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CINEMA

Gli atti del Convegno Internazionale di Studi “Cinema


e identità italiana” (Roma, 28-29 dicembre 2017)
mettono in luce la molteplicità delle prospettive con

E IDENTITÀ ITALIANA
cui può essere affrontato il problema dell’identità
nazionale, in un arco temporale che va dai primordi
del cinema fino alla contemporaneità. Un gran numero
di studiosi di varia età e provenienza si misura con
metodologie e punti di vista differenti, intrecciando le

a cura di S. PARIGI C. UVA V. ZAGARRIO · CINEMA E IDENTITÀ ITALIANA


dinamiche cinematografiche con la storia culturale del a cura di
Paese e con il più vasto panorama intermediale.
STEFANIA PARIGI CHRISTIAN UVA VITO ZAGARRIO
Stefania Parigi insegna all’Università degli Studi
Roma Tre. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi Fisiologia
dell’immagine. Il pensiero di Cesare Zavattini
(Lindau 2006), Pier Paolo Pasolini. Accattone (Lindau
2008), Cinema-Italy (Manchester University Press
2009), Neorealismo. Il nuovo cinema del dopoguerra
(Marsilio 2014).

Christian Uva insegna all’Università degli Studi Roma


Tre. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi Cinema
digitale. Teorie e pratiche (Le Lettere, 2012), Sergio
Leone. Il cinema come favola politica (Ente dello
Spettacolo, 2013), L’immagine politica. Forme del
contropotere tra cinema, video e fotografia nell’Italia
degli anni Settanta (Mimesis, 2015) e Il sistema
Pixar (Il Mulino, 2017).

Vito Zagarrio insegna all’Università degli Studi


Roma Tre. Dirige il Centro Produzione Audiovisivi
e il Roma Tre Film Festival. Ha pubblicato, tra
gli altri, i volumi John Waters (Il castoro 2005),
L’immagine del fascismo. La re-visione del cinema e
dei media nel regime (Bulzoni 2009), The “Un-Happy Collana
Ending”: Re-Viewing the Cinema of Frank Capra
(Bordighera 2011), Regie. Il grande cinema italiano Spettacolo e comunicazione

4
dal neorealismo alla crisi (Bulzoni 2011).

4 2019
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo
FILCOSPE

Collana
Spettacolo e Comunicazione
4

CINEMA E IDENTITÀ ITALIANA


Cultura visuale e immaginario nazionale fra tradizione e contemporaneità

a cura di
Stefania Parigi, Christian Uva, Vito Zagarrio

2019
Comitato scientifico:
Luca Aversano, Marina Galletti, Raimondo Guarino, Giovanni Guanti,
Edoardo Novelli, Stefania Parigi, Veronica Pravadelli, Mirella Schino, Anna
Lisa Tota, Vito Zagarrio.

Redazione: Mattia Cinquegrani

Impaginazione e cura editoriale: Libreria Efesto


Elaborazione grafica della copertina: Mosquito mosquitoroma.it

Edizioni: ©
Roma, dicembre 2019
ISBN: 978-88-32136-82-1
http://romatrepress.uniroma3.it
Quest’opera è assoggettata alla disciplina Creative Commons attribution 4.0 International Licence (CC
BY-NC-ND 4.0) che impone l’attribuzione della paternità dell’opera, proibisce di alterarla, trasformarla
o usarla per produrre un’altra opera, e ne esclude l’uso per ricavarne un profitto commerciale.

L’attività della è svolta nell’ambito della


Fondazione Roma Tre-Education, piazza della Repubblica 10, 00185 Roma.
SOMMARIO

Stefania Parigi, Christian Uva, Vito Zagarrio, Introduzione 9

Roberto De Gaetano, Il romanzesco cinematografico italiano 13

Suzanne Stewart-Steinberg, Grounds for Reclamation:


‘From the Swamps to the Days of Littoria’ 25

ICONE NAZIONALI E ITALIANITÀ

Silvio Alovisio, Il corpo e l’anima di una nazione.


Immagini d’infanzia nella Serie Cuore della Film Artistica Gloria 45

Alessio Scarlato, La povertà del potere: appunti sull’identità religiosa


del cinema italiano 57

Fabio Andreazza, Il culto della patria, del littorio e della decima musa.
Nazionalismo e cosmopolitismo negli allievi del CSC (1935-1938) 67

Giulia Raciti, Il brusio del dialetto come godimento plurale della lingua 75

Francesco Ceraolo, Un paese fondato sul melodramma 83

Francesco Verona, “Verdi come il padre?”


Identità italiana e messa in crisi della tradizione verdiana nel cinema degli anni Sessanta 91

Luca Mazzei, L’italiano di legno nello specchio di Hollywood.


La ricezione del Pinocchio Disney in Italia tra fascismo e dopoguerra 101

PANORAMI CONTEMPORANEI

Nausica Tucci, La realtà della finzione.


Tracce identitarie nel cinema italiano contemporaneo 115

Francesco Federici, L’identità italiana attraverso il racconto delle migrazioni.


Musei, mostre e percorsi espositivi 125

Gabriele Landrini, Dall’intervallo alla Recess


Gli adolescenti di Disney Channel e l’identità italiana 135
Andrea Rabbito, L’immagine del dissenso.
La rivoluzione artistica di Pippo Delbono nell’Italia della crisi contemporanea 145

Stefano Guerini Rocco, Il Paese delle meraviglie. Percorsi di costruzione identitaria


e possibilità di (tras)formazione nel cinema di Alice Rohrwacher 155

Vito Zagarrio, Labirinti. Il piano sequenza nel cinema italiano contemporaneo 165

Vittoriano Gallico, Il Divo di Paolo Sorrentino.


Scrittura cinematografica di una storia controversa 179

Dario Cecchi, Mediare il medium. Narrazioni dell’identità e strategie


dell’emancipazione in Liberami di Federica Di Giacomo 189

DINAMICHE DI GENDER

Gabriele Rigola, Ménage all’italiana.


Ugo Tognazzi e le dinamiche di rapporto tra i sessi, tra cinema, identità e discorsi sociali 201

Ilaria A. De Pascalis, Cartografie immaginarie e politiche sessuali


in Mimì metallurgico ferito nell’onore 211

Enrico Biasin, «Per un po’ di tempo camminai come Yul Brynner».


