeni di maggiore rile-
vanza. Anzitutto, una sintassi molto più complessa, ora di respiro ampio e caden-
zato, ora chiusa «in strutture circolari, incapsulate, ricche di incisi e diverticoli»97
(Memoria di Ofelia d’Alba, Sentimento del tempo, liriche costruite su di un unico
periodo protratto): al presente indicativo dell’Allegria si sostituiscono altri tempi
verbali, e in altri modi, con un valore che punta ad essere prevalentemente lirico-
evocativo (Le stagioni, Ricordo d’Affrica, Inno alla morte). In secondo luogo, ri-
pristino ovunque delle connessioni grammaticali e sintattiche, nonché della pun-
teggiatura; stemperamento della carica semantica aggressiva o deformante dei
verbi e dei sostantivi a favore di immagini più tradizionali e neutre (si considerino
versi come «Ora anche il sogno tace»: Le stagioni, p. 106; o come «La mano le lu-
ceva che mi porse»: Alla noia, p. 108; oppure un incipit del tipo «Dolce declina il
sole»: Auguri per il proprio compleanno, p. 194); preferenza per l’apposizione ana-
logica rispetto all’analogia esplicita prima largamente impiegata («Amore, mio
giovine emblema» e «Morte, arido fiume...»: Inno alla morte, p. 117; «Tempo,
fuggitivo tremito…»: Lago Luna Alba Notte, p. 115). E ancora: reintegrazione
massiccia della funzione aggettivale, di ascendenza molto spesso pascoliano-dan-
nunziana, come ha chiarito l’analisi sistematica di Pietro Spezzani: si pensi ad as-
sociazioni come «freschi pensieri» (Paesaggio, p. 104); «notturno meriggio» e «ac-
qua garrula» (Le stagioni, pp. 105 e 106); «stridulo | batticuore» (L’isola, p. 114);
«azzurro inospite» (Apollo, p. 116); «labili rivi» (Nascita d’aurora, p. 121). Infine,
un rilievo tutto nuovo rispetto a prima viene assegnato all’astratto, che acquista
97
P. V. MENGALDO, Poeti italiani del Novecento cit., p. 389.
una funzione emblematica «per la sua posizione forte nel verso, per il suo rilievo
allusivo e simbolico e per la sua connotazione mitico-evocativa»98 (si vedano, ad
esempio, O notte, Lago Luna Alba Notte, Eco, ecc.). A questa propensione verso
l’astrattezza, che nel cuore del Sentimento andrà a conseguire ulteriore risalto (cfr.
l’intera sezione degli Inni, pp. 165-78), si accompagna un gusto notevolmente ef-
fuso per l’inafferrabile e per l’indefinito (ne terrà gran conto la poesia ermetica),
segnalato anche graficamente dall’uso dilagante dei puntini di sospensione (Un
lembo d’aria, Ogni grigio, Pari a sé).
Nell’insieme, si assiste da parte del secondo Ungaretti a un riacquisto diffuso
di misure più ampie, di spessori e di volumi, tuttavia non mai rigidi o bloccati, ma
pullulanti di forme sempre nuove e imprevedibili, dietro cui s’indovina la forza di
suggestione della cultura barocca. Il verso infinitesimo o parcellizzato ritrova po-
co per volta grandezze più consuete (il settenario e l’endecasillabo di cui abbiamo
parlato in precedenza), mentre il sistema metaforico riguadagna complessità: il
sublime sensoriale dell’Allegria si dissolve «di fronte al sublime “culturale” della
religiosità e dei miti»99 e l’eloquenza torna così a riempire gli spazi bianchi del
vuoto e le pause del silenzio. Partito alla ricerca della parola, Ungaretti riapproda
al discorso e lo ricompone, ma senza alcun proposito di restaurazione esplicita.
Del resto, decidendo di pubblicare simultaneamente nel 1942/43 l’Allegria e il
Sentimento, aveva soprattutto inteso fissare, e salvaguardare, i risultati di una tor-
mentata ricerca, istituendo egli stesso nella propria lirica una sorta di antinomia
su cui il Novecento si interrogherà e si misurerà a lungo.
