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Dott.

ssa Ilaria Del Vecchio


 Osservazione in sala d’attesa: dinamiche tra
genitori, modalità di interazione genitore-
bambino
 Atteggiamento del caregiver come tramite
tra operatore e il bambino
 Modalità nel racconto del
problema/sintomo
 Eventuali ‘teorie familiari’ sulla causa del
problema
 Motivo della consultazione, ed eventuali videat
precedenti con colleghi
 Informazioni sui genitori e sugli avi: patologie
ereditarie e/o di interesse neuropsichiatrico,
eventuale consanguineità
 Scolarità ed occupazione dei genitori: livello
socio-culturale
 Fratelli germani: età, stato di salute, scolarità
 Concepimento: eventuali diffiicoltà, fecondazione
assistita
 Sintomi neurovegetativi
 Eventuali minacce d’aborto e loro trattamento
 Infezioni o altre patologie, periodo e loro
trattamento
 MAF: periodo di comparsa e descrizione della
percezione
 Amniocentesi
 Ecografie e monitoraggi
 Andamento dell’accrescimento fetale
 Settimana gestazionale
 Durata del travaglio, eventuale induzione
 Andatamento del BCF durante il travaglio
 Posizione e presentazione del bambino, eventuali
manovre
 Tipo di parto
 Funicolo
 Aspetto del liquido amniotico
 Placenta
 Indice di APGAR
 Primo grido
 Cianosi
 Necessità di assistenza respiratoria perinatale
 Peso
 Lunghezza
 Circonferenza cranica
 Culla termica
 Fototerapia
 TIN
 Capacità di suzione
 Il contatto tra la madre e il neonato è importante per
tutti indipendentemente dal tipo di alimentazione
perché promuove il vincolo e facilita la colonizzazione
del neonato con i microrganismi materni
 Il neonato dev’essere asciugato e messo in contatto
pelle a pelle sul petto e l’addome della madre
immediatamente dopo il parto, o non appena possibile,
coperto con un telo o un panno asciutto e caldo.
Questo contatto pelle a pelle iniziale deve durare
quanto più a lungo possibile, idealmente per almeno un
paio d’ore o fino al completamento della prima poppata
 Il bambino indica di essere pronto a mangiare con una serie
di segni iniziali che la madre dev’essere in grado di
riconoscere e ai quali deve rispondere:
1. aumento dell’allerta e dell’attività
2. rapidi movimenti degli occhi
3. movimenti della bocca e del collo
4. mani portate alla bocca
5. movimenti e suoni di suzione, suoni o singhiozzi
sommessi
6. agitazione ed irritabilità
I neonati devono avere un accesso illimitato al seno. Le madri
devono essere informate che è perfettamente normale per un
lattante volere il seno fino a 12 o più volte nelle 24 ore: le poppate
frequenti sono normali ed aiutano a stabilire e mantenere una
buona produzione di latte. Alcuni neonati vogliono succhiare
continuamente per lunghi periodi, con cicli di sonno variabili.
Le madri devono anche essere informate che nei primi giorni i
neonati hanno bisogno di almeno 8 poppate efficaci in 24 ore.
Infine, si deve dire alle madri che alcuni neonati sono soddisfatti
con un seno mentre altri hanno bisogno di ambedue i seni ad ogni
poppata. Tutti i neonati devono essere attaccati al primo seno fino
a quando lasciano andare spontaneamente il capezzolo; si deve poi
offrire loro il secondo seno, se lo vogliono.
La durata di ogni poppata ed il numero di
poppate sono regolati dal bambino; essi
dipendono dall’efficacia della suzione, dai suoi
bisogni di liquidi e calorie, dal tempo che è
passato dall’ultima poppata. Un bambino sano
auto-regola perfettamente la quantità di latte
che prende, se gli è permesso di succhiare
liberamente.
A meno che non vi sia una valida indicazione medica, il
neonato sano e a termine non deve ricevere integrazioni di
latte artificiale, di soluzione glucosata, acqua, tè o camomilla.
Il latte spremuto della madre o di una donatrice è il
supplemento di prima scelta, se un supplemento è indicato.
