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VALADOS USITANOS

N.107
Semestrale di cultura, politica, economia, edito dal Centro Studi e Iniziative
"Valados Usitanos"

COMITATO DI REDAZIONE

Giuliana Armand
Piero Barale
Ivo Beolè
Silvana Cortona
Marziano Di Maio
Massimo Garavelli
Gianpaolo Giordana
Fausto Giuliano

Hanno collaborato alla redazione di questo numero:

Giuliana Armand, Ivo Beolè, Marziano Di Maio,


Mario Fantino Grièt, Teresa Durbano, Gianpaolo Giordana,
Fausto Giuliano, Costanzo Lorenzati, Maria Rosso

Copertina di Tom Cossolo

In copertina. Roaschia (Valle Gesso) in una cartolina dell’Archivio Valados Usitanos.

Stampato da:
Tipografia Baima & Ronchetti, Castellamonte, Torino

Pubblicazione ammessa al parziale finanziamento della Regione Piemonte ai sensi


della L.R.26/90 e successive modificazioni e integrazioni
SOMMARIO
- Editoriale.......................................................................................p. 2
- GIUSEPPE PASERI NEL RICORDO DI DUE REDATTORI
DI VALADOS USITANOS……...............................................................p. 3
- UN PRIMATO DELL’ALTA DORA: DIECIMILA
TOPONIMI D’OC di Marziano Di Maio………………..…….............p. 7
- ERBE E TERAPIE NELLA MEDICINA POPOLARE DELL’ALTA
VALLE DELLA DORA di Giuliana Armand...........................................p. 13
- FRISE: IL CICLO DELLA VITA E IL CICLO DELL’ANNO
di Maria Rosso....................…………………………………….…….p. 26
- BOVES. MANERE ‘D D‚
(modi di dire popolari – 3a parte)
di Fausto Giuliano…......................................................................p. 65
- Proverbi e modi di dire di ROASCHIA
di Mario Fantino GriÄt....................................................................p. 88
- DISCHI: “NUOVE NOTE DAL PASSATO”
di Costanzo Lorenzati....................................................................p. 97
- LIBRI: “IL CHI† NELL’ALTA VALL’ELLERO”
di Fausto Giuliano.........................................................................p.100

-Direzione: Gianpaolo Giordana – Ivo Beol‚


-Direttore responsabile: Marina Verna
Anno XXXIX, 2ƒ, luglio - dicembre 2015
Autorizzazione del Tribunale di Torino nƒ 3096 del 10/11/81
Redazioni: Torino, Corso XI Febbraio, 27; Paesana, Via Crissolo 9
Indirizzo e-mail: valadosusitanos@libero.it
Sito web:http://valadosusitanos.weebly.com/
Un numero: 8 € ; Abbonamento annuo: 15 €; Numero arretrato: 12 €
Estero: 14 € ; Abbonamento estero: 17 €; Arretrato estero: 18 €
c.c.p. nˆ 10430122 intestato a "Valados Usitanos",
Corso XI Febbraio, 27 - 10152 – TORINO

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EDITORIALE
“Si chiude una fase storica”
La citazione rimanda all’editoriale giunto con questo numero) il
del numero dello scorso luglio di momento della chiusura
Ousitanio Vivo (l’ultimo, prima dell'edizione cartacea per
della cessazione delle mancanza di finanziamenti.
pubblicazioni: ma si parla di una
prossima riapertura, pur tra molte Oggi per‰, a differenza di dieci
difficolt•). ‚ un momento di crisi anni fa, chi vuole esprimersi
per i periodici occitani. Nello liberamente ha a disposizione tutta
scorso autunno anche la una serie di strumenti tecnologici
“Setmana”, importante foglio (siti, blog, newsletter, liste di
occitanista dello stato francese, ha discussione, posta elettronica,
lanciato una campagna di stampa tablet, smart-phone, e-book) che gli
volta a raccogliere un numero consentono di farlo senza alcun
considerevole di nuovi costo. E quindi, esauriti i fondi che
abbonamenti: … in gioco anche l† la ci permettevano di pubblicare la
sopravvivenza del giornale. rivista in forma cartacea, Valados
Proviamo allora a ritornare alla Usitanos continuer• ma solo pi‚ in
situazione di crisi della cultura edizione 'elettronica'.
occitana di circa dieci anni fa,
L'ultimo abbonamento possibile
descritta da Sergio Ottonelli
alla rivista sar• quello per i numeri
nell’editoriale del numero 85 di
108 e 109, dopo di che non sarƒ
V.U. (settembre-dicembre 2006). A
pi‚ necessario pagare il rinnovo
causa dei costi di stampa proibitivi
perchˆ il Valados Usitanos
la libera ricerca culturale occitana
elettronico sar• inizialmente gratis,
faticava spesso a trovare uno
sbocco: i comuni, le comunit• ma sarƒ inviato in formato PDF
solo a chi lo richiederƒ.
montane, le banche ostacolavano
Rimandiamo fin da ora ai nostri
gli autori ‘liberi’ proprio perchˆ
indirizzi internet ufficiali:
non strumentalizzabili a logiche di
potere. A distanza di anni la crisi si http://valadosusitanos.weebly.com
e valadosusitanos@libero.it per
ripete, ma questa volta
informazioni sulla diffusione
coinvolgendo senza distinzioni
elettronica.
autori 'liberi' e non...
Dopo una fase di rodaggio, …
Per quanto non abbia senso
nostra intenzione ripristinare
parlare di fine della ‘fase storica’
anche per la futura edizione
delle vacche grasse per chi, come
elettronica il versamento di una
noi di Valados Usitanos, non ha
quota di abbonamento, che sar•
mai avuto aiuti da poteri
devoluta ad organizzazioni che si
compiacenti, si avvicina anche per
occupano della difesa di popoli,
la nostra rivista (ma non … ancora
lingue e culture.

2
GIUSEPPE PASERI

nel ricordo di due redattori di


Valados Usitanos

Giuseppe Paseri con la moglie Isa Bogetti

3
Juz„p, lu sendi dar M„l

Il mio primo incontro con Giuseppe Paseri era avvenuto a Saluzzo, in un


bar da noi battezzato “dei tre scalini”, il locale in cui si tenevano le
riunioni di redazione nei nostri primi anni d’attivit•, prima di trasferirci
in Piazza Risorgimento, ai Perp…in.
La mia prima impressione, mai cambiata nel corso degli anni, fu che
l’allora sindaco di Melle fosse una persona sobria, calma e riflessiva,
misurato nei suoi interventi, mai sopra le righe. Al massimo, se doveva
esprimersi su persone o azioni riprovevoli (e negli anni successivi non
gli sarebbero di certo mancate le occasioni) il suo giudizio poteva
diventare tagliente, in certi casi ironicamente tagliente, ma senza mai
alzare il tono di voce, sempre in modo privo di aggressivit•.
Questa sua calma lucida sapeva diventare convincente quando c’era da
smussare qualche spigolo un po’ troppo puntuto o da convincere
qualcuno ad attenuare i toni di uno scritto.
Un uomo prudente? Certamente s†, ma anche molto onesto e
irreprensibile nel momento in cui sentiva di dover prendere posizione,
come quando, si era credo nel 1980, si schier‰ senza indugi con chi,
Ottonelli, chi scrive e Giacomo Garino (altra persona sempre attiva
nello smussare, ma molto ferma nel difendere determinati principi)
proposero di fare muro all’arroganza ed ai colpi di mano di un
gruppetto fazioso che tentava di impadronirsi di Valados Usitanos con
un “tiro mancino, vale a dire portando strumentalmente
nell’associazione una quantit• di neo-aderenti dell’ultima ora” in
quantit• tale da sovvertire qualsiasi legittima maggioranza..
Juz„p si schier‰ senza indugi contro i “falsari” della situazione e
mantenne ferma la barra del suo personale timone senza allontanarsi
mai dalla rotta proposta da chi aveva “inventato” la rivista e intendeva
continuare un cammino irto di difficolt• ma rettilineo per ci‰ che
concerne i principi del rigore nella ricerca (e nella riproposta) e della
volont• conclamata di contribuire a “conservare la memoria” di un
mondo che, a dispetto delle pie illusioni di rinascita, di rivitalizzazione,
di ripopolamento delle Valli, stava invece andando lentamente ad
esaurirsi.
Quante volte ricordo di averlo sentito intervenire con la consueta
pacatezza su questo o quell’articolo per suggerire maggior
moderazione, per attenuare un giudizio troppo tagliente o irrispettoso?
Anni dopo, la salute gi• compromessa per entrambi, ricordo le tante
telefonate riguardanti la pubblicazione del piŠ amato dei suoi lavori, “I
nosti post”, l’egregia raccolta dei toponimi di Melle, il suo amato paese.

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Voglio aggiungere ancora alcune cose, gi• dette certamente da altri e
da altri ancora sicuramente pensate: forse, benchˆ possa sembrare un
bisticcio, … possibile definire Juz„p un moderato intransigente (su
determinati principi che per altri potevano diventare carta straccia, lui
era davvero intransigente), ma anche un uomo buono e onesto che per
tanti anni … stato anche un buon compagno di strada lungo un percorso
che spesso interpretavamo con modalit• differenti, ma sempre con cu-
riosit•, attenzione verso il pensiero altrui e con disponibilit•.
Ciau Juz„p, sabu ren ent„ sies anƒ, ma siu seg†r ke te trubaras b„n.

Gianpaolo

Quelle riunioni di redazione ai “tre scalini”…

Anch’io come Gianpaolo incontrai Giuseppe per la prima volta ai


cosiddetti “tre scalini”, il bar dove si tenevano le riunioni di redazione
di Valados Usitanos. Devo dire che, durante quelle riunioni, provavo
invidia per Giuseppe, per due motivi. Il primo era che quando Sergio
Ottonelli, dopo la lunga chiacchierata fra i redattori su argomenti di
attualit• (e dopo pettegolezzi vari…), faceva il consueto giro di
domande pronunciando la fatidica frase: “A proposito, cosa fai per il
prossimo numero?” io mi stringevo nelle spalle e biascicavo qualche
idea su un eventuale “pezzo” che spesso veniva accolta con scetticismo
(non sono mai stato un grande ricercatore, lo so…). Ma a Giuseppe
quella domanda Sergio non la faceva, forse perchˆ lui godeva di una
rendita di posizione dovuta al fatto che era il redattore piŠ anziano, o
forse perchˆ Sergio aveva piena fiducia in Giuseppe, intuiva che stava
facendo sicuramente qualche ricerca importante, anche se su che cosa
fosse questa ricerca io personalmente l’ho scoperto solo molto tempo
dopo, quando abbiamo aiutato Giuseppe a pubblicare I nosti post, un
libro molto importante, il suo capolavoro (ne ho una copia con la sua
dedica in calligrafia ordinatissima, ‘da maestro’) .
Il secondo motivo per cui lo invidiavo era che l’occitano era la sua
lingua madre, e a quei tempi ci si sforzava molto, in ambiente
occitanista, di parlare questa lingua: si sentiva il piemontese come
parlata ‘coloniale’ (ovviamente anche l’italiano, ma il vero confronto
era con il piemontese), imposta nel corso degli ultimi secoli alle basse
valli, la cosiddetta ‘zona grigia’, da cui provengo. Parlare l’occitano
non era facile, e avevo deciso di provarci proprio con lui, perchˆ
contavo sulla sua comprensione e sapevo che non avrebbe riso della mia
goffaggine. E cos† effettivamente era: ma io verso la met• delle nostre

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conversazioni mi rendevo regolarmente conto della mia abissale
ignoranza dell’occitano e cominciavo a scivolare sull’inviso
piemontese: parlata coloniale, ma che conoscevo sicuramente meglio.
Allora anche lui, rispettosamente, abbandonava l’occitano per il
piemontese. A quel punto io, accorgendomi dell’assurdit• della
situazione, cambiavo di nuovo rotta, passando decisamente all’italiano:
finiva sempre cos†.
Diciamo che l’occitano alla fine lo parlo sempre malissimo, ma mi …
venuta questa curiosit• per i dialetti occitani (di Francia, Italia e
Spagna) che mi porto dietro tuttora: in fondo devo tutto questo anche a
Giuseppe…
Ivo

GIUSEPPE PASERI

Nato a Melle il 25 agosto 1933, da genitori contadini (il padre


Chiaffredo € morto nel 2007 a 102 anni di et•), Giuseppe si spos‚ il 2
agosto 1967 con Isa Bogetti di Venasca (da questo matrimonio sono nati
tre figli: Luca, Anna e Paolo).
Fino al giugno del 1975, Giuseppe aveva insegnato nelle scuole
elementari della Val Varaita, prima – come supplente o con incarico
annuale – esclusivamente nelle frazioni di Melle (a Pieg„, ai Bert, a
Bouschirol, a Nourastra). Poi dall’autunno del 1967 (ormai in ruolo e
sposato con Isa) in altri paesi della valle: Lemma (Rossana), Brossasco
capoluogo, di nuovo a Melle in frazione Nourastra per tre anni. Di
questo periodo Giuseppe aveva molta nostalgia: gli alunni di queste
scuole di montagna erano bambini – tranne rari casi – tranquilli, educati.
Quelli che abitavano in borgate lontane in certi casi facevano anche
un'ora di cammino a piedi per raggiungere la scuola, dove si fermavano
fino alle quattro del pomeriggio, ed era necessaria la vigilanza del
maestro anche durante il pranzo.
Con la nascita di Luca, i coniugi Paseri si stabilirono a Saluzzo, ma
Giuseppe insegn‚ ancora per tre anni a San Maurizio di Frassino. Oggi
le scuole elementari delle frazioni montane di Melle, Rossana e Frassino
dove lui ha insegnato sono state chiuse definitivamente.
Giuseppe € anche stato, nel triennio 1969-1972 a Melle, il primo sindaco
autonomista delle Valli Occitane.
La raccolta dei 2.000 e pi„ toponimi che ha costituito il materiale del
libro del 2008, “I nosti post”, ha avuto inizio nel 1995. Sono state
coinvolte, in veste di informatori, 60 persone residenti in Melle e
frazioni.

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UN PRIMATO
DELL’ALTA DORA

DIECIMILA
TOPONIMI D’OC

Negli ultimi vent’anni le ricerche sulla toponomastica hanno avuto un


poderoso sviluppo nell’alta valle della Dora Riparia, tanto che per nume-
ro di pubblicazioni, numero di toponimi raccolti e superficie ricoperta,
l’Alta Dora si pone in una posizione di assoluto primato tra tutte le valli
della Regione.
Da fenomeno sporadico e marginale la ricerca • divenuta fattiva e ricor-
rente soltanto negli ultimi lustri. Appena in tempo per raccogliere dagli

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ultimi detentori quelle informazioni atte a tessere una tela dei nomi di
luogo che fosse soddisfacente.
Prima degli ultimi anni del secolo scorso in Alta Dora i toponimi affio-
rano solo occasionalmente, in margine ad altri filoni culturali: vedi Piero
Perron (Sul ban d’la Chap•lle), Luigi Onorato Brun (Ou b‚ de Ciabar-
toun), Angelo Masset nella sua grammatica-vocabolario della parlata di
Rochemolles, mentre Valerio Coletto sui primi numeri de La Rafanhau-
do si • occupato dei significati di alcuni toponimi chiomontini. Duccio
Eydallin aveva raccolto non si sa quanti nomi di luogo di Sauze d’Oulx
rimasti inediti. Oreste Rey aveva iniziato a redigere una carta con i topo-
nimi di Salbertrand. Abbiamo poi due tesi di laurea, inedite, sulla topo-
nomastica della bassa Val Thuras (A. Vigitello) e di Sauze d’Oulx (Chri-
stine Fundone).
La prima pubblicazione dedicata specificamente all’argomento • del
2000. Da anni Marziano Di Maio era andato raccogliendo toponimi di
Melezet e del vecchio comune censuario di Bardonecchia. Poi a fine se-
colo si • presentata l’occasione favorevole per pubblicare.
L’amministrazione comunale bardonecchiese a quel tempo era molto di-
namica, in particolare nel miglioramento ambientale e nel rilancio cultu-
rale; assessore alla cultura attivo e appassionato era Walter Re; erano
stati lanciati i Quaderni di Bardonecchia. Cogliendo la palla al balzo,
con l’aiuto d’una trentina di persone pratiche dei luoghi si sono raccolti
circa 850 toponimi di Bardonecchia inteso come comune censuario (cio•
senza Melezet, Millaures e Rochemolles). Appunto nel 2000 essi sono
stati pubblicati sotto forma di guida, seguendo linee geografiche, ogni
toponimo con i dovuti riferimenti ambientali, culturali, storici eventuali,
della tradizione ecc., e per quanto possibile con i significati ma senza
forzature. Il tutto illustrato da foto d’epoca e da cartine.
Non si • mancato di prendere visione di vecchi documenti, di catasti del
passato, di carte premoderne.
Un aspetto moralmente remunerativo di queste rilevazioni • stato quello
di aver coinvolto gli abitanti, risvegliandone la sensibilitƒ verso i valori
del passato. La gente si • appassionata e ha partecipato con entusiasmo
(e con pazienza).
Intanto si • iniziato a lavorare anche sugli altri ex-comuni della conca,
tanto che l’anno seguente (2001) • potuto uscire il Quaderno su Melezet,
Les Arnauds e la Valle Stretta. Poi nel 2002 Daniela Garibaldo ha con-
cluso e pubblicato la sua ricerca su Millaures e infine nel 2003 ha visto
la luce il libro su Rochemolles grazie a Aldo Garcin, Luciano Souberan
e Marziano Di Maio.

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Nel complesso dei quattro comuni censuari della conca si sono raccolti
pi„ di 3700 toponimi. La ricerca peraltro non • conclusa perch… ogni tan-
to i montanari ricordano un altro nome, oppure emerge qualche altro si-
gnificato.
* * * *
Dopo questi quaderni di Bardonecchia le ricerche in Alta Dora si sono
moltiplicate. Nell’ambito dell’Atlante Toponomastico del Piemonte
Montano (ATPM) cui hanno dato corpo il Dipartimento di Scienze del
Linguaggio dell’Universitƒ di Torino e l’Assessorato alla Cultura della
Regione Piemonte, nel 2002 per volontƒ del Parco Naturale Regionale
del Gran Bosco • uscito il volume su Salbertrand a cura di Roberto Ci-
bonfa e Roberto Torchio. Ad esso seguiranno quelli su Exilles (2006,
degli stessi ricercatori pi„ Fulvia Bernard) e su Chiomonte (2012, di Ro-
berto Cibonfa). I toponimi raccolti nei tre comuni sono circa 2550, elen-
cati in ogni volume per ordine alfabetico com’• nella prassi dell’ATPM,
con scarne note essenziali, con gli eventuali significati suggeriti dagli in-
formatori e con le posizioni riportate su carte di grande formato.
Nel 2003 sono stati pubblicati gli 840 toponimi di Savoulx e della borga-
ta Constans di Beaulard, a cura di Daniela Guiguet, Silvia Gallizio e
Marziano Di Maio, con gli stessi collaudati criteri di guida al territorio.
Nello stesso anno il Parco Naturale Regionale della Val Troncea ha ri-
portato su bacheche varie decine di toponimi di Champlas du Col raccol-
ti dagli scolari della Scuola elementare di Sestri•re ad illustrazione del
sentiero-natura Louis XIV.
Nel 2011 ha fatto il suo ingresso nel filone toponomastico R. Sibille, che
tra i suoi variegati interessi si • appassionato pure a questo. La sua “Gui-
da ai toponimi e alla storia di San Marco di Oulx” • da manuale: quasi
500 nomi di luogo emergono da ben 270 pagine illustrate e con cartine.
Attraverso di essi vengono divulgati non solo geologia, morfologia, am-
biente naturale e quant’altro sia degno di una vera guida, ma pure la sto-
ria locale (brevi capitoli ne approfondiscono alcune vicende, comprese
quelle della resistenza), ciˆ che • accaduto a ricordo degli anziani, argo-
menti artistici e culturali e fatti di costume, socialitƒ e gastronomia, cata-
strofi, curiositƒ, significati veri o possibili dei toponimi e tanto altro.
Nello stesso anno 2004 l’associazione L‰ clouchŠe ‰d l‚ s‹n bourgi‚ ha
pubblicato i “Toponimi del territorio di Fenils nell’antica parlata”, a cura
di Riccardo Colturi. I nomi di luogo citati sono soltanto 185, per cui •
evidente che • stata operata una scelta tra tutti quelli esistenti.
Con “L’Adreyt di Oulx (anno 2006) • ricomparso Renato Sibille, che
con Olga FranŒos ha analizzato il territorio e la storia delle comunitƒ di
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Amazas, Soubras e Vazon. Gli oltre 500 toponimi raccolti hanno dato
occasione a una nutrita serie di informazioni su pi„ fronti, tra cui moltis-
simi nomi in patuƒ di erbe e piante. R. Sibille replicherƒ ancora con due
contributi nel 2010, e con uno nel 2014. Il primo riguarda i territori ul-
ciensi del Gad, di Monfol, della Beaume e delle Auberges; pubblicato
come Cahier dell’Ecomuseo Colombano Romean (• il n. 13), ha analiz-
zato anch’esso oltre 500 toponimi, presentati sulla ricca falsariga abitua-
le per questo autore. Il secondo contributo del 2010 redatto insieme alla
ricercatrice locale Franca Bernard, • un volume di ben 278 pagine in
grande ed elegante formato su “Thures e la sua valle”; tutto lo scibile
che fa da supporto e contorno a circa 850 toponimi ci svela l’anima del
paese, inaspettatamente per chi credeva che lƒ tutto fosse ormai sommer-
so nell’oblio. Infine l’ultimo impegno sostenuto insieme a Rinaldo Gros,
• relativo all’operazione quasi disperata di recuperare memoria dei/dai
toponimi di Desertes; sono stati raccolti e localizzati circa 270 nomi di
luogo, presentati con dovizia di notizie in 240 pagine sul Cahier n. 20
dell’Ecomuseo salbertrandese.
Con quest’ultimo ammontano a 14, tutti negli ultimi tre lustri, i lavori
pubblicati sulla toponomastica dell’Alta Dora; gli autori sono 14. Al di
lƒ dei risultati culturali, i toponimi localizzati sono pi„ di 10.000, inte-
ressanti una superficie sui 42.000 ettari che • pari ai due terzi dell’intero
territorio storico (cio• includendo le aree cedute alla Francia nel 1947 e
quelle della Val Ripa passate a Sestriere).
Si deve considerare con soddisfazione che • pi„ facile valutare ciˆ che
resta da fare rispetto a quanto • stato fatto. Rimangono scoperti Cesana
inteso come comune ante 1928, Sauze di Cesana, Solomiac, Claviere,
buona parte di Beaulard e di Champlas du Col, aree ridotte di Oulx
(Pierremenaud / Piermenao). Di Fenils non sappiamo tutto. Silvio Heri-
tier si sta occupando di Bousson, mentre R. Cibonfa sta riordinando per
l’ATPM quanto esiste di inedito su Sauze d’Oulx per poi cercare di
completare.