I giovani uomini italiani del dopoguerra al cinema 221

Maria Elena D’Amelio, ‘The ideal man’.


Amedeo Nazzari and national melodramatic masculinity 233

Raffaello Alberti, Fellini e la ‘formazione incompiuta’.


Il maschio italiano tra sessualità e cattolicesimo 243

Elisa Mandelli, Valentina Re, «Le bellezze italiane sono tutte curve».
Identità in conflitto sulle pagine di Cinema nuovo (1952-1958) 253

LO SGUARDO DOCUMENTARIO

Mirco Melanco, Anni Sessanta.


L’identità italiana dell’arretratezza vista con gli occhi del cinema del reale 269

Daniele Dottorini, La memoria del fuoco.


Mito e racconto nel cinema del reale italiano contemporaneo 279

Mattia Cinquegrani, Tra arcaismo e modernità.


Il cinema documentario di Cecilia Mangini 291
Giacomo Ravesi, Padri d’Italia.
Autobiografia e dinamiche generazionali nel documentario italiano contemporaneo 301

Mariangela Palmieri, Le due Italie.


Il Sud come periferia nel documentario 311

Patrizia Fantozzi, Visitazione di un’idea di popolo come utopia estetica del mondo.
I cortometraggi di Vittorio De Seta 321

FRONTIERE, MIGRAZIONI, PERIFERIE

Giuseppe Previtali, Vite al confine.


Spazi e immagini delle migrazioni nella cultura visuale italiana 333

Massimiliano Coviello, Lo sguardo dell’altro sulla penisola.


Le migrazioni attraverso il cinema italiano 341

Leonardo De Franceschi, Cittadinanza e narrazioni audiovisive in Italia.


Istruzioni per un’inclusione differenziale 351

Tommaso Di Giulio, Who Framed Rome?


Periferie urbane ed esistenziali nella Roma nel cinema italiano contemporaneo 361

ITALIANI ALL’ESTERO

Antonio Catolfi, Lo stile cinematografico italiano all’estero.


Artisti e artigiani del set, professionisti e luoghi produttivi 373

Marco Bertozzi, Identità mediali e culture in transito.


Immagini migranti, dall’atelier di Teledomenica a Ricordati di noi 385

Gius Gargiulo, Fritaliens. Slittamenti dell’italianità nel cinema francese 393

Dom Holdaway, Massimo Scaglioni, Studiare la circolazione.


Metodologie e problematiche di un progetto di ricerca 403

Marco Cucco, Le istituzioni e le politiche a sostegno della distribuzione internazionale


del cinema italiano 415

Paolo Noto, Il cinema italiano negli Istituti Italiani di Cultura all’estero.


Alcuni casi di studio 425

Luca Barra, Marta Perrotta, Il cinema italiano nelle reti televisive


e piattaforme digitali statunitensi 433
VIAGGI IN ITALIA TRA CINEMA, FOTOGRAFIA E TELEVISIONE

Palmira Di Marco, Chi legge? In viaggio con Mario Soldati e Cesare Zavattini 445

Anna Bisogno, I viaggi in Italia di Mario Soldati tra cinema e televisione 455

Bruno Roberti, Un viaggio in Italia. L’ Odore del sangue 463

Caterina Martino, Viaggio in Italia con Bob Dylan.


Identità del paesaggio (inter)nazionale nel percorso fotografico di Luigi Ghirri 473

AUTORI, TEORIE E FILM

Enrico Menduni, L’Italia sul mare nel cinema di Francesco De Robertis.


Un problema ancora aperto 485

David Bruni, «Siate sempre tutti uniti sotto una sola impresa».
Tradizione nazionale e identità italiana nel cinema di Alessandro Blasetti (1932-1938) 495

Teresa Biondi, Antropologia dell’immaginario nazionale e ‘processi di (dis)identità’


nel cinema di Luchino Visconti 505

Marco Maria Gazzano, Lo sguardo al futuro di Carlo Lizzani teorico 515

Chiara Capobianco, L’Italia che si riconosce nel cinema dei drammi popolari:
il caso di Assunta Spina (1915). Un nuovo modello del rapporto identitario nazionale
film-spettatore 525

Lorenzo Marmo, Spazio, paesaggio, mappa.


Roma e la modernità nel cinema noir di Pietro Germi 535

IDENTITÀ LOCALI E IDENTITÀ NAZIONALI

Paolo Villa, Film in the Piazza.


Le piazze d’Italia come luogo d’identità nazionale nei cortometraggi del dopoguerra 549

Angela Bianca Saponari, L’iconizzazione del Sud tra antropologia visuale


e industria culturale 559

Antioco Floris, Identità locale vs identità nazionale. Il caso Sardegna 571

Luca Bandirali, Il Salento si alza.Come una regione di confine nel bacino


del Mediterraneo è diventata un’area di interesse nell’ambito del cinema europeo
contemporaneo 581
Denis Brotto, Disfunzioni, disgregazioni, digressioni. Se l’identità italiana si fa aporia 591

Giacomo Martini, L’importanza dei territori nella storia del cinema italiano.
Dagli stimoli culturali e antropologici alle film commission 601

QUESTIONI POSTCOLONIALI

Gina Annunziata, La costruzione dell’identità italiana e dell’alterità coloniale


nel cinema muto italiano 611

Samuel Antichi, Cronache dell’Impero. La ridefinizione dell’identità nazionale italiana


attraverso la rappresentazione dell’alterità africana nei cinegiornali dell’Istituto Luce 621

Maria Francesca Piredda, Rovine e macerie.


Permanenze e rimozioni dell’identità coloniale nel cinema italiano
dal secondo dopoguerra alle migrazioni contemporanee 629

Gaia Giuliani, Gli eroi son tutti giovani e belli.


Il cinema degli eroi tra memoria coloniale, condanna del fascismo e nuovi e vecchi modelli
di genere (1949-1954) 639

ATTORI E DIVI

Denis Lotti, 1924: Maciste pro o contro Mussolini?


Corrispondenze tra divismo cinematografico e potere politico 653

Anna Masecchia, «Ho servito il Re, il Duce e i Presidente della Repubblica».


