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RicettarioElettronica-V1 3 PDF
RicettarioElettronica-V1 3 PDF
fabio.dirado@libero.it
Paolo Aliverti
Ricettario di
Elettronica
Edizioni ZeppelinMaker
2019
Attribuzione - Condividi allo stesso modo - CC BY-SA
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La corrente elettrica
La corrente elettrica è definita come la quantità di carica che attraversa la sezione di un
conduttore in un certo tempo:
𝑛. 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒
𝑖=
𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜
Se ci fate caso pare una definizione simile a quella della portata dell'acqua intesa come la
quantità di liquido che attraversa la sezione di un tubo in un certo tempo. Per l'acqua
parliamo di litri al secondo, mentre per la corrente dovremmo parlare di cariche al secondo.
L'unità di misura della carica elettrica sono i coloumb. La corrente si misura quindi in
coloumb al secondo, comunemente detti ampere.
Per arrivare a una definizione precisa ci servirebbe uno strumento per misurare il numero di
cariche elettriche che attraversano una certa superficie. É molto difficile fare una misura
assoluta, quindi immaginate di poter fare due misure a poca distanza una dall'altra e di
considerare solo la variazione di cariche rilevata in un intervallo di tempo. La definizione di
corrente diventa quindi:
𝑞2 − 𝑞1 𝛥𝑞
𝐼= =
𝑡2 − 𝑡1 𝛥𝑡
Le correnti si indicano solitamente con la lettera "I" (maiuscola o minuscola), eventualmente
seguita da un numero posto a pedice, nel caso se ne debba indicare più d'una (es. I 1, I2, I3). La
definizione appena riportata indica però una media matematica: conto per un certo periodo
di tempo le cariche che passano in una certa sezione e poi le divido per il tempo trascorso. È
possibile arrivare a una definizione il più possibile “puntuale” e quindi istantanea riducendo
il più possibile l’intervallo di tempo da misurare.
La definizione data si dice "operativa" perché affronta il problema dal punto di vista pratico
e offre una soluzione che richiede l'uso di strumenti e misure. Per misurare la corrente non
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Ricettario di Elettronica
Figura 1.1 - La corrente è data dal moto di cariche all'interno di un materiale conduttore.
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𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜𝑑𝑖𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 = = 6250000000000000000
1.6 ∙ 10−19
Il simbolo usato per indicare gli ampere è la lettera A. Una corrente di 10 ampere si indicherà
quindi:
𝑖1 = 10𝐴
In elettronica si utilizzano spesso correnti molto piccole e quindi si usano frazioni di ampere
come i milliampere (1 mA = 0,001 A o 10-3 A) o i microampere (1µA = 0,001 mA o 0,000001
A o 10-6 A).
Possiamo ottenere una corrente da un generatore che può essere una batteria o un
alimentatore. Batterie e alimentatori hanno due poli, cioè due terminali (o morsetti, come
amano chiamarli gli elettrotecnici), uno detto positivo e contrassegnato con il simbolo "+" e
uno negativo, contrassegnato con il simbolo "-". Originariamente si pensava che la corrente
fosse determinata dal moto di cariche positive uscenti dal polo positivo, che fluiscono in un
circuito e poi raggiungono il polo negativo. Studi successivi rivelarono che la corrente era
generata dal moto di cariche negative, gli elettroni, e che quindi il verso corretto era dal polo
negativo al positivo. Ai fini pratici, dire che delle cariche positive si muovono dal polo positivo
al negativo o che delle cariche negative si muovono dal polo negativo al positivo è la stessa
cosa.
Per avere un'indicazione visiva di come la corrente scorre in un circuito, si usa riportarla sugli
schemi elettronici con una freccia sovrapposta o affiancata ai rami di un circuito. Nella figura
1.2 possiamo vedere un semplice circuito in cui il generatore è rappresentato da una batteria
B1 a cui è collegato un componente generico C1. Ai capi del componente C1 troveremo la
stessa tensione fornita dalla batteria B1. La corrente che fuoriesce dal generatore non può far
altro che attraversare il componente C1 per poi ritornare al polo negativo della batteria.
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Paolo Aliverti
Figura 1.2 - Generatore collegato a un componente elettronico. Corrente e tensione sono indicate con due frecce.
Possiamo avere correnti continue e quindi caratterizzate da un flusso costante di cariche che
si spostano da un polo all'altro del nostro generatore, oppure correnti variabili. Una corrente
continua è molto più semplice da trattare di una corrente variabile. Le correnti variabili
possono essere di varia natura. Possiamo avere correnti che variano in modo regolare, per
esempio con un andamento "ad onda" o sinusoidale e che hanno quindi una certa frequenza
o correnti che variano in modo più complesso. Le correnti variabili si possono analizzare e
studiare usando formule matematiche che possono essere più o meno complicate. In ogni
caso, anche le onde più complicate si possono sempre descrivere con una sommatoria più o
meno complessa di onde semplici.