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Questa mole di toponimi ha dato un buon contributo nel recuperare cul-
tura, nella riscoperta delle radici, nel dare ulteriore visibilitƒ alle cose
d’oc.
Oltre che la ricerca, • importante la pubblicazione. Se la nostra curiositƒ
• stimolata dai significati dei nomi di luogo, che spesso sono oscuri, •
proprio attraverso la divulgazione delle conoscenze che puˆ accadere di
trovare in altri paesi quei significati che si sono perduti nel nostro. Ad
esempio a Thures una zona a pascolo si chiama Palcanhou, di ignoto si-
gnificato in loco; ma ecco veniamo a sapere che a Savoulx lou parcan-
hou sono certe erbe graminacee dure (festuche). A San Marco abbiamo i
campi di Chanpar‰lh senza conoscere lƒ il significato, ma a Melezet la
samparelh‰ • quell’erba mangereccia detta porcellana (la Portulaca ole-
racea). Ad Amazas troviamo la Souffranher‰ e a Millaures su un vecchio
catasto Souffraniera: si trattava di coltivazioni di zafferano che V. Colet-
to ha riscontrato presenti pure a Chiomonte secoli addietro, cosŠ come
sono attestate in Maurienne nel ‘500 sino a fine ‘800 e reintrodotte nel
2009 a Saint Julien Montdenis sempre nella valle dell’Arc.
Ma i casi in cui la nostra curiositƒ rimane insoddisfatta sono numerosi.
Un esempio per tutti: sui monti di Rochemolles una freddissima sorgente
ha nome la Funtan‰ dla Carˆ, che trova un suo pari a San Marco di Oulx
nella sorgente particolarmente fredda della Funtan‰ duz Acarˆss (R. Si-
bille). Ma un toponimo la Caˆ esiste pure alla Prea di Roccaforte (CN)
e troviamo pure una sorgente la Carˆt nel lontano Rivamonte Agordino
(BL), la cui acqua bevuta dalle ragazze aveva fama di sviluppare il seno.
Uno dei tredici laghi di Prali • detto Lau dla Carott‰ (italianizzato in la-
go della carota…).
* * * *
Se la pubblicazione delle ricerche si giovava in passato del sostegno dei
maggiori enti pubblici, oggi la situazione • molto critica. La Regione da
un lato ha impiegato cospicue risorse in opere dalla prioritƒ molto discu-
tibile, e dall’altro ha drasticamente tagliato i contributi per esigenze co-
me quelle culturali che sarebbero inderogabili in un paese civile. Per
quasi tutte le associazioni come Valados Usitanos pi„ che di un taglio si
• trattato di un azzeramento. Inoltre il patto di stabilitƒ impedisce a co-
muni che pure avrebbero volontƒ e mezzi per intervenire, di spendere per
la cultura.
Oggi per pubblicare i risultati delle ricerche si deve fare affidamento in
Alta Dora su enti locali che cercano tra le pieghe dei loro risicati bilanci
di racimolare all’uopo piccole disponibilitƒ, vedi l’Ente di Gestione Par

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chi Alpi Cozie, l’Ecomuseo Colombano Romean, il CeSDoMeo, il Con-
sorzio Forestale Alta Valle di Susa. Dobbiamo guardare con invidia alla
Valle d’Aosta, dove la Regione finanzia adeguatamente valle per valle
un piano sulla ricerca toponomastica, o alle valli ladine delle Dolomiti
che in maggioranza hanno messo a disposizione gratuita dei turisti carti-
ne con i toponimi nella parlata locale.

Marziano Di Maio

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Giuliana Armand

ERBE E TERAPIE
NELLA MEDICINA POPOLARE
DELL’ALTA VALLE DELLA DORA

Parlando di erbe selvatiche nel n. 98 di Valados Usitanos, ho elencato


quelle comunemente raccolte per uso medicinale. Ben lungi dall’essere
una fitoterapeuta, mi sono semplicemente limitata ad esporre quanto ri-
cordo sul loro uso e a quanto ho raccolto dai miei testimoni.
Riassumo qui brevemente e sinteticamente quello che ho giƒ scritto per
poi passare ad altre indicazioni terapeutiche dei tempi passati sul mio
territorio cio• nell’alta Valle della Dora ( Alta Valle di Susa).
Ogni massaia raccoglieva le sue erbe che legava a mazzetti ed appende-
va sui pl€n, nelle grange, o deponeva in cestini ad asciugare. Qui,
all’ombra e ben aerate, le foglie si accartocciavano, le corolle perdevano
un po’ del loro colore, gli steli imbrunivano ma le piantine conservava-
no tutti i princ•pi medicamentosi e i loro profumi si spandevano intorno.
Ricordo il buon odore che emanavano; si sentiva giƒ da lontano, mesco-
lato a quello del fieno accumulato nella grongia.
Le raccoglitrici conoscevano i luoghi giusti dove trovarle e l’epoca in
cui raggiungevano il miglior sviluppo. I primi della stagione ad essere
raccolti erano le corolle dei fiori di farfaro ( la racias•) che spuntavano
sulle prode umide, sui greti dei ruscelli appena la neve scioglieva; per la
melissa (la meliz•) bisognava attendere la piena fioritura dei prati, quan-

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do era ora di falciare ed essa era in pieno rigoglio; per la malva e la ca-
lendula (la malv•, la carunh‚tt•) occorreva aspettare che crescessero
nell’orto al bordo delle tavole di ortaggi; per altre, come il genepin e
l’arnica (genepin, arnica) bisognava fare molta strada a piedi, in agosto,
ed alzarsi verso le cime dove si sviluppavano all’ombra delle rocce; al-
cune come l’assenzio, il timo (la fƒr, ‘l s‚rpulh) spuntavano ai margini
dei viottoli, delle mulattiere, nelle campagne e venivano raccolte di ri-
torno dai campi; per altre poi, come per la rosa canina (las argurenz•)
occorreva attendere i primi freddi, quando la brina faceva cadere le fo-
glie ed appassire i frutti. Esistevano poi delle credenze che celavano an-
che un po’ di magia come quella delle violette che per essere pi„ effica-
ci dovevano essere raccolte nel solstizio di primavera.
Ogni pianta veniva raccolta per un determinato scopo ed era usata anche
per curare gli animali. Alcune donne erano pi„ esperte delle altre e ad
esse si ricorreva in caso di necessitƒ. Si andava dal medico solo in casi
rari e gravi.

Artemisia absinthium

I raffreddori e la tosse erano le indisposizioni pi„ frequenti. Il clima


freddo, la brutta abitudine di passare dai locali caldi all’esterno senza

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coprirsi e l’umiditƒ delle stalle in cui i montanari svernavano, favorivano
l’insorgere di malattie bronchiali che venivano curate con tisane e sci-
roppi. Numerose le piante raccolte a questo scopo. Con esse si facevano
profumate tisane che si addolcivano con il miele. Farfaro, violette, fiori
di borraggine, lichene, tiglio (racias• , viur‚tt•, buracci•, pon’d ciab-
bra, tilƒlh) venivano diversamente dosate, secondo il tipo di tosse (pi„ o
meno secca). Normalmente si addolcivano con il miele ma si usavano
pure sciroppi appositamente preparati che ne potenziavano l’effetto e-
molliente od espettorante: sciroppo di tarassaco, sciroppo di pigne…
Si usava soprattutto quest’ultimo, che era preparato con i germogli resi-
nosi di pino mugo e di cembro. Le piccole pigne, raccolte ancora tenere,
appena formate, di colore rosso e appiccicose di resina,venivano messe
in un barattolo a chiusura ermetica e ricoperte di zucchero. Il barattolo
veniva poi posto al sole estivo, nell’angolo riparato di un davanzale o di
un balcone dove il calore faceva trasudare goccioline balsamiche che
scioglievano lo zucchero e si trasformavano in sciroppo. A fine estate
era pronto e lo si usava, in caso di necessitƒ, semplicemente sciolto in
acqua calda o, come giƒ detto, in aggiunta alle tisane. In alcuni paesi, ad
esempio a Desertes, si usavano pure le pigne pi„ grosse, giƒ formate.
L’importante • che fossero ancora verdi. Si spaccavano in tre, quattro
parti prima di ricoprirle di zucchero, per favorire l’uscita delle sostanze
balsamiche.
Si preparava anche lo sciroppo di rape (sir†’d rabba), ottimo rinfrescan-
te delle vie aeree e calmante della tosse. Si affettava una rapa fresca alla
sera, la si cospargeva di zucchero e, il mattino seguente, si recuperava
tutto lo sciroppo che si era formato. Si beveva a cucchiai durante il gior-
no.
Quando la tosse era particolarmente secca e stizzosa si ricorreva ai cata-
plasmi (lus ‚mplatr‚) di farina di lino. Si preparava una polentina con
acqua e farina di lino (farin• ‘d lin) e la si rinchiudeva dentro una pez-
zuola, meglio se di lino. La si posizionava calda sul petto, in alto,
all’altezza dei bronchi, stando attenti a non bruciarsi e la si lasciava fin
quando si intiepidiva. Non bisognava lasciare che si raffreddasse. Si so-
stituiva allora con uno straccio di lana calda e si stava ben attenti a non
prendere freddo dopo questa applicazione. Il lino • molto rinfrescante e
il caldo umido che si sprigionava dalla pappetta fatta con i suoi semi
aiutava il catarro a maturare e ne favoriva l’espettorazione.
Ai bambini che avevano la tosse giovava pure l’applicazione sul petto e
sulla schiena di grasso di gallina (gr‚is• ‘d giarin•). Si copriva poi la
parte unta con un pezzo di carta dello zucchero (carta di color blu detta
papie blƒ in cui si incartava lo zucchero venduto sciolto nelle botteghe
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alimentari) Quando si ammazzava una gallina, si teneva sempre da parte
un po’ del suo grasso che veniva usato come medicamento.

Il raffreddore era curato con fumenti di tisane emollienti o anche solo


con il vapore dell’acqua calda. Ci si chinava sulla pentola in ebollizione
con il capo coperto da un asciugamano e si respirava il benefico vapore.
Si potevano aggiungere all’acqua pigne resinose o erbe aromatiche.
Ho conservato fino a qualche anno fa un apposito recipiente in ferro
smaltato blu copiativo formato da due pezzi: una pentolina con due ma-
nici sovrastata da un imbuto rovesciato e terminante con un appoggio
per la bocca. Sono pentita di non averlo conservato anche se con l’uso si
era bucato e perdeva. Cercherˆ di disegnarlo perch… vi possiate fare
un’idea pi„ precisa di cosa fosse.
Per curare il raffreddore ho visto anche fare sciacqui nasali con acqua e
sale un po’ come si fa oggi con le ben pi„ moderne e costose bombolette
di acqua marina vendute in farmacia e consigliate dagli otorini. Bastava
far bollire un poco di acqua salata e, una volta tiepida, tirarla su con le
narici.

Chi soffriva di pressione alta si curava soprattutto con una tisana di fiori
di biancospino, di genzianella o con l’aglio (la flū ‘d bosu, lu d‚a, l’alh)
mentre il tarassaco, i fiori di sambuco e la radice della bardana (la flū du
mur‚, la flū ‘d sambuin, la rasin• ‘d las apilha) avevano un effetto puri-
ficante del sangue.
Anche le minestre di erbe selvatiche preparate in primavera erano purifi-
canti e disintossicanti. Erano preparate con ortiche, boraggine, piantag-
gine, barbadibecco, spinaci selvatici, (ƒrti•, buracci•, p‚r‚sin•, urelha
d’ˆne, orla) e altre di cui non conosco il nome in italiano: patta’d ciat,
leitasun…
L’insalata di tarassaco (saradda ‘d mure), raccolto prima della fioritura,
era molto consumata ed era altamente depurativa.
Il rilassante pi„ usato era la melissa ( la meliz•) ma venivano usati anche
la verbena e il tiglio (la verven•, ‘l tilƒlh). La melissa era l’erba delle
donne per eccellenza, combatteva la malinconia tipica di certi periodi.
Non per nulla in Piemontese • chiamata ‘Arlegac•r’.Essa aveva un effet-
to sedativo e antispasmodico. Recitava un nostro proverbio: “Se le don-
ne sapessero quanto bene fa la melissa se ne metterebbero anche nella
camicia” “ Si la f‚nna i sabeson ‘l bien k‚ fai l• meliz• i s’n‚n beter‰an
fin• din l• ciamiz•” Era particolarmente raccomandata per i dolori me-
struali.

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Recipiente in ferro smaltato per fumenti di tisane emollienti

Molto diffuse erano la malattie reumatiche. I dolori dovuti al freddo, al


contatto con l’acqua gelida, con la neve…si pensi ad esempio cosa signi-
ficava lavare a mano alla fontana, lavorare la canapa macerata nei nai,
raccogliere la legna nel bosco nelle gelate d’autunno, spalare la neve…
solo per ricordare alcuni dei lavoracci cui erano costretti. Per alleviare i
dolori si frizionavano con unguenti, con infusi o macerati all’arnica, alla
calendula, alla canfora. Ricordo vivissimo l’odore della trementina (tr‚-
b‚ntin•) con cui si massaggiavano le parti del corpo doloranti.
Nei tempi pi„ remoti si usava pure il grasso di marmotta ma l’uso • stato
abbandonato con il tempo per l’eccessiva puzza ma soprattutto per un
grave inconveniente cui si andava incontro: se ci fosse stata anche una
minima frattura impediva la calcificazione dell’osso.
Gli unguenti preparati con metodi casalinghi venivano conservati in bot-
tigliette di vetro scuro che si chiudevano quasi ermeticamente con tappi
di vetro smerigliato oppure in barattoli di ceramica come quelli della
fotografia e si tappavano con tappi di legno o di sughero. Spesso i barat-
toli erano riciclati, quelli fotografati ad esempio erano della Liebig, uno,
e della Cirio l’altro. Secondo me in origine contenevano estratti di carne.

17
Barattoli di ceramica in cui venivano conservati gli unguenti

In particolare con le foglie, e i fiori di calendula (carunh‚tt•) preparava-


no una pomata antinfiammatoria per la gola. Tritavano la parte vegetale
e la mescolavano con del grasso di maiale sciolto a bagnomaria. Lascia-
vano riposare il composto per due o tre giorni poi lo riscioglievano e lo
filtravano. La pomata ottenuta veniva spalmata su un cotone che si ap-
plicava sulla gola e si teneva fermo tutta la notte con un fazzoletto.
Ho sentito raccontare che anticamente, per far passare il mal di gola,
consigliavano di legarsi una calza intorno al collo prima di andare a letto
(una calza pulita o quella che indossavano? Forse era proprio
quest’ultima quella consigliata perch… era calda ma lasciamo perdere…)
Un ottimo antinfiammatorio era pure la canapa dell’idraulico (la rist•)
imbevuta di albume sbattuto (blon d’‹o) e applicata sulla parte doloran-
te, ad esempio alle ginocchia.

Durante i lavori agricoli o forestali spesso si era vittima di incidenti e ci


si feriva. Per eliminare gli ematomi o nelle cure post-traumatiche era uso
pestare del lardo rancido con prezzemolo o fiori e fogli di assenzio (for)
L’impiastro applicato sulla zona favoriva l’eliminazione del sangue fer-
mo e il riassorbimento dell’ematoma.
Le ferite erano trattate con la resina. In ogni casa si trovava un contenito-
re con della resina morbida (p‚gura). La si raccoglieva quando si taglia-
vano i cembri e gli abeti; colava spontaneamente e lentamente dai tron-
chi feriti o segati e la si raccoglieva in una lattina o in un barattolo. Bi-
sognava raccoglierne ogni anno perch… seccava e col tempo induriva. La
si applicava direttamente sulle ferite e si copriva con uno straccetto. A-

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veva un forte potere cicatrizzante e risolveva problemi di spine e di pus:
estraeva le spine che ritrovavi sullo straccio, ripuliva dal pus che si era
formato.
Se si trattava di piccole ferite perˆ, bastava l’applicazione di una foglia
di lapsana (giarin‚tta) per guarirle.

La resina che a volte scorreva lungo i tronchi dei cembri e solidificava in


perline era raccolta ed usata per combattere il mal di denti ma soprattutto
il mal d’orecchi.
Una perlina di resina solidificata (p‚r‚sin•), racchiusa in un batuffolo di
cotone e messa nell’orecchio faceva passare il male. Posso garantire io
stessa la veritƒ di quanto affermato perch… l’ho usata molto da piccola e
ancora oggigiorno mi curo cosŠ e ne ho un buon giovamento.
Un altro rimedio della mia infanzia per il mal d’orecchi era l’olio di ca-
momilla (ƒri ‘d canamillh•). Scaldavano in un cucchiaio sopra la fiam-
ma di una candela un poco di olio con un pizzico di camomilla. Bagna-
vano in quest’olio un batuffolo di cotone, lo appallottolavano e me lo
mettevano nell’orecchio. Ho sentito raccontare che per calmare il mal
d’orecchi nei neonati e nei bambini le mamme che allattavano strizzava-
no un goccio di latte materno direttamente nel padiglione auricolare.
Probabilmente il tepore del latte attutiva il male e lasciava addormentare
il bimbo.

Camomilla
(Matricaria camomilla)

Per il mal di denti usava, oltre alla p‚r‚sin•, anche metter loro sopra un
po’ di grappa, soprattutto se si trattava di un nervo scoperto. Il liquore
forte addormentava un po’ il male.
La resina solidificata, quella di abete bianco in particolare, chiamata bi-
giun era presa per bocca in caso di traumi interni. Era solamente difficile
da digerire.

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I bambini erano sottoposti ad una cura ricostituente: l’olio di fegato di
merluzzo. Un ottimo prodotto ma tutti quelli che sono stati costretti a
berlo ne ricordano ancora a distanza il terribile odore ed il disgustoso sa-
pore perch… il prodotto che all’epoca si trovava in commercio, era grez-
zo, scuro e spesso.

Non si conoscevano disturbi quali l’acetone e di alcuni malesseri veni-


vano accusati i parassiti intestinali che i piccoli prendevano con facilitƒ
viste le condizioni igieniche del passato. Per il timore che gli ossiuri (lu
vŒr) potessero risalire in gola e soffocare il bambino facevano indossare
loro una collana di spicchi d’aglio o applicavano un impacco di aglio pe-
stato con assenzio (un ‚mplatr‚ d’alh e ‘d for pit•) sulla pancia, proprio
sopra l’ombelico.

In caso di malattie esantematiche ma soprattutto durante il morbillo (lu


russen) si pensava che fosse opportuno far indossare all’ammalato abiti
di colore rosso per favorire lo sfogo e la fuoriuscita delle pustoline.

Ai bambini piccoli, durante il periodo della dentizione si davano pezzi di


radice di malva da succhiare e masticare. Il potere rinfrescante della
malva alleviava il fastidio delle gengive gonfie e doloranti.

In caso di pleurite ho visto ancora io applicare sulla schiena, con lo sco-


po di tirare fuori l’acqua che si forma tra il polmone e la pleura, le ven-
tose cio• dei barattolini di vetro in cui si incendiava un batuffolo di o-
vatta imbevuta di alcool (las ampulla). La fiammella bruciando
l’ossigeno all’interno della ventosa, creava un vuoto d’aria che attirava
l’umiditƒ dal corpo ed il vetro si appannava tutto.
Sono ricordi lontani ma di cose viste fare ancora negli anni cinquanta.

Da piccoli avevamo spesso male ad un occhio. Si trattava di un dolore


forte e fastidioso che prendeva all’improvviso. Ci dicevano che era un
cop d’er cio• un colpo d’aria. Penso fosse dovuto al freddo. E’ un di-
sturbo di cui non ho mai pi„ sentito parlare e che non ho mai pi„ avuto.
Lo curavano con mezzo uovo sodo caldo, privato del guscio e applicato
sull’occhio con un fazzoletto legato dietro il capo. Si andava a letto cosŠ,
acconciato come un pirata e l’indomani mattina era tutto passato….al
massimo si trovava l’uovo nel letto.
A proposito di occhi, gli orzaioli (lus arbir€) venivano guariti con l’olio
d’oliva (ori d’uriva) ma in un modo assai curioso: appena ti accorgevi
che si formavano dovevi guardare con l’occhio malato, per alcuni minu-
20
ti, nella bottiglia dell’olio. Non so per quanto tempo si dovesse fare ma
ricordo che era una cosa noiosa e presumo che fosse una cura piuttosto
lunga perch… io, che soffrivo spesso di questo disturbo, ero stufa di sen-
tirmi ricordare – Giuliana, la butta ‘d l’ori! (Giuliana, la bottiglia
dell’olio!)
In caso di congiuntiviti o bruciore agli occhi si usava lavarli con acqua
bollita e zucchero. Se si possedeva dell’eufrasia secca in casa, un bel de-
cotto era l’ideale per dei lavaggi.
Si facevano pure risciacqui antinfiammatori per le afte e le piccole ferite
in bocca con un decotto di malva (malva).
La malva, inoltre, con la pimpinella, l’equiseto e le bacche di rosa canina
(malv•, pimpinell•, erb• cavalin•, argurenz•) era un ottimo diuretico.
Dice un proverbio “La pimpinell• fai pisŽ fina las urelhi•” La pimpinel-
la fa urinare anche le orecchie. Ho sentito recitare lo stesso proverbio
con l’equiseto per soggetto.

Pimpinella
Per le verruche che si formavano soprattutto sulle mani, si usava un’erba
(l’erb• dla ver‹a, la celidonia) che cresceva sui muri a secco e il cui ste-
lo secerneva un succo vischioso e bianco-giallastro. Si ricoprivano le
verruche con questo liquido che, ripetendo l’operazione pi„ volte, le fa-
ceva seccare. Con lo stesso scopo e nella stessa maniera si usava il latte
ricco di colostro (lai b‚t) di una mucca che aveva appena partorito.

21
L’erb• dla ver‹a o celidonia (Chelidonium_majus)

La radice della genziana, il genepy e la salvia (razin• ‘d g‚nsan•, gene-


pin, salvi•) erano le erbe digestive per eccellenza. Con la radice della
genziana lutea (lu n•nu) si preparava un vino aromatizzato che aveva
anche il potere di dare tono e di stimolare l’appetito. Con il genepy in in-
fusione nell’alcool si faceva un ottimo liquore che si consumava puro
per il piacere di bere un liquorino ma con l’aggiunta di acqua calda o
versato sopra uno zuccherino era un ottimo digestivo.
Con la salvia si preparavano ottime tisane in caso di cattiva digestione:
salvia e limone; salvia e zucchero caramellato.
Si raccoglieva l’agarico (agarico), un fungo parassita del larice, per pre-
parare un beverone per risolvere le coliche dei cavalli. Era perˆ anche
usato in quantitƒ minime per uso umano: mettendone un pezzettino in
infusione in una bottiglia di grappa si otteneva un liquore che faceva di-
gerire ogni cosa.

Per le scottature ricordo di aver applicato sulle vesciche fette di patata


fredde e poi olio.
Spesso ci si scottava il viso con il sole sulla neve, allora il rimedio mi-
gliore era l’albume (blon d’‹o) sbattuto con acqua e passato sulla pelle
con una pezzuola vecchia di lino. Si ripeteva il trattamento pi„ volte, fi-
no a togliere tutto il rossore. In un secondo tempo si applicava olio di
iperico (milapart‹) che si preparava in casa ogni anno facendo macerare
dei fiori nell’olio di oliva.
Alle partorienti si consigliava di bere, durante l’ultimo mese di gravi-
danza, i semi di lino (grana ‘d lin) messi a bagno per una notte in una

22
tazzina di acqua. Si doveva bere tutto quell’insieme bavoso che si for-
mava (a linusa) e che era molto antinfiammatorio. Si pensi che lo stesso
trattamento si faceva con le mucche gravide.
Ricordo pure che la nonna preparava per le sue bestie l’arieton, un beve-
rone fortemente digestivo formato da acqua calda, la schiuma ricavata
dalla preparazione dell’estr•, la genziana, l’assenzio, il ginepro ed altre
erbe. (Per saperne di pi„ sull ’estr• vedi l’articolo di Marziano Di Maio
su Valados Usitanos N. 33)
Conservo tuttora in casa un attrezzo che mi ha sempre incuriosito: un
piccolo torchio. Ricordo che l’ho sempre guardato con diffidenza, anche
perch… lo collegavo a quanto la zia mi raccontava ed ero particolarmente
colpita dal disgusto che ancora le leggevo in viso quando ne parlava.
Lei era molto anemica ed era spesso sottoposta a cure (gira ancora per
casa una vecchissima scatolina di cartone con l’etichetta di un medicina-
le che le veniva somministrato. Era stata riutilizzata per gli aghi e le spo-
lette della macchina da cucire ) che probabilmente non bastavano o era-
no troppo costose, sta di fatto che le facevano bere degli estratti di fegato
crudo che erano preparati in casa utilizzando quel piccolo torchio. Ecco
perch… lo odiava tanto! Immagino il suo disgusto nel dover

Torchio per preparare estratti di fegato crudo


trangugiare quel preparato e capisco perch…, ancora dopo tanti anni , ne
conservasse un brutto ricordo.

