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N.107
Semestrale di cultura, politica, economia, edito dal Centro Studi e Iniziative
"Valados Usitanos"
COMITATO DI REDAZIONE
Giuliana Armand
Piero Barale
Ivo Beolè
Silvana Cortona
Marziano Di Maio
Massimo Garavelli
Gianpaolo Giordana
Fausto Giuliano
Stampato da:
Tipografia Baima & Ronchetti, Castellamonte, Torino
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EDITORIALE
“Si chiude una fase storica”
La citazione rimanda all’editoriale giunto con questo numero) il
del numero dello scorso luglio di momento della chiusura
Ousitanio Vivo (l’ultimo, prima dell'edizione cartacea per
della cessazione delle mancanza di finanziamenti.
pubblicazioni: ma si parla di una
prossima riapertura, pur tra molte Oggi per‰, a differenza di dieci
difficolt•). ‚ un momento di crisi anni fa, chi vuole esprimersi
per i periodici occitani. Nello liberamente ha a disposizione tutta
scorso autunno anche la una serie di strumenti tecnologici
“Setmana”, importante foglio (siti, blog, newsletter, liste di
occitanista dello stato francese, ha discussione, posta elettronica,
lanciato una campagna di stampa tablet, smart-phone, e-book) che gli
volta a raccogliere un numero consentono di farlo senza alcun
considerevole di nuovi costo. E quindi, esauriti i fondi che
abbonamenti: … in gioco anche l† la ci permettevano di pubblicare la
sopravvivenza del giornale. rivista in forma cartacea, Valados
Proviamo allora a ritornare alla Usitanos continuer• ma solo pi‚ in
situazione di crisi della cultura edizione 'elettronica'.
occitana di circa dieci anni fa,
L'ultimo abbonamento possibile
descritta da Sergio Ottonelli
alla rivista sar• quello per i numeri
nell’editoriale del numero 85 di
108 e 109, dopo di che non sarƒ
V.U. (settembre-dicembre 2006). A
pi‚ necessario pagare il rinnovo
causa dei costi di stampa proibitivi
perchˆ il Valados Usitanos
la libera ricerca culturale occitana
elettronico sar• inizialmente gratis,
faticava spesso a trovare uno
sbocco: i comuni, le comunit• ma sarƒ inviato in formato PDF
solo a chi lo richiederƒ.
montane, le banche ostacolavano
Rimandiamo fin da ora ai nostri
gli autori ‘liberi’ proprio perchˆ
indirizzi internet ufficiali:
non strumentalizzabili a logiche di
potere. A distanza di anni la crisi si http://valadosusitanos.weebly.com
e valadosusitanos@libero.it per
ripete, ma questa volta
informazioni sulla diffusione
coinvolgendo senza distinzioni
elettronica.
autori 'liberi' e non...
Dopo una fase di rodaggio, …
Per quanto non abbia senso
nostra intenzione ripristinare
parlare di fine della ‘fase storica’
anche per la futura edizione
delle vacche grasse per chi, come
elettronica il versamento di una
noi di Valados Usitanos, non ha
quota di abbonamento, che sar•
mai avuto aiuti da poteri
devoluta ad organizzazioni che si
compiacenti, si avvicina anche per
occupano della difesa di popoli,
la nostra rivista (ma non … ancora
lingue e culture.
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GIUSEPPE PASERI
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Juz„p, lu sendi dar M„l
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Voglio aggiungere ancora alcune cose, gi• dette certamente da altri e
da altri ancora sicuramente pensate: forse, benchˆ possa sembrare un
bisticcio, … possibile definire Juz„p un moderato intransigente (su
determinati principi che per altri potevano diventare carta straccia, lui
era davvero intransigente), ma anche un uomo buono e onesto che per
tanti anni … stato anche un buon compagno di strada lungo un percorso
che spesso interpretavamo con modalit• differenti, ma sempre con cu-
riosit•, attenzione verso il pensiero altrui e con disponibilit•.
Ciau Juz„p, sabu ren ent„ sies anƒ, ma siu seg†r ke te trubaras b„n.
Gianpaolo
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conversazioni mi rendevo regolarmente conto della mia abissale
ignoranza dell’occitano e cominciavo a scivolare sull’inviso
piemontese: parlata coloniale, ma che conoscevo sicuramente meglio.
Allora anche lui, rispettosamente, abbandonava l’occitano per il
piemontese. A quel punto io, accorgendomi dell’assurdit• della
situazione, cambiavo di nuovo rotta, passando decisamente all’italiano:
finiva sempre cos†.
Diciamo che l’occitano alla fine lo parlo sempre malissimo, ma mi …
venuta questa curiosit• per i dialetti occitani (di Francia, Italia e
Spagna) che mi porto dietro tuttora: in fondo devo tutto questo anche a
Giuseppe…
Ivo
GIUSEPPE PASERI
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UN PRIMATO
DELL’ALTA DORA
DIECIMILA
TOPONIMI D’OC
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ultimi detentori quelle informazioni atte a tessere una tela dei nomi di
luogo che fosse soddisfacente.
Prima degli ultimi anni del secolo scorso in Alta Dora i toponimi affio-
rano solo occasionalmente, in margine ad altri filoni culturali: vedi Piero
Perron (Sul ban d’la Chap•lle), Luigi Onorato Brun (Ou b‚ de Ciabar-
toun), Angelo Masset nella sua grammatica-vocabolario della parlata di
Rochemolles, mentre Valerio Coletto sui primi numeri de La Rafanhau-
do si • occupato dei significati di alcuni toponimi chiomontini. Duccio
Eydallin aveva raccolto non si sa quanti nomi di luogo di Sauze d’Oulx
rimasti inediti. Oreste Rey aveva iniziato a redigere una carta con i topo-
nimi di Salbertrand. Abbiamo poi due tesi di laurea, inedite, sulla topo-
nomastica della bassa Val Thuras (A. Vigitello) e di Sauze d’Oulx (Chri-
stine Fundone).
La prima pubblicazione dedicata specificamente all’argomento • del
2000. Da anni Marziano Di Maio era andato raccogliendo toponimi di
Melezet e del vecchio comune censuario di Bardonecchia. Poi a fine se-
colo si • presentata l’occasione favorevole per pubblicare.
L’amministrazione comunale bardonecchiese a quel tempo era molto di-
namica, in particolare nel miglioramento ambientale e nel rilancio cultu-
rale; assessore alla cultura attivo e appassionato era Walter Re; erano
stati lanciati i Quaderni di Bardonecchia. Cogliendo la palla al balzo,
con l’aiuto d’una trentina di persone pratiche dei luoghi si sono raccolti
circa 850 toponimi di Bardonecchia inteso come comune censuario (cio•
senza Melezet, Millaures e Rochemolles). Appunto nel 2000 essi sono
stati pubblicati sotto forma di guida, seguendo linee geografiche, ogni
toponimo con i dovuti riferimenti ambientali, culturali, storici eventuali,
della tradizione ecc., e per quanto possibile con i significati ma senza
forzature. Il tutto illustrato da foto d’epoca e da cartine.
Non si • mancato di prendere visione di vecchi documenti, di catasti del
passato, di carte premoderne.
Un aspetto moralmente remunerativo di queste rilevazioni • stato quello
di aver coinvolto gli abitanti, risvegliandone la sensibilitƒ verso i valori
del passato. La gente si • appassionata e ha partecipato con entusiasmo
(e con pazienza).
Intanto si • iniziato a lavorare anche sugli altri ex-comuni della conca,
tanto che l’anno seguente (2001) • potuto uscire il Quaderno su Melezet,
Les Arnauds e la Valle Stretta. Poi nel 2002 Daniela Garibaldo ha con-
cluso e pubblicato la sua ricerca su Millaures e infine nel 2003 ha visto
la luce il libro su Rochemolles grazie a Aldo Garcin, Luciano Souberan
e Marziano Di Maio.
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Nel complesso dei quattro comuni censuari della conca si sono raccolti
pi„ di 3700 toponimi. La ricerca peraltro non • conclusa perch… ogni tan-
to i montanari ricordano un altro nome, oppure emerge qualche altro si-
gnificato.
* * * *
Dopo questi quaderni di Bardonecchia le ricerche in Alta Dora si sono
moltiplicate. Nell’ambito dell’Atlante Toponomastico del Piemonte
Montano (ATPM) cui hanno dato corpo il Dipartimento di Scienze del
Linguaggio dell’Universitƒ di Torino e l’Assessorato alla Cultura della
Regione Piemonte, nel 2002 per volontƒ del Parco Naturale Regionale
del Gran Bosco • uscito il volume su Salbertrand a cura di Roberto Ci-
bonfa e Roberto Torchio. Ad esso seguiranno quelli su Exilles (2006,
degli stessi ricercatori pi„ Fulvia Bernard) e su Chiomonte (2012, di Ro-
berto Cibonfa). I toponimi raccolti nei tre comuni sono circa 2550, elen-
cati in ogni volume per ordine alfabetico com’• nella prassi dell’ATPM,
con scarne note essenziali, con gli eventuali significati suggeriti dagli in-
formatori e con le posizioni riportate su carte di grande formato.
Nel 2003 sono stati pubblicati gli 840 toponimi di Savoulx e della borga-
ta Constans di Beaulard, a cura di Daniela Guiguet, Silvia Gallizio e
Marziano Di Maio, con gli stessi collaudati criteri di guida al territorio.
Nello stesso anno il Parco Naturale Regionale della Val Troncea ha ri-
portato su bacheche varie decine di toponimi di Champlas du Col raccol-
ti dagli scolari della Scuola elementare di Sestri•re ad illustrazione del
sentiero-natura Louis XIV.
Nel 2011 ha fatto il suo ingresso nel filone toponomastico R. Sibille, che
tra i suoi variegati interessi si • appassionato pure a questo. La sua “Gui-
da ai toponimi e alla storia di San Marco di Oulx” • da manuale: quasi
500 nomi di luogo emergono da ben 270 pagine illustrate e con cartine.
Attraverso di essi vengono divulgati non solo geologia, morfologia, am-
biente naturale e quant’altro sia degno di una vera guida, ma pure la sto-
ria locale (brevi capitoli ne approfondiscono alcune vicende, comprese
quelle della resistenza), ciˆ che • accaduto a ricordo degli anziani, argo-
menti artistici e culturali e fatti di costume, socialitƒ e gastronomia, cata-
strofi, curiositƒ, significati veri o possibili dei toponimi e tanto altro.
Nello stesso anno 2004 l’associazione L‰ clouchŠe ‰d l‚ s‹n bourgi‚ ha
pubblicato i “Toponimi del territorio di Fenils nell’antica parlata”, a cura
di Riccardo Colturi. I nomi di luogo citati sono soltanto 185, per cui •
evidente che • stata operata una scelta tra tutti quelli esistenti.
Con “L’Adreyt di Oulx (anno 2006) • ricomparso Renato Sibille, che
con Olga FranŒos ha analizzato il territorio e la storia delle comunitƒ di
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Amazas, Soubras e Vazon. Gli oltre 500 toponimi raccolti hanno dato
occasione a una nutrita serie di informazioni su pi„ fronti, tra cui moltis-
simi nomi in patuƒ di erbe e piante. R. Sibille replicherƒ ancora con due
contributi nel 2010, e con uno nel 2014. Il primo riguarda i territori ul-
ciensi del Gad, di Monfol, della Beaume e delle Auberges; pubblicato
come Cahier dell’Ecomuseo Colombano Romean (• il n. 13), ha analiz-
zato anch’esso oltre 500 toponimi, presentati sulla ricca falsariga abitua-
le per questo autore. Il secondo contributo del 2010 redatto insieme alla
ricercatrice locale Franca Bernard, • un volume di ben 278 pagine in
grande ed elegante formato su “Thures e la sua valle”; tutto lo scibile
che fa da supporto e contorno a circa 850 toponimi ci svela l’anima del
paese, inaspettatamente per chi credeva che lƒ tutto fosse ormai sommer-
so nell’oblio. Infine l’ultimo impegno sostenuto insieme a Rinaldo Gros,
• relativo all’operazione quasi disperata di recuperare memoria dei/dai
toponimi di Desertes; sono stati raccolti e localizzati circa 270 nomi di
luogo, presentati con dovizia di notizie in 240 pagine sul Cahier n. 20
dell’Ecomuseo salbertrandese.
