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Buddismo e Società - Numero 139 01/02/19, 17)47

Buddismo e Società n.139 - marzo aprile 2010

Speciale

Ma non siamo gente ingenua


di Paolo Napoli e Lodovico Prola

Dopo lo speciale del numero precedente sulla Proposta di disarmo nucleare


del presidente Ikeda abbiamo ritenuto importante approfondire l'argomento
relativo al "disarmo interiore", perché il Buddismo insegna che non vi è
separazione fra l'individuo e il suo ambiente: il cambiamento di una singola
persona (la rivoluzione umana) può influenzare la realtà che la circonda fino a
determinare un mutamento radicale della mentalità di tutti.
Scrive Ikeda nella Proposta: «Se vogliamo lasciarci alle spalle l'era del terrore
nucleare dobbiamo combattere contro il vero "nemico". Quel nemico non
sono le armi nucleari in quanto tali, né gli stati che le possiedono o le
costruiscono. Il vero nemico da affrontare è il modo di pensare che giustifica
le armi nucleari: l'esser pronti ad annientare gli altri qualora essi siano
considerati una minaccia o un intralcio alla realizzazione dei propri interessi.
Questa è la nuova consapevolezza che tutti noi dobbiamo condividere, ed era
a questa consapevolezza che il mio maestro Josei Toda si riferiva quando
parlava di privare degli artigli la minaccia profondamente nascosta nelle armi
nucleari. [...] Credeva che un cambiamento rivoluzionario nella coscienza dei
singoli, diffondendosi in tutto il mondo, costituisse l'unica forza
sufficientemente profonda e radicale in grado di porre fine all'era nucleare»
(Buddismo e società, n. 138, p. 54).
Non c'è quindi alcun disarmo "esteriore" senza quello interiore.
Partendo da questo assunto è importante chiedersi cosa possiamo fare noi
per realizzare il disarmo e quindi la pace. Poiché il conflitto fa parte della
nostra cultura, è necessario lo sforzo di aprirsi maggiormente al dialogo e alla
discussione quali mezzi di soluzione delle dispute, e di concepire l'altro non
come un avversario, bensì come un'opportunità di superamento della nostra
visione limitata.

Stereotipi e preconcetti

Un primo ostacolo da affrontare per intraprendere la via nonviolenta alla


risoluzione dei conflitti è quello costituito dai pregiudizi. Il pregiudizio infatti
impedisce di ascoltare l'altro e determina una resistenza a qualsiasi tentativo

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di scoprire la sua umanità al di là di qualsiasi differenza di opinione, di credo o


di etnia. Il proposito di superare i pregiudizi è un'impresa particolarmente
difficile perché non ci rendiamo conto di averne: è come lottare contro i mulini
a vento. Il presidente Ikeda spiega che per superare il pericolo del pregiudizio
occorre mantenere uno spirito critico, intrattenendo un onesto "dialogo
interiore". A proposito del rischio del proliferare di stereotipi e immagini
preconcette offerte dallo sviluppo dei mass media, scriveva: «È vitale che tutti
noi ci poniamo alcune domande importanti: "Accetto senza alcuna critica le
immagini che mi sono mostrate?; "Credo ciecamente ai fatti rappresentati
senza prima esaminarli?"; "Mi sto involontariamente lasciando condizionare
dai pregiudizi?"; "Riesco veramente a cogliere la realtà delle cose?"; "Sono
stato sul posto?"; "Ho incontrato le persone coinvolte?"; "Ho ascoltato ciò
che hanno da dire?"; "Mi sto facendo deviare da voci incontrollate e
tendenziose?". Credo che questo tipo di dialogo interiore sia di fondamentale
importanza, perché le persone coscienti, pur mantenendo pregiudizi inconsci,
possono interagire con gente di altre culture più facilmente di coloro che sono
convinti di non avere pregiudizi. Quando smettiamo di guardare noi stessi,
quando non ci poniamo più domande, diventiamo arroganti e dogmatici. Il
nostro interagire diventa una via a senso unico, non riusciamo ad ascoltare gli
altri e il vero dialogo è perciò impossibile. Il tipo di dialogo che può portare
alla pace deve iniziare con un aperto e onesto dialogo con noi stessi»
(Buddismo e società, n. 136, p. 7).
Grazie a questo spirito cosciente o consapevole potrò assumere un
atteggiamento umile e curioso nei confronti dell'altro, e sarò capace di
accettare soluzioni diverse da quelle mie precostituite, potrò di conseguenza
aprirmi all'altro e permettere che mi possa arricchire. Abbandonare i consueti
schemi difensivi preconcetti è una lezione che - come suggerisce il presidente
Ikeda - potremmo imparare dal filosofo francese Michel de Montaigne:
«Nessuna asserzione mi sorprende, nessuna credenza mi offende per quanto
possano essere opposte alle mie. Non c'è fantasia, per frivola o stravagante
che sia, che non mi paia un naturale prodotto della mente umana». Montaigne
affermava inoltre: «Perciò le opinioni che mi contraddicono non mi offendono
né mi allontanano, sono solo uno stimolo a esercitare la mia mente. Noi
rifuggiamo dal venire corretti e invece dovremmo ricercare la correzione ed
esporci a essa, specialmente quando accade nel corso di una discussione e
non di una lezione scolastica» (citato in Buddismo e società, n. 92, p. 50).
Per trovare una via dialogica, una strada non conflittuale, con il mio
interlocutore-antagonista devo uscire dalla logica dell'attacco e della difesa,
del carnefice e della vittima, dell'amico-nemico. Devo rompere il guscio