23
Scatola con etichetta medicinale per la cura dell’anemia

Non mi dimentico mai, infine, di due preparazioni che non sono pro-
priamente dei medicamenti ma che non mancavano mai quando ero in-
fluenzata e sono ‘l vin fer• e ‘l lai ‘d pulla.
Il primo era un ottimo corroborante. Dava forza, energia ed era buonis-
simo. Si preparava con un bicchiere di buon vino in cui si spegneva un
ferro arroventato nella brace della stufa. Bisognava stare attenti a non
toccare il bicchiere che altrimenti si sarebbe spaccato. Il vino sfrigolava
e fumava liberando l’alcool. Alla fine un bel cucchiaio di zucchero lo
addolciva e si beveva ancora tiepido e profumato. Sapeva di frutta, di
uva appena colta, aveva un sapore dolce ed un po’ asprigno nello stesso
tempo. Era delizioso.
Il secondo era invece una vera ghiottoneria. La traduzione letteraria •
“latte di pollastrella”. Era una merenda o una colazione che si consuma-
va solo quando si era convalescenti e c’era bisogno di recuperare ener-
gie. Per prepararlo si sbatteva un tuorlo con lo zucchero fin quando di-
ventava ben spumoso; a questo punto si versava sopra, mescolando con
cura per evitare la cottura dell’uovo, del latte bollente. Il risultato era una
bella tazza di crema liquida in cui pucciare dei biscotti o una fetta di
ciambella. Era un vera leccornia ma anche una bomba energetica e veni-
va preparata proprio quando si aveva bisogno di una sferzata di energia,
di un surplus alimentare o dopo aver fatto una gran fatica. Veniva infatti
preparata anche alle donne che avevano partorito da poco. Ad esse era
solito somministrare pure una bella tazza di brodo di gallina.
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Gli uomini quando facevano lavori pesanti avevano bisogno di recupera-
re le loro forze allora usavano mangiare una zuppa di pane, vino e zuc-
chero. Mi ricordo che mio papƒ lo faceva con il moscato dopo aver fal-
ciato per molte ore. Era un vero toccasana: dissetava, rinfrescava e nu-
triva.
Durante i rigori dell’inverno invece era uso bere una tazza di brodo bol-
lente in cui si versava del vino. Era altamente energetica, dicevano che
scaldasse molto e ne avevano proprio bisogno. Si pensi ad esempio a
quando portavano a valle con gli slittoni la legna accumulata nel bosco o
a quando passavano lo spazzaneve con i cavalli.
A proposito di questi cavalli e muli, costretti a trascinare per tutta la not-
te lo slittone mentre nevicava (onde evitarne l’accumulo) che sudavano e
facevano una fatica tremenda… ebbene anch’essi avevano bisogno di un
corroborante, di qualcosa che li riconfortasse ed ecco allora cosa faceva-
no i loro padroni: versavano del vino in un secchio e vi immergevano del
pane secco. Quando era ben inzuppato lo davano alle bestie che lo face-
vano fuori in un momento. Ne erano ghiotte e forse…un po’ ubriache ri-
partivano con nuovo vigore per un altro giro di spazzaneve.
Non sono dei medicamenti questi ultimi che ho descritto ma ho voluto
comunque ricordarli qui perch… sono rimedi a situazioni di particolare
stress di fatica o di astenia. Oggi giorno ricorriamo a pillole, a vitamine,a
sali minerali, a barrette energetiche…nei tempi passati ci si ingegnava
con quel poco che c’era in casa a disposizione e mi sa che i risultati non
erano niente male almeno non si avevano gli effetti collaterali.
Concludo cosŠ la mia piccola ricerca sui rimedi e la medicina naturale in
uso fino ad una cinquantina di anni fa ma oggi quasi completamente di-
menticata. Invito chiunque abbia ancora notizie su antichi rimedi e prati-
che a contattarmi o a scrivere perch… non vada perso un vero patrimonio
dei nostri avi. La nostra rivista • aperta a tutti ed • ben contenta della
collaborazione di quanti vorranno contribuire a completare l’argomento.

25
Maria Rosso

FRISE:
IL CICLO DELLA VITA
E
IL CICLO DELL’ANNO

Pubblichiamo la prima parte del lavoro sul Ciclo della vita e


dell’anno e sulle Istituzioni comunitarie a Frise (comune di
Monterosso, Val Grana), ricavato dalla nostra collaboratrice Teresa
Durbano dalle interviste fatte alla madre, Maria Rosso, di cui
riportiamo un richiamo dei cenni biografici pubblicati nello scorso
numero. Al lavoro ha collaborato anche il padre di Teresa Durbano,
Durbano Giovanni Battista. Il questionario usato • quello – storico
in tutti i sensi – elaborato sul campo negli anni ’80 e pubblicato
all’inizio degli anni ’90 da Valados Usitanos, che aveva come
obiettivo la ricerca sistematica di testimonianze relative alle
Istituzioni Comunitarie (cio• gli aspetti piƒ significativi della vita
comunitaria delle Valli Occitane: ru€ides, panificazione, veglie, ciclo
della vita e dell’anno). Quanto si diceva allora – che queste
istituzioni comunitarie hanno comportato per secoli una
26
partecipazione collettiva alla vita del singolo, costituendo un
fondamentale elemento di coesione – • poi risultato vero nelle
ricerche successive: si pu„ dire anzi che senza questa coesione
interna le nostre popolazioni non avrebbero saputo sostenere la sfida
di un ambiente per tanti aspetti difficile e ostile. Il lavoro di Maria
Rosso (la seconda parte, sulle istituzioni comunitarie propriamente
dette: veglie, ru…ides e panificazione verr† pubblicata sul prossimo
numero di V. U.) rappresenta quindi un ulteriore, ricchissimo tassello
di questa indagine.
Rosso Maria Durbano Giovann Battista
nata il 18-2-1936 a Nizza (FR), Nato il 27-9-1928 in Borgata
poi tornata a 3 anni con i geni- Crusas, frazione di Frise, comune
tori in Borgata Daniel, frazione di San Pietro Monterosso (CN)
di Frise, comune di (accorpato al comune di
Monterosso Grana (CN) - Monterosso Grana l’anno
Valle Grana successivo).
Sposati nel giugno del 1955 – Prima figlia nata nel 1957, seconda
figlia nata nel 1961.

La grafia usata
Dall’analisi degli etnotesti in occitano che le autrici hanno allegato alle
risposte del questionario risulta che le loro preferenze grafiche vanno in
direzione della grafia mistraliana (con qualche incoerenza). Questa grafia •
quasi ‘istituzionale’ in Valle Grana (e a Monterosso in particolare…). D’altra
parte il dialetto di questa valle, privo com’• delle vocali palatalizzate €, •
(grattacapo costante delle grafie occitane), si presta bene a questa
‘mistralizzazione’ senza deviare molto da una grafia piƒ fonematica. I suddetti
etnotesti sono stati quindi corretti seguendo le norme della grafia mistraliana,
che viene qui sotto riportata.

ch c palatale come in "ciliegia"


sh sc(i) italiana
ƒ s aspra
ce s „
ci s „
…, † e, o toniche chiuse
…, ‡ e, o toniche aperte
gue, gui ghe, ghi
gn come in "gnomo"
j g palatale come in "fagiano"
27
lh l palatale come in "paglia"
ou u italiana
que che „
qui chi „
quou cu „
s s dolce come in “rosa”. Ma … s aspra se preceduta da
consonante
ss s aspra
u u francese
z s dolce
h non ha valore fonetico: indica iato derivato (in genere ma
non sempre) da caduta di l palatale

Accento tonico
Cade sull'ultima sillba nelle parole terminanti con consonante diversa dalla s
del plurale, ma:
a, i, u sono toniche se in fine di parola

Accento grafico
Indica un'alterazione della naturale tonicit†, ma:
Šu, …u, €u corrispondono a Šou, …ou, €ou ecc. della grafia Escolo
‹u, ‡u d†u Po

IL CICLO DELLA VITA


Nel caso in cui non ci sia un ricordo diretto dei testimoni ma si tratti
di fatti raccontati da persone piƒ anziane, • stato scritto nella
risposta.

LA NASCITA E IL BATTESIMO. L'INFANZIA

1.1.1._Voti e pellegrinaggi della futura madre


Non ricordo ci fossero voti o si facessero pellegrinaggi.

1.1.2. C'erano incontri che la futura madre doveva evitare (ad


esempio le vedove dell'anno...)? Si credeva invece che certi
incontri portassero fortuna?
Non c’erano divieti nei confronti di altre persone. La futura
madre non doveva incontrare un serpente perch€ altrimenti il
28
bambino poteva nascere con la “forma” del serpente sul corpo, in
particolare intorno al collo.
Non doveva appoggiarsi la pagnotta grossa di pane fatto in
casa sulla pancia per tagliarlo perch€ Il bambino sarebbe potuto
nascere col naso schiacciato.

1.1.3. Si ricordano formule destinate a favorire alla madre il


parto o al bambino la salute e la fortuna?
Non ricordo formule in questo senso.

1.1.4. Le spose sterili invocavano qualche santo o seguivano


pratiche particolari per diventare feconde?
Si andava in pellegrinaggio a S. Anna di Vinadio, sia per
chiedere di poter avere il bambino, sia per ringraziare quando era
nato.

1.1.5. Dove e con l'assistenza di chi avveniva il parto‘?


Il parto avveniva nella casa dei genitori del bambino, (che poi
in genere era la casa dei genitori del marito), nella stalla se era
inverno o un periodo ancora freddo, nella camera se era estate o
comunque un periodo piΠcaldo.
L’assistenza era prestata da donne esperte “del settore”, anche
di un’altra borgata.

1.1.6. Presagi per il neonato (ad esempio in rapporto al giorno


della nascita......).
Non ho ricordi in merito.

1.1.7. Con quali rintocchi di campana era annunciata la nascita?


Non ricordo che si suonassero le campane per la nascita di un
bambino.

1.1.8. Visita alla puerpera; regali.


Si portava qualcosa al bambino appena nato (una fascia, un
bavagliolo, una maglietta) e un po’ di caff… alla mamma.

1.1.9. Quanto tempo restava a letto?


La mamma rimaneva a letto per sette-otto giorni.

29
1.1.10. Che aiuti riceveva dalle donne del paese?
Se la donna che aveva appena partorito aveva solo il marito e
non c’erano altre donne in casa che la potessero aiutare, le donne
della borgata l’aiutavano un po’ a lavare i panni.

1.1.11. Il vitto riservato alla puerpera.


Il vitto della puerpera consisteva in: riso al latte, tajarin al
latte, “panado” (latte, acqua e un po’ di panna, fatti bollire con
l’aggiunta di pane raffermo e, se c’erano, dei pezzi di grissino) perch€
si diceva che questi alimenti facessero venire il latte.

1.1.12. Da che cosa erano ricavate le fasce del bambino (dalle


camicie della madre.....)?
Si compravano le fasce gi‹ pronte, c’era solo piŒ da mettere i
legacci da un lato (fatto a punta) e fare l’orlo dall’altro.

1.1.13. Con quali argomenti era giustificata la fasciatura stretta


del bambino.
Si diceva che la fasciatura stretta del bambino servisse per far
crescere i bambini belli diritti, con le gambine ben dritte. Si faceva
attenzione che fossero ben aperte e stirate anche le manine, che
venivano pure chiuse nelle fasce. La mia seconda bambina, nata nel
1961 gi‹ in ospedale a Caraglio, era stata fasciata lasciando le manine
fuori dalle fasce.

1.1.14. Divieto imposto alla puerpera di lasciare la casa prima


della purificazione.
Si poteva uscire, non c’erano divieti.

1.1.15. La cerimonia della purificazione.


A quei tempi c’era messa tutte le mattine, per cui dopo circa
un mese dal parto, una mattina qualsiasi la nuova mamma andava a
messa per avere la benedizione.

1.1.16. Fino a quale et„ si protraeva l'allattamento?


Se la mamma aveva latte, l’allattamento del bambino si
protraeva anche per due-tre anni.

30
1.1.17. Divieti diretti ad assicurare la crescita del bambino (di
tagliargli le unghie prima di un anno...).
Non mi pare ci fossero divieti.

1.1.18. Chi sceglieva il nome del bambino e con quali criteri?


Il nome del bambino era scelto dai genitori, ma erano
comunque “obbligati” a mettere il nome rispettando il seguente
ordine:
1• figlio maschio: nome del nonno paterno
1a figlia femmina: nome della nonna paterna
2• figlio maschio: nome del nonno materno
2 a figlia femmina: nome della nonna materna
3• figlio maschio: nome dello zio (fratello piŒ vecchio del
padre del bambino)
3 a figlia femmina: nome della zia (sorella piΠvecchia del
padre del bambino). In seguito, i nomi di padrino e madrina.

1.1.19. Il battesimo avveniva in quale data?


Se il bambino stava bene, il battesimo avveniva possibilmente
entro 8 giorni dalla nascita.
Mi … stato raccontato che se invece si vedeva che il bambino
non stava bene il battesimo si faceva appena possibile, dal parroco, e
se invece la sua vita era in pericolo, veniva battezzato subito da una
donna della famiglia o da una conoscente.

1.1.20. La scelta del padrino e della madrina.


Anche per la scelta di padrino e madrina c’erano vie
“obbligate”:
1• figlio: padrino e madrina erano parenti del padre (quasi
sempre i nonni del bambino)
2• figlio: padrino e madrina erano parenti della madre (di
nuovo i nonni del bambino).
Successivamente non c’erano piŒ regole, se nascevano tanti
bambini e non c’erano parenti a sufficienza, si chiedeva ai vicini di
casa.

1.1.21. Si credeva che il bambino avrebbe somigliato al padrino o


alla madrina.
No, non ricordo che si dicesse qualcosa di simile.
31
1.1.22. Da chi era portato in chiesa per il battesimo? In quale
ordine si svolgeva il corteo?
In genere al battesimo c’erano solo padrino, madrina e pap‹
del bambino, la mamma stava a casa.
Si battezzava in genere subito dopo la messa: finita la funzione
la gente usciva di chiesa, intanto erano arrivati padrino, madrina, pap‹
e bambino. Il parroco andava a riceverli sulla porta della chiesa e li
accompagnava al fonte battesimale. Chi aveva partecipato alla messa
e voleva assistere al battesimo, rientrava in chiesa, ma non c’erano
cortei e nemmeno ordini per l’ingresso in chiesa.

1.1.23. Il bambino era avvolto nello scialle o velo usati dalla


madre per il matrimonio?
Il bambino aveva il suo “lani” personale, in genere bianco
sopra e con la fodera del lato inferiore azzurra se maschietto, rosa se
femminuccia. Non si usava il velo da sposa della mamma.

1.1.24. Che cuffia aveva? Dei nastri? Differenze fra i sessi


nell'abbigliamento.
Il bambino aveva una cuffia, in genere bianca, sia per i maschi
che per le femmine.
Era fasciato e avvolto nel “lani”, che si passava in famiglia da
un bambino all’altro.

1.1.25. Il battesimo era accompagnato da spari?


No, non si usava sparare per il battesimo.

1.1.26. Getto di confetti ai bambini dopo la cerimonia.


Non vigeva neppure l’uso di gettare confetti ai bambini dopo
la cerimonia.

1.1.27. Si faceva una festa dopo il battesimo? Chi vi partecipava?


Dopo il battesimo si faceva una specie di rinfresco al momento
del rientro a casa, con padrino e madrina (si stappava una bottiglia di
vino bianco con qualche biscotto).
Non si facevano pranzi.

32
1.1.28. Bambini morti senza battesimo. Venivano portati in
qualche cappella miracolosa?
Non ricordo personalmente altri luoghi per la sepoltura di
bambini senza battesimo al di fuori del cimitero, dove c’era un angolo
riservato ai bambini.
Per‡ ricordo di aver letto da qualche parte che li portavano in
un luogo vicino alla cappella di Madonna della Neve, vicino a
Monterosso Grana.
1.1.29. Amuleti per proteggere i bambini dalle malattie e
dal malocchio.
Per proteggere i bambini si cuciva una medaglietta con
l’immagine della Madonna o di qualche Santo sulla canottierina.

1.1.30. Le malattie dei bambini: terapie praticate.


Per “lou roussari” (il morbillo): si avvolgeva il bambino in
qualcosa di rosso (un panno, una copertina) perch€, si diceva, cosŠ il
morbillo “veniva bene fuori”.
Per la “tussesnino” (pertosse): si dava da bere al bambino
latte di asina, oppure, se era estate, la rugiada raccolta sulla falce col
taglio dell’erba la mattina di san Giovanni, oppure l’acqua della
rugiada che rimane nelle foglie rotonde delle “coup…te” (alchemilla
vulgaris), oppure ancora l’acqua dove si era fatta bollire una talpa.
Per i “verm” (vermi intestinali dei bambini): si pelavano
alcuni spicchi d’aglio, si infilavano su un filo per farne una collana
che si metteva al collo del bambino.

1.1.31. C'erano guaritrici nel paese o nei paesi vicini?


C’erano alcune donne che sapevano “segnare” i vermi e il
fuoco.

1.1.32. Per quali malattie si ricorreva a loro?


Si andava da loro per far segnare i vermi ai bambini oppure il
fuoco se si scottavano.

1.1.33. Terapie popolari per bruciature, orzaiuoli, verruche,


morsicature di serpi...
Per morsicatura di serpi: si andava dal prete per “far togliere
il veleno”.

33
Per orzaiuoli: si ricorreva a persone che li “segnavano” (?):
toglievano un capello alla persona che aveva l’orzaiuolo, poi con quel
capello facevano un nodo davanti all’occhio da guarire.
Verruche: si sfregava un po’ la verruca, poi si metteva sopra
il lattice della celidonia (Chelidonium majus).
Bruciature: si metteva un po’ di patata grattugiata o si
passava sopra un po’ di olio.

1.1.34. Ninnenanne.
1 -Dalin dalan
Dalin dalan
i € mort en chan
ent’al € mort
dareire d’l’ort
qui l’ei que lou piouro
l’ei Jan d’la Mouro
qui l’ei que lou grigno
l’ei Jan d’la vigno
qui l’ei que lou manjo
l’ei Jan d’la Granjo.

2 – Boutin trevin
Boutin trevin
lou pr€ire di Martin
a begu tout lou vin
al paure pichoutin.
Lou pichoutin al € toumba
la souo mam‹ i l’a lev‹
tra la la la la la.

1.1.35. Giochi di bambini e ragazzi.


1.1.36. Filastrocche per contarsi nei giochi.
Le bambine giocavano con bambole di pezza, per‡ giocavano
sovente anche alle biglie o con altri giochi dei maschi.
I maschi giocavano con le biglie, con bocce in legno piccole,
“tiro-bale” costruiti da loro in legno di sambuco, con la fionda, con i
“pal…t” (piccoli pezzi di ardesia, si giocava piŒ o meno come alle
bocce) .

34
Si giocava a “mosca cieca” (si diceva proprio in italiano!), a
nascondino, a “caranto, barbo bianco” .
Per quest’ultimo gioco:
Un bambino prescelto si appoggiava ad un muro con un
braccio davanti agli occhi per non vedere gli altri bambini che
andavano a nascondersi. Contava fino a 40, poi diceva forte in modo
che sentissero tutti i bambini “caranto, barbo bianco!” Da quel
momento cominciava a cercarli. Se mentre ne cercava uno, un altro
riusciva ad arrivare al muro dove lui aveva “contato”, li liberava tutti,
per cui toccava di nuovo allo stesso bambino contare. Continuava
cosŠ fino a quando li trovava tutti.

1.1.37. Altre filastrocche: in particolare quelle rivolte alla linfa


per fabbricare fischietti e alla coccinella per farla volare.
Filastrocca per la linfa dei fischietti:
Savadin savadolo,
DŠu te salve e la Madono
………………..
………………..

Filastrocca per far volare la coccinella:


Catalino volo volo,
la touo maire i-€ ana a scolo,
lou tŠu paire e ana a Turin
e al te chato en bel par€i de stivalin.

1.1.38. Indovinelli.
Non ne ricordo che avessero risposte attinenti ai bambini.

1.1.39. A partire da quale et„ i bambini assumevano


responsabilit„ di lavoro?
I bambini assumevano responsabilit‹ di lavoro a partite dai sei
Рsette anni: guardavano i fratellini piΠpiccoli, andavano al pascolo
con capre e pecore, davano da mangiare ai conigli, alle galline e
aiutavano gi‹ un po’ in campagna a girare il fieno.

1.1.40. La scuola.
Si finiva la scuola con la 5• elementare (parlo della scuola in
montagna, dove l’ho frequentata io).
35
La scuola era sempre multiclasse, in tempi piΠremoti con una
sola maestra per 40/50 bambini, quindi con doppi turni.
Ultimamente c’erano due maestre: una per le classi 1•- 2• e 3• e
l’altra per le classi 4• e 5•.
Come punizioni si davano bacchettate sulle dita ai ragazzi
discoli, con le “vers…le” (giovani rametti di nocciolo), fatti portare
appositamente dai bambini stessi.
Si veviva messi in ginocchio dietro la lavagna. Chi non
riusciva per esempio a fare un problema, doveva rimanere in classe
per risolverlo dopo l’uscita degli altri compagni per andare a pranzo.
Si faceva ginnastica sulla piazzetta della chiesa una volta a
settimana.
In inverno tutte le mattine i bambini dovevano portare a scuola un bel
pezzo di legno da mettere nella stufa per riscaldare il locale, se uno
non si ricordava di portarlo una mattina, la mattina successiva doveva
portare due pezzi.
Nelle gite scolastiche si andava a trovare la maestra e gli
alunni di una scuola nella frazione di un altro vallone, (es. S. Lucia,
Scaletta), ma sempre a piedi, prendendo tutte le scorciatoie. In genere
si portava pranzo al sacco e si ritornava nel pomeriggio. (Ricordo che
una volta siamo andati a Scaletta, quel giorno era previsto il rientro
per pranzo, ma si … messo a piovere per cui ci siamo dovuti fermare
piΠdel previsto a Scaletta. Tornando ci siamo ancora presi un bel
temporale attraversando prati e boschi, siamo arrivati a casa alle 16,
bagnati fradici e senza pranzo perch€ non era previsto il temporale e
neppure di rimanere fuori cosŠ tanto tempo. Dulcis in fundo, bella
lavata di capo a casa perch€ i genitori non erano stati avvertiti della
gita…….)
Quando nevicava si faticava ad andare a scuola, cadeva
sempre molta neve, facevano un sentierino in mezzo alla strada con le
pale nella neve, ai lati c’era un muro di neve di un metro, un metro e
mezzo. La neve restava attaccata sotto gli zoccoli, si camminava male
ed eravamo sempre con i piedi bagnati.
La primavera quando cominciavano i lavori nei campi, ci
facevano stare sovente a casa per aiutare, specialmente ci facevano
andare al pascolo e allora …ciao scuola.
Del periodo della guerra 1940-45 ricordo che erano gli anni
1942 e 1943, frequentavo la 1• e la 2• elementare, anche se eravamo
in montagna, a 1200 mt. s.l.m. la guerra era arrivata anche lassŒ.
36
I tedeschi salivano, sovente si sentiva sparare nel fondovalle,
la maestra ci faceva stare in classe, ma io ero talmente spaventata di
quei colpi di fucile e mitraglie (avevo visto case che bruciavano,
sparavano ai cani, alle galline) che proprio non volevo stare in classe.
Allora mia mamma, quando sentiva i colpi di fucile rimbombare a
valle, mi veniva a prendere e mi portava a casa. Una di quelle volte
mio pap‹ era stato preso come ostaggio dai tedeschi a Caraglio.
Avrebbe dovuto stare solo quattro giorni, ma dopo i quattro giorni
non riusciva a tornare al Daniel (borgata di Frise) perch€ c’erano i
tedeschi per la strada e io che avevo solo 6 o 7 anni pensavo che lo
avessero ucciso.