Con quest’ultimo ammontano a 14, tutti negli ultimi tre lustri, i lavori
pubblicati sulla toponomastica dell’Alta Dora; gli autori sono 14. Al di
lƒ dei risultati culturali, i toponimi localizzati sono pi„ di 10.000, inte-
ressanti una superficie sui 42.000 ettari che • pari ai due terzi dell’intero
territorio storico (cio• includendo le aree cedute alla Francia nel 1947 e
quelle della Val Ripa passate a Sestriere).
Si deve considerare con soddisfazione che • pi„ facile valutare ciˆ che
resta da fare rispetto a quanto • stato fatto. Rimangono scoperti Cesana
inteso come comune ante 1928, Sauze di Cesana, Solomiac, Claviere,
buona parte di Beaulard e di Champlas du Col, aree ridotte di Oulx
(Pierremenaud / Piermenao). Di Fenils non sappiamo tutto. Silvio Heri-
tier si sta occupando di Bousson, mentre R. Cibonfa sta riordinando per
l’ATPM quanto esiste di inedito su Sauze d’Oulx per poi cercare di
completare.
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Questa mole di toponimi ha dato un buon contributo nel recuperare cul-
tura, nella riscoperta delle radici, nel dare ulteriore visibilitƒ alle cose
d’oc.
Oltre che la ricerca, • importante la pubblicazione. Se la nostra curiositƒ
• stimolata dai significati dei nomi di luogo, che spesso sono oscuri, •
proprio attraverso la divulgazione delle conoscenze che puˆ accadere di
trovare in altri paesi quei significati che si sono perduti nel nostro. Ad
esempio a Thures una zona a pascolo si chiama Palcanhou, di ignoto si-
gnificato in loco; ma ecco veniamo a sapere che a Savoulx lou parcan-
hou sono certe erbe graminacee dure (festuche). A San Marco abbiamo i
campi di Chanpar‰lh senza conoscere lƒ il significato, ma a Melezet la
samparelh‰ • quell’erba mangereccia detta porcellana (la Portulaca ole-
racea). Ad Amazas troviamo la Souffranher‰ e a Millaures su un vecchio
catasto Souffraniera: si trattava di coltivazioni di zafferano che V. Colet-
to ha riscontrato presenti pure a Chiomonte secoli addietro, cosŠ come
sono attestate in Maurienne nel ‘500 sino a fine ‘800 e reintrodotte nel
2009 a Saint Julien Montdenis sempre nella valle dell’Arc.
Ma i casi in cui la nostra curiositƒ rimane insoddisfatta sono numerosi.
Un esempio per tutti: sui monti di Rochemolles una freddissima sorgente
ha nome la Funtan‰ dla Carˆ, che trova un suo pari a San Marco di Oulx
nella sorgente particolarmente fredda della Funtan‰ duz Acarˆss (R. Si-
bille). Ma un toponimo la Caˆ esiste pure alla Prea di Roccaforte (CN)
e troviamo pure una sorgente la Carˆt nel lontano Rivamonte Agordino
(BL), la cui acqua bevuta dalle ragazze aveva fama di sviluppare il seno.
Uno dei tredici laghi di Prali • detto Lau dla Carott‰ (italianizzato in la-
go della carota…).
* * * *
Se la pubblicazione delle ricerche si giovava in passato del sostegno dei
maggiori enti pubblici, oggi la situazione • molto critica. La Regione da
un lato ha impiegato cospicue risorse in opere dalla prioritƒ molto discu-
tibile, e dall’altro ha drasticamente tagliato i contributi per esigenze co-
me quelle culturali che sarebbero inderogabili in un paese civile. Per
quasi tutte le associazioni come Valados Usitanos pi„ che di un taglio si
• trattato di un azzeramento. Inoltre il patto di stabilitƒ impedisce a co-
muni che pure avrebbero volontƒ e mezzi per intervenire, di spendere per
la cultura.
Oggi per pubblicare i risultati delle ricerche si deve fare affidamento in
Alta Dora su enti locali che cercano tra le pieghe dei loro risicati bilanci
di racimolare all’uopo piccole disponibilitƒ, vedi l’Ente di Gestione Par
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chi Alpi Cozie, l’Ecomuseo Colombano Romean, il CeSDoMeo, il Con-
sorzio Forestale Alta Valle di Susa. Dobbiamo guardare con invidia alla
Valle d’Aosta, dove la Regione finanzia adeguatamente valle per valle
un piano sulla ricerca toponomastica, o alle valli ladine delle Dolomiti
che in maggioranza hanno messo a disposizione gratuita dei turisti carti-
ne con i toponimi nella parlata locale.
Marziano Di Maio
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Giuliana Armand
ERBE E TERAPIE
NELLA MEDICINA POPOLARE
DELL’ALTA VALLE DELLA DORA
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do era ora di falciare ed essa era in pieno rigoglio; per la malva e la ca-
lendula (la malv•, la carunh‚tt•) occorreva aspettare che crescessero
nell’orto al bordo delle tavole di ortaggi; per altre, come il genepin e
l’arnica (genepin, arnica) bisognava fare molta strada a piedi, in agosto,
ed alzarsi verso le cime dove si sviluppavano all’ombra delle rocce; al-
cune come l’assenzio, il timo (la fƒr, ‘l s‚rpulh) spuntavano ai margini
dei viottoli, delle mulattiere, nelle campagne e venivano raccolte di ri-
torno dai campi; per altre poi, come per la rosa canina (las argurenz•)
occorreva attendere i primi freddi, quando la brina faceva cadere le fo-
glie ed appassire i frutti. Esistevano poi delle credenze che celavano an-
che un po’ di magia come quella delle violette che per essere pi„ effica-
ci dovevano essere raccolte nel solstizio di primavera.
Ogni pianta veniva raccolta per un determinato scopo ed era usata anche
per curare gli animali. Alcune donne erano pi„ esperte delle altre e ad
esse si ricorreva in caso di necessitƒ. Si andava dal medico solo in casi
rari e gravi.
Artemisia absinthium
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coprirsi e l’umiditƒ delle stalle in cui i montanari svernavano, favorivano
l’insorgere di malattie bronchiali che venivano curate con tisane e sci-
roppi. Numerose le piante raccolte a questo scopo. Con esse si facevano
profumate tisane che si addolcivano con il miele. Farfaro, violette, fiori
di borraggine, lichene, tiglio (racias• , viur‚tt•, buracci•, pon’d ciab-
bra, tilƒlh) venivano diversamente dosate, secondo il tipo di tosse (pi„ o
meno secca). Normalmente si addolcivano con il miele ma si usavano
pure sciroppi appositamente preparati che ne potenziavano l’effetto e-
molliente od espettorante: sciroppo di tarassaco, sciroppo di pigne…
Si usava soprattutto quest’ultimo, che era preparato con i germogli resi-
nosi di pino mugo e di cembro. Le piccole pigne, raccolte ancora tenere,
appena formate, di colore rosso e appiccicose di resina,venivano messe
in un barattolo a chiusura ermetica e ricoperte di zucchero. Il barattolo
veniva poi posto al sole estivo, nell’angolo riparato di un davanzale o di
un balcone dove il calore faceva trasudare goccioline balsamiche che
scioglievano lo zucchero e si trasformavano in sciroppo. A fine estate
era pronto e lo si usava, in caso di necessitƒ, semplicemente sciolto in
acqua calda o, come giƒ detto, in aggiunta alle tisane. In alcuni paesi, ad
esempio a Desertes, si usavano pure le pigne pi„ grosse, giƒ formate.
L’importante • che fossero ancora verdi. Si spaccavano in tre, quattro
parti prima di ricoprirle di zucchero, per favorire l’uscita delle sostanze
balsamiche.
Si preparava anche lo sciroppo di rape (sir†’d rabba), ottimo rinfrescan-
te delle vie aeree e calmante della tosse. Si affettava una rapa fresca alla
sera, la si cospargeva di zucchero e, il mattino seguente, si recuperava
tutto lo sciroppo che si era formato. Si beveva a cucchiai durante il gior-
no.
Quando la tosse era particolarmente secca e stizzosa si ricorreva ai cata-
plasmi (lus ‚mplatr‚) di farina di lino. Si preparava una polentina con
acqua e farina di lino (farin• ‘d lin) e la si rinchiudeva dentro una pez-
zuola, meglio se di lino. La si posizionava calda sul petto, in alto,
all’altezza dei bronchi, stando attenti a non bruciarsi e la si lasciava fin
quando si intiepidiva. Non bisognava lasciare che si raffreddasse. Si so-
stituiva allora con uno straccio di lana calda e si stava ben attenti a non
prendere freddo dopo questa applicazione. Il lino • molto rinfrescante e
il caldo umido che si sprigionava dalla pappetta fatta con i suoi semi
aiutava il catarro a maturare e ne favoriva l’espettorazione.
Ai bambini che avevano la tosse giovava pure l’applicazione sul petto e
sulla schiena di grasso di gallina (gr‚is• ‘d giarin•). Si copriva poi la
parte unta con un pezzo di carta dello zucchero (carta di color blu detta
papie blƒ in cui si incartava lo zucchero venduto sciolto nelle botteghe
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alimentari) Quando si ammazzava una gallina, si teneva sempre da parte
un po’ del suo grasso che veniva usato come medicamento.
Chi soffriva di pressione alta si curava soprattutto con una tisana di fiori
di biancospino, di genzianella o con l’aglio (la flū ‘d bosu, lu d‚a, l’alh)
mentre il tarassaco, i fiori di sambuco e la radice della bardana (la flū du
mur‚, la flū ‘d sambuin, la rasin• ‘d las apilha) avevano un effetto puri-
ficante del sangue.
Anche le minestre di erbe selvatiche preparate in primavera erano purifi-
canti e disintossicanti. Erano preparate con ortiche, boraggine, piantag-
gine, barbadibecco, spinaci selvatici, (ƒrti•, buracci•, p‚r‚sin•, urelha
d’ˆne, orla) e altre di cui non conosco il nome in italiano: patta’d ciat,
leitasun…
L’insalata di tarassaco (saradda ‘d mure), raccolto prima della fioritura,
era molto consumata ed era altamente depurativa.
Il rilassante pi„ usato era la melissa ( la meliz•) ma venivano usati anche
la verbena e il tiglio (la verven•, ‘l tilƒlh). La melissa era l’erba delle
donne per eccellenza, combatteva la malinconia tipica di certi periodi.
Non per nulla in Piemontese • chiamata ‘Arlegac•r’.Essa aveva un effet-
to sedativo e antispasmodico. Recitava un nostro proverbio: “Se le don-
ne sapessero quanto bene fa la melissa se ne metterebbero anche nella
camicia” “ Si la f‚nna i sabeson ‘l bien k‚ fai l• meliz• i s’n‚n beter‰an
fin• din l• ciamiz•” Era particolarmente raccomandata per i dolori me-
struali.