Vittorio De Sica anni Cinquanta 661

Simona Busni, Divismo e melò secondo Michelangelo Antonioni 671

Cristina Colet, Monica Vitti. Un’icona della modernità 681

Marina Pellanda, Un esempio di identità italiana.


Il magistero d’attore di Gian Maria Volonté 691

Alberto Scandola, Il buono, il mammo(ne), il bello, il cattivo.


Stefano Accorsi e le maschere dell’italianità 699

GENERI E SIMBOLI DELL’ITALIANITÀ

Cecilia Brioni, Rita e «La Zanzara».


La costruzione dell’identità giovanile italiana nei film Musicarelli (1958-1968) 711
Claudio Bisoni, Il cinema musicale italiano degli anni Sessanta e l’identità
delle nuove generazioni tra nazionale e globale 721

Rossella Catanese, Vespa, Lambretta e Geghegé. Beat e Mods all’italiana 731

Elio Frescani, Identità italiana e storia in Totò al Giro d’Italia 741

Christian Uva, Italiani alla deriva.


Note su cinema e maschi da spiaggia nell’epoca del boom 751

Stefania Parigi, La ‘ricostruzione’ delle vacanze.


Mare e spiagge negli schermi dei primi anni Cinquanta 763
Gaia Giuliani
Gli eroi son tutti giovani e belli.
Il cinema degli eroi tra memoria coloniale, condanna del fascismo
e nuovi e vecchi modelli di genere (1949-1954)1

Premessa

In questo mio contributo mi concentro su come l’identità razziale degli


italiani, articolata in modo compiuto dal fascismo come il risultato della
convergenza tra mediterraneità e bianchezza, venga a tradursi, nel dopo-
guerra, in una sua versione repubblicana, ancora debitrice nei confronti
del fascismo di alcuni suoi elementi strutturali, ma anche profondamente
riarticolata a partire dal nuovo contesto storico, politico e sociale. Tale
identità verrà indagata in modo più specifico a partire dalle costruzioni
della bellezza maschile e femminile incarnate dai grandi modelli popolari:
i divi e le dive del cinema2. Le loro figure verranno prese in esame all’in-
terno di un genere cinematografico specifico, quello che è stato definito
‘degli eroi’. Una disamina della loro corporeità e performatività sarà utile a
comprendere non solo quali sono la nuova donna e il nuovo uomo italiani
proposti al grande pubblico mediante le pellicole del decennio che segue
il varo della costituzione repubblicana, ma anche e soprattutto qual’è la
relazione tra questi idealtipi e l’archivio coloniale da cui ‘le figure della
razza’ che popolavano l’immaginario degli italiani venivano articolate fino
a pochissimo tempo prima. Il contesto è quello dell’Italia che si risolleva
dalle macerie, che deve fare i conti con la propria adesione di massa al
fascismo, con il piano Marshall e la propria subalternità alla nuova potenza
1
Il presente saggio è il risultato della ricerca finanziata dalla FCT – Fondazione Portoghese per
la Scienza e la Tecnologia (DL 57/2016/CP1341/CT0025 and CES-SOC/UID/50012/2019)
e dai fondi portoghesi della FCT per il progetto (De)Othering (Riferimento: POCI-01-0145-
FEDER-029997). Il saggio è frutto altesì della collaborazione con il progetto DECODE/M
(Riferimento: PTDC/COM-CSS/31740/2017).
2
Per maggiori approfondimenti, cfr. M. Landy, Stardom Italian Style, Screen Performance
and Personality in Italian Cinema, Indiana University, Bloomington 2000.

639
G. Giuliani

mondiale, con il conflitto tra Democrazia cristiana e Partito comunista,


e tra modernità, modernismo e spinte emancipative (sia all’interno della
società italiana, sia nel mondo coloniale). Ma è anche quello in cui il
cinema è ancora di filiazione diretta dei generi sperimentati dal fascismo
sull’onda delle grandi epopee (dalla mitologia greca, egizia e romana agli
eventi di storia antica, medioevale e rinascimentale, ai grandi melodrammi
operistici), mentre il mercato ancora non eterodirige la scelta dei copioni,
non impone la serialità tipica del peplum degli anni sessanta, né stabilisce
divisioni insormontabili tra i generi cinematografici: ne è una riprova la
presenza dei grandi divi del momento – da Amedeo Nazzari a Massimo
Girotti, da Elisa Cegani a Clara Calamai e, successivamente, da Sophia
Loren a Silvana Mangano – tanto nel cinema degli eroi, quanto in quello
neorealista, diretti, moltissime volte tanto dall’eclettico ex regista del fasci-
smo e dei telefoni bianchi, Alessandro Blasetti, quanto dagli eponimi del
neorealismo, come Luchino Visconti.
Il mio interesse per il ‘cinema degli eroi’, ossia quell’insieme di generi
in cui gli eroi possono essere forzuti, re e principi in ambietazione storiche,
epiche e mitologiche, deriva proprio dal significato a esso associato nel
contesto storico specifico del primo decennio dalla fine della guerra e del
fascismo: l’uomo e la donna nuovi – che devono rappresentare una cesura
col fascismo – incarnano il bene assoluto, il sacrificio, il pacifismo, i valori
cristiani, e desideri di grandezza che sono visti come non disgiungibili
dalla ricerca di giustizia (politica e sociale) e dalla pietas (verso i nemici).
La caratterizzazione degli idealtipi positivi, così come di quelli negativi
sono profondamente gendered e racialised, e dialogano tra loro in tutti i
generi cinematografici che possono essere ricondotti al ‘cinema degli eroi’.
Nel mio caso, la disamina, nello specifico, di Fabiola di Blasetti (1949),
Messalina di Carmine Gallone (1951), Spartaco - Il gladiatore della Tracia
di Riccardo Freda (1953), Attila di Pietro Francisci (1954) e Ulisse di
Mario Camerini (1954), i cosiddetti peplum dall’afflato sociale e politico
(afflato che sparirà con il boom della fine degli anni cinquanta), resta
essenziale a una comprensione dei modelli di genere e delle costruzioni
razziali in una prospettiva che è sia di storia culturale, sia semiotica, sia
propria degli studi postcoloniali e di genere 3.
3
I principali film da prendere in considerazione a tal proposito sono: A. Blasetti, La
corona di ferro, Italia, 1941; Id., La cena delle beffe, Italia, 1942; Id., Fabiola, Italia-Francia,
1949; M. Camerini, Ulisse, Italia, 1954; C. Gallone, Messalina, 1951; P. Francisci, Attila,
Italia-Francia, 1954; R. Freda, Spartaco - il gladiatore della Tracia, Italia-Francia, 1953; R.
Matarazzo, Catene, Italia, 1949; Id., Tormento, Italia, 1950; Id., I figli di nessuno, Italia,
1951; Id., Chi è senza peccato..., Italia, 1952; Id., Torna!, Italia, 1953; Id., L’angelo bianco,

