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Responsabilità del medico per il danno prenatale

Siamo nell’ambito della responsabilità medica definita dalla dottrina come microsistema della responsabilità
civile, dati i numerosi interventi della giurisprudenza che hanno modificato i canoni che tradizionalmente
caratterizzavano il sistema della responsabilità civile. Si sono venuti così determinando delle regole
operazionali, specifiche per la responsabilità medica. Si pensi alla circostanza per cui il professionista
sanitario vene oggi gravato sempre più da obblighi di risultato relativamente al compimento di attività che
invece hanno un’alta percentuale di imprevedibilità e di componente naturalistica come può essere il
normale decorso delle malattie, segnando una discontinuità rispetto alle obbligazioni di mezzi che
solitamente gravano su chi esercita un’attività professionale e che richiedono di agire con la diligenza
specifica dovuta. Si è posta anche una diversa disciplina dell’onere della prova relativamente agli
interventi sanitari di facile esecuzione in cui l’onere probatorio grava sul sanitario; e interventi di difficile
esecuzione in cui l’onere della prova grava sul paziente.
Relativamente alla responsabilità dei soggetti, il sistema della responsabilità medica conosce innanzitutto
una tripartizione:
1. La responsabilità del medico che agisce da libero professionista, in rapporto diretto col paziente,
quindi indipendentemente da un eventuale rapporto di lavoro dipendente con una struttura
sanitaria. In questo caso la sua responsabilità è sicuramente di carattere contrattuale e nasce
dall’inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale stipulato col paziente.
2. La responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata, ed anche qui è ormai pacifica la
natura contrattuale del rapporto che si instaura tra la struttura sanitaria e i paziente. La cassazione
ha ormai stabilito che sia nel caso di struttura privata, sia nel caso di struttura pubblica, la
responsabilità che sorge è di natura contrattuale e si basa sul contratto di spedalità il quale si
instaura non appena il paziente entra in contatto con la struttura sanitaria.
3. La responsabilità del medico dipendente della struttura sanitaria pubblica o privata:
○ Orientamento ormai superato riteneva che vi fosse un contratto d’opera professionale solo
tra struttura e paziente, per cui era l’ente sanitario ad assumere in proprio l’obbligazione
terapeutica e diagnostica, ed essa era responsabile contrattualmente nei confronti del
paziente. Un’eventuale responsabilità del medico dipendente poteva configurarsi solo
come responsabilità extracontrattuale.
○ A seguito della sentenza 589\1999 la Cassazione facendo propria la dottrina tedesca del
contatto sociale, ricostruì la responsabilità del medico dipendente dalla struttura, come
una responsabilità da contatto sociale qualificato precisando che essa ha natura
contrattuale come se tra paziente e medico intercorresse un contratto di prestazione
d’opera professionale.
○ A seguito del decreto Balduzzi la responsabilità del medico dipendente dalla struttura
sanitaria viene ricondotta nell’alveo della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043,
mentre resta contrattuale la responsabilità dell’ente ospedaliero.

Danno da nascita malformata


La dottrina è solita ricondurre alle categorie della ‘nascita non desiderata’ o del ‘danno del bambino’ una
serie di ipotesi eterogenee nelle quali l’evento dannoso è ravvisato ora nella nascita non desiderata, ora nella
lesione dell’integrità psico-fisica del nascituro; in quest’ultimo caso si è parlato di DANNO PRENATALE,
DANNO DA PROCREAZIONE, DANNO AL FETO e di DANNO DA NASCITA MALFORMATA, come
causa di un’esistenza diversamente abile, proprio perché il rimedio risarcitorio non ha ad oggetto la nascita
contro volontà, bensì l’invalidità provocata da una condotta commissiva del medico e/o dalla violazione
degli obblighi di informazione.
Es. -> Qualora il medico leda il feto nel corso di erronei interventi ostetrici o di interruzione della
gravidanza, egli dovrà risarcire integralmente i danni arrecati al fanciullo che, una volta nato, sia affetto da
un handicap permanente.
Nella ampia categoria del ‘Bebé Prejudice’ vengono ricondotte tutta una serie di ipotesi eterogenee. Vi
rientra il cd. danno Prenatale o da nascita malformata consistente in un danno ingiusto rappresentato
dalla lesione dell’integrità psicofisica del nascituro derivante da condotta commissiva o omissiva dei
sanitari.