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Recipiente in ferro smaltato per fumenti di tisane emollienti
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Barattoli di ceramica in cui venivano conservati gli unguenti
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veva un forte potere cicatrizzante e risolveva problemi di spine e di pus:
estraeva le spine che ritrovavi sullo straccio, ripuliva dal pus che si era
formato.
Se si trattava di piccole ferite perˆ, bastava l’applicazione di una foglia
di lapsana (giarin‚tta) per guarirle.
Camomilla
(Matricaria camomilla)
Per il mal di denti usava, oltre alla p‚r‚sin•, anche metter loro sopra un
po’ di grappa, soprattutto se si trattava di un nervo scoperto. Il liquore
forte addormentava un po’ il male.
La resina solidificata, quella di abete bianco in particolare, chiamata bi-
giun era presa per bocca in caso di traumi interni. Era solamente difficile
da digerire.
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I bambini erano sottoposti ad una cura ricostituente: l’olio di fegato di
merluzzo. Un ottimo prodotto ma tutti quelli che sono stati costretti a
berlo ne ricordano ancora a distanza il terribile odore ed il disgustoso sa-
pore perch… il prodotto che all’epoca si trovava in commercio, era grez-
zo, scuro e spesso.
Pimpinella
Per le verruche che si formavano soprattutto sulle mani, si usava un’erba
(l’erb• dla ver‹a, la celidonia) che cresceva sui muri a secco e il cui ste-
lo secerneva un succo vischioso e bianco-giallastro. Si ricoprivano le
verruche con questo liquido che, ripetendo l’operazione pi„ volte, le fa-
ceva seccare. Con lo stesso scopo e nella stessa maniera si usava il latte
ricco di colostro (lai b‚t) di una mucca che aveva appena partorito.
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L’erb• dla ver‹a o celidonia (Chelidonium_majus)
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tazzina di acqua. Si doveva bere tutto quell’insieme bavoso che si for-
mava (a linusa) e che era molto antinfiammatorio. Si pensi che lo stesso
trattamento si faceva con le mucche gravide.
Ricordo pure che la nonna preparava per le sue bestie l’arieton, un beve-
rone fortemente digestivo formato da acqua calda, la schiuma ricavata
dalla preparazione dell’estr•, la genziana, l’assenzio, il ginepro ed altre
erbe. (Per saperne di pi„ sull ’estr• vedi l’articolo di Marziano Di Maio
su Valados Usitanos N. 33)
Conservo tuttora in casa un attrezzo che mi ha sempre incuriosito: un
piccolo torchio. Ricordo che l’ho sempre guardato con diffidenza, anche
perch… lo collegavo a quanto la zia mi raccontava ed ero particolarmente
colpita dal disgusto che ancora le leggevo in viso quando ne parlava.
Lei era molto anemica ed era spesso sottoposta a cure (gira ancora per
casa una vecchissima scatolina di cartone con l’etichetta di un medicina-
le che le veniva somministrato. Era stata riutilizzata per gli aghi e le spo-
lette della macchina da cucire ) che probabilmente non bastavano o era-
no troppo costose, sta di fatto che le facevano bere degli estratti di fegato
crudo che erano preparati in casa utilizzando quel piccolo torchio. Ecco
perch… lo odiava tanto! Immagino il suo disgusto nel dover
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Scatola con etichetta medicinale per la cura dell’anemia
Non mi dimentico mai, infine, di due preparazioni che non sono pro-
priamente dei medicamenti ma che non mancavano mai quando ero in-
fluenzata e sono ‘l vin fer• e ‘l lai ‘d pulla.
Il primo era un ottimo corroborante. Dava forza, energia ed era buonis-
simo. Si preparava con un bicchiere di buon vino in cui si spegneva un
ferro arroventato nella brace della stufa. Bisognava stare attenti a non
toccare il bicchiere che altrimenti si sarebbe spaccato. Il vino sfrigolava
e fumava liberando l’alcool. Alla fine un bel cucchiaio di zucchero lo
addolciva e si beveva ancora tiepido e profumato. Sapeva di frutta, di
uva appena colta, aveva un sapore dolce ed un po’ asprigno nello stesso
tempo. Era delizioso.
Il secondo era invece una vera ghiottoneria. La traduzione letteraria •
“latte di pollastrella”. Era una merenda o una colazione che si consuma-
va solo quando si era convalescenti e c’era bisogno di recuperare ener-
gie. Per prepararlo si sbatteva un tuorlo con lo zucchero fin quando di-
ventava ben spumoso; a questo punto si versava sopra, mescolando con
cura per evitare la cottura dell’uovo, del latte bollente. Il risultato era una
bella tazza di crema liquida in cui pucciare dei biscotti o una fetta di
ciambella. Era un vera leccornia ma anche una bomba energetica e veni-
va preparata proprio quando si aveva bisogno di una sferzata di energia,
di un surplus alimentare o dopo aver fatto una gran fatica. Veniva infatti
preparata anche alle donne che avevano partorito da poco. Ad esse era
solito somministrare pure una bella tazza di brodo di gallina.
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Gli uomini quando facevano lavori pesanti avevano bisogno di recupera-
re le loro forze allora usavano mangiare una zuppa di pane, vino e zuc-
chero. Mi ricordo che mio papƒ lo faceva con il moscato dopo aver fal-
ciato per molte ore. Era un vero toccasana: dissetava, rinfrescava e nu-
triva.
Durante i rigori dell’inverno invece era uso bere una tazza di brodo bol-
lente in cui si versava del vino. Era altamente energetica, dicevano che
scaldasse molto e ne avevano proprio bisogno. Si pensi ad esempio a
quando portavano a valle con gli slittoni la legna accumulata nel bosco o
a quando passavano lo spazzaneve con i cavalli.
A proposito di questi cavalli e muli, costretti a trascinare per tutta la not-
te lo slittone mentre nevicava (onde evitarne l’accumulo) che sudavano e
facevano una fatica tremenda… ebbene anch’essi avevano bisogno di un
corroborante, di qualcosa che li riconfortasse ed ecco allora cosa faceva-
no i loro padroni: versavano del vino in un secchio e vi immergevano del
pane secco. Quando era ben inzuppato lo davano alle bestie che lo face-
vano fuori in un momento. Ne erano ghiotte e forse…un po’ ubriache ri-
partivano con nuovo vigore per un altro giro di spazzaneve.
Non sono dei medicamenti questi ultimi che ho descritto ma ho voluto
comunque ricordarli qui perch… sono rimedi a situazioni di particolare
stress di fatica o di astenia. Oggi giorno ricorriamo a pillole, a vitamine,a
sali minerali, a barrette energetiche…nei tempi passati ci si ingegnava
con quel poco che c’era in casa a disposizione e mi sa che i risultati non
erano niente male almeno non si avevano gli effetti collaterali.
Concludo cosŠ la mia piccola ricerca sui rimedi e la medicina naturale in
uso fino ad una cinquantina di anni fa ma oggi quasi completamente di-
menticata. Invito chiunque abbia ancora notizie su antichi rimedi e prati-
che a contattarmi o a scrivere perch… non vada perso un vero patrimonio
dei nostri avi. La nostra rivista • aperta a tutti ed • ben contenta della
collaborazione di quanti vorranno contribuire a completare l’argomento.
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Maria Rosso
FRISE:
IL CICLO DELLA VITA
E
IL CICLO DELL’ANNO
La grafia usata
Dall’analisi degli etnotesti in occitano che le autrici hanno allegato alle
risposte del questionario risulta che le loro preferenze grafiche vanno in
direzione della grafia mistraliana (con qualche incoerenza). Questa grafia •
quasi ‘istituzionale’ in Valle Grana (e a Monterosso in particolare…). D’altra
parte il dialetto di questa valle, privo com’• delle vocali palatalizzate €, •
(grattacapo costante delle grafie occitane), si presta bene a questa
‘mistralizzazione’ senza deviare molto da una grafia piƒ fonematica. I suddetti
etnotesti sono stati quindi corretti seguendo le norme della grafia mistraliana,
che viene qui sotto riportata.
Accento tonico
Cade sull'ultima sillba nelle parole terminanti con consonante diversa dalla s
del plurale, ma:
a, i, u sono toniche se in fine di parola
Accento grafico
Indica un'alterazione della naturale tonicit†, ma:
Šu, …u, €u corrispondono a Šou, …ou, €ou ecc. della grafia Escolo
‹u, ‡u d†u Po
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1.1.10. Che aiuti riceveva dalle donne del paese?
Se la donna che aveva appena partorito aveva solo il marito e
non c’erano altre donne in casa che la potessero aiutare, le donne
della borgata l’aiutavano un po’ a lavare i panni.
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1.1.17. Divieti diretti ad assicurare la crescita del bambino (di
tagliargli le unghie prima di un anno...).
Non mi pare ci fossero divieti.
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1.1.28. Bambini morti senza battesimo. Venivano portati in
qualche cappella miracolosa?
Non ricordo personalmente altri luoghi per la sepoltura di
bambini senza battesimo al di fuori del cimitero, dove c’era un angolo
riservato ai bambini.
Per‡ ricordo di aver letto da qualche parte che li portavano in
un luogo vicino alla cappella di Madonna della Neve, vicino a
Monterosso Grana.
1.1.29. Amuleti per proteggere i bambini dalle malattie e
dal malocchio.
Per proteggere i bambini si cuciva una medaglietta con
l’immagine della Madonna o di qualche Santo sulla canottierina.
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Per orzaiuoli: si ricorreva a persone che li “segnavano” (?):
toglievano un capello alla persona che aveva l’orzaiuolo, poi con quel
capello facevano un nodo davanti all’occhio da guarire.
Verruche: si sfregava un po’ la verruca, poi si metteva sopra
il lattice della celidonia (Chelidonium majus).
Bruciature: si metteva un po’ di patata grattugiata o si
passava sopra un po’ di olio.
1.1.34. Ninnenanne.
1 -Dalin dalan
Dalin dalan
i € mort en chan
ent’al € mort
dareire d’l’ort
qui l’ei que lou piouro
l’ei Jan d’la Mouro
qui l’ei que lou grigno
l’ei Jan d’la vigno
qui l’ei que lou manjo
l’ei Jan d’la Granjo.
2 – Boutin trevin
Boutin trevin
lou pr€ire di Martin
a begu tout lou vin
al paure pichoutin.
Lou pichoutin al € toumba
la souo mam‹ i l’a lev‹
tra la la la la la.
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Si giocava a “mosca cieca” (si diceva proprio in italiano!), a
nascondino, a “caranto, barbo bianco” .
Per quest’ultimo gioco:
Un bambino prescelto si appoggiava ad un muro con un
braccio davanti agli occhi per non vedere gli altri bambini che
andavano a nascondersi. Contava fino a 40, poi diceva forte in modo
che sentissero tutti i bambini “caranto, barbo bianco!” Da quel
momento cominciava a cercarli. Se mentre ne cercava uno, un altro
riusciva ad arrivare al muro dove lui aveva “contato”, li liberava tutti,
per cui toccava di nuovo allo stesso bambino contare. Continuava
cosŠ fino a quando li trovava tutti.
1.1.38. Indovinelli.
Non ne ricordo che avessero risposte attinenti ai bambini.
1.1.40. La scuola.
Si finiva la scuola con la 5• elementare (parlo della scuola in
montagna, dove l’ho frequentata io).
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La scuola era sempre multiclasse, in tempi piŒ remoti con una
sola maestra per 40/50 bambini, quindi con doppi turni.
Ultimamente c’erano due maestre: una per le classi 1•- 2• e 3• e
l’altra per le classi 4• e 5•.