Tensione
Abbiamo detto che la corrente è originata da un moto di cariche elettriche. Cosa può far
spostare delle cariche elettriche? Serve un campo elettrico. Possiamo creare un campo
elettrico quando abbiamo delle concentrazioni di cariche nello spazio. Se avete mai provato
a strofinare un palloncino su un maglione di lana potete intuire di cosa stiamo parlando.
Strofinando il palloncino su una manica, la sua superficie si carica elettricamente e possiamo
accorgerci della presenza delle cariche perché se avviciniamo la testa, e abbiamo ancora i
capelli, questi saranno attratti dalla sua superficie. Questo è un semplice esempio di campo
elettrico.
Collegando un conduttore tra due poli di un generatore chiudiamo un circuito e facciamo in
modo che all’interno del conduttore si stabilisca un campo elettrico. Le particelle presenti nel
campo elettrico subiranno una forza detta forza elettromotrice che le metterà in moto e
quindi potremo generare una corrente. Spesso utilizziamo i termini “tensione” o “voltaggio”,
riferendoci alla differenza di potenziale tra due punti. Il potenziale di un punto è dato
dall’energia (potenziale) posseduta da una particella in quella posizione. La differenza di
potenziale elettrico invece è il lavoro necessario per muovere una carica da un punto all’altro.
Per riprendere la metafora acquatica, possiamo dire che il voltaggio sia paragonabile
all’altezza da cui cade dell’acqua o all’inclinazione di un tubo. Se vogliamo che scorra l’acqua,
il tubo va inclinato.
Il voltaggio è una misura relativa e riguarda sempre due punti. Parleremo di voltaggio tra il
punto A e B indicandolo con la scrittura: 𝑉
𝐴𝐵
𝑉𝐴𝐵 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵
La lettera V si usa tradizionalmente per indicare il voltaggio. Quando il voltaggio riporta una
sola lettera, non è assoluto, ma significa che è riferito a massa o al punto di terra, cioè a un
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Ricettario di Elettronica
punto che per convenzione assumiamo sia al potenziale 0 e solitamente corrisponde al
negativo del generatore o della batteria che utilizziamo per alimentare il circuito.
Analogamente alla corrente, possiamo dare una definizione operativa del voltaggio
indicandolo come:
𝑈𝐴 − 𝑈𝐵 ∆𝑈
𝑉𝐴𝐵 = =
𝑞 𝑞
l voltaggio è dato dal rapporto tra la differenza di energia potenziale di due punti, diviso la
quantità di carica. Ricordando che il joule è l’unità di misura dell’energia, possiamo quindi
misurarlo come:
𝐽
=𝑉
𝐶
L’unità di misura è il volt. Possiamo misurare facilmente una differenza di potenziale
utilizzando un voltmetro o un comune multimetro.
Legge di Ohm
Una delle leggi fondamentali dell'elettronica, necessaria alla risoluzione dei circuiti è la legge
di Ohm che lega tra loro la tensione e la corrente attraverso la resistenza:
𝑉 =𝐼∙𝑅
La resistenza si misura in ohm, unità di misura che prende il nome dal fisico tedesco Georg
Ohm che agli inizi del 1800 studio le relazioni tra corrente e tensione e gli effetti prodotti su
vari materiali. Il simbolo degli ohm è la lettera greca omega: . I componenti normalmente
utilizzati in elettronica hanno resistenze che partono da frazioni di ohm (milliohm) fino a
qualche megaohm. Il simbolo solitamente usato per rappresentare le resistenze è una linea a
zigzag con due terminali o in alcuni casi un semplice rettangolo. Le resistenze si indicano con
la lettera R solitamente dotata di un pedice numerato: R 1. Le resistenze sono dei componenti
non polarizzati, infatti si possono invertire i loro terminali senza che il loro comportamento
non cambi. L’effetto prodotto da una resistenza è quello di “frenare” il passaggio degli
elettroni e quindi determinare una caduta di tensione. È paragonabile, utilizzando la metafora
idraulica, a un tubo strozzato.
Figura 1.3 – I simboli (a)(b) comunemente usati per indicare una resistenza e un disegno (c) che la rappresenta
come un tubo strozzato.
Spesso in elettronica si ha a che fare anche con l'inverso della resistenza, cioè la conduttanza,
solitamente indicata con la lettera "G" (anche minuscola). La conduttanza si misura in
siemens. Il simbolo a volte è indicato con s, a volte con un ohm rovesciato oppure con 1/ .
