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Patto di pacificazione

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Il patto di pacificazione fu un accordo, firmato in Italia, il 3 agosto


1921 tra socialisti e fascisti.

Indice
Storia
Obiettivi
Conseguenze del patto
Soggetti firmatari
Note
Bibliografia

Storia Tito Zaniboni e Giacomo Acerbo,


firmatari del patto di pacificazione tra
L'accordo venne stretto a Montecitorio, nell'ufficio del Presidente socialisti e fascisti
della Camera.

Benito Mussolini era preoccupato per le sorti del fascismo in vista del crescente interesse per il socialismo:
pertanto aderì al patto, dopo aver discusso con il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, con i deputati
socialisti Pietro Ellero e Tito Zaniboni e con i deputati fascisti Giacomo Acerbo e Giovanni Giuriati, e
volendo attuare le volontà auspicate dal Presidente della Camera Enrico De Nicola e del Presidente del
Consiglio.

Il direttorio del Gruppo parlamentare comunista dichiarò verbalmente al presidente che «il Gruppo
parlamentare comunista, in conformità ed in consonanza con le dichiarazioni da tempo pubblicate dal
Comitato esecutivo del Partito Comunista d'Italia, non partecipa alle trattative». I rappresentanti del Gruppo
parlamentare popolare, on. De Gasperi e Cingolani, ringraziarono per l'invito, ma aggiunsero «il Gruppo
preferisce di rinunziare nei suoi riguardi ad una situazione ufficiale e di contribuire invece al
raggiungimento del nobile fine col perseverare nella Camera e fuori nel suo atteggiamento di rigida legalità
e di equa valutazione delle forze sociali che l'ha sempre ispirato».

Per i deputati repubblicani, risposero Chiesa, Mazzolani, Conti e Macrelli, formulando fervidi auguri per la
pacificazione necessaria alla salute del paese, ma dichiarando di non ritenere opportuno un loro intervento
«perché il Partito Repubblicano ha voluto rimanere neutrale nell'infausta contesa delle fazioni e resistere
anche quando le sue organizzazioni furono duramente colpite».

Obiettivi
Attraverso un accordo di tregua (rivelatosi ben presto puramente teorico) si voleva far uscire il paese dalla
china verso la guerra civile che vedeva contrapposti socialisti e fascisti; il patto consisteva in un generico
impegno di rinuncia alla violenza da ambo le parti.

Il Partito Socialista sfruttò l'occasione per prendere le distanze dall'organizzazione degli "Arditi del Popolo"
un gruppo armato che aveva il fine di difendere le associazioni proletarie dalle violenze fasciste,
indebolendo così ulteriormente lo schieramento di forze in difesa dei lavoratori.

Conseguenze del patto


Il congresso regionale dei Fasci emiliani e romagnoli, radunatosi il 16 agosto a Bologna, respinse il patto di
pacificazione e chiese la convocazione di un congresso nazionale. In quell'occasione, i "ras", gerarchi
fascisti locali, esprimendo la loro estraneità ai patti stretti, si schierarono contro Mussolini (chi ha tradito,
tradirà, si leggeva sui manifesti affissi nella città). Anche i capi fascisti di Firenze, di Venezia e dell'Umbria,
temendo di perdere la loro influenza, denunciarono il patto stesso.

Tutte le accuse furono respinte dal Consiglio Nazionale riunitosi a Firenze il 26 e 27 agosto e allo stesso
tempo fu respinta la lettera di dimissioni dalla commissione esecutiva dei Fasci, presentata da Mussolini
solo per protesta; al contrario, le dimissioni da vicesegretario generale dei fasci, presentate da Cesare Rossi,
furono accolte[1].

La totale ricomposizione delle fratture interne al movimento fascista si ebbe in occasione del Congresso
Nazionale dei Fasci svoltosi a Roma dal 7 novembre al 10 novembre 1921. Mussolini, resosi conto di non
poter fare a meno della massa d'urto dello squadrismo agrario, sconfessò il patto di pacificazione. Così
facendo i fascisti riconobbero la sua guida politica e accettarono la trasformazione del movimento fascista in
un partito vero e proprio. Nasceva così il Partito Nazionale Fascista (PNF).

Soggetti firmatari
Erano stati invitati a sottoscrivere tale accordo anche il Direttorio del Gruppo parlamentare comunista, i
rappresentanti del Gruppo parlamentare popolare e i deputati repubblicani.

Avevano sottoscritto, a nome del Consiglio Nazionale dei Fasci e del Gruppo parlamentare fascista:

Benito Mussolini;
Cesare Maria De Vecchi;
Giovanni Giuriati;
Cesare Rossi;
Umberto Pasella;
Gaetano Polverelli;
Nicola Sansanelli.

Per la direzione del Partito socialista italiano

Giovanni Bacci;
Emilio Zannerini.

Per il Gruppo parlamentare socialista

Elia Musatti;
Oddino Morgari.
Per la Confederazione generale del lavoro

Gino Baldesi;
Alessandro Galli;
Ernesto Caporali.

Note
1. ^ Mauro Canali, Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigia del fascismo, Il Mulino,
1991.

Bibliografia
Storia Illustrata, n. 249, agosto 1978, Mondadori

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