Come punizioni si davano bacchettate sulle dita ai ragazzi
discoli, con le “vers…le” (giovani rametti di nocciolo), fatti portare
appositamente dai bambini stessi.
Si veviva messi in ginocchio dietro la lavagna. Chi non
riusciva per esempio a fare un problema, doveva rimanere in classe
per risolverlo dopo l’uscita degli altri compagni per andare a pranzo.
Si faceva ginnastica sulla piazzetta della chiesa una volta a
settimana.
In inverno tutte le mattine i bambini dovevano portare a scuola un bel
pezzo di legno da mettere nella stufa per riscaldare il locale, se uno
non si ricordava di portarlo una mattina, la mattina successiva doveva
portare due pezzi.
Nelle gite scolastiche si andava a trovare la maestra e gli
alunni di una scuola nella frazione di un altro vallone, (es. S. Lucia,
Scaletta), ma sempre a piedi, prendendo tutte le scorciatoie. In genere
si portava pranzo al sacco e si ritornava nel pomeriggio. (Ricordo che
una volta siamo andati a Scaletta, quel giorno era previsto il rientro
per pranzo, ma si … messo a piovere per cui ci siamo dovuti fermare
piŒ del previsto a Scaletta. Tornando ci siamo ancora presi un bel
temporale attraversando prati e boschi, siamo arrivati a casa alle 16,
bagnati fradici e senza pranzo perch€ non era previsto il temporale e
neppure di rimanere fuori cosŠ tanto tempo. Dulcis in fundo, bella
lavata di capo a casa perch€ i genitori non erano stati avvertiti della
gita…….)
Quando nevicava si faticava ad andare a scuola, cadeva
sempre molta neve, facevano un sentierino in mezzo alla strada con le
pale nella neve, ai lati c’era un muro di neve di un metro, un metro e
mezzo. La neve restava attaccata sotto gli zoccoli, si camminava male
ed eravamo sempre con i piedi bagnati.
La primavera quando cominciavano i lavori nei campi, ci
facevano stare sovente a casa per aiutare, specialmente ci facevano
andare al pascolo e allora …ciao scuola.
Del periodo della guerra 1940-45 ricordo che erano gli anni
1942 e 1943, frequentavo la 1• e la 2• elementare, anche se eravamo
in montagna, a 1200 mt. s.l.m. la guerra era arrivata anche lassŒ.
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I tedeschi salivano, sovente si sentiva sparare nel fondovalle,
la maestra ci faceva stare in classe, ma io ero talmente spaventata di
quei colpi di fucile e mitraglie (avevo visto case che bruciavano,
sparavano ai cani, alle galline) che proprio non volevo stare in classe.
Allora mia mamma, quando sentiva i colpi di fucile rimbombare a
valle, mi veniva a prendere e mi portava a casa. Una di quelle volte
mio pap‹ era stato preso come ostaggio dai tedeschi a Caraglio.
Avrebbe dovuto stare solo quattro giorni, ma dopo i quattro giorni
non riusciva a tornare al Daniel (borgata di Frise) perch€ c’erano i
tedeschi per la strada e io che avevo solo 6 o 7 anni pensavo che lo
avessero ucciso.
LA GIOVENTˆ. IL FIDANZAMENTO E IL MATRIMONIO
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1.2.15. C'erano mediatori che organizzavano i matrimoni?
I mediatori non c’erano , ma nelle famiglie si faceva attenzione
che sia da una parte che dall’altra fossero bravi ragazzi, non ubriaconi
o violenti i ragazzi e brave massaie le ragazze, capaci a filare, cucire,
fare maglia e cucinare. In piŒ lavorare tanto in campagna.
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1.2.30. Se si sposava la pi‰ giovane di due sorelle, l'altra era
oggetto di qualche scherzo?
SŠ, se si sposava la piŒ giovane di due sorelle, come pure tra
fratelli, il giorno del matrimonio, mentre erano seduti a tavola per il
pranzo, portavano al fratello o alla sorella maggiore una bella capra.
Si diceva “i a chata lou bouc!” (gli ha comprato il caprone).
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Siccome si andava ad abitare in casa dei suoceri, non si
regalavano molti servizi .
Invece gli sposi regalavano un grembiule alle zie ed una cravatta
agli zii.
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mangiare e bere gi‹ quasi come se fosse un vero pranzo. Poi si andava
tutti assieme alla messa, dopo messa a casa dello sposo per pranzo.
A quanto ricordo io si mangiava gi‹ bene: antipasto preparato in
casa, uova ripiene, gi‹ qualche fettina di salame, poi ravioli, coniglio.
Sempre tutta roba genuina cucinata in casa. Al massimo facevano
preparare una torta dal panettiere.
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LA MORTE
1.3.2. Da chi … vestito il morto? Con quali abiti? (un tempo era
sepolto in un lenzuolo cucito?)
Di solito il morto era vestito da parenti o vicini di casa, se era una
donna la vestivano donne, se uomo erano gli uomini a vestirlo. Se era
una persona sposata la vestivano con i vestiti da sposo o sposa , se era
nubile o celibe sempre con i vestiti piŒ belli che avevano.
Ho sentito raccontare dagli anziani che tanto tempo fa attorno al
morto veniva avvolto solo un lenzuolo.
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1.3.3. Che cosa si fa dei vecchi vestiti del morto?
Dei vestiti del morto, la roba ancora bella si dava ai parenti ,
fratello o sorella del defunto.
La chiamavano la “despueio”, il resto veniva poi dato ai poveri.
Infatti quando moriva qualcuno, c’era gi‹ sempre qualche povero che
passava a chiedere qualche vestito del defunto per mettersi addosso.
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suonavano i primi 9 rintocchi con la campana piccola. Poi si
continuava con entrambe le campane.
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Frise: processione per San Bartolomeo anni 60
In primo piano “figlie di Maria” (col “cƒmus” bianco) e donne
sposate (con “cƒmus” giallo, in secondo piano).
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1.3.25. Il funerale dei bambini. Chi portava la cassa?
Al funerale dei bambini la cassa la portavano sempre quattro
bambini se era un maschio, oppure quattro bambine se era una
femmina. Mi ricordo bene di aver portato due piccole bare quando ero
bambina.
La tomba una volta aveva solo una croce, oppure una ardesia
un po’ squadrata con sopra inciso nome, cognome, data di nascita e
morte del defunto.
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1.3.29. Si credeva che la prima notte il morto tornasse a dormire
nel suo letto? No.
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I bambini andavano ad augurare Buon Anno a padrino o madrina,
sapendo che avrebbero ricevuto probabilmente in dono il “ciciu”,
un “ometto” fatto fare dal panettiere con pasta delle brioches.
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2.14. La Candelora: le virt‰ del cero benedetto
Il giorno della Candelora (2 febbraio) si andava a messa per
ritirare il cero benedetto e appenderlo in casa.
Il giorno successivo, S. Biagio, si andava in Chiesa per “fasse
sbiais„r”, cio… farsi benedire la gola per prevenire il mal di
gola. Il prete metteva due ceri accesi incrociati sotto la gola
della persona e recitava una formula apposita.
2.22. Si ballava?
No.
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Erano i chierichetti che usavano quel marchingegno per
suonare, sul piazzale davanti alla chiesa …e si divertivano un
sacco a farlo sbattere!
Tabi†t
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2.31. In che giorno aveva luogo la benedizione delle case? Con
quale rito?
Per la benedizione delle case il sacerdote iniziava sempre la
settimana dopo Pasqua, ma siccome tutte le borgate erano
abitate, in un solo giorno non riusciva a passare da tutti,
impiegava anche due o tre giorni. E questo perch€ in ogni
famiglia andava a benedire tutte le camere, la cucina, la stalla, il
fienile. CosŠ impiegava molto tempo.
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- tra il comune di Monterosso Grana e il comune di Valgrana si
festeggiava la Madonna della Neve.
- l’8 settembre la festa della madonna della Valle in un’altra
Cappella.
- a S. Lucia, alla borgata Tech Bosc c’… una piccola cappella
dedicata alla Madonna di Fatima. Ogni anno il 13 maggio fanno
una piccola festa, rosario e benedizione.
Dalla parte di Pradleves c’erano pure due o tre cappelle dove
facevano le feste:
- la cappella di San Giuseppe alla borgata Riosecco.
- la Cappella di Madonna degli Angeli.
- la cappella di san Grato alla borgata Pentenera.
A Frise c’era una piccola cappella vicino alla borgata Moundin,
mi pare che fosse la cappella di San Costanzo, adesso … tutta
diroccata, per‡ la sua piccola campana che veniva suonata per la
festa e per allontanare fulmini e grandine quando minacciava
temporale, l’hanno portata sul campanile della parrocchia di
Frise.
Indovinello:
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ADIU PAURE CARNAVAI... .
(una bozza di Questionario per l'inchiesta sul Carnevale)
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1.3.1 Quali erano i ruoli dei diversi personaggi? Cosa facevano?
La Quaresima era tutta vestita di nero, il Prete fingeva di sposare gli
sposi: si costruivano loro le maschere, con pelli di coniglio, di gatto,
di pecora, ma quelle pelli a volte puzzavano. Era un Carnevale
povero.
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1.7 Durante il Carnevale i bambini giravano per il paese con
trecce di paglia accese? Quando? PerchŠ?
Durante il Carnevale, in qualche borgata c’erano i bambini che
giravano di giorno, anche loro vestiti con le maschere.
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Fausto Giuliano
BOVES
MANERE ‘D D• (modi di dire popolari)
(3€ parte)
lettera I / Y
y € b•t€’ na cunsa : ci ha messo una pezza, si • salvato, si • ripreso e sta
nuovamente bene
y € 'd cumarsi : c’• del commercio, c'• casino, c’• confusione
y € dau dƒ a la n„t : c’• dal giorno alla notte, • completamente diverso, la
situazione • completamente diversa, • tutta un'altra storia
y € gnanca Barabich che p€sa : non c’• neanche il Diavolo che passa, •
un brutto posto, difficilmente accessibile
y € gn•gn che ‘s p€re.... ! : non c’• nessuno che ci salvi, non c’• scampo,
non c’• nessuno che ci ripari, • inutile • cosƒ (ad es. una cosa
inevitabile come la morte)
y € gn•gn sant che tene.... ! : non c’• Santo che tenga, • inutile, • cosƒ
y € ‘n b†i (‘n batib†i) : c’• un frastuono, c’• rumore, c’• una confusione
assordante
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y € p€’ 'd temperive ? : non ha mica delle temperive? 1, non ci sono mica
dei figli in arrivo?
y € p€’ gn‡nte che br•za : non c'• niente che brucia, non c’• alcuna fretta
y € gi„ et... : c’• gioco che, c’• la possibilit„ di, pu… capitare che…
y € u post 'd virˆ mund e pais ! : • possibile/si pu‚ girare mondo e paese,
si pu… girare il mondo e non trovarne l'eguale, • raro, • una
cosa unica
y €s pl‡ t•ti ! : li hai pelati tutti, li hai sotterrati tutti, sei stato l’ultimo della
tua leva ancora in vita….