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dell'autodifesa, ciò che il Buddismo definisce "piccolo io". Con questa


espressione il Buddismo indica l'individuo dominato dal suo ego, fragile e
sospettoso, che per debolezza e per paura costruisce attorno a sé una
corteccia di diffidenza e pregiudizio e che, nel disperato tentativo di salvare se
stesso dalla minaccia altrui, finisce per costruire gabbie di cui egli stesso è
vittima.
La strada nonviolenta della risoluzione dei conflitti proposta dal Buddismo
passa fondamentalmente dal dialogo, di cui sia Shakyamuni sia Nichiren
Daishonin erano maestri. Ma prima ancora di essere campioni di dialogo, anzi
per poterlo essere, erano persone dallo spirito eccezionale, dotate di grande
coraggio, grande equilibrio e forza. Avevano sostituito all'ego la Buddità, uno
stato vitale capace di abbracciare l'altro e di scoprire la perfetta non dualità di
sé e degli altri. Campioni dell'autocontrollo, erano dotati di una compassione
profonda per l'interlocutore, per quanto culturalmente diverso o sostenitore di
interessi diametralmente opposti.
Un sutra narra un episodio nel quale l'anziano Shakyamuni usò il potere del
linguaggio per impedire un'invasione, e invece di ammonire in maniera diretta
il ministro del Magadha intenzionato a conquistare lo stato confinante di Vaji,
gli parlò in maniera convincente dei princìpi che governano la prosperità e il
declino di una nazione. Il suo discorso dissuase il ministro dallo sferrare
l'attacco previsto. «Come mai - si chiede Ikeda - Shakyamuni riusciva a usare
il linguaggio con tanta disinvoltura ed efficacia? Cosa faceva di lui un maestro
di dialogo senza eguali? Penso che la sua eloquenza fosse dovuta alla vastità
della sua condizioneilluminata, assolutamente libera da dogmi, pregiudizi e
attaccamenti. [...] Il potere della sua straordinaria personalità fece dire a un
sovrano suo contemporaneo: "Coloro che non riusciamo a indurre alla resa
con la forza delle armi, voi sapete sottomettere disarmato"» (Ibidem, p. 46).
Nel Sutra del Loto si fa riferimento ad alcuni "campioni di dialogo" che
avranno il compito di realizzare kosen-rufu. Sono i Bodhisattva della Terra, che
hanno promesso di creare in prima persona un'armonia straordinaria nella
società contemporanea armati soltanto del cosiddetto "potere morbido". Le
loro qualità hanno poco a che fare con la diplomazia o con le buone maniere:
si sono assunti un compito che richiede innanzitutto un'elevata condizione
vitale. Così il Sutra del Loto riassume le caratteristiche che devono possedere:
«Con salda forza di volontà e concentrazione,
ricercano la saggezza con costanza e diligenza,
espongono varie dottrine meravigliose
e le loro menti sono libere dalla paura.
[...] Abili nel rispondere a difficili domande,

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le loro menti non conoscono la paura.


Hanno coltivato con assiduità la perseveranza,
sono fieri di dignità e di virtù» (SDL, 289, 292).

L'unico sano pregiudizio

AlIa base di tutto, il bodhisattva assume quello che potremmo definire "l'unico
sano pregiudizio": la convinzione incrollabile che tutti gli esseri possiedono la
Buddità.
I suoi sforzi sono sostenuti dalla ferma convinzione dell'eguaglianza di tutte le
persone, cioè del fatto che ognuna possiede il potenziale per l'Illuminazione.
È una profonda fede nell'umanità che ispira i Bodhisattva della Terra a
dedicarsi costantemente al dialogo, nel tentativo di individuare un terreno
comune e di armonizzare prospettive differenti.
Quelli di noi che hanno tentato di esporre questa prospettiva in diverse
conversazioni hanno trovato spesso il medesimo atteggiamento: «È bello
quello che dici ma la realtà è ben diversa: se non ti difendi ti fregano». E
ancora: «Il mondo è pieno di persone cattive, se non ti imponi ti fanno fesso e
sarai tu l'unico a soffrire». Sicuramente la via suggerita dal Buddismo non è
facile o senza pericoli, ma il bodhisattva rifiuta di farsi dissuadere o
scoraggiare dalle difficoltà intrinseche in questa sfida. Semplicemente si rifiuta
di rimanere nell'ambito del conflitto che genera solo sofferenza e inchioda nei
mondi di Inferno, Collera o Animalità. La via suggerita dal Buddismo è
cambiare prospettiva alzando lo stato vitale, allo scopo di acquisire la
saggezza e la compassione per abbracciare l'altra persona.
La via del dialogo, il potere morbido, o il disarmo interiore non sono ingenuità,
non rendono le persone sprovvedute e pronte farsi facilmente fregare. Si tratta
di uscire dalla logica dell'offesa-difesa e vivere su un altro piano, basando la
propria esistenza sul grande io e la relazione con gli altri, sul riconoscere la
Buddità altrui. Mi rivolgo all'altro perché desidero scoprire la sua umanità,
rimanendo tuttavia consapevole che egli possiede (e manifesta) gli altri nove
mondi. Da questa prospettiva il maestro di dialogo non è un debole, un
perdente, ma una persona dall'eccezionale autocontrollo, assolutamente
inflessibile con se stessa, con una capacità straordinaria di abbracciare l'altro
e con una indomabile attitudine ad affrontare il male senza compromessi,
come un re leone.

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