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Nell’ambito del danno prenatale rientra anche il danno da nascita indesiderata o da nascita non voluta il
quale tuttavia ha un altro ambito di configurabilità, ricorrendo quando, a causa del mancato rilievo
dell'esistenza di malformazioni del feto, la gestante non ha la possibilità di interrompere la gravidanza. Il
danno da nascita indesiderata è l’espressione infelice con cui si designa il danno non patrimoniale
subito dalla gestante per non essere stata posta in grado di autodeterminarsi nella prosecuzione della
gravidanza specie in presenza di processi patologici, tra cui anomalie e malformazioni nel nascituro,
che espongano a un grave pericolo la sua salute fisica o psichica, a causa dell’inadempimento del
medico all’obbligo di un’adeguata informazione.
Quindi mentre il danno da nascita malformata riguarda il danno psico-fisico recato al bambino dalla
condotta lesiva del medico, il danno da nascita indesiderata riguarda la lesione del diritto
all’autodeterminazione della persona costituzionalmente garantito, subito dalla gestante a seguito
dell’omessa informazione sullo stato di salute del nascituro e conseguente nascita di un bambino
malformato non voluto.
Quando si parla di danno da nascita malfornata si fa riferimento ad una particolare situazione che deriva
da una diagnosi prenatale nella quale il medico non individua, colposamente (ossia con negligenza,
imperizia o imprudenza), le malformazioni al feto e, quindi, non offre alla madre gli elementi utili per
valutare se interrompere o meno la gravidanza (entro i termini previsti dalla legge. La legge sull’aborto
(l. 140/1978) consente alla gestante di abortire nei primi 90 giorni di gravidanza se c’è un pericolo
serio per la sua salute; oltre il 90esimo la gestante può avortire se sussiste il pericolo grave per la vita
della donna o accertati processi patologici tra cui anomalie o malformazioni fetali che comportino un
grave pericolo per la salute psichica o fisica della donna.
La violazione degli obblighi informativi relativi alla diagnosi prenatale comporta una lesione del
diritto di interruzione della gravidanza e conseguentemente un danno alla libertà di
autodeterminazione costituzionalmente garantita (art 13 cost). La responsabilità medica che sorge è una
responsabilità contrattuale (da contratto o da contatto) per violazione degli obblighi di protezione che
tramite la tecnica del contratto con effetti protettivi per terzi viene estesa anche ad altri soggetti in primis il
coniuge della partoriente, poi anche i fratelli e le sorelle del nascituro (danno esistenziale perché le
maggiori cure che saranno dovute al figlio affetto da handicap incideranno sul rapporto dei genitori con gli
altri figli determinando una modifica dell’agenda di vita degli stessi).
Quindi mentre nel danno tanatologico il risarcimento ai terzi è riconosciuto attraverso la plurioffensività
dell’illecito, nel danno da nascita indesiderata la tecnica utilizzata è il contratto con effetti protettivi per
terzi.

