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Davide Miani

BIOINGEGNERIA
CdS Ingegneria Biomedica, Cesena
Docente: Gianni Gnudi
Riassunti di Davide Miani


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Davide Miani

1) ELEMENTI PROPEDEUTICI E RICHIAMI


La pressione osmotica
Quando una soluzione è separata dal solvente puro mediante una
membrana permeabile al solvente ma non al soluto, le molecole del
solvente migrano attraverso la membrana nella soluzione. Col termine
pressione osmotica (di solito indicata col simbolo π ) si intende la
pressione idrostatica che deve essere esercitata per controbilanciare
esattamente questa migrazione per osmosi.

La misurazione.
In figura è illustrato lo schema di principio di un misuratore di pressione
osmotica, che non è direttamente misurabile; quel che si può misurare
è invece la pressione idrostatica che si determina nella soluzione a
causa del maggior numero di molecole di solvente che vi penetrano
rispetto a quelle che ne escono. All’equilibrio, la differenza di quota che
si osserva nelle due colonnine può essere interpretato come il nostro
π : infatti, è proprio la forza peso che crea la pressione idrostatica necessaria nella colonnina di Soluzione
per controbilanciare la pressione osmotica; idealmente, in assenza di gravità, tutta quanta l’acqua potrebbe
diffondere e sciogliere il soluto in soluzione. Naturalmente quando ci troviamo all’equilibrio il fenomeno della
diffusione non ha velocità nulla, ma tanto è il solvente che passa in soluzione quanto è quello che dalla
soluzione ritorna ad essere puro solvente dall’altra parte della membrana semipermeabile.

La legge di Van’t Hoff.


Van't Hoff rilevò che la pressione osmotica π nelle soluzioni molto diluite e non ioniche obbediva, con buona
approssimazione, all’equazione:

π V = nRT ⎫

n ⎬ ⇒ π = cRT
c= ⎪
V ⎭

dove n è il numero di moli del soluto, V è il volume della soluzione, c = n V è la concentrazione molare di
soluto, R è la costante dei gas perfetti, T è la temperatura assoluta.
Dall'equazione di Van't Hoff, molto simile a quella dei gas perfetti, appare chiaramente che la pressione
osmotica dipende dalla temperatura e dal numero delle particelle di soluto, mentre non dipende dalla natura
e dalle dimensioni delle stesse.

Qui sotto riporto i valori di R per le varie unità di misure che si è più soliti utilizzare per la pressione.
⎧ 0.0821 L ⋅ atm ⋅ mol −1 ⋅ K −1

R = ⎨ 8.314 J ⋅ mol −1 ⋅ K −1
⎪ 62.1 L ⋅ mmHg ⋅ mol −1 ⋅ K −1

Definizioni e nozioni utili legate alla pressione osmotica.


Soluzioni che hanno la stessa pressione osmotica sono dette isotoniche. Fra due soluzioni a diversa
concentrazione quella più concentrata è detta ipertonica, quella meno concentrata ipotonica.
Le membrane cellulari sono da considerarsi non tanto semipermeabili, quanto selettivamente permeabili e
cioè più permeabili all'acqua che alle altre sostanze.
Gli organismi superiori sono dotati di meccanismi regolatori per mantenere pressappoco costante la
pressione osmotica al loro interno (ad esempio i reni).
Se le particelle in soluzione interagiscono fra loro attraverso fenomeni chimici o fisici, l'effetto osmotico
cambia. Ad esempio, gli ioni si attraggono o respingono a seconda del loro segno. Conseguentemente
l'effettiva pressione osmotica non è più esattamente quella fornita dalla legge di Van't Hoff. 

Si dice che una soluzione è fisiologica quando ha la stessa pressione osmotica dei liquidi interni
dell’organismo.
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Il metodo dei minimi quadrati (lineari)
É utile per stimare i coefficienti (parametri) di equazioni lineari (o linearizzabili) che si vogliono utilizzare
come modelli per descrivere sistemi pratici riducendo l’errore altrimenti inaccettabile derivato dal calcolo
matriciale diretto dei parametri.

Ottenimento dei parametri del modello da semplice calcolo matriciale.


Prendendo n esperimenti di cui conosciamo gli n ingressi sperimentali:

⎛ a11 a12 ! a1n ⎞


⎜ ⎟
a a22 ! a2n ⎟
A = ⎜ 21 , matrice degli n × n ingressi sperimentali noti;
⎜ " " # " ⎟
⎜ ⎟
⎝ an1 an2 ! ann ⎠

Prendendo le n uscite di ogni ingresso sperimentale:

⎛ b1 ⎞
⎜ ⎟
b2 ⎟
b=⎜ , vettore delle n uscite sperimentali note;
⎜ ! ⎟
⎜ ⎟
⎝ bn ⎠

Si potrà sempre definire un vettore x formato da n parametri incogniti:

⎛ x1 ⎞
⎜ ⎟
x2 ⎟
x=⎜ , vettore degli n parametri incogniti;
⎜ ! ⎟
⎜ ⎟
⎝ xn ⎠

Tale per cui si avrà:

⎧ a11 x1 + a12 x2 +!+ a1n xn = b1



⎪ a x + a x +!+ a2n xn = b2
A ⋅ x = b ⇒ ⎨ 21 1 22 2
⎪ "
⎪ an1 x1 + an2 x2 +!+ ann xn = bn

Ciò che ci interessa ovviamente è determinare i valori dei parametri del vettore x di modo da ricostruire un
modello che obbedisca alla legge A ⋅ x = b per qualsiasi ingresso, così da determinare a priori l’uscita. Per
−1
trovare tali valori di x si può agilmente operare col calcolo matriciale definendo A la matrice inversa di A
(ovviamente si può fare se e solo se la matrice non è singolare, ovvero il det(A) ≠ 0 ). Dunque si avrà:

(A ⋅ x = b)⋅ A −1 ⇒ x = A −1 ⋅ b

Il problema di questo metodo.


Poiché A e b sono misure sperimentali, affette quindi da un certo errore, il calcolo diretto in questo modo
porta sicuramente ad errori di ordine superiore. Dobbiamo quindi ricorrere al metodo dei minimi quadrati per
cercare di ridurlo.

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Il metodo dei minimi quadrati nello specifico.
Si parte dal prendere un numero maggiore di misure, ad esempio m , mentre le incognite sono sempre le n
definite prima, con m > n . Se però si hanno più equazioni che incognite la relazione scritta prima non è più
soddisfatta con l’uguaglianza stretta, ma dovremo aggiungere un certo errore ad ogni equazione, affinché le
equazioni non diano informazioni discordanti fra di loro e quindi il sistema intero non risulti impossibile.
Inoltre, in questo modo la matrice A non è quadrata e quindi non può essere invertita, rendendo vano il
calcolo matriciale. Volendo comunque mantenere la notazione matriciale per comodità, definiamo qui
dunque un vettore degli errori e che semplicemente va aggiunto a b per rispettare il simbolo di uguaglianza
stretta:

⎛ e1 ⎞
⎜ ⎟
e2 ⎟
A⋅ x ! b ⇒ A⋅ x = b + e , con e=⎜
⎜ ! ⎟
⎜ ⎟
⎝ em ⎠

Inoltre, poiché A non è più quadrata, e quindi non invertibile:

∃A −1 ⇔ A ∈M (n, K ) ⇒ x ≠ A −1 ⋅ b

Otteniamo quindi un sistema ad m equazioni ed n incognite (con m > n ) che può essere risolto solo
introducendo il metodo dei minimi quadrati.

⎧ ⎫
⎪ a11 x1 + a12 x2 +!+ a1n xn = b1 ⎫ ⎪
⎪ n equazioni
⎪ " ⎬ ⎪
⎪ an1 x1 + an2 x2 +!+ ann xn = bn ⎪ ⎪
⎪⎪ n incognite ⎪⎪ m equazioni

⎨ ⎬
⎪ a(n+1)n x1 + a(n+1)2 x2 +!+ a(n+1)n xn = b(n+1) ⎫ m − n equazioni ⎪ n incognite
⎪ ⎪⎪ ⎪
⎪ " ⎬ ⎪
⎪ n incognite
⎪ am1 x1 + am 2 x2 +!+ amn xn = bm ⎪
⎪⎩ ⎪⎭ ⎪⎭

Cerchiamo innanzitutto di scrivere un’espressione per e dipendente dalle quantità note e da x :

A⋅ x = b + e ⇒ e = A⋅ x − b

Definiamo ora la funzione costo E(x) come la norma quadratica del vettore degli scarti e :

n ⎫
E(x) = ∑ ei2 = e T ⋅ e ⎪
⎬ E(x) = (A ⋅ x − b) (A ⋅ x − b) = A ⋅ x − b
T 2
i=1

e = A⋅ x − b ⎪

La soluzione sarà rappresentata allora dal valore di x che minimizza la norma al quadrato degli errori.
Ovviamente, avendo a disposizione un calcolatore è estremamente semplice implementare una funzione di
ricerca dei minimi di una funzione; ora qui invece vado a suggerire un metodo matriciale.
Si può dimostrare che le colonne di A sono linearmente indipendenti. In questo caso, la matrice A ⋅ A è
T

quadrata n × n , quindi esiste anche (AT ⋅ A)−1 . Dunque possiamo moltiplicare la prima espressione
A ⋅ x ! b per AT e quindi ricavare x moltiplicando per (AT ⋅ A)−1 :

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AT ⋅(A ⋅ x = b) ⇒ AT ⋅ A ⋅ x = AT ⋅ b
(AT ⋅ A)−1 ⋅(AT ⋅ A ⋅ x = AT ⋅ b) ⇒ x = (AT ⋅ A)−1 ⋅ AT ⋅ b

−1
Dove l’espressione (A ⋅ A) ⋅ A è detta matrice pseudo-inversa. Calcolando x in questo modo si è risolto
T T

matricialmente il problema nel senso dei minimi quadrati. Ovviamente, se facciamo l’ipotesi che A sia
quadrata, possiamo scrivere:
x = A −1 ⋅(AT )−1 ⋅ AT ⋅ b ⎫⎪ −1
T −1 T ⎬ ⇒ x = A ⋅b
(A ) A = I ⎪⎭

E ci si riconduce quindi al caso precedente.

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2) MODELLI MATEMATICI A COMPARTIMENTI


I modelli a compartimenti sono un modo semplice (o meglio, semplificato) che ci aiuta nello studio di sistemi
biologici.

La descrizione del modello


L’idea è quella di dividere il sistema in compartimenti, ognuno dei quali rappresenta una quantità di sostanza
che si comporta in maniera caratteristica ed omogenea rispetto ai fenomeni di trasporto e trasformazione.
Questo vuol dire che, data una quantità di sostanza x , che si considera omogeneamente distribuita in un
volume V , la si separa idealmente da tutto l’ambiente circostante e si modella ogni interazione (trasporto o
trasformazione) della sostanza come un’interazione con un altro compartimento. Questo modello comporta
quindi una grande semplificazione: non si considerano infatti gli effetti locali sulla sostanza, ma solo quelli
che agiscono sull’intera entità. Ad esempio, se prendiamo come modello l’ossigeno nel sangue, non teniamo
conto del fatto che si trovi a concentrazioni differenti nelle arterie, nelle vene, in periferia ecc., perché ogni
trasformazione o trasporto dell’ossigeno viene visto come un fenomeno che interessa la totalità dell’ossigeno
disciolto nel sangue.

Ipotesi semplificative.
Inoltre nello studio dei modelli è utile considerare altre tre ipotesi semplificative:
1. Costanza del volume: la sostanza del compartimento, qualsiasi cosa accada, si distribuisce sempre
nello stesso volume.
2. Linearità: cioè la quantità di sostanza che esce da un compartimento è proporzionale alla quantità di
sostanza in esso contenuta (questo vuol dire, implicitamente, che i coefficienti delle equazioni
differenziali sono costanti).
3. Tempo invarianza: i parametri che descrivono il modello non variano nel tempo.

Modello a un compartimento
Descrive come si comporta una quantità di sostanza x distribuita in un volume V . Nel caso più generale è
schematizzato così:

Dove:
• u(t) è la portata massica in entrata al compartimento, [Kg ⋅ s −1 ] nel S.I. o, più spesso, [g ⋅ min −1 ] ;
• x(t) è la quantità di sostanza contenuta, nell’unità di tempo, nel compartimento, [Kg] o [g] ;
• V è il volume totale del compartimento (fissato e costante), [L] ;
• y(t) è la concentrazione di x presente nell’unità di tempo nel compartimento, y(t) = x(t) V , [g ⋅ L−1 ] .
• w(t) è la portata massica in uscita al compartimento, [g ⋅ min −1 ] ;
• k è detto coefficiente di eliminazione, è una costante di proporzionalità che lega la concentrazione di
sostanza presente nel compartimento (quindi y(t) ) alla portata uscente. Si avrà quindi:


w(t)
k =V ⎪
w(t) = k ⋅ y(t) ⎫ x(t)

⎪ x(t)
V = [L] ⎪ −1
x(t) ⎬ ⇒ w(t) = k ⇒ ⎬ ⇒ k = [L ⋅ min ] ;
y(t) = ⎪ V ⎪
V x(t) = [g]
⎭ ⎪
w(t) = [g ⋅ min −1 ] ⎪

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Calcolo di x(t) dal bilancio di massa.
In fisica tecnica abbiamo visto che il bilancio di massa è un buono strumento per studiare sistemi aperti
(capaci perciò di scambiare sia energia che massa con l’esterno o un altro sistema). Tralasciando la sua
formulazione più generale, dove si dovrebbero considerare anche i contributi di massa generati e/o distrutti
all’interno del sistema (che qui trascuriamo per il semplice fatto che vengono considerati come scambiati con
altri compartimenti), il bilancio di massa può essere sinteticamente scritto come:

mi − mu = macc

Dove mi è la massa in ingresso, mu la massa in uscita e macc è la massa accumulata nel compartimento.
Applicando il bilancio di massa si ha che il modello ad un compartimento è descritto dai seguenti termini:

mi = u(t)⋅ dt [g ⋅ min −1 ]⋅[min] = g


x(t) [L ⋅ min −1 ]⋅[g]
mu = w(t)⋅ dt = k dt ⋅[min] = g
V [L]
dx [g ⋅ min −1 ]⋅[min] = g
macc = dx = ⋅ dt = x! ⋅ dt
dt

Quindi dimensionalmente torna: sono tutte masse. Trovati ora i vari termini possiamo quindi sostituirli
nell’equazione di bilancio e trovare che il modello ad un compartimento è genericamente descritto da
un’equazione differenziale del prim’ordine:

x(t)
! = −k
x(t) + u(t)
V

Che è l’equazione di stato del modello, posta in forma normale (o canonica). Risolvendo questa equazione
differenziale, si può calcolare x(t) (e quindi trovare anche y(t) ) per prefissati valori di k , V , x0 = x(0) e
per ogni andamento temporale di u(t) (che determina solo la soluzione particolare x p (t) ). Per risolvere
! + a0 x(t) = b0u(t) :
l’equazione differenziale dobbiamo porla nella forma a1 x(t)

k
! +
x(t) x(t) = u(t)
V

Da questa forma agilmente si ricava l’equazione caratteristica e da quest ultima l’autovalore λ e la costante
di tempo τ :

k
λ+ =0
V
k [L ⋅ min −1 ] 1 V
λ=− = [min −1 ], τ = − = [min]
V [L] λ k

Dunque siamo in grado di scrivere già un’espressione per xg (t) , l’integrale (o soluzione) generale, da cui:

x(t) = xg (t) + x p (t) ⎫


⎪ k ⎫ k ⎫
xg (t) = ceλt ⎫ ⎪⎪ x(t) = ce
− t
V
+ x p (t) ⎪
− t
x(t) = ce V + x p (t) ⎪
⎪ k
− t ⎬⇒ ⎬ ⇒ x0 = c + x p (t) ⇒ ⎬⇒
k ⎬ ⇒ x g (t) = ce V
⎪ x(0) = x0 ⎪ c = x0 − x p (t) ⎪
λ=− ⎪ ⎪ ⎭ ⎭
V ⎭
⎪⎭
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k
− t ⎡ − t⎤
k
x(t) = x0 e V
+ x p (t) ⎢1− e V ⎥
⎣ ⎦

Che è soluzione di x(t) valida per qualsiasi ingresso u(t) (e quindi qualsiasi valore di x p (t) ). Sappiamo
infatti da innumerevoli corsi che l’integrale particolare x p (t) dipende solo dall’ingresso applicato u(t) ,
mentre l’integrale generale xg (t) dipende dal modello, dai parametri interni del sistema e dalle condizioni
iniziali. Quindi, fissato il modello (nel nostro caso monocompartimentale), fissati i parametri interni del
sistema ( k , V ), fissate le condizioni iniziali ( x0 ), allora saremo in grado di determinare in modo univoco λ
e/o τ , e con loro anche xg (t) . Quello che varia quindi sarà solo x p (t) a seconda dell’ingresso u(t)
applicato. Vediamo ora le varie risposte a tre tipi di ingressi.

1. Infusione continua di durata infinita (ingresso a gradino di ampiezza U).


L’ingresso u(t) in questo caso è il gradino, così definito:

⎧ 0⇔t <0
u(t) = ⎨
⎩ U ⇔t ≥0

Si noti che il valore di x p (t) è sempre uguale, per ingressi costanti nel tempo, ad x(∞) (per verificarlo
basta calcolare il limite per t → ∞ dell’espressione generale di sopra), che è presumibilmente anch’esso
costante nel tempo. Per cui, se x p (t) = x(∞) = COST , sarà anche vero che x! p (t) = 0 . Da qui il calcolo
effettivo di x p (t) : la strategia adottata consiste nel considerare un istante t → ∞ , dove quindi u(∞) = U , e
x(∞) = x p (t) :

k ⎫
! +
x(t) x(t) = u(t) ⎪ ⎫
V ⎪⎪ k
x! p (t) + x p (t) = U ⎪ V
x(t) = x p (t) ⎬⇒ V ⎬ ⇒ x p (t) = U = τ U
⎪ ⎪ k
u(t) = U x! p (t) = 0
⎪ ⎭
⎪⎭

Quindi, sostituendo semplicemente nella formula più generale sopra riportata, si ottiene:


t
⎡ − ⎤
t ⎫
x(t) = x0 e + x p (t) ⎢1− e τ ⎥
τ ⎪⎪ ⎡ − ⎤
t

t

⎣ ⎦ ⎬ ⇒ x(t) = τ U ⎢1− e ⎥ + x0 e
τ τ

⎪ ⎣ ⎦
x p (t) = τ U
⎪⎭

2. Infusione continua di durata finita (ingresso ad impulso rettangolare di ampiezza U e durata T).
Consideriamo ora per semplicità la condizione iniziale nulla x0 = 0 . Si può quindi considerare la rect in
figura sotto come la somma di due gradini: u(t) = U [ grad(t) − grad(t − T )] . In questo modo possiamo
calcolare x(t) come risposta a due gradini distinti nel tempo.

