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La superficie è un diritto reale su cosa altrui, in virtù del quale un soggetto, diverso dal
proprietario del fondo, poteva costruire e mantenere in proprietà una costruzione su un
suolo altrui.
L’ISTITUTO fu originariamente ignoto al ius civile, nel quale vigeva incontrastato il principio
dell’inseparabilità del suolo dalla superficie ( “superficies solo cedit” ).
Fin dall’età repubblicana si manifestò, tuttavia, la tendenza al superamento di tale
principio : si diffuse infatti l’uso da parte dei magistrati, di concedere ai privati, mediante
un corrispettivo (cd. solarium) , il diritto di costruire sul foro o sulle strade :
così ad esempio era concesso agli argentarii (banchieri) di tenere le loro taverne (uffici) nel
foro.
Pur in presenza della concessione, il suolo restava pubblico, ma il costruttore aveva la
piena disponibilità della bottega, che poteva anche alienare o distruggere.
Al superficiario, peraltro, il pretore concesse un interdictum de superficiebus, era un
interdetto possessorio accordato al superficiario il quale fece si che il conductor, a
differenza di ogni locatario, venisse considerato e protetto come possessore della
superficie : al riguardo si parlò di quasi-possessio.
Nel diritto giustinianeo, si inizió a configurare la superficie come diritto reale : il diritto
ellenistico non conosceva il principio “superficies solo cedit” ed ammetteva perciò , che la
proprietà potesse essere divisa per piani orizzontali.
Il diritto del superficiario fu considerato come appartenente alla categoria degli “iura in re
aliena” e non come un’autonoma forma di proprietà.
Il superficiario dunque poteva : vendere, impegnare , dare in usufrutto, riconoscere una
servitù sul suo diritto.
In epoca giustinianea, pertanto , il diritto di superficie assunse le caratteristiche del
rapporto giuridico assoluto in senso improprio, tutelato da un’actio in rem superficiaria = il
superficiario poteva esercitarla nei confronti del soggetto che gli avesse sottratto il
godimento del diritto di superficie, occupando l’edificio realizzato sul fondo oggetto del
diritto.
ENFITEUSI
Nel diritto romano classico, non esisteva un istituto con tale nome : scopi affini erano
perseguiti mediante concessioni in godimento di terre da parte della città o di altri soggetti
pubblici, come il caso del cd. IUS IN AGRO VECTIGALI.
L’ager vectigalis : era il terreno di proprietà della Repubblica, che veniva concesso a privati
per lo sfruttamento, dietro il corrispettivo di un canone denominato vectigal = scopo della
concessione era di permettere un migliore e più attento sfruttamento della terra, pur
mancando in capo al privato l’obbligo giuridico di coltivare o migliorare il fondo. Finché il
canone veniva pagato, il concessionario non poteva essere spossessato.
Dall’età di Costantino, nel 5 secolo d.C si affermarono 2 TIPI di CONCESSIONE :
1) IUS PERPETUUM = che aveva ad oggetto i fondi del fisco ed il cui canone non era
modificabile;
2) IUS EMPHYTEUTICARUM = che aveva ad oggetto i fundi patrimoniales, vale a dire
quelli appartenenti alla dinastia imperiale ed il cui canone era modificabile dalla
dialettica tra concedente e concessionario per mantenere l’equilibrio economico tra
le parti.
Nel 5 secolo vennero unificati e denominati col solo nome di IUS EMPHYTEUTICARUM, il
quale presentava i seguenti caratteri :
o La concessione era data in perpetuo;
o Il canone era considerato invariabile;
o Il concedente nella prassi divenne anche il privato e non più solo la comunità
pubblica o l’imperatore.
Nel diritto giustinianeo, fu configurata come un rapporto assoluto reale in senso
improprio. Fu così modificata la disciplina dell’istituto : venne imposto all’enfiteuta
l’obbligo di comunicare al proprietario ogni trasferimento del suo diritto e fu accordato al
proprietario un diritto di prelazione (ius protimeseos), grazie al quale a pari condizioni,
doveva essere preferito, nel riscatto del fondo enfiteuticario, al terzo che intendesse
acquistare il diritto di enfiteusi.
