Osservazione in sala d’attesa: dinamiche tra genitori, modalità di interazione genitore- bambino Atteggiamento del caregiver come tramite tra operatore e il bambino Modalità nel racconto del problema/sintomo Eventuali ‘teorie familiari’ sulla causa del problema Motivo della consultazione, ed eventuali videat precedenti con colleghi Informazioni sui genitori e sugli avi: patologie ereditarie e/o di interesse neuropsichiatrico, eventuale consanguineità Scolarità ed occupazione dei genitori: livello socio-culturale Fratelli germani: età, stato di salute, scolarità Concepimento: eventuali diffiicoltà, fecondazione assistita Sintomi neurovegetativi Eventuali minacce d’aborto e loro trattamento Infezioni o altre patologie, periodo e loro trattamento MAF: periodo di comparsa e descrizione della percezione Amniocentesi Ecografie e monitoraggi Andamento dell’accrescimento fetale Settimana gestazionale Durata del travaglio, eventuale induzione Andatamento del BCF durante il travaglio Posizione e presentazione del bambino, eventuali manovre Tipo di parto Funicolo Aspetto del liquido amniotico Placenta Indice di APGAR Primo grido Cianosi Necessità di assistenza respiratoria perinatale Peso Lunghezza Circonferenza cranica Culla termica Fototerapia TIN Capacità di suzione Il contatto tra la madre e il neonato è importante per tutti indipendentemente dal tipo di alimentazione perché promuove il vincolo e facilita la colonizzazione del neonato con i microrganismi materni Il neonato dev’essere asciugato e messo in contatto pelle a pelle sul petto e l’addome della madre immediatamente dopo il parto, o non appena possibile, coperto con un telo o un panno asciutto e caldo. Questo contatto pelle a pelle iniziale deve durare quanto più a lungo possibile, idealmente per almeno un paio d’ore o fino al completamento della prima poppata Il bambino indica di essere pronto a mangiare con una serie di segni iniziali che la madre dev’essere in grado di riconoscere e ai quali deve rispondere: 1. aumento dell’allerta e dell’attività 2. rapidi movimenti degli occhi 3. movimenti della bocca e del collo 4. mani portate alla bocca 5. movimenti e suoni di suzione, suoni o singhiozzi sommessi 6. agitazione ed irritabilità I neonati devono avere un accesso illimitato al seno. Le madri devono essere informate che è perfettamente normale per un lattante volere il seno fino a 12 o più volte nelle 24 ore: le poppate frequenti sono normali ed aiutano a stabilire e mantenere una buona produzione di latte. Alcuni neonati vogliono succhiare continuamente per lunghi periodi, con cicli di sonno variabili. Le madri devono anche essere informate che nei primi giorni i neonati hanno bisogno di almeno 8 poppate efficaci in 24 ore. Infine, si deve dire alle madri che alcuni neonati sono soddisfatti con un seno mentre altri hanno bisogno di ambedue i seni ad ogni poppata. Tutti i neonati devono essere attaccati al primo seno fino a quando lasciano andare spontaneamente il capezzolo; si deve poi offrire loro il secondo seno, se lo vogliono. La durata di ogni poppata ed il numero di poppate sono regolati dal bambino; essi dipendono dall’efficacia della suzione, dai suoi bisogni di liquidi e calorie, dal tempo che è passato dall’ultima poppata. Un bambino sano auto-regola perfettamente la quantità di latte che prende, se gli è permesso di succhiare liberamente. A meno che non vi sia una valida indicazione medica, il neonato sano e a termine non deve ricevere integrazioni di latte artificiale, di soluzione glucosata, acqua, tè o camomilla. Il latte spremuto della madre o di una donatrice è il supplemento di prima scelta, se un supplemento è indicato. Indicazioni mediche accettabili sono: peso alla nascita (meno di 1500 g) o età gestazionale (meno di 32 settimane) molto bassi, neonato piccolo per l’età gestazionale con rischio di ipoglicemia potenzialmente grave, grave malattia del neonato o della madre, perdita di peso dell’8-10% accompagnata da ritardo della lattogenesi (più di 5 giorni). Il calo fisiologico è normale, per la perdita di eccesso di liquido. Con il giusto sostegno all’allattamento esclusivo, la perdita di peso è minima ed il peso ricomincia a crescere il quarto giorno, in media. Circa il 3% dei neonati a termine perdono più del 10% del loro peso alla nascita; questi neonati devono essere osservati con cura e sostenuti per aumentare la frequenza e l’efficacia dell’allattamento al seno. Hanno anche bisogno di esser visti da un pediatra per escludere ragioni mediche per la perdita di peso. Solo una piccola parte di questi neonati ha bisogno di integrazioni di latte materno spremuto e donato o di latte artificiale, per prevenire una perdita di peso eccessiva e/o una disidratazione ipernatremica In base ai nuovi standard di crescita dell’OMS,se un lattante di quest’età non aumenta in media di 200 g a settimana, le femmine un po’ meno dei maschi, si deve controllare l’efficacia dell’allattamento e correggerne la tecnica, se necessario. Se il mancato aumento di peso persiste, se ne devono ricercare le ragioni mediche ed agire di conseguenza.