640
Gli eroi son tutti giovani e belli

Generalmente si considera il cinema degli eroi come caratterizzato da


forte conservatorismo e da una visione patriarcale e maschilista dei ruoli di
genere 4. Sono altresì d’accordo con O’Brien che in realtà la mascolinità, e
aggiungerei le costruzioni di razza, sono caratterizzate in modo non sem-
pre lineare e sicuramente debitore di una relazione circolare tra contesto,
memoria e tentativi di lettura del presente.
Non molto è stato scritto sulla costruzione di mascolinità e bianchezza5
che viene offerta al grande pubblico dal peplum, né sui modelli di bellezza
e bianchezza che questo genere popolarizzava, per quanto un’attenzione
alla relazione con l’impero e alla rappresentazione della razza sia stato
abbozzato da tutti coloro che ne hanno discusso. Ciò non toglie che
manchi un corpus di ricerca più concentrato su di un’analisi postcolonia-
le di questo cinema in grado di riconnetterlo alla ricerca storiografica e
culturale più sensibile alla relazione circolare tra immaginario coloniale e
imperiale, costruzioni di genere, razza e classe, e testo visivo.
Seguendo il divenire e il frastagliarsi di quella che appare come una
linea manichea che divide il Bene dal Male e che è stata descritta come
l’asse portante del cinema degli eroi sin dai suoi albori, questo saggio
indaga la performatività dei corpi, ossia, come nel cinema degli eroi, a
differenza del neorealismo, e molto più come il melodramma – da cui esso
deriva e che ingloba insieme a molte altre tradizioni, tra cui il film d’azione
e noir –, il corpo dell’attore/attrice ri-produca il personaggio e incarni tale
dicotomia, così come le sue vesti, il colore dei capelli, etc.
Com’è dicotomica la caratterizzazione di scenari e personaggi, così è la
produzione dello sguardo legittimo del pubblico sul personaggio, per cui la
diva è modello per il pubblico femminile e oggetto di desiderio per quello
maschile, come il divo è oggetto di desiderio per il pubblico femminile e
modello per quello maschile 6.
Lo sguardo omoerotico sul divo si vorrebbe impossibilitato: eppure,
appunto, come ha notato O’Brien in riferimento al ‘cinema dei forzuti’
nella sua genealogia italiana e nella sua versione americana, l’erotizzazione
del forzuto, nel momento in cui il protagonista è reso corpo, quasi esclu-
sivamente corpo – penso a peter-pan/Arminio di La corona di ferro (di

Italia, 1955; Id., Malinconico autunno, Italia, 1958; L. Visconti, Ossessione, Italia, 1943;
Id., Rocco e i suoi fratelli, Italia, 1960.
4
Per maggiori approfondimenti, cfr. D. O’Brien, Classical Masculinity and the Spectacular
Body on Film: The Mighty Sons of Hercules, Palgrave Macmillan, Basingstoke-New York
2014, p. 14.
5
Ad eccezione, ad esempio, di Dyer O’Brien, Reich e D’Amelio.
6
D. O’Brien, Classical Masculinity, cit., p. 12.

641
G. Giuliani

Alessandro Blasetti, Coppa Mussolini nel 1941), Attila di Pietro Francisci,


così come a Spartaco di Riccardo Freda, e penso ai corpo-a-corpo tra
antagonisti maschili che costituiscono uno dei momenti topici di questi
film – è assolutamente inevitabile. I modelli di genere che questo cinema
rappresenta, solidifica e popolarizza, dunque, lungi dal produrre una
ricezione lineare, risultano complicati dal contesto sociale cangiante il
quale, nel leggere codificazioni apparentemente dicotomiche, ne riconosce
e ne svela la pretesa normatività. Riprendendo da una lato la critica che
Judith Butler, Fatimah Tobing Rony e Nicholas Mirzoeff propongono alla
posizionalità dell sguardo, alla serialità che produce norma e al diritto a
guardare/essere visto 7 il mio saggio prende in considerazione la funzio-
nalità politica dello sforzo estetico posto in essere mediante il ‘cinema
degli eroi’ in una fase della storia italiana in cui quelli che ho chiamato
i modelli dell’‘uomo e la donna nuovi’ non venivano tendenzialmente
imposti dall’alto – come invece, in modo più deciso per quanto non privo
di contraddizione, durante il fascismo 8 – ma venivano ‘fortemente pro-
posti’ per un’intervento sociale e culturale nel presente che partisse dalla
riattualizzazione mistificata del passato.
I codici razziali veicolati dal genere cinematografico che io appun-
to definisco ‘degli eroi’, e che accompagnano i modelli di genere che
esso polarizza e popolarizza si riferiscono in modo interessante più alla
costruzione della bianchezza/virilità/femminilità che alla stigmatizzazione
dell’alterità razzializzata. Non è infatti – o non è solo – la costante presenza
di attori in black face o neri (penso a Spartaco e a Fabiola) a essere centrale,
ma piuttosto l’uso, ancora una volta dicotomico, dell’iconografia cristiana
che associa il biondo, il bianco e il luminoso al Bene, e il moro, lo scuro,
il nero al Male.
In un certo senso, se è vero, come ho avuto modo di sostenere altrove 9,
che il razzismo etero-referente (ossia quello che secondo la sociologa

7
Cfr. J. Butler, Engendered/Endangered: Schematic Racism and White Paranoia, in Reading
Rodney King, Reading Urban Uprising, a cura di R. Gooding-Williams, Routledge, New
York-London 1993, pp. 15–22; F. Tobing Rony, The Third Eye. Race, Cinema, and
Ethnographic Spectacle, Duke University, Durham 1996; N. Mirzoeff, The Right to Look.
A Counterhistory of Visuality, Duke University, Durham 2011.
8
L’industria cinematografica non venne mai completamente fascistizzata per varie ragioni
che spingono Brunetta a definire il controllo su di essa dal parte del regime una ‘fascistiz-
zazione imperfetta’. Cfr. G.P. Brunetta, Cent’anni di cinema italiano. Dalle Origini alla
seconda guerra mondiale, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 179-190.
9
Cfr. G. Giuliani (a cura di), Il colore della nazione, Le Monnier/Mondadori Education,
Firenze-Milano 2015.