Indicazioni mediche accettabili sono: peso alla nascita (meno
di 1500 g) o età gestazionale (meno di 32 settimane) molto
bassi, neonato piccolo per l’età gestazionale con rischio di
ipoglicemia potenzialmente grave, grave malattia del
neonato o della madre, perdita di peso dell’8-10%
accompagnata da ritardo della lattogenesi (più di 5 giorni).
Il calo fisiologico è normale, per la perdita di eccesso di
liquido. Con il giusto sostegno all’allattamento esclusivo, la
perdita di peso è minima ed il peso ricomincia a crescere il
quarto giorno, in media. Circa il 3% dei neonati a termine
perdono più del 10% del loro peso alla nascita; questi neonati
devono essere osservati con cura e sostenuti per aumentare la
frequenza e l’efficacia dell’allattamento al seno. Hanno anche
bisogno di esser visti da un pediatra per escludere ragioni
mediche per la perdita di peso. Solo una piccola parte di questi
neonati ha bisogno di integrazioni di latte materno spremuto
e donato o di latte artificiale, per prevenire una perdita di peso
eccessiva e/o una disidratazione ipernatremica
In base ai nuovi standard di crescita dell’OMS,se un lattante di quest’età non
aumenta in media di 200 g a settimana, le femmine un po’ meno dei maschi, si
deve controllare l’efficacia dell’allattamento e correggerne la tecnica, se
necessario.
Se il mancato aumento di peso persiste, se ne devono ricercare le ragioni
mediche ed agire di conseguenza.

Età in Maschi Maschi Femmine Femmine


settimane 3° 97° 3° 97°

0 2,5 4.3 2.4 4.2


1 2,6 4.5 2.5 4.4
2 2,8 4.9 2.7 4.6
3 3,1 5.2 2.9 5.0
4 3,4 5.6 3.1 5.3
Attorno ai sei mesi, la maggioranza dei bambini mostra
interesse per altri alimenti (cioè per alimenti solidi) oltre
al latte materno. Ammesso che il bambino sia in buona
salute, ai genitori si deve consigliare di osservare il
comportamento dei figli e di rispondervi in maniera
appropriata (cioè di non forzare mai il lattante a
mangiare).
In situazioni nelle quali la carenza di micronutrienti in
lattanti sotto i sei mesi è un problema, il miglioramento
della dieta materna durante la gravidanza e
l’allattamento, e non la precoce introduzione di alimenti
complementari, è l’intervento preventivo più efficace e
meno rischioso.
La carenza di vitamina D può aver luogo in bambini allattati
esclusivamente al seno e non esposti sufficientemente alla luce
del sole, cioè confinati in casa durante il giorno, troppo
coperti quando sono all’aperto, abitanti ad alte latitudini con
variazioni stagionali delle radiazioni ultraviolette, o in centri
urbani dove alti edifici ed aria inquinata bloccano la luce del
sole. Brevi esposizioni di 15 minuti alla luce del sole molte
volte a settimana sono un modo sufficiente e sicuro per
garantire un’adeguata sintesi della vitamina D ed evitare
scottature. La somministrazione di integrazioni di vitamina D
ai bambini a rischio ne previene in ogni caso la carenza. I
bambini alimentati artificialmente non hanno bisogno di
queste integrazioni se il loro latte è arricchito con vitamina D.
Pur considerando che vi sono variazioni nei bisogni dei singoli
bambini, il latte materno da solo non è sufficiente a soddisfare
tutte le esigenze nutrizionali dei bambini dopo i sei mesi.
Degli alimenti complementari sono generalmente necessari a
partire da quest’età, in aggiunta al latte materno. Gli alimenti
complementari possono essere classificati in:
 Alimenti di transizione (passati, in purea, semisolidi),
alimenti cioè appartenenti a specifiche categorie ma
adattati per andare incontro alle particolari esigenze
nutrizionali e fisiologiche del lattante.
 Alimenti familiari, basati su una dieta familiare varia ed
equilibrata, con qualche piccolo adattamento.
