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Lao Zi e il non agire

Iniziatore della via del taoismo, Laozi vive non prima del
250 a.C. ed è considerato lʼartefice di unʼopera dove il
tempo dellʼagire è visto nella modalità del non agire.
Sullʼesistenza del “vecchio Maestro” (Laozi) non si hanno
effettive certezze, probabilmente è cresciuto nello stato
di Chu. Sulla sua vita si sono create diverse leggende,
tanto che in una biografia egli appare con un
comunissimo cognome di famiglia: Prugno, Susino (Li),
poiché è narrato che egli sia stato per sessantadue anni
in gestazione sotto un albero di susino e per ciò fin
dallʼinfanzia sarebbe stato chiamato “Vecchio”. Il suo
nome personale, invece Orecchie (Er) e lʼappellativo
Grande (Dan), sarebbero legati al fatto di essere in
possesso di grandi e lunghe orecchie: ciò dà alla sua
figura una caratteristica di saggezza.

La leggenda vuole che Laozi sia un sostenitore della


Dinastia Zhou e che nel periodo del suo declino sia
partito rammaricato dirigendosi verso ovest e proprio
verso il confine abbia composto il “Classico della Via e
della Virtù” (Daodejing), dopo sarebbe morto in un luogo
non preciso. Questʼultima connotazione avrebbe dato la
possibilità ai buddisti di riprendere la sua figura nel
quadro del buddismo. Il libro, a differenza del
personaggio a cui è stato attribuita la paternità, ha
connotazioni storiche accertate. Eʼ composto in una serie
di versi ritmati e rimati, molto concisi e semplici. La
ricerca dellʼopera è finalizzata a raggiungere una forma di
linguaggio capace di captare e accostarsi a ciò che è
indicibile. Essa presenta varie sfaccettature della cultura
del periodo ed anche metodi e tecniche da praticare. Una
delle preoccupazioni maggiori che emerge da una prima
lettura è quella di trovare una soluzione che porti ad
uscire dal circolo violento che si è venuto a creare nel
periodo di mortali lotte negli anni degli Stati Combattenti.
Attivismo moista e moralismo confuciano vengono
fortemente accusati di essere la causa di questo
malessere che è determinato dal decadere del Dao. La
soluzione è il non agire (wuwei). Questo paradosso del
non far nulla contro i soprusi che si subiscono, i massacri
o le tirannidi, è giustificato dal fatto che in natura come
nel mondo umano, il male si ritorce sempre sulla fonte
che lo ha commesso. Per questo motivo non agendo, la
violenza non inizia una spirale infinita, ma si blocca: così
la vera vittoria nasce nel cedere.

