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Come avrete notato ho cambiato la “testata” della rubrica.

Questo nuovo logo ha una storia: uno di Voi attraverso una mail anonima me lo ha inviato, facendomene dono.
Inaspettatamente. E proponendolo al posto dell’anonima tazzina di prima. Lo ringrazio attraverso questa nota e con piacere lo inserisco come nuovo logo!

Potenza dell’astrarre
Questa settimana, la necessità di affrontare a lezione il concetto di intorno e di distanza ha aperto un
ambito di riflessione interessante sull’idea di geometria. Le domande di alcuni di Voi durante l’intervallo, mi
hanno indotto a scrivere questo caffè, che conto raggiunga lo scopo che mi prefiggo.

Parto dalla geometria, appunto. La geometria, in una visione - direi - naturale, la intendiamo correlata allo
spazio fisico che abitiamo, alle forme dei suoi corpi e alle nostre esperienze percettive. Sembrerebbe non
poter vivere (ed esistere) senza figure e senza misurazioni di lunghezze, aree e volumi.
In realtà (e sorprendentemente) non è così. E cercherò di spiegarmi.
Fino all’Ottocento, anche giganti del pensiero come Kant (rafforzandoci - se volete – in quella che ho
definito “la nostra visione naturale”) hanno assunto, quali pilastri indiscussi della conoscenza, i postulati
della geometria euclidea. Considerati verità scientifiche necessarie ed universali, addirittura giudizi sintetici
e a_priori (quasi che i suoi concetti primitivi fossero scritti nell’essenza stessa delle cose, oltre e
indipendentemente dai nostri sensi e dalla nostra esperienza).
Senonché , come spesso capita nella storia del pensiero matematico, si presentò l’inatteso. Un inatteso (e
inaudito!) così sorprendente che anche un matematico della levatura di Gauss preferì adottare, al suo
cospetto, la strada della prudenza. Successe quando Gauss, lavorando alla possibilità di scardinare il
famoso V° postulato di Euclide (cioè dimostrarlo come conseguente dagli altri 4), ipotizzò che, data una
retta nel piano e un punto fuori di essa, potessero esistere più di una parallela. Ebbene, contro ogni
intuizione visiva, dovette arrendersi all’evidenza che si poteva giungere ad una geometria “strana” e
alternativa, ma sorprendentemente coerente. Non una smagliatura concettuale da poco, ma minare le basi
su cui poggiava tutto il resto. Aprire ad una geometria, udite udite, “non euclidea”. Fu tale lo
sbalordimento intellettuale che lo assalì, che decise di non pubblicare il suo lavoro. Scrisse in una lettera
riservata ad un collega (Franz Taurinus) nel 1824: “L’ipotesi che ho assunto per giungere ad un assurdo, in
realtà porta ad una sorprendente geometria, piuttosto diversa dalla nostra, ma fortemente coerente. “ In
un’altra lettera, scritta nel 1829, chiarì che non pubblicava il lavoro perché temeva le conseguenze sulla sua
reputazione. E c’è da crederci. Pensate allo sconcerto: tutto quell’edificio teorico (orgoglio inconcusso
dell’Occidente) costretto a ripiegare su altre teorie assiomatiche, altrettanto valide e in contrasto con il
“mostro sacro” Euclide. Non solo: teorie coerenti, ma in contrasto fra loro! Eretico fino ad allora poter
credere che una “verità geometrica” possa non essere assoluta. Tanto da lasciar sussistere coerentemente
tre geometrie (euclidea, iperbolica, ellittica) nelle quali al triangolo, ad esempio, possa essere attribuita la
proprietà di avere la somma degli angoli interni rispettivamente uguale, minore, maggiore di due angoli
retti! Eppure questa, per quanto in_credibile, era la nuova strada che si apriva, la svolta inesorabile. Anzi,
la più promettente tra le svolte possibili, quella che avrebbe portato a scenari inimmaginabili. Che
contemplano metodi assiomatici privi di figure, privi di correlativi oggettivi e “corporei”!