642
Gli eroi son tutti giovani e belli

Colette Guillaumin si ottiene mediante l’individuazione e codificazio-


ne inferiorizzante di un Altro/a costruito come razzialmente differente,
mediante cui si ha la celebrazione dei valori suppostamente associati alla
bianchezza e la ‘neutralizzazione’ della norma bianca) prevale a partire dal
secondo dopoguerra, è vero anche che il ‘cinema degli eroi’ ribadisce come
le forme di invisibilizzazione – ad esempio del passato coloniale metafo-
rizzato/mitizzato nella Roma imperiale e dunque sottratto a una disamina
critica – si nutrano sia di razzismo etero-referente sia di quello auto-refe-
rente. Se la mancata defascitizzazione della cultura italiana è stata accom-
pagnata da una mancata decolonizzazione 10, tale mancata decolonizzazio-
ne porta con sé la responsabilità politica della trasmissione di immagini e
immaginari del Sé e degli Altri coloniali e postcoloniali che mantiene la
carica razzista che li caratterizzava. A parte forse il colossal ‘post-fascista’
Fabiola, in cui il bianco e nero aiuta a una intercambiabilità tra buoni e
cattivi fascisti e martiri cristiani (come in effetti nell’immediato dopoguer-
ra tra fascisti e non-più-fascisti), in cui d’altra parte il malvagio e servo del
potere ragazzotto che manda nell’arena gli innocenti si chiama Corvino, il
farsi corpo della bianchezza fascista e repubblicana avviene mediante l’uso
delle forme fisiche, dei colori, delle contrapposizioni. Corpulenza, atleti-
cità e richiamo alle proporzioni fisiche sono lette come immediatamente
e indiscutibilmente tramandate dal mondo antico e per tale motivo con-
siderate normativamente come la quintessenza del bello: già fortemente
codificate durante il fascismo, esse restano a significare tanto superiorità
fisica quando morale e razziale. Perché, come ha affermato Richard Dyer,
nonostante storici e archeologi avessero smentito la ‘bianchezza’ delle sta-
tue greche e romane rivelandone le antiche pigmentazioni, nel riflettere
sul corpo dei forzuti scrive che la bianchezza di quei modelli di bellezza
era totalmente data per scontata sin dagli albori del culturismo 11. Nel caso
italiano, la questione ha maggiormente a che vedere con cosa il regime
e poi la cultura del post-guerra intendevano fosse l’eredità biologica e
storica a fondamento dell’identità italiana. La questione della bianchezza
nel caso italiano si interseca inesorabilmente con il concetto di mediterra-
neità – un costrutto alquanto incostante e poroso che aveva a che fare con
un’immagine del Mediterraneo culla della civiltà italiana come crogiolo di

10
Cfr. Ead. (a cura di), La sottile linea bianca. Intersezioni di razza, genere e classe nell’Italia
postcoloniale, in «Studi culturali», 10, 2013, fasc. II, pp. 253-343; Ead. (a cura di), Il colo-
re della nazione, cit. e T. Petrovich Njegosh (a cura di), La ‘realtà’ transnazionale della
razza. Dinamiche di razzializzazione in prospettiva comparata, in «Iperstoria», 6, 2015.
11
Cfr. R. Dyer, White, Routledge, London-New York 1997, p. 148.

643
G. Giuliani

stirpi, tradizioni, e lingue, culla della romanità e della cristianità, ecumenico


per quanto ecumenico potesse essere l’impero romano. La questione della
mediterraneità italiana aveva salvato la ‘razza italica’ fascista dall’essere
considerata ‘meno ariana’ (rivendicando alla mediterraneità – come antico
crogiuolo di stirpi originatosi grazie all’espansione imperiale dei romani –
una superiorità storica, culturale, e, infine, razziale – nel senso del ventre
da cui si originarono le più alte civiltà europee) e ora salvava la lettura
egemonica e postfascista dell’identità razziale degli italiani dalle respon-
sabilità storiche della dottrina ariana (l’arianesimo venne abbracciato
dal regime solo temporanemente, erroneamente e in virtù della mortale
alleanza col nazismo). Essa avrebbe salvato gli italiani da tutti i peccati e
come tale sembrava essere la chiave d’accesso sia all’assoluzione degli ita-
liani ‘bonaccioni, passionali e intrisi di buoni sentimenti’ dalle brutture
del fascismo sia al mondo del made in Italy ossia della commercializzazione
di un’Italian way of life che includeva oltre al cinema, anche una quan-
tità di beni di consumo e status symbol. La Roma di Cinecittà e della
Farnesina fungeva da scrigno dei gioielli (nostrani e Nord Americani gra-
zie al sistema delle runaway productions) che la nuova industria dei sogni
in celluloide italiana poteva offrire. E quella stessa mediterraneità, grazie
all’invisibilizzazione del pesante portato che la rilettura dell’antichità da
parte del fascismo aveva lasciato in eredità e grazie all’‘operazione Fabiola’
(il bagno di cristianità che assolveva i nuovi romani dal passato prossimo
fascista, o che, come affermano D’Amelio e Di Chiara, spostava lo sguar-
do sulla Germania nazista e l’olocausto paragonato alle stragi di cristiani
nella Roma antica) 12 veniva fatta derivare ‘naturalmente’ da Roma. Il
corpo abbronzato e tornito associato a quell’immaginario di bellezza è
da intendere come elemento intrinseco alla mediterraneità: a differenza
del senso ‘appropriativo’ che l’abbronzatura assume negli Stati Uniti e in
Australia («we belong here, we are native, we enjoy our sun»), in Italia essa
ha a che vedere con la celebrazione della vita contadina, considerata per
antonomasia la più sana e forte e dal Fascismo, in questo senso, celebrata.
È il mito contadino e allo stesso tempo il mito di un Mediterraneo dove
pare che l’inverno non scenda mai, un’età aurea che si sposa con i dettami
del consumo e con il concetto di tempo libero, con la moda che scopre i
corpi, con la maggior liceità nell’abbigliamento e nella condotta sociale 13.