LA GIOVENTˆ. IL FIDANZAMENTO E IL MATRIMONIO

1.2.1. A quale et„ si entrava a far parte della giovent‰?


Si cominciava a far parte della gioventŒ verso i 15-16 anni, per‡
per le ragazze c’era poca libert‹, di sera non ci lasciavano uscire da
sole. Anche solo per andare a vegliare in un’altra borgata dove
c’erano altre ragazze e ragazzi, ci accompagnava qualche mamma o
zia o vicina di casa.
I ragazzi invece erano piΠliberi, uscivano in gruppi, sempre alla
ricerca di qualche marachella da combinare: nascondevano gli attrezzi
agricoli in casolari abbandonati o sugli alberi. Nel momento in cui il
proprietario ne aveva bisogno, non li trovava piŒ.
Facevano scherzi alle ragazze, nascondevano la biancheria intima
trovata stesa fuori, poi quando erano stufi di gironzolare si
avvicinavano a qualche stalla dove c’erano ragazze che vegliavano ed
entravano a vegliare pure loro.
D’estate quando c’erano le feste patronali, oppure alla domenica,
si ballava nella sala dell’unica osteria di Frise; c’erano due o tre
ragazzi che sapevano suonare un p‡ la fisarmonica e ci si divertiva
cosŠ, eravamo molto contenti, cantavamo anche molte canzoni.
37
1.2.2. L'ingresso nella giovent‰ era in qualche modo ritualizzato?
No

1.2.3. C'era un'organizzazione della giovent‰? I giovani


eleggevano un capo?
Non c’era organizzazione della gioventŒ e nemmeno un capo, ma
c’erano sempre i soliti furbetti che si inventavano qualche marachella
e andavano a trovare qualche ragazza fuori vallata.

1.2.4. La giovent‰ si limitava ad organizzare i divertimenti


oppure svolgeva anche funzioni assistenziali?
La gioventΠorganizzava, in occasione delle feste, qualche gioco,
come il tiro alla fune o la rottura delle pignatte.
Per esempio la sera dell’Epifania (la sera del 5 gennaio) si
radunavano tutti assieme ragazzi e ragazze: si scrivevano tanti
bigliettini, ognuno col nome di una ragazza del paese e altri col nome
dei ragazzi. Poi si piegavano tenendoli divisi e si sorteggiava un
biglietto da una parte (fra quelli col nome delle ragazze) e uno
dall’altra (fra quelli col nome dei ragazzi). Su questi biglietti si
scrivevano anche il nome di qualche vedovo o vedova, delle zitelle,
dei barboni. Tirando a sorte un biglietto per parte quindi si formavano
coppie molto improbabili: una bella ragazza con un vedovo, un
barbone oppure un bel ragazzo di 20 anni con una vedova o una
zitella di 70 anni. Il tutto ci faceva ridere a crepapelle.
Poi la mattina dell’Epifania, durante la Messa qualcuno si
prendeva la briga di buttare fuori dalla chiesa, per terra, tanti biglietti
con sopra gi‹ scritte le coppie formatesi la sera prima durante
l’estrazione. La gente usciva da Messa (allora c’erano tante persone),
raccoglieva i biglietti e leggevano le coppie tutti insieme con grandi
risate da parte di tutti.
Di funzioni assistenziali non ricordo molto, ma c’era sempre
qualche ragazzo o ragazza che aiutava a volte gli anziani per qualche
lavoretto.

1.2.5. I balli; frequenza, luogo e suonatori.


I balli a Frise si facevano piuttosto d’estate, alla domenica
pomeriggio o sera, all’osteria del paese. I suonatori erano quasi
38
sempre quei due o tre ragazzi del paese che sapevano suonare un po’
la fisarmonica. I balli piΠfrequentati erano quelli dei giorni delle feste
patronali, sempre all’unica osteria del paese, ma in quell’occasione i
proprietari facevano venire i suonatori da fuori, sovente quelli di
Bernezzo, con fisarmonica e clarinetto. Si andava anche a ballare,
sempre in occasione delle fese patronali, a Santa Lucia di Monterosso
e a Pradleves.

1.2.6. Atteggiamento dell'autorit„ religiosa verso il ballo.


Le autorit‹ religiose erano poco propensi al ballo, il parroco
guardava un po’ di traverso le ragazze.
Ho sentito raccontare che a S. Lucia una volta il parroco non
aveva lasciato installare un ballo pubblico in piazza, poco lontano
dalla chiesa per la festa di S. Lucia a settembre. I preti allora erano
molto severi e noi ragazze li temevamo molto.

1.2.7. Chi presiedeva il ballo?


Il ballo non era presieduto da nessuno.

1.2.8. Il pagamento del suonatore.


Il suonatore veniva pagato dai proprietari del locale (osteria) ma
solo per le feste patronali, quando lo/li facevano arrivare da fuori
paese.
Le altre domeniche di ballo, ogni tanto qualche ragazzo passava a
fare la colletta (…) per il suonatore e ci accontentavamo cosŠ.

1.2.9. Ci si ricorda di suonatori ambulanti (in particolare, di


suonatori che facevano ballare la marmotta)?
Non c’erano suonatori ambulanti e neppure suonatori che
facevano ballare la marmotta.

1.2.10. Rapporti e conflitti fra la giovent‰ del paese e quella dei


paesi vicini.
I ragazzi di una vallata non volevano che i ragazzi di un’altra
vallata venissero a trovare e corteggiare le ragazze del loro paese, per
paura che poi si sposassero e andassero ad abitare via, e loro
restavano a bocca asciutta.
Ad un mio cugino di Frise piaceva una ragazza di Scaletta: una
sera … andato a trovarla, quando verso mezzanotte … uscito per tornare
39
a casa e’ stato bombardato di pietre dai ragazzi di quella borgata. Si …
preso paura, … tornato indietro dalla ragazza che era andato a trovare
ed e’ rimasto lŠ fino al mattino seguente, tornando a casa solo all’alba.

1.2.11. Endogamia: ci si sposava all'interno della frazione? della


parrocchia o del comune?
Ci si sposava in genere all’interno della frazione e delle borgate
vicine (e di conseguenza nella stessa parrocchia). Poche volte fuori
dal comune. Di solito si sposavano sempre nella parrocchia della
sposa, pochissime volte andavano fuori comune.
Ho sentito raccontare tante volte dagli anziani del paese che se
una ragazza si sposava con un ragazzo di un’altra parrocchia, doveva
pagare alla parrocchia che abbandonava gi‹ mezza sepoltura.

1.2.12. Le ragazze facevano pellegrinaggi o voti per trovare


marito?
Generalmente no, ma ricordo una ragazza del mio paese che
aveva il fidanzato conosciuto in Francia.
Iniziata la guerra del 40-45 lei … ritornata al paese. Tutto il
periodo della guerra non si sono piΠpotuti vedere e sentire.
Finita la guerra lei ha deciso di andare in pellegrinaggio a S.
Anna di Vinadio se per caso l’avesse incontrato.
Sant’Anna l’avr‹ aiutata, ma si sono proprio incontrati lŠ, con
grande festa. Poco dopo si sono sposati, sono andati ad abitare in
Francia e non sono piΠtornati al paese.

1.2.13. Dove avveniva generalmente il corteggiamento (durante la


veglia.....)?
Di solito i ragazzi si trovavano d’inverno a vegliare nelle stalle ,
ma poi si incontravano anche alla domenica dopo la messa, o al ballo.
Oppure si incontravano per strada andando a fare la spesa perch€
c’erano 4- 5 km da fare a piedi per arrivare al negozio.

1.2.14. La giovent‰ faceva la "brenado“ o “purr„" (traccia di


segatura o sabbia) quando scopriva che due giovani si
frequentavano?
No

40
1.2.15. C'erano mediatori che organizzavano i matrimoni?
I mediatori non c’erano , ma nelle famiglie si faceva attenzione
che sia da una parte che dall’altra fossero bravi ragazzi, non ubriaconi
o violenti i ragazzi e brave massaie le ragazze, capaci a filare, cucire,
fare maglia e cucinare. In piΠlavorare tanto in campagna.

1.2.16. C’erano formule rituali di accettazione o di rifiuto ("a


m'as…tou dapŠ de vous........")?
Quando un ragazzo voleva avvicinarsi ad una ragazza per
corteggiarla, le si accostava dicendole “me fas ‘c‹ en pau de post
dap… de tu?” (mi fai anche un po’ di posto vicino a te?). E cosi
cominciava la chiacchierata, se tutto filava liscio si continuava.
Questo per‡ accadeva se erano in veglia in qualche stalla.

1.2.17. Periodo preferito per i matrimoni; ci si sposava anche nel


mese di maggio?
Il periodo per i matrimoni era in genere la primavera o l’estate.
Assolutamente non ci si sposava mai nel periodo di quaresima.

1.2.18. Che ruolo avevano i genitori nella scelta del partner?


A quanto ricordo, i genitori nella scelta del partner non avevano
alcun ruolo. Al massimo davano il loro consiglio.

1.2.19. L'accordo fra lo sposo e la famiglia della sposa veniva in


qualche modo ritualizzato?
No

1.2.20. Come avveniva il fidanzamento ("frumaies“)?


Non c’erano feste di fidanzamento, ma dal momento in cui i
ragazzi decidevano di sposarsi erano piΠdisinvolti a lasciarsi vedere
in giro insieme.

1.2.21. I fidanzati offrivano regali ai parenti? Quali?


No

1.2.22. I fidanzati si scambiavano delle arre (somme di denaro o


oggetti di valore)?
Nel periodo di fidanzamento i fidanzati non si scambiavano nulla
perch€ mancavano sempre i soldi.
41
Quando poi decidevano di sposarsi e andavano a comprare le
fedi, lo sposo comprava anche qualcosa alla sposa (orologio da polso,
o catenina d’oro, oppure gli orecchini, ma non tutti se lo potevano
permettere, sempre per motivi economici).

1.2.23. Dove si faceva il pranzo di fidanzamento?


Il pranzo di fidanzamento non si faceva, al massimo si andava a
casa dello sposo a prendere un caff… con qualche biscotto con i
genitori e fratelli degli sposi.

1.2.24. Si ballava in quell'occasione?


No, non si ballava.

1.2.25. Quante pubblicazioni si facevano?


Le pubblicazioni si facevano in municipio, poi in chiesa durante
le messe, mi pare per tre domeniche consecutive.
1.2.26. I fidanzati rendevano visita alle tombe delle due famiglie?
In quale occasione?
No

1.2.27. 1 fidanzati si vedevano sovente? Di nascosto?


I fidanzati si vedevano abbastanza sovente: se era d’inverno si
trovavano nelle stalle in veglia con altra gente, oppure alla domenica
di solito dopo la messa per scambiare due parole.
Tante volte anche di nascosto, in particolar modo nella bella
stagione, quando si andava a ballare, per poter accompagnare la
ragazza a casa e poter scambiare un bacio.

1.2.28. Offrivano una colazione d'addio ai giovani e alle ragazze


del paese?
No, non si offrivano colazioni d’addio. Al massimo il ragazzo
offriva una volta da bere agli amici.

1.2.29. Se uno dei due fidanzati lasciava l'altro, che iniziative


prendeva la giovent‰?
Se uno dei due fidanzati lasciava l’altro, la gioventŒ non
prendeva iniziative. Ma c’era sempre qualche burlone che li prendeva
in giro, quasi ne godesse, dicendo “…eh, vi siete lasciati eh?”

42
1.2.30. Se si sposava la pi‰ giovane di due sorelle, l'altra era
oggetto di qualche scherzo?
SŠ, se si sposava la piŒ giovane di due sorelle, come pure tra
fratelli, il giorno del matrimonio, mentre erano seduti a tavola per il
pranzo, portavano al fratello o alla sorella maggiore una bella capra.
Si diceva “i a chata lou bouc!” (gli ha comprato il caprone).

1.2.31. C'era un incontro ritualizzato fra la nuora e la suocera?


No

1.2.32. Come si vestivano gli sposi? Chi vestiva la sposa?


Gli sposi si vestivano sempre di scuro, nero o blu scuro. Era
consuetudine che lo sposo pagasse lui il vestito della sposa. Invece la
sposa comprava per lo sposo le calze e la cravatta.

1.2.33. La casa degli sposi era decorata con fiori, fronde...?


Quasi sempre per non dire sempre, gli sposi andavano ad abitare
nella famiglia dello sposo, con suoceri, fratelli e sorelle dello sposo.
Perci‡ la casa non era decorata, tutt’al piŒ preparavano per gli
sposi una camera pulita, con letto e armadio.
Sempre se avevano delle camere, ma sovente non c’erano e allora
si dormiva sul fienile.

1.2.34. Qual era l'ordine del corteo nuziale all'andata e al


ritorno?
Sia all’andata che al ritorno non c’era un ordine per il corteo
nuziale.

1.2.35. Si faceva la barriera alla sposa che lasciava il paese?


No

1.2.36. C’era l'usanza di rapire e nascondere la sposa?


No

1.2.37. Regali agli sposi o degli sposi ai parenti.


Agli sposi regalavano quasi sempre biancheria, di rado un
servizio di tazzine da caff… o una caffettiera o sei bicchierini da
liquore.

43
Siccome si andava ad abitare in casa dei suoceri, non si
regalavano molti servizi .
Invece gli sposi regalavano un grembiule alle zie ed una cravatta
agli zii.

1.2.38. Che ruolo svolgeva la giovent‰ durante la cerimonia?


La gioventΠdurante la cerimonia non svolgeva ruoli particolari,
assisteva semplicemente alla messa.

1.2.39. La composizione e il trasporto del fardello.


Ho sentito raccontare da mia suocera (nata in una borgata di Frise
nel 1894) che in tempi piΠremoti la sposa si preparava un bel fardello
con lenzuola, federe, asciugamani, e camicie per lei, tutto fatto a
mano con tela di casa che facevano tessere con la canapa.
Ogni pezzo che la sposa preparava aveva le iniziali del suo nome
e cognome ricamate.
Ho sempre sentito raccontare che la sposa doveva pure portarsi a
casa dello sposo “lou gardarobo” (l’armadio, Il guardaroba) per
mettere dentro il suo fardello.

1.2.40. Si stipulava un contratto di matrimonio davanti al notaio?


No
1.2.41. Si redigeva un elenco dei beni componenti il fardello? Che
denominazione aveva?
No

1.2.42. Scherzi agli sposi.


Si facevano diversi scherzi agli sposi specialmente se gli amici
riuscivano a recuperare la chiave della camera. Facevano il sacco con
le lenzuola del letto, mettevano nel letto zucchero per farli grattare e
anche qualche formica, se era il periodo in cui non erano interrate.

1.2.43. Dove aveva luogo il pranzo di nozze? Che cosa si


mangiava?
Il pranzo di nozze si faceva sempre a casa dello sposo, ma era
abitudine che il mattino del matrimonio , prima della messa per gli
sposi che era sempre verso le 11, lo sposo con tutti i suoi parenti e
quelli della sposa, andasse a casa della sposa verso le 8,30 – 9 per

44
mangiare e bere gi‹ quasi come se fosse un vero pranzo. Poi si andava
tutti assieme alla messa, dopo messa a casa dello sposo per pranzo.
A quanto ricordo io si mangiava gi‹ bene: antipasto preparato in
casa, uova ripiene, gi‹ qualche fettina di salame, poi ravioli, coniglio.
Sempre tutta roba genuina cucinata in casa. Al massimo facevano
preparare una torta dal panettiere.

1.2.44. Dopo, si ballava? Chi apriva il ballo?


No, non si ballava, la gioventΠscherzava, si tirava qualche
petardo, cantavano. Qualche bambino recitava magari una poesia agli
sposi, mancava sempre lo spazio per ballare e sovente anche i
suonatori.

1.2.45. Il matrimonio dei vedovi.


Non ricordo matrimoni di vedovi.

1.2.46. Durante la cerimonia, lo sposo cercava di mettere il


ginocchio sul grembiule della sposa?
No

1.2.47. Era previsto un incontro ritualizzato della sposa con la


suocera?
No

1.2.48. Dopo mezzanotte, i giovani cercavano gli sposi e offrivano


allo sposo vino caldo?
Non offrivano vino caldo allo sposo, ma se la camera degli sposi
era a pianterreno orecchiavano molto volentieri.

1.2.49. La domenica successiva al matrimonio, si faceva "arn‹s"?


Non ricordo nulla in merito.

1.2.50. Dopo alcuni giorni passati con lo sposo, la sposa tornava a


casa per trascorrervi un breve periodo?
No

1.2.51. Se lo sposo, sposandosi, lasciava il suo paese per andare ad


abitare in quello della sposa, doveva offrire, qui, un nuovo
pranzo?
45
No

1.2.52. Il marito che riceveva percosse dalla moglie veniva


pubblicamente deriso?
Dicevano che era un “bad„gou” (*), che si lasciava comandare
dalla moglie. Dicevano anche “uro qu’„l „ laissa pourtar i braie a
la fremo, quiel isto quiet” (adesso che ha lasciato portare i pantaloni
alla moglie lui sta zitto). Qualcun lo derideva anche pubblicamente.

**************************

(*) Il “bad„gou” da noi … il Colchicum autumnale (colchico


d’autunno).


LA MORTE

1.3.1. Presagi di morte.


Le persone erano molto preoccupate se sentivano cantare la
civetta durante la notte nelle vicinanze di casa, dicevano che sentiva
la morte di qualche familiare.
Oppure se c’era da fare il funerale di qualcuno della famiglia, non
avrebbero voluto celebrarlo di venerdŠ perch€ dicevano che sentiva la
morte di qualche altro familiare.

1.3.2. Da chi … vestito il morto? Con quali abiti? (un tempo era
sepolto in un lenzuolo cucito?)
Di solito il morto era vestito da parenti o vicini di casa, se era una
donna la vestivano donne, se uomo erano gli uomini a vestirlo. Se era
una persona sposata la vestivano con i vestiti da sposo o sposa , se era
nubile o celibe sempre con i vestiti piΠbelli che avevano.
Ho sentito raccontare dagli anziani che tanto tempo fa attorno al
morto veniva avvolto solo un lenzuolo.

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1.3.3. Che cosa si fa dei vecchi vestiti del morto?
Dei vestiti del morto, la roba ancora bella si dava ai parenti ,
fratello o sorella del defunto.
La chiamavano la “despueio”, il resto veniva poi dato ai poveri.
Infatti quando moriva qualcuno, c’era gi‹ sempre qualche povero che
passava a chiedere qualche vestito del defunto per mettersi addosso.

1.3.4. Come … addobbata la camera dove c'… il morto?


La camera dove c’era il morto non era molto addobbata. Al
massimo c’era un vaso di fiori, due candele accese e, se c’era uno
specchio, per piccolo che fosse, o veniva tolto o veniva coperto con
un panno. D’inverno quasi sempre i morti erano tenuti nella stalla.

1.3.5. Il lutto delle persone in rapporto alla parentela.


Il lutto delle persone era abbastanza lungo, se morivano i
genitori, due anni. Il primo anno le donne andavano vestite di nero e
gli uomini con una fascetta nera attorno al braccio, attaccata alla
manica della giacca. Il secondo anno le donne andavano vestite di
grigio o comunque con roba scura. Invece per fratelli, sorelle o zii il
lutto era per sei mesi – un anno, sempre vestiti di scuro.

1.3.6. Il lutto degli animali (si tolgono i campanelli ai cani, anche


l‘alveare porta il lutto.......)
Per quanto riguarda il lutto agli animali, si toglievano tutti i
campanacci alle mucche, se era periodo in cui andavano al pascolo.

1.3.7. Si accende il fuoco mentre il morto … in casa?


SŠ, si accendeva il fuoco.

1.3.8. Che cosa si mette in mano al morto?”


In mano al morto si metteva la corona del rosario e un piccolo
crocifisso sulle mani giunte.

1.3.9. La morte … annunciata con le campane? Con rintocchi


differenziati per uomo e donna?
Il giorno prima del funerale si suonava “la pass‹”, con rintocchi
differenziati. Se il defunto era un uomo, si suonavano i primi 9
rintocchi con la campana piΠgrande, se invece era una donna si

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suonavano i primi 9 rintocchi con la campana piccola. Poi si
continuava con entrambe le campane.

1.3.10. Chi partecipa alla veglia funebre? Di che cosa si parla


durante la veglia?
Dopo il rosario, che si recitava in casa del morto, i parenti e i
vicini di casa che vi avevano partecipato si fermavano un po’ a
vegliare il morto, poi rimanevano solo i familiari.
Si parlava un po’ di tutto, dal tempo al lavoro.

1.3.11. Da chi … visitato il morto? Che cosa fanno i visitatori?


Il morto era visitato innanzitutto dal dottore, poi andavano i
parenti, i vicini di casa, la gente del paese. I visitatori si fermavano
magari a pregare un momento, incoraggiando i parenti.
Si fermavano poi per molto piΠtempo dopo il rosario.

1.3.12. Chi fabbricava la cassa? Di che legno e con quali assi?


Come era retribuito?
In paese c’era quasi sempre qualcuno che si intendeva un po’ di
falegnameria per cui si chiedeva a queste persone di fabbricare la
cassa. Se i parenti del morto avevano assi, le portavano, in caso
contrario provvedeva il falegname. Le assi erano in genere di “albro”
(pioppo). Veniva retribuito in contanti.

1.3.13. Esisteva una confraternita dei penitenti? Che ruolo


svolgeva in occasione dei funerali?
No, non c’erano confraternite.

1.3.14. Da chi … scavata la fossa? Chi … che mette il morto nella


cassa?
I parenti del morto chiamavano due uomini giovani e robusti per
scavare la fossa, parenti oppure
uomini del paese. Ma se era d’inverno e la terra era gelata, era
difficile, allora il Comune l’autunno mandava qualcuno a preparare
gi‹ una o due fosse, per averle in caso di morti durante l’inverno,
quando non si sarebbe potuto scavare.

1.3.15- Si faceva una “duna”, cena offerta ai poveri?


Non si offrivano cene ai poveri.
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1.3.16. Si regalava qualcosa ai figliocci del morto?
No

1.3.17. Si regalava un pane al parroco?


No

1.3.18. Se il morto (o la morta) era celibe (o nubile), i giovani del


corteo funebre ricevevano in dono un nastro blu?
No

1.3.19. Chi portava la cassa?


Siccome le borgate erano abbastanza lontane dalla chiesa, per
portare la cassa chiamavano sempre sei uomini, in modo da potersi
dare il cambio lungo il tragitto. Chiamavano sempre giovani robusti,
vicini di casa o del paese. Se era d’inverno le strade erano brutte e
strette per cui certe volte facevano molta fatica.