Anche questʼopera, come il Gaozi ed il Mengzi, ricorre


alla metafora dellʼacqua. Essa è identificata come un
elemento umile, si piega e volge il suo scorrere seguendo
il corso delle superfici, ma seppur appare insignificante
perché non oppone resistenza, lʼacqua è in grado di
prevalere su materiali molto solidi. Essa si trova ad essere
tra il non cʼè (wu) ed il cʼè (you), indispensabile per la
sopravvivenza dellʼuomo, essendo ciò che dà vita ad ogni
cosa e per le sue innumerevoli caratteristiche è spesso
associata al dao, in qualità di madre dei diecimila esseri. Il
fatto che lʼacqua venga accostata al lato femminile Yin, e
prevalga su Yang esplica ancor di più il concetto del
debole che vince il più forte. Il non agire è una modalità di
essere, è per questo che porta alla vittoria. Esso è un
qualcosa di insito. Questʼidea può essere accostata
allʼidea confuciana dellʼefficacia dellʼarmonia del dao per
riequilibrare e riorganizzare la vita, ma è marcatamente
esplicito che nel Laozi, il non agire è inteso
esclusivamente al fatto di astenersi da ogni azione di
rivalsa e rivincita, interventista o aggressiva, la quale
potrebbe compromettere ed interagire in modo da
rallentare il corso ordinatore della potenza invisibile (de)
del dao. Il Santo allora deve camminare senza interferire.
Mentre, nel Zhuangzi si riscontra una posizione che
ironizza sulla relatività del vedere le cose, invece nel
Laozi è incentrato il fatto che porre in esame un qualcosa
significa porre anche il suo contrario e non solo il suo
complementare come è sempre avvenuto nello stile
classico del pensiero cinese. Ma è la legge naturale che
crea e genera i paradossi, è la legge ciclica che crea
complementari ed opposti, ed ogni cosa presto o tardi
ritorna alla propri a origine. Non vi sono messaggi morali,
infatti la natura per questa corrente di pensiero è
totalmente priva di senso morale. Sono solo le leggi
naturali, che portano il Santo a mettersi più in basso degli
altri per fare in modo che gli altri finiscano per seguire il
suo esempio, in modo tale che il non agire è stato artefice
di un agire. Il Santo segue quindi la legge naturale di
andare dal basso verso lʼalto perché è necessario
ritornare alla fonte dʼorigine. Bisogna lasciarsi portare
dalla corrente della natura anziché affannarsi inutilmente,
nel Laozi, come nel Zhuangzi, il nuotatore che non si
impone è quello che arriverà al dao. I taoisti sono alla
ricerca dellʼorigine, la quale trovandosi al centro porta
tutto ad essere attratto da questo fulcro. Il ritorno alla
natura originaria e quindi al soffio originario (yuanqi) può
avvenire solamente alimentando e nutrendo il proprio qi.
E' necessario ritrovarsi nello stadio naturale precedente
alla propria nascita, per creare uno stato primitivo dove
non esistono volontà di dominio o supremazia e non vi sia
nè morale nè leggi. Si sente la convinzione sincera che in
una società così organizzata lʼuomo è un essere privo di
ogni forma di aggressività e violenza. Il non agire del
Laozi viene interpretato da Han Feizi come un non
interferire. Il senso politico attribuito dal legismo è quello
di mantenere uno stile di vita semplice, frugale e naturale
per evitare che il sovrano interferisca. Nel Zhuangzi cʼè la
proposta di un disimpegno politico, invece nel Laozi la
pratica del dao nel non agire si concretizza proprio con
lʼaspetto politico. Anche nel Laozi come nel Zhuangzi il
dao si differisce dal Dao. Il primo incarna il non agire e
sono tutte le vie dicibili, mentre il secondo è la Via, realtà
ultima nella sua totalità e nella sua origine. Il Dao
comprende sia un aspetto dicibile, senza (wu), uno
indicibile, con (you). Eʼ innominabile quando ci si riferisce
alla sua figura di creatore di Cielo-Terra, ma è
denominabile proprio per il fatto di essere il generatore,
per questo assume il nome di “Madre dei diecimila
esseri”. Non possono essere divise la realtà unica e
costante del Dao, dalla realtà globale dicibile, poiché
sono le designazione di una medesima entità. Non è a
causa della limitatezza dei sensi umani che si colgono
solo le apparenze, ma sono le distinzioni delle categorie
del linguaggio che usiamo a dare questa percezione. Eʼ la
generazione che ha portato al molteplice e non una
creazione dal nulla. Il soffio originario (yuanqi) non
essendo statico si differenza in due diversi soffi Yin e
Yang. Questa divisione genera una nuova parte, il soffio
mediano (zhongqi) che accostato ai primi due forma una
relazione chiusa ed aperta in grado di contenere lʼinfinito.
Lo spazio allʼepoca degli Han è identificato come il moto
stesso del tempo e del divenire. Il pensiero cinese si
specifica quindi per la sua ciclicità costante che si trova
tra il non cʼè ed il cʼè, fra lʼinvisibile ed il visibile. Il ritorno
(fan), allo stato naturale e primitivo, non aggressivo,
significa percorrere la strada verso il cʼè che poi riporterà
verso il non cʼè, per giungere a ciò che va da sé nella più
genuina spontaneità. Questo cammino verso il Dao è a
ritroso e, rispetto alla via confuciana, può apparire un
cammino negativo. Laozi insegna che per trovare il Dao è
necessario disimparare ed è in questa ottica che si
colloca il non agire. Se si rinuncia allʼio limitato si può
giungere al Dao.

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