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Paolo Aliverti
In campo elettronico abbiamo dispositivi che funzionano come generatori, che forniscono
corrente e tensione e dispositivi che si comportano come utilizzatori. Un resistore è un
dispositivo dotato di due terminali e che oppone una certa resistenza al passaggio della
corrente. Collegando un generatore al resistore, stiamo applicando ai suoi capi una tensione
V. La corrente assorbita dal resistore dipende dalla sua resistenza ed è definita dalla legge di
ohm.
La corrente si rappresenta solitamente con una freccia affiancata o sovrapposta a uno dei
terminali, mentre la tensione è una freccia che va da un punto all'altro del circuito. In alcuni
casi, al posto della freccia si indicano i segni + e -.
Immaginiamo di avere un generatore di tensione che può fornire un voltaggio di 12 volt.
Collegando ai suoi morsetti una resistenza “fisseremo” la corrente che circola nel circuito.
Immaginando di misurare 20 mA, possiamo ricavare il valore della resistenza collegata:
𝑉 12𝑉 12𝑉
𝑅= = = = 600𝛺
𝐼 20𝑚𝐴 0.020𝐴
Esiste una seconda formulazione della legge di Ohm, detta macroscopica, e di tipo più
sperimentale. Considerato che ogni materiale può condurre la corrente più o meno bene o
non condurre del tutto (isolante), è possibile ricavare un coefficiente di resistività (rho).
Conoscendo la resistività di un materiale è possibile ricavare il valore della sua resistenza che
dipende dalla lunghezza (l) e dalla sua sezione (S):
𝑙
𝑅=𝜌∙
𝑆
Maggiore è la lunghezza del materiale è maggiore sarà la resistenza misurata. La resistenza
invece diminuisce al crescere della sezione: maggior sezione, minore resistenza. La resistività
dei metalli dipende anche dalla temperatura.
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Ricettario di Elettronica
Nel collegamento in serie i componenti sono collegati in modo da realizzare un percorso
unico per la corrente che li attraverserà. Il terminale di un componente è direttamente e
unicamente collegato al terminale del componente successivo. La tensione sarà applicata ai
terminali “liberi” posi all’estremità della serie.
Nel collegamento in parallelo i componenti hanno i loro due terminali collegati a due linee da
cui prendono la tensione di alimentazione. La corrente sarà divisa tra i vari componenti a
seconda delle caratteristiche di ogni singolo elemento. Ogni componente avrà applicato alle
sue estremità la stessa tensione di alimentazione.
Più resistori in serie sono attraversati tutti dalla stessa corrente e il valore complessivo di
tutti i componenti sarà pari alla semplice somma dei singoli valori:
𝑅𝑡𝑜𝑡 = 𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3 + ⋯ = ∑ 𝑅𝑖
𝑖=1
Figura 1.5 – Collegamento di più resistori in serie: una sola corrente li attraversa uno per uno.
Più resistori in parallelo si trovano sottoposti alla stessa tensione. La corrente fornita si
suddivide tra le varie resistenze. Il calcolo del valore della resistenza equivalente è più
complesso:
𝑁
1 1 1 1 1
= + + +⋯=∑
𝑅𝑡𝑜𝑡 𝑅1 𝑅2 𝑅3 𝑅𝑖
𝑖=1
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Paolo Aliverti
È necessario calcolare il valore della somma dei valori inversi delle singole resistenze e poi
invertirlo per ricavare la resistenza equivalente.
Nel caso ci fossero solo due resistenze in parallelo la formula si semplifica e si può scrivere:
1 1 1 𝑅1 + 𝑅2
= + =
𝑅𝑡𝑜𝑡 𝑅1 𝑅2 𝑅1 ∙ 𝑅2
quindi invertendola:
𝑅1 ∙ 𝑅2
𝑅𝑡𝑜𝑡 =
𝑅1 + 𝑅2
Se le resistenze hanno lo stesso valore, il valore della resistenza equivalente è pari alla metà
del loro valore nominale:
𝑅 ∙𝑅 𝑅2 𝑅
𝑅𝑡𝑜𝑡 = = =
𝑅 + 𝑅 2𝑅 2
Figura 1.6 – Collegamento di più resistenze in parallelo: una sola tensione è applicata ai capi di tutti i resistori.
𝐴∙𝐵
𝑃=
𝐴+𝐵+𝐶
𝐴∙𝐶
𝑄=
𝐴+𝐵+𝐶
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Ricettario di Elettronica
𝐵∙𝐶
𝑅=
𝐴+𝐵+𝐶
𝑃𝑄 + 𝑄𝑅 + 𝑅𝑃
𝐴=
𝑅
𝑃𝑄 + 𝑄𝑅 + 𝑅𝑃
𝐵=
𝑄
𝑃𝑄 + 𝑄𝑅 + 𝑅𝑃
𝐶=
𝑃
Figura 1.7 – Collegamento di più resistori in configurazione a stella (1) e a triangolo (2).