Prova della volontà abortiva


Quanto alla prova la gestante ha l'onere di dimostrare che l'accertamento dell'esistenza di anomalie
o malformazioni l'avrebbe indotta ad interrompere la gravidanza e che la conoscenza di tali elementi
avrebbe generato in lei uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica.
Ma allorquando si tratta di individuare il contenuto della prova richiesta alla madre sono ravvisabili due
orientamenti:
 secondo alcuni opererebbe una presunzione generalizzata in forza della quale è sufficiente che la
donna alleghi di essersi sottoposta ad analisi in fase prenatale per presumere che ella si sarebbe
avvalsa della facoltà di interrompere la gravidnza, se fosse stata adeguatamente informata della
grave patologia o dell’anomalia del feto, dovendosi ritenere implicito in una tale allegazione
anche il ricorrere delle condizioni prescritte dalla legge (1978, n. 194) e, in particolare, il grave
pericolo alla salute psichica della donna.
 la tesi prevalente esige una prova più specifica che attesti l’inequivoca intenzione della gestante
di interrompere la gravidanza nel caso di diagnosi di malformazioni fetali, ripudiando il
meccanismo della presunzione generalizzata. Questo indirizzo ritiene integrata la prova della
privazione della facoltà di interrompere la gravidanza soltanto in presenza di un inequivocabile
indice dell’intenzione della gestante di porre fine alla gravidanza in presenza di gravi
malformazioni del feto, come ad esempio l’esplicita e preventiva dichiarazione in tal senso
della donna. In assenza, la mera richiesta di un accertamento diagnostico prenatale costituisce
soltanto una singola presunzione semplice della volontà di interrompere la gravidanza e non già

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una presunzione generalizzata che, facendo leva su valutazioni di ordine statistico, istituisca
l’equazione per cui in presenza della richiesta di accertamenti va desunta l’intenzione di ricorrere
all’interruzione di gravidanza in presenza di anomalie del feto.
Le Sezioni unite del 22/12/2015 sanano il contrasto sulla questione della prova, muovendo dall’assunto che
l’onere in capo alla gestante-attrice includa la dimostrazione, anche con presunzioni semplici, tanto della
sussistenza dei presupposti prescritti dalla legge per interrompere la gravidanza, quanto della volontà di
avvalersi di questa prerogativa, quanto ancora del danno subito a causa della preclusione del suo esercizio. I
giudici di legittimità si incamminano sul terreno della analisi minuziosa, chiarendo che i temi di
prova che competono alla gestante comprendono «la rilevante anomalia del nascituro, l’omessa
informazione da parte del medico, il grave pericolo per la salute psicofisica della donna, la scelta
abortiva di quest’ultima», oltre che il pregiudizio subito per il mancato esercizio della scelta di
abortire, non essendo ammissibile la figura del danno in re ipsa. Quindi il contrasto viene risolto nel senso
dell’insufficienza della prova dell’anomalia fetale come indice presuntivo della sussistenza della
volontà abortiva.

Danno da nascita malformata per condotta commissiva o omissiva dei sanitari.


Va preliminarmente detto che sia in Francia che in Italia il danno prenatale causato da una condotta
COMMISSIVA del medico viene sempre integralmente risarcito. L’esempio può essere quello del
medico che, con erronei interventi ostetrici, lede il feto causando un danno fisico al nascituro. In questi casi
vengono risarciti sia danni patrimoniali che non. Infatti con la sentenza 11503 del 1993 la Cassazione, al
fine di risarcire il danno all’integrità psicofisica del neonato derivante da un negligente intervento ostetrico
praticato al momento della nascita (non più risarcibile in via extracontrattuale per intervenuta prescrizione)
qualifica il neonato come terzo protetto dal contratto che intercorre tra la struttura sanitaria e la partoriente
così consentendogli di ottenere il risarcimento del danno in via contrattuale. La struttura sanitaria viene
riconosciuta contrattualmente responsabile dell’inadempimento dell’obbligazione accessoria di fare quanto
possibile per evitare ogni danno alla partoriente e al nascituro. In questo caso il nesso eziologico è evidente
essendo il danno biologico causato direttamente dalla condotta commissiva del medico. Quindi la
Cassazione afferma che può agire in giudizio non solo la controparte contrattuale (la partoriente) ma anche
il soggetto nato, beneficiario della prestazione inadempiuta. Andranno risarciti tutti i danni patrimoniali e
non patrimoniali (danno biologico, danno esistenziale)
Più problematica è l’ipotesi di danno prenatale deriva dall’inadempimento del medico degli obblighi
di informazione, quando cioè siamo di fronte ad una condotta lesiva di tipo omissivo che pone
problemi di individuazione del nesso di causalità. La domanda è quindi la seguente: cosa succede se il
medico, dovendo dare delle informazioni, non le dà, ed a questo evento consegue la nascita di un bambino
malformato?
Attenzione: quando la condotta omissiva (inadempimento agli obblighi di informazione) del medico causa
la nascita di un bambino sano, sia in Francia che in Italia non viene riconosciuto alcun risarcimento. Il libro
critica questa soluzione sottolineandone l’incoerenza in quanto:
 l’obbligo di informazione è considerato un obbligo di risultato, per cui basta il solo inadempimento a
giustificare il risarcimento, senza andare a guardare alle sue conseguenze, al danno arrecato ecc: il
medico ha violato l’obbligo, nasce il diritto al risarcimento.
 In ogni caso un problema risarcitorio, pure se non si pone per il minore nato sano, potrebbe comunque
porsi per i genitori, in quanto costretti a generare un figlio non voluto.