12
M.E. D’Amelio, Ercole, il divo. Dall’antica Grecia al cinema italiano degli anno Sessanta,
Aiep, San Marino 2012, p. 60. Di Chiara, Peplum. Il cinema italiano alle prese col mondo
antico, Donzelli, Roma 2015, p. 47.
13
Ivi, p. 155.

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Gli eroi son tutti giovani e belli

Due sono dunque i grandi assi simbolici che vengono impiegati in quella
che è appunto a mio avviso, un’operazione di cleasing della coscienza e
della memoria operata attraverso il cinema degli eroi dei primi dieci anni
del dopoguerra e nei film da me presi in considerazione: la mediterraneità
– come elemento che distanzia gli italiani-brava-gente dagli ariani nazisti
– e la cristianità – come spirito che unisce, fratellanza che crea comunità
nazionale e pietas che perdona. Come vedremo la mediterraneità verrà
utilizzata in due modi: disincarnata (la bianchezza e biondezza di martiri
ed eroi vuole prendere distanza dal colore ‘bruno’ del male, della sete di
potere, dell’ingiustizia – fascista), e incarnata nel senso di una continuità
tra Mediterraneo (storia antica e epica di un luogo che è letto come culla
della ‘comunità immaginata’ italiana) e Repubblica post-fascista (al cui
fondamento stanno cristianità e famiglia – patriarcale e nazionale).
In questa cornice, la mia analisi si concentrerà sul rapporto tra corpo e
mito, tra corporeità e caratterizzazione della corporeità ai fini di un discor-
so salvifico (che salva l’Italia dai propri peccati): in un sistema simbolico
che si pretende dicotomico e che fa i conti con le caratteristiche del divi-
smo ereditate dal fascismo (anch’esse espresse in termini dicotomici, se si
pensa sia al filone dei telefoni bianchi 14 sia a quello epico-mitologico in cui
le caratterizzazioni del Bene e del Male erano molto nette) indagherò la
tensione tra la scelta di determinati corpi (a rappresentare il bene e il male)
e la capacità di certi corpi a dettare le caratteristiche dei personaggi. Così
Anna Magnani – così come Alida Valli – non ‘facevano cinema degli eroi’,
mentre prima Clara Calamai, Elisa Cegani, Luisa Ferida, Gianna Maria
Canale, e poi Sophia Loren, Silvana Mangano e Irene Papas ne furono le
regine: la scelta era chiara e dipendeva dagli archetipi di bellezza e di nor-
matività che giungevano alla società italiana del tempo mediati da elemen-
ti culturali e contesti sociali specifici. E al contempo le grandi e bellissime
star mediterranee del firmamento cinematografico italiano divenivano un
tutt’uno con le cattive (more e dagli occhi scuri), o con le impavide (come
nel caso di Ferida in La corona di ferro, ma anche in La cena delle beffe) o
con le buone (angeliche, bionde e dagli occhi chiari): ossia imponevano
(riproducevano) esse stesse modelli di bellezza e comportamento che nella
loro corporeità sembravano trovare perfetta rappresentazione. La questio-
ne che lega in modo inscindibile la generatività simbolica dei corpi e il suo

14
Cfr. G. Giuliani, L’italiano negro, in Bianco e nero. Storia dell’identità razziale degli
italiani, G. Giuliani, C. Lombardi-Diop, Le Monnier-Mondadori Education, Firenze-
Milano 2013, pp. 21-66; Ead., Race, Nation and Gender in Modern Italy: Intersectional
Representations in Visual Culture, Palgrave Macmillan, London 2018.

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G. Giuliani

contrario, la selezione e modifica di quegli stessi corpi perché essi riflettano


specifici modelli di genere e razza, mi aiuterà a comprendere se l’estraneità
di Valli e Magnani, ad esempio, al ‘cinema degli eroi’ che prima celebrava
il fascismo, poi la neonata repubblica cristiana contro la guerra e il fasci-
smo, e infine – dai primi anni Cinquanta – il paternalismo conservatore
e maschilista del Maciste-eroe in guerra contro la sovversione dei costu-
mi sessuali, dell’etero-patriarcato e della gerarchia dei sessi, possa essere
interpretata nell’alveo di uno sforzo a stabilire una nuova normatività del
femminile e del maschile. Una normatività del femminile che Valli (regina
del cinema fascista dei telefoni bianchi e poi musa di Visconti) e Magnani
(quintessenza della femminilità eccessiva) non potevano incarnare per la
drammaticità, la complessità e la multidimensionalità dei loro personaggi.
Una normatività del maschile che privilegia Nazzari – dalla sessualità rassi-
curante, così come viene costruito dopo La cena delle beffe – a Girotti il quale
è sì nel ‘cinema degli eroi’ fascista e dell’immediato dopoguerra sempre il
biondo e buono, specialmente se contrapposto all’Anthony Quinn di Attila,
ma è anche l’assassino dall’erotismo incontenibile e sovversivo di Ossessione
(di Luchino Visonti, 1949). Tale normatività, che impone la desessualiz-
zazione dei retti uomini – biondi e di bianco vestiti – contrappone altresì
questi ultimi alle donne monodimensionali – ipersessualizzate, perfide e
senza scrupoli – come Messalina – e agli usurpatori che, alla fine, della carica
sessuale di Messalina si servono per tramare e destabilizzare il potere.