y ‡gn arnaus€’ u b‰u : gli hanno rialzato il “b„u”,2 gli hanno dato la
libert„, • cresciuto ed • ormai grande (detto dei ragazzi
quando arrivavano ai 14-15 anni di et„)
y era da pi€se la tripa en magn : c’era da prendersi la pancia in mano,
c’era proprio da sbellicarsi dalle risate
y ‡ gn‡nt gnanca la pagheises.... : non c’• neanche la pagassi, si dice di
oggetto (o persona) che si • perduto e non si riesce pi† a
trovare da nessuna parte
y ‡ gn‡nt nƒ bianch nƒ ner! : non c’• n† bianco n† nero, non si trova in
nessun modo, non c'• pi†, • sparito
y endar‰a gi€’ fin chƒ y ‡ 'd gambe....! : andrei gi‡ fin che ho gambe, me
ne andrei, fuggirei lontano fin tanto che le gambe mi portano
1
variet„ di castagne
2
il b‰u • una sorta di gabbia metallica sotto cui si riponeva la chioccia con i pulcini e
per evitare che fossero predati
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y endar‰a 'n pocc 'd pis gi€ri vidu : ci vorrebbe un po’ di piscio di topo
vedovo, si dice di un malato che • difficile guarire, che •
sempre malato nonostante le cure che si fanno, spesso un
malato immaginario
y endar‰a en pocc ‘d puwre ‘d sacocia: ci vorrebbe un po’ di polvere di
tasca, per curare le piaghe prodotte dal freddo alle dita delle
mani di chi lavora in inverno sarebbe sufficiente un po’ di
polvere di tasca, cio• stare senza far niente, senza lavorare,
con le mani in tasca… in tal modo si sarebbe sicuri di
guarire!
y era gi•st u r‡ smaravi€’ : c’era solo il re meravigliato, essere in estrema
povert„, in miseria
y ‡ pas€’ Sant Andreia... s€s cˆ f€’ S. Andreia? T’esc•rsa l’•z‡l et l€sa
l’ideia ! : • passato S.Andrea…. sai cosa fa S.Andrea? Ti
accorcia l’uccello e ti lascia l’idea!, frase scherzosa dai
risvolti sessuali
y ‡ pƒ p€’ mas€’ gn•gn : non ho poi mica ucciso nessuno, non ho
commesso poi una cosa cosƒ grave, non sar„ mica la fine del
mondo anche se ho fatto uno sbaglio… oppure, modo di dire
riferito alla grande mole di lavoro che uno si trova a dover
svolgere
y ‡ p‰ gn•gn f€tu : non c’• nessun fato, niente pu… pi† opporsi, non c'• pi†
nulla da fare
y ‡ sampe encu-p‰ da fˆ che ‘d lˆ fat : c’• sempre piŠ da fare di quanto c’•
di fatto, c’• moltissimo da fare....
y escumƒt lˆ sich-s‰e : scommetto qualunque cosa, sono disposto a
scommetterci qualunque cosa tanto ne sono sicuro
y est•d‰u 'd n„t per f€le de dƒ : le studiano di notte per farle di giorno, una
ne studiano cento ne fanno, sono delle vere pesti, ne
combinano di tutti i colori
y isteise 'd ghiza sƒ! : stessi di ghisa qui, restassi secco sul posto se non •
la pura verit„
i batar‰a la testa en na m•r€ia! : batterei la testa in un muro, sono cosƒ
disperato che batterei la testa in un muro
i b•tar‰a la magn su f„.... : ci metterei la mano sul fuoco, sono pronto a
scommettere qualunque cosa sull'autenticit„ di quanto
affermo
i casar‰a f„....! : gli caccerei fuoco, si dice di qualcosa o qualcuno che si ha
in odio
i ciames ? : le chiedi?, te le vuoi prendere ? stai cercando le botte?
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i ciam p‰ gn‡nte d’aut a NusgnŠ : non chiedo piŠ niente d’altro al Signore,
sono contento di ci… che ho, della grazia che mi • stata fatta
i crezeise (y escuteise) la vulent€’ : se credessi (se ascoltassi) la volont‡,
ascoltassi quello che sento probabilmente ti distruggerei, ti
insegnerei ci… che • giusto con le giuste maniere (cio• in
modo violento)
i dar‰a la vita per due sord : darei la vita per due soldi, sono disposto a
tutto pur di ottenere la tal cosa, la vita non vale pi† nulla per
me se non ottengo la tal cosa
i dar‰a u c†r e l’€nima : darei il cuore e l’anima, darei tutto quello che ho,
farei qualunque cosa per aiutarti e renderti felice
i f€s cunt : ci faccio conto, spero che sia cosƒ, lo spero davvero, confido in
questo
i fuma u post a l'auta che c€la.... : facciamo il posto all’altra che scende,
modo di dire usato quando si spala neve e si prevede che ne
cadr„ ancora altra
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i lu far‰a cun na magn su c•l… e l’auta es la testa! : lo farei con una
mano sul sedere… e l’altra sulla testa!, una cosa veramente
semplice da fare, che non d„ alcun fastidio a essere fatta
i lu gi•r, i vegheise p‰ u sul ! : lo giuro non vedessi piŠ il sole!, lo giuro e
spergiuro, ne sono pi† che sicuro
i l•m€se et sun ncŠ gn‡nt munt‡ su m€ni ‘d la p€la? : le lumache non ti
sono ancora salite sul manico della pala?, stai lavorando a
rilento, muoviti!
i m‡nca chiy (en) gi†ves : gli manca qualche (un) gioved„, • un po' pazzo,
un po' svitato
im much mach pƒ i vugn : mi soffio solo poi vado, mi soffio il naso e
vado
im nun arcordar‡ vita chi v‰u : me ne ricorder‚ vita che vivo, me ne
ricorder… per sempre
i n'€ en perfund : ce n'• in gran quantit‡, ce n’• in abbondanza, ce n‡ a
profusione
i n'€ la m€rca : ce n'• la marca, ce n’• appena il segno, appena qualcuno,
sono rari, c'• la sola presenza
i n'€ na peˆ : ce n’• un’orma, • scesa solo poca neve, una spolverata che
basta solo per vederci le impronte sopra
i n' € na stendar‰a : ce n'• un’estensione, ce n’• tanto, ce n'• in quantit„
i n'€ sampe •na cant chi n'€ gn‡nt due ! : c'• n’• sempre una quando non
ce ne sono due, c’• sempre qualche difficolt„, qualche
problema da affrontare
intra da n'†r‰a sort da l'auta : entra da un orecchio esce dall’altro, non
ascolta, fa tutto come vuole, non segue i consigli dati
i p€sa ‘nt en post : gli passa in un posto, lo patir„, ne soffrir„ in modo tale
che se ne ricorder„ in futuro
i pasar‰a en ch‡gn cun na ram€sa en bucca 'd travars ! : ci passerebbe
un cane con una scopa in bocca di traverso, c'• un bello
spazio ampio e comodo per passare
i sant p€’ da che †r‰a lƒ ! : non ci sente da quell’orecchio l„, fa finta di non
sentire, non vuole sentire facendo finta di niente come se
fosse sordo…
i sar€s pƒ tƒ, et trav€i i nun sar€’ ncŠ.... ! : non ci sarai piŠ tu e lavoro ce
ne sar‡ ancora, si dice a persona estremamente operosa e
attiva che non smette mai di lavorare
i s‡ 'd che gamba sop‰es : so da che gamba zoppichi, conosco i tuoi punti
deboli, so dove hai dei difetti e dove sei vulnerabile e
sensibile
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I s• 'd che gamba sop„es
i s‡ gn‡nt che vir l'abe fat.... : non so che giro abbia fatto, si dice di cosa
scomparsa, che si • persa e non si riesce pi† a trovare in
nessun modo
i s‡ gn‡nt m‹ b•t€i nom! : non so come mettergli nome, non so
spiegarmelo, non so perch‡, non so cos’• capitato
i s‡ pƒ se i sun en l'est€la o 's l'aunera.... ! : non so piŠ se sono nella
stalla o sul fienile, non so quello che mi faccio, sono confuso
e non so pi† cosa sto combinando
ista n‰ 'n cel n‰ 'n tara : (non) sta n† in cielo n† in terra, • una cosa
insensata, che non ha nessun fondamento
iste pƒ fra nate.... : resti poi fra di noi, da non divulgare, • un segreto fra
noi
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istƒss m‹ ci•ciˆ en ciˆ caut : uguale a succhiare un chiodo caldo, inutile,
perfettamente inutile, come lo • succhiare un chiodo caldo
istƒss m‹ c•cˆ n'†u : lo stesso che succhiare un uovo, facilissimo,
estremamente facile da fare
istƒss m‹ gavˆ na palˆ 'd fioca cant i n'€ tanta : uguale come togliere una
palata di neve quando ce n’• tanta, fare un lavoro
perfettamente inutile
istƒss m‹ parlˆ (diy-lu) a na m•r€ia ! : uguale come parlare (dirlo) ad un
muro, si dice di persona che non ascolta i consigli e fa tutto
come vuole
istƒss m‹ pisˆ ent'en cav€gn (ent'en viulƒgn) : uguale a pisciare in un
cesto (in un violino), inutile, perfettamente inutile
i sun partƒ cun gn‡nte e „ura- rengrasiand Nus-gnŠ - i sun cari€’ ‘d d‡bit
! : sono partito con niente ed adesso – ringraziando Iddio –
sono gi‡ carico di debiti, modo scherzoso per dire: non ho
fatto fortuna, sono sempre senza soldi
i sur‡gn v‡gn a tucˆ i sut‡gn : i soprani vanno a toccare i sottani, avere
gli occhi che si chiudono, le palpebre che non tengono pi†
aperte per il sonno
i t'‡ p€’ purt€’ via u toch : non ti ho mica portato via il pezzo, non ti ho
mica fatto alcun male, non prendertela a male ho solo parlato,
non ho fatto altro che dire quello che pensavo
i tr†vu p‹-p‰ gn•gn caviun : non gli trovano piŠ nessuna estremit‡, non
riescono pi† a raccapezzarsi, non ne vengono pi† a capo
it b•t la testa en mes a y †r‰e ! : ti metto la testa in mezzo alle orecchie!
frase scherzosa di minaccia ai bambini piccoli quando fanno i
capricci
it nun fich (c€s) due : te ne do ficco (caccio) due, ti rifilo due sberle
it nun l€s calˆ (p€rte) •gn : te ne lascio scendere (partire) uno, ti do una
sberla, te ne rifilo una
it piant en papign (en tumƒgn) : ti pianto un impacco (un tomino), ti do
una sberla, te ne rifilo una
it ye l€s calˆ : te le lascio scendere, ti picchio, lascio cadere le sberle
i v€’ 'd muiƒtta : ci va del metallo, occorrono soldi, occorre denaro
i v€’ en b‡l mur : ci va una bella faccia, ci vuole una bella faccia tosta
i v€’ gn‡nt tante scole a fˆ lu-lƒ : non ci vogliono tante scuole per fare
quello, non • difficile da fare, si pu… fare facilmente
i v€’ na m€ta p‡na ('n m€tu tamp) : ci va una pena matta (un tempo
matto), bisogna fare una terribile fatica per fare una
determinata cosa
71
i v†zar‰a gnanca che l’€ria lu saveise : non vorrei che neanche l’aria lo
sapesse, si dice di cosa di cui si ha profonda vergogna e
amarezza
i vugn pƒ logn : non vado piŠ lontano, sto per
morire
lettera L
l'€ dat arƒe : ha dato indietro, • invecchiato, • patito, forse ha problemi di
salute
l'€ en nom: moto-mort ! : ha un nome: moto-morte!, modo di dire che
accosta la moto alla parola morte per far capire quanto sia
pericolosa la moto
l'€ la p‡l 'd l'eschina c•rta.... : ha la pelle della schiena corta, • un
pelandrone, che fatica a chinarsi e lavorare
l'€ ncŠ da n€se cal che.... : ha ancora da nascere quello che…, non c'•
ancora sulla terra colui che pu… farmela in barba, colui che
riesce a fregarmi
l'€ ncŠ tacunˆ : l’ha ancora rattoppata, se l'• ancora cavata, si • salvato
l'€ p€’ t†t u bosch a la susta : non ha mica tutta la legna al riparo, •
pazzo, • completamente folle
l'€ p€’ vare 'd saut da fˆ : ha pochi salti da fare, non • che sia poi una
situazione cosƒ rosea e fortunata da potersene stare
tranquillamente con le mani in mano
l’arba arneva : l’erba sta crescendo (in primavera), l’erba sta riprendendo
forza e vigore dopo i rigori dovuti alla neve ed al gelo
invernali
l'€ t†t l'andi 'd fˆ lˆ : ha tutta l’apparenza di voler fare quello, sembra
proprio che voglia nevicare / piovere
l'€s bat†’ (pic€’) la testa da ciot ? : hai battuto (picchiato) la testa da
piccolo?, sei completamente matto? non sei mica normale,
sei un vero pazzoide
l'€s b•t€’ u Bambƒgn en la muffa? : hai messo il Bambino nella muffa?