Iniziare troppo presto l’alimentazione complementare non è
consigliabile perché:
 Il latte materno può essere sostituito da liquidi e alimenti di
minore qualità che potrebbero non avere la densità di nutrienti ed
energia necessaria alle esigenze del lattante; dare altri liquidi ed
alimenti può inoltre far diminuire la produzione e l’offerta di latte
materno.
 I lattanti non sono ancora in grado di digerire alcuni alimenti.
 L’esposizione precoce ad agenti patogeni che possono
contaminare gli alimenti e I liquidi complementari aumenta il
rischio di diarrea e conseguente denutrizione.
 L’esposizione precoce ad alcuni cibi può scatenare allergie.
Ritardare troppo a lungo l’introduzione di alimenti
complementari non è consigliabile perché:
 Il latte materno da solo potrebbe non fornire abbastanza
energia e nutrienti, con conseguente rallentamento della
crescita e denutrizione.
 Il latte materno da solo potrebbe non soddisfare le crescenti
esigenze di alcuni micronutrienti, soprattutto ferro e zinco.
 Potrebbero esservi effetti avversi sullo sviluppo ottimale
delle capacità motorie della bocca, come la capacità di
masticare, e sulla facilità ad accettare nuovi sapori e cibi di
diversa consistenza.
 I lattanti devono perciò iniziare l’alimentazione
complementare al compiere i sei mesi d’età, o poco
dopo.
 Tra i 6 e gli 8 mesi questi alimenti si devono offrire 2-3
volte al giorno, aumentando a 3-4 volte dopo i 9 mesi
ed aggiungendo una merenda nutriente 1- 2 volte al
giorno dopo i 12 mesi, se il bambino lo desidera.
 Il latte materno, tuttavia, deve rimanere la fonte
primaria di nutrienti per tutto il primo anno di vita.
 Durante il secondo anno, saranno gli alimenti familiari
a diventare gradualmente la prima fonte di nutrienti.
 A circa sei mesi, la maggioranza dei lattanti possono star
seduti con un sostegno e possono “pulire il cucchiaio” con il
labbro superiore, piuttosto che limitarsi a succhiare
alimenti semisolidi.
 A circa otto mesi, i bambini sviluppano una flessibilità della
lingua sufficiente a permettere di masticare ed ingerire cibi
più solidi e densi in maggiore quantità.
 Dall’età di 9-12 mesi la maggior parte dei bambini
posseggono le abilità manuali per alimentarsi da soli, per
bere da una normale tazza afferrandola con due mani, e per
mangiare il cibo preparato per il resto della famiglia, con
adattamenti minimi come il tagliare il cibo in pezzi che
possano essere masticati, presi da un cucchiaio o afferrati
con le dita.
Tipi di cibi che possono
Età (mesi) Riflessi/abilità Esempi di cibi
essere consumati

Poppare, suzione e
0–6 Liquidi Solo latte materno
deglutizione

Primo “sgranocchiare”; Latte materno più carne


Cibi in purea (solo se i
aumentata forza della cotta e passata; verdura (per
bisogni nutritivi del singolo
suzione; spostamento del esempio, carote) o frutta
4–7 lattante richiedono
riflesso faringeo dal terzo (per esempio, banana) o
l’aggiunta di alimenti
medio al terzo posteriore patate in purea; cereali privi
complementari)
della lingua di glutine (per esempio, riso)
Latte materno più carne
Svuotamento del cucchiaio Aumentata varietà di cotta e tritata; verdura e
con le labbra; morso e alimenti in purea o tagliati a frutta cotta in purea;
masticazione; movimenti pezzetti e da prendere con le verdura e frutta cruda
7–12 laterali della lingua e del dita, combinando cibi nuovi tagliata a pezzetti (per
cibo tra i denti; abilità e familiari; tre pasti al esempio, banana, melone,
motorie fini per iniziare a giorno con due merende tra pomodoro); cereali (per
mangiare da soli i pasti esempio, grano, avena) e
panel
Latte materno più qualsiasi
Movimenti di masticazione cosa si mangi in famiglia,
12–24 rotatori; stabilizzazione Alimenti della famiglia ammesso che la dieta
della mandibola familiare sia sana e
bilanciata
L’età di introduzione dei cereali contenenti glutine è
tuttora oggetto di ricerca. Sembra che l’allattamento al
seno sia un fattore protettivo per la celiachia e che il
glutine non debba essere introdotto troppo presto (a 4-6
mesi), soprattutto se l’allattamento al seno è già stato
sospeso. Se l’allattamento al seno continua, il rischio di
celiachia associata all’introduzione di glutine potrebbe
essere ridotto se questa avviene dopo i 7-8 mesi. Anche
altri fattori, compresi fattori genetici ed ambientali, e la
quantità di glutine data al lattante, sembrano giocare un
ruolo
Molte caratteristiche, quali il sapore, l’aroma,
l’apparenza e la consistenza, influenzano il consumo
alimentare dei bambini. I recettori del gusto rilevano
i quattro sapori primari: dolce, amaro, salato e acido.