Età in Maschi Maschi Femmine Femmine
settimane 3° 97° 3° 97°
0 2,5 4.3 2.4 4.2
1 2,6 4.5 2.5 4.4 2 2,8 4.9 2.7 4.6 3 3,1 5.2 2.9 5.0 4 3,4 5.6 3.1 5.3 Attorno ai sei mesi, la maggioranza dei bambini mostra interesse per altri alimenti (cioè per alimenti solidi) oltre al latte materno. Ammesso che il bambino sia in buona salute, ai genitori si deve consigliare di osservare il comportamento dei figli e di rispondervi in maniera appropriata (cioè di non forzare mai il lattante a mangiare). In situazioni nelle quali la carenza di micronutrienti in lattanti sotto i sei mesi è un problema, il miglioramento della dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento, e non la precoce introduzione di alimenti complementari, è l’intervento preventivo più efficace e meno rischioso. La carenza di vitamina D può aver luogo in bambini allattati esclusivamente al seno e non esposti sufficientemente alla luce del sole, cioè confinati in casa durante il giorno, troppo coperti quando sono all’aperto, abitanti ad alte latitudini con variazioni stagionali delle radiazioni ultraviolette, o in centri urbani dove alti edifici ed aria inquinata bloccano la luce del sole. Brevi esposizioni di 15 minuti alla luce del sole molte volte a settimana sono un modo sufficiente e sicuro per garantire un’adeguata sintesi della vitamina D ed evitare scottature. La somministrazione di integrazioni di vitamina D ai bambini a rischio ne previene in ogni caso la carenza. I bambini alimentati artificialmente non hanno bisogno di queste integrazioni se il loro latte è arricchito con vitamina D. Pur considerando che vi sono variazioni nei bisogni dei singoli bambini, il latte materno da solo non è sufficiente a soddisfare tutte le esigenze nutrizionali dei bambini dopo i sei mesi. Degli alimenti complementari sono generalmente necessari a partire da quest’età, in aggiunta al latte materno. Gli alimenti complementari possono essere classificati in: Alimenti di transizione (passati, in purea, semisolidi), alimenti cioè appartenenti a specifiche categorie ma adattati per andare incontro alle particolari esigenze nutrizionali e fisiologiche del lattante. Alimenti familiari, basati su una dieta familiare varia ed equilibrata, con qualche piccolo adattamento. Iniziare troppo presto l’alimentazione complementare non è consigliabile perché: Il latte materno può essere sostituito da liquidi e alimenti di minore qualità che potrebbero non avere la densità di nutrienti ed energia necessaria alle esigenze del lattante; dare altri liquidi ed alimenti può inoltre far diminuire la produzione e l’offerta di latte materno. I lattanti non sono ancora in grado di digerire alcuni alimenti. L’esposizione precoce ad agenti patogeni che possono contaminare gli alimenti e I liquidi complementari aumenta il rischio di diarrea e conseguente denutrizione. L’esposizione precoce ad alcuni cibi può scatenare allergie. Ritardare troppo a lungo l’introduzione di alimenti complementari non è consigliabile perché: Il latte materno da solo potrebbe non fornire abbastanza energia e nutrienti, con conseguente rallentamento della crescita e denutrizione. Il latte materno da solo potrebbe non soddisfare le crescenti esigenze di alcuni micronutrienti, soprattutto ferro e zinco. Potrebbero esservi effetti avversi sullo sviluppo ottimale delle capacità motorie della bocca, come la capacità di masticare, e sulla facilità ad accettare nuovi sapori e cibi di diversa consistenza. I lattanti devono perciò iniziare l’alimentazione complementare al compiere i sei mesi d’età, o poco dopo. Tra i 6 e gli 8 mesi questi alimenti si devono offrire 2-3 volte al giorno, aumentando a 3-4 volte dopo i 9 mesi ed aggiungendo una merenda nutriente 1- 2 volte al giorno dopo i 12 mesi, se il bambino lo desidera. Il latte materno, tuttavia, deve rimanere la fonte primaria di nutrienti per tutto il primo anno di vita. Durante il secondo anno, saranno gli alimenti familiari a diventare gradualmente la prima fonte di nutrienti. A circa sei mesi, la maggioranza dei lattanti possono star seduti con un sostegno e possono “pulire il cucchiaio” con il labbro superiore, piuttosto che limitarsi a succhiare alimenti semisolidi. A circa otto mesi, i bambini sviluppano una flessibilità della lingua sufficiente a permettere di masticare ed ingerire cibi più solidi e densi in maggiore quantità. Dall’età di 9-12 mesi la maggior parte dei bambini posseggono le abilità manuali per alimentarsi da soli, per bere da una normale tazza afferrandola con due mani, e per mangiare il cibo preparato per il resto della famiglia, con adattamenti minimi come il tagliare il cibo in pezzi che possano essere masticati, presi da un cucchiaio o afferrati con le dita. Tipi di cibi che possono Età (mesi) Riflessi/abilità Esempi di cibi essere consumati