1. Bianco è bene: cinema degli eroi e modelli di virtù postcoloniale

I film ‘degli eroi’ segnano il passaggio dalla versione fascista del gene-
re a quella che sarà di produzione e per il mercato internazionali e che
consacrerà il genere in Italia e all’estero a partire dalla fine degli anni
cinquanta. Si trovano riarticolati, risignificati in una cornice politica di
segno opposto, resi funzionali a specifiche esigenze storiche. Prendo qui
in considerazione alcune di queste produzioni, e nello specifico, il celebre
Fabiola, definito il più neorealista dei peplum, del post-fascista Blasetti,
Messalina, Spartaco - Il gladiatore della Tracia, Attila e Ulisse. Leggo queste
produzioni in modo contrappuntistico sia mediante l’analisi dei ruoli che
interpreta Girotti in film come Ossessione, sia mediante l’analisi del grande
filone melodrammatico diretto in quegli anni da Raffaello Matarazzo e
interpretato da Nazzari e Yvonne Sanson.
Nei film sopracitati vi è la presenza della star fascista Elisa Cegani (una
delle pochissime dive che continua a fare peplum nel dopoguerra e che non

646
Gli eroi son tutti giovani e belli

a caso è Sira in Fabiola, la cristiana che si martirizza – purificando la stessa


Cesani dal peccato di fascismo – affinché possa avvenire la conversione
della protagonista). Vi sono poi Gianna Maria Canale (Sabina, la figlia
di Marco Licinio Crasso, massimo persecutore di Spartaco), la messicana
María Félix (Messalina), Silvana Mangano (Penelope di Ulisse), Sophia
Loren e Irene Papas (Onoria, rispettivamente la sorella dell’imperatore
Valentiniano III, e la moglie di Attila). Secondo gli archetipi di bellezza e
di normatività, i colori, il grado di procacità e lo sguardo tutte le eroine
negative (assetate di potere) sono rappresentate da fattezze fisiche pro-
rompenti, indomite, scure, mediterranee. L’unica donna dipinta come
dalla bellezza angelicata e superiore è Mangano/Penelope, se non fosse che
la stessa Mangano è nel film anche Circe, la maga che può, a causa della
propria ossessione amorosa per Ulisse, pregiudicare il ritorno dell’eroe.
Ulisse è Kirk Douglass, eroe biondo e affascinante, strafottente e arrogante
anche contro gli intenti moralizzanti e celebrali del regista Camerini 15,
modello di virilità antica e contemporanea, che sfida l’altrove e le sue
minacce per tornare a rifondare quella patria che è altresì minacciata da
usurpatori e immorali. Qui l’out there mitologico non può non evocare
il parallelo con l’avvenuta perdita della quarta sponda – ad eccezione del
protettorato italiano in Somalia fino al 1960 – e la ‘tristezza’ che questa
perdita accendeva sia dentro il dibatito politico e istituzionale, sia nelle
produzioni culturali dell’immediato dopoguerra. L’odissea non si pretende
appropriativa – non è un viaggio finalizzato alla conquista – e la sua riedi-
zione in questo momento storico alleviava gli animi dalla consapevolezza
di una colonizzazione fallita. Penelope assediata dai traditori della morale
– i fascisti? – verrà infine liberata, dal ritornato eroe.
Nel 1949, è la bionda Fabiola che, convertitasi al cristianesimo, incar-
na la redenzione degli italiani dalla colpa summa di aver creduto, aderito
e sostenuto il fascismo, la guerra e la repressione interna. La sua figura
recupera l’immaginario nordico che infonde nell’iconografia cristiana
l’idea che «bianco è bene» e che sarà strutturale al peplum dei decenni
d’oro, e lo salda al political cleansing moralizzante necessario al fine della
fondazione di una nuova ‘comunità immaginata’ sulla base della pace,
della riconciliazione e della fratellanza fra italiani 16. Ovviamente del colo-
15
D’Amelio, Ercole, il divo. Dall’antica Grecia al cinema italiano degli anno Sessanta, cit. p. 61.
16
Fabiola è stato descritto come un «campo di battaglia ideologico»: alla sua realizza-
zione partecipò tutto l’arco delle forze politiche antifasciste, da quello cattolico a quello
comunista e vide lo scontro tra le ragioni dell’industria e quelle della critica, quelle del
Vaticano, della critica di sinistra, e del pubblico che lo premiò. Cfr. Di Chiara, Peplum.
Il cinema italiano alle prese col mondo antico, cit. pp. 136-137, 140.

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G. Giuliani

nialismo non vi è menzione – esso non è una colpa da espiare e la agognata


comunità immaginata pacificata è tutta chiusa dentro i confini nazionali.
Fabiola è la figlia di Fabio Severo che, deciso a liberare gli schiavi cristiani,
viene assassinato durante una cena nella sua dimora. Fabiola è innamorata
del centurione e gladiatore gallo Rhual che viene accusato dell’omicidio.
Massimo Girotti è San Sebastiano, martirizzato perché a sua volta accusato
dell’omicidio di Fabio Severo. Girotti, qui al servizio della nuova commu-
nitas pietatis che deve essere l’Italia post-fascista, come il fu Girotti di La
corona di ferro è un eroe cristallino: lotta per la giustizia, difende il bene,
non si oppone al proprio martirio. Come Arminio non si era opposto al
proprio destino di re. Molto diverso è il Girotti di tutti i film del neoreali-
smo italiano: Visconti, De Sica, Germi, Rossellini, Zampa lo dirigeranno
tra il 1943 e il 1948 in ruoli che mettono profondamente in luce le con-
traddizioni culturali, sociali e politiche in cui sono immersi i modelli di
mascolinità e virilità negli anni della ricostruzione, tra crollo del modello
patriarcale fascista, crisi e ricerca di nuovi riferimenti 17.
Gianna Maria Canale, come María Félix e Sophia Loren sono le meretri-
cis reginae 18, donne della lussuria e della tracotanza: la prima (Sabina) perdu-
tamente innamorata di Spartaco, usa il proprio potere per averlo, la seconda
(Messalina) e la terza (Onoria) sono le femme fatale secondo la classificazione
di D’Amelio, che vogliono sempre più potere e si macchiano di sangue e tra-
dimenti pur di eliminare tutti gli ostacoli ad una brama senza fondo, eppure
restando vittime delle proprie macchinazioni. In questi film la cattiveria
delle protagoniste è come dicevo corredata dai tratti mediterranei, che pur
sempre le distinguono da ebrei usurai (Messalina) e schiavi neri (Spartaco e
Fabiola). I loro amanti e innamorati sono o biondi e retti (George Marchal
che è il Caio Sillo di Messalina e il Girotti di Spartaco), i quali tradiranno i
loro piani per ristabilire la giustizia, o asiatici/unni, come Attila (Anthony
Quinn), il quale minaccia Roma da nord, che vedrà morire la sua seduttri-
ce (Onoria/Loren) senza preoccuparsene granché e che fermerà la propria
avanzata sugli Appennini solo di fronte a papa Leone I. La mediterraneità
scura e negativa delle donne di potere è disincarnata nella bianchezza e
biondezza buone di Fabiola; la mediterraneità come valore positivo è rein-
carnata da personaggi come il centurione che in Fabiola è impersonato da
Gino Cervi, bonario dall’accento bolognese che «vuole fatte le cose per

17
Cfr. R. Ben Ghiat, Unmaking the fascist man: masculinity, film and the transition from
dictatorship, in «Journal of Modern Italian Studies», 10, fasc. III, 2005, pp. 336-365.
18
D’Amelio, Belle e dannate. Donne di potere nel cinema storico-mitologico italiano, in Non
solo Dive. Pioniere del cinema italiano, Cineteca di Bologna, Bologna 2009, pp. 305-313.