6. Nota bibliografica.
98
P. SPEZZANI, Per una storia del linguaggio di Ungaretti cit., p. 135.
99
G. RABONI, Poesia italiana contemporanea, Firenze 1981, p. 76.
Impossibile qui dar pieno conto di una bibliografia che si è fatta negli anni
sterminata. Le indicazioni che seguono, pertanto, non possono che risultare par-
ziali e si riferiscono ai contributi considerati irrinunciabili. Per gli studi sino alla
metà degli anni Settanta può soccorrere, comunque, G. FASO, La critica e Unga-
retti, Bologna 1977, utilissimo per raggiungere soprattutto gli interventi “storici”
sul poeta, a partire dal 1917-18, anche se i criteri del loro raggruppamento posso-
no, talvolta, lasciare perplessi. Rapide note bibliografiche si ritrovano anche nelle
monografie, citate, di G. Luti, G. Baroni e C. Ossola, nonché in appendice alla
voce «Ungaretti» di A. Zanzotto. Un ragguaglio fondamentale sugli orientamenti
della critica ungarettiana a cavallo degli anni Settanta-Ottanta è certamente con-
sentito dagli Atti del Convegno internazionale su Giuseppe Ungaretti (Urbino, 3-6
ottobre 1979), a cura di C. Bo e M. Petrucciani, 2 voll., Urbino 1981 (con più di
cento tra relazioni e comunicazioni).
La genesi della poesia di Ungaretti è stata ricostruita con estrema puntualità
da L. REBAY, Le origini della poesia cit., poi integrate dallo stesso con Ungaretti:
gli scritti egiziani 1909-1912, in Atti del Convegno internazionale cit., pp. 33-60, e
da G. LUTI, Ungaretti e «les compagnons de route» dell’avanguardia fiorentina,
ibid., pp. 277-303. Contributi importanti sugli esordi del poeta sono stati forniti
anche dai due volumi di L. PICCIONI, Vita di un poeta cit., pp. 11-115, e Unga-
rettiana cit., passim. Ma rivelatori dei suoi primi progetti di scrittura e delle sue
idee letterarie sono, naturalmente, i carteggi, in special modo le Lettere, citate, a
Papini, Marone, Pea e Soffici. Valutazioni più specialistiche sui primo percorso
della poesia di Ungaretti, e preziosissime perché prodotte dal critico a lui più vici-
no e fedele, sono quelle di G. DE ROBERTIS, Sulla formazione della poesia di Un-
garetti (1945), in G. UNGARETTI, Vita d’un Uomo. Tutte le poesie cit., pp. 405-
421. Ad esse andranno affiancati gli interventi più interessanti che hanno accom-
pagnato nei primi dieci anni l’opera di Ungaretti (come quelli di Giovanni Papini,
Alberto Savinio, Pietro Pancrazi, Luigi Russo, Francesco Flora, Adriano Tilgher,
Enrico Thovez), leggibili, sia pure in sunto, in G. FASO, La critica e Ungaretti cit.
Sulla struttura di Vita d’un Uomo e sulla sua storia interna sono intervenuti,
con interpretazioni risolutive, soprattutto G. CAMBON, La poesia di Ungaretti
cit., e C. OSSOLA, Giuseppe Ungaretti cit. Un sussidio importante per intender-
ne l’ordinamento progressivo viene offerto dalle citate edizioni critiche delle sin-
gole raccolte, oltre che dalle Concordanze delle poesie di Giuseppe Ungaretti ap-
prontate da G. Savoca, con premessa di M. Petrucciani, Firenze 1993. In prece-
denza, E. Chierici ed E. Paradisi avevano provveduto alle Concordanze dell’«Alle-
gria», Roma 1977. Per l’analisi variantistica delle sillogi e per il significato della
variante in Ungaretti rimandiamo ancora, com’è ovvio, alle introduzioni delle edi-
zioni critiche, con annessa bibliografia sull’argomento. Da segnalare, inoltre, il