Poppare, suzione e 0–6 Liquidi Solo latte materno deglutizione
Primo “sgranocchiare”; Latte materno più carne
Cibi in purea (solo se i aumentata forza della cotta e passata; verdura (per bisogni nutritivi del singolo suzione; spostamento del esempio, carote) o frutta 4–7 lattante richiedono riflesso faringeo dal terzo (per esempio, banana) o l’aggiunta di alimenti medio al terzo posteriore patate in purea; cereali privi complementari) della lingua di glutine (per esempio, riso) Latte materno più carne Svuotamento del cucchiaio Aumentata varietà di cotta e tritata; verdura e con le labbra; morso e alimenti in purea o tagliati a frutta cotta in purea; masticazione; movimenti pezzetti e da prendere con le verdura e frutta cruda 7–12 laterali della lingua e del dita, combinando cibi nuovi tagliata a pezzetti (per cibo tra i denti; abilità e familiari; tre pasti al esempio, banana, melone, motorie fini per iniziare a giorno con due merende tra pomodoro); cereali (per mangiare da soli i pasti esempio, grano, avena) e panel Latte materno più qualsiasi Movimenti di masticazione cosa si mangi in famiglia, 12–24 rotatori; stabilizzazione Alimenti della famiglia ammesso che la dieta della mandibola familiare sia sana e bilanciata L’età di introduzione dei cereali contenenti glutine è tuttora oggetto di ricerca. Sembra che l’allattamento al seno sia un fattore protettivo per la celiachia e che il glutine non debba essere introdotto troppo presto (a 4-6 mesi), soprattutto se l’allattamento al seno è già stato sospeso. Se l’allattamento al seno continua, il rischio di celiachia associata all’introduzione di glutine potrebbe essere ridotto se questa avviene dopo i 7-8 mesi. Anche altri fattori, compresi fattori genetici ed ambientali, e la quantità di glutine data al lattante, sembrano giocare un ruolo Molte caratteristiche, quali il sapore, l’aroma, l’apparenza e la consistenza, influenzano il consumo alimentare dei bambini. I recettori del gusto rilevano i quattro sapori primari: dolce, amaro, salato e acido. La sensibilità ai sapori aiuta a proteggere dall’ingestione di sostanze dannose e, inoltre, a regolare il consumo. Le preferenze dei bambini per la maggioranza dei cibi sono fortemente influenzate dall’apprendimento e dall’esperienza; una preferenza si sviluppa in relazione alla frequenza di esposizione ad un particolare sapore L’unica preferenza innata è quella per il dolce, ed anche i neonati consumano avidamente sostanze dolci, se offerte. Aumentare la varietà dei cibi serve ad accrescere l’accettabilità di sapori differenti.É perciò importante non offrire zucchero in forma concentrata (dolci, gelati, ecc.) fino a che il bambino non abbia avuto la possibilità di sperimentare altri sapori, in particolare frutta e verdura, e di sviluppare una preferenza per gli stessi. Il singhiozzo è una contrazione involontaria e ripetuta del diaframma, cioè del muscolo che separa gli organi del torace da quelli dell’addome e che svolge la funzione di regolare la respirazione, contraendosi quando si inspira e dilatandosi quando si espira. Tale spasmo è associato alla chiusura della glottide (la valvola che divide l’apparato digerente dalle vie aeree), a sua volta determinata da un’alterazione del nervo frenico che, se opportunamente stimolato, reagisce inducendo una contrazione anomala del muscolo stesso attraverso un arco riflesso. Nei neonati il sistema è ancora immaturo soprattutto a causa di un facile reflusso gastro-esofageo legato alla scarsa tenuta del cardias, valvola che regola il flusso degli alimenti