Arriviamo adesso al nostro tema: che succede se il medico viola gli obblighi di informazione e ciò porta alla
nascita di un bambino malformato per causa genetica non rilevata dai sanitari?

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Partiamo dalla Francia:
La giurisprudenza francese riconosceva l’esistenza di un danno in capo ai genitori, qualificando
questo danno come danno par ricochet (danno riflesso), senza però risarcire il pregiudizio della
vittima diretta del danno. Tuttavia, come parte della dottrina ha correttamente affermato, il
riconoscimento del danno ai genitori implicava a fortiori quello subito dal minore. Questa argomentazione
venne sottoposta ad una critica serrata. Si affermò infatti:
 Se il danno risarcito è l’handicap in sé, allora può dubitarsi che i genitori siano vittime par
ricochet (indiretto), al massimo il loro sarà un danno diretto, morale e patrimoniale per le spese
necessarie alla vita del nato handicappato.
 Se i genitori si lamentano di non aver potuto decidere se il figlio dovesse nascere allora il loro
pregiudizio è specifico non di natura riflessa.
 Seppure in capo ai genitori vogliamo riconoscere un danno riflesso dobbiamo tener presente che
molti danni riflessi derivano dalla morte del soggetto vittima diretta dell’atto lesivo, la quale non
viene risarcita. È quindi possibile che ci siano danni riflessi senza che ci siano danni risarcibili
alla vittima diretta.

Queste argomentazioni però si contraddicono vicendevolmente e per di più mettono a confronto casi
diversi.
Nel 2000 in Francia si ha un mutamento di prospettiva. Accade infatti che l’Assemblea Plenaria deve
decidere sulla questione Perruche, il quale rivendica il suo diritto a non nascere.
Nell’affaire Perruche la cassazione francese qualifica come contrattuale la responsabilità del medico
nei confronti dei genitori per l’omessa informazione sullo stato di salute del nascituro; e come
extracontrattuale la responsabilità del medico direttamente nei confronti del nato handicappato.
L’assemblea plenaria non se la sente di qualificare come contrattuale anche la responsabilità dei sanitari nei
confronti del nato handicappato, che era pur sempre l’oggetto delle informazioni omesse. Pertanto questa
soluzione incontrerà in Francia il limite del non cumul delle azioni (contrattuale ed extracontrattuale).
Partono subito le critiche a questa sentenza. Parte della dottrina afferma che è stato condannato il medico
per non aver impedito alla madre di optare per la morte del figlio; altri hanno parlato di “dovere all’aborto”,
altri ancora di “eutanasia prenatale”. Al termine di questo dibattito tra teologi si è pervenuti alla
conclusione che la decisione di risarcire Perruche è stata un insulto agli handicappati ed alle loro famiglie.
Risulta chiaro che la sentenza non ha inteso affermare nessun dovere della madre di abortire, ha
semplicemente fatto leva sulla violazione di una libertà riconosciuta alla madre: la libertà di optare per
l’aborto.
Nel 2002 abbiamo un intervento del legislatore francese che emana una legge che sarà ricordata come legge
Anti-Perruche: questa afferma che il risarcimento ai genitori va limitato ai soli danni morali. Fin qui
nessun problema. Tuttavia successivamente si afferma che “il fatto della nascita non può costituire un
danno”. Il testo è poco chiaro e laconico pertanto, in assenza di specifico divieto, sembra possa continuarsi
a seguire l’orientamento elaborato dall’Assemblea Plenaria. Quindi in Francia il legislatore del 2002 ha
statuito che nulla può essere richiesto dall’handicappato per il solo fatto della nascita, quando l’handicap
non è stato provocato, aggravato o non evitato a causa dell’ errore medico.
Questa sentenza della corte francese ha riaperto il dibattito sul diritto dell’handicappato di “non nascere se
non sano”.

