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Come avrete notato ho cambiato la “testata” della rubrica.

Questo nuovo logo ha una storia: uno di Voi attraverso una mail anonima me lo ha inviato, facendomene dono.
Inaspettatamente. E proponendolo al posto dell’anonima tazzina di prima. Lo ringrazio attraverso questa nota e con piacere lo inserisco come nuovo logo!

Elogio del dettaglio


Giovedì ho parlato, in aula, di studio come capacità di attrezzare lo sguardo al dettaglio. Il discorso è
continuato piacevolmente con alcuni di Voi nel corridoio, dopo la lezione. Per questo ho pensato di
assumerlo come tema di questo caffè.

Parto da una considerazione generale: soltanto il competente è capace a leggere i dettagli. O meglio a
leggere, di ogni dettaglio, la rilevanza, la specifica crucialità che lo rende essenziale o inessenziale. Alessio,
appassionato di automobili, ha certamente lo sguardo attrezzato al dettaglio: non passerebbero inosservati
ai Suoi occhi i nuovi cerchi in lega dell’ultima versione, che so, della classe A – Mercedes Benz rispetto ai
cerchi in lega della versione precedente. Qualsiasi forum di appassionati si dedicherebbe con dovizia
all’esame minuzioso di ogni piccola differenza, sapendo che, se è stata introdotta, nasconde una ragione e
un fascino specifico.

D’altra parte, ogni appassionato, in qualsiasi campo del conoscibile, Vi direbbe che sono i dettagli a fare la
differenza.

L’inesperto di solito coglie l’insieme, le cosiddette “grandi linee”. L’esperto invece, allo sguardo olistico,
certamente necessario, associa uno sguardo selettivo - attento e acuto - che esige di cogliere la traccia
rivelatrice, il segno che è una parte capace di dire il tutto. Meglio ancora, la più piccola parte, l'indizio, in
grado di consegnare il tutto.

Questo discorso vale, ovviamente, in primis per la parola. Giuseppe Pontiggia sosteneva acutamente che in
una lingua non esistono sinonimi. Ed è nell’inferenza tra due sinonimi che emerge la competenza linguistica
o tecnica. Nell’interstizio tra rischio e pericolo ci sta la competenza di chi si occupa di sicurezza.
Nell’interstizio di significato che passa tra diventare e divenire ci sta la competenza di chi si occupa di
crescita. In quello tra niente e nulla ci sta lo scarto tra una scatola vuota e un abisso. Tra faccia e volto ci sta
la distanza tra un urlo sgraziato per strada e l’armonia artistica della Madonna di Raffaello. Tra restare e
rimanere ci sta lo scarto tra spazio e tempo. Perché, come sosteneva la mia professoressa di lettere, si resta
nello spazio, ma si rimane nel tempo.

Dire “sia bianco che rosso” non è corretto come dire “sia bianco sia rosso”.

I dettagli di ogni linguaggio (sia esso ordinario o tecnico) possono avere carattere semantico o sintattico,
riguardare regole o significati. Presidiarli significa parlare meglio. Quindi comunicare in modo più vero ciò
che proviamo e pensiamo. Lo stesso vale per il linguaggio di una disciplina come l’analisi matematica: il suo
studio ti affina lo sguardo e lo indirizza al dettaglio autentico, presagio di comprensione piena.

E vengo ad un consiglio: quando studiate, ragazzi, prestate attenzione ai dettagli. Quando leggete il libro di
analisi osservate come sono scritte le cose, come sono enunciate le definizioni, come sono formulati gli
esercizi. Una definizione è spesso capolavoro di sintesi.
L’intorno bucato non è l’intorno generico. Dire area non è come dire superficie! Dire cerchio non è come
dire circonferenza(!) Dire crescente non è come dire strettamente crescente. Retta non è come dire linea.
Dire porzione di piano non è come dire piano. Mostrare non è come dire dimostrare. Verificare non è come
dire calcolare. Stabilire non è come dire verificare. Determinare non è come dire trovare. E “l'area
della regione delimitata da ..." non è “l’area di…”

Diventare competenti significa cogliere naturalmente certe differenze. Direi, meglio, provare fastidio
quando queste vengano confuse! A volte, studiando, cogliere talune differenze, scorgerne l’essenzialità e
la condizione di necessità, diverte pure!

Una cosa, concludendo, credo possa darsi per assodata: in ambito scientifico affrontare con “stile di
pensiero” una questione non è - quasi mai - svellersi da un modo abituale e radicato di pensare male o in
errore, ma è - quasi sempre - avere la capacità di elaborazione di un dettaglio rilevante.

PC

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PER I PIU’ TEMERARI…
PREMESSA STORICA
Nel 1500 era prassi diffusa che i matematici custodissero gelosamente le proprie scoperte, oppure le rendessero note
solo ad una stretta cerchia di discepoli. Spesso, enunciato un teorema, si ometteva di pubblicare la dimostrazione.
Il primo matematico che arrivò ad una formula risolutiva delle equazioni di terzo grado si chiamava Scipione Dal Ferro.
Egli non pubblicò mai la dimostrazione trovata e la volle lasciare, quale eredità, ad un suo allievo (molto fidato, ma
poco geniale) che si chiamava Antonio Maria Del Fiore. Costui, venuto in possesso di questa formula “segreta”, invece
che utilizzarla per ulteriori sviluppi, incominciò a vantarsi della propria capacità di risolvere equazioni cubiche. Arrivò,
con sicumera, a sfidare ad una famosa “disfida matematica” il matematico Tartaglia, senza sapere che lo stesso, in
maniera indipendente, aveva scoperto la stessa formula di Dal Ferro. Fu così che nel febbraio del 1535 si disputò la
disfida matematica Tartaglia – Del Fiore: un evento pubblico che ebbe una straordinaria risonanza. Ciascuno dei due
sfidanti sottopose all'altro quesiti di vario tipo, depositandoli di fronte ad un notaio e distribuendoli ai testimoni.
Inutile dire che mentre Tartaglia risolse tutti i problemi posti da Del Fiore in meno due ore, il Del Fiore non riuscì a
risolverne neppure uno di quelli proposti da Tartaglia: ciò contribuì a determinare la notorietà di Tartaglia (e la
definitiva scomparsa dal panorama dei matematici storicamente riconoscibili di Del Fiore).

Quesito storico (1534) dalla disfida tra Niccolò Tartaglia e Antonio Del Fiore.

A voi interpretarlo come problema e risolverlo….

TRADUZIONE: GARZONE , ho una botte piena di vino puro, dalla quale ne cavo fuori due
barili e poi la riempio d'acqua. Dopo alcuni giorni ne cavo fuori di nuovo due barili e poi la
riempio d'acqua.
Dopo alcuni altri giorni ne cavo fuori di nuovo due barili e poi la riempio d'acqua. E fatto
questo trovo che la botte contiene metà vino e metà acqua. Si domanda quanti barili tiene
la detta botte.
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