Generatori
Nei paragrafi precedenti, trattando brevemente di corrente e tensione elettrica abbiamo
incontrato un generatore, rappresentato come una batteria. La teoria elettrica prevede due
tipi di generatori:
• generatori di tensione;
• generatori di corrente.
I generatori di tensione sono quelli a noi più familiari perché è più facile incontrarli nella vita
quotidiana. Una batteria si può considerare con buona approssimazione un generatore di
tensione, cioè un dispositivo in grado di fornire una tensione "fissa" ai suoi capi. Mentre la
tensione è fissa, la corrente è variabile e dipende da ciò che colleghiamo al generatore. Un
generatore teorico o ideale può fornire una corrente che parte da 0 fino ad arrivare
all'infinito. Nel primo caso abbiamo un circuito aperto, mentre nel secondo abbiamo
realizzato un corto circuito. Il valore della corrente si può determinare utilizzando la legge di
Ohm.
I generatori sono considerati dei dispositivi attivi, in grado cioè di fornire corrente e tensione
a un circuito. Sono rappresentati come dei bipoli, cioè con un simbolo grafico dotato di due
terminali o morsetti dotati di polarità. Un morsetto corrisponde al polo positivo (+ e colore
rosso) e l’altro è associato al polo negativo (- e colore nero). Per convenzione troveremo ai
loro capi una tensione mentre la corrente sarà uscente dal lato del polo positivo.
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Paolo Aliverti
Figura 1.8 - Per convenzione i generatori forniscono una corrente che fuoriesce dal loro morsetto positivo (la
corrente è indicata con una freccia di colore rosso).
Figura 1.9 - Simboli di alcuni tipi di generatori: (a) generatore di corrente, (b) generatore di tensione, (c)
generatore di corrente (simbolo alternativo), (d) generatore di tensione (simbolo alternativo), (e) generatore
comandato di corrente, (f) generatore comandato di tensione.
In elettronica si usano spesso anche dei generatori controllati. Anche questo tipo di
generatori non esiste realmente perché sono solamente dei modelli utili per trattare alcuni
tipi di componenti particolari. In figura 1.9 è possibile vedere il simbolo di un generatore
"comandato" di corrente (e) e di un generatore "comandato" di tensione (f). Un generatore di
corrente "comandato" produce una corrente che dipende da altre grandezze (tensioni o
correnti) rilevate all'interno del circuito in cui è inserito. Anche il generatore di corrente
"comandato" si comporta nello stesso modo, rilevando una tensione o una corrente e
producendo di conseguenza una corrente "controllata". Un esempio potrebbe essere un
amplificatore che produce una tensione d'uscita Vo prelevando la tensione di ingresso Vi
amplificata del guadagno Av.
𝑉𝑜 = 𝑉𝑖 ∙ 𝐴𝑣
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Ricettario di Elettronica
Possiamo creare un modello matematico per i generatori reali semplicemente aggiungendo
una resistenza a un generatore ideale. Un generatore di tensione reale si può ottenere
aggiungendo una resistenza in serie a un generatore ideale. Per ottenere un generatore di
corrente reale (oggetto molto meno comune!), aggiungeremo una resistenza in parallelo al
generatore di corrente. La resistenza interna permette di tenere in considerazione eventuali
cadute di tensione e la dissipazione di potenza interna. Quando vi si collega un carico, la
tensione o la corrente nominali e misurabili ai suoi morsetti variano in funzione del carico
collegato. Nel modello di un generatore di tensione reale (fig. 1.10), la tensione nominale Vo
è rilevabile in assenza di carico. A causa della presenza della resistenza interna R i, collegando
un carico al generatore, la corrente reale rilevata (V1) sarà sensibilmente differente da V0, in
rapporto al carico collegato. Analogamente accade per un generatore di corrente.
Figura 1.10 - Modello di un generatore di tensione reale (a) e di un generatore di corrente reale (b)
La metafora acquatica
Quando iniziai a interessarmi di corrente elettrica, all'età di 10 anni, lessi un libro divulgativo
in cui la corrente elettrica era paragonata a dell'acqua che scorre all'interno di tubi. Questa
metafora aiuta a comprendere molte cose e a farsi un'idea iniziale di quello che può accadere
all'interno di fili e componenti elettrici. La corrente, al pari di un fluido si propaga all'interno
dei fili raggiungendo i vari componenti. La tensione, in questo modello acquatico è
rappresentabile con l’inclinazione del tubo, necessaria affinché l’acqua possa mettersi in
moto. Abbiamo quindi un generatore da cui questo fluido invisibile fuoriesce, ma serve poi
uno scarico in cui raccoglierlo e rimetterlo in circolazione. Un