Veniamo in Italia:
Nel 2002 la Cassazione Italiana afferma che l’omissione di informazioni circa gravi malformazioni
giustifica il risarcimento a favore della partoriente e del coniuge in quanto viene leso il diritto
all’interruzione della gravidanza nonché il diritto all’autodeterminazione nella scelta procreativa
costituzionalmente garantito. Tale danno secondo la cassazione va risarcito non solo alla madre ma
anche nei confronti del marito, terzo protetto dal contratto tra la partoriente e i sanitari, e
comprende sia danni patrimoniali che non patrimoniali (danno morale, biologico, danno
esistenziale/relazionale). La Cassazione individua quindi una responsabilità contrattuale nei confronti non

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solo della madre, ma anche del marito, applicando quindi il contratto con effetti protettivi per terzi.
Ma perché terzo protetto dal contratto non è anche il minore?
Nel tentativo di giustificare questa anomalia la Cassazione nel 2004 (sent. 14488/04) afferma che, seppur si
volesse inserire il fanciullo quale terzo protetto dal contratto, questo obbligo di protezione riguarderebbe la
nascita, e non la nascita se malformato. In altri termini, secondo la Cassazione: il medico ha l’obbligo,
nei confronti del bambino, di farlo nascere, non di farlo nascere sano. Dunque al minore non è
dovuto alcun risarcimento se non nei casi in cui l’handicap sia stato causato da condotta commissiva
dei sanitari e non da fattori genetici. In questa sentenza la Cassazione segue la tesi anti-perruchista
riconoscendo il risarcimento del danno in via contrattuale, per inadempimento degli obblighi informativi
sull’handicap del nascituro, alla partoriente e al marito quale terzo protetto dal contratto. Nega invece
qualsiasi risarcimento al nato handicappato. Questa sentenza verrà fortemente criticata:
1. la cassazione esclude il risarcimento nei confronti del nato perché non rileva l’ingiustizia del
danno perché nel nostro ordinamento non esiste un diritto a non nascere se non sano. Quindi il
medico che fa nascere il bambino, adempie alla sua obbligazione nei suoi confronti. Così facendo
la cassazione sembra confondere la disciplina contrattuale con quella extracontrattuale allorchè
prima parla di ingiustizia del danno e poi di adempimento dell’obbligazione di far partorire.
2. la cassazione allorchè riconosce il risarcimento di tutti i danni ai genitori, non spiega come possa
esserci un danno riflesso nei confronti dei genitori senza riconoscere un danno primario nei
confronti del nato diversamente abile.
3. la cassazione allorchè riconosce che l’inadempimento del medico consiste nell’omessa
informazione, poi arresta arbitrariamente la sequenza causale all’evento della nascita escludendo
dall’area dei danni risarcibili l’handicap del neonato, affermando che la causa è biologica-genetica
e non è riconducibile alla condotta del medico. In realtà se consideriamo la teoria della condicio
sine qua non (equivalenza delle condizioni) il nesso causale tra la condotta del medico e la nascita
del bambino handicappato non si interrompe, dal momento che l’omessa informazione ha
comunque contribuito direttamente alla produzione del danno provocando la venuta ad esistenza
di un bambino diversamente abile. Quindi la condotta omissiva del medico rileva ai fini risarcitori
nella misura in cui ha provocato, non ha impedito, o ha reso possibile il verificarsi del danno,
consistente nella esistenza diversamente abile che poteva essere evitata se il medico non avesse
violato la facoltà della partoriente di interrompere la gravidanza.