1.3.20. Che percorso si seguiva?


Dalla casa del morto si andava alla chiesa, si assisteva alla Messa
funebre, poi si andava al cimitero.

1.3.21 Come era composto (e in quale ordine) il corteo funebre?


Le donne vi partecipavano?
Il corteo funebre era composto nel seguente modo:
per prime le bambine dette le “Agnesine”, con in testa il velo
bianco. La prima della fila portava una croce.
Seguivano le ragazze della “CompagnŠa delle figlie di Maria”
vestite col “c„mus” bianco e nastro azzurro alla vita, un medaglione
appeso al collo sempre con un nastro azzurro. Anche queste
portavano una croce. Seguivano poi le donne sposate, sempre con il
“c‹mus” , ma giallo.
In seguito il parroco con i chierichetti, gli uomini che portavano
la cassa del defunto, i parenti del morto, qualche uomo della
“CompagnŠa del Sacro Cuore”, anche loro con un “c‹mus” bianco,
pure loro portavano una croce. Infine tutte le altre persone intervenute
al funerale.

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Frise: processione per San Bartolomeo anni 60
In primo piano “figlie di Maria” (col “cƒmus” bianco) e donne
sposate (con “cƒmus” giallo, in secondo piano).

1.3.22. Al funerale c'erano donne che piangevano a pagamento?


No.

1.3.23. Le persone di diversa confessione (protestanti, ebrei...) in


che modo partecipavano alla funzione funebre?
Non c’erano ebrei o protestanti al paese.

1.3.24. D'inverno, si conservava il cadavere nel sottotetto?


No, non si conservava il cadavere nel sottotetto. Se proprio non si
poteva fare il funerale il giorno stabilito perch€ c’era troppa neve, si
spostava al giorno successivo, per avere il tempo di aprire le strade.
Ma quando ero piccola ricordo di aver sentito raccontare che
tanto tempo prima, quando non c’era ancora il cimitero a Frise e
portavano tutti i morti al cimitero di San Pietro Monterosso, era
successo che per la troppa neve non avevano potuto fare il funerale
per tre – quattro giorni, allora avevano portato la cassa del morto in
chiesa.

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1.3.25. Il funerale dei bambini. Chi portava la cassa?
Al funerale dei bambini la cassa la portavano sempre quattro
bambini se era un maschio, oppure quattro bambine se era una
femmina. Mi ricordo bene di aver portato due piccole bare quando ero
bambina.

1.3.26. Funerale e sepoltura dei suicidi.


Non ricordo funerali diversi dagli altri per i suicidi.

Cimitero di Frise 2014: vecchie tombe.

1.3.27. La collocazione della tomba al cimitero era stabilita in


base a quali criteri? C'erano posizioni pi‰ ambite?
Siccome il cimitero di Frise … piccolo, la gente se … possibile
cerca sempre di mettere i propri cari vicini, ma non sempre … fattibile.
Allora lo mettono al posto di un altro parente morto piŒ di trenta –
quaranta anni prima.

1.3.28. Che forma aveva la tomba?

La tomba una volta aveva solo una croce, oppure una ardesia
un po’ squadrata con sopra inciso nome, cognome, data di nascita e
morte del defunto.
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1.3.29. Si credeva che la prima notte il morto tornasse a dormire
nel suo letto? No.

1.3.30. Dopo il funerale si faceva il bucato?


SŠ, dopo il funerale si faceva sempre il bucato e, se possibile,
sempre prima che ci fosse la celebrazione della messa di settima.

1.3.3I. Si bruciava il letto o la paglia del letto del defunto?


Non si bruciava il letto del defunto e neppure la paglia dove c’era
stato il morto.
La paglia veniva usata per la lettiera delle mucche, poi si metteva
paglia pulita nel letto.

1.3.32. Al bucato partecipavano i vicini o i parenti?


Il bucato lo facevano sempre i familiari, ma se ci fosse stata una
donna sola a farlo, c’era sempre qualche parente che la aiutava.

1.3.33. Si credeva che, in seguito, il morto tornasse in casa e


lasciasse qualche segno della sua presenza?
No.

1.3.34. Si credeva che il morto sollecitasse in qualche modo la


celebrazione di messe o altri adempimenti?
Avevo sentito raccontare mi pare da mia suocera ( Frise - classe
1894) che se uno sognava spesso una persona che se ne era andata,
era perch€ aveva bisogno di messe di suffragio.

LE FESTE (Il ciclo dell’anno)


2.1. In che cosa si distingueva l'abbigliamento - soprattutto quello
femminile - della festa?
Nei giorni di festa e cio… la domenica, ma in special modo per
Natale, Pasqua e le feste patronali, la gente indossava sempre i
vestiti piŒ belli. Gli uomini “la vestimento” (il vestito) piŒ bello,
le donne gli abiti migliori che avevano.
Non si usava la gonna e maglia sopra, ma sempre un vestito
intero e di colore sempre scuro.
52
2.2. Il divieto di lavorare nel giorno festivo era rispettato? Questo
divieto riguardava soltanto i lavori agricoli o anche quelli
artigianali? Si riferiva anche alle royde? In che modo era
sanzionato (riprova-zione pubblica.....)?
Il divieto di lavorare nei giorni di festa era abbastanza rispettato,
specialmente se erano lavori agricoli non urgenti, ma se era
tempo della fienagione e minacciava di piovere, si andava lo
stesso a togliere il fieno. Lavori artigianali (nel senso di artigiani)
da noi a Frise non ce n’erano.

2.3. Lo spazio all'interno della chiesa (o del tempio), durante le


funzioni, secondo quali criteri veniva occupato (le donne a
destra,..... i vecchi nel coro...)?
Nella nostre chiesette di montagna durante le funzioni le donne
occupavano i banchi a destra e gli uomini a sinistra. C’… ancora un
po’ adesso quell’abitudine, specialmente a Frise e S. Lucia.
Il coro era presente nella chiesa di San Pietro Monterosso, ma io
non lo ricordo.

2.4. Accadeva che pi‰ famiglie consumassero insieme il pranzo


della domenica o di altro giorno festivo?
Si usava consumare il pranzo insieme, ma solo per le feste
patronali e sempre tra parenti.

2.5. Accadeva che la domenica o altra festa si invitasse a pranzo


un povero del paese? Oppure il parroco?
Se per esempio ci fosse stata una persona sola nella borgata, c’era
sempre qualche vicino che la invitava a pranzo per Natale o per le
feste patronali. Non ricordo che il prete fosse invitato.

2.6. Quali erano le occupazioni tradizionali del pomeriggio della


domenica?
Nel pomeriggio della domenica, se era d’inverno, si andava
magari in un’altra borgata a trovare qualche parente o amici.

2.7. A capodanno i bambini facevano la questua di casa in casa?


Con quale formula auguravano buon anno?

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I bambini andavano ad augurare Buon Anno a padrino o madrina,
sapendo che avrebbero ricevuto probabilmente in dono il “ciciu”,
un “ometto” fatto fare dal panettiere con pasta delle brioches.

2.8. Si traeva un pronostico dalla prima persona incontrata?


Bisognava abbracciarla?
Si diceva che il primo giorno dell’anno se una donna incontrava
come prima persona un uomo, portava fortuna, cosŠ per un uomo
che avesse visto per prima un a donna. Ma la persona incontrata
non veniva abbracciata.

2.9. Altre tradizioni legate al capodanno (decorazione di


fontane.....)
Non c’erano altre tradizioni per il capodanno.

2.10. Si cucinava un dolce con la fava dentro?


Si cucinava la pasta fresca fatta a mano: tajarin, lasagne, gnocchi.
Non c’era l’usanza di cucinare il dolce con dentro la fava.

2.11. All'Epifania le ragazze traevano pronostici sul loro


matrimonio? In che modo?
Andavano a leggere i bigliettini tirati a sorte la sera prima,
vegliando nelle stalle con gli altri ragazzi e ragazze, per vedere
con chi erano state accoppiate. (vedere la risposta alla domanda
1.2.4. La gioventƒ si limitava ad organizzare i divertimenti
oppure svolgeva anche funzioni assistenziali?)

2.12. Festa di Sant’Antonio (benedizione degli animali?)


Per la festa di S. Antonio, chi poteva scendeva a Caraglio dove
veniva impartita la benedizione agli animali (tradizione che si
mantiene tuttora) e veniva distribuito sale benedetto da portare a
casa.

2.13. 1Œ febbraio (S.Orso): proverbi relativi al lupo o all‘orso.


Per S. Orso la gente era molto attenta al tempo di quel giorno in
quanto il proverbio dice “Se l’ours so‰leio la paio la fai brut
caranto journ e n’esmano” (se a S. Orso c’… il sole, fa brutto
per quaranta giorni e una settimana).

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2.14. La Candelora: le virt‰ del cero benedetto
Il giorno della Candelora (2 febbraio) si andava a messa per
ritirare il cero benedetto e appenderlo in casa.
Il giorno successivo, S. Biagio, si andava in Chiesa per “fasse
sbiais„r”, cio… farsi benedire la gola per prevenire il mal di
gola. Il prete metteva due ceri accesi incrociati sotto la gola
della persona e recitava una formula apposita.

2.15. Il Carnevale: le maschere e la questua di casa in casa. In che


giorno?
Nel periodo del Carnevale tanti ragazzi del paese si vestivano
con maschere che si erano confezionati loro e passavano in tutte
le borgate a farsi vedere, facendo un gran chiasso.
Alla fine del Carnevale passavano una sera a raccogliere le uova
che la gente dava loro, le portavano a vendere e col ricavato si
facevano una cena all’ osteria il martedŠ grasso.

2.16. I personaggi del carnevale: arlecchino, quaresima..?


I personaggi del Carnevale erano: gli sposi, gli zoppi, la
vecchietta, il gatto, il prete.
Ma tutti erano vestiti con abiti vecchi, maschere costruite con
pelli di coniglio o pelli di gatto, carta pesta. Nulla di comperato.
Ma giravano solo quando era ormai notte, la sera dopo cena.

2.17. Andavano anche nei paesi vicini?


Non andavano nei paesi vicini, ma giravano in tutte le borgate
di Frise, che sono una quindicina, ormai mezze disabitate.

2.18. La sera del marted• grasso si faceva un fal‹? Dove?


La sera del martedŠ grasso non si faceva il fal‡, solo una festa
dove tutte le maschere cenavano insieme.

2.19. Si bruciava un pupazzo?


No.

2.20. Durante il fal‹ che cosa si cantava (ad•u paure carnaval....)?


No.

2.21. 1 giovani scavalcavano il fuoco? PerchŠ?


55
No.

2.22. Si ballava?
No.

2.23. Durante il carnevale, i bambini giravano per il paese con


trecce di paglia accese? In che giorno?
Durante il carnevale i bambini qualche volta si mettevano
d’accordo anche loro di passare a fare le maschere, ma
passavano di giorno, nelle tre Рquattro borgate piΠvicine.

2.24. C'era qualche festa durante la quaresima?


Durante la quaresima c’erano le funzioni della settimana santa e
tutti i venerdŠ il Via Crucis.

2.25. Domenica delle Palme: di che legno … il ramo benedetto?


Che cosa gli appendevano i bambini?
Adesso la domenica delle Palme i preti provvedono loro a
portare in chiesa rami di ulivo.
Ma da quanto ricordo, fin da quando ero piccola, si portavano a
benedire rami di “bŒiss” (bosso).
I rami dei bambini erano legati a volte con un bel fiocco.

2.26. La settimana santa: il silenzio delle campane (dove sono


andate?)
La settimana Santa le campane restavano in silenzio.

2.27. Strumenti usati per annunciare le funzioni. Da chi?


Per annunciare le funzioni nel periodo che le campane restavano
mute, come strumento avevano un’asse, tipo un piccolo
“tabi‹t” (troccola? tanavella?) con una maniglia su un lato che
serviva per tenerlo (vedi foto).
Sulle due facce dell’asse erano incernierate due maniglie di
ferro mobili. Tenendo l’asse per la maniglia e scuotendolo in
senso rotatorio avanti e indietro, le maniglie battevano sopra
l’asse, facendo uno strano rumore. In questo modo la gente
sentiva che era ora di andare alle funzioni.
Certo che non si poteva sentire dalle borgate piΠlontane.

56
Erano i chierichetti che usavano quel marchingegno per
suonare, sul piazzale davanti alla chiesa …e si divertivano un
sacco a farlo sbattere!

Tabi†t

2.28. Funzioni del gioved• santo. Alla funzione il sacerdote lavava


i piedi a 12 bambini? C'era una distribuzione di pane?
No.

2.29. Le uova del venerd• santo avevano qualche virt‰?


No.

2.30. Tradizioni legate al luned• di Pasqua.


Non ricordo.

57
2.31. In che giorno aveva luogo la benedizione delle case? Con
quale rito?
Per la benedizione delle case il sacerdote iniziava sempre la
settimana dopo Pasqua, ma siccome tutte le borgate erano
abitate, in un solo giorno non riusciva a passare da tutti,
impiegava anche due o tre giorni. E questo perch€ in ogni
famiglia andava a benedire tutte le camere, la cucina, la stalla, il
fienile. CosŠ impiegava molto tempo.

2.32. Le Rogazioni. Si svolgevano delle processioni? Con quale


percorso? Quali altre processioni avevano luogo nel corso
dell'anno?
Per le Rogazioni si facevano processioni per tre mattine di
seguito, in tre luoghi diversi nella campagna, ma sempre
dirigendosi dove c’erano (e ci sono ancora) dei piloni.
Nel corso dell’anno si svolgevano altre processioni in occasione
di:
Corpus Domini, San Giovanni Battista, San Bartolomeo, 8
settembre, festa della Nativit‹ di Maria Vergine, detta la
processione delle figlie di Maria.

2.33. Esisteva la tradizione di piantare delle croci di legno nei


campi in uno dei primi giorni di maggio?
Non si piantavano croci nel mese di maggio, ma la domenica
delle Palme mandavano noi bambini a e piantare un ramo di
ulivo (che poi era bosso) benedetto in tutti i campi seminati di
grano, segale, patate, per proteggerli dalla grandine.
Davano pure a tutti gli animali (mucche , capre, pecore, asini)
un rametto di bosso benedetto da mangiare per proteggerli dalle
malattie.

2.34. Le feste del IΠmaggio: l'albero piantato sulla piazza


No.

2.35. San Giovanni: il fal‹ (c'era l'usanza di far passare le bestie


sulla cenere del fal‹?) Le virt‰ terapeutiche della rugiada
del mattino di San Giovanni, i regali ai pastori. C’era una
gara a chi arrivava per primo sull‘ alpeggio?
58
La rugiada del mattino di san Giovanni veniva raccolta per darla
a bambini con la pertosse, dicevano la facesse passare.
Non facevano passare le bestie sulla cenere del fal‡. Non
c’erano gare a chi arrivava prima all’alpeggio.

2.36. Al termine della fienagione o della mietitura c'era una festa?


No.

2.37. Una festa simile si faceva anche al termine della costruzione


di una casa?
Terminata di costruire una casa, si faceva un piccolo pranzo, tra
muratori e proprietari della casa costruita. Tanti facevano solo
una bicchierata.

2.38. C'era un rito particolare per il momento in cui si mietevano


le ultime spighe di un campo?
No.

2.39. C'era una festa per il ritorno dall'alpeggio?


No.

2.40. Credenze e riti legati al giorno dei morti.


Il giorno dei morti se si poteva si andava a messa al mattino, poi
magari ancora una visita al cimitero, ma non ricordo riti o
credenze legati al giorno dei morti.
Invece il giorno di Ognissanti era usanza far cuocere castagne,
“barote” o “mundai” e minestrone di verdura a cena.

2.41. Natale: la cena si faceva prima o dopo la messa di


mezzanotte? Che cosa si mangiava?
Aspettando la messa di mezzanotte sovente si andava a vegliare
da qualche vicino o parente, ma non si facevano cene. Ci
offrivano magari un pugno di castagne cotte o portavano una
cesta di mele rachitiche del posto, ma genuine.

2.42. C'… il ricordo di una recita dei pastori durante la messa di


mezzanotte? O di altre recite eseguite in diversa occasione?
Mi ricordo che quando ero bambina ed avevo 7/8 anni una mia
cugina mi aveva portata a S. Lucia di Monterosso a vedere una
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recita di pastori durante la messa dell’Epifania. Era la prima
volta che la facevano, mi era molto piaciuta e c’era tanta gente.

2.43. Riti legati al ceppo di Natale: le virt‰ del ceppo.


Non ricordo nulla in proposito.

2.44. E‘ vero che gli animali della stalla si inginocchiavano


durante la messa di mezzanotte?
Mai visto o sentito dire.

2.45. La festa patronale.


La festa patronale di Frise … quella di San Giovanni Battista, poi
si festeggiano anche San Bartolomeo e sant’Agata che sono
compatroni.

2.46. La festa per l'uccisione del maiale.


Non ricordo che una volta a Frise la gente tenesse maiali. Solo
adesso due famiglie ne tengono uno ad uso familiare, ma
nessuna festa per l’uccisione.

2.47. La festa al termine della vendemmia.


Non c’erano nel vallone e non ci sono tuttora viti e quindi
vendemmie.

2.48. La festa di particolari categorie di lavoratori: carrettieri,


tessitori....
Non c’erano feste di questo tipo.

2.49. Pellegrinaggi per invocare la pioggia o la fertilit„ delle


terre.....
Non c’erano pellegrinaggi per invocare pioggia, fertilit‹ ecc….

2.50. Si ricordano pellegrinaggi a fontane che si credevano dotate


di particolari virt‰ terapeutiche?
No.

2.51. Feste presso cappelle campestri.


Presso le cappelle campestri c’erano:

60
- tra il comune di Monterosso Grana e il comune di Valgrana si
festeggiava la Madonna della Neve.
- l’8 settembre la festa della madonna della Valle in un’altra
Cappella.
- a S. Lucia, alla borgata Tech Bosc c’… una piccola cappella
dedicata alla Madonna di Fatima. Ogni anno il 13 maggio fanno
una piccola festa, rosario e benedizione.
Dalla parte di Pradleves c’erano pure due o tre cappelle dove
facevano le feste:
- la cappella di San Giuseppe alla borgata Riosecco.
- la Cappella di Madonna degli Angeli.
- la cappella di san Grato alla borgata Pentenera.
A Frise c’era una piccola cappella vicino alla borgata Moundin,
mi pare che fosse la cappella di San Costanzo, adesso … tutta
diroccata, per‡ la sua piccola campana che veniva suonata per la
festa e per allontanare fulmini e grandine quando minacciava
temporale, l’hanno portata sul campanile della parrocchia di
Frise.

Indovinello:

Na fremo c’a mac na dent


i fai courre touto la gent

(una signora con un solo dente fa correre tutta la gente)

Risposta: la campana, quando suona la messa.

61
ADIU PAURE CARNAVAI... .
(una bozza di Questionario per l'inchiesta sul Carnevale)

1.1 Le maschere e la questua di casa in casa: in quali giorni si


facevano?
Al nostro paese (Frise) non si faceva la questua in denaro, ma era
abitudine passare una sera dell’ultima settimana di carnevale a
raccogliere delle uova in tutte le borgate per poi venderle e col
ricavato le maschere si facevano una cena.

1.2 Quanti erano i personaggi del Carnevale? (l'Arlecchino, la


Quaresima, gli Sposi, i Gendarmi, i fratelli)
I personaggi del carnevale erano: gli Sposi, il Prete, la Quaresima, i
vecchietti zoppicanti col bastone.

1.2.1 Esisteva il personaggio dell'Orso? Cosa faceva? Cosa


significava? Come era abbigliato?
Non esisteva il personaggio dell’Orso.

1.2.2 Come erano vestiti i vari personaggi?


I vari personaggi erano sempre vestiti di indumenti gi‹ molto usati.

1.2.3 Di che colore era il vestito dell'Arlecchino anticamente?


Quando si Š iniziato a fargli indossare l'abito a losanghe
multicolori?
Non c’era alcun personaggio che rappresentasse l’Arlecchino.

1.2.4 Accanto al personaggio dell'Orso c'era anche il Domatore (o


figura equivalente)?
Non essendoci l’Orso non c’era neppure il Domatore.

1.3 I protagonisti del Carnevale erano esclusivamente uomini,


anche se dovevano interpretare ruoli femminili (ad esempio la
Sposa, la Quaresima)?
Si, i protagonisti del Carnevale erano solo uomini, anche se
interpretavano ruoli femminili.

62
1.3.1 Quali erano i ruoli dei diversi personaggi? Cosa facevano?
La Quaresima era tutta vestita di nero, il Prete fingeva di sposare gli
sposi: si costruivano loro le maschere, con pelli di coniglio, di gatto,
di pecora, ma quelle pelli a volte puzzavano. Era un Carnevale
povero.

1.3.2 Nel secondo dopoguerra hanno cominciato a prendervi


parte anche le donne?
No

1.4 Il Carnevale rimaneva in paese o andava anche nei paesi


vicini? -
IL Carnevale rimaneva sempre in paese, siccome allora c’era tanta
gioventΠfacevano anche due squadre, quella degli adulti e quella dei
piΠgiovani (14-15 anni).

1.5 La sera del marted• grasso si faceva un fal‹? Dove?


Non si faceva il fal‡, ma baldoria tutti insieme.

1.5.1 Durante il fal‹ si cantava qualcosa (tipo "adiu paure


carnaval...)?
No

1.5.2 I giovani saltavano scavalcando il fuoco? PerchŠ?


No

1.5.3 Veniva poi bruciato un pupazzo? Come si chiamava? Come


era confezionato?
No

1.6 Si ballava? Quando? Dove? Cosa si ballava?


Si ballava, tra maschere, nelle stalle, da una famiglia all’altra. Se
c’erano ragazze presenti, le maschere le facevano ballare magari al
suono di un’armonica a bocca.

1.6.1 Da dove venivano i suonatori? Quali strumenti suonavano?


Non c’erano suonatori che venivano da altri paesi. Le maschere del
paese suonavano armonica a bocca e talvolta la fisarmonica.

63
1.7 Durante il Carnevale i bambini giravano per il paese con
trecce di paglia accese? Quando? PerchŠ?
Durante il Carnevale, in qualche borgata c’erano i bambini che
giravano di giorno, anche loro vestiti con le maschere.