Se il proprietario non esercitava tale diritto, gli spettava il c.d. laudèmium, cioè una sorta
di indennità pari al due per cento del prezzo pagato dal nuovo enfiteuta.
Attraverso l’istituto della devoluzione , il concedente, poteva risolvere il rapporto qualora
l’enfiteuta per 3 anni consecutivi non avesse pagato il canone o le imposte gravanti sul
fondo, non avesse fatto la comunicazione dell’alienazione o non pagato il laudemio,
oppure avesse gravemente deteriorato il fondo.
USUFRUTTO
L’usufructus è il dritto reale che consente ad una persona diversa dal proprietario di
utilizzare la cosa altrui e di percepirne i frutti o i redditi facendo salva la destinazione e la
natura della cosa stessa.
Esso può avere ad oggetto solo cose inconsumabili (altrimenti si configura il mutuo), cioè
quelle suscettibili di uso ripetuto e quindi restituibili al proprietario , e fruttifere.
A differenza di quanto accade nel diritto vigente, l’usufruttuario era considerato mero
detentore della res e non possessore , e non poteva quindi diventarne proprietario per
usucapione.
L’istituto nacque con una funzione alimentare in quanto il matrimonium sine manu
provocò il problema di provvedere al mantenimento della vedova che , non facendo parte
della familia, non poteva succedere ab intestato al marito.
Da tale funzione derivano 3 caratteri fondamentali:
1) Correlazione con la destinazione economica della res : infatti l’usufruttuario non
poteva mutare la destinazione del bene e tanto meno poteva compiere su esso atto
di disposizione, né apportare miglioramenti. L’usufruttuario doveva trattare e
godere della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia.
2) Connessione inscindibile con la persona : infatti il diritto si estingueva, oltre che per
morte, anche in caso di capitis deminutio. Il diritto inoltre era inalienabile e
intrasmissibile.
3) Temporaneità : il diritto di usufrutto doveva essere costituito a termine, e
comunque si estingueva con la morte dell’usufruttuario.
COSTITUZIONE USUFRUTTO:
L’usufrutto si costituiva nei seguenti modi :
o IN IURE CESSIO : Analogo alla in iure cessio servitutis , consistente in un processo
fittizio di vindicatio servitutis, esercitata da chi intendeva acquistare la servitù, cui
faceva seguito una in iure cessio del soggetto che la alienava;
o DEDUCTIO : Consistente nella riserva a proprio vantaggio dell’usufrutto, fatta
dall’alienante, nell’atto di alienazione di un bene = la riserva era dunque operata a
proprio favore dall’alienante nell’ambito di una mancipatio o di una in iure cessio;
o ADIUDICATIO : Provvedimento del giudice con il quale veniva assegnata in
proprietà, ad un singolo soggetto, una cosa che prima apparteneva ad un
patrimonio in comunione.
o LEGATUM PER VINDICATIONEM : Trasmetteva la proprietà dal testatore al
legatario.
o PATIENTIA ( quasi TRADITIO) : Cioè la dichiarazione di volontà riportata in un
documento per cui si consentiva che altri esercitasse l’usufrutto.
ESTINZIONE USUFRUTTO :
L’usufrutto si estingueva per :
- Morte dell’usufruttuario;
- Consolidatio : vale a dire la riunione nella stessa persona delle situazioni di
proprietario e usufruttuario;
- Remissio: cioè la rinuncia;
- Per non usus
TUTELA USUFRUTTO :
L’usufruttuario a tutela dell’usufrutto poteva esercitare la cd. vindicatio usufructus : che
costituiva un’applicazione della rei vindicatio, e fu detta in diritto giustinianeo actio
confessoria, nei confronti del proprietario e in diritto classico anche nei confronti di
qualsiasi possessore.
In seguito il pretore accordó tutela anche all’esercizio di fatto dell’usufrutto, attraverso la
cd. interdictum quem usufructum : interdetto possessorio e restituitorio concesso dal
pretore all’usufruttuario al fine di tutelarlo nella detenzione della res , oggetto di
usufrutto.
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