Nel 2006 la Cassazione insiste affermando che il bambino malformato non è destinatario degli
obblighi di informazione e quindi non ha diritto al risarcimento.
La svolta, se vogliamo, arriva nel 2009 (Sent 10741/09) quando la Cassazione riconosce come terzi
protetti dal contratto tra partoriente e struttura sanitaria sia il coniuge sia il soggetto nato
handicappato. La cassazione condanna al risarcimento del danno la struttura sanitaria e i medici che
avevano prescritto e somministrato una terapia contro la sterilità senza informare la donna dei rischi
potenzialmente teratogeni connessi a questa terapia. Il danno viene risarcito anche al nato malformato
tramite i genitori NELLA QUALITA’ DI RAPPRESENTATI LEGALI DEL FANCIULLO.
Subito incalzarono le critiche dell'orientamento prevalente che esclude la configurabilità di un "diritto a non
nascere" o a "non nascere se non sano" in quanto sarebbe un "diritto adespota" cioè "non avrebbe alcun
titolare fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere
più"; con la conseguenza che, "verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio
danno da inadempimento contrattuale, l'essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata
la madre, per difetto di informazione, messa nella condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo
ricorso all'aborto".
Subito la Cassazione cerca di proteggersi affermando che questo caso va però distinto dai precedenti già
decisi in quanto si è giudicato sulla base del diritto del minore a nascere sano e non a non nascere se non
sano. Infatti il diritto del minore al risarcimento del danno psicofisico derivava da una condotta commissiva
dei sanitari consistente nella somministrazione dei farmaci teratogeni, mentre il diritto al risarcimento del
danno da nascita indesiderata della partoriente derivava dalla condotta omissiva circa le dovute
informazioni sugli effetti collaterali della terapia.
Qualcuno affermò che la Cassazione aveva trovato il modo di risarcire il bambino senza fare la rivoluzione

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francese.
Finalmente nel 2012 arriva una sentenza della Cassazione. Il caso: la gestante chiede di esser sottoposta a
tutti gli esami atti a escludere malformazioni del feto. Il ginecologo prescrive il solo Tritest (poco
attendibile e non esaustivo rispetto all’intera gamma di test disponibili); nasce un bambino malformato. In
questa sentenza del 2012 la Cassazione mostra di apprezzare la sentenza del 2009 affermando “per la
prima volta questo giudice di legittimità si è spinto a riconoscere l’esistenza di un danno in capo al
protagonista principale di un danno prenatale”, tuttavia, afferma che sbaglia, il giudice di legittimità del
2009, nel momento in cui afferma che il minore fa valere il suo diritto a nascere sano. Secondo la
Cassazione del 2012 infatti il nascituro agisce in giudizio per il tramite del suo legale rappresentate
facendo valere in via extracontrattuale un danno che egli assume ingiusto: la situazione soggettiva
tutelata è il diritto alla salute in senso dinamico come diritto al risarcimento di una vita diversamente
abile dovuta alla mancata diagnosi di malformazioni fetali che avrebbe potuto impedirla. IL
BAMBINO FA VALERE ORA PER ALLORA LA LESIONE DELLA SUA SALUTE INTESA IN
SENSO DINAMICO COME ESISTENZA DIVERSAMENTE ABILE E NON IL DIRITTO A NON
NASCERE SE NON SANO.
Con la sentenza 16754/2012 la Cassazione afferma che, in caso di omessa diagnosi di malformazioni
fetali e conseguente nascita indesiderata di un bambino affetto da grave handicap, il risarcimento del
danno è dovuto:

 alla partoriente per inadempimento contrattuale (degli obblighi informativi) consistente