⎧ 0⇔t <0

u(t) = U [ grad(t) − grad(t − T )] = ⎨ U ⇔ 0 ≤ t ≤ T
⎪ 0⇔t >T

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t
⎡ − ⎤
t ⎫
x(t) = x0 e τ
+ x p (t) ⎢1− e τ ⎥ ⎪
⎣ ⎦ ⎪
⎪ ⎡ − ⎤
t
0≤t ≤T ⇒ x0 = 0 ⎬ ⇒ x ′ (t) = τ U ⎢1− e τ

⎪ ⎣ ⎦
x p (t) = x(∞) = τ U



t−T
⎡ −
t−T
⎤ ⎫
x(t − T ) = x0 e + x p (t) ⎢1− e τ ⎥
τ ⎪ t−T ⎫

⎣ ⎦ ⎪ x ′′(t) = x ′(T )e τ ⎪
⎪ ⎪ ⎡ − ⎤ −
T t−T
t >T ⇒ x0 = x ′(T ) ⎬⇒ ⎡ − ⎤
T ⎬ ⇒ x ′′ (t) = τ U ⎢1− e τ
⎥ e τ

⎪ x ′(T ) = τ U ⎢1− e τ ⎥ ⎪ ⎣ ⎦
x p (t) = x(∞) = 0
⎪ ⎣ ⎦ ⎪⎭

E quindi, in definitiva:



⎪ 0⇔t <0

⎪ ⎡ − ⎤
t
x(t) = ⎨ τ U ⎢1− e τ ⎥ ⇔ 0 ≤ t ≤ T
⎪ ⎣ ⎦
⎪ ⎡ − ⎤ −
T t−T
⎪ τ U ⎢1− e τ ⎥ e τ ⇔ t > T
⎪ ⎣ ⎦

3. Infusione impulsiva di un bolo di massa M (a delta di dirac di ampiezza M).

u(t) = M δ (t) ⎫⎪ +
− ⎬ ⇒ x(0 ) = x0 = M
x(0 ) = 0 ⎪


t
⎡ − ⎤
t ⎫
x(t) = x0 e + x p (t) ⎢1− e τ ⎥
τ ⎪
⎣ ⎦ ⎪

t

x0 = M ⎬ ⇒ x(t) = Me τ

x p (t) = x(∞) = 0 ⎪


Altre informazioni utili.


Le unità di misura delle grandezze e dei parametri utilizzati nel modello possono variare a seconda di quella
adottata per x(t) : esso infatti può essere espresso sia in unità di massa, ma anche in quantità di materia
(moli). A seconda della scelta della dimensione di x(t) si definiscono le altre.
Comunque, in entrambi i casi, la costante k è espressa in volume (di soluzione) su tempo.

Inoltre, il parametro k ha il significato di clearance, cioè volume di soluzione che viene depurata
completamente dalla sostanza nell'unità di tempo.

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Modello a due compartimenti
Descrive il comportamento di due quantità di sostanza (la stessa o sostanze diverse, considerando le loro
possibili interazioni.

Modello per generica reazione chimica reversibile.


Poniamo l’ipotesi che le due sostanze x1 e x2 siano nella stessa soluzione, quindi disciolte nello stesso
volume V . Il modello è schematizzabile bicompartimentalmente in questo modo:

Possiamo perciò applicare il bilancio di massa ad entrambi i compartimenti ed ottenere un sistema di due
equazioni differenziali, che equivale ad un sistema differenziale del second’ordine:


m1acc = −m1u + m1i ⎫ ⎪

m1acc = x!1 ⎪ ⎪
⎪ ⎪
k
m1u = 1 x1 ⎬⇒ k1 k2 ⎪
x!1 = − x1 + x2 ⎪
V ⎪ V V
k2 ⎪ ⎪
m1i = x2 ⎪ k1 ⎪
V = m1 ⎪⎪ ⎧⎪ x!1 = −m1 x1 + m2 x2
⎭ V
⎬⇒ ⎨
m2acc = m2i − m2u ⎫ k2 ⎪ x! = m1 x1 − m2 x2
= m2 ⎩⎪ 2
⎪ V ⎪
m2acc = x!2 ⎪ ⎪
⎪ k k
k x!2 = 1 x1 − 2 x2 ⎪
m2i = 1 x1 ⎬⇒ V V ⎪
V ⎪ ⎪
k2 ⎪ ⎪
m2u = x2 ⎪ ⎪
V ⎭ ⎪⎭

Se ora deriviamo la prima equazione e ci inseriamo la seconda, otteniamo come ricercato un sistema del
secondo ordine, ancora però a due variabili, x1 e x2 :

⎧ d
⎪ ( x!1 = −m1 x1 + m2 x2) ⎧⎪ !!
x1 = −m1 x!1 + m2 x!2
⎨ dt ⇒⎨ ⇒ !!
x1 = −m1 x!1 + m2 (m1 x1 − m2 x2)
⎪ ⎪ x!2 = m1 x1 − m2 x2
x!2 = m1 x1 − m2 x2 ⎩

Possiamo però scrivere un’espressione dix2 in funzione solamente di x1 , x!1 : ci basta esplicitarlo nella
prima equazione. Quindi, se sostituiamo x2 = f (x1 , x!1 ) nell’espressione di !!
x1 trovata sopra abbiamo
un’equazione differenziale del secondo ordine ad una variabile a coefficienti costanti, che sappiamo risolvere
celermente:

x1 = −m1 x!1 + m1m2 x1 − m22 x2 ⎫


!! x1 = −m1 x!1 + m1m2 x1 − m2 x! − m1m2 x1
!!

1 ⎬ ⇒
x2 = ( x!1 + m1 x1 ) ⎪ x1 + (m1 + m2 ) x!1 = 0
!!
m2

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Operando allo stesso modo, ma per trovare un’equazione differenziale per x2 , arriviamo a scrivere anche in
questo caso la stessa cosa:

x1 + (m1 + m2 ) x!1 = 0
!! e x2 + (m1 + m2 ) x!2 = 0
!!

Questo perché i due sistemi hanno gli stessi parametri interni, e quindi anche saranno anche gli stessi
autovalori, che possiamo ricavare direttamente nel dominio del tempo dall’equazione caratteristica, come
abbiamo visto per il modello monocompartimentale:

⎧λ1 = 0

λ + (m1 + m2 )λ = 0 ⇒ ⎨
2
k1 + k2
⎪⎩λ2 = −(m1 + m2 ) = − V

Inoltre, notiamo subito una cosa che ci semplifica di molto la vita: le due equazioni differenziali trovate sono
entrambe omogenee e non dipendono da x1 o x2 o da altri ingressi, ma solo dalle loro derivate. Questo
fatto comporta che, calcolando x p mandando t → ∞ otterremo due equazioni banali ( 0 = 0 ). Quindi non
c’è ragione di pensare che x p non sia nullo. Ciò ha senso anche senza scomodare la matematica: qui non
abbiamo infatti ingressi costanti dall’esterno, ma solo una passaggio di massa da un compartimento all’altro,
che a tempo infinito tenderà semplicemente all’equilibrio, e quindi ad ingresso nullo. Avremo per cui che le
soluzioni per x1 (t) e per x2 (t) saranno:


⎪ x1 (t) = c1eλ1t + c2 eλ2t + x p1 (t)
⎪ ⎧ x (t) = c + c eλ2t
λ1t λ2t ⎪ 1
x2 (t) = c3e + c4 e + x p2 (t) ⇒⎨
1 2
⎨ λ2t
⎪ ⎪⎩ x2 (t) = c3 + c4 e
⎪ λ1 = 0, λ2 ≠ 0, x p1 = x p2 = 0

A questo punto possiamo procedere con il calcolo delle costanti. Il calcolo sia per x1 (t) che per x2 (t) è
assolutamente analogo, quindi mostrerò solo il procedimento per x1 (t) .


⎧ ⎪ x (t) = c + c e−(m1 +m2 )t
⎧ x (t) = c + c e −(m1 +m2 )t ⎪ x (t) = c + c e−(m1 +m2 )t ⎪ 1 1 2
I 1 1 2
⎪ 1 1 2
⎪ ⎪ ⎪ x!10
II ⎨ x1 (0) = x10 = c1 + c2 ⇒ ⎨c1 = x10 − c2 ⇒ ⎨c1 = x10 +
m1 + m2
III ⎪ x!1 (0) = x!10 = −c2 (m1 + m2 ) ⎪ − x!10 ⎪
⎩ ⎪c2 = ⎪ x!10
⎪⎩ m1 + m2 ⎪c2 = −
⎩ m1 + m2

E, parimenti, possiamo calcolare:


⎪ x (t) = c + c e−(m1 +m2 )t
⎪ 2 3 4

⎪ x!20
⎨c3 = x20 +
⎪ m1 + m2
⎪ x!20
⎪ c4 = −
⎩ m1 + m2

Adoperando esattamente la stessa strategia.

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Ricavate le costanti in funzione dei parametri noti a priori ( m1 , m2 , x10 , x!10 ) si può a questo punto graficare
l’andamento temporale di x1 (t) e di x2 (t) . É però necessario fare un’osservazione sul segno delle costanti:
esso dipende dal segno di x10 , x20 e di x!10 , x!20 ; x10 e x20 sono quantità sicuramente positive, in quanto la
massa presente all’istante 0 non può essere negativa, mentre il segno di x!10 , x!20 dipende direttamente dai
coefficienti di eliminazione k1 e k2 . Infatti, il maggiore dei due determinerà quale compartimento si riempie e
quale si svuota. Se facciamo allora l’ipotesi che k1 > k2 si avrà lo svuotamento del compartimento 1 e il
+
riempimento del compartimento 2 . Ciò comporta il fatto che all’istante 0 la derivata x!10 sia negativa,
mentre x!20 positiva. Inoltre possiamo sicuramente dire che c1 > c2 e c3 > c4 .
Alla luce di ciò abbiamo i seguenti segni per le varie costanti:

⎧ x!10 x!10 ⎧ x!20 x!20


⎪ c1 = x10 + , c4 = − ⎧⎪ c1 > 0 ⎪ c3 = x20 + , c4 = − ⎧⎪ c3 > 0
⎨ m1 + m 2 m 1 + m2 ⇒⎨ , ⎨ m1 + m 2 m 1 + m2 ⇒⎨
⎪ x10 > 0, x!10 < 0 ⎪⎩ c2 > 0 ⎪ x20 > 0, x!20 > 0 ⎪⎩ c4 < 0
⎩ ⎩

Breve descrizione della caratteristica: riguardo all’esaurimento dei poli, abbiamo che τ 1 = 1 λ1 = ∞ ,
quindi non si esaurisce mai, e dà infatti un contributo costante pari a c1 , c3 ; τ 2 invece determina la rapidità
di decrescita di x1 (t) e di crescita di x2 (t) . Nello specifico, la retta che ha pendenza come x!10 , x!20 e
tangente alla curva a tempo nullo, interseca l’asistoto orrizzontale ad un valore di tempo proprio pari a τ 2 ;
ad un tempo 3τ 2 la caratteristica è al 95% del transitorio, mentre a 5τ 2 sarà al 99%. I valori di regime
dipenderanno solamente dalle condizioni iniziali, come in questo caso, se e solo se tutti gli autovalori sono
nulli eccetto uno. In questo caso particolare, anche i valori di partenza dipendono totalmente dalle C.I..

Costante di equilibrio: è un modo per vedere il trade off fra questi due compartimenti: all’equilibrio l’uno
sarà tanto riempito quanto l’altro sarà svuotato secondo il rapporto dei coefficienti di eliminazione:

⎡ ⎧ x!1(t) = −m1 x1(t) + m2 x2(t) ⎤ ⎫


lim ⎢ ⎨ ⎥ ⎪ ⎧ −m x (∞) + m x (∞) = 0
⎪ ⎪ x (∞) m1 k1
⎣ ⎩ x!2(t) = m1 x1(t) − m2 x2(t) ⎦ ⎬⇒ ⎨ ⇒ m1 x1(∞) = m2 x2(∞) ⇒ 2 = =
t→∞ 1 1 2 2

⎪ ⎩⎪ m1 x1(∞) − m2 x2(∞) = 0 x1(∞) m2 k2


x!1(∞) = 0; x!2(∞) = 0 ⎪⎭

Bilancio di massa considerando la totalità del sistema: ci restituisce con la quale possiamo mettere in
relazione diretta e c2 con c4 :

⎧ x!1 + x!2 = 0
macc = mi − mu ⇒ x!1 + x!2 = 0 ed integrando ottengo: ⎨
⎩ x1 + x2 = COST

x!1 (t) = − x!2 (t) ⎫



x!1 (0) = −c2 (m1 + m2 ) ⎬ ⇒ c2 = −c4
x!2 (0) = −c4 (m1 + m2 ) ⎪

Questo è un ulteriore conferma della sincronia con la quale 1 si svuota e 2 si riempie, perché a tempo nullo
x1 (t) e x2 (t) saranno equidistanti dal rispettivo valore di riposo, c1 e c3 , per poi procedere alla stessa
velocità, avendo la stessa costante di tempo τ2 .

12
Davide Miani
Metodo matriciale per la determinazione degli autovalori
Questo metodo ci permette di non ricavare più le equazioni differenziali nella forma caratteristica, perché
parte direttamente dalla forma canonica:

⎧⎪ x!1 = −m1 x1 + m2 x2

x! = m1 x1 − m2 x2
⎩⎪ 2

Possiamo definire questa forma canonica, scritta sotto forma di sistema, in termini matriciali definendo i
vettori e la matrice:

⎛ x1 ⎞ ⎛ x!1 ⎞ ⎛ −m1 m2 ⎞
x=⎜ ⎟ , x! = ⎜ ⎟, A=⎜ ⎟ , quindi: x! = Ax
⎝ x2 ⎠ ⎝ x!2 ⎠ ⎝ m1 −m2 ⎠

A questo punto possiamo ricavare λ1 , λ2 con una serie di manipolazioni. Per prima cosa trasformiamo
secondo Laplace l’espressione in forma matriciale appena trovata:

sX − x(0 + ) = AX
Agg(sI − A)
L [ x! = Ax ] ⇒ X(sI − A) = x(0 + ) ⇒ X = x(0 + )
det(sI − A)
X = x(0 + )(sI − A)−1 ⎫

Agg(sI − A) ⎬
(sI − A)−1 = ⎪
det(sI − A)

Dove, ponendo det(sI − A) = 0 , otteniamo il polinomio caratteristico. Sostituendo ad s λ , calcoliamo


dapprima la matrice λ I − A :

⎛ λ 0 ⎞ ⎛ λ + m1 −m2 ⎞
λI − A = ⎜ − A = ⎜ ⎟
⎝ 0 λ ⎟⎠ ⎝ −m1 λ + m2 ⎠

Quindi ne calcoliamo il determinante e lo imponiamo a 0 , trovando così infine gli autovalori:

det(λ I − A) = (λ + m1 )(λ + m2 ) − m1m2 ⎫


⎪ λ 2 + m2 λ + m1λ + m1m2 − m1m2 = 0 ⎧λ1 = 0
⎬ ⇒ ⇒⎨
det(λ I − A) = 0 ⎪
⎭ λ 2 + (m1 + m2 )λ = 0 ⎪λ2 = − ( m1 + m2 )

Metodo in frequenza per la determinazione degli autovalori


Anche questo metodo parte direttamente dalle equazioni in forma canonica a differenza della risoluzione nel
dominio del tempo. Si parte trasformando direttamente le due equazioni differenziali ottenute, considerando
molto spesso, se possibile, il valore destro a tempo 0 nullo (proprietà della trasformata di Laplace: derivata
destra). Dunque si può esplicitare una delle due equazioni in funzione di una sola variabile complessa, ad
esempio X 2 = f (X1 ) , così da sostituirla nell’altra ed ottenere un’espressione ad una sola variabile. A quel
punto si esplicita tutto in funzione dei parametri noti, e si studia per quali valori il denominatore si annulla.
Questi sono direttamente gli autovalori (infatti in controlli trovevamo proprio così le costanti di tempo dei
sistemi.
Vediamo con il prossimo esempio di utilizzo del modello bicompatimentale l’applicazione di questo metodo
per la ricerca degli autovalori in un sistema differenziale del second’ordine.