impedendone il ritorno in esofago. Cause del singhiozzo possono essere: il reflusso gastro-esofageo, soprattutto nei neonati particolarmente voraci che quindi ingurgitano tanta aria. Il cardias si distende e stimola il diaframma; è tipica l’insorgenza del singhiozzo al momento del ruttino; le crisi di pianto: anche in questo caso è più facile che il neonato ingurgiti più aria, per cui si ripete la situazione già vista; gli sbalzi repentini di temperatura: non è chiaro come agiscano, ma per un meccanismo riflesso il singhiozzo spesso accompagna il cambio del pannolino o il bagnetto. Il singhiozzo è quindi un meccanismo innocuo, che disturba poco il bambino, che si risolve spontaneamente e che compare già dopo l’ottava settimana di gestazione, per cui anche la mamma può avvertire questi lievi sussulti ritmici che provengono dal suo piccolo quando è ancora in utero. È un disturbo frequente nei primi mesi di vita che consiste nella fuoriuscita dalla bocca del bebè di parte del latte ingerito, misto a succhi gastrici e saliva. Può verificarsi più volte al giorno, in particolare dopo la poppata, e interessa sia i bambini allattati al seno sia quelli nutriti al biberon con latte formulato: esso, infatti, non dipende da problemi di allergie o intolleranze alimentari bensì dall’immaturità dell’apparato digerente caratteristica di questa fascia d’età (in particolare del cardias, la valvola tra esofago e stomaco). Le coliche del neonato costituiscono una sindrome comportamentale caratterizzata da crisi parossistiche di pianto disperato, che vengono scatenate da attacchi di dolore addominale acuto, durante i quali il piccolo si contrae tirando le gambe verso l'addome (flessione delle cosce sul bacino). Accanto a questi sintomi, si può inoltre apprezzare un certo grado di distensione, accompagnato da ripetute emissioni anali di gas . Abbastanza tipicamente, le coliche del neonato compaiono alla sera e possono durare da una a tre ore, per poi scomparire e riapparire il giorno dopo, anche ad orari diversi. In relazione ai dati statistici consultati, le coliche neonatali arrivano ad interessare dal 10% al 30% dei neonati (dalla 2a - 3a settimana di vita in poi) e dei lattanti, scomparendo spontaneamente e senza un'apparente spiegazione intorno al terzo - quarto mese di vita. La definizione più comune utilizza il pianto come criterio identificativo del disturbo; per parlare di coliche del neonato, infatti, le crisi parossistiche di pianto devono durare più di tre ore e manifestarsi in più di tre giorni su sette per almeno tre settimane (regola dei tre di Wessel). La diagnosi di coliche gassose neonatali prevede inoltre l'esclusione a priori di qualsiasi altra causa correlabile a manifestazioni dolorose parossistiche, protratte o recidivanti, in particolar modo le condizioni più gravi (ostruzione intestinale, peritonite, ernia, pielonefrite, intussuscezione, problemi nutrizionali, neurologici, igienici ecc.). Le coliche del neonato rimangono pertanto un fenomeno para-fisiologico (alcuni pediatri le considerano una "non malattia"), ad eziologia incerta e multifattoriale. L'ipotesi più accreditata chiama in causa l’aerofagia - legata all'eccessiva ingestione di aria durante pianto e poppate - e la flatulenza, legata alla fermentazione intestinale del latte materno. Non mancano comunque svariati riferimenti ad una possibile etiologia psicosomatica, sulla quale influirebbero le condizioni di vita del piccolo; anche un alto livello di stress, problemi famigliari ed ansia da parte dei genitori, sembrano favorirne l'insorgenza. Questi disturbo si manifesta con incidenza simile sia nei neonati allattati al seno che in quelli alimentati con latte artificiale. I legumi, ad esempio, possono sviluppare reazioni gassose nell’intestino della madre, ma non certo in quello del neonato allattato al seno, dato che il fenomeno è legato alla quota di nutrienti inassorbiti a livello intestinale, che come tali non possono entrare nel circolo sanguigno materno. Si può invece ipotizzare una reazione allergica alle proteine del latte vaccino qualora il bambino presenti coliche gassose accompagnate a diarrea, vomito, eczema e ad una prolungata e frequente