1.8 Si teneva un processo, si leggeva una sentenza di condanna del


Carnevale (o di qualche altro personaggio)?
No

1.8.1 La sentenza toccava scherzosamente tutti (poteva toccar


tutti) o escludeva qualcuno (ad esempio i nobili, i benestanti, il
clero)?
No

1.8.2 Si conserva il testo (i testi) di qualche sentenza? In quale


lingua venivano scritte le sentenze (patou„, francese, misto
patou„-francese, italiano...)?
No

1.8.3 Il processo finiva con la condanna o con l'assoluzione?


No

1.8.4 Se l'eventuale condanna riguardava uno dei personaggi del


Carnevale, questi veniva "ucciso" o graziato?
No

1.8.5 Il carnevale finiva con l‘abbruciamento del Carnevale (di un


pupazzo) dopo la sentenza?
No

1.9 C'era poi qualche festa durante la Quaresima?


No

1.10 Esistono riproduzioni fotografiche di qualche carnevale?A


quando risalgono?
No

64
Fausto Giuliano

BOVES
MANERE ‘D D• (modi di dire popolari)
(3€ parte)

(- segue - continua dai numeri precedenti…. )

lettera I / Y
y € b•t€’ na cunsa : ci ha messo una pezza, si • salvato, si • ripreso e sta
nuovamente bene
y € 'd cumarsi : c’• del commercio, c'• casino, c’• confusione
y € dau dƒ a la n„t : c’• dal giorno alla notte, • completamente diverso, la
situazione • completamente diversa, • tutta un'altra storia
y € gnanca Barabich che p€sa : non c’• neanche il Diavolo che passa, •
un brutto posto, difficilmente accessibile
y € gn•gn che ‘s p€re.... ! : non c’• nessuno che ci salvi, non c’• scampo,
non c’• nessuno che ci ripari, • inutile • cosƒ (ad es. una cosa
inevitabile come la morte)
y € gn•gn sant che tene.... ! : non c’• Santo che tenga, • inutile, • cosƒ
y € ‘n b†i (‘n batib†i) : c’• un frastuono, c’• rumore, c’• una confusione
assordante

65
y € p€’ 'd temperive ? : non ha mica delle temperive? 1, non ci sono mica
dei figli in arrivo?
y € p€’ gn‡nte che br•za : non c'• niente che brucia, non c’• alcuna fretta
y € gi„ et... : c’• gioco che, c’• la possibilit„ di, pu… capitare che…
y € u post 'd virˆ mund e pais ! : • possibile/si pu‚ girare mondo e paese,
si pu… girare il mondo e non trovarne l'eguale, • raro, • una
cosa unica
y €s pl‡ t•ti ! : li hai pelati tutti, li hai sotterrati tutti, sei stato l’ultimo della
tua leva ancora in vita….
y ‡gn arnaus€’ u b‰u : gli hanno rialzato il “b„u”,2 gli hanno dato la
libert„, • cresciuto ed • ormai grande (detto dei ragazzi
quando arrivavano ai 14-15 anni di et„)
y era da pi€se la tripa en magn : c’era da prendersi la pancia in mano,
c’era proprio da sbellicarsi dalle risate
y ‡ gn‡nt gnanca la pagheises.... : non c’• neanche la pagassi, si dice di
oggetto (o persona) che si • perduto e non si riesce pi† a
trovare da nessuna parte
y ‡ gn‡nt nƒ bianch nƒ ner! : non c’• n† bianco n† nero, non si trova in
nessun modo, non c'• pi†, • sparito
y endar‰a gi€’ fin chƒ y ‡ 'd gambe....! : andrei gi‡ fin che ho gambe, me
ne andrei, fuggirei lontano fin tanto che le gambe mi portano

Y endar„a giˆ’ fin ch† y • 'd gambe

1
variet„ di castagne
2
il b‰u • una sorta di gabbia metallica sotto cui si riponeva la chioccia con i pulcini e
per evitare che fossero predati
66
y endar‰a 'n pocc 'd pis gi€ri vidu : ci vorrebbe un po’ di piscio di topo
vedovo, si dice di un malato che • difficile guarire, che •
sempre malato nonostante le cure che si fanno, spesso un
malato immaginario
y endar‰a en pocc ‘d puwre ‘d sacocia: ci vorrebbe un po’ di polvere di
tasca, per curare le piaghe prodotte dal freddo alle dita delle
mani di chi lavora in inverno sarebbe sufficiente un po’ di
polvere di tasca, cio• stare senza far niente, senza lavorare,
con le mani in tasca… in tal modo si sarebbe sicuri di
guarire!
y era gi•st u r‡ smaravi€’ : c’era solo il re meravigliato, essere in estrema
povert„, in miseria
y ‡ pas€’ Sant Andreia... s€s cˆ f€’ S. Andreia? T’esc•rsa l’•z‡l et l€sa
l’ideia ! : • passato S.Andrea…. sai cosa fa S.Andrea? Ti
accorcia l’uccello e ti lascia l’idea!, frase scherzosa dai
risvolti sessuali
y ‡ pƒ p€’ mas€’ gn•gn : non ho poi mica ucciso nessuno, non ho
commesso poi una cosa cosƒ grave, non sar„ mica la fine del
mondo anche se ho fatto uno sbaglio… oppure, modo di dire
riferito alla grande mole di lavoro che uno si trova a dover
svolgere
y ‡ p‰ gn•gn f€tu : non c’• nessun fato, niente pu… pi† opporsi, non c'• pi†
nulla da fare
y ‡ sampe encu-p‰ da fˆ che ‘d lˆ fat : c’• sempre piŠ da fare di quanto c’•
di fatto, c’• moltissimo da fare....
y escumƒt lˆ sich-s‰e : scommetto qualunque cosa, sono disposto a
scommetterci qualunque cosa tanto ne sono sicuro
y est•d‰u 'd n„t per f€le de dƒ : le studiano di notte per farle di giorno, una
ne studiano cento ne fanno, sono delle vere pesti, ne
combinano di tutti i colori
y isteise 'd ghiza sƒ! : stessi di ghisa qui, restassi secco sul posto se non •
la pura verit„
i batar‰a la testa en na m•r€ia! : batterei la testa in un muro, sono cosƒ
disperato che batterei la testa in un muro
i b•tar‰a la magn su f„.... : ci metterei la mano sul fuoco, sono pronto a
scommettere qualunque cosa sull'autenticit„ di quanto
affermo
i casar‰a f„....! : gli caccerei fuoco, si dice di qualcosa o qualcuno che si ha
in odio
i ciames ? : le chiedi?, te le vuoi prendere ? stai cercando le botte?
67
i ciam p‰ gn‡nte d’aut a NusgnŠ : non chiedo piŠ niente d’altro al Signore,
sono contento di ci… che ho, della grazia che mi • stata fatta
i crezeise (y escuteise) la vulent€’ : se credessi (se ascoltassi) la volont‡,
ascoltassi quello che sento probabilmente ti distruggerei, ti
insegnerei ci… che • giusto con le giuste maniere (cio• in
modo violento)
i dar‰a la vita per due sord : darei la vita per due soldi, sono disposto a
tutto pur di ottenere la tal cosa, la vita non vale pi† nulla per
me se non ottengo la tal cosa
i dar‰a u c†r e l’€nima : darei il cuore e l’anima, darei tutto quello che ho,
farei qualunque cosa per aiutarti e renderti felice
i f€s cunt : ci faccio conto, spero che sia cosƒ, lo spero davvero, confido in
questo
i fuma u post a l'auta che c€la.... : facciamo il posto all’altra che scende,
modo di dire usato quando si spala neve e si prevede che ne
cadr„ ancora altra

I fuma u post a l'auta che cˆla

i giuar‰a i b€le.... : ci scommetterei le palle, sono pronto a scommettere


qualunque cosa sulla veridicit„ di quanto affermo
ignurant m‹ n’esc€rpa : ignorante come una scarpa, rozzo, poco
comprensivo ed intelligente
ignurant m‹ na soca : ignorante come uno zoccolo, rozzo, poco
comprensivo ed intelligente

68
i lu far‰a cun na magn su c•l… e l’auta es la testa! : lo farei con una
mano sul sedere… e l’altra sulla testa!, una cosa veramente
semplice da fare, che non d„ alcun fastidio a essere fatta
i lu gi•r, i vegheise p‰ u sul ! : lo giuro non vedessi piŠ il sole!, lo giuro e
spergiuro, ne sono pi† che sicuro
i l•m€se et sun ncŠ gn‡nt munt‡ su m€ni ‘d la p€la? : le lumache non ti
sono ancora salite sul manico della pala?, stai lavorando a
rilento, muoviti!
i m‡nca chiy (en) gi†ves : gli manca qualche (un) gioved„, • un po' pazzo,
un po' svitato
im much mach pƒ i vugn : mi soffio solo poi vado, mi soffio il naso e
vado
im nun arcordar‡ vita chi v‰u : me ne ricorder‚ vita che vivo, me ne
ricorder… per sempre
i n'€ en perfund : ce n'• in gran quantit‡, ce n’• in abbondanza, ce n‡ a
profusione
i n'€ la m€rca : ce n'• la marca, ce n’• appena il segno, appena qualcuno,
sono rari, c'• la sola presenza
i n'€ na peˆ : ce n’• un’orma, • scesa solo poca neve, una spolverata che
basta solo per vederci le impronte sopra
i n' € na stendar‰a : ce n'• un’estensione, ce n’• tanto, ce n'• in quantit„
i n'€ sampe •na cant chi n'€ gn‡nt due ! : c'• n’• sempre una quando non
ce ne sono due, c’• sempre qualche difficolt„, qualche
problema da affrontare
intra da n'†r‰a sort da l'auta : entra da un orecchio esce dall’altro, non
ascolta, fa tutto come vuole, non segue i consigli dati
i p€sa ‘nt en post : gli passa in un posto, lo patir„, ne soffrir„ in modo tale
che se ne ricorder„ in futuro
i pasar‰a en ch‡gn cun na ram€sa en bucca 'd travars ! : ci passerebbe
un cane con una scopa in bocca di traverso, c'• un bello
spazio ampio e comodo per passare
i sant p€’ da che †r‰a lƒ ! : non ci sente da quell’orecchio l„, fa finta di non
sentire, non vuole sentire facendo finta di niente come se
fosse sordo…
i sar€s pƒ tƒ, et trav€i i nun sar€’ ncŠ.... ! : non ci sarai piŠ tu e lavoro ce
ne sar‡ ancora, si dice a persona estremamente operosa e
attiva che non smette mai di lavorare
i s‡ 'd che gamba sop‰es : so da che gamba zoppichi, conosco i tuoi punti
deboli, so dove hai dei difetti e dove sei vulnerabile e
sensibile
69
I s• 'd che gamba sop„es

i s‡ gn‡nt che vir l'abe fat.... : non so che giro abbia fatto, si dice di cosa
scomparsa, che si • persa e non si riesce pi† a trovare in
nessun modo
i s‡ gn‡nt m‹ b•t€i nom! : non so come mettergli nome, non so
spiegarmelo, non so perch‡, non so cos’• capitato
i s‡ pƒ se i sun en l'est€la o 's l'aunera.... ! : non so piŠ se sono nella
stalla o sul fienile, non so quello che mi faccio, sono confuso
e non so pi† cosa sto combinando

I s• p† se i sun en l'estˆla o 's l'aunera

ista n‰ 'n cel n‰ 'n tara : (non) sta n† in cielo n† in terra, • una cosa
insensata, che non ha nessun fondamento
iste pƒ fra nate.... : resti poi fra di noi, da non divulgare, • un segreto fra
noi

70
istƒss m‹ ci•ciˆ en ciˆ caut : uguale a succhiare un chiodo caldo, inutile,
perfettamente inutile, come lo • succhiare un chiodo caldo
istƒss m‹ c•cˆ n'†u : lo stesso che succhiare un uovo, facilissimo,
estremamente facile da fare
istƒss m‹ gavˆ na palˆ 'd fioca cant i n'€ tanta : uguale come togliere una
palata di neve quando ce n’• tanta, fare un lavoro
perfettamente inutile
istƒss m‹ parlˆ (diy-lu) a na m•r€ia ! : uguale come parlare (dirlo) ad un
muro, si dice di persona che non ascolta i consigli e fa tutto
come vuole
istƒss m‹ pisˆ ent'en cav€gn (ent'en viulƒgn) : uguale a pisciare in un
cesto (in un violino), inutile, perfettamente inutile
i sun partƒ cun gn‡nte e „ura- rengrasiand Nus-gnŠ - i sun cari€’ ‘d d‡bit
! : sono partito con niente ed adesso – ringraziando Iddio –
sono gi‡ carico di debiti, modo scherzoso per dire: non ho
fatto fortuna, sono sempre senza soldi
i sur‡gn v‡gn a tucˆ i sut‡gn : i soprani vanno a toccare i sottani, avere
gli occhi che si chiudono, le palpebre che non tengono pi†
aperte per il sonno
i t'‡ p€’ purt€’ via u toch : non ti ho mica portato via il pezzo, non ti ho
mica fatto alcun male, non prendertela a male ho solo parlato,
non ho fatto altro che dire quello che pensavo
i tr†vu p‹-p‰ gn•gn caviun : non gli trovano piŠ nessuna estremit‡, non
riescono pi† a raccapezzarsi, non ne vengono pi† a capo
it b•t la testa en mes a y †r‰e ! : ti metto la testa in mezzo alle orecchie!
frase scherzosa di minaccia ai bambini piccoli quando fanno i
capricci
it nun fich (c€s) due : te ne do ficco (caccio) due, ti rifilo due sberle
it nun l€s calˆ (p€rte) •gn : te ne lascio scendere (partire) uno, ti do una
sberla, te ne rifilo una
it piant en papign (en tumƒgn) : ti pianto un impacco (un tomino), ti do
una sberla, te ne rifilo una
it ye l€s calˆ : te le lascio scendere, ti picchio, lascio cadere le sberle
i v€’ 'd muiƒtta : ci va del metallo, occorrono soldi, occorre denaro
i v€’ en b‡l mur : ci va una bella faccia, ci vuole una bella faccia tosta
i v€’ gn‡nt tante scole a fˆ lu-lƒ : non ci vogliono tante scuole per fare
quello, non • difficile da fare, si pu… fare facilmente
i v€’ na m€ta p‡na ('n m€tu tamp) : ci va una pena matta (un tempo
matto), bisogna fare una terribile fatica per fare una
determinata cosa
71
i v†zar‰a gnanca che l’€ria lu saveise : non vorrei che neanche l’aria lo
sapesse, si dice di cosa di cui si ha profonda vergogna e
amarezza
i vugn pƒ logn : non vado piŠ lontano, sto per
morire

lettera L
l'€ dat arƒe : ha dato indietro, • invecchiato, • patito, forse ha problemi di
salute
l'€ en nom: moto-mort ! : ha un nome: moto-morte!, modo di dire che
accosta la moto alla parola morte per far capire quanto sia
pericolosa la moto
l'€ la p‡l 'd l'eschina c•rta.... : ha la pelle della schiena corta, • un
pelandrone, che fatica a chinarsi e lavorare
l'€ ncŠ da n€se cal che.... : ha ancora da nascere quello che…, non c'•
ancora sulla terra colui che pu… farmela in barba, colui che
riesce a fregarmi
l'€ ncŠ tacunˆ : l’ha ancora rattoppata, se l'• ancora cavata, si • salvato
l'€ p€’ t†t u bosch a la susta : non ha mica tutta la legna al riparo, •
pazzo, • completamente folle
l'€ p€’ vare 'd saut da fˆ : ha pochi salti da fare, non • che sia poi una
situazione cosƒ rosea e fortunata da potersene stare
tranquillamente con le mani in mano
l’arba arneva : l’erba sta crescendo (in primavera), l’erba sta riprendendo
forza e vigore dopo i rigori dovuti alla neve ed al gelo
invernali
l'€ t†t l'andi 'd fˆ lˆ : ha tutta l’apparenza di voler fare quello, sembra
proprio che voglia nevicare / piovere
l'€s bat†’ (pic€’) la testa da ciot ? : hai battuto (picchiato) la testa da
piccolo?, sei completamente matto? non sei mica normale,
sei un vero pazzoide
l'€s b•t€’ u Bambƒgn en la muffa? : hai messo il Bambino nella muffa?
frase scherzosa detta soprattutto durante le feste natalizie per
chiedere ad un amico se ha avuto dei rapporti sessuali con
qualche donna
l'€s capƒ l' ura che l'‡ ? : hai capito l’ora che •?, vedi come siamo ridotti,
guarda a che punto siamo arrivati, guarda quello che ci •
capitato

72
l'€s gn‡nt m€l derƒ ? : non hai male di dietro? (al sedere), smettila di
trovare ulteriori scuse - campate per aria - per non lavorare
l'€s gn‡nt v†ia.... fica u dƒ derƒ la v†ia v‡gn ! : non hai voglia (di fare
qualcosa)… ficca il dito dietro la voglia viene!, datti una
mossa, la tal cosa la devi fare comunque anche se non ne hai
voglia!
l'€s la cua ? : hai la coda?, si dice di persona che non chiude la porta dopo
essere entrata in una stanza
l'€s m‡nca 'd chiycos? V€’ a cat€t-lu ! : hai bisogno di qualcosa? Va a
comprartelo! cavatela da solo! sbrogliati!
l'€s na l‡nga che far‰es virˆ en mulƒgn s‡nsa eva.... ! : hai una lingua che
faresti girare un mulino senza acqua, non stai mai zitto, parli
tantissimo, detto di persona estremamente loquace
l’‡ cˆ gn‡nt ‘d farina da fˆ ostie : non • anche farina per fare ostie, anche
lui ha le sue colpe, • anche lui un bel caratteraccio
l'‡ cˆ mach ndat a scola au gi†ves.... : • anche solo andato a scuola al
gioved„, • un analfabeta, un ignorante che non capisce niente,
(un tempo le scuole rispettavano un giorno di riposo al
giovedƒ)
l'‡ 'd chiy che 't d‡gn mach i sord che istu nrest‡ si fiy.... : • uno di quelli
che ti danno solo i soldi che stanno impigliati sui fili, • un
avaro, uno che cerca di non pagare quanto • giusto
l'‡ d'or 't Nisa che d'or n'€ gn‡nt n'estisa ! : • oro di Nizza che di oro non
ne ha neanche una goccia, • oro fasullo, bigiotteria
l’‡ d•ra aveu mol! : • dura avercelo molle, modo di dire scherzoso
l'‡ en ver pec€’ u pagn che mangia! : • un vero peccato il pane che
mangia!, detto di persona indolente e pelandrona che vive
sulle spalle degli altri
l'‡ istess m‹ b•tˆ en b•schetign (na fava) en bucca a n'€zu : • uguale
come mettere un biscotto (una fava) in bocca ad un asino, •
una cosa perfettamente inutile, non c'• alcuna riconoscenza
l'‡ ist‡ss m‹ sante n'•z‡l a s•biˆ ! : • lo stesso come sentire un uccello
fischiare, non capire assolutamente niente di un'altra lingua o
un altro dialetto
l'‡ istess... tant f€’ tranta m‹ vint p‰ des ! : • la stessa cosa… tanto fa
trenta come venti piŠ dieci!, • la stessa cosa, il risultato non
cambia
l'‡ mach en gi€ri ed chei la cua plˆ ! : • solo un topo di quelli dalla coda
spelacchiata, • una cosa ben misera, c'• poco da stare allegri,
non se ne ricaver„ alcun utile
73
l'‡ mei cari€te che impite : • meglio caricarti che riempirti, sei insaziabile,
mangi a crepapelle
l'‡ mei mentene na crava a b•schetƒgn : • meglio mantenere una capra a
biscottini, si dice di uno che • un gran mangione, insaziabile
e ingordo, senza fondo
l'‡ mei pagˆ u lat c€r che mentene la vaca ! : • meglio pagare il latte caro
che mantenere la mucca, • meglio restare scapoli che
sposarsi
l'‡ mort... b‡le v‰u ! : • morto.... che era vivo!, frase scherzosa di
commento alla morte improvvisa di qualcuno
l'‡ na coza lˆ che a l’‡ b‡la : • una cosa quanto • bella, • molto bella
l'‡ na vigna : • una vigna, • una vera cuccagna
l'‡ ncŠ gn‡nt 't la categor‰a 'd chiy f•rb... l'‡ ncŠ 'd l'auta ! : non •
ancora della categoria di quelli furbi… • ancora dell’altra, •
uno scemo, non • molto furbo anche se crede di esserlo
l'‡ n'estaca : • una cordicella, • un obbligo, una cosa che lega, un vincolo
di cui bisogna tener conto (es. gli animali domestici)
l'‡ 'n darm€ge : • un peccato, mi spiace proprio
l'‡ 'n vista : • in vista, • scontato, • prevedibile, che sar„ cosƒ, • alla luce
del sole e ben visibile
l’‡ p€ gr€sa mach a sufiˆ u f„... : non • grassa solo per soffiare il fuoco, •
veramente grassa perch‡ mangia molto
l'‡ p€’ na m€rsa vergogna ! : non • mica una marcia vergogna?, non • un
peccato? non • una cosa vergognosa?
l'‡ p€’ 'n mar‰-diau : non • un cattivo-diavolo, • un brav' uomo, • buono
l’‡ pas€’ da la portina : • passato dalla porticina..., si dice quando un
boccone di cibo va “di traverso”
l'‡ pƒ p€’ la mort du vescu : non • poi mica la morte del vescovo, non •
poi una cosa cosƒ grave, n‡ una cosa cosƒ importante come
sembra
l'‡ pƒ p€’ na m•la ! : non • poi mica una mula, a forza di provare
riusciremo nell'intento, riusciremo a fare quello che ci
prefiggiamo (ad es. a sbullonare un dado o una vite molto
stretta che oppone grande resistenza)
l'‡ p‡giu 't n’estumiˆ 'd brigne varde : • peggio di una indigestione di
susine verdi, • doloroso, • gravoso da sopportare
l'‡ sampe l'istesa minestra : • sempre la stessa minestra, siamo alle solite,
• la solita storia
l'‡ t†t c€r en sima di rame... : • tutto caro sopra i rami, • molto caro

74
l'‡ turna 'd che tamp : • di nuovo quel tempo, siamo alle solite, la cosa
torna a ripetersi uguale
l’‡ u menu ‘d la cav€gna : • il meno della cesta, • il male minore

L’• u menu ‘d la cavˆgna

l'‡gn arengi€’ chƒlla du b•r.... ! : hanno aggiustato (la faccenda) del


burro, tutto si aggiusta, non • mica la fine del mondo, si trova
rimedio a tutto 3
l'‡gn av†’ tanti 'd chi biz„ch.... : hanno avuto tanti di quei devoti, hanno
avuto una fortuna sfacciata, sono stati miracolati come se una
moltitudine di persone avesse pregato per loro
l'esm€na di tre gi†ves : la settimana dei tre gioved„, mai, una cosa che
capiter„ o si far„ quando verr„ la settimana di tre giovedƒ cio•
mai!
l'eva f€’ ciapˆ la rizu.... ! : l’acqua fa prendere la ruggine.... per cui
meglio bere vino!
l'It€lia l'€’ fat c•l-ausa 4 : l'Italia si • sbilanciata, • andata sottosopra a
causa di tutta la gente che • venuta su al Nord

3
si dice che non si riuscisse a commercializzare il burro perch‡ si squagliava sempre
durante il trasporto… finch‡ si trov… la soluzione: occorreva solamente avvolgerlo per
bene nelle foglie di gelso!
4
con il termine c•l-ausa (culo-alza) in dialetto si definisce quel repentino sbalzo verso
l’alto che subisce il piatto dell’ eschend€i (stadera) quando viene tolta la roba da pesare
che c’• sopra.
A causa della brusca caduta del braccio della bilancia dalla parte opposta (trascinato in
basso dal romano, il peso che scorre sull’asta) il piatto subisce un repentino sbalzo
verso l’alto
75
L'Itˆlia l'ˆ’ fat c•l-ausa

la bucca faz‰a cuce : la bocca faceva “cuce”, la bocca si storceva in


smorfie nel vano tentativo di mangiare una cosa repellente
(ad es. i frutti “pelosi” di un cachi non ancora perfettamente
maturi)
la gramisia i sort da t†t i p€rt : la cattiveria gli esce da tutte le parti, •
terribilmente cattivo e infido
la l•na l’‡ propi na bag€sa: t†t i mes a l’‡ piena ! : la luna • veramente
una baldracca : tutti i mesi • incinta! modo di dire scherzoso
riferito alla luna
la pasˆ di c•iƒ : il trapasso dei cucchiai, i rintocchi a morte dei cucchiai,
cosƒ • definito in modo scherzoso il suono della campana a
mezzogiorno perch‡ chiama la gente a raccolta attorno al
tavolo per il trapasso del cibo...
la tara l'‡ b€sa.... e i coste sun drite! : la terra • bassa e le costole sono
diritte!, avere poca voglia di lavorare, di chinarsi verso la
terra
la tara l'‡ b€sa.... e la p‡l 'd l'eschina c•rta ! : la terra • bassa e la pelle
della schiena corta, avere poca voglia di lavorare, di
abbassarsi verso la terra

76
La tara l'• bˆsa.... e la p•l 'd l'eschina c•rta

lament€se 'd gamba s€na : lamentarsi di gamba sana, lamentarsi senza


una vera ragione, senza un motivo
las€i la ghirba : lasciarci la ghirba 5, rimetterci la vita
l€s€se mengiˆ i cuiƒtte en testa : lasciarsi mangiare gli gnocchi in testa,
lasciarsi sorpassare, lasciarsi turlupinare, farsi infinocchiare
lasˆ p€’ calˆ gn‡nte en tara : non lasciar cadere niente in terra, non
passare sopra a niente, attaccarsi a tutto, trovare da ridire su
tutto
lasˆ pasˆ l'eva suta i punt : lasciar passare l'acqua sotto i ponti, aspettare,
non aver fretta
la t†s a l’‡ buna... l’‡ i pulm•n che sun m€rs! : la tosse • buona... sono i
polmoni che sono marci! detto scherzoso dopo un
bell’attacco di tosse
lˆ che p€re bƒu per f€se cur€ge cura m€re l'‡ malavia : quello che il
padre beve per farsi coraggio quando madre • malata, bere
vino (buono!)