13
Davide Miani
Test della bromosulftaleina (BSF)
La bromosulftaleina è un pigmento bianco che veniva utilizzato come test della funzionalità epatica. Il
pigmento veniva iniettato nel sangue e poi se ne misurava la cosiddetta ‘curva di scomparsa’, cioè come la
concentrazione decresceva nel tempo. Ovviamente, più la scomparsa della bromosulftaleina era veloce, più
il fegato era in buono stato. Il fenomeno è modellato considerando due compartimenti: uno della BSF nel
sangue ed uno della BSF nel fegato, trascurando perciò l’assorbimento del colorante da parte di intestino,
reni ed altri tessuti:

Considerando l’iniezione impulsiva e di un bolo di bromosulftaleina di massa M , avremo che:

⎧ x!1 = −m1 x1 + m2 x2 + M δ (t) ⎧ sX1 = −m1 X1 + m2 X2 + M


⎨ →L→⎨
⎩ x!2 = m1 x1 − (m2 + m3 )x2 ⎩ sX2 = m1 X1 − (m2 + m3 )X2

Esplicitando quindi nella seconda X2 = f (X1 ) :

⎧ sX1 = −m1 X1 + m2 X2 + M
⎪ m1m2 ⎡ m1m2 ⎤
⎨ m1 ⇒ sX1 = −m1 X1 + X1 + M ⇒ X1 ⎢ s + m1 − ⎥=M ⇒
⎪ X = X s + m + m ⎣ s + m + m ⎦
s + m2 + m 3
2 1 2 3 2 3

s + m2 + m 3
⇒ X1 = M
s + (m1 + m2 + m3 )s + m1m3
2

Dove s 2 + (m1 + m2 + m3 )s + m1m3 è detto polinomio caratteristico, e i valori di s per cui si annulla ci
forniscono gli autovalori che stiamo cercando:

s 2 + (m1 + m2 + m3 )s + m1m3 = 0

−(m1 + m2 + m3 ) ± (m1 + m2 + m3 )2 − 4m1m3


λ1,2 = s1,2 =
2

Si noti che il discriminanteΔ è sicuramente minore in modulo di b , per cui, se Δ è positivo, λ1 e λ2 sono
sicuramente reali negativi. Quindi x1 (t) e x2 (t) sono due esponenziali negativi, con x p (t) = 0 , essendo
questa un’infusione impulsiva:

λt λt
⎪⎧ x1 (t) = c1e 1 + c2 e 2
⎨ λ1t λ2t
⎩⎪ x2 (t) = c3e + c4 e

Riguardo alle costanti, si può dimostrare che c1 , c2 , c3 sono positive, mentre c4 è negativa ed uguale a
−c3 . Poiché si attiva prima τ 2 ( λ2 > λ1 ) il fatto che c4 sia negativo dapprima fa crescere x2 (t) ; poi,
attivandosi τ 1 , la caratteristica torna verso zero.

14
Davide Miani
Test della bilirubina
La bilirubina è una sostanza presente normalmente nell'organismo: essa deriva dalla distruzione dei globuli
rossi come prodotto del catabolismo dell'emoglobina e viene eliminata dal fegato con la bile. Essa viene
utilizzata per valutare la funzionalità epatica, con le stesse modalità della BSF.

La curva di scomparsa della bilirubina può essere interpretata come risposta di un modello a due
compartimenti uguale a quello usato per la BSF. Valgono quindi tutti i risultati ottenuti in precedenza, con la
sola accortezza di considerare x1 (t) e x2 (t) come le variazioni rispetto ai corrispondenti valori di equilibrio
stazionario prima dell’iniezione.

Cinetica del glucosio


Il glucosio attraversa con difficoltà la membrana cellulare per diffusione semplice, poiché è idrosolubile e
molto poco liposolubile. In presenza di insulina, ormone prodotto dal pancreas in alcune formazioni cellulari
specializzate dette isole di Langherans, il passaggio del glucosio attraverso la membrana cellulare aumenta
decisamente.
Una descrizione a compartimenti deve quindi prevedere un compartimento del glucosio ( 1 ) e uno
dell’insulina ( 2 ), distinto dal primo, anche se entrambe le sostanze si trovano nel plasma. Sia il glucosio che
l'insulina possono essere eliminati dal plasma, per esempio per via renale, e quindi occorrerà prevedere
delle vie di eliminazione m10 e m20 , così come potranno essere iniettate con portate q1 (t) e q2 (t) . Infine,
occorre tenere conto dei meccanismi che regolano la produzione di insulina da parte del pancreas e il
trasporto del glucosio attraverso la membrana cellulare. Per far questo, si introducono dei termini
proporzionali, rispettivamente, alla variazione di glucosio nel sangue ( m12 ) e alla variazione di insulina nel
sangue x21 . È da sottolineare che questi sono termini anomali, che non rappresentano scambi di sostanza
fra i due compartimenti, bensì azioni di controllo (non c’è infatti trasformazione di glucosio in insulina, e
viceversa).

Operando come per la BSF, si trovano i seguenti autovalori:

−(m10 + m20 ) ± (m10 + m20 )2 − 4(m10 m20 + m12 m21 )


λ1,2 =
2

In questo caso il discriminante, Δ , può essere sia positivo che negativo, quindi generare una risposta come
quella per la BSF o anche oscillatoria. Si considerano inoltre i due casi in cui ci sia iniezione impulsiva o di
glucosio o di insulina: si avranno delle variazioni positive o negative nell’intorno dei valori relativi di regime
fisiologico:

Δ>0 Δ<0

q1 (t) = Qδ (t), q2 (t) = 0

q1 (t) = 0, q2 (t) = Qδ (t)

Dove gli andamenti oscillatori ricalcano quelli non oscillatori, come si evince dai grafici.

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Davide Miani
Iniezioni multiple
Spesso non ci si ritrova nel caso di dovere studiare la cinetica di una sostanza nel caso di una sola
iniezione, ma di multiple iniezioni, magari periodicamente. Si avrà a che fare quindi con un ingresso a pettine
u(t) , quindi con delte di dirac tutte a distanze di tempo uguale T . La risposta del sistema y(t)
(concentrazione della massa/moli di x(t) , che è la grandezza che possiamo misurare) ad ogni impulso sarà
quella vista precedentemente, ma dopo un certo intervallo di tempo la caratteristica tenderà ad un asintoto
che non è nullo. Ciò è difficile da prevedere, è invece molto più semplice valutare il valor medio dell’uscita.
Esso si calcola sfruttando la linearità del sistema: u(t) viene considerato un segnale periodico con periodo
T , e può quindi essere sviluppato in serie di Fourier:

u(t) = u + ∑ U n cos(nω 0t + α n )
n=1

E lo stesso, ovviamente, vale per l’uscita:


y(t) = y + ∑ Yn cos(nω 0t + β n )
n=1

Essendo il sistema lineare, vale la sovrapposizione degli effetti, quindi possiamo valutare y semplicemente
dando in ingresso al sistema u , questo perché ogni armonica i-esima di u(t) produce anche l’i-esima
armonica di y(t) .

Identificazione dei parametri


I modelli a compartimenti vengono impiegati in campo clinico soprattutto allo scopo di stimare i valori dei
coefficienti di scambio e di eliminazione, nonchè dei volumi di distribuzione. Infatti, questi parametri possono
essere molto utili nella formulazione della diagnosi, ma, di solito, è difficile (a volte impossibile) misurarli in
vivo. Partendo quindi dal comportamento nel tempo ipotizzato dal modello, possiamo risalire ai parametri
desiderati. Vediamo ora come operare nei due casi di monocompartimento e bicompartimento.

Identificazione dei parametri nel modello ad un compartimento.


Sappiamo che, in generale, un modello ad un compartimento si comporta secondo la caratteristica sotto
riportata, in cui facciamo l’ipotesi semplificativa che la soluzione particolare sia nulla:

k
− t ⎡ − t⎤
k ⎫
x(t) = x0 e + x p (t) ⎢1− e ⎥
V V ⎪⎪ k
− t
⎣ ⎦ ⎬ ⇒ x(t) = x 0 e V

x p (t) = 0 ⎪
⎪⎭

I parametri da identificare sono quindi solamente due: k e V . Un primo modo semplice di valutarli è
misurare la concentrazione di sostanza y(t) = x(t) V in due momenti temporali diversi. Si avrebbe così un
semplice sistema di due equazioni a due incognite:

⎧ x0 − Vk t1
⎪⎪ V e = y(t1 )
⎨ k
⎪ x0 e− V t2 = y(t )
⎪⎩ V 2

Tuttavia i risultati trovati con questo metodo sarebbero pesantemente affetti dall’errore di misurazione. Un
metodo che permette di misurare in modo più preciso i parametri è quello di misurare più di due valori di
ys (t) e poi ricavare i parametri attraverso il metodo dei minimi quadrati. Linearizzando il modello infatti si
ottiene (per l’i-esima misura):

16
Davide Miani
⎛x ⎞ k
ln [ ys (ti )] = ln ⎜ 0 ⎟ − ti
⎝V⎠ V

Dati quindi gli elementi:

⎛ ln [ y (t )] ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ t1 ⎞

s 1
⎟ k 1
⎜ −V ⎟ ⎜ ⎟
⎜ ln [ ys (t 2 )] ⎟ ⎜
t
⎟, A=⎜ 2 1 ⎟
ys = ⎜ ⎟, x =⎜
! ⎛ x0 ⎞ ⎟ ⎜ ! ! ⎟
⎜ ⎟ ⎜ ln ⎜⎝ V ⎟⎠ ⎟ ⎜ ⎟
⎜⎝ ln [ ys (t n )] ⎟⎠ ⎝ ⎠ ⎝ tn 1 ⎠

Si può trovare l’ x che minimizza lo scarto quadratico medio tramite la formula:

x = (AT ⋅ A)−1 ⋅ AT ⋅ ys

E dalla conoscenza di x si ricavano i parametri che meglio approssimano i dati sperimentali.

Identificazione dei parametri nel modello a due compartimenti.


Non si può operare allo stesso modo qui: infatti la y(t) = x(t) V nel caso più generale è una
biesponenziale:

y(t) =
1
V
( c1eλ1t + c2eλ2t )
Questa caratteristica non è linearizzabile. Bisogna perciò utilizzare dei metodi diversi. In generale
comunque, qualsiasi sia il metodo di identificazione utilizzato, i passi da eseguire sono due:
1. Identificare c1 V = c1 , c2 V = c2 , λ1 e λ2 che meglio si adattano alle misure sperimentali.
2. Da questi parametri identificare poi k , V ed altri se presenti.
Qui ora vedremo due metodi differenti per il passo 1, mentre solo un metodo per il passo 2.

Metodo del peeling.


Questo è un metodo quasi grafico, che si può applicare solo nel caso in cui i due autovalori siano
molto diversi ed entrambi minori o uguali a 0 . Prendiamo per esempio il caso λ1 ≫ λ2 , λ1 , λ2 < 0
(quindi avremo λ2 ≫ λ1 , e quindi τ 1 ≫ τ 2 ). In tal caso, si possono fare le seguenti
approssimazioni:

t→0 ⇒ y(t) = c1 + c2 eλ2t ⇒ ln [ y(t) − c1 ] = ln c2 + λ2t

t→∞ ⇒ y(t) = c1eλ1t ⇒ ln [ y(t)] = ln c1 + λ1t

Dunque si prende la zona per t molto grande e si traccia la retta che meglio approssima l’andamento
della curva in questa zona (con il metodo che si preferisce).
• La pendenza della retta sarà λ1 .
• L’intercetta con l’asse delle ordinate sarà ln c1 , da cui ricaviamo direttamente c1 .
Noto c1 sarà noto anche ys (t) − c1 , in quanto ys (t → 0) può essere misurato all’inizio
dell’esperimento (non dobbiamo dimenticare che tutti i valori di y(t) idealmente possono essere
misurati). Ora procediamo considerando la zona per t molto piccolo, appuntiamo sul grafico alcuni
valori relativi a ln [ ys (t) − c1 ] , quindi tracciamo la retta che meglio li interpola.
17
Davide Miani

• La pendenza sarà λ2 .
• L’intercetta con le ordinate sarà ln c2 , da cui si ricava immediatamente c2 .
Abbiamo così trovato tutti i parametri che dovevamo ricercare.

Metodo con algoritmo numerico.


Questo metodo consiste semplicemente nel minimizzare l’errore fra il modello bicompatimentale y(t)
e i valori di ys (t) misurati:

n
y(t) = c1eλ1t + c2 eλ2t , ys (t) ⇒ E = ∑ [ ys (ti ) − y(ti )]
2

i=1

Questo per via analitica si farebbe minimizzando le derivate parziali di E rispetto ai quattro parametri
ma, come già detto prima, risulterebbe un problema infattibile. Nulla ci vieta però di trattare il problema
in maniera numerica, tramite algoritmi. Questi algoritmi spesso partono da dei valori iniziali dei
parametri e cercano di individuare un minimo relativo (vedi ad esempio la fminsearch).

Terminato il passo 1 con uno dei due metodi, possiamo procedere con il passo 2. Esso si basa sul ricavare i
parametri di interesse a partire dallo studio del modello:

⎧c1 = f (k1 ,…,V1 ,…)


⎪c = f (k ,…,V ,…)
⎪ 2 1 1

⎪λ1 = f (k1 ,…,V1 ,…)
⎪⎩λ2 = f (k1 ,…,V1 ,…)

Questo passaggio paradossalmente è critico: infatti non sempre siamo in grado di ricavare i parametri dal
sistema (o almeno, non tutti). Nell’esperimento della bilirubina ad esempio abbiamo k1 , k2 , k3 , V1 e V2 , ed
è quindi chiaro che un sistema di quattro equazioni non è sufficiente a ricavare cinque incognite. É quindi di
interesse conoscere la quantità di parametri che siamo in grado di conoscere a priori. Per farlo, ci viene in
aiuto il metodo dell’identificabilità a priori, che ora vediamo nel dettaglio.

Identificabilità a priori
Partiamo da considerare un sistema bicompartimentale descritto un sistema di equazioni differenziali
abbastanza generico, del tipo:

⎧ k1 + k3 k2
⎪⎪ !
x1 = − x1 + x2 + u(t)
V1 V2

⎪ x!2 = k1 x1 − k2 + k4 x2
⎪⎩ V1 V2

Dove i parametri da determinare sono k1 , k2 , k3 , k4 , V1 e V2 .


Dato un ingresso-uscita generico, supponiamo di conoscere, ad esempio, ys (t) = x1s (t) V e u(t) . Grazie
alla trasformata di Laplace, a partire dal sistema scritto sopra, possiamo trovare analiticamente X1 (s) e
U(s) in funzione dei soli parametri del sistema. Possiamo quindi scrivere la funzione di trasferimento
dell’esperimento ingresso uscita come:

Y1 (s) 1 X1 (s)
G1 (s) = =
U(s) V1 U(s)

Nel caso della bromosulftaleina quindi avremo:

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Davide Miani

1 s + m2 + m 3
⇒ G1 (s) =
V1 s + (m1 + m2 + m3 )s + m1m3
2

Per semplicità, possiamo porre tutto nella forma:

⎧ 1
⎪a = V
s+b ⎪⎪ 1

G(s) = a , con ⎨b = m 2 + m 3
s + cs + d
2
⎪c = m + m + m
⎪ 1 2 3

⎪⎩d = m1m3

Tutti i parametri che compaiono in quest ultimo sistema sono quelli che effettivamente si possono trovare.
Quindi, nel caso BSF, non è possibile purtroppo conoscere uno dei cinque parametri incogniti.
Nel caso generale sopra descritto si avrà:

⎧ 1
⎪ a ′ =
V1
1 X1 (s) 1 s + m2 s + b′ ⎪⎪
G1 (s) = = = a′ 2 , con ⎨b ′ = m 2
V1 U(s) V1 s + (m2 + m4 )s + m2 m4
2
s + c ′s + d ′ ⎪c ′ = m + m
⎪ 2 4

⎪⎩d ′ = m2 m4

⎧ 1
⎪a ′′ = V
1 X2 (s) 1 m1 s ⎪⎪ 2

G2 (s) = = = a ′′ 2 , con ⎨ ′′
b = m 2 + m4
V2 U(s) V2 s + (m2 + m4 )s + m2 m4
2
s + b ′′s + c′′ ⎪c′′ = m m
⎪ 2 4

⎪⎩

Anche qui, comunque la si rigiri, non è possibile determinare tutti i parametri.


Questo è il caso un po’ più generale di modello a due compartimenti. Lo si può quindi adattare facilmente ad
altri tipi di sistemi.


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Davide Miani

3) SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO
Funzioni e schema generale
Il sistema cardiocircolatorio è composto da tre parti: (1) il
sangue, che scorre nei (2) vasi sanguigni, che si diramano dal
(3) cuore.
1. Sangue: la funzione dell’apparato cardiocircolatorio è
quella di trasportare le sostanze nutritive, quali ossigeno
e glucosio, oltre che le sostanze di scarto, come la
CO2 , in tutto il corpo; ciò è fatto tramite il sangue, un
tessuto liquido, la cui necessità come sistema di
trasporto è dovuta al fatto che non ne esistano altri
abbastanza veloci da riuscire a portare le sostanze
necessarie al corpo in poco tempo.
2. Vasi sanguigni: variano di diametro e composizione
cellulare lungo il percorso effettuato dal sangue per
assicurarne il trasporto alle diverse pressioni. In
generale possiamo dividere i vasi sanguigni in arterie
(se il sangue contenuto è ricco di ossigeno, arterioso),
vene (se il sangue contenuto è povero di ossigeno,
venoso) e arteriole, capillari e venule (che si occupano
invece della distribuzione periferica del sangue,
fornendo anche la resistenza fluidodinamica necessaria
ad una adeguata caduta di pressione).
3. Cuore: è l’organo che fornisce la spinta meccanica al
sangue contraendosi, e dà unidirezionalità al flusso
grazie alle valvole.
Il percorso circolatorio può essere schematizzato come in figura:
il sangue venoso, tramite la vena cava superiore e inferiore,
raggiunge il cuore presso l’atrio destro. Esso riceve il sangue in
uno stato rilassato (diastole) e poi si contrae (sistole) spingendo
la totalità del sangue al suo interno prima nel ventricolo destro
tramite la valvola atrioventricolare destra (tricuspide), poi da lì,
con una nuova contrazione, nella circolazione polmonare
tramite la valvola semilunare polmonare destra. Qui il sangue
scambia CO2 con O2 , prelevato dall’aria inspirata. Arriva poi all’atrio sinistro e in fine al ventricolo sinistro
tramite la valvola atrioventricolare sinistra (bicuspide o mitrale), da dove viene spinto tramite la valvola
semilunare sinistra (aoirtica) nell’aorta, verso la circolazione sistemica.
La circolazione sistemica prevede un collegamento in parallelo di tutti gli organi e gli apparati principali, così
che, variando la resistenza presso le arteriole selettivamente lungo i singoli rami, sia possibile selezionare la
portata di sangue maggiore a seconda delle necessità fisiologiche del momento. Unica eccezione di tutto
questo è il cosiddetto shunt bronchiale, in cui il sangue venoso proveniente dai bronchi non passa dalle vene
cave e dal ventricolo destro, ma viene direttamente immesso nella vena polmonare (che contiene sangue
arterioso, ma essendo un vaso di uscita da un organo è detta appunto vena, stesso discorso per l’arteria
polmonare).