agitazione. Altri fattori predisponenti sembrano essere correlati al mancato ruttino del piccolo dopo la poppata, e all'esposizione al fumo di sigaretta sia durante la vita intrauterina che dopo il parto. L’allergia alimentare è una forma specifica di intolleranza ad alimenti o a componenti alimentari che attiva il sistema immunitario. Un allergene (proteina presente nell’alimento a rischio che nella maggioranza delle persone è del tutto innocua) innesca una catena di reazioni del sistema immunitario tra cui la produzione di anticorpi. Gli anticorpi determinano il rilascio di sostanze chimiche organiche, come l’istamina, che provocano vari sintomi: prurito, naso che cola, tosse o affanno. Le allergie agli alimenti o ai componenti alimentari sono spesso ereditarie e vengono in genere diagnosticate nei primi anni di vita. L’intolleranza alimentare coinvolge il metabolismo ma non il sistema immunitario. Un tipico esempio è l’intolleranza al lattosio: le persone che ne sono affette hanno una carenza di lattasi, l’enzima digestivo che scompone lo zucchero del latte. L’allergia è essenzialmente "un’alterazione immunitaria" in cui una sostanza normalmente innocua viene “percepita” come una minaccia un allergene e attaccata dalle difese immunitarie dell’organismo. In una vera reazione allergica, l’organismo produce anticorpi (proteine che si legano specificamente ad altre proteine chiamate antigeni in questo caso allergeni per disattivarle ed eliminarle dal corpo). La categoria di anticorpi che prende il nome di immunoglobuline E (IgE) reagisce con l’allergene scatenando un’ulteriore reazione con i mastociti (cellule dei tessuti) e i basofili (un tipo di cellula ematica). I mastociti si trovano sotto la superficie cutanea e nelle membrane che rivestono il naso, l’apparato respiratorio, gli occhi e l’intestino. Rilasciano una sostanza chiamata istamina o altre sostanze quali i leucotrieni e le prostaglandine che provocano reazioni allergiche come quelle indicate nella tabella riportata di seguito. Le reazioni negative sono immediate e di solito localizzate. Alcune reazioni allergiche impiegano varie ore o addirittura giorni a manifestarsi dopo l’esposizione ad una proteina estranea. In questo caso si parla di "reazioni di ipersensibilità ritardata". L’intolleranza può provocare sintomi simili all’allergia (tra cui nausea, diarrea e crampi allo stomaco), ma la reazione non coinvolge nello stesso modo il sistema immunitario. L’intolleranza alimentare si manifesta quando il corpo non riesce a digerire correttamente un alimento o un componente alimentare. Mentre i soggetti veramente allergici devono in genere eliminare del tutto il cibo incriminato, le persone che hanno un’intolleranza possono spesso sopportare piccole quantità dell’alimento o del componente in questione senza sviluppare sintomi. Fanno eccezione gli individui sensibili al glutine e al solfito. Allergia alle proteine del latte vaccino Allergia ai vari tipi di noci Frutta Legumi Crostacei Il lattosio è lo zucchero contenuto nel latte. Normalmente, l’enzima chiamato lattasi, presente nell’intestino tenue, scompone il lattosio in zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) che entrano poi in circolo nel sangue. Quando l’attività enzimatica è ridotta, il lattosio non viene scomposto e viene trasportato nell’intestino crasso dove viene fermentato dai batteri presenti in quella parte del corpo. Questo può determinare sintomi come flatulenza, dolore intestinale e diarrea. L’intolleranza al glutine è una disfunzione intestinale che si manifesta quando il corpo non tollera il glutine (proteina presente nel grano, nella segale, nell’orzo e nell’avena, anche se quest’ultima è oggetto di controversie e di ricerche per stabilirne l’effettivo ruolo). La diffusione della malattia, comunemente chiamata celiachia o intolleranza al glutine, è sottostimata. Gli esami sierologici rilevano questa malattia, che altrimenti non verrebbe diagnosticata, in 1 individuo su 100 della popolazione Europea (con differenze regionali). La celiachia è una disfunzione permanente e può essere diagnosticata a qualsiasi età. Se la persona che ne è affetta consuma un alimento