5
ghirba s.f (dall’arabo qirba Šotre di pelle‹) – otre di pelle usato da trib† dell’Africa
per trasportare l’acqua: la parola, portata in Italia dai soldati italiani della guerra
d’Africa del 1895-96 e di quella libica del 1911-13, • rimasta nell’uso di reparti
militari, soprattutto alpini, per indicare l’otre di pelle per il rifornimento di acqua, e
presso i campeggiatori…
(www.Treccani.it)

77
L‚ che pˆre b†u per fˆse curˆge cura mˆre l'• malavia

lu s€s da 't vei.... : lo sai da dei vecchi, lo sapevi, lo sai da sempre


lungh m‹ la fam : lungo come la fame, lento, mogio e tranquillo oppure
molto alto di statura

lettera M
m‹ resta 'd sˆ? : come rimane di questo?, com'•?, come la mettiamo?, che
succede?
m‹ sit di-cche : ma “se ti dico”, ma pensa, ma guarda un po'
m‹ sich-s‰e : come sia che sia, in ogni caso, sia come si vuole
m‹ v€’ la vita? ...en pˆ storta en pˆ drita! : come va la vita? ...un po’
storta un po’ diritta!
m‹ v†s fˆ, en mes a ten€ia e mart‡l… : come vuoi fare, in mezzo a
tenaglia e martello, non c'• via di scampo, non c'• alternativa
mach da fˆ vene Tita Br•n‡ta.... ! : solo da far venire Tita Br•n•ta 6, • da
abbattere, • una catapecchia, va bene solo per far venire le
ruspe e demolirla
malavi d'emmaginasi•n : malato di immaginazione, essere malato
immaginario
mar empic€’ : magro impiccato, molto magro
marezˆ m‹ 'd tola (marezant m‹ la tola) : “amareggiare” come latta,
molto amaro

6
Tita Br•n‡ta : noto camionista-escavatorista bovesano
78
mari€’ en n'€rbi d'eva : sposato in un abbeveratoio d’acqua, convivente,
non sposato legalmente
mari‡ m‹ i culumb : sposati come i colombi, conviventi, non legalmente
sposati
m€rs m‹ la dr•gia : marcio come letame, marcio, andato a male
masau sar‰a mach gi•sta fau grignˆ na vota....! : ammazzarlo sarebbe
appena farlo ridere una volta, non si pu… dire cosa bisogne-
rebbe fargli per dargli quello che si merita, solamente a
ucciderlo sarebbe niente per lui
mƒ it gau da l’•mid ! : io ti tolgo dall’umido, ti levo da qui a rompermi le
scatole, ti faccio correre
mƒ it lu ciam a tƒ! : io te lo chiedo a te!, lo chiedo a te, cosa vuoi che ne
sappia io, • veramente un mistero
mƒ it vir s€s.... ! : io ti giro sai!, ti aggiusto io!, ti metto a posto io!
mƒ it v†i tantu b‡gn che it bevar‰a ent’en bicer d’eva! …e m‰ it mengiar‰a
ent’en bucun ‘d pagn! : io ti voglio tanto bene che ti berrei
in un bicchiere d’acqua! …ed io ti mangerei in un boccone di
pane! (frase romantica di due innamorati di San Giacomo)
mei a menu ma p‰ sig•r : meglio a meno ma piŠ sicuro!, meglio ad un
tasso di interesse minore ma con condizioni maggiori di
sicurezza (riguarda i soldi da impegnare in banca)
menc€i disn„u sold a fˆ na lira : mancare diciannove soldi per fare una
lira, mancare del denaro, mancare quel poco che per… non
permette di fare ci… che si vorrebbe
mengi€se chi c€t : mangiarsi quei “quattro”, mangiarsi il patrimonio,
sperperare i beni che si hanno ancora a disposizione
mengi€se enc•e e dumagn : mangiarsi l’oggi e il domani, delapidare tutto
quanto si ha a disposizione
mengi€se la parola : mangiarsi la parola, non rispettare un impegno preso
o la parola data, rimangiarsi la parola
mengiˆ cun y †i : mangiare con gli occhi, avere una gran voglia di
qualcosa (dolci soprattutto)
mengiˆ da f€s-la acˆl : mangiare da farsela addosso, mangiare a
crepapelle
mengiˆ figna che sort da y †r‰e (da y †y) : mangiare finch† esce dalle
orecchie (dagli occhi), mangiare a crepapelle
mengiˆ i b‡gn 'd s‡t gezie : mangiare i beni di sette chiese, sperperare le
sostanze proprie o di altri, dilapidare tutto il patrimonio che si
ha a disposizione, avere le mani bucate

79
mengiˆ m‹ 'n gavagƒgn : mangiare come un ?, mangiare molto, essere
estremamente ingordo e vorace
mengiˆ m‹ 'n gavot : mangiare come un “gavot”7, mangiare molto,
essere insaziabile
mengiˆ m‹ 'n p‰u (m‹ 'n pulign, m‹ 'n pulezƒgn) : mangiare come un
pulcino, mangiare pochissimo
mengiˆ m‹ na f•rm‰a : mangiare come una formica, mangiare molto poco
mengiˆ m‹ na tr†va : mangiare come un scrofa, mangiare a crepapelle
mengiˆ m‹ na vaca : mangiare come una vacca, mangiare molto, in gran
quantit„
mengiˆ 'ncŠ pƒ cun y †i che cun la bucca : mangiare piŠ con gli occhi
che con la bocca, essere goloso, non essere mai sazio, voler
ingurgitare pi† di quanto si riesca
mengiˆ pagn e p•gn : mangiare pane e pugni, fare la fame, non aver nulla
da mangiare
mengiˆ pagn e tupunign : mangiare pane e pagnotte, fare la fame, non
avere da mangiare
mengiˆ pagn e vurp : mangiare pane e volpe, essere un tonto ed aver
bisogno di un po' pi† di intelligenza e di furbizia (per essere
alla pari di tutte le altre persone)
mengiˆ s†t : mangiare asciutto, mangiare solo il companatico senza il pane
mengiˆ tantu 'd che nervus : mangiare tanto di quel nervoso, non potersi
ribellare, essere costretti a sopportare e mandare gi† bocconi
amari in silenzio
mengiˆ u pagn a tradimant : mangiare il pane a tradimento, essere un
profittatore, farsi mantenere, essere un peso morto
merendˆ b‡gn chiyc†gn : “merendare” bene qualcuno, conciare per le
feste, ripagare per bene qualcuno, dare il benservito (una
bella “merenda” per paga)
mpic€se a na pianta 'd meola : impiccarsi ad una pianta di fragolina di
bosco, mandare a quel paese, togliersi di torno, usata anche
come espressione di finta disperazione
mol a tara : molle a terra, completamente sgonfio, floscio (es.: la ruota di
una bicicletta)
mol m‹ ‘n fiarƒ: molle come un “fiar†” 8, molle, floscio

7
gavot • un termine dialettale che indica una persona rozza e grossolana,
probabilmente collegato in origine ai montanari - soprattutto della regione di Gap –
ritenuti grossolani, cafoni e affetti dal gozzo….
8
straccio usato per filtrare l’acqua della les‰a (il bucato casalingo fatto usando la cenere
quale detergente)
80
mol m‹ 'n pat : molle come una scorreggia, molle e taciturno o non
sonoro, silenzioso
mol m‹ 't dr•gia : molle come letame, fangoso, melmoso
mol m‹ 't put‰a : molle come poltiglia (pappetta), fangoso, melmoso
m†re cume st•pe en l†m : morire come lo spegnersi di un lume, morire
tranquillamente, spegnersi dolcemente consumandosi un po'
per volta
morde m‹ 'n ch‡gn enrabi€’ : mordere come un cane rabbioso, mordere,
addentare con ferocia

Morde m‡ 'n ch•gn enrabiˆ’

mort 't pˆu : morto di paura, terribilmente spaventato, con una fifa da
morire
m†t m‹ ‘n pas : muto come un pesce, silenzioso, riservato
mustˆ i d‡nt : mostrare i denti, rivoltarsi, essere pronto a contrattaccare
mustˆ y unge : mostrare le unghie, ribellarsi, farsi rispettare
mustˆ la vergogna : mostrare la vergogna, mostrare parti intime del
proprio corpo

lettera N
na caplˆ 't sort : una “cappellata” di soldi, un mucchio di denaro, un bel
gruzzolo quanto un cappello pieno
na coza che met€’ b€sta : una cosa che met‡ basta, pi† che sufficiente, in
abbondanza, a volont„
81
na vota dis-che... : una volta a quanto si dice..., si dice che una volta....
n€se cun la camiza : nascere con la camicia, essere molto fortunati,
fortunato dalla nascita
ncŠ cal desg•st.... : ancora quel disgusto, avere ancora un'incombenza da
assolvere, ancora una scocciatura
ncŠ m€i av†’ u piaz‰i : ancora mai avuto il piacere, non l'ho ancora mai
conosciuto, mai avuto il piacere di fare la sua conoscenza
ncŠ-p‰ n'agn encŠ-p‰ nun v†lu : ancor piŠ ne hanno ancor piŠ ne
vogliono, non sono mai contenti, non ne hanno mai abbastan-
za
ncŠ prŠ ! : ancora abbastanza, …e ancor grazie!, …e ringrazia!
nderƒ m‹ la cua du dr‡e : indietro come la coda del drago, tonto, poco
sveglio, poco intelligente
ndˆ a Bologna : andare a Bologna, cadere, ruzzolare
ndˆ a c€’ du diau : andare a casa del diavolo, andare molto lontano,
fuggire lontano
ndˆ a c€rte carant„t : andare a carte quarantotto, andare tutto in malora,
andare tutto storto, tutto a male
ndˆ a cat€se la mort : andare a comprarsi la morte, comprarsi una moto o
un'auto veloce
ndˆ a chentˆ en n'auta curt : andare a cantare in un altro cortile,
spostarsi, andare da un'altra parte, andare a pavoneggiarsi da
un’altra parte, andare a raccontare fandonie a qualcun altro

Nd‚ a chent‚ en n'auta curt

ndˆ a cugiˆ la sogn : andare a coricare il sonno, andare a dormire


ndˆ a cuntˆ i broche a y †s : andare a contare le brocche agli usci,
mendicare, andare a chiedere l'elemosina
82
ndˆ a d€i u bianch ai moru... : andare a dare il bianco ai negri, fare un
lavoro inutile e che non finir„ mai
ndˆ a drisˆ ban€ne : andare a raddrizzare banane, fare un lavoro inutile
che non avr„ mai fine
ndˆ a f€i la riga ai gr€ne 'd caf‡ : andare a fare la riga ai grani di caff•,
fare un lavoro inutile e assurdo e che non finir„ mai
ndˆ a f€se benez‰ : andare a farsi benedire, andare a farsi friggere, andare
a farsi furbi
ndˆ a giuch : andare al trespolo 9, andare a letto, andare a dormire
ndˆ a la mica : andare alla pagnotta, andare a pranzo, fare la pausa
pranzo, lasciare il lavoro per l'intervallo di pranzo
ndˆ a m†i : andare a mollo, andare a bagno o finire in prigione, oppure
andare in rovina, essere pieno di debiti
ndˆ a na bila (a na b‡la bila) : andare a gran velocit‡, andare velocissimi
ndˆ a porta inferi : andare alla porta dell’Inferno, andare lƒ lƒ per morire,
essere stato in punto di morte
ndˆ a rab‡l : andare in sfacelo, andare in malora, fallire, perdere tutto
quanto

Nd‚ a rab•l

ndˆ a ranze : andare a lance (?), andare a gran velocit„, a tutta birra
ndˆ a renfresc€se u caiat : andare a rinfrescarsi (la gola?), andare a bere
una volta

9
il giuch • il trespolo, il dormitorio in legno su cui vanno a dormire le galline di notte
83
ndˆ a scriu-ye na lettera au Papa : andare a scrivergli una lettera al
Papa, andare al gabinetto a fare i propri bisogni
ndˆ a sercˆ pere a la Cola : andare a cercare pietre al Colla, cercare
qualcosa di molto comune, di usuale, avere solo l'imbarazzo
della scelta
ndˆ a stim : andare a caso, andare a tentoni, provando a caso
ndˆ a trab•cat : andare a ruzzoloni, finire a terra, cadere, finire a gambe
levate
ndˆ a tucˆ ai porte : andare a toccare le porte, essere arrivato in punto di
morte
ndˆ a tucˆ unda che cuta : andare a toccare dove bisogna, smuovere le
persone giuste, saper da chi farsi raccomandare
ndˆ a t•ta c€na : andare a tutta velocit‡, andare velocissimo, a gran
velocit„
ndˆ a y ule : andare cavalcioni, salire a cavalcioni di qualcuno
ndˆ au cure : andare di corsa
ndˆ au diau : andare al diavolo, andare / mandare alla malora
ndˆ au f„ : andare al fuoco, il versarsi del latte fuori della casseruola
durante la sua ebollizione
ndˆ au tuch : andare al tocco (?), procedere a tentoni, a caso,
approssimando
ndˆ au v‡es : andare al cane / andare in calore, l’andare in calore della
cagna, essere nel periodo fecondo
ndˆ che l'€ria lu br•za : andare che l’aria lo brucia, andare / procedere a
gran velocit„
ndˆ cugn u cav€l 'd Sƒn Frensasch : andare col cavallo di San
Francesco, andare a piedi
ndˆ dˆu dˆu : andare mollemente / lentamente, procedere o avere un
incedere lento ed abbacchiato
ndˆ drƒe ('d l€’) 'd Sƒn Roch 10: andare dietro (di l‡) di san Rocco, finire
al cimitero, morire
ndˆ en boita : andare in scatola (?), finire in galera
ndˆ en br„ 'd faz†i : andare in brodo di fagioli, andare in visibilio, essere
contentissimo, andare in brodo di giuggiole
ndˆ en bulƒtta : andare in bolletta, finire le risorse economiche a propria
disposizione
ndˆ fin chƒ l'€ 'd rue : andare finch† si hanno ruote, andare il pi† lontano
possibile, fuggire lontano
10
la chiesa di San Rocco • una chiesa di Boves che sorge ad un centinaio di metri dal
cimitero comunale
84
Nd‚ en boita

ndˆ fora di f†i : andare fuori dai fogli, andare su tutte le furie, fuori dai
gangheri
ndˆ m‹ na frandia (m‹ na frƒnda) : andare come una fionda (cio•: come
essere stato lanciato da una fionda), andare a tutta velocit„,
velocissimo
ndˆ m‹ na f•zƒtta : andare come un razzo, andare velocissimo, a gran
velocit„
ndˆ m‹ n'esl•si : andare come un fulmine, andare molto velocemente,
rapidissimamente
ndˆ m‹ n'esp‰a : andare come una spia (?), andare molto velocemente,
rapidissimamente
ndˆ m‹ n'ƒs-ciupat : andare come uno scoppietto 11(cio•: come una
pallina lanciata da uno s-ciupat), andare velocissimo,
rapidissimamente
ndˆ 'ntu tirat et la gr€sa : andare nel cassetto del grasso, andare in
prigione
ndˆ pagn ciamand : andare chiedendo il pane, andare a chiedere
l’elemosina, essere povero in canna

11
lo s-ciupat • una sorta di cerbottana che lancia palline - costruita artigianalmente dai
ragazzi - ottenuta svuotando dal midollo un pezzo di legno di sambuco
85
Nd‚ pagn ciamand

nduma pƒ a mƒssa : non andiamo piŠ a messa, arriveremo in ritardo, non


possiamo essere puntuali a causa di qualche improvvisa
contrariet„
nƒ canta nƒ s•b‰a : non canta n† fischia, silenzioso, imbronciato, taciturno
nƒ mangia nƒ bƒu.... ! : non mangia n† beve, un bene che non rende niente
ma non fa neanche perdere niente (ad es. un terreno agricolo)
negusiant da fumne : commerciante di femmine, donnaiolo
ner m‹ na mura : nero come una mora, ubriaco fradicio
ner m‹ 'n magnign : nero come uno spazzacamino, zozzo, lurido

Ner m‡ 'n magnign

ner m‹ 'n par†l : nero come un paiuolo, ubriaco o scuro, nero


ner m‹ 'n taiap‡ : nero come un millepiedi, scuro, nero o ubriaco fradicio
ner m‹ u pec€’ : nero come il peccato, peccaminoso, con la coscienza
sporca
86
nervus m‹ 'n taiap‡ : nervoso come un bruco, agitato come un millepiedi,
permaloso, inquieto
n„t bend€’ : buio pesto, notte fonda
n„t tarabu : buio pesto, buio, scuro
nfrendi€’ m‹ u tr‡nu : lanciato come il treno, di corsa, spedito, veloce
n†u fiamant : nuovo fiammante, nuovo di zecca, mai usato
n†u n†v‰s : nuovo di zecca, nuovo fiammante
'n pˆ v‡ghe cˆ l'‡ 'd sˆ ! : voglio proprio vedere cos’• questo, voglio
verificare personalmente
nuius m‹ ‘n tav‡gn : noioso come un tafano, estremamente noioso
nun f€s et b‡l et... : te ne fai “di bello” di…, a cosa ti serve, non ti d„ alcun
vantaggio, non ti serve a nulla
NusgnŠ y € gav€’ la magn da 'n sima.... : il Signore gli ha levato la mano
da sopra, non ha pi† fortuna, Dio non lo protegge pi†

lettera O
occh‡ b€le : altro ch† balle!, storie ! fandonie!
ohh gi†zi ! chi scr•s.... ! : oh GesŠ! che botti!, che rumori assordanti
†hh, y ‡ pƒ p€’ mort u Papa ! : oh, non • mica morto il Papa!, non • mica
successo nulla di irrimediabile!
†hh, i n'‡ pƒ p€’ mas€’ gn•gn ! : oh, non ne ho poi mica ammazzato
nessuno!, calmati! non • mica successo nulla di irreparabile
ohh per carit€’ 'd NusgnŠ.... : oh per carit‡ del Signore!, esclamazione di
rammarico e stupore
ohh s‰-v†l : (intraducibile) • comodo cosƒ, cosƒ son capaci tutti
oh stuma frasch.... : oh stiamo freschi!, siamo ben messi! siamo in una
bella situazione, stiamo freschi!
oh suma bei.... : oh siamo belli!, siamo ben messi! siamo in una bella
situazione, c’• da stare allegri!
†gn l’auternˆ : uno alternato, uno sƒ e uno no
†gn gavava u p‡ l'aut lu b•tava.... : uno levava il piede l'altro lo metteva,
erano sempre assieme, erano inseparabili, affiatati come
fratelli
ogni mort 'd Papa : ogni morte di Papa, molto raramente, che si verifica
eccezionalmente
o riff o raff : in un modo o nell'altro, in qualunque caso.

87
Mario Fantino Gri‡t

Proverbi e modi di dire di


ROASCHIA

Una nuova rassegna di proverbi e modi di dire della parlata di Roaschia


(valle Gesso) a integrazione di quanto gi• pubblicato in precedenza
sulle pagine di questa rivista. La grafia adottata si basa sulle
convenzioni valide per l’italiano, con la precisazione che:
- z va letta come s dell’italiano rosa
- y va letta come i dell’italiano ieri (o come in mai, vai, sai)
- € va letta come eu francese
- •, ‚ corrispondono a e muta e u francesi.
88
- A boci€s f•rm€s
(a bocce ferme… aspettare, attendere per vedere alla fine cosa
accadr„…)
- A cun•ssi an genuv•s i v• stant’ann e an m•s!
(per conoscere un genovese occorrono settant’anni e un mese!)
- Ad n’an placu ƒn €nt’ar murri che la mƒraia i na d„ n’auti….
(te ne rifilo uno sul viso che il muro te ne ribatte un altro….)
- Adc† lu silensi ar l’a na vus….
(anche il silenzia ha una voce…)
- A far lu fol ad vir€s y a da gagnar….
(a fare il tonto a volte c’• da guadagnare…)
- A tripa piena as razuna mei…
(a pancia piena si ragiona meglio…)
- An catri e catri ƒ•t ar m’a piant„ ich‡….
(in quattro e quattr’otto mi ha lasciato qui, se ne • andato
lasciando la compagnia…)
- Andar dar cƒl….
(andare del culo…. andare in rovina…)
-Ar y’a barb„ as gh€t€s....
(gli ha divorato le ghette, lo ha ucciso…)
- Ar y’a bƒt„ lu bastun €nt’€s rov€s....
(gli ha messo il bastone fra le ruote… detto di operazione fatta per
ostacolare un contratto, per ostacolare una persona)
- Ar y’a dun„ lu bl€
(gli ha dato il blu…. si dice di un fidanzato lasciato dalla
fidanzata)
-Ar l’a ciap„ lu cian….
(ha preso il cane… detto di persona- un giovanotto solitamente -
che va ad un appuntamento galante ma la controparte non si fa
vedere e l’appuntamento va a vuoto….!)
- Ar l’a lu fi„ cƒrt: pr•st ar paluca!
(ha il fiato corto: presto tira le cuoia!)
- Ar l’a lu murri cuma lu cƒl…
(ha una faccia come il sedere… detto di persona con una gran
faccia tosta….)
- Ar l’a lu murri cuma an pum brƒsch•t…
89
(ha una faccia come una mela acidula … detto di persona con una
faccia piena di rughe….)
- Ar l’a mangi„ la fˆia…
(ha mangiato la foglia … si • accorto dell’inganno….)
- Ar l’a pendƒ’ lu ciapel ar ci†….
(ha appeso il cappello al chiodo, si usa per un uomo sposato con
una donna facoltosa che pu… permettersi di non lavorare….)
- Ar l’a pic„ la testa da ciot…
(ha picchiato la testa da piccolo… • un po’ pazzerello, • un tipo
strano e bizzarro….)
- Ar l’a pres an l•mbu…
(ha preso un capitombolo… • caduto, • ruzzolato al suolo….)
- Ar l’a truv„ i cius•y per i s•y p‰….
(ha trovato le scarpe per i suoi piedi… ha trovato pane per i suoi
denti)