20
Davide Miani
Elementi di emodinamica
Il sangue è un liquido costituito da cellule in sospensione nel
plasma che, essendo un colloide (particolare miscela in cui una
sostanza si trova in uno stato finemente disperso, intermedio tra la
soluzione e la dispersione), fa del sangue una soluzione colloidale.
Le cellule in sospensione sono al 99% globuli rossi e all’1% globuli
bianche, che quindi influiscono scarsamente sul moto del sangue.
Per semplicità di trattazione noi considereremo il sangue come un
fluido newtoniano (viscosità non varia con la velocità del fluido),
anche se in realtà non è così, soprattutto in vasi di diametro molto
piccolo, come i capillari, di dimensioni paragonabile al globulo
rosso.
• La densità ρ del sangue è pari a 1− 2 g cm .
3

• La viscosità η del sangue è pari a 3 − 4 cP (che sta per


centipoise, che equivale a: [ cP ] = [ mPl ] = [ Pa ⋅ s ] ).
Ematocrito.
É definito come volume delle cellule in sospensione su volume totale di sangue. Fisiologicamente si aggira
intorno al 40%, ma può aumentare anche fino al 60-70% in seguito a patologie. Può variare molto anche in
presenza di anemia o a seconda dell’altitudine a cui si vive. Esso influisce molto pesantemente sulla
viscosità del sangue, come vediamo nel grafico, dove è riportata la densità del sangue normalizzata a quella
dell’acqua al variare dell’ematocrito. Ovviamente viscosità di acqua e plasma saranno costanti; ovviamente
la viscosità dell’acqua in questo caso sarà unitaria.

Plasma.
Il plasma è uno dei liquidi extracellulari dell’organismo, in quanto circonda i globuli rossi. Differisce di
pochissimo dal liquido interstiziale, l’unica differenza sta nella concentrazione di proteine (7g/100ml nel
plasma contro i 2g/100ml nel liquido interstiziale) perché le proteine plasmatiche attraversano i capillari solo
in scarsa misura; le proteine plasmatiche si dividono in tre categorie:
1. Albumina (circa 64%): contribuisce molto alla generazione della pressione colloidale osmotica, che
ostacola la fuoriuscita del plasma negli spazi interstiziali nei capillari.
2. Globuline (circa 35%): si dividono in α , β e γ e hanno diverse funzioni, dal trasposto ( α e β )
alla difesa dalle infezioni ( β e γ che compongono gli anticorpi).
3. Fibrinogeno (circa il 4%): proteina fondamentale per la coagulazione sanguigna.


21
Davide Miani
Flusso stazionario
In questa sezione si esporranno alcune leggi per il flusso stazionario e, considerando il sangue in tale
regime, si faranno alcune deduzioni.

Legge di Poiseuille.
Nell’ ‘800 il medico francese Poiseuille si interessò al moto di un fluido (acqua), considerato incomprimibile,
in moto laminare con flusso stazionario (costante) in un cilindro orizzontale indeformabile. Non si tengono
conto quindi delle variazioni di quota e di sezione, cosa che si farà poi con la legge di Bernoulli. Poiseuille
trovò sperimentalmente questa relazione:

(P1 − P2 )D 4
Q=k
L

Dove: Q è la portata volumetrica media (definita, normalmente ad una superficie perpendicolare al vaso,
come Q = vA ), P1 è la pressione a monte, P2 quella a valle, D il diametro del tubo, L la sua lunghezza e
k una costante di proporzionalità, che venne poi ricondotta in uno studio successivo a termini di raggio del
tubo R e alla viscosità η del liquido, così da poter scrivere la forma definitiva della legge di Poiseuille:

π R 4 (P1 − P2 )
Q=
8η L

Da cui si può ricavare il profilo di velocità nel tubo, che in queste condizioni ideai è parabolico (si considera
inoltre anche l’ipotesi di non scivolamento al contorno):

⎧vMAX = 2vAVE
⎛ r2 ⎞ ⎧v(0) = vMAX ⎪
v(r) = vMAX ⎜ 1− 2 ⎟ ⇒ ⎨ , con ⎨ Q Q
⎝ R ⎠ ⎩v(R) = v(−R) = 0 ⎪⎩vAVE = A = π R 2

Limiti della legge di Poisuille e resistenza vascolare.


La legge di Poiseuille però non è affatto adatta per descrivere in maniera realistica il moto del sangue nei
vasi: infatti, quasi nessuna ipotesi è rispettata per la circolazione:
• Il sangue, come sappiamo, non è un fluido newtoniano (anche se si può considerare tale, con buona
approssimazione in vasi molto grandi).
• Il flusso sanguigno è intrinsecamente pulsatile a causa dell’attività cardiaca, quindi non è stazionario.
• I vasi non hanno pareti rigide, inoltre presentano un elevata conicità, cioè la loro sezione è variabile, in
particolare diminuisce andando verso la circolazione periferica. Inoltre la sezione non è circolare, ma
piuttosto ellittica, soprattutto nei capillari.
L’unica ipotesi che si può considerare quasi sempre rispettata è quella di moto laminare, a parte nei pressi
delle valvole che perturbano il moto.
Nonostante tutto però la legge di Poiseuille è molto comoda perché ci fornisce una relazione lineare fra
portata e caduta di pressione che, in analogia con l’elettrotecnica, ci consente di definire la resistenza idrica,
che nel nostro caso chiameremo resistenza vascolare RV , che ci dice quanto un vaso impedisce il
passaggio di un flusso a seconda dei suoi parametri geometrici e dei parametri fisici del fluido stesso:

(P1 − P2 ) 8η L
RV = =
Q π R4

Il che ci permette di creare degli analoghi elettrici dei vasi. Questa, siccome deriva dalla legge di Poiseuille,
si dice anche resistenza di Poiseuille e in generale sarà minore della reale resistenza dei vasi. Tuttavia ci
semplifica moltissimo lo studio di reti vascolari, che si riconducono a semplici resistenze in serie o parallelo.
Un altra cosa interessante da notare è che il raggio del vaso incide pesantemente sulla resistenza vascolare.
Questo spiega come mai la natura, fra tutti i modi possibili, per la regolazione dei flusso sanguigno prediliga
la variazione del raggio dei vasi. Ma quale criterio usa la natura per dimensionare il raggio? Vediamo una
possibile spiegazione con l’ipotesi di Murray.
22
Davide Miani
Progetto del raggio ottimo per un vaso secondo Murray.
Murray ipotizzo che il criterio che seguisse la natura nel dimensionare i vasi fosse la minimizzazione del
dispendio di energia necessario per mantenere la portata Q di sangue necessaria alla circolazione del
sangue stesso. Ipotizzò che questa energia o meglio, potenza, fosse composta da tre termini:
• Uno dissipativo, dovuto all’energia dissipata dal sangue nel suo moto per attrito viscoso. In analogia
con la potenza dissipata da un resistore, possiamo scrivere quindi:

8η L 2
Pdiss = RV Q 2 = Q
π R4

Su cui possiamo attuare un’analisi dimensionale ed ottenere che si tratta di una potenza (ulteriore
conferma che la definizione di resistenza vascolare in relazione alla portata è corretta):

N ⋅s ⎫
[η ] = Pa ⋅ s = m2


[L] = m ⎪
⎪ ⎡N⋅ s m6 1 ⎤ ⎡ J ⎤
⎛ m3 ⎞
2 ⎬ ⇒ ⎢ 2 ⋅ m ⋅ 2 ⋅ 4 ⎥ = ⎢ ⎥ = [W ]
m6 ⎪ ⎢⎣ m s m ⎥⎦ ⎣ s ⎦
⎡⎣Q 2 ⎤⎦ = ⎜ ⎟ = 2
⎝ s ⎠ s ⎪

⎡⎣ R 4 ⎤⎦ = m 4 ⎪

• Uno metabolico, dovuto all’energia per mantenere vivo il sangue, che Murray considerò
proporzionale tramite un parametro k1 al volume di sangue nel vaso:

Pmet1 = k1π R 2 L , [W ]
• Un altro di tipo metabolico, dovuto all’energia per mantenere in vita lo stesso vaso sanguigno,
sempre proporzionale al volume, questa volta del vaso, tramite una costante k2 :

Pmet 2 = k2π ( REXT − R ) L , [W ]


2

Supponendo poi che REXT sia proporzionale ad R tramite una costante k3 , possiamo scrivere:

Pmet 2 = k2π ( k3 R − R ) L = k2π ⎡⎣ R ( k3 − 1) ⎤⎦ L


2 2


Pmet 2 = k2 ( k3 − 1) π R 2 L
2

Possiamo quindi sommare tutti i vari termini per calcolare quale sia la potenza totale che serve alla
circolazione. Siccome tutti i termini dipendono dalla lunghezza L possiamo normalizzare le somme e
considerare così la potenza per unità di lunghezza PudL :

⎧ 8η 2
⎪ PudL = π R 4 Q + ⎡⎣ k1 + k2 ( k3 − 1) ⎤⎦ π R
2 2
8η 2 8η 2
= ∑ i Pi / L = Q + k1π R + k2 ( k3 − 1) π R ⇒ ⎨ ⇒ PudL ( R ) =
2
PudL 2 2
Q + kπ R 2
π R4 ⎪ k + k ( k − 1)2 = k π R4
⎩ 1 2 3

Considerando Q costante, si può quindi imporre l’annullamento della derivata prima per ottenere il raggio
che minimizza la funzione PudL ( R ) . Questo raggio è detto raggio ottimo e sarà quello, nell’ipotesi di Murray,
adottato dalla natura.


23
Davide Miani
Teorema di Bernoulli.

‘Il moto stazionario di un fluido incomprimibile attraverso un condotto con sezione variabile, in
presenza di forza di gravità, è retto dalla equazione di continuità (conservazione del volume) e
dall'equazione di Bernoulli (conservazione dell’energia meccanica)’.

⎧ A1v1 = A2 v2

⎨ 1 1
⎪⎩ p1 + ρ gh1 + 2 ρα 1v1 = p2 + ρ gh2 + 2 ρα 2 v2 + pR
2 2

Il terminepR racchiude tutte le irreversibilità e la caduta di


pressione dovuta all’attrito viscoso, mentre α 1 e α 2 sono
coefficienti che tengono conto della forma del profilo di
velocità nella sezione considerata. Se il profilo è piatto, cioè
la velocità nella sezione è costante, α = 1 ; in ogni altro caso
risulta α > 1 . In particolare, se il profilo è parabolico, α = 2 .
La legge di Bernoulli rappresenta il bilancio di energia per unità di volume, in cui intervengono, oltre a pR , i
seguenti tre termini notevoli:

p1 − p2 differenza di energia di pressione


ρ g(h1 − h2 ) differenza di energia gravitazionale
1
ρ (α 1v1 − α 2 v2 ) differenza di energia cinetica
2

Pressione "laterale" e “frontale".


L'equazione di Bernoulli mette in evidenza che occorre tenere conto dell'energia cinetica del fluido. Questo
ha una certa rilevanza quando si misura la pressione intravascolare mediante catetere infilato in un vaso
sanguigno. Un catetere non è altro che un tubicino a pareti praticamente rigide che, riempito di soluzione
fisiologica, consente di trasmettere la pressione del sangue all'interno del vaso ad un misuratore di
pressione posto all'esterno del corpo. Dunque, all'interno del catetere, in condizioni stazionarie, la velocità
del fluido è nulla. Se l'apertura all'estremità interna è "frontale", come in figura, la pressione misurata
dipende anche dalla velocità ematica nel vaso vicino all'imbocco del catetere.

Applicando il teorema di Bernoulli alle sezioni 1 e 2 della figura a sinistra si ottiene:

1
p1 + ρ v12 = p2
2

Quindi la misura dip1 è ‘sporcata’ dall’energia cinetica del flusso sanguigno. Per eliminare l'errore di misura
della pressione (ed ottenere quindi p2 = p1 ), si può adottare una apertura laterale perpendicolare alla
velocità del fluido, come illustrato nella figura a destra.

24
Davide Miani
Flusso attraverso valvole.
Gorling e Gorling nel dopoguerra hanno utilizzato la legge di Bernoulli per studiare il flusso sanguigno
attraverso le valvole cardiache.
Una valvola cardiaca aperta può essere approssimata con un tratto di tubo conico come segue.

Infatti le valvole non sono altro che un raccordo fra una zona più spaziosa (cuore) ed una più stretta (arteria).
Utilizzando Bernoulli e l’equazione di continuità si avrà quindi:

1 1 ⎫
p1 + ρ gh1 + ρα 1v12 = p2 + ρ gh2 + ρα 2 v22 + pR ⎪
2 2

h1 = h2 ⇒ ρ gh1 = ρ gh2 ⎪⎪ 1 Q2 1 Q2
α 1 = α 2 = 1, pR = 0 ⎬ ⇒ p1 + ρ 2
= p2 + ρ 2
⎪ 2 A1 2 A2
Q Q ⎪
A1v1 = A2 v2 = Q ⇒ v1 = , v2 = ⎪
A1 A2 ⎪⎭

E quindi possiamo trovare una relazione che lega la differenza di pressione ai capi della valvola alla portata:

1 ⎛ 1 1⎞
p1 − p2 = ρQ 2 ⎜ 2 − 2 ⎟
2 ⎝ A2 A1 ⎠

Tuttavia, quello che interessava a Gorling e Gorling era la misura della sezione della valvola, A0 , in quanto
la misura di questa sezione era considerata di interesse per rilevare eventuali occlusioni o malfunzionamenti.
Fecero quindi l’ipotesi che, in condizione di valvola perfettamente funzionante, esistesse fra le sezioni la
seguente relazione:

1 1 1
2
− 2= 2 2
A2 A1 Cd A0

Dove Cd è detto coefficiente di scarica, ed è caratteristico della valvola. Trovato quindi Cd per ogni valvola,
dall’equazione ricavata prima direttamente da Bernoulli siamo in grado di ricavare A0 solo grazie alla misura
della differenza di pressione ai capi della valvola e alla misura della portata media Q :

1 ⎛ 1 1⎞ ⎫
p1 − p2 = ρQ 2 ⎜ 2 − 2 ⎟ ⎪
2 ⎝ A2 A1 ⎠ ⎪ 1 ρQ 2 Q ρ
⎬ ⇒ p − p = ⇒ A0 =
2 ( p1 − p2 )
1 2 2 2
1 1 1 ⎪ 2 Cd A0 Cd
− =
A22 A12 Cd2 A02 ⎪

25
Davide Miani
Idrostatica della circolazione: pressione arteriosa.
Un’altra applicazione interessante della legge di Bernoulli è la misura approssimativa della pressione nei vari
punti del corpo, considerato come un insieme di tubi tubo che partono tutti dal cuore per arrivare ad ogni
punto di interesse. Consideriamo ora due casi: soggetto sdraiato e soggetto in piedi e calcoliamo la
pressione sanguigna arteriosa presso i piedi ( pP ) e presso la testa ( pT ) utilizzando Bernoulli. Per farlo,
adottiamo le seguenti semplificazioni:
• A livello del cuore possiamo considerare una pressione costante di 100 mmHg.
• Possiamo considerare, in ogni punto che andiamo a calcolare, pR ≅ 5 mmHg.
• Si dimostra che, in ogni punto che andiamo a calcolare, la differenza di energia cinetica è trascurabile.

Soggetto sdraiato.
Qui piedi e testa sono alla stessa altezza che il cuore, quindi possiamo trascurare anche il contributo
gravitazionale, ottenendo, sia presso testa che piedi, una pressione di 95 mmHg:

pP = pC − pR , pT = pC − pR

Soggetto in piedi.
Consideriamo la testa 50 cm sopra il cuore, i piedi 120 cm sotto il cuore, densità del sangue
1019.11 Kg/m 3 . Vediamo quindi la pressione nei due punti:
• Pressione arteriosa presso i piedi: pP = pC − pR + ρ g ( hC − hP ) = 185 mmHg
• Pressione arteriosa presso la testa: pT = pC − pR + ρ g ( hC − hT ) = 57.5 mmHg

Idrostatica della circolazione: pressione venosa.


Consideriamo la pressione venosa di un soggetto in piedi presso i piedi e la testa. Tutto rimane come prima,
però dobbiamo considerare che la pressione presso le vene cave è circa nulla ( pc = 0 ). Inoltre, essendo la
pressione cardiaca considerata nulla non è più quella a monte, ma quella a valle. Si avranno quindi dei
cambi di segno. Per cui:
(
• Pressione venosa presso i piedi: pP = pR + ρ g hC − hP = 95 mmHg)
(
• Pressione venosa presso la testa: pT = pR + ρ g hC − hP = −32.5 mmHg)
Si ha una pressione negativa: questo comporta una compressione nei vasi cerebrali, che sarebbe ancora
maggiore se non ci fosse la scatola cranica.

Vasi collassabili.
In vari distretti dell'organismo si possono creare
fisiologicamente delle condizioni per cui la pressione
esterna ai vasi sanguigni è maggiore della pressione
interna, almeno per brevi intervalli di tempo, o in altre
parole la pressione transmurale (definita come la
differenza fra pressione interna ed esterna) è
negativa. Se le pareti dei vasi sono particolarmente
deformabili, come ad esempio nel caso delle vene, si
osservano delle riduzioni notevoli dell'area della
sezione, fino al collasso completo. La curva
pressione transmurale-variazione dell'area della
sezione ha un andamento del tipo illustrato in figura,
dove p̂ = pi − pe , A è l’area della sezione del
vaso, A0 = A( p = 0) è l’area della sezione a
pressione nulla.
Per pressioni transmurali molto alte si può avere
completa occlusione. Come si fa ad evitare nella
scatola cranica? Quel che succede è che, in brevi
periodo di tempo, il sangue accumulato presso
l’occlusione crea una pressione maggiore di quella
che ci sarebbe e la circolazione riprende.