contenente glutine, le pareti di rivestimento dell’intestino tenue si danneggiano e subiscono una riduzione della capacità di assorbire nutrienti essenziali quali grassi, proteine, carboidrati, minerali e vitamine. I sintomi includono diarrea, debolezza dovuta a perdita di peso, irritabilità e crampi addominali. Nei bambini, possono manifestarsi sintomi di malnutrizione come, ad esempio, una crescita insufficiente. Attualmente, l’unico aiuto per i pazienti celiaci è una dieta priva di glutine. Sulla base dell’anamnesi dietetica, gli alimenti sospettati di provocare reazioni allergiche sono inseriti nella serie utilizzata per i test cutanei. Il valore di questo tipo di test è molto controverso e i risultati non sono affidabili al cento per cento. I test consistono nell’inserimento sottocutaneo di estratti di un determinato alimento, mediante iniezione o sfregamento, per verificare l’eventuale comparsa di una reazione di prurito o di gonfiore. Il principio della dieta ad esclusione si basa sull’eliminazione di un alimento o di una combinazione di alimenti sospetti per un periodo di circa 2 settimane prima di effettuare una prova di verifica. Se in questo periodo i sintomi scompaiono, i cibi sospetti vengono reintrodotti nella dieta, uno per volta, in quantità ridotte e aumentate gradualmente fino a raggiungere la dose normale. Una volta verificati tutti i cibi sospetti, è possibile evitare quelli che causano problemi. In questo tipo di test si mescolano in una provetta piccoli campioni di sangue del paziente con estratti di alimenti. In una vera allergia, il sangue produce anticorpi per combattere la proteina estranea che può così essere rilevata. Il test può essere usato soltanto come indicatore di un’allergia ma non determina l’entità della sensibilità all’alimento nocivo. Le vaccinazioni obbligatorie sono: antidifterica (Legge del 6 giugno 1939 n. 891 – Legge del 27 aprile 1981 n. 166); antitetanica (Legge del 20 marzo 1968 n. 419); antipoliomielitica (Legge del 4 febbraio 1966 n. 51); antiepatitevirale B (Legge del 27 maggio 1991 n. 165). Tutte le altre sono volontarie, anche se il Sistema sanitario nazionale ne incentiva l’uso e garantisce la gratuità. L’antidifterica e l’antitetanica si somministrano insieme attraverso il vecchio vaccino combinato (DT) oppure col vaccino trivalente antidifterico-tetanico-pertossico (DTP) se i genitori acconsentono ad aggiungere quest’ultima vaccinazione facoltativa. Si inzia a vaccinare all’età di tre mesi e si prosegue seguendo il calendario illustrato più sotto. Le vaccinazioni contro la pertosse, il morbillo, la parotite, la rosolia e quella contro l’Haemophilus influenzae b (Hib) sono invece facoltative. La vaccinazione contro il morbillopuò essere singola o associata alla vaccinazione antiparotite e antirosolia (vaccino MPR). Quest’ultima va somministrata entro i due anni di età, preferibilmente a 13-15 mesi. Anche se per qualche ragione si allungano i tempi tra una dose e l’altra, non si compromette l’efficacia dell’intero ciclo, purché lo si porti a termine. Vanno vaccinati tutti i bambini nel corso del primo anno di vita, gli adulti che non si sono mai vaccinati e chi viaggia in una zona dove la difterite è endemica. Non possono essere vaccinati, invece, i bambini con reazioni allergiche gravi alle componenti del vaccino o bambini con disturbi neurologici non stabilizzati o da causa ignota. Inoltre in caso di malattia acuta grave o moderata è meglio rimandare fin dopo la guarigione. Il ciclo di base è costituito da tre dosi di vaccino, da praticare entro il primo anno di vita. Si esegue un richiamo a 6 e a 14-16 anni. Come per il tetano, l’immunità non è garantita per tutto l’arco della vita: sarebbe opportuno fare un richiamo di questi due vaccini ogni 10 anni. Se passano molti anni dalla vaccinazione senza che siano stati effetuati i richiami, a volte è necessario ripetere tutto il ciclo anche da adulti (cioè tre dosi nell’arco di un anno). Vengono vaccinati tutti i bambini entro l’anno di vita e tutti gli adulti che non sono immuni. Le controindicazioni assolute sono l’allergia grave ai componenti del vaccino, la presenza di malattie neurologiche non stabilizzate o senza causa identificata. È utile rimandare la vaccinazione in caso di malattia acuta grave o moderata Si somministrano tre dosi al terzo, quinto e undicesimo mese, con due richiami (a 6 e a 14 anni). L’efficacia del vaccino sfiora il 100%. L’Oms ha in corso una campagna volta all’eradicazione totale della malattia: per fare ciò è necessario che i piccoli dei Paesi dove la malattia non c’è più continuino a essere vaccinati con la forma più blanda di vaccino, quello che contiene il virus inattivato (il cosiddetto vaccino Salk, dal nome dello scopritore). Nei Paesi a rischio, invece, si usa ancora il vaccino con il virus attenuato (cioè ancora parzialmente vivo, detto anche vaccino Sabin dal nome dello scopritore), che si somministra per bocca (mentre il Salk si somministra con un’iniezione intramuscolare). In Italia, in concomitanza con la certificazione dell’Oms di avvenuta eradicazione della polio dalla Regione Europea, nel giugno 2002, si è passati alla somministrazione del solo vaccino inattivato, che spesso è combinato ad altri vaccini (nel vaccino esavalente con difterite, tetano, pertosse, epatite B, Haemophilus influenzae b). Il ciclo di base comprende tre dosi nel primo anno di vita, con un richiamo quinto-sesto anno. La copertura è molto lunga, teoricamente per tutta la vita. Vengono vaccinati tutti i bambini nel corso del primo anno di vita (con tre dosi a tre, cinque e 11 mesi di vita), i neonati nati da una madre portatrice (per ridurre il rischio di contagio durante il parto) e tutte le persone a rischio (per esempio medici, infermieri, conviventi di portatori cronici della malattia eccetera). Non possono essere vaccinati i bambini con reazioni allergiche a componenti del vaccino. La somministrazione va rimandata in caso di malattia acuta grave o moderata. Il vaccino è efficace al 95%, la sua copertura dura tutta la vita. Nel maschio, il primo segno della pubertà è l'aumento di volume dei due testicoli, vale a dire di quegli organi deputati alla produzione degli spermatozoi. A tal proposito, si parla di spermarca per indicare la prima eiaculazione, che normalmente avviene tra i 13 ed i 16 anni; la normospermia viene invece raggiunta a circa 17 anni. Analogamente, nella donna, si parla di menarca per indicare l'età di insorgenza della prima mestruazione, che compare appunto verso l'undicesimo anno di età; dopo questo periodo la percentuale di cicli anovulatori si attesta intorno al 55% nei primi due anni, per poi scendere al 20% dopo 5 anni e risalire nella pre-menopausa (si tratta ovviamente di dati generali, suscettibili di un'ampia variabilità individuale). Mentre l'epoca del menarca è facilmente identificabile, molto più difficile risulta risalire all'epoca dello spermarca; molto spesso, infatti, il funzionamento dei testicoli si rende evidente per la prima volta durante un sogno, con l'emissione di sperma. Aldilà del menarca per le femmine e dello spermarca per gli uomini, la pubertà si accompagna a profondi cambiamenti morfologici, funzionali e psichici. Per entrambi i sessi si assiste alla comparsa di peli ascellari e anali, allo sviluppo delle ghiandole sudoripare e degli organi sessuali, all'aumento di lunghezza delle corde vocali e al cambiamento della voce; il tutto accompagnato da un rapido incremento staturale. Si ha poi lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari sesso-specifici, tra i quali ricordiamo la crescita della barba e dei peli corporei nel maschio e lo sviluppo mammario nella donna (primo segno clinico dello sviluppo puberale). Al termine della pubertà saranno cambiate anche le differenze nelle proporzioni tra massa ossea, massa muscolare (una volta e mezza superiori nel maschio adulto), e tessuto adiposo (due volte superiore nella femmina adulta). Ritardi ed anticipi nell'insorgenza della pubertà sono in genere fisiologici, ma in determinate situazioni possono nascondere una malattia od una grave alterazione organica. I medici parlano di pubertà precoce quando insorge prima degli 8 anni nella donna e dei 9 nel maschio, e di pubertà ritardata qualora non compaiano segni di sviluppo sessuale entro i 13,4 anni nella femmina ed i 14 anni nel maschio.