frase scherzosa detta soprattutto durante le feste natalizie per
chiedere ad un amico se ha avuto dei rapporti sessuali con
qualche donna
l'€s capƒ l' ura che l'‡ ? : hai capito l’ora che •?, vedi come siamo ridotti,
guarda a che punto siamo arrivati, guarda quello che ci •
capitato
72
l'€s gn‡nt m€l derƒ ? : non hai male di dietro? (al sedere), smettila di
trovare ulteriori scuse - campate per aria - per non lavorare
l'€s gn‡nt v†ia.... fica u dƒ derƒ la v†ia v‡gn ! : non hai voglia (di fare
qualcosa)… ficca il dito dietro la voglia viene!, datti una
mossa, la tal cosa la devi fare comunque anche se non ne hai
voglia!
l'€s la cua ? : hai la coda?, si dice di persona che non chiude la porta dopo
essere entrata in una stanza
l'€s m‡nca 'd chiycos? V€’ a cat€t-lu ! : hai bisogno di qualcosa? Va a
comprartelo! cavatela da solo! sbrogliati!
l'€s na l‡nga che far‰es virˆ en mulƒgn s‡nsa eva.... ! : hai una lingua che
faresti girare un mulino senza acqua, non stai mai zitto, parli
tantissimo, detto di persona estremamente loquace
l’‡ cˆ gn‡nt ‘d farina da fˆ ostie : non • anche farina per fare ostie, anche
lui ha le sue colpe, • anche lui un bel caratteraccio
l'‡ cˆ mach ndat a scola au gi†ves.... : • anche solo andato a scuola al
gioved„, • un analfabeta, un ignorante che non capisce niente,
(un tempo le scuole rispettavano un giorno di riposo al
giovedƒ)
l'‡ 'd chiy che 't d‡gn mach i sord che istu nrest‡ si fiy.... : • uno di quelli
che ti danno solo i soldi che stanno impigliati sui fili, • un
avaro, uno che cerca di non pagare quanto • giusto
l'‡ d'or 't Nisa che d'or n'€ gn‡nt n'estisa ! : • oro di Nizza che di oro non
ne ha neanche una goccia, • oro fasullo, bigiotteria
l’‡ d•ra aveu mol! : • dura avercelo molle, modo di dire scherzoso
l'‡ en ver pec€’ u pagn che mangia! : • un vero peccato il pane che
mangia!, detto di persona indolente e pelandrona che vive
sulle spalle degli altri
l'‡ istess m‹ b•tˆ en b•schetign (na fava) en bucca a n'€zu : • uguale
come mettere un biscotto (una fava) in bocca ad un asino, •
una cosa perfettamente inutile, non c'• alcuna riconoscenza
l'‡ ist‡ss m‹ sante n'•z‡l a s•biˆ ! : • lo stesso come sentire un uccello
fischiare, non capire assolutamente niente di un'altra lingua o
un altro dialetto
l'‡ istess... tant f€’ tranta m‹ vint p‰ des ! : • la stessa cosa… tanto fa
trenta come venti piŠ dieci!, • la stessa cosa, il risultato non
cambia
l'‡ mach en gi€ri ed chei la cua plˆ ! : • solo un topo di quelli dalla coda
spelacchiata, • una cosa ben misera, c'• poco da stare allegri,
non se ne ricaver„ alcun utile
73
l'‡ mei cari€te che impite : • meglio caricarti che riempirti, sei insaziabile,
mangi a crepapelle
l'‡ mei mentene na crava a b•schetƒgn : • meglio mantenere una capra a
biscottini, si dice di uno che • un gran mangione, insaziabile
e ingordo, senza fondo
l'‡ mei pagˆ u lat c€r che mentene la vaca ! : • meglio pagare il latte caro
che mantenere la mucca, • meglio restare scapoli che
sposarsi
l'‡ mort... b‡le v‰u ! : • morto.... che era vivo!, frase scherzosa di
commento alla morte improvvisa di qualcuno
l'‡ na coza lˆ che a l’‡ b‡la : • una cosa quanto • bella, • molto bella
l'‡ na vigna : • una vigna, • una vera cuccagna
l'‡ ncŠ gn‡nt 't la categor‰a 'd chiy f•rb... l'‡ ncŠ 'd l'auta ! : non •
ancora della categoria di quelli furbi… • ancora dell’altra, •
uno scemo, non • molto furbo anche se crede di esserlo
l'‡ n'estaca : • una cordicella, • un obbligo, una cosa che lega, un vincolo
di cui bisogna tener conto (es. gli animali domestici)
l'‡ 'n darm€ge : • un peccato, mi spiace proprio
l'‡ 'n vista : • in vista, • scontato, • prevedibile, che sar„ cosƒ, • alla luce
del sole e ben visibile
l’‡ p€ gr€sa mach a sufiˆ u f„... : non • grassa solo per soffiare il fuoco, •
veramente grassa perch‡ mangia molto
l'‡ p€’ na m€rsa vergogna ! : non • mica una marcia vergogna?, non • un
peccato? non • una cosa vergognosa?
l'‡ p€’ 'n mar‰-diau : non • un cattivo-diavolo, • un brav' uomo, • buono
l’‡ pas€’ da la portina : • passato dalla porticina..., si dice quando un
boccone di cibo va “di traverso”
l'‡ pƒ p€’ la mort du vescu : non • poi mica la morte del vescovo, non •
poi una cosa cosƒ grave, n‡ una cosa cosƒ importante come
sembra
l'‡ pƒ p€’ na m•la ! : non • poi mica una mula, a forza di provare
riusciremo nell'intento, riusciremo a fare quello che ci
prefiggiamo (ad es. a sbullonare un dado o una vite molto
stretta che oppone grande resistenza)
l'‡ p‡giu 't n’estumiˆ 'd brigne varde : • peggio di una indigestione di
susine verdi, • doloroso, • gravoso da sopportare
l'‡ sampe l'istesa minestra : • sempre la stessa minestra, siamo alle solite,
• la solita storia
l'‡ t†t c€r en sima di rame... : • tutto caro sopra i rami, • molto caro
74
l'‡ turna 'd che tamp : • di nuovo quel tempo, siamo alle solite, la cosa
torna a ripetersi uguale
l’‡ u menu ‘d la cav€gna : • il meno della cesta, • il male minore
3
si dice che non si riuscisse a commercializzare il burro perch‡ si squagliava sempre
durante il trasporto… finch‡ si trov… la soluzione: occorreva solamente avvolgerlo per
bene nelle foglie di gelso!
4
con il termine c•l-ausa (culo-alza) in dialetto si definisce quel repentino sbalzo verso
l’alto che subisce il piatto dell’ eschend€i (stadera) quando viene tolta la roba da pesare
che c’• sopra.
A causa della brusca caduta del braccio della bilancia dalla parte opposta (trascinato in
basso dal romano, il peso che scorre sull’asta) il piatto subisce un repentino sbalzo
verso l’alto
75
L'Itˆlia l'ˆ’ fat c•l-ausa
76
La tara l'• bˆsa.... e la p•l 'd l'eschina c•rta
5
ghirba s.f (dall’arabo qirba Šotre di pelle‹) – otre di pelle usato da trib† dell’Africa
per trasportare l’acqua: la parola, portata in Italia dai soldati italiani della guerra
d’Africa del 1895-96 e di quella libica del 1911-13, • rimasta nell’uso di reparti
militari, soprattutto alpini, per indicare l’otre di pelle per il rifornimento di acqua, e
presso i campeggiatori…
(www.Treccani.it)
77
L‚ che pˆre b†u per fˆse curˆge cura mˆre l'• malavia
lettera M
m‹ resta 'd sˆ? : come rimane di questo?, com'•?, come la mettiamo?, che
succede?
m‹ sit di-cche : ma “se ti dico”, ma pensa, ma guarda un po'
m‹ sich-s‰e : come sia che sia, in ogni caso, sia come si vuole
m‹ v€’ la vita? ...en pˆ storta en pˆ drita! : come va la vita? ...un po’
storta un po’ diritta!
m‹ v†s fˆ, en mes a ten€ia e mart‡l… : come vuoi fare, in mezzo a
tenaglia e martello, non c'• via di scampo, non c'• alternativa
mach da fˆ vene Tita Br•n‡ta.... ! : solo da far venire Tita Br•n•ta 6, • da
abbattere, • una catapecchia, va bene solo per far venire le
ruspe e demolirla
malavi d'emmaginasi•n : malato di immaginazione, essere malato
immaginario
mar empic€’ : magro impiccato, molto magro
marezˆ m‹ 'd tola (marezant m‹ la tola) : “amareggiare” come latta,
molto amaro
6
Tita Br•n‡ta : noto camionista-escavatorista bovesano
78
mari€’ en n'€rbi d'eva : sposato in un abbeveratoio d’acqua, convivente,
non sposato legalmente
mari‡ m‹ i culumb : sposati come i colombi, conviventi, non legalmente
sposati
m€rs m‹ la dr•gia : marcio come letame, marcio, andato a male
masau sar‰a mach gi•sta fau grignˆ na vota....! : ammazzarlo sarebbe
appena farlo ridere una volta, non si pu… dire cosa bisogne-
rebbe fargli per dargli quello che si merita, solamente a
ucciderlo sarebbe niente per lui
mƒ it gau da l’•mid ! : io ti tolgo dall’umido, ti levo da qui a rompermi le
scatole, ti faccio correre
mƒ it lu ciam a tƒ! : io te lo chiedo a te!, lo chiedo a te, cosa vuoi che ne
sappia io, • veramente un mistero
mƒ it vir s€s.... ! : io ti giro sai!, ti aggiusto io!, ti metto a posto io!