Una svolta che si sarebbe espressa in tutta la sua potenza di pensiero nei decenni a venire (con visionari
della stazza di Hilbert, Riemann, Poincarè, Einstein,…) ed avrebbe sbalordito il mondo scientifico.
Proprio Poincarè, a proposito dell’impostazione assiomatica di Hilbert, spiegò il nuovo paradigma
definendo quel programma finalizzato ad una geometria per “ciechi”. Scrisse: ” Che cosa mai siano queste
cose (si riferisce ai tre tipi di “cose” che Hilbert nel suo incipit propone di chiamare punto, retta, piano -
nota mia) non solo lo ignoriamo, ma non dobbiamo nemmeno cercare di scoprirlo. Non ne abbiamo alcun
bisogno, e anche a chi non avesse mai visto né punti, né rette,
né piani, potrebbe fare – di qui in poi – geometria non meno
PER CURIOSITA’ bene di noi che vediamo. Nello stesso modo, il termine
<<passare per>> o << giacere su>> non debbono suscitare in
Uno di Voi mi ha chiesto, noi più nessuna immagine. Il primo va inteso come sinonimo di
per curiosità, se possano <<essere determinato>> e il secondo di <<determinare>>…”
esistere geometrie non (La matematica e la logica - 1905)
euclidee diverse da quella
cui ho accennato a lezione. Capite, ragazzi, la grandezza di questa rivoluzione di pensiero!
La risposta è sì. Ad esempio, Una rivincita dell’astrazione nel suo significato più autentico
un altro possibile (e di linguaggio spogliato di rimandi obbligati a immagini e corpi.
semplice) modello reale su E’ uno scenario, credo se ne possa convenire, di un fascino
cui far vivere “le formichine” assoluto, che conferisce alla matematica la sola potenza della
bidimensionali potrebbe “logica di pensiero”, liberandola dall’annoso problema della
essere quello della superficie “verità assoluta” dei suoi assiomi.
sferica intesa come "piano",
La matematica si occupa di coerenza logica e di relazioni,
dei cerchi massimi su di essa
principalmente. I concetti primitivi non hanno più necessità di
intesi come "rette" e della
riferimento ad entità visibili e “materiali”. In tal senso le teorie
generica coppia di punti
matematiche assumono la veste, potremmo dire, di linguaggi
antipodali come "singolo
non interpretati : nei quali il requisito della coerenza degli
punto".
assiomi è, non solo necessario, ma sufficiente per dichiarare
Gli assiomi della geometria legittima una teoria (visibili o invisibili che siano i suoi
piana euclidea sono fondamenti primitivi). E, come se non bastasse, non sconvolge
sorprendentemente tutti più che possano sussistere teorie assiomatiche che
verificati, tranne il quinto. asseriscono “verità” incompatibili tra loro.

In questo modello non L’intelligenza umana e la conoscenza matematica si nutrono


esistono due rette parallele! di fantasia e di accuratezza formale: io trovo formidabile che
attraverso la logica possano condurci ad abissi concettuali ed
affacciarci a sistemi di pensiero coerenti, del tutto inesplorati.
Che lasciano scorgere universi paralleli. E che possono cambiare, in modo radicale, il nostro sguardo
sull’universo, rifondando il senso stesso della nostra visione del mondo. Meravigliandoci. Meraviglia, nel
suo significato originario, riconduce ad am_mirare. Mirare è guardare con attenzione, avere buona “mira”.
Studiare matematica è sostanzialmente imparare a “prendere la mira”, puntare (nel senso di rendere
acuto) lo sguardo per riuscire a “vedere” cose che non esistono. Cose che possono creare vertigine (come a
Gauss), ma che nascondono in “potenza” una forza del tutto inarrivabile per altre strade.

Per questo sento di darVi un consiglio, se me lo concedete. Quando studiate matematica è molto
importante visualizzare ogni definizione. Ma è più potente comprenderla, assimilarla nella sua essenza
logica, che non volerla soltanto vedere. Non confondete il comprendere con il visualizzare. Ogni immagine
(fondamentale per trattare un concetto matematico, direi essenziale per “fare” matematica!) nasconde
tuttavia, in certi casi, un approccio meno evoluto.
Quando incontrerete formalismi astratti pensateci, prima di disdegnarli (come potrebbe venire spontaneo
fare) alla stregua di simboli incomprensibili, lasciatevi sfidare dal contenuto che custodiscono, così
elegantemente. Ricordate che riuscire ad acquisire l’essenza di una definizione formale sintetica significa
diventare, speculativamente parlando, più evoluti e più qualificati. Significa esprimere forza concettuale,
nella sua massima potenza e nella sua somma grandezza scientifica.

Il che a me sembra esaltante.

PC

PER I PIU’ TEMERARI


(dedicato a colui tra di Voi che mi ha posto la questione “filosofica” della “matematizzazione” di un problema, sostenendo - nella sua
mail - che “un teorema che “funzioni” nasconde sempre una verità matematica di valore”).

Discutere la fondatezza matematica della congettura seguente:


Preso un numero intero N0 qualsiasi, scritto in lettere (e in italiano), gli si associ il numero N1 delle lettere che
compongono il suo " nome". Ad N1 si associ quindi il numero delle lettere N2 che compongono il suo "nome". E
così via...
La successione che si determina tende a 3.

Esempio:
N0: 1234 (milleduecentotrentaquattro) ;
N1: 26 (ventisei) ;
N2: 8 (otto) ;
N3: 4 (quattro) ;
N4: 7 (sette) ;
N5: 5 (cinque)
N6: 6 (sei)
N7: 3 (tre)
N8=N9=...=3

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