26
Davide Miani
Analisi della relazione pressione-portata in un tubo contenente un segmento collassabile.
Come abbiamo già detto, la pressione transmurale può far variare la sezione dei vasi sanguigni, cosa che
complica decisamente le cose per quanto riguarda lo studio del moto del sangue, rispetto al caso idrostatico.
Basti solo pensare che con i dati trovati in teoria il sangue non riuscirebbe ad andare dal cervello al cuore,
perché abbiamo una pressione più bassa. Quindi il nostro modello stazionario a tubi rigidi è valido solo fino
ad un certo punto.
Studiamo quindi la relazione fra pressione ai capi di un vaso collassabile e portata, considerando anche la
pressione atmosferica pe . Nel fare ciò teniamo conto di diverse zone di comportamento, ma sempre
considerando lineare la relazione fraΔp e Q secondo la legge di Poiseuillle ( Q = Δp / RV ), quello che
cambierà con la pressione transmurale e quindi con la sezione del vaso sarà solo RV .

Finchè p2 > pe la pressione transmurale è positiva e non si ha collasso: il tubo resta ben aperto e la caduta
di pressione potrà essere considerata proporzionale alla portata Q . Si noti che la portata è negativa per
p2 > p1 (il flusso è opposto rispetto a quello indicato dalla freccia), mentre quando p2 < p1 ritorna positiva.
Non appena p2 < pe il lume del tubo comincerà a ridursi, tanto più quanto più sarà bassa p2 . Ciò dà
origine alla caratteristica semplificata sotto illustrata, dove però quella reale segue abbastanza la curva:

Vediamo quindi che per pressioni transmurali negative (ma non tanto da avere occlusione) si ha un
fenomeno detto effetto cascata, per il quale la portata Q diventa indipendente dalla pressione a valle.
Questo è un fenomeno di autoregolazione importantissimo nei vasi sanguigni, infatti, qualsiasi cosa accada
a p2 si ha sempre uno scorrimento di sangue. Un vaso di questo tipo viene detto resistore di starling.

27
Davide Miani
Flusso non stazionario
In generale il moto di un fluido non incomprimibile e non newtoniano in condizioni di flusso non stazionario
( Q variabile nel tempo) si studia con le equazioni di Navier-Stokes, che però spesso nel caso biologico
danno luogo ad equazioni non risolvibili analiticamente. Per questo noi passeremo per un approccio più
semplificato, studiando il moto di un fluido incomprimibile in un tubo cilindrico, in assenza di forza di gravità
(che elimina dallo studio le variabili di energia potenziale e cinetica del fluido).

Tubo a pareti rigide.


In un tubo a pareti rigide (e a sezione costante pari ad A ) se consideriamo che v e q variano nel tempo si
può però osservare che la portata si mantiene costante nello spazio ( dq(t) / dx = 0 ), mentre invece la
velocità no, ed ha un suo profilo di velocità che non conosciamo ( v(t, x) ). Possiamo però considerare anche
la velocità costante rispetto allo spazio se la sostituiamo con il suo valor medio v (t) . Se v (t) varia nel
tempo significa che il fluido subisce delle accelerazioni. Dal secondo principio della dinamica si avrà:

⎧ ma = FTOT dv (t)
⎨ ⇒m = A( p1 − p2 ) − FR
⎩ FTOT = A( p1 − p2 ) − FR dt

Dove A( p1 − p2 ) è la forza applicata dalle pressioni, mentre FR è la forza viscosa, fenomeno dissipativo
che si oppene al moto del fluido in modo proporzionale alla resistenza vascolare Rv , alla sezione A e alla
portata q(t) ( FR = RV q(t)A ). Cerchiamo quindi di mettere in luce la relazione fra caduta di pressione e
variazione di portata:

dv (t) ⎫
A( p1 − p2 ) = RV q(t)A + m ⎪
dt ⎪
⎫ ⎪

m
dv (t)
⎪ ⎪ ⎪ ρ L dq(t) ⎫
dt ⎪ ⎪ Δp = RV q(t) + ⎪
⎪ dv (t) ⎪ A dt ⎪ dq(t) RV Δp
⎬ ⇒ ρ AL ⎪ ⎬ ⇒ ⎬⇒ + q(t) =
m = ρV ⎪⎫ dt ⎪ dq(t) ρ L dt L LV
⎬ ⇒ m = ρ AL ⎪ ⎬ ⇒ ρL ⎪ = LV ⎪ V

V = AL ⎪⎭ ⎪ ⎪ dt ⎪ A ⎪⎭
⎭ ⎪

q(t) ⎪ ⎪
v (t) = ⎪
A ⎪
⎭ ⎪⎭

Dove LV è detta inertanza vascolare e rappresenta fisicamente l’opposizione del fluido alle variazioni di
velocità (infatti è direttamente proporzionale alla densità). L’equazione differenziale che ne risulta è una
semplice equazione del primo ordine che segue l’equivalente elettrico del circuito RL serie.

Riepilogo componenti equivalenti trovati.

8η L L
RV = LV = ρ 

π R4 A

28
Davide Miani
Tubo a pareti deformabili di sezione molto grande.
Se il tubo ha pareti deformabili non si può più supporre che la portata sia costante nello spazio. Infatti,
deformandosi il tubo può accumulare del sangue e quindi avremo zone, dove effettivamente vi è l’accumulo,
in cui la portata risulta minore rispetto ad altre. Possiamo quindi definire un bilancio di volume:

dV
q1 (t) = q2 +
dt

Dove q1 (t) rappresenta la portata a monte, q2 (t) quella a valle e dV / dt quella accumulata nel tratto
interessato (N.B.: la derivata del volume rispetto al tempo coincide con la portata!). In generale, il volume
dipenderà dalla distribuzione della pressione lungo l'asse del tubo: dove c’è pressione maggiore, il tubo sarà
più deformato, e viceversa. Nell'ipotesi di sezione molto grande, si possono trascurare sia la resistenza che
l'inertanza idrica (vedi infatti che le due definizioni matematiche sono inversamente proporzionali alla
sezione), ovvero si può considerare che la caduta di pressione ai capi del tubo sia dato solamente dalla
variazione di volume. Cercando perciò di scrivere, in un qualche modo, V = V ( p ( t )) :

dV dV dp dV
= , definendo CV =
dt dp dt dp

Continuando la nostra analogia elettrica, la variazione di volume su quella di pressione è definita


complianza. Sarà il termine che tiene conto della deformabilità delle pareti e quindi della capacità di
accumulo di volume un vaso. Date queste semplificazioni, l’equivalente elettrico di un tubo a pareti
deformabili di sezione grande sarà semplicemente un condensatore:

dV dV dp ⎫
= ⎪
dt dp dt ⎪
dV ⎪ dp
=q ⎬ ⇒ q = CV
dt ⎪ dt
dV ⎪
= CV ⎪
dp

Riepilogo componenti equivalenti trovati.

8η L L dV
RV = LV = ρ CV =
π R4 A dp

29
Davide Miani
Tubo di lunghezza infinitesima.
Ora possiamo unire le due cose per tubi di lunghezza infinitamente piccola. Infatti, in queste condizioni, si
possono considerare trascurabili le variazioni di q e di v lungo esso (condizioni per il modello a pareti
indeformabili) ed anche la variazione di p dovute a queste due grandezze (condizione per il modello a
pareti deformabili di lunghezza infinita). Possiamo quindi dire che l’analogo elettrico sarà una cella RLC del
tipo in figura, dove, accostando infinite celle, si ottiene e si può descrivere tutta la circolazione.

Dove rV , lV e cV sono resistenza, inertanza e complianza vascolare per unità di lunghezza.

30
Davide Miani
Eventi del ciclo cardiaco
Ogni ciclo cardiaco ha due fasi: la diastole (rilasciamento) e la sistole (contrazione). Dal momento che gli
atrii e i ventricoli non si contraggono e rilasciano contemporaneamente, distingueremo 5 diversi momenti
del ciclo cardiaco. Vediamoli ora nel dettaglio, soffermandoci sulle grandezze utili per descriverlo e sui valori
medi accettati in fisiologia di frequenza, pressione, portata, lavoro e potenza cardiaca.

Le 5 fasi dell’attività meccanica cardiaca.


1. Diastole tardiva (atriale e ventricolare): gli atrii sono completamente rilassati e la differenza di
pressione con le vene fa defluire il sangue al loro interno. I ventricoli, che hanno appena completato
la contrazione, si rilassano e si aprono le valvole atrioventricolari, facendo fluire il sangue al loro
interno ancora una volta per gradiente di pressione.
2. Sistole atriale: il riempimento dei ventricoli non si completa con la sola defluizione per gradiente
pressorio, ma grazie alla contrazione atriale.
3. Sistole ventricolare isovolumica (sistole ventricolare e diastole atriale): quando il potenziale
d'azione raggiunge l'apice del cuore comincia la contrazione dei ventricoli, con i fasci muscolari
disposti a spirale che spingono il sangue in alto contro le valvole atrioventricolari, che si chiudono
generando il primo tono cardiaco, S1 (tum). I ventricoli continuano la diastole aumentando la
sistole
pressione (contrazione ventricolare isovolumica), mentre i muscoli atriali si ripolarizzano e si
rilasciano; non appena la pressione atriale scende al di sotto di quella delle vene, il flusso di sangue
riprende dalle vene agli atrii.
4. Eiezione ventricolare: continuando la sistole ventricolare, quando la pressione dei ventricoli supera
quella delle arterie, le valvole semilunari si aprono e il sangue è eiettato in esse. Le valvole
atrioventricolari, però, rimangono chiuse e gli atrii continuano a riempirsi. Quando termina la
contrazione ventricolare, i ventricoli si ripolarizzano e iniziano il rilasciamento; la pressione
ventricolare quindi diminuisce insieme a quella aortica fino a che, per un fenomeno inerziale legato
alla maggiore inertanza aortica rispetto a quella ventricolare, si registra una pressione aortica
leggermente superiore a quella ventricolare: si ha quindi un reflusso di sangue dall’aorta verso il
cuore sui lembi delle valvole semilunari, serrandole e generando il secondo tono cardiaco, S2
(tam). L’eiezione è terminata, ma la diastole ventricolare no.
5. Rilasciamento ventricolare isovolumico (diastole ventricolare completa): terminata l'eiezione
sanguigna, i ventricoli si rilasciano con tutte le valvole chiuse (isovolumicità) fino a quando la
pressione si abbassa oltre quella degli atri; le valvole atrioventricolari quindi si aprono e ricomincia il
ciclo cardiaco.

31
Davide Miani
Curva pressione-volume.
Un altro modo per rappresentare il ciclo cardiaco è la curva pressione-volume. Essa rappresenta i valori di
pressione (Y) e volume (X) del ventricolo sinistro. Si legge passando attraverso i punti ABCD e osservando
come cambiano questi due parametri a seconda degli eventi che si susseguono nel ventricolo.
In corrispondenza dei punti B e D, si riportano le sigle EDV e ESV, che stanno per End-Disastolic Volume,
volume telediastolico, ed End-Systolic Volume, volume telesistolico; rispettivamente indicano il volume
sanguigno all'interno del ventricolo a fine rilasciamento (riempimento massimo) e la quantità residua a fine
contrazione (margine di sicurezza). Leggiamo ora il grafico e le diverse fasi in cui si divide:

A) la valvola mitrale si apre;



A-B) riempimento passivo e contrazione atriale finale;
B) la valvola mitrale si chiude (EDV);

B-C) contrazione isovolumica;

C) la valvola aortica si apre;

C-D) eiezione del sangue nell'aora;

D) la valvola aortica si chiude (ESV);

D-A) rilasciamento isovolumico;

Numeri ed altri concetti importanti.


Vediamo ora i valori più importanti legati alla frequenza cardiaca e alle pressioni e portate in gioco ad ogni
ciclo cardiaco. Sono valori che variano abbastanza fra gli individui, quindi consideriamo solo dei valori medi,
universalmente accettati.

Frequenza cardiaca.
Si può ricavare dai battiti al minuto. Essi variano in base all’individuo, al sesso, all’età, ma il valor
medio universalmente accettato è di 75 bpm, quindi la frequenza cardiaca media fc è di 1.25 Hz.

Pressioni.
• Ventricolo destro: 0-30 mmHg.
• Ventricolo sinistro: 9-120 mmHg.
• Aortica: 80-120 mmHg.

Portata.
• Stroke volume (SV): è la gittata sistolica, ovvero la quantità di sangue che viene eiettato in un
battito dai ventricoli. Non è perciò una portata, ma semplicemente una misura di volume. Questo
valore deve essere identico sia per quanto riguarda la sistole ventricolare destra che per la sistole
ventricolare sinistra. Negli esseri umani sani, questo valore si aggira intorno agli 80 mL.
• Cardiac output (CO): è la gittata cardiaca, ovvero la quantità di sangue eiettata dai ventricoli
nell’unità di tempo (in un secondo o in un minuto). Ha quindi effettivamente le dimensioni di una
portata e possiamo calcolarla sia a partire dalla frequenza che, più rigorosamente, come valor medio
della portata aortica sul periodo (così si considera la portata istantanea q(t) e non quella media):

t+T
1
CO ≅ SV ⋅ fc = 100 mL/s ≅ 6 L/min , o meglio:
T ∫q
t
aorta (t)dt

Lavoro cardiaco.
La curva pressione-volume mette in particolare evidenza il lavoro cardiaco per il ventricolo sinistro,
cioè il lavoro che viene svolto dal ventricolo per accelerare il sangue. Infatti, la funzione essenziale del
cuore è quella di convertire l’energia elettrica che gli viene fornita dai potenziali d’azione in energia
meccanica. Questa energia meccanica consta principalmente di tre termini:
1. Energia gravitazionale, necessaria per far cambiare di quoto il sangue.
2. Energia cinetica, necessarie per far cambiare di velocità il sangue.
3. Energia di pressione, necessaria a contrarre il ventricolo, che è rappresentata dall’area sottesa
al grafico pressione-volume.
32
Davide Miani
Ora, il primo termine è sicuramente trascurabile, in quanto la quota tra una parte e l’altra del
ventricolo non varia sensibilmente; in seguito a misurazioni precise inoltre, si può constatare che
anche il secondo termine è trascurabile, in quanto largamente inferiore al 10% del lavoro totale. Si
può dire quindi che il lavoro meccanico eseguito dal cuore (che chiameremo stroke work, SW) si
può approssimare con il termine di pressione, che è quindi calcolabile e pari a:

SW = ∫ p dV ≅ 1.3 J

Potenza cardiaca.
Da questo ultimo risultato, ricordando poi che la frequenza cardiaca fc è di 1.25 Hz, possiamo
ricavare anche la potenza cardica (relativa sempre al ventricolo sinistro), semplicemente come:

Wc ≅ SW ⋅ fc ≅ 1.6 W

33
Davide Miani
Regolazione della funzione cardiaca
I valori che abbiamo calcolato corrispondono a situazioni di quiete del soggetto, e possono variare
moltissimo a seconda della situazione. La CO, per esempio, può arrivare fino a 18 L/min durante l’esercizio
fisico; questo significa che la portata cardiaca, come anche tutti gli altri parametri, viene regolata. In
particolare sono svolti due meccanismi di regolazione:
1. Autoregolazione cardiaca.
2. Controllo riflesso del cuore da parte del sistema nervoso centrale.
Questo secondo aspetto è stato già ampliamente trattato in fisiologia e nella nostra trattazione non ci
interessa, in quanto coinvolge sistemi diversi da quello cardiaco che non intendiamo modellare.
La capacità del cuore di autoregolarsi invece è un aspetto fondamentale della circolazione, che bisogna
tenere in conto in ogni modellazione. Essa è riassunta dalla legge del cuore di Frank-Starling, che dice che:

‘Entro i limiti fisiologici, il cuore pompa tutto il sangue che gli arriva dalle vene, evitando ogni
eccessivo ristagno di sangue’.

In altre parole la CO cerca di mantenersi sempre uguale al ritorno venoso. Quindi più i tessuti periferici
mandano sangue al cuore (tramite vari meccanismi di regolazione) più il cuore pompa verso di questi.
Questo fenomeno è retto da tre meccanismi in particolare, causati tutti da un aumento dello stiramento del
muscolo cardiaco per l’arrivo di più sangue:
1. Autoregolazione eterometrica: uno stiramento maggiore porta i filamenti di actina e di miosina
nella posizione ottimale per compiere la contrazione, che quindi aumenta sensibilmente. Questo è il
meccanismo principale che determina la validità della legge del cuore ed è particolarmente presente
negli atri, perché sono loro che ricevono il sangue dalle vene e lo immettono nei ventricoli: come
vedremo, sono infatti gli atri che determinano il regime di funzionamento del cuore.
2. Effetti sulla frequenza: lo stiramento delle pareti dell’atrio destro determina un aumento della
frequenza cardiaca, dettata dal nodo senoatriale. Maggiore è la frequenza, maggiore sarà la CO.
3. Regolazione omeometrica: lo stiramento del muscolo cardiaco provoca anche un aumento del suo
metabolismo e quindi una maggior forza di contrazione.
Le conseguenze della legge di Frank-Starling, e quindi della capacità che possiede il cuore di autoregolarsi,
sono principalmente due:
1. Indipendenza della portata media di sangue dalla pressione arteriosa, che invece opera contro la
pompa cardiaca.
2. Totale dipendenza della portata media dalla pressione atriale (che dipende, come detto, dal ritorno
venoso). Ecco quindi che si spiega come gli atrii determinino completamente l’attività cardiaca.
Queste conseguenze sono, ovviamente, una il contrario dell’altra e ci dicono che, guardando sempre
all’equivalente elettrico, il ventricolo funziona come un generatore di portata dipendente dalla pressione ai
capi dell’atrio corrispondente (e non dalla pressione ai propri capi).

Curve di funzione ventricolare.


Una maniera di esprimere la legge di Frank-Starling è quella di caratterizzare ciascun ventricolo con una
curva (detta curva di funzione ventricolare) nel piano pressione media atriale - portata media eiettata, come
in figura. Queste curve esprimono quantitativamente il fatto che, via via che i ventricoli si riempiono a
pressioni atriali più elevate, la portata pompata nelle arterie aumenta fino ad un limite massimo. Si può
notare che in corrispondenza alla stessa portata cardiaca per i due ventricoli, la pressione nell'atrio sinistro è
maggiore di quella nell'atrio destro.