mƒ it v†i tantu b‡gn che it bevar‰a ent’en bicer d’eva! …e m‰ it mengiar‰a
ent’en bucun ‘d pagn! : io ti voglio tanto bene che ti berrei
in un bicchiere d’acqua! …ed io ti mangerei in un boccone di
pane! (frase romantica di due innamorati di San Giacomo)
mei a menu ma p‰ sig•r : meglio a meno ma piŠ sicuro!, meglio ad un
tasso di interesse minore ma con condizioni maggiori di
sicurezza (riguarda i soldi da impegnare in banca)
menc€i disn„u sold a fˆ na lira : mancare diciannove soldi per fare una
lira, mancare del denaro, mancare quel poco che per… non
permette di fare ci… che si vorrebbe
mengi€se chi c€t : mangiarsi quei “quattro”, mangiarsi il patrimonio,
sperperare i beni che si hanno ancora a disposizione
mengi€se enc•e e dumagn : mangiarsi l’oggi e il domani, delapidare tutto
quanto si ha a disposizione
mengi€se la parola : mangiarsi la parola, non rispettare un impegno preso
o la parola data, rimangiarsi la parola
mengiˆ cun y †i : mangiare con gli occhi, avere una gran voglia di
qualcosa (dolci soprattutto)
mengiˆ da f€s-la acˆl : mangiare da farsela addosso, mangiare a
crepapelle
mengiˆ figna che sort da y †r‰e (da y †y) : mangiare finch† esce dalle
orecchie (dagli occhi), mangiare a crepapelle
mengiˆ i b‡gn 'd s‡t gezie : mangiare i beni di sette chiese, sperperare le
sostanze proprie o di altri, dilapidare tutto il patrimonio che si
ha a disposizione, avere le mani bucate
79
mengiˆ m‹ 'n gavagƒgn : mangiare come un ?, mangiare molto, essere
estremamente ingordo e vorace
mengiˆ m‹ 'n gavot : mangiare come un “gavot”7, mangiare molto,
essere insaziabile
mengiˆ m‹ 'n p‰u (m‹ 'n pulign, m‹ 'n pulezƒgn) : mangiare come un
pulcino, mangiare pochissimo
mengiˆ m‹ na f•rm‰a : mangiare come una formica, mangiare molto poco
mengiˆ m‹ na tr†va : mangiare come un scrofa, mangiare a crepapelle
mengiˆ m‹ na vaca : mangiare come una vacca, mangiare molto, in gran
quantit„
mengiˆ 'ncŠ pƒ cun y †i che cun la bucca : mangiare piŠ con gli occhi
che con la bocca, essere goloso, non essere mai sazio, voler
ingurgitare pi† di quanto si riesca
mengiˆ pagn e p•gn : mangiare pane e pugni, fare la fame, non aver nulla
da mangiare
mengiˆ pagn e tupunign : mangiare pane e pagnotte, fare la fame, non
avere da mangiare
mengiˆ pagn e vurp : mangiare pane e volpe, essere un tonto ed aver
bisogno di un po' pi† di intelligenza e di furbizia (per essere
alla pari di tutte le altre persone)
mengiˆ s†t : mangiare asciutto, mangiare solo il companatico senza il pane
mengiˆ tantu 'd che nervus : mangiare tanto di quel nervoso, non potersi
ribellare, essere costretti a sopportare e mandare gi† bocconi
amari in silenzio
mengiˆ u pagn a tradimant : mangiare il pane a tradimento, essere un
profittatore, farsi mantenere, essere un peso morto
merendˆ b‡gn chiyc†gn : “merendare” bene qualcuno, conciare per le
feste, ripagare per bene qualcuno, dare il benservito (una
bella “merenda” per paga)
mpic€se a na pianta 'd meola : impiccarsi ad una pianta di fragolina di
bosco, mandare a quel paese, togliersi di torno, usata anche
come espressione di finta disperazione
mol a tara : molle a terra, completamente sgonfio, floscio (es.: la ruota di
una bicicletta)
mol m‹ ‘n fiarƒ: molle come un “fiar†” 8, molle, floscio
7
gavot • un termine dialettale che indica una persona rozza e grossolana,
probabilmente collegato in origine ai montanari - soprattutto della regione di Gap –
ritenuti grossolani, cafoni e affetti dal gozzo….
8
straccio usato per filtrare l’acqua della les‰a (il bucato casalingo fatto usando la cenere
quale detergente)
80
mol m‹ 'n pat : molle come una scorreggia, molle e taciturno o non
sonoro, silenzioso
mol m‹ 't dr•gia : molle come letame, fangoso, melmoso
mol m‹ 't put‰a : molle come poltiglia (pappetta), fangoso, melmoso
m†re cume st•pe en l†m : morire come lo spegnersi di un lume, morire
tranquillamente, spegnersi dolcemente consumandosi un po'
per volta
morde m‹ 'n ch‡gn enrabi€’ : mordere come un cane rabbioso, mordere,
addentare con ferocia
mort 't pˆu : morto di paura, terribilmente spaventato, con una fifa da
morire
m†t m‹ ‘n pas : muto come un pesce, silenzioso, riservato
mustˆ i d‡nt : mostrare i denti, rivoltarsi, essere pronto a contrattaccare
mustˆ y unge : mostrare le unghie, ribellarsi, farsi rispettare
mustˆ la vergogna : mostrare la vergogna, mostrare parti intime del
proprio corpo
lettera N
na caplˆ 't sort : una “cappellata” di soldi, un mucchio di denaro, un bel
gruzzolo quanto un cappello pieno
na coza che met€’ b€sta : una cosa che met‡ basta, pi† che sufficiente, in
abbondanza, a volont„
81
na vota dis-che... : una volta a quanto si dice..., si dice che una volta....
n€se cun la camiza : nascere con la camicia, essere molto fortunati,
fortunato dalla nascita
ncŠ cal desg•st.... : ancora quel disgusto, avere ancora un'incombenza da
assolvere, ancora una scocciatura
ncŠ m€i av†’ u piaz‰i : ancora mai avuto il piacere, non l'ho ancora mai
conosciuto, mai avuto il piacere di fare la sua conoscenza
ncŠ-p‰ n'agn encŠ-p‰ nun v†lu : ancor piŠ ne hanno ancor piŠ ne
vogliono, non sono mai contenti, non ne hanno mai abbastan-
za
ncŠ prŠ ! : ancora abbastanza, …e ancor grazie!, …e ringrazia!
nderƒ m‹ la cua du dr‡e : indietro come la coda del drago, tonto, poco
sveglio, poco intelligente
ndˆ a Bologna : andare a Bologna, cadere, ruzzolare
ndˆ a c€’ du diau : andare a casa del diavolo, andare molto lontano,
fuggire lontano
ndˆ a c€rte carant„t : andare a carte quarantotto, andare tutto in malora,
andare tutto storto, tutto a male
ndˆ a cat€se la mort : andare a comprarsi la morte, comprarsi una moto o
un'auto veloce
ndˆ a chentˆ en n'auta curt : andare a cantare in un altro cortile,
spostarsi, andare da un'altra parte, andare a pavoneggiarsi da
un’altra parte, andare a raccontare fandonie a qualcun altro
Nd‚ a rab•l
ndˆ a ranze : andare a lance (?), andare a gran velocit„, a tutta birra
ndˆ a renfresc€se u caiat : andare a rinfrescarsi (la gola?), andare a bere
una volta
9
il giuch • il trespolo, il dormitorio in legno su cui vanno a dormire le galline di notte
83
ndˆ a scriu-ye na lettera au Papa : andare a scrivergli una lettera al
Papa, andare al gabinetto a fare i propri bisogni
ndˆ a sercˆ pere a la Cola : andare a cercare pietre al Colla, cercare
qualcosa di molto comune, di usuale, avere solo l'imbarazzo
della scelta
ndˆ a stim : andare a caso, andare a tentoni, provando a caso
ndˆ a trab•cat : andare a ruzzoloni, finire a terra, cadere, finire a gambe
levate
ndˆ a tucˆ ai porte : andare a toccare le porte, essere arrivato in punto di
morte
ndˆ a tucˆ unda che cuta : andare a toccare dove bisogna, smuovere le
persone giuste, saper da chi farsi raccomandare
ndˆ a t•ta c€na : andare a tutta velocit‡, andare velocissimo, a gran
velocit„
ndˆ a y ule : andare cavalcioni, salire a cavalcioni di qualcuno
ndˆ au cure : andare di corsa
ndˆ au diau : andare al diavolo, andare / mandare alla malora
ndˆ au f„ : andare al fuoco, il versarsi del latte fuori della casseruola
durante la sua ebollizione
ndˆ au tuch : andare al tocco (?), procedere a tentoni, a caso,
approssimando
ndˆ au v‡es : andare al cane / andare in calore, l’andare in calore della
cagna, essere nel periodo fecondo
ndˆ che l'€ria lu br•za : andare che l’aria lo brucia, andare / procedere a
gran velocit„
ndˆ cugn u cav€l 'd Sƒn Frensasch : andare col cavallo di San
Francesco, andare a piedi
ndˆ dˆu dˆu : andare mollemente / lentamente, procedere o avere un
incedere lento ed abbacchiato
ndˆ drƒe ('d l€’) 'd Sƒn Roch 10: andare dietro (di l‡) di san Rocco, finire
al cimitero, morire
ndˆ en boita : andare in scatola (?), finire in galera
ndˆ en br„ 'd faz†i : andare in brodo di fagioli, andare in visibilio, essere
contentissimo, andare in brodo di giuggiole
ndˆ en bulƒtta : andare in bolletta, finire le risorse economiche a propria
disposizione
ndˆ fin chƒ l'€ 'd rue : andare finch† si hanno ruote, andare il pi† lontano
possibile, fuggire lontano
10
la chiesa di San Rocco • una chiesa di Boves che sorge ad un centinaio di metri dal
cimitero comunale
84
Nd‚ en boita
ndˆ fora di f†i : andare fuori dai fogli, andare su tutte le furie, fuori dai
gangheri
ndˆ m‹ na frandia (m‹ na frƒnda) : andare come una fionda (cio•: come
essere stato lanciato da una fionda), andare a tutta velocit„,
velocissimo
ndˆ m‹ na f•zƒtta : andare come un razzo, andare velocissimo, a gran
velocit„
ndˆ m‹ n'esl•si : andare come un fulmine, andare molto velocemente,
rapidissimamente
ndˆ m‹ n'esp‰a : andare come una spia (?), andare molto velocemente,
rapidissimamente
ndˆ m‹ n'ƒs-ciupat : andare come uno scoppietto 11(cio•: come una
pallina lanciata da uno s-ciupat), andare velocissimo,
rapidissimamente
ndˆ 'ntu tirat et la gr€sa : andare nel cassetto del grasso, andare in
prigione
ndˆ pagn ciamand : andare chiedendo il pane, andare a chiedere
l’elemosina, essere povero in canna
11
lo s-ciupat • una sorta di cerbottana che lancia palline - costruita artigianalmente dai
ragazzi - ottenuta svuotando dal midollo un pezzo di legno di sambuco
85
Nd‚ pagn ciamand
lettera O
occh‡ b€le : altro ch† balle!, storie ! fandonie!
ohh gi†zi ! chi scr•s.... ! : oh GesŠ! che botti!, che rumori assordanti
†hh, y ‡ pƒ p€’ mort u Papa ! : oh, non • mica morto il Papa!, non • mica
successo nulla di irrimediabile!
†hh, i n'‡ pƒ p€’ mas€’ gn•gn ! : oh, non ne ho poi mica ammazzato
nessuno!, calmati! non • mica successo nulla di irreparabile
ohh per carit€’ 'd NusgnŠ.... : oh per carit‡ del Signore!, esclamazione di
rammarico e stupore
ohh s‰-v†l : (intraducibile) • comodo cosƒ, cosƒ son capaci tutti
oh stuma frasch.... : oh stiamo freschi!, siamo ben messi! siamo in una
bella situazione, stiamo freschi!
oh suma bei.... : oh siamo belli!, siamo ben messi! siamo in una bella
situazione, c’• da stare allegri!
†gn l’auternˆ : uno alternato, uno sƒ e uno no
†gn gavava u p‡ l'aut lu b•tava.... : uno levava il piede l'altro lo metteva,
erano sempre assieme, erano inseparabili, affiatati come
fratelli
ogni mort 'd Papa : ogni morte di Papa, molto raramente, che si verifica
eccezionalmente
o riff o raff : in un modo o nell'altro, in qualunque caso.