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Gli eroi son tutti giovani e belli

bene» contro la corruzione dei senatori e dei loro scagnozzi, e che pur non
convertito piange il martirio della figlia cristiana.
Contrappunto costante, con una produzione cinematografica che negli
stessi anni eguaglia quella di Girotti e che rappresenta il terzo genere in lizza
con neorealismo e ‘cinema degli eroi’, è il melodramma (seriale) firmato
Raffaello Matarazzo: Catene (1949), Tormento (1950), I figli di nessuno
(1951), Chi è senza peccato... (1952), Torna! (1953), L’angelo bianco (1955)
e Malinconico autunno (1958).
Qui Amedeo Nazzari 19 veste e diviene tutt’uno con l’ideale maschile
paterno, dolce, rigido difensore del talamo ma anche pronto a rivedere
le proprie posizioni: non c’è dramma non c’è sberleffo, a differenza di
quel neorealismo da vitelloni che negli stessi anni con Sordi, Gassman e
Mastroianni irride ‘l’inetto’ rivelandone inadeguatezza e potere.
The inetto articulates the traditional binary opposite of the masculine,
as it is constructed in Italian culture and society, and as it relates to
sexuality: the cuckold, the impotent and the brave, he is cowardly;
rather than sexually potent, he is either physically or emotionally im-
potent. His shortcomings and failings are in the opposition to the
prescribed masculine norms deeply rooted in Italian culture20.

Nazzari è la certezza della rifondazione patriarcale dell’ordine costituito:


solido nei principi, egli è Guglielmo il marito forse tradito dalla moglie in
Catene, è Carlo il fidanzato e marito devoto creduto colpevole di omicidio
e poi scarcerato in Tormento, è Guido eroe nobile e interclassista che non
può combattere contro il peccato di amare una popolana in I figli di nes-
suno, è Stefano l’emigrante che torna dall’amata Carla e adotta il nipote in
Chi è senza peccato..., è Roberto il giovane ereditiero onosto e di successo
che difende l’amata dal proprio fratello fannullone e invidioso in Torna!, è
ancora Guido innamorato di Luisa la popolana e della sua sosia Lina, nel
sequel di I figli di nessuno dal titolo L’angelo bianco, ed è infine Andrea, padre
premuroso tutto votato a dare il proprio nome a suo figlio in Malinconico
autunno. In questi film si intrecciano storie di vita comune, grandi trage-
die del tempo (la povertà, l’emigrazione), il senso di dignità ritrovata in

19
Per maggiori approfondimenti sulla figura di Amedeo Nazzari divo e ideale di masco-
linità rassicurante, cfr. Landy, Stardom Italian Style, Screen Performance and Personality
in Italian Cinema, cit.; M. Günsberg, Italian Cinema: Gender and Genre, Palgrave
Macmillan, Blomingstoke-New York 2005, pp. 19-59.
20
J. Reich, Beyond The Latin Lover: Marcello Mastroianni, Masculinity and Italian
Cinema, Indiana University, Bloomington 2004, p. 9.

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G. Giuliani

un’Italia che esce dalle macerie senza che esse siano mai visibili. Fascismo,
colonialismo, leggi razziali, persecuzioni e tragedie di guerra non entrano
mai in scena, lasciando a Nazzari e Samson, divi che incarnano e riarticolano
mediante la loro performance l’idea del buon padre italiano e della brava
e fedele moglie e madre amorosa, a interpretare i protagonisti passionali e
appassionati della nuova vicenda italiana e mediterranea.

Conclusioni

Giovani e belli sono gli eroi delle saghe del cinema degli eroi.
Diremmo piuttosto che la declinazione gendered e racialised di questi per-
sonaggi ha traghettato concezioni di bellezza, bontà e prestanza attraverso
cinque decenni offrendo una gamma di modelli specifici che nei primi
anni Cinquanta fanno i conti con il passato e il presente della società
italiana. Negli anni Cinquanta la società italiana del dopoguerra si squa-
derna nei propri archetipi e modelli, di fronte ad una crisi che viene presa
in consegna dalla cinematografia e messa a tema. Il ‘cinema degli eroi’
prova a traghettare gli Italiani e le Italiane attraverso questa crisi facendo
i conti con il fascismo, con le difficoltà della ricostruzione, con l’appello
dell’industria americana e del piano Marshall. Di fatto propone modelli
di genere e una riarticolazione dell’identità razziale degli italiani che nella
loro caratterizzazione dicotomica provano a stabilire una distanza dal
fascismo e dalla guerra e a porre le fondamenta di una nuova comunità
immaginata. Tale comunità immaginata, fondata sulla riconciliazione
interna e sul mito della fratellanza cristiana, si vuole deresponsabilizzata
nei confronti della lunga storia del colonialismo e delle violenze di classe,
genere e razza che hanno segnato la storia d’Italia sin dal momento in
cui il cinema muto irrompe da protagonista ad interpretare il presente.
Pur di ambientazione storico-mitologica, la presenza italiana nell’altrove
coloniale (nella Roma antica come nell’Africa fascista) non viene messa a
tema ma resta nello sfondo: l’assenza è presenza e dentro questa cornice
viene ripensata la mediterraneità, del bonario centurione, così come della
Roma cristiana. La mediterraneità dunque è mantenuta, ma declinata non
più come il posto al sole, ma come la zona d’ombra in cui proteggere il
senso di continuità col passato e di proiezione nel futuro da cui il recente
peccato fascista è espunto.

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