34
Davide Miani
Struttura delle pareti dei vasi sanguigni
Le pareti dei vasi sanguigni non sono omogenee, ma contengono diversi tessuti. Al microscopio possono
essere identificate tre regioni concentriche:
1. Tunica intima: è la regione più interna, costituita da cellule endoteliali piatte attaccate ad un sottile
strato di tessuto connettivo. Lo strato endoteliale è la principale barriera per le proteine plasmatiche e
può secernere sostanze vasoattive, ma è meccanicamente debole e non compete alle proprietà
meccaniche del vaso.
2. Tunica media: è lo strato interno e contiene cellule muscolari lisce immerse in una matrice di fibre di
elastina e di collagene; essa è il principale determinante delle proprietà meccaniche dei vasi:
• le cellule muscolari forniscono la capacità contrattile al vaso;
• l’elastina dà l’elasticità;
• il collagene la robustezza.
3. Tunica avventizia: è lo strato più esterno ed è prevalentemente costituita da tessuto connettivo che
si collega con i tessuti circostanti.
Questi tre componenti sono presenti in tutti i tipi di vasi, a parte i capillari, dove è presente soltanto lo strato
di cellule endoteliali. Ciò che varia da da vaso a vaso sono due fattori:
• Composizione della tunica media: avremo diverse quantità di cellule muscolari, elastina e collagene a
seconda del tipo di vaso, che comporta notevoli variazioni del comportamento meccanico. Ad esempio
nelle arterie si osserva una diminuzione di elastina dal cuore alla periferia, il che porta aorta e arterie
polmonari ad avere una elasticità molto maggiore rispetto alle arterie periferiche.
• Rapporto spessore parete/diametro vaso: le arterie principali hanno anche pareti spesse solo 1/10 del
diametro totale del vaso, mentre nelle arteriole si ha un rapporto 1/1. Considerando che il raggio totale
diminuirà lungo il percorso abbiamo perciò variazioni molto grandi si sezione.

Legame fra sezione del vaso e complianza.


Quest ultima cosa, che sembra una banalità, in realtà ha un grandissimo impatto sulle proprietà meccaniche
del vaso: infatti vediamo che la complianza vascolare per unità di lunghezza cV dipende anche dalla
sezione del vaso, come è facilmente verificabile:

1 dV ⎫
cV = ⎪
dx dp ⎪ dA
⎬ ⇒ cV =
dV dp
= dA ⎪
dx ⎪⎭

Sopponendo il vaso circolare, si può provare a ricondurre cV ad un’espressione lineare grazie al modulo
elastico E :

dA ⎫
cV = ⎪ dR
dp ⎬ ⇒ cV = 2π R
dp
A = π R 2 ⇒ 1dA = 2π RdR ⎪⎭

Poiché si tratta solo una costante moltiplicativa che non viene coinvolta nell’operazione di derivazione, posso
portare dentro alla derivata 2π . A questo punto moltiplico e divido per 2π R ed ottengo il risultato
desiderato:

d2π R ⎫ ⎫
⎪ εr ⎪
cV = 2A
⎛ d2π R ⎞ 2π R cV = 2A 2π R ⎪⎪ dp ⎪⎪ 2A
cV = ⎜ R ⋅ ⇒ dp ⎬⇒ ⎬ ⇒ cV =
⎝ dp ⎟⎠ 2π R ⎪ p ⎪ E
dC σ = p = Eε ⇒ E =
2π R = C ⇒ = εr ⎪ ε ⎪
C ⎪⎭ ⎪⎭

35
Davide Miani
Legame fra struttura della parete e curva pressione-volume.
Dal risultato precedente, denotiamo che la complianza è direttamente proporzionale alla sezione e
inversamente proporzionale al modulo elastico del vaso, che è infatti una misura della sua rigidità. In realtà
la complianza non sarà mai costante, questo perché l’area delle arterie (e quindi il volume) non varia
linearmente con la pressione. Ciò è descritto dal grafico V − p̂ per le arterie, sotto riportato (dove p̂
ricordiamo essere la pressione transmurale). Questo grafico va confrontato con quello relativo alle vene, già
visto nel modello stazionario: raggiunta una pressione transmurale positiva massima, sia arteria che vena
mantengono un volume circa costante, mentre, per pressioni transmurali negative, se la vena si schiacciava
fino alla occlusione completa, l’arteria non lo fa e si mantiene al suo valore di riposo V0 , questo a causa
della loro maggiore rigidità.

36
Davide Miani
Modello windkessel
Nel 1899, Otto Frank propose di rappresentare la circolazione sistemica in una maniera molto semplificata,
utilizzando il cosiddetto modello windkessel. Secondo questa proposta, illustrata nella figura, l'albero
arterioso sistemico funziona come un serbatoio elastico, che, attraverso la valvola aortica, riceve sangue dal
ventricolo sinistro in modo pulsatile e cede sangue alle arteriole e ai capillari, visti complessivamente come
una resistenza vascolare equivalente. A valle dei capillari si ha la circolazione venosa sistemica, che si
suppone a pressione nulla.

Dove:
• qao (t) : portata aortica istantanea;
• p(t) : pressione all’interno del serbatoio, uguale in ogni punto, rappresentativa della pressione aortica;
• V (t) : volume del serbatoio, rappresentativo del volume di sangue contenuto nelle arterie;
• C : complianza del serbatoio ( = dV / dp ), rappresentativa della complianza totale arteriosa;
• pv (t) : pressione venosa;
• R : resistenza periferica, definita come p(t) − pv (t) / qR (t) = p(t) / qR (t) ;
• qR (t) : portata che fluisce attraverso le arteriole e i capillari.

Si può applicare il bilancio di massa al serbatoio ( mi = mu + macc ), ma, considerando il sangue


incomprimibile, allora possiamo fare la stessa cosa in termini di volume ( Vi = Vu + Vacc ), ma normalizzando
tutto per il tempo otteniamo un bilancio di portata ( qi = qu + qacc ). Possiamo perciò scrivere:

qi = qu + qacc ⎫

qi = qao (t) ⎪
p(t) ⎪ dp(t)
qu = ⎬ ⇒ RC + p(t) = Rqao (t)
R ⎪ dt
dV dp(t) ⎪
qacc = =C ⎪
dt dt ⎭

Che costituisce una equazione differenziale primo ordine nella funzione incognita p(t) , con termine noto
qao (t) . In termini di analogia elettrica, è immediato verificare che il modello windkessel corrisponde al
parallelo RC. Infatti, il bilancio di portata corrisponde a Kirchhoff al nodo N.


37
Davide Miani
Limiti del modello windkessel.
Questo modello, come intuibile, ha diversi limiti:
• Non tiene conto della effettiva anatomia della circolazione sistemica: condensa infatti tutte le arterie in
un unico componente, come anche arteriole e capillari.
• Non tiene conto della distribuzione dei parametri: considera la stessa pressione in tutto il sistema
circolatorio quando in realtà la pressione diminuisce man mano che ci allontaniamo dal cuore. Inoltre,
la C e la R non saranno comuni a tutto il sistema arterioso e periferico.
• Non tiene conto della dinamica della circolazione venosa, per cui, ad esempio, la pressione venosa
risulta non nulla; l'approssimazione rimarrà valida fintanto che pv ≪ p(t) .
• La resistenza periferica così definita dipende dal tempo e può essere considerata costante solo per
brevissimi intervalli di tempo.
• La complianza arteriosa C è funzione della pressione e può essere considerata costante soltanto per
valori limitati della escursione pressoria.

Ordine di grandezza nei parametri del modello windkessel.


Si può effettuare una stima grossolana di R e di C basandosi sui valori medi della circolazione.

Resistenza periferica.
Per R consideriamo che la pressione media arteriosa pao è circa 100 mmHg e che la portata media
aortica CO è circa 100 mL/s. Si avrà:

pao
R≅ = 1 mmHg ⋅ s ⋅ mL−1 ≅ 1333 dine ⋅ s ⋅ cm −5
CO

Già da qui si può osservare che però R può variare tantissimo. Basta pensare a quello che abbiamo
già detto sulla legge del cuore, per cui la pressione media aortica rimane circa costante mentre il
flusso di sangue può variare, anche si moltissimo (modello a generatore dipendete solo dalla
pressione atriale, non quella arteriosa, che rimane pressocchè costante).

Complianza arteriosa.
Per quanto riguarda C si può fare una stima molto grossolana: se si considera che in corrispondenza
dell’eiezione di sangue la pressione arteriosa p(t) varia da 80 a 120 mmHg, possiamo trascurare il
volume di sangue che esce dalle arterie durante l’eiezione (quindi sarà tutto sangue accumulato) e
considerare così la variazione di volume del serbatoio pari allo stroke volume SV ( ≅ 80 mL) si ha
quindi:

ΔV 80 mL
C≅ = = 2 mL ⋅ mmHg −1
Δp 40 mmHg

Una stima più precisa è possibile tramite il metodo del decadimento diastolico: sappiamo che la
pressione arteriosa sul periodo varia nel modo descritto in figura; vediamo che in fase di diastole la
curva è approssimabile con un esponenziale decrescente, il che è molto ben in accordo con il modello
windkessel (infatti, quando l’ingresso è nullo, la carica sul condensatore si scarica a massa tramite la
resistenza in maniera monoesponenziale). Si può scrivere allora:

t
dp(t) −
RC + p(t) = 0 ⇒ p(t) = c1e RC
dt

Con c1 che si trova facilmente imponendo la condizione iniziale. Misurando quindi la pressione
arteriosa in due istanti di tempo diversi (cosa non banale comunque), si può comporre il sistema di
sotto e trovare la complianza.

⎧ t
− 1
⎪ p(t1 ) = c1e RC
⎨ t2
⎪ p(t ) = c e− RC
⎩ 2 1

38
Davide Miani
Modello di Guyton
Per tenere conto anche della circolazione venosa, pur sempre in modo molto semplificato, si può collegare
al modello windkessel visto in precedenza un altro serbatoio elastico, come in figura:

La parte arteriosa è identica al modello windkessel, la microcircolazione (arteriole, capillari, venule) è sempre
una resistenza R mentre le vene sono modellate con un nuovo serbatoio elastico di complianza Cv che
termina con una resistenza Rv , corrispondente al collegamento con l’atrio destro, la cui pressione è pra
(right atrium). Applicando come prima un bilancio di portata ad entrambi i serbatoi e ponendoli a sistema:

⎧ p − pv dp
⎪ qao = +C
⎧ i
q = q u + qacc ⎪ R dt
⎨ ⇒⎨
⎩qiv = quv + qaccv p − pv pv − pra dp
⎪ = + Cv v
⎪⎩ R Rv dt

Si tratta di un sistema di due equazioni differenziali del primo ordine nelle incognite p e pv , con termini noti
qao e pra . Il corrispondente analogo elettrico è il seguente:

Ordine di grandezza nei parametri del modello di Guyton.


R e C sono gli stessi di prima, mentre si può effettuare una stima di Rv e di Cv sempre basandosi sui valori
medi della circolazione.

Resistenza vascolare venosa.


Si stima considerando che la corrente sanguigna che torna all’atrio destro (ritorno venoso) si mantiene
in media uguale alla CO (100 mL/s) se poi consideriamo che pv − pra ≅ 7.5 mmHg si ha che:

7.5 mmHg ⋅s
Rv ≅ = 0.075 mmHg ⋅s ⋅ mL−1
100 mL

Complianza venosa.
La CV si stima semplicemente considerandola circa 10, 20 volte più grande di C:

Cv = 10 ÷ 20C = 20 ÷ 40 mL ⋅ mmHg −1

39
Davide Miani
Studio delle variazioni dei valori medi della circolazione tramite modello di Guyton
Il modello di Guyton veniva proposto per studiare come si determina il regime finale di pressione pra e
portata CO nella circolazione. Alla luce delle considerazioni fatte a pagina 34, possiamo considerare il
cuore come un generatore di portata CO dipendente dalla pressione sull’atrio destro pra , dove la funzione
CO = f ( pra ) è la curva di funzione ventricolare destra. Possiamo quindi chiudere il circuito del modello di
Guyton ed ottenere:

Dove R , Rv , C , Cv sono quelli calcolati in precedenza; p , pv , pra sono i valori medi di pressione
arteriosa, venosa e del ventricolo destro; l’atrio destro può essere visto come un generatore di pressione pra
o, ugualmente, come un generatore di portata VR , che rappresenta il ritorno venoso. Si possono mettere a
sistema tutte le equazioni del circuito, ottenendo così un sistema di 7 equazioni:

⎧ CO = f ( pra ) 1) Funzione cardiaca (dipendenza del generatore);



⎪ CO = VR 2) Equilibrio delle portate;
⎪ V = V0 + Cp 3) Curva p-V delle arterie, bilancio di volume (carica) sul primo serbatoio;

⎨ Vv = Vv0 + Cv pv 4) Curva pv -Vv delle vene, bilancio di volume (carica) sul secondo serbatoio;
⎪ p = (R + Rv )VR + pra 5) Circolazione sistemica, LKV da p a pra passando per R e Rv ;

⎪ pv = RvVR + pra 6) Circolazione venosa, LKV da Cv a pra passando per Rv ;
⎪ V + Vv = Vs 7) Conservazione del volume (carica) totale, con Vs volume totale di sangue.
⎪⎩

Le incognite quante sono? CO , VR , V , Vv , p , pv , pra : sono 7, tante quante le equazioni, quindi


possiamo determinarne il valore in modo univoco, valori che dipenderanno a loro volta dai termini a noi noti
V0 , Vv0 , Vs , C , Cv , R , Rv e da f ( pra ) .
In particolare a noi interessa trovare, come detto, il valore di CO e pra in condizione di equilibrio perché ci
possono suggerire problemi circolatori di vario tipo (patologie, malformazioni, cause esterne ecc.). Possiamo
calcolare CO e pra al variare degli altri parametri dalla seconda equazione ( CO( pra ) = VR( pra ) ), cioè
come punto di intersezione fra la curva di funzione ventricolare destra e la curva di ritorno venoso,
che andiamo ora a definire.
La curva di ritorno venoso è una funzione che mette in relazione diretta il ritorno venoso VR con la
pressione nell’atrio destro pra ( VR = f ( pra ) ). Si può ricavare direttamente dal nostro sistema, utilizzando le
equazioni 3, 4, 5, 6 e 7 in questo modo:

Vs = V + Vv ⎫ Vs = V0 + C(R + Rv )VR + Cpra + Vv0 + Cv RvVR + Cv pra



⎪ ⇓
V = V0 + Cp ⎫⎪
⎬ ⇒ V = V0 + C(R + Rv )VR + Cpra ⎪
p = (R + Rv )VR + pra ⎪ VR [ C(R + Rv ) + Cv Rv ] = − ( C + Cv ) pra + Vs − V0 − Vv0
⎭⎪ ⎬⇒
⎪ ⇓
Vv = Vv0 + Cv pv ⎫⎪ ⎪
pv = RvVR + pra ⎪
⎬ ⇒ Vv = Vv0 + Cv RvVR + Cv pra ⎪ C + Cv Vs − (V0 + Vv0 )
⎭ ⎪ VR( pra ) = − pra +
⎭ [ C(R + Rv ) + C v v]
R [ + Rv ) + Cv Rv ]
C(R

40
Davide Miani
Troviamo quindi che la curva di ritorno venoso è una retta con pendenza negativa e che ha intersezione con
(
l’asse delle ascisse nel punto pms ;0 : )
C + Cv Vs − (V0 + Vv0 ) Vs − (V0 + Vv0 )
Se VR = 0 ⇒ 0=− pms + ⇒ pms =
[C(R + R ) + C R ]
v v v [C(R + R ) + C R ]
v v v
C + Cv

Dove pms è detta pressione media di riempimento sistemica, valore assunto da p , pv , pra quando
VR = 0 . In condizioni normali pms ≅ 7 mmHg . Conoscendo ora le due funzioni CO = f ( pra ) e
VR = f ( pra ) possiamo usare la seconda equazione, che ne impone l’uguaglianza, trovando dal punto di
vista analitico e geometrico l’intersezione nel piano CO =VR — pra :

Normalmente, in condizioni di riposo, il punto di equilibrio A si trova a 5 L/min , 0 mmHg , come da


grafico. Con una semplice costruzione grafica è dunque possibile rendersi conto di come varia il punto di
lavoro al variare della funzionalità cardiaca e dei parametri della circolazione sistemica.
Noti poi i valori di A è possibile risalire a quelli di p e pv ; ciò si può fare sottraendo le equazioni 5 e 6:


⎧ p = R ⋅VR + Rv ⋅VR + pra ⎧ p = pv + R ⋅VR


⎨ ⇒ p − pv = R ⋅VR ⇒ ⎨
⎩ pv = RvVR + pra ⎩ pv = p − R ⋅VR

A questo punto possiamo scriverep e pv in funzione di parametri noti grazie all’espressione di pms trovata
prima. Per prima cosa dobbiamo mettere pms in funzione di p e pv :

Vs − (V0 + Vv0 ) ⎫
pms = ⎪ V − V − Vv + Cp + Cv pv ⎫
C + Cv ⎪⎪ pms = s ⎪ Cp + Cv pv
⎬⇒ C + Cv ⎬ ⇒ pms =
V = V0 + Cp ⇒ V0 = V − Cp ⎪ ⎪ C + Cv
−V − Vv = −Vs
Vv = Vv0 + Cv pv ⇒ Vv0 = Vv − Cv pv ⎪ ⎭
⎪⎭

Da cui vediamo che effettivamente la pressione media di riempimento sistemica è proprio una media delle
pressioni, pesata dalle rispettive capacità. A questo punto scriviamo ci basta sostituire nell’equazione
appena trovata per pms le espressioni di sopra di p e pv e il gioco è fatto:

⎧ Cp + Cv pv
⎪ pms = ⎧ ⎧ ⎧
⎪ C + Cv ⎪ Cpv + RCVR + Cv pv ⎪ p = pv (C + Cv ) + RCVR ⎪ pv = pms − R
C
⎪⎪ p = VR

ms
C + Cv ⎪⎪ ms
C + Cv ⎪⎪ C + Cv
⎨ ⇒⎨ ⇒⎨ ⇒⎨
⎪ p = pv + R ⋅VR ⎪ p = Cp + Cv p − RCvVR ⎪ p = p(C + Cv ) − RCvVR ⎪ Cv
⎪ ⎪ ms C + Cv ⎪ ms C + Cv ⎪ p = pms + R C + C VR
⎪ pv = p − R ⋅VR ⎪⎩ ⎪⎩ ⎪⎩ v

41
Davide Miani
Oppure, mettendo in funzione delle pressioni, otteniamo sempre due rette nel piano VR − p :

⎧ C + Cv
⎪ VR =
⎪ RC
[ − pv + pms ]

⎪ VR = C + Cv [ p − p ]
⎪⎩ RC
ms

pms , in accordo con quanto detto prima. La retta per la pressione


Entrambe le rette intersecano le ascisse in
venosa ha pendenza negativa, quindi all’aumentare di VR si osserva un calo di pv , questo perché nel
richiamare più sangue al cuore il serbatoio venoso deve necessariamente svuotarsi e quindi vedere un calo
di volume nella complianza, che si traduce anche in un calo della pressione ai suoi capi. La retta per la
pressione arteriosa invece ha coefficiente angolare positivo, questo perché più sangue arriva al cuore
maggiore sarà quello eiettato, e quindi con pressione maggiore.