- Ar l’€s ciorgn mach cura ar vol…


(• sordo solo quando vuole…. fa finta di non sentire solo quando
la cosa gli conviene, quando ne trae un vantaggio….)
- Ar l’€s mach an cuva-f€mn€s!
(• solo un cova-femmine…. • solo un frequentatore di donne,
come una comare pettegola che parlotta e frequenta solo le
donne…)
90
- Ar n’a f•t adm• che Carlu en Fransa….
(ne ha combinate piŠ di Carlo in Francia….)
- Ar drˆm m„ na marmota....
(dorme come una marmotta… detto di un dormiglione)
- Ar na sa ƒna m• dar diau!
(ne sa una piŠ del diavolo… detto di un tipo furbo e smaliziato)
- Ar pol pisar nt’ar l•it e dop dir che ar l’a sƒd„….
(pu‚ pisciare nel letto e poi dire che ha sudato! • un gran
bugiardo…)
- Ar s’€s bƒt„ vendi ciaplin€s, ar l’a f•t fƒ‡‡ lu sul•y!
(si • messo a vendere cappelli di paglia, ha fatto sparire il sole! •
una persona perseguitata dalla sfortuna, oppure • un vero incapace
tutto quello che fa • un fallimento…)
- Ar l’€s n„ cun la camiza….
(• nato con la camicia…. • un tipo fortunato)
- As lamenta ‘d ciamba sana….
(si lamenta di gamba sana…. si lamenta a torto, non ha nessuna
ragione di lagnarsi)
- As mai vist n’azi cun la testa pl„....
(non hai mai visto un asino con la testa pelata, modo di dire usato
per sottolinaere una cosa ovvia, che • sotto gli occhi di tutti)
- Bƒziard m„ na vacia tƒrgia….
(bugiardo come una mucca infeconda… essere un gran bugiardo)
- Cambiar l’•iga a lu canarin….
(cambiare l’acqua al canarino…. cio• urinare)
- Ciantar da gal…
(cantare da gallo… fare la voce grossa, darsi arie di essere
superiore e di aver vinto….)
Cun i pruv•rbi di vei i giui mˆr€n ‘d fam!
(con i proverbi dei vecchi i giovani muoiono di fame!)
- Cura sˆs cunvint ‘d sav•r tutt l’€s cura sas gn‰nti!
(quando sei convinto di sapere tutto • quando non sai niente!)
- Dalli na trabƒc„
(stimare, piŠ o meno, all’incirca...)
- Dest€r-ti p€rzƒra!
(svegliati babbeo!)
- Dest€r-ti unfi!
91
(svegliati pallone gonfiato!)
- Du€s femn€s fan an merc„, tr•y fan na fera…
(due donne fanno un mercato, tre fanno una fiera….)
- Dui p•s, dua mizƒr€s!
(due pesi, due misure, tenere un comportamento ingiusto nei
confronti di qualcuno)
- Dunar lu br€ d’unz’ur€s
(dare il brodo delle undici… conciare per le feste, ripagare per
bene, dare l’ultimo brodino al moribondo prima del trapasso)
- ‹si cƒl e camiza…
(essere culo e camicia… essere inseparabili)

- ‹ssi m• ar•i che la cua dar crin…


(essere piŠ indietro della coda del maiale… essere ignorante)
- ‹si mol m„ na put‡a…
(essere molle come una pappetta… detto di una cosa molto molle)
- Far amnir lu l•t ai gumi…
(far venire il latte ai gomiti…. detto di qualcuno che • lento e
svogliato nel lavorare)
- Far fˆch cun la l€gn-na €d y •iti….
(far fuoco con la legna altrui…. non contare sulle proprie reali
capacit„)
- Far lu bai•t ….
92
(fare il servizio militare)
- Far lu borgn cura venta….
(fare il cieco quando occorre… saper far finta di non vedere
quando • il momento opportuno, quando • necessario)
- Far lu fol per n€nt pagar dasi….
(fare il tonto per non pagare dazio… fare finta di essere un po’
sempliciotto solo quando se ne ha una convenienza)
- Ferv•i l’€s lu m• cƒrt ma l’€s mar‡ m„ ‘n tƒrch!
(febbraio • il piŠ corto ma • cattivo come un turco!)
- Fin na gialina borgna i trova la sua grana!
(perfino una gallina cieca trova la sua grana….)
- Grat-ti dar•y, la vˆia i ven!
(grattati dietro, la voglia viene!...lo dicevano una volta i vecchi
quando qualcuno non aveva voglia di fare un lavoro….)
- I bƒziard v‰nta che abi€n na bona memoria….
(i bugiardi bisogna che abbiano una buona memoria….)
- Y amis dƒr€n fin che li port€s an crota….
(gli amici durano fin tanto che li porti in cantina…)
- Y €s pass„ San Giƒz•p cun la pialla…
(• passato San Giuseppe con la pialla, si dice di donna non
prosperosa, senza seno)
- L’amur i f• n€nt bƒ‡r lu pirol….
(l’amore non fa bollire il paiolo, non si pu‚ vivere di solo amore)
- L’amur y €s cuma la mnestra ‘d fizˆl: vol d’asfogh!
(l’amore • come la minestra di fagioli: vuole sfogo!)
- L’amur l’€s an bel fiur che as cˆy a la brua d’an precipisi!
(l’amore • un bel fiore che si coglie sull’orlo di un precipizio!)
- L’azi ‘d t‰nti padrun ar mˆr ‘d la fam…
(l’asino propriet‡ di due padroni muore di fame…)
- L’avar ar l’€s cuma lu crin: ar ven a tay dop mort!
(l’avaro • come il maiale: viene a taglio dopo morto!)
- L’€s cuma cƒccar n’ˆu…
(• come bere un uovo …. detto di cosa estremamente facile da
fare…)
- L’€s mei perd-lu che truvarlu….
(• meglio perderlo che trovarlo… detto di persona poco affidabile,
da cui • meglio tenersi alla larga…)
93
- L’€s pƒ lu t‰mp che B•rta filava!
(non • piŠ il tempo in cui Berta filava…. non • pi† il tempo in cui
tutto andava bene e non c’erano problemi e preoccupazioni di
sorta….)
- L’uspidal ar f• la carit„ a la gh•iza!
(l’ospedale fa la carit‡ alla chiesa, il denaro resta sempre fra
coloro che gi„ ne hanno!)
- La ciaura y a mangi„ lu libri….
(la capra gli ha mangiato il libro…. detto di persona che a scuola
non impara niente, poco o niente studiosa e intelligente…)
- La neva an muntagna, la f• fr•id a la Villa, as f€mn€s sensa
lana an fr•id a la tana!
(nevica in montagna, fa freddo nel concentrico del paese, le donne
senza lana hanno freddo alla tana!)
- La preput‰nsa y Œ n€nt ‘d valur….
(la prepotenza non ha valore…)
- La smana di tr•y giˆves…
(la settimana dei tre gioved„… cio• mai!)
- Lu cagli•y ar l’a s‰mpi i cius•y rut....
(il calzolaio ha sempre le scarpe rotte….)
- Lu destin ar mes-cia ‘s cart€s, dop la st„ a nuz•iti giugarl€s!
(il destino mischia le carte, poi sta a noi giocarle!)
- Lu destin ar s’angana n€nt….
(il destino non si inganna…. al proprio destino non si sfugge!)
- Lu t‰mp ar marca patel€s….
(il tempo segna brutto tempo….)
- M• m€s-c€s m• la fi•ra!
(piŠ rimescoli piŠ puzza, si dice di una cosa o di una situazione che
• meglio lasciar stare cosƒ com’•, senza stare a farsi troppe
domande o a cercare di cambiarla in qualche modo…)
- M•ri madona ista b‰n per cƒrnis e la nora €nt’ar cadri!
(la suocera sta bene nella cornice e la nuora nel quadro!)
- M‡ sˆi vei cura mˆru!
(io sono vecchio quando muoio!)
- Mordi la fˆia….
(mordere la foglia… accorgersi di un raggiro, accorgersi di una
possibile fregatura)
94
- Na bona ciuca i dƒra tr•y d‡!
(una buona sbronza dura tre giorni ….)
- Na bona gr€pia i f• na bona bestia….
(una buona mangiatoia fa una buona bestia….)
- Ogni ƒs ar l’a lu s‰ tambƒs!
(ogni uscio ha il suo suono, ogni porta ha il proprio cruccio!)
- Ommi e f€mna van s‰mpi d’acordi fin che cre€n as propri€s
bƒziardari€s!
(marito e moglie vanno sempre d’accordo fin quando credono alle
proprie menzogne!)

- Pagar e murir y a s‰mpi t‰mp….


(a pagare e a morire c’• sempre tempo….)
- Parla cuma i t’a must„ t• m•ri!
(parla come ti ha insegnato tua madre!)
- Parla mach cura lu gal ar pisa….
(parla solo quando il gallo piscia… • meglio che stai zitto e non
dire tante fesserie….)
- P•rri l’anciua….
(prendere l’acciuga… arrivare o essere ultimi)
- Prima ‘d Natal as br•es ‘d pata van n€nt mal,
dop Natal i v‰n lu bel t‰mp as br•es ‘d pata van turna ben...

95
(prima di Natale i pantaloni di panno non vanno male, dopo
Natale viene il bel tempo i pantaloni di pata vanno nuovamente
bene….)
- Ramadanas brƒtt…
(brutto ramadan… brutto scemo, babbeo, anche disordinato e
sciatto nel vestire….)
- ‘S ciapa m• pr•st an sop che an bƒziard….
(si prende piŠ presto uno zoppo che un bugiardo)
- Scapa travai che m‡ arrivu…
(fuggi lavoroche io arrivo…. detto di persona che ha poca voglia
di lavorare)
- Sˆs mach an badola….
(sei solamente un babbeo….)
- Sˆs mach an gilindu….
(sei solamente un tonto….)
- Sˆs mach an sbrincia-ciuend€s….
(sei solamente uno spruzza-recinti… sei solo capace a urinare
dietro le siepi)
- Soud f• soud, piuy f• piuy!
(soldo fa soldo, pidocchio fa pidocchio!)
- Th‰ tum•ra…. as fin‡ ‘d far l’•rlu?
(ehi babbeo…. hai finito di fare il gradasso?)
- V• lestu, f• lestu, ven lestu che m‡ t’asp•itu!
(vai veloce, fai veloce, vieni veloce che io t’aspetto!)
- V‰nta n€nt bƒtar lu ciarri adnant ai b€ ….
(non si deve mettere il carro davanti ai buoi….)
- V‰nta n€nt s‰mpi far lu tor, ma cay vir€s v‰nta adc† far la
vacia!
(non bisogna sempre fare il toro, ma qualche volta bisogna anche
fare la vacca!)
- Vei m„ an cruas
(vecchio come un corvo, molto vecchio)
Mario Fantino ‘Griƒt’ ha pubblicato con Valados Usitanos il libro
“N’arciam d’anima”, sulle tradizioni e la lingua dei pastori e dei
contadini di Roaschia.

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DISCHI

NUOVE NOTE DAL PASSATO


La tradizione continua in Val Varaita
Autori vari, CD - 2015, euro 10

Nell’estate del 1985 a San Peyre s'inaugurava "lu Cianto Viol",


manifestazione itinerante dedicata al canto popolare e alla musica delle
valli occitane.

97
Sostanzialmente si riproponeva in versione aggiornata un modo
semplice di fare festa, incamminandosi su antichi sentieri tornati
praticabili dopo un abbandono pluriennale; la marcia dei gruppi
partecipanti era allietata da canti, musiche tradizionali e soste di ristoro
dislocate lungo i percorsi. Le varie comitive, provenienti soprattutto da
borgate di San Peyre, confluivano a Becetto, gi• luogo di antichi
pellegrinaggi al santuario della Madonna Nera. Dopo il pranzo all'aperto
si dedicava l'intero pomeriggio all'ascolto di gruppi musicali e canori pi‚
o meno noti, all'eventuale lotteria e naturalmente ai balli tradizionali; era
anche un' occasione per ritrovarsi fra amici vecchi e nuovi e unirsi ai
cori spontanei che si alzavano qua e l•, propiziati da merende innaffiate
da cordiali bevute.
La formula organizzativa del "Cianto Viol" si rivelƒ azzeccata e
durevole, tanto da raggiungere nel 2015 la veneranda et• del
trentunesimo anno.
Nell' edizione del 2014, per dare risalto alla continuit• fra i suonatori
locali del passato e le nuove leve che stavano emergendo, s'iniziƒ a
parlare del progetto "Nuove note dal passato": sostenitore convinto
delle capacit• compositive dei giovani partecipanti alla grande festa
popolare del Bes„ era stato Celeste Ru•, eccellente organettista e
ricercatore di vecchi strumenti musicali, di cui possiede una ricca
collezione che documenta assai bene l'etnofonia alpina, ma non solo
quella.
L' invito a creare qualcosa di nuovo ebbe successo e cos… il comitato
organizzatore si trovƒ fra le mani sedici melodie nuove adattabili alle
danze di San Peyre, con l'aggiunta di altrettanti balet, com'† nella
consuetudine di questo paese occitano che annovera – anche grazie a
chi ha svolto meticolose ricerche e registrazioni di anziani suonatori –
una straordinaria variet• di musiche da ballo tradizionali.
All' inizio dell' estate 2015 si † giunti alla pubblicazione di un CD con
opuscolo nel quale Cristina Levet, autrice della presentazione, afferma
giustamente che † bello creare, ma pure recuperare ciƒ che pareva
perso e ripresentarlo sotto forme nuove, senza rinnegare il passato.
Sono riportati inoltre foto e dati biografici dei compositori, i titoli
assegnati alle melodie e una riflessione personale sulle emozioni
provate suonando musica popolare: le risposte, mai banali, mettono in
luce i momenti festosi o malinconici, l'atmosfera quasi magica fra
suonatori che ritrovano radici antiche, il dialogo fra generazioni diverse,
la condivisione e il senso di libert•, la musica che diviene mezzo di
comunicazione e linguaggio universale...
Nelle nuove composizioni come tipologia di danze troviamo ben otto
curente, tre gighe, due tresse, una sola cuntrodanso, bureo vieio, bureo
de San Martin.
Tra gli esecutori primeggiano i suonatori di organetto e fisarmonica a
98
tastiera, che in val Varaita rimane lo strumento preferito dei musicanti
pi‚ fedeli alla tradizione valligiana. Una discreta presenza † quella dei
violinisti, continuatori dei leggendari "viulunaire" della media e alta valle;
a rendere pi‚ armonico il suono collaborano anche chitarristi,
ghirondisti, organettisti.
Il ligure Davide Baglietto con le modulazioni del low whistle (flauto di
latta basso) imprime ai propri brani suggestioni derivanti dalla cultura
musicale irlandese, pi‚ evidenti nel balet.
Graziano Grua invece canta due testi in lingua franco-provenzale,
riprendendo l'abitudine popolare di ballare anche senza il suonatore.
I brani incisi risultano assai soddisfacenti dal lato creativo e nel
contempo si constata con piacere che parecchi giovani hanno fatto
tesoro delle modalit• stilistiche dei suonatori precedenti, partendo in
genere da uno spunto melodico gi• conosciuto e inserendo variazioni
che sviluppano il tema in modo armonico e originale.
Alcuni esempi: i brani introduttivi di Alex Godano riprendono il tocco
fluido e arioso che caratterizzava i suonatori di fisarmonica a tastiera del
Bes„ e della zona circostante, mentre la tresso di Celeste Ru• si
dimostra una versione ricca di abbellimenti e padroneggiata con un
trascinante senso del ritmo.
Le innovazioni stilistiche risaltano maggiormente nei musicisti di lunga
esperienza come Silvio Peron e Gabriele Ferrero, ad esempio con
l'adozione di tonalit• meno acute, l'uso del sincopato, un tipo particolare
di scansione ritmica.
Tutti i partecipanti al progetto "Nuove note dal passato" hanno
contribuito ad arrichire il repertorio sonoro della val Varaita, sia pure con
differenti sfumature: alcune musiche si adattano bene al ballo, altre pi‚
riflessive si prestano maggiormente all' ascolto.
Il grande merito degli organizzatori comunque † stato quello di non aver
discriminato tra artisti affermati ed esordienti, evitando trite classifiche
ed offrendo invece a ciascuno la possibilit• di esprimersi tramite una
valida esperienza collettiva.

C. Lorenzati

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LIBRI

IL CHI€ NELL’ALTA
VALL’ELLERO

100
Un splendido libro, uscito un po’ di anni fa (nell’estate del 2011) a
cura dell’Associazione di Promozione Sociale “ Nuž•č dƒř Chi… ” di
Prea (Roccaforte Mondovƒ) pieno di contenuti autentici ed originali –
quelli della vera cultura locale della gente – che va a riempire un
vuoto editoriale e di conoscenze su di una zona culturalmente e
linguisticamente molto particolare quale … quella del chi€ dell’alta val
Ellero. Il libro offre un esaustivo panorama di questa parlata, il chi€
(o ky€ come si usava scrivere nei decenni passati) nella variante della
valle di Roccaforte Mondovƒ. Questo idioma fa parte dell’area
linguistica occitana ed … ancora in uso in alcune alte valli dell’arco
alpino nell’area monregalese (oltre alla valle Ellero sono interessate
anche le alte valli Maudagna e Corsaglia). Il libro … una testimonianza
fedele di quello che … il dialetto del chi€ di questa valle (ancora in uso
nelle frazioni di Prea, Baracco, Rastello e Norea) e contiene
interessanti note su vocalismo, fonologia e caratteristiche di questa
parlata, sulla toponomastica locale (anche qui quella autentica),
sull’antroponomastica (cognomi locali, soprannomi), oltre ad una
serie di poesie dialettali in chi€ scritte da due poeti locali (il medico
Giovanni Battista Basso – Titin ed il poeta/margaro Sebastiano Unia –
Bastianilu - i cui testi abbiamo ospitato anche sulle pagine di questa
rivista).

Leggendo le parti dialettali di questo libro inoltre, si rafforza sempre


pi† dentro di me la convinzione che l’area del chi€ in antichit‡ (come
gi‡ ipotizzava anni fa Gianpaolo Giordana) si potesse estendere ben
oltre i ristretti confini attuali, ma andasse a permeare anche le nostre
valli (Pesio e le cosiddette “valli della Bisalta” cio… Iosina e Colla)
giungendo fino alla valle Gesso (nel dialetto di Valdieri difatti si
ritrova l’uso del chi€ per indicare io, il pronome personale soggetto
della prima persona singolare, mentre nella vicina Entracque il
pronome suona ch€).

Si verrebbe cosƒ a delineare un unicum dialettale che dall’area


monregalese del chi€ va fino alla bassa valle Gesso… cosa che,
scorrendo le pagine di questo libro, mi pare potrebbe essere assai
attendibile.

Infatti leggendo le cose che vi sono riportate non posso non


constatare come una gran parte di esse sembrino quasi scritte nel

101
nostro dialetto (bovesano): molte caratteristiche e particolarit‡ di
quella parlata - tralasciando le inflessioni dialettali tipicamente
monregalesi comunque presenti – ci accomunano e sono
sostanzialmente identiche alle nostre.
 penso alle terminazioni in • dei verbi della prima coniugazione
aventi l’infinito in –are quali travai•, scut•, perdun•, mangi•,
parl•, ecc… e di sostantivi femminili (in –ata) quali giurn•,
cai•, munt•, frit•, altern• perfettamente uguali alle
corrispondenti forme bovesane (ma non riscontrabili in altri
dialetti della zona se non in alcuni comuni dell’alta valle
Tanaro)
 la particella negativa non che diventa gn•nt sia nel chi€ che
nel bovesano 1
 a dittongazioni di parole quali fuart, muart, puarta (nella
parlata antica delle frazioni pi† alte di Boves erano fuort,
muort, puorta…. cosƒ come, mi pare, sopravvivano ancora nel
dialetto vernantino) mentre a Valdieri in valle Gesso sono
ancora del tutto simili a quelle in uso nel chi€
L’insieme di questi residui fonetici e di queste particolarit‡
sopravvissute a macchia di leopardo 2 nell’area interessata
sembrerebbero avvalorare l’ipotesi di un antico legame fra tutte
queste diverse parlate…. legami che nel corso dei secoli si sono
allentati per le diverse vicende storiche, umane, culturali, produttive
che hanno interessato le varie comunit‡, oltre che per la distanza che
fisicamente intercorre fra le valli.

Certo il chi€ … stato maggiormente conservativo rispetto ai dialetti


della Bisalta mantenendo una serie di particolarit‡ grammaticali da
noi ormai residuali, quali il fenomeno della palatizzazione dei gruppi
ca e ga latini (che si ritrova ancora in una serie di termini anche nel
bovesano – ciƒt, ciamp, ciafƒlch, mƒs-cia, ) o le trasformazioni delle
p – pr latine intervocaliche in b (ancora in alcune nostre parole „bƒy,
ciabra, …sbl„e,….), anche se questo non … sempre vero… in alcuni
casi Boves … stata pi† conservativa di altri dialetti (penso soprattutto -

1
Ed anche nel dialetto dell’alta valle Pesio
2
ricordo anche una particolarit‡ fonetica (simile a quella del chi€) usata nel dialetto
dell’alta Valle Pesio in parole quali: mon (mano), pion (piano), servon (silvano), sont
(cento), dumon (domani), sonte (sentire), lamontase (lamentarsi), ecc….
102
ma non solo - alla conservazione degli esiti in aire del bovesano
ancora usati comunemente dai buoni parlanti per indicare
professioni/tipi umani/animali tipo: ramasƒire per spazzino, calatƒire
per posatore di pietre del calat†, resiƒire per segantino (e /o
Chironomo anulato, un insetto che vola soprattutto in primavera con
un veloce movimento verticale che ricorda una sega). In molti casi
queste parole hanno assunto (scontrandosi con forme importate, pi†
nuove e vitali) una accezione pi† negativa, cosƒ accanto a casƒire
=cacciatore di scarso valore, di poco conto vi … il pi† ordinario
casad‡, pescƒire idem, associato a pescad‡, blagƒire idem, associato
a blagˆr, chentƒire idem assieme a cantante, ecc…

Molti altri esiti simili sono ancora presenti - anche se non pi† molto
comuni - nell’uso quotidiano (tipo buciƒire = bocciatore del gioco a
bocce alla lunga, tr„fƒire = persona ridicola e scherzosa, sgherƒire =
scialaquatore, spendaccione, calignƒire = fidanzato, ecc….).

Per finire il libro riporta una veloce rassegna di …mpropeři (insulti,


improperi), imprecazioni locali e vari modi di dire che la saggezza
popolare ha coniato nel corso dei secoli per definire situazioni e
comportamenti umani e sociali. Anche qui, proprio all’ultima pagina
del libro, una grande corrispondenza col bovesano dove si elencano le
varie forme che traducono i verbi italiani picchiare e malmenare in
uso in val Ellero:

śgiafl•, patl•, śclin•, fait•, …ngiac•, …nlard•, …nsavun•, …nlasagn•


(forme usate nel chi€)

sgiafl•, patl•, …ngiac•, …nlard•, …nsavun•, savat•, merend•, bimb•,


patun•, pic•, sacagn•, tavl•, …ngras•, vugne (forme usate nel
bovesano)

Fra le righe dei vari capitoli si ritrova inoltre, in diverse occasioni,


una pi† che condivisibile denuncia delle assurdit‡ fonetico-
grammaticali dovute al posizionamento – alcuni anni fa - di una serie
di cartelli segnaletici che dovrebbero uniformare la toponomastica
locale (scritti nella grafia cosiddetta normalizzata). La prima volta
che li ho visti anch’io mi sono chiesto chi avesse dato il consenso per
la loro apposizione… sicuramente non la gente del luogo, come mi
conferma la lettura di questo libro, vista l’indignazione che provocano
103
in tutti coloro che sono i cultori di quel dialetto, quelli che ancora lo
usano e lo praticano giustamente risentiti dello stravolgimento della
loro parlata che essi comportano!

La segnaletica incriminata in Val Ellero

Fausto Giuliano

104

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