nell’errore diagnostico da cui è derivata la lesione del diritto di autodeterminarsi nella scelta
procreativa;
 al coniuge, ai fratelli e alle sorelle del nato handicappato per via degli effetti protettivi per
terzi. Il risarcimento del danno alla donna, al marito e ai fratelli e sorelle deve avere ad oggetto sia i
danni patrimoniali (spese necessarie per il mantenimento ecc) che quelli non patrimoniali (danno
biologico, morale o esistenziale per il peggioramento della vita di relazione tra i membri del nucleo
familiare).
 allo stesso soggetto nato handicappato in via extracontrattuale per lesione del diritto alla
salute in senso dinamico, nel senso che il risarcimento serve a ristorare un’esistenza diversamente
abile che poteva essere evitata se il medico avesse eseguito i test necessari ad una corretta diagnosi.
Quindi l’oggetto della tutela non è l’alternativa tra nascere e non nascere ma l’esistenza
diversamente abile in sé che senza dubbio costringe il soggetto a condurre una vita in condizioni
deteriori rispetto a un nato sano. Il nascituro sarà titolare di una situazione giuridica
sospensivamente condizionata all’evento della nascita, solo a seguito della quale potrà essere
azionato in giudizio il risarcimento del danno. il danno si verifica alla nascita e in quel momento il
nato, in quanto soggetto giuridico, potrà agire iure proprio per il risarcimento del danno.

Con riferimento al rapporto di causalità, la duplice obiezione secondo cui la nascita (cui il medico
contribuisce con la sua omissione) non è di per sé un danno e la malformazione non è conseguenza
dell’omissione del medico ma è di natura genetica per cui la condotta del medico è indifferente rispetto ad
essa, vengono superate proprio partendo dalla sopra illustrata rivisitazione dell’evento di danno. Abbiamo
visto come secondo la Cassazione, il danno non è qui rappresentato né dalla nascita in sé, né dalla
malformazione in sé, ma dalla sintesi di entrambe, dalla “vita malformata”, dall’esistenza diversamente
abile cui il minore è comunque costretto. Si tratta di un danno biologico dinamico cioè una sofferenza che
sfocia o si collega ad uno stato patologico. È proprio partendo da tale premessa che poi la Corte di
Cassazione nel 2014 potrà affermare la equiparazione sul piano degli effetti tra le fattispecie
dell’errore medico che non abbia evitato l’handicap evitabile ovvero che lo abbia cagionato, e l’errore
medico che non ha evitato la nascita malformata evitabile senza l’errore diagnostico, in conseguenza
della facoltà di scelta della gestante derivante da una espressa previsione di legge. Al momento della
nascita si determina infatti una PROPAGAZIONE INTERSOGGETTIVA dell’effetto dell’ illecito
contrattuale (l’omessa diagnosi) e sorge il diritto al risarcimento in capo al nato ora dotato di
soggettività giuridica. In capo al sanitario sorge invece una responsabilità extracontrattuale però da
inadempimento, per il danno da vita malformata quale sintesi del danno alla salute e sua proiezione
dinamica, come esistenza diversamente abile.

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La Cassazione riconoscendo il pregiudizio psicofisico del minore come conseguenza diretta della condotta
omissiva del medico e risarcendolo in via extra contrattuale si conforma alla sentenza francese dell’affaire
Perruche.
[Ultimo approdo (non riportato nel libro). Le Sezioni Unite della Cassazione del 22/12/2015 invece
pongono un freno ai facili entusiasmi a cui si era abbandonata una certa dottrina (Procida-Feola), e sul
punto del nesso causale sono sintetiche e lapidarie: nell’ipotesi di malformazione genetica del nato, la
causalità tra il presunto danno e la condotta del medico è interrotta, anche a voler intendere il nesso «in
base ai principi della causalità giuridica e nella sua ampiezza più estesa, propria della teoria della condicio
sine qua non». Infatti la diagnosi più approfondita che avrebbe permesso di rilevare l’anomalia del feto, non
avrebbe comunque impedito la nascita malformata, la quale costituisce lo sviluppo spontaneo del corredo
genetico del nato.
Le sezioni unite del 2015 negano al nato handicappato per causa genetica un risarcimento del danno a
carico de medico che non ha diagnosticato le malformazioni fetali dal momento che l’ordinamento tutela il
diritto a nascere e non a non nascere se non sano che invece giustificherebbe anche un’azione risarcitoria
nei confronti dei genitori che non hanno optato per l’interruzione della gravidanza].

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