La sensibilità ai sapori aiuta a proteggere
dall’ingestione di sostanze dannose e, inoltre, a
regolare il consumo. Le preferenze dei bambini per la
maggioranza dei cibi sono fortemente influenzate
dall’apprendimento e dall’esperienza; una preferenza
si sviluppa in relazione alla frequenza di esposizione
ad un particolare sapore
L’unica preferenza innata è quella per il dolce, ed
anche i neonati consumano avidamente sostanze
dolci, se offerte. Aumentare la varietà dei cibi serve
ad accrescere l’accettabilità di sapori differenti.É
perciò importante non offrire zucchero in forma
concentrata (dolci, gelati, ecc.) fino a che il bambino
non abbia avuto la possibilità di sperimentare altri
sapori, in particolare frutta e verdura, e di sviluppare
una preferenza per gli stessi.
Il singhiozzo è una contrazione involontaria e ripetuta del
diaframma, cioè del muscolo che separa gli organi del torace
da quelli dell’addome e che svolge la funzione di regolare la
respirazione, contraendosi quando si inspira e dilatandosi
quando si espira. Tale spasmo è associato alla chiusura della
glottide (la valvola che divide l’apparato digerente dalle vie
aeree), a sua volta determinata da un’alterazione del nervo
frenico che, se opportunamente stimolato, reagisce inducendo
una contrazione anomala del muscolo stesso attraverso un
arco riflesso. Nei neonati il sistema è ancora immaturo
soprattutto a causa di un facile reflusso gastro-esofageo
legato alla scarsa tenuta del cardias, valvola che regola il
flusso degli alimenti impedendone il ritorno in esofago.
Cause del singhiozzo possono essere:
 il reflusso gastro-esofageo, soprattutto nei neonati
particolarmente voraci che quindi ingurgitano tanta aria. Il
cardias si distende e stimola il diaframma; è tipica l’insorgenza
del singhiozzo al momento del ruttino;
 le crisi di pianto: anche in questo caso è più facile che il neonato
ingurgiti più aria, per cui si ripete la situazione già vista;
 gli sbalzi repentini di temperatura: non è chiaro come
agiscano, ma per un meccanismo riflesso il singhiozzo spesso
accompagna il cambio del pannolino o il bagnetto.
Il singhiozzo è quindi un meccanismo innocuo, che disturba poco
il bambino, che si risolve spontaneamente e che compare già dopo
l’ottava settimana di gestazione, per cui anche la mamma può
avvertire questi lievi sussulti ritmici che provengono dal suo
piccolo quando è ancora in utero.
È un disturbo frequente nei primi mesi di vita che
consiste nella fuoriuscita dalla bocca del bebè di parte del
latte ingerito, misto a succhi gastrici e saliva. Può
verificarsi più volte al giorno, in particolare dopo la
poppata, e interessa sia i bambini allattati al seno sia
quelli nutriti al biberon con latte formulato: esso, infatti,
non dipende da problemi di allergie o intolleranze
alimentari bensì dall’immaturità dell’apparato digerente
caratteristica di questa fascia d’età (in particolare del
cardias, la valvola tra esofago e stomaco).