In conclusione, bisogna dire che questo modello trascura completamente la circolazione polmonare. Infatti la
curva di funzione ventricolare sarebbe da considerarsi fra atrio e ventricolo corrispondente, mentre qui è
considerata praticamente fra atrio destro e ventricolo sinistro. Inoltre si suppone che Vp , il volume ematico
polmonare, sia costante, e che quindi le sue variazioni non sortiscano effetti sulla circolazione.


42
Davide Miani
Impedenza d’ingresso aortica
Sappiamo che a regime sia la portata aortica che la pressione arteriosa sono periodiche, e quindi sviluppabili
in serie di Fourier:

n
p(t) = P0 + ∑ Pn cos(2π nf0t + ϕ n )
P( jω )
= Z( jω )
i=1
, quindi
n
Qao ( jω )
qao (t) = Q0 + ∑ Qn cos(2π nf0t + θ n )
i=1

Dove f0 = fc , frequenza cardiaca. Ora che siamo nel dominio delle frequenze, è di particolare interesse
definire l’impedenza d’ingresso aortica Z( jω ) , in quanto rappresenta il carico della circolazione visto dal
cuore, ed ovviamente questo carico varia a seconda del regime di funzionamento cardiaco.
Dal modello Windkessel Z( jω ) si stimerebbe semplicemente come impedenza di un parallelo RC, quindi:

dp(t)
RC + p(t) = Rqao (t)
dt
jω RCP( jω ) + P( jω ) = RQao ( jω )
P( jω )[1+ jω RC] = RQao ( jω )
P( jω ) R
= Z( jω ) =
Qao ( jω ) 1+ jω RC
R
Z( jω ) =
1+ (ω CR )
2

arg { Z( jω )} = − arctan (ω RC )

Questa cosa è abbastanza realistica, infatti, a pulsazione nulla ω = 0 , la sola impedenza opposta dalla
circolazione è la resistenza vascolare R . Il problema insorge per ω → ∞ : si è misurato infatti che per
pulsazioni elevate l’impedenza tende ad un valore finito Z 0 ; inoltre, la fase tenderebbe a 0 e non a −90 .
!

Per ovviare a questo problema spesso si modella la circolazione con un nuovo circuito, detto modello
windkessel a tre elementi, che presenta così un andamento più simile a quello reale. Per calcolare in questo
caso Z( jω ) , visto che sappiamo già l’impedenza del parallelo, mettiamo semplicemente in serie Z c e
quindi riscriviamo il tutto nella forma 1+ vista in controlli:

Zc
1+ jω RC
R R + Zc
Z( jω ) = Z c + ⇒ Z( jω ) = ( R + Z c )
1+ jω RC 1+ jω RC
2
⎛ Zc ⎞
1+ ⎜ ω RC ⎟ ⎧ω → 0 ⇒ Z( jω ) = R + Z c
⎝ R + Zc ⎠ ⎪
Z( jω ) = R + Z c ⇒⎨ Zc
1+ (ω RC ) ⎪ω → ∞ ⇒ Z( jω ) = R + Z
2

⎩ c

⎛ Zc ⎞
arg { Z( jω )} = arctan ⎜ ω RC ⎟ − arctan (ω RC )
⎝ R + Zc ⎠
⎧ Zc ⎧τ p > τ z
⎪τ z = R + Z RC ⎪
⎨ c ⇒⎨ 1 ⇒ ω p < ωz
⎪τ p = RC ⎪τ = ω
⎩ ⎩

Si attiva quindi prima il polo e poi lo zero; il modulo decresce e poi si arresta in Z(∞) all’attivarsi dello zero,
!
la fase invece decresce e poi ricresce tornando a 0 .
43
Davide Miani
Misura della portata ematica ad un arto
La portata media di sangue che fluisce in un arto (tipicamente una gamba) può essere valutata con la
tecnica della pletismografia ad occlusione venosa. Essa consiste nel registrare le variazioni di volume
dell’arto a seguito della occlusione del ritorno venoso dall'arto stesso e del suo successivo ripristino.
L’occlusione venosa si può ottenere semplicemente disponendo attorno all’arto una camera d’aria, gonfiata
ad una pressione sufficientemente più alta della pressione venosa.

Indicando con Vg il volume della gamba a valle della camera d’aria, con qa e qv la portata arteriosa e
venosa, per la conservazione della massa, risulta che:

dVg
qa = qv +
dt

Questa relazione deve valere in ogni istante di tempo, sia prima che la camera d’aria si gonfi, sia dopo. In
particolare, se vale nell’istante t = 0 , quando la pressione della camera d’aria pc ha raggiunto la pressione
venosa pv e quindi il sangue non può più uscire dalle vene, ottenendo così qv = 0 , si avrà allora che:

dVg
qa (0 − ) = qa (0 + ) =
dt t=0 +

Ovvero tutto il sangue arterioso si accumula sulla complianza venosa. Le variazioni di volume dell’arto
possono essere misurate direttamente immergendo l’arto stesso in un recipiente pieno d’acqua, di cui si
registra il livello, oppure più comunemente in modo indiretto misurando la resistenza elettrica dell’arto; come
è noto infatti la resistenza elettrica di un conduttore dipende dalla sua resistività e dalle sue dimensioni.

Ed utilizzando l’equivalente elettrico?


Possiamo anche modellare un equivalente elettrico per la gamba in queste condizioni. Le arterie hanno
resistenza e capacità trascurabili rispetto ai capillari, quindi verranno trattate come un tubo rigido, mentre ai
capillari viene associata la resistenza Ra e alle vene una complianza Cv . Si introducono inoltre per il tratto
venoso le resistenze Rv , che tiene conto della resistenza venosa nel tratto che va dalla camera d’aria
all’atrio destro, e Rc , che rappresenta la resistenza del tratto sotto la camera d’aria, quindi è una resistenza
variabile e può assumere i valori di 0 (vene non occluse) e ∞ vene occluse.

44
Davide Miani
Scriviamo quindi la conservazione della massa tramite Kircchoff al nodo N nel caso più generale:

⎧ pv dp
⎪ qa = + Cv v dVv pv
qa = qR + qC ⇒ ⎨ Rc + Rv dt ⇒ = qa −
⎪ dt Rc + Rv
Cp = V

Che è anche detta equazione di continuità per le vene. Distinguiamo ora i due casi, t < 0 , per cui le vene
non sono occluse ( Rc = 0 ), e t ≥ 0 , per cui invece lo sono ( Rc = ∞ ).

t < 0 ⎧ dVv = q − pv
⎪⎪ dt a
Rv

⎪ dVv = q
t ≥ 0 ⎪⎩ dt a

Senza entrare troppo nello specifico, diremo solo che è possibile, considerando i valori medi, scrivere qa e
pv in funzione di pa . E quel punto, se per t < 0 usiamo l’espressione del volume venoso in funzione del
tempo Vv (t) = Vv0 + Cv pv otteniamo un valore di volume costante, indipendente dal tempo, come infatti ci
aspettiamo; invece, per t ≥ 0 , otteniamo una equazione differenziale del primo ordine che risolta mi dà una
monoesponenziale crescente con costante di tempo pari a τ = RaCv , mentre il valore a regime sarà,
utilizzando sempre l’espressione di prima, Vvp(t ) = Vv (∞) = Vv0 + Cv pa . Si può quindi utilizzare la formule
vista nel capitolo 2 per la risoluzione dei sistemi del primo ordine, e quindi scrivere:


t
⎡ − ⎤
t −
t
⎡ −
t

x(t) = x0 e τ
+ x p (t) ⎢1− e τ ⎥ ⇒ Vv (t) = V (0)e RaCv + Vv (∞) ⎢1− e RaCv ⎥
⎣ ⎦ ⎣ ⎦

Se ad un tempo T viene tolta pressione alla camera d’aria il serbatoio venoso si svuoterà seguendo sempre
una monoesponenziale, ma decrescente e con costante di tempo diversa, pari a τ ′ = ReqCv .

45
Davide Miani

4) SISTEMA RESPIRATORIO
Funzioni e generalità
La principale funzione del sistema respiratorio è quella di consentire lo scambio di gas fra sangue e aria, in
modo che il sangue possa essere ossigenato e la CO2 , derivata dalla respirazione cellulare, possa essere
rilasciata in atmosfera.
L’aria viene condotta attraverso le vie respiratorie fino agli alveoli polmonari, alla fine dei bronchioli terminali,
che sono in diretto contatto con i capillari della circolazione polmonare e hanno una parete sufficientemente
sottile da consentire lo scambio di gas semplicemente per gradiente di concentrazione.
Prima di arrivare ai bronchi però, l’aria deve essere:
• Pulita: la pulizia dell’aria avviene grazie all’azione congiunta del muco, che cattura le particelle in
sospensione nell’aria e delle ciglia delle cellule epiteliali delle vie respiratorie, che con il loro
movimento spingono il muco ‘sporcato’ nello stomaco. Inoltre vi sono ghiandole sulle pareti delle vie
respiratorie che secernono anticorpi, che puliscono l’aria da eventuali agenti patogeni.
• Inumidita: ciò avviene grazie all’evaporazione del muco. É molto importante che l’aria venga ben
inumidita in quanto permette di mantenere umide le membrane alveolari: se queste ultime si
seccassero infatti lo scambio di gas non potrebbe avvenire.
• Riscaldata: il riscaldamento avviene semplicemente grazie al sangue che circonda le vie respiratorie,
che cede calore all’aria.
Anatomicamente, i polmoni circondano gli alberi bronchiali e sono contenuti della cavità toracica; sono però
isolati da essa dalla pleura, una sierosa (doppia membrana con liquido) che facilità lo scorrimento e viene
tenuta a pressione negativa, così che i polmoni siano sempre gonfi.
Il processo respiratorio è poi diviso in 4 processi principali:
1. Ventilazione polmonare (immissione ed emissione di aria);
2. Scambio di gas per diffusione negli alveoli;
3. Trasporto attraverso il sangue dei gas;
4. Regolazione della ventilazione.

Ventilazione polmonare
Vediamo ora i concetti e le grandezze più importanti legati alla ventilazione polmonare.

Meccanica della ventilazione polmonare.


La ventilazione polmonare è possibile, sostanzialmente, grazie all’azione di:
• Diaframma: contraendosi permette ai polmoni di espandersi verso il basso e rilassandosi li riporta a
riposo, inducendo l’espirazione. La respirazione diaframmatica non comporta grandi variazioni di
volume ed è quella normalmente presente in condizioni di riposo.
• Muscoli inspiratori: permettono l’elevazione delle costole con un ulteriore espansione della gabbia
toracica e quindi un’inspirazione più profonda.
• Muscoli espiratori: permettono l’abbassamento delle costole al di sotto della loro posizione di riposo, e
quindi una compressione più spinta della cassa toracica, consentendo l’espirazione forzata.
In condizioni di respirazione normale la pressione intralveolare varia pochissimo, da -1 mmHg (inspirazione)
a 1 mmHg (espirazione), ma forzatamente si può spingere la pressione anche a valori molto più alti (-80
mmHg, 100 mmHg).

Tendenza dei polmoni al collasso.


É molto importante notare che i polmoni, all’interno della cassa toracica, occupano un volume molto più
grande di quello che occuperebbero all’esterno. Questa tendenza dei polmoni a contrarsi è dovuta
essenzialmente a due fattori:
A. Il tessuto polmonare è ricco di fibre elastiche che in modo naturale tendono alla contrazione, in
misura anche maggiore di quanto non siano all’interno della cassa toracica.
B. La tensione superficiale del liquido che riveste gli alveoli induce in questi ultimi la tendenza al
collasso. Nonostante questo effetto sia assai diminuito dal cosiddetto ‘surfattante’, un particolare
miscuglio di lipoproteine secrete dalle cellule endoteliali del tessuto polmonare, rimane presente e
contribuisce alla tendenza al collasso del polmone.
Chi non permette il collasso è la pleura polmonare, in cui, fra le due membrane, viene mantenuta una
pressione negativa rispetto a quella atmosferica (circa -4 mmHg), che mantiene i polmoni ben espansi
all’interno della gabbia toracica.
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Complianze del sistema respiratorio.
Le complianze nel sistema respiratorio si possono determinare, come ogni complianza, guardando come
varia il volume in funzione della pressione. Si trova, da misure sperimentali, che la complianza del
complesso polmoni-torace è:

Ctt = 0.13 L/cmH 2O (complianza toracica)

Mentre la complianza dei soli polmoni è circa il doppio:

Ctp = 0.25 L/cmH 2O (complianza transpolmonare)

Ciò non sorprende, poiché i muscoli respiratori, presenti nel torace, aumentano la rigidità del complesso
polmoni-torace.
N.B.: 1 mmHg=1.36 cmH 2O .

Determinazione della curva pressione-volume polmonare.


Viene misurata facendo inspirare e poi espirare il soggetto a piccoli tratti, facendo delle pause. In questo
modo possiamo misurare il volume dei polmoni e la loro pressione. Infatti, se il flusso dell’aria è costante, a
livello degli alveoli la pressione sarà uguale a quella atmosferica, e quindi i polmoni saranno soggetti alla
sola pressione transmurale polmonare, che sarà uguale a quella intrapleurica cambiata di segno.
Quest’ultima può essere misurata a mano attraverso un sensore posto nell’esofago che, se la glottide chiude
l’esofago, si trova alla stessa pressione della intrapleurica.
Noti quindi questi valori otteniamo una curva con un andamento simile:

Dove la diversa percorrenza fra inspirazione ed espirazione è dovuta alla viscosità del tessuto polmonare.
Vediamo poi che, come sempre, non è esatto considerare costante la capacità polmonare, perché in realtà è
dipendente dalla pressione.
La determinazione invece della curva pressione-volume all’interno del complesso polmoni-torace è simile a
questa, al contrario però la pressione alveolare dev’essere determinata rispetto a quella atmosferica, non
rispetto alla pressione intrapleurica. Quello che si fa classicamente è quindi far respirare il soggetto
attraverso un tubo dotato di un sensore di pressione e, al termine di ogni pausa, far rilassare al soggetto i
muscoli in modo da misurare la pressione del complesso polmoni-torace.

Lavoro respiratorio.
Dalla curva pressione-volume dei polmoni si può anche stimare il lavoro totale respiratorio, cioè l’area
racchiusa dal ciclo, che si divide in due parti:
1. Lavoro di resistenza dei tessuti.
2. Lavoro di resistenza delle vie aeree.
Sono entrambi termini dissipativi, ma per quanto riguarda i tessuti, che sono in parte elastici, ottengo anche
un certo contributo di ‘energia potenziale’: infatti, durante l'inspirazione, oltre ad una parte del lavoro totale
dissipato per attrito, viene compiuto il cosiddetto lavoro di complianza o lavoro elastico, richiesto per
espandere i polmoni vincendo le loro forze elastiche. Si noti tuttavia che questo lavoro viene accumulato
sotto forma di energia potenziale elastica, che, durante la successiva espirazione, viene in parte dissipata
per attrito e in parte restituita per far tornare alla posizione di riposo i polmoni e la cassa toracica.
Di norma il lavoro respiratorio corrisponde al 3-4% dell’energia spesa complessivamente dal corpo, ma
questa percentuale può variare drasticamente con l’insorgere di patologie respiratorie.
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Volumi e capacità polmonari.
Un modo di misurare la variazione del volume dei polmoni durante la respirazione è quello di utilizzare uno
spirometro, che vediamo qui sotto in figura.

Lo spirometro è formato da una campana galleggiante in acqua che contiene una certa quantità (quindi
volume) di ossigeno collegata tramite un sistema di carrucole ad un contrappeso, che impedisce alla
campana di sprofondare in acqua. Alla fune campana-contrappeso è fissato un pennino, che segnala su un
foglio di carta gli spostamenti del peso stesso. Infatti l’azione respiratoria fa, ovviamente, variare il volume di
ossigeno nella campana, determinando una variazione di pressione interna che porta la campana ad
abbassarsi (inspirazione) o alzarsi (espirazione). Conoscendo come la variazione di volume è collegata al
movimento del pennino quindi abbiamo su carta un grafico dei volumi respiratori:
• Volume corrente o tidalico VT : è la differenza fra il volume massimo e il volume minimo raggiunti nel
normale ciclo di inspirazione-espirazione. In media è circa 500 mL.
• Volume di riserva inspiratoria IRV : è il volume che è possibile inspirare al di là del volume tidalico. In
media è circa 3 L.
• Volume di riserva espiratoria ERV : è il volume che si può espirare al di sotto del volume tidalico. In
media è circa 1.1 L.
• Volume residuo RV : è il volume d’aria che non può essere rimosso dai polmoni, anche a seguito di
un’espirazione forzata. Ammonta a circa 1.2 L ed è di fondamentale importanza. Infatti garantisce lo
scambio che negli alveoli vi sia sempre dell’aria, in modo che lo scambio fra sangue e ossigeno possa
sempre avvenire, anche durante le pause respiratorie.