87
Mario Fantino Gri‡t
95
(prima di Natale i pantaloni di panno non vanno male, dopo
Natale viene il bel tempo i pantaloni di pata vanno nuovamente
bene….)
- Ramadanas brƒtt…
(brutto ramadan… brutto scemo, babbeo, anche disordinato e
sciatto nel vestire….)
- ‘S ciapa m• pr•st an sop che an bƒziard….
(si prende piŠ presto uno zoppo che un bugiardo)
- Scapa travai che m‡ arrivu…
(fuggi lavoroche io arrivo…. detto di persona che ha poca voglia
di lavorare)
- Sˆs mach an badola….
(sei solamente un babbeo….)
- Sˆs mach an gilindu….
(sei solamente un tonto….)
- Sˆs mach an sbrincia-ciuend€s….
(sei solamente uno spruzza-recinti… sei solo capace a urinare
dietro le siepi)
- Soud f• soud, piuy f• piuy!
(soldo fa soldo, pidocchio fa pidocchio!)
- Th‰ tum•ra…. as fin‡ ‘d far l’•rlu?
(ehi babbeo…. hai finito di fare il gradasso?)
- V• lestu, f• lestu, ven lestu che m‡ t’asp•itu!
(vai veloce, fai veloce, vieni veloce che io t’aspetto!)
- V‰nta n€nt bƒtar lu ciarri adnant ai b€ ….
(non si deve mettere il carro davanti ai buoi….)
- V‰nta n€nt s‰mpi far lu tor, ma cay vir€s v‰nta adc† far la
vacia!
(non bisogna sempre fare il toro, ma qualche volta bisogna anche
fare la vacca!)
- Vei m„ an cruas
(vecchio come un corvo, molto vecchio)
Mario Fantino ‘Griƒt’ ha pubblicato con Valados Usitanos il libro
“N’arciam d’anima”, sulle tradizioni e la lingua dei pastori e dei
contadini di Roaschia.
96
DISCHI
97
Sostanzialmente si riproponeva in versione aggiornata un modo
semplice di fare festa, incamminandosi su antichi sentieri tornati
praticabili dopo un abbandono pluriennale; la marcia dei gruppi
partecipanti era allietata da canti, musiche tradizionali e soste di ristoro
dislocate lungo i percorsi. Le varie comitive, provenienti soprattutto da
borgate di San Peyre, confluivano a Becetto, gi• luogo di antichi
pellegrinaggi al santuario della Madonna Nera. Dopo il pranzo all'aperto
si dedicava l'intero pomeriggio all'ascolto di gruppi musicali e canori pi‚
o meno noti, all'eventuale lotteria e naturalmente ai balli tradizionali; era
anche un' occasione per ritrovarsi fra amici vecchi e nuovi e unirsi ai
cori spontanei che si alzavano qua e l•, propiziati da merende innaffiate
da cordiali bevute.
La formula organizzativa del "Cianto Viol" si rivelƒ azzeccata e
durevole, tanto da raggiungere nel 2015 la veneranda et• del
trentunesimo anno.
Nell' edizione del 2014, per dare risalto alla continuit• fra i suonatori
locali del passato e le nuove leve che stavano emergendo, s'iniziƒ a
parlare del progetto "Nuove note dal passato": sostenitore convinto
delle capacit• compositive dei giovani partecipanti alla grande festa
popolare del Bes„ era stato Celeste Ru•, eccellente organettista e
ricercatore di vecchi strumenti musicali, di cui possiede una ricca
collezione che documenta assai bene l'etnofonia alpina, ma non solo
quella.
L' invito a creare qualcosa di nuovo ebbe successo e cos… il comitato
organizzatore si trovƒ fra le mani sedici melodie nuove adattabili alle
danze di San Peyre, con l'aggiunta di altrettanti balet, com'† nella
consuetudine di questo paese occitano che annovera – anche grazie a
chi ha svolto meticolose ricerche e registrazioni di anziani suonatori –
una straordinaria variet• di musiche da ballo tradizionali.
All' inizio dell' estate 2015 si † giunti alla pubblicazione di un CD con
opuscolo nel quale Cristina Levet, autrice della presentazione, afferma
giustamente che † bello creare, ma pure recuperare ciƒ che pareva
perso e ripresentarlo sotto forme nuove, senza rinnegare il passato.
Sono riportati inoltre foto e dati biografici dei compositori, i titoli
assegnati alle melodie e una riflessione personale sulle emozioni
provate suonando musica popolare: le risposte, mai banali, mettono in
luce i momenti festosi o malinconici, l'atmosfera quasi magica fra
suonatori che ritrovano radici antiche, il dialogo fra generazioni diverse,
la condivisione e il senso di libert•, la musica che diviene mezzo di
comunicazione e linguaggio universale...
Nelle nuove composizioni come tipologia di danze troviamo ben otto
curente, tre gighe, due tresse, una sola cuntrodanso, bureo vieio, bureo
de San Martin.
Tra gli esecutori primeggiano i suonatori di organetto e fisarmonica a
98
tastiera, che in val Varaita rimane lo strumento preferito dei musicanti
pi‚ fedeli alla tradizione valligiana. Una discreta presenza † quella dei
violinisti, continuatori dei leggendari "viulunaire" della media e alta valle;
a rendere pi‚ armonico il suono collaborano anche chitarristi,
ghirondisti, organettisti.
Il ligure Davide Baglietto con le modulazioni del low whistle (flauto di
latta basso) imprime ai propri brani suggestioni derivanti dalla cultura
musicale irlandese, pi‚ evidenti nel balet.
Graziano Grua invece canta due testi in lingua franco-provenzale,
riprendendo l'abitudine popolare di ballare anche senza il suonatore.
I brani incisi risultano assai soddisfacenti dal lato creativo e nel
contempo si constata con piacere che parecchi giovani hanno fatto
tesoro delle modalit• stilistiche dei suonatori precedenti, partendo in
genere da uno spunto melodico gi• conosciuto e inserendo variazioni
che sviluppano il tema in modo armonico e originale.
Alcuni esempi: i brani introduttivi di Alex Godano riprendono il tocco
fluido e arioso che caratterizzava i suonatori di fisarmonica a tastiera del
Bes„ e della zona circostante, mentre la tresso di Celeste Ru• si
dimostra una versione ricca di abbellimenti e padroneggiata con un
trascinante senso del ritmo.
Le innovazioni stilistiche risaltano maggiormente nei musicisti di lunga
esperienza come Silvio Peron e Gabriele Ferrero, ad esempio con
l'adozione di tonalit• meno acute, l'uso del sincopato, un tipo particolare
di scansione ritmica.
Tutti i partecipanti al progetto "Nuove note dal passato" hanno
contribuito ad arrichire il repertorio sonoro della val Varaita, sia pure con
differenti sfumature: alcune musiche si adattano bene al ballo, altre pi‚
riflessive si prestano maggiormente all' ascolto.
Il grande merito degli organizzatori comunque † stato quello di non aver
discriminato tra artisti affermati ed esordienti, evitando trite classifiche
ed offrendo invece a ciascuno la possibilit• di esprimersi tramite una
valida esperienza collettiva.
C. Lorenzati
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LIBRI
IL CHI€ NELL’ALTA
VALL’ELLERO
100
Un splendido libro, uscito un po’ di anni fa (nell’estate del 2011) a
cura dell’Associazione di Promozione Sociale “ Nuž•č dƒř Chi… ” di
Prea (Roccaforte Mondovƒ) pieno di contenuti autentici ed originali –
quelli della vera cultura locale della gente – che va a riempire un
vuoto editoriale e di conoscenze su di una zona culturalmente e
linguisticamente molto particolare quale … quella del chi€ dell’alta val
Ellero. Il libro offre un esaustivo panorama di questa parlata, il chi€
(o ky€ come si usava scrivere nei decenni passati) nella variante della
valle di Roccaforte Mondovƒ. Questo idioma fa parte dell’area
linguistica occitana ed … ancora in uso in alcune alte valli dell’arco
alpino nell’area monregalese (oltre alla valle Ellero sono interessate
anche le alte valli Maudagna e Corsaglia). Il libro … una testimonianza
fedele di quello che … il dialetto del chi€ di questa valle (ancora in uso
nelle frazioni di Prea, Baracco, Rastello e Norea) e contiene
interessanti note su vocalismo, fonologia e caratteristiche di questa
parlata, sulla toponomastica locale (anche qui quella autentica),
sull’antroponomastica (cognomi locali, soprannomi), oltre ad una
serie di poesie dialettali in chi€ scritte da due poeti locali (il medico
Giovanni Battista Basso – Titin ed il poeta/margaro Sebastiano Unia –
Bastianilu - i cui testi abbiamo ospitato anche sulle pagine di questa
rivista).
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nostro dialetto (bovesano): molte caratteristiche e particolarit‡ di
quella parlata - tralasciando le inflessioni dialettali tipicamente
monregalesi comunque presenti – ci accomunano e sono
sostanzialmente identiche alle nostre.
penso alle terminazioni in • dei verbi della prima coniugazione
aventi l’infinito in –are quali travai•, scut•, perdun•, mangi•,
parl•, ecc… e di sostantivi femminili (in –ata) quali giurn•,
cai•, munt•, frit•, altern• perfettamente uguali alle
corrispondenti forme bovesane (ma non riscontrabili in altri
dialetti della zona se non in alcuni comuni dell’alta valle
Tanaro)
la particella negativa non che diventa gn•nt sia nel chi€ che
nel bovesano 1
a dittongazioni di parole quali fuart, muart, puarta (nella
parlata antica delle frazioni pi† alte di Boves erano fuort,
muort, puorta…. cosƒ come, mi pare, sopravvivano ancora nel
dialetto vernantino) mentre a Valdieri in valle Gesso sono
ancora del tutto simili a quelle in uso nel chi€
L’insieme di questi residui fonetici e di queste particolarit‡
sopravvissute a macchia di leopardo 2 nell’area interessata
sembrerebbero avvalorare l’ipotesi di un antico legame fra tutte
queste diverse parlate…. legami che nel corso dei secoli si sono
allentati per le diverse vicende storiche, umane, culturali, produttive
che hanno interessato le varie comunit‡, oltre che per la distanza che
fisicamente intercorre fra le valli.
1
Ed anche nel dialetto dell’alta valle Pesio
2
ricordo anche una particolarit‡ fonetica (simile a quella del chi€) usata nel dialetto
dell’alta Valle Pesio in parole quali: mon (mano), pion (piano), servon (silvano), sont
(cento), dumon (domani), sonte (sentire), lamontase (lamentarsi), ecc….
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ma non solo - alla conservazione degli esiti in aire del bovesano
ancora usati comunemente dai buoni parlanti per indicare
professioni/tipi umani/animali tipo: ramasƒire per spazzino, calatƒire
per posatore di pietre del calat†, resiƒire per segantino (e /o
Chironomo anulato, un insetto che vola soprattutto in primavera con
un veloce movimento verticale che ricorda una sega). In molti casi
queste parole hanno assunto (scontrandosi con forme importate, pi†
nuove e vitali) una accezione pi† negativa, cosƒ accanto a casƒire
=cacciatore di scarso valore, di poco conto vi … il pi† ordinario
casad‡, pescƒire idem, associato a pescad‡, blagƒire idem, associato
a blagˆr, chentƒire idem assieme a cantante, ecc…
Molti altri esiti simili sono ancora presenti - anche se non pi† molto
comuni - nell’uso quotidiano (tipo buciƒire = bocciatore del gioco a
bocce alla lunga, tr„fƒire = persona ridicola e scherzosa, sgherƒire =
scialaquatore, spendaccione, calignƒire = fidanzato, ecc….).
Fausto Giuliano
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