Le coliche del neonato costituiscono una sindrome comportamentale
caratterizzata da crisi parossistiche di pianto disperato, che vengono scatenate da
attacchi di dolore addominale acuto, durante i quali il piccolo si contrae tirando le
gambe verso l'addome (flessione delle cosce sul bacino).
Accanto a questi sintomi, si può inoltre apprezzare un certo grado di distensione,
accompagnato da ripetute emissioni anali di gas .
Abbastanza tipicamente, le coliche del neonato compaiono alla sera e possono
durare da una a tre ore, per poi scomparire e riapparire il giorno dopo, anche ad
orari diversi.
In relazione ai dati statistici consultati, le coliche neonatali arrivano ad interessare
dal 10% al 30% dei neonati (dalla 2a - 3a settimana di vita in poi) e dei lattanti,
scomparendo spontaneamente e senza un'apparente spiegazione intorno al terzo -
quarto mese di vita.
La definizione più comune utilizza il pianto come criterio
identificativo del disturbo; per parlare di coliche del
neonato, infatti, le crisi parossistiche di pianto devono
durare più di tre ore e manifestarsi in più di tre giorni su
sette per almeno tre settimane (regola dei tre di Wessel).
La diagnosi di coliche gassose neonatali prevede inoltre
l'esclusione a priori di qualsiasi altra causa correlabile a
manifestazioni dolorose parossistiche, protratte o
recidivanti, in particolar modo le condizioni più gravi
(ostruzione intestinale, peritonite, ernia, pielonefrite,
intussuscezione, problemi nutrizionali, neurologici,
igienici ecc.).
Le coliche del neonato rimangono pertanto un fenomeno
para-fisiologico (alcuni pediatri le considerano una "non
malattia"), ad eziologia incerta e multifattoriale.
L'ipotesi più accreditata chiama in causa l’aerofagia -
legata all'eccessiva ingestione di aria durante pianto
e poppate - e la flatulenza, legata alla fermentazione
intestinale del latte materno.
Non mancano comunque svariati riferimenti ad una
possibile etiologia psicosomatica, sulla quale
influirebbero le condizioni di vita del piccolo; anche un
alto livello di stress, problemi famigliari ed ansia da parte
dei genitori, sembrano favorirne l'insorgenza.
Questi disturbo si manifesta con incidenza simile sia nei
neonati allattati al seno che in quelli alimentati con latte
artificiale. I legumi, ad esempio, possono sviluppare reazioni
gassose nell’intestino della madre, ma non certo in quello del
neonato allattato al seno, dato che il fenomeno è legato alla
quota di nutrienti inassorbiti a livello intestinale, che come
tali non possono entrare nel circolo sanguigno materno.
Si può invece ipotizzare una reazione allergica alle proteine
del latte vaccino qualora il bambino presenti coliche gassose
accompagnate a diarrea, vomito, eczema e ad una prolungata
e frequente agitazione.
Altri fattori predisponenti sembrano essere correlati al
mancato ruttino del piccolo dopo la poppata, e all'esposizione
al fumo di sigaretta sia durante la vita intrauterina che dopo
il parto.
L’allergia alimentare è una forma specifica di intolleranza
ad alimenti o a componenti alimentari che attiva il sistema
immunitario. Un allergene (proteina presente nell’alimento a
rischio che nella maggioranza delle persone è del tutto
innocua) innesca una catena di reazioni del sistema
immunitario tra cui la produzione di anticorpi.
Gli anticorpi determinano il rilascio di sostanze chimiche
organiche, come l’istamina, che provocano vari sintomi:
prurito, naso che cola, tosse o affanno. Le allergie agli
alimenti o ai componenti alimentari sono spesso ereditarie e
vengono in genere diagnosticate nei primi anni di vita.
L’intolleranza alimentare coinvolge il
metabolismo ma non il sistema
immunitario. Un tipico esempio è
l’intolleranza al lattosio: le persone che
ne sono affette hanno una carenza di
lattasi, l’enzima digestivo che scompone
lo zucchero del latte.
L’allergia è essenzialmente "un’alterazione immunitaria"
in cui una sostanza normalmente innocua viene
“percepita” come una minaccia un allergene e
attaccata dalle difese immunitarie dell’organismo. In
una vera reazione allergica, l’organismo produce
anticorpi (proteine che si legano specificamente ad altre
proteine chiamate antigeni in questo caso allergeni per
disattivarle ed eliminarle dal corpo). La categoria di
anticorpi che prende il nome di immunoglobuline E
(IgE) reagisce con l’allergene scatenando un’ulteriore
reazione con i mastociti (cellule dei tessuti) e i basofili
(un tipo di cellula ematica).
I mastociti si trovano sotto la superficie cutanea e nelle
membrane che rivestono il naso, l’apparato respiratorio,
gli occhi e l’intestino. Rilasciano una sostanza chiamata
istamina o altre sostanze quali i leucotrieni e le
prostaglandine che provocano reazioni allergiche come
quelle indicate nella tabella riportata di seguito. Le
reazioni negative sono immediate e di solito localizzate.
Alcune reazioni allergiche impiegano varie ore o
addirittura giorni a manifestarsi dopo l’esposizione ad
una proteina estranea. In questo caso si parla di
"reazioni di ipersensibilità ritardata".
L’intolleranza può provocare sintomi simili all’allergia
(tra cui nausea, diarrea e crampi allo stomaco), ma la
reazione non coinvolge nello stesso modo il sistema
immunitario. L’intolleranza alimentare si manifesta
quando il corpo non riesce a digerire correttamente un
alimento o un componente alimentare. Mentre i
soggetti veramente allergici devono in genere eliminare
del tutto il cibo incriminato, le persone che hanno
un’intolleranza possono spesso sopportare piccole
quantità dell’alimento o del componente in questione
senza sviluppare sintomi. Fanno eccezione gli individui
sensibili al glutine e al solfito.
 Allergia alle proteine del latte vaccino
 Allergia ai vari tipi di noci
 Frutta
 Legumi
 Crostacei
 Il lattosio è lo zucchero contenuto nel latte.
Normalmente, l’enzima chiamato lattasi, presente
nell’intestino tenue, scompone il lattosio in zuccheri
più semplici (glucosio e galattosio) che entrano poi in
circolo nel sangue. Quando l’attività enzimatica è
ridotta, il lattosio non viene scomposto e viene
trasportato nell’intestino crasso dove viene fermentato
dai batteri presenti in quella parte del corpo. Questo
può determinare sintomi come flatulenza, dolore
intestinale e diarrea.
 L’intolleranza al glutine è una disfunzione intestinale
che si manifesta quando il corpo non tollera il glutine
(proteina presente nel grano, nella segale, nell’orzo e
nell’avena, anche se quest’ultima è oggetto di
controversie e di ricerche per stabilirne l’effettivo
ruolo). La diffusione della malattia, comunemente
chiamata celiachia o intolleranza al glutine, è
sottostimata. Gli esami sierologici rilevano questa
malattia, che altrimenti non verrebbe diagnosticata,
in 1 individuo su 100 della popolazione Europea (con
differenze regionali).
 La celiachia è una disfunzione permanente e può
essere diagnosticata a qualsiasi età. Se la persona che
ne è affetta consuma un alimento contenente glutine,
le pareti di rivestimento dell’intestino tenue si
danneggiano e subiscono una riduzione della capacità
di assorbire nutrienti essenziali quali grassi, proteine,
carboidrati, minerali e vitamine.
 I sintomi includono diarrea, debolezza dovuta a
perdita di peso, irritabilità e crampi addominali. Nei
bambini, possono manifestarsi sintomi di
malnutrizione come, ad esempio, una crescita
insufficiente.
 Attualmente, l’unico aiuto per i pazienti celiaci è una
dieta priva di glutine.
 Sulla base dell’anamnesi dietetica, gli alimenti
sospettati di provocare reazioni allergiche sono
inseriti nella serie utilizzata per i test cutanei. Il valore
di questo tipo di test è molto controverso e i risultati
non sono affidabili al cento per cento. I test
consistono nell’inserimento sottocutaneo di estratti di
un determinato alimento, mediante iniezione o
sfregamento, per verificare l’eventuale comparsa di
una reazione di prurito o di gonfiore.
 Il principio della dieta ad esclusione si basa
sull’eliminazione di un alimento o di una
combinazione di alimenti sospetti per un periodo di
circa 2 settimane prima di effettuare una prova di
verifica. Se in questo periodo i sintomi scompaiono, i
cibi sospetti vengono reintrodotti nella dieta, uno per
volta, in quantità ridotte e aumentate gradualmente
fino a raggiungere la dose normale. Una volta verificati
tutti i cibi sospetti, è possibile evitare quelli che
causano problemi.
 In questo tipo di test si mescolano in una provetta
piccoli campioni di sangue del paziente con estratti di
alimenti. In una vera allergia, il sangue produce
anticorpi per combattere la proteina estranea che può
così essere rilevata. Il test può essere usato soltanto
come indicatore di un’allergia ma non determina
l’entità della sensibilità all’alimento nocivo.
 Le vaccinazioni obbligatorie sono: antidifterica (Legge del 6 giugno 1939 n. 891 – Legge
del 27 aprile 1981 n. 166); antitetanica (Legge del 20 marzo 1968 n.
419); antipoliomielitica (Legge del 4 febbraio 1966 n. 51); antiepatitevirale B (Legge del
27 maggio 1991 n. 165).
 Tutte le altre sono volontarie, anche se il Sistema sanitario nazionale ne incentiva l’uso e
garantisce la gratuità.
 L’antidifterica e l’antitetanica si somministrano insieme attraverso il vecchio vaccino
combinato (DT) oppure col vaccino trivalente antidifterico-tetanico-pertossico (DTP) se
i genitori acconsentono ad aggiungere quest’ultima vaccinazione facoltativa.
 Si inzia a vaccinare all’età di tre mesi e si prosegue seguendo il calendario illustrato
più sotto. Le vaccinazioni contro la pertosse, il morbillo, la parotite, la rosolia e quella
contro l’Haemophilus influenzae b (Hib) sono invece facoltative. La vaccinazione contro
il morbillopuò essere singola o associata alla vaccinazione antiparotite e antirosolia
(vaccino MPR). Quest’ultima va somministrata entro i due anni di età, preferibilmente a
13-15 mesi.
 Anche se per qualche ragione si allungano i tempi tra una dose e l’altra, non si
compromette l’efficacia dell’intero ciclo, purché lo si porti a termine.

 Vanno vaccinati tutti i bambini nel corso del primo anno
di vita, gli adulti che non si sono mai vaccinati e chi viaggia in
una zona dove la difterite è endemica. Non possono essere
vaccinati, invece, i bambini con reazioni allergiche gravi alle
componenti del vaccino o bambini con disturbi neurologici non
stabilizzati o da causa ignota. Inoltre in caso di malattia acuta
grave o moderata è meglio rimandare fin dopo la guarigione.
 Il ciclo di base è costituito da tre dosi di vaccino, da praticare
entro il primo anno di vita. Si esegue un richiamo a 6 e a 14-16
anni. Come per il tetano, l’immunità non è garantita per tutto
l’arco della vita: sarebbe opportuno fare un richiamo di questi
due vaccini ogni 10 anni. Se passano molti anni dalla
vaccinazione senza che siano stati effetuati i richiami, a volte è
necessario ripetere tutto il ciclo anche da adulti (cioè tre dosi
nell’arco di un anno).
 Vengono vaccinati tutti i bambini entro l’anno di
vita e tutti gli adulti che non sono immuni. Le
controindicazioni assolute sono l’allergia grave ai
componenti del vaccino, la presenza di malattie
neurologiche non stabilizzate o senza causa
identificata. È utile rimandare la vaccinazione in caso
di malattia acuta grave o moderata
 Si somministrano tre dosi al terzo, quinto e
undicesimo mese, con due richiami (a 6 e a 14 anni).
L’efficacia del vaccino sfiora il 100%.
 L’Oms ha in corso una campagna volta all’eradicazione totale della
malattia: per fare ciò è necessario che i piccoli dei Paesi dove la malattia non
c’è più continuino a essere vaccinati con la forma più blanda di vaccino, quello
che contiene il virus inattivato (il cosiddetto vaccino Salk, dal nome dello
scopritore).
 Nei Paesi a rischio, invece, si usa ancora il vaccino con il virus attenuato (cioè
ancora parzialmente vivo, detto anche vaccino Sabin dal nome dello
scopritore), che si somministra per bocca (mentre il Salk si somministra con
un’iniezione intramuscolare). In Italia, in concomitanza con la certificazione
dell’Oms di avvenuta eradicazione della polio dalla Regione Europea, nel
giugno 2002, si è passati alla somministrazione del solo vaccino inattivato, che
spesso è combinato ad altri vaccini (nel vaccino esavalente con difterite,
tetano, pertosse, epatite B, Haemophilus influenzae b).
 Il ciclo di base comprende tre dosi nel primo anno di vita, con un richiamo
quinto-sesto anno. La copertura è molto lunga, teoricamente per tutta la vita.
 Vengono vaccinati tutti i bambini nel corso del primo
anno di vita (con tre dosi a tre, cinque e 11 mesi di vita), i
neonati nati da una madre portatrice (per ridurre il rischio
di contagio durante il parto) e tutte le persone a rischio
(per esempio medici, infermieri, conviventi di portatori
cronici della malattia eccetera).
 Non possono essere vaccinati i bambini con reazioni
allergiche a componenti del vaccino. La somministrazione
va rimandata in caso di malattia acuta grave o moderata.
 Il vaccino è efficace al 95%, la sua copertura dura
tutta la vita.
Nel maschio, il primo segno della pubertà è l'aumento di volume dei
due testicoli, vale a dire di quegli organi deputati alla produzione degli
spermatozoi. A tal proposito, si parla di spermarca per indicare la
prima eiaculazione, che normalmente avviene tra i 13 ed i 16 anni; la
normospermia viene invece raggiunta a circa 17 anni. Analogamente,
nella donna, si parla di menarca per indicare l'età di insorgenza della
prima mestruazione, che compare appunto verso l'undicesimo anno di
età; dopo questo periodo la percentuale di cicli anovulatori si attesta
intorno al 55% nei primi due anni, per poi scendere al 20% dopo 5 anni e
risalire nella pre-menopausa (si tratta ovviamente di dati generali,
suscettibili di un'ampia variabilità individuale). Mentre l'epoca del
menarca è facilmente identificabile, molto più difficile risulta risalire
all'epoca dello spermarca; molto spesso, infatti, il funzionamento dei
testicoli si rende evidente per la prima volta durante un sogno, con
l'emissione di sperma.
 Aldilà del menarca per le femmine e dello spermarca per gli uomini, la
pubertà si accompagna a profondi cambiamenti morfologici, funzionali e
psichici. Per entrambi i sessi si assiste alla comparsa di peli ascellari e anali,
allo sviluppo delle ghiandole sudoripare e degli organi sessuali, all'aumento di
lunghezza delle corde vocali e al cambiamento della voce; il tutto
accompagnato da un rapido incremento staturale. Si ha poi lo sviluppo dei
caratteri sessuali secondari sesso-specifici, tra i quali ricordiamo la crescita
della barba e dei peli corporei nel maschio e lo sviluppo mammario nella
donna (primo segno clinico dello sviluppo puberale). Al termine della pubertà
saranno cambiate anche le differenze nelle proporzioni tra massa ossea,
massa muscolare (una volta e mezza superiori nel maschio adulto), e tessuto
adiposo (due volte superiore nella femmina adulta).
 Ritardi ed anticipi nell'insorgenza della pubertà sono in genere fisiologici, ma
in determinate situazioni possono nascondere una malattia od una grave
alterazione organica. I medici parlano di pubertà precoce quando insorge
prima degli 8 anni nella donna e dei 9 nel maschio, e di pubertà ritardata
qualora non compaiano segni di sviluppo sessuale entro i 13,4 anni nella
femmina ed i 14 anni nel maschio.

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