Inoltre si definiscono le capacità polmonari, che sono combinazioni di più volumi respiratori:
• Capacità inspiratoria: è definita come VT + IRV , è il volume totale di volume inspirabile.
• Capacità funzionale residua: definito come ERV + RV , è la quantità d’aria che rimane nei polmoni al
termine della normale espirazione.
• Capacità vitale: è il volume massimo di aria che l'individuo può espellere dai suoi polmoni con
un'espirazione forzata al massimo, dopo un'inspirazione forzata al massimo, quindi VT + IRV + ERV .
• Capacità polmonare totale: è il massimo volume di aria che può essere contenuto nei polmoni al
termine di un'inspirazione forzata al massimo, quindi RV + VT + IRV .

Volume minuto respiratorio.


Il volume minuto respiratorio V! è definito semplicemente come il volume tidalico per la frequenza
repiratoria. Essendo VT ≅ 500 mL e che la frequenza respiratoria f R è di circa 12 volte/minuto si ha:

V! = VT fR ≅ 6 L/min

La frequenza respiratoria e il volume tidalico però possono presentare variazioni anche piuttosto consistenti,
a seconda dell’insorgenza di una patologia o semplicemente a seconda dello stato di stress a cui ci si trova.

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Flusso espiratorio massimo e curva volume-flusso.
É possibile misurare il flusso espiratorio o inspiratorio massimo che il soggetto è in grado di imporre nelle vie
respiratorie. Questi dati vengono poi spesso riportati in funzione del volume polmonare, ottenendo così una
curva detta curva volume-flusso:

Questa curva è di particolare interesse in ambito clinico in quanto varia in modo consistente a causa di due
particolari tipi di patologie:
A. Pneumopatie restrittive: in questa classe di patologie i polmoni non possono espandersi come da
norma, quindi la capacità vitale è molto ridotta (quasi dimezzata), e con lei anche il volume residuo.
B. Affezioni ostruttive: si tratta di vere e proprie ostruzioni delle vie aeree che rendono molto difficile
l’espirazione rispetto l’inspirazione.

Volume espiratorio forzato.


Un altro test molto utilizzato in clinica, in particolare per l’identificazione di affezioni ostruttive, è quello di
misurare la velocità a cui avviene l’espirazione. Si richiede al soggetto di inspirare il massimo volume d’aria
possibile, e poi di espirarlo con la massima forza. Ovviamente si avrà quindi una variazione di Volume che
può avvenire più o meno velocemente, a seconda che il soggetto sia affetto da patologia o meno. In
particolare, nel primo secondo, in un soggetto normale si registra una variazione di volume pari all’80%.

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Ventilazione alveolare
Ciò che più importa a livello fisiologico nel processo di respirazione è la quantità d’aria che riesce a
raggiungere gli alveoli, e quindi ad effettuare lo scambio gassoso con il sangue. In realtà l’aria tramite
l’inspirazione non arriva fino agli alveoli, bensì fino ai bronchioli terminali, con una velocità talmente bassa
però da rendere l’effetto della diffusione per gradiente di concentrazione prevalente, e, quindi, l’aria può
raggiungere infine gli alveoli ed effettuare lo scambio coi capillari. Si definisce perciò ventilazione alveolare la
quantità di gas che arriva agli alveoli nell’unità di tempo. Questa si può quantificare solo dopo aver introdotto
le seguenti definizioni di:
• Spazio morto anatomico: quantità d’aria presente in media nelle vie aeree, di norma intorno ai 150 mL.
• Spazio morto fisiologico: quantità d’aria che non partecipa allo scambio gassoso con gli alveoli. In
condizioni normali è praticamente coincidente con lo spazio morto anatomico, ma può aumentare di
molto in seguito a patologie, ad esempio per un’irrorazione sanguigna alveolare minore a quella
dovuta.
Detto ciò si definisce la ventilazione alveolare in termini di volume VA come:

VA = VT − VD ⎫

VT = 500 mL ⎬ ⇒ VA = 350 mL
VD = 150 mL ⎪

Dove VT è il volume tidalico e VD è il volume dello spazio morto. Si può definire quindi la ventilazione
alveolare minuto semplicemente moltiplicando per la frequenza respiratoria f R (circa 12 volte al minuto)
ottenendo così:

V!A = fRVA = 4.2 L min

In realtà la definizione non è del tutto esatta perché non tiene conto della diffusione, che garantisce una
minima ventilazione anche per volumi tidalici minori del volume di spazio morto.

Pressione parziale di un gas in miscela


In fisiologia si è soliti usare la pressione parziale di un gas per avere un’idea del gradiente di concentrazione.
Data una miscela di gas si può esprimere la pressione parziale per il gas i-esimo pi a partire dalla formula:

piV = ni RT

Dove V e T sono volume e temperatura della miscela, ni il numero di moli del gas i-esimo.
Per l’intera miscela a sua volta si avrà:

pV = nRT , con ∑ i
pi = p e ∑n i i =n

Si definisce quindi la concentrazione frazionaria del gas i-esimo Fi come:

pi⎫
Fi = ⎪
p ⎪
ni RT ⎪ pi ni
pi = ⎬ ⇒ Fi = =
V ⎪ p n
nRT ⎪
p= ⎪
V

Che si può definire in modo analogo in termini di volume se si conosce la porzione di volume occupata dal
gas i-esimo Vi .
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Legame fra volumi respiratori e portata respiratoria
Nel ciclo respiratorio le condizioni termodinamiche dell’aria non variano sensibilmente. Infatti, sappiamo che
nella normale inspirazione la pressione da dentro a fuori dai polmoni varia circa di solo un mmHg, e la
temperatura passa da 273 K a 300 circa. Vediamo quindi che il volume dell’aria:

nRT
V (t) =
p

Non subisce consistenti variazioni. Si può dunque considerare il volume dell’aria incomprimibile durante la
respirazione. Nel caso polmonare quindi possiamo applicare il bilancio di volume invece che quello di
massa, cosa che ci autorizza, dividendo idealmente per il tempo, ad attuare il bilancio di portata:

dV
q(t) = + qu (t)
dt

Dove q(t) è la portata d’aria in ingresso, dV / dt l’aria incamerata dai polmoni nella loro variazione di
volume e infine qu (t) rappresenta quella frazione d’aria che passa dai polmoni alla circolazione.
Approssimativamente però qu (t) = 0 , perché tanto è l’ossigeno che passa in circolazione, tanto è l’anidride
carbonica che ritorna ai polmoni. Si ha perciò che la portata nelle vie aeree è l’unica determinante delle
variazioni volumiche polmonari:

dV
q(t) = ⇒ q(t)dt = dV ⇒ V = ∫ q(t)dt
dt

Integrando perciò in dt la portata si otterrà il volume nel lasso di tempo desiderato. É immediato osservare
che sia q(t) che V (t) saranno funzioni periodiche nel tempo con lo stesso periodo TR ed è quindi
immediato riconoscere che il valor medio di q(t) è nullo:

TR
1 1
q=
TR ∫ q(t)dt = T [V (T ) − V (0)] = 0
0 R

Possiamo esprimere ora, grazie all’integrazione, i volumi polmonari in forma analitica. Vediamo, a titolo
d’esempio, come si può esprimere il volume tidalico VT : esso sarà espresso, in regime periodico di V (t) ,
dalla differenza fra valore massimo di volume (fine inspirazione, al tempo TI ) e valore minimo (fine
espirazione, al tempo TE ). Considerando quindi che il periodo respiratorio può essere scritto come
TR = TI + TE , possiamo calcolare il volume tidalico VT come:

TI TR

VT = ∫ q(t)dt = − ∫ q(t)dt
0 TI

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Analisi semplificata della meccanica respiratoria
Come modello semplificativo, il sistema respiratorio viene spesso rappresentato come un unico grande
alveolo equivalente, circondato dalla pleura e collegato all’esterno dalla trachea, come in figura. Si noti che
le pressioni indicate sono tutte assolute, ovvero riferite al vuoto assoluto, e non alla pressione atmosferica:

Dove:
• q è la portata d’aria entrante nei polmoni;
• R è la resistenza equivalente dei bronchi;
• Pt è la pressione assoluta dell’aria all’entrata della trachea;
• Palv è la pressione assoluta dell’aria negli alveoli;
• Ppl è la pressione assoluta intrapleurica;
• Ptp = Palv − Ppl è la pressione assoluta transpolmonare.
• V è il volume totale di aria nei polmoni;

tˆ in cui q ( tˆ ) = 0 .
Preferibilmente però questi valori vengono riferiti rispetto al valore che avevano all’istante
In questo modo, essendo tutti i termini in genere oscillanti, avranno tutti valor medio nullo come q . Si
possono ridefinire allora i valori di pressione e volume di prima in maniera relativa, riferendoli al proprio valor
medio:
• pt = Pt − Pt 0 è la pressione dell’aria all’entrata della trachea;
• palv = Palv − Palv0 è la pressione dell’aria negli alveoli;
• p pl = Ppl − Ppl 0 è la pressione intrapleurica;
• ptp = Ptp − Ptp0 = palv − p pl è la pressione transpolmonare.
• v = V − V0 è la variazione di volume di aria nei polmoni riferita al valore di riposo V0 .

Si noti che v rappresenta anche la variazione di ventilazione alveolare, che differisce solo di un offset dalla
ventilazione polmonare (il volume dello spazio morto V0 ). Inoltre v si può anche considerare la variazione di
volume toracica trascurando le variazioni di volume dello spazio intrapleurico e del tessuto polmonare.
Infine v varierà in funzione di palv , p pl e ptp , dunque possiamo definire ben tre complianze per il sistema
respiratorio:
• Ctp = v / ptp rappresenta la complianza dei polmoni;
• C pl = v / p pl con buona approssimazione rappresenta la complianza della cassa toracica;
• Calv = v / palv sarà quindi, nel nostro modello, la complianza equivalente polmoni-cassa toracica, e si
può calcolare come serie delle due complianze precedenti:

1 CtpC pl
Calv = =
1
+
1 Ctp + C pl
Ctp C pl

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Dal bilancio di portata, per il modello considerato, otteniamo:

dv ⎫
=q ⎪
dt ⎪
v ⎪ dpalv pt − palv dp
Calv = ⇒ v = Calv palv ⎬ ⇒ Calv = ⇒ RCalv alv + palv = pt
palv ⎪ dt R dt
pt − palv ⎪
q= ⎪
R ⎭

Che trova il suo equivalente elettrico in un circuito RC serie con ingresso pt . Da ciò che è stato detto prima
però si può ‘scindere’ Calv fra Ctp e C pl e metterle in serie, con le relative cadute di pressione ai capi. Ne
risulta perciò:

Da cui si può determinare l’impedenza d’ingresso del sistema respiratorio:

1 1+ jω RCalv
Z( jω ) = R + =
jω Calv jω Calv

Modelli alternativi.
Vi sono altre proposte di modellazione del sistema respiratorio. Un altro modo di vederlo è tener conto che in
realtà esso è formato da due polmoni, quindi possiamo modellarlo con due resistenze e due capacità in
parallelo: Rd e Rs , che sono le resistenze dei bronchioli e Cd e C s , le complianze polmonari, serie di
capacità transtoracica e capacità toracica.

Infine notiamo che questi modelli hanno tutti in comune una portata q imposta dall’esterno, quando invece è
ovvio che noi respiriamo anche volontariamente e per effetto dei nostri muscoli respiratori. Questo significa
che siamo noi che impostiamo il valore di pressione ai capi della complianza transpolmonare Ctp in modo da
indurre un flusso di aria q dall’esterno. Ciò si può modellare con un altro equivalente che tiene conto di
questo e che utilizza un semplice generatore ideale comandato in tensione.

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Sistemi per la respirazione artificiale
I sistemi per la respirazione artificiale si utilizzano quando il paziente non è in grado di respirare
autonomamente. Ad esempio durante un intervento chirurgico si possono seguire due approcci:
IPPV (intertermittent positive-pressure ventilation): il ventilatore crea una pressione all'interno dei
polmoni maggiore di quella atmosferica, determinando così l'espansione della gabbia toracica.
Ricollegando le vie respiratorie all'atmosfera, si ottiene l'espirazione grazie al richiamo elastico dei
tessuti contenuti nella gabbia toracica. Questo processo viene ripetuto ritmicamente.
INPV (intertermittent negative-pressure ventilation): si porta la pressione atmosferica a pressione
minore di quella interna ai polmoni grazia ad una camera dalla quale l’aria è parzialmente aspirata.
Questi sono metodi che risalgono ad inizio ‘900, mentre oggi si sono avuti diversi sviluppi, ad esempio
tramite la tecnica PEEP (positive end expiratory pressure), un’evoluzione della IPPV nella quale viene
permesso il mantenimento di una leggera pressione positiva nei polmoni alla fine dell'espirazione per
migliorare la spinta del gas verso i bronchi ed evitare il collasso degli alveoli.

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5) DINAMICA DELL’OSMOMETRO
Abbiamo già analizzato nel primo capitolo l’osmometro e definito l’osmosi in modo abbastanza generico.
Dopo aver introdotto i vari concetti che ci hanno accompagnato lungo la nostra trattazione bioingegneristica
però, possiamo ora definirne con rigore matematico-fisico la dinamica.
Definiamo un sistema di riferimento che ha origine, per ogni colonnina, alla sua base. Diciamo perciò che le
altezze h1 e h2 del liquido nelle colonnine saranno a coordinate x1 , x2 . Utilizzando l’equazione di Bernoulli
possiamo scrivere, all’equilibrio:

π = ρ g(x1 − x2 )

Che esprime il fatto che, esauriti i transitori, la pressione osmotica bilancia gli effetti gravitazionali sul liquido
nelle due colonnine. Come possiamo però esprimere il transitorio? Se al tempo t = 0 iniettiamo una certa
quantità di un certo soluto, possiamo studiarne quindi la dinamica. Ricordiamo innanzitutto che i termini π e
ρ g(x1 − x2 ) sono termini di pressione. Possiamo quindi ipotizzare che la portata data dalla variazione di
volume dei due compartimenti nell’unità di tempo, genericamente dV / dt , sia proporzionale alla caduta di
pressione tramite un parametro k , che chiameremo coefficiente di filtrazione della membrana, cioè la
portata di flusso che l’attraversa per unità di pressione. Si può scrivere dunque:

⎧ dV1
⎪⎪ dt = k [π − ρ g(x1 − x2 )]

⎪ dV2 = k [ −π + ρ g(x1 − x2 )]
⎪⎩ dt

Le variazioni di volume dei due compartimenti dV1 e dV2 si possono poi esprimere in funzione delle
variazioni di altezza delle due colonnine e della deformazione della membrana semipermeabile dVd .
Supponendo che l’area della sezione delle due colonnine sia identica A1 = A2 = A possiamo scrivere:

⎧ dV1 dx1 dVd


⎪⎪ dt = A dt + dt

⎪ dV2 = A dx2 − dVd
⎪⎩ dt dt dt

Ora il nostro obbiettivo è semplice da prevedere: eguagliare le espressioni di flusso dei due sistemi e
risolvere avendo tutto in funzione di x1 e x2 . Ma possiamo mettere anche anche dVd / dt in funzione di x1
e x2 attraverso la definizione della complianza della membrana Cd :

dVd dVd dp ⎫
= ⋅ ⎪
dt dp dt ⎪
dVd ⎪ dVd d ( x1 − x2 )
Cd = ⎬⇒ = ρ gCd
dp ⎪ dt dt
p = π − ρ g(x1 − x2 ) ⇒ dp = ρ gd ( x1 − x2 ) ⎪

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Ora sì che possiamo eguagliare le equazioni ed ottenere un unico sistema nelle sole variabili x1 e x2 :

⎧ dx1 d
⎪⎪ A dt + ρ gCd dt ( x1 − x2 ) = k [π − ρ g(x1 − x2 )]

⎪ A dx2 − ρ gCd d ( x1 − x2 ) = k [ −π + ρ g(x1 − x2 )]
⎪⎩ dt dt

Sottraggo ora la seconda alla prima ed ottengo:

dx1 dx d d
A − A 2 + ρ gCd ( x1 − x2 ) + ρ gCd ( x1 − x2 ) = k [π − ρ g(x1 − x2 )] − k [ −π + ρ g(x1 − x2 )]
dt dt dt dt
⎧ d d
⎪ A ( x1 − x2 ) + 2 ρ gCd ( x1 − x2 ) = 2k [π − ρ g(x1 − x2 )]
⎨ dt dt
⎪( x1 − x2 ) = z


dz
( A + 2 ρ gCd ) dt + 2k ρ gz = 2kπ

Si tratta di un’equazione differenziale del primo ordine a coefficienti costanti dove l’ingresso risulta essere la
( )
pressione osmotica π e l’uscita la differenza fra le quote x1 − x2 = z . Siamo quindi facilmente in grado di
risolverla come abbiamo già ampiamente visto; soffermiamoci solo sul calcolo della costante di tempo, che ci
dà un’idea del transitorio con il quale la pressione osmotica bilancia gli effetti gravitazionali sul liquido nelle
due colonnine. Cominciamo col calcolare l’autovalore λ , utilizzando l’equazione omogenea:

( A + 2 ρ gCd ) λ + 2k ρ g = 0

2k ρ g
λ=−
A + 2 ρ gCd

Possiamo quindi facilmente risalire alla costante di tempo τ calcolando l’antireciproco di λ:

2k ρ g ⎫
λ=− ⎪
A + 2 ρ gCd ⎪ A + 2 ρ gCd A 2 ρ g Cd 1 ⎡ A ⎤
⎬⇒τ = = + ⇒ τ= ⎢ + 2Cd ⎥
1 ⎪ 2k ρ g 2k ρ g 2k ρ g 2k ⎣ ρ g ⎦
τ =−
λ ⎪

Analizziamo i termini che ci aiutano a definire il transitorio:


• ↑ k ⇒↓ τ : se il coefficiente di filtrazione di membrana k cresce allora il transitorio diminuisce ✔ ;
• ↑ ρ ⇒↓ τ : se la densità del liquido ρ cresce allora il transitorio diminuisce ✔ ;
• ↑ A ⇒↑ τ : se l’area della sezione delle colonnine A cresce allora il transitorio aumenta ✔ ;
• ↑ Cd ⇒↑ τ : se la complianza della membrana Cd cresce allora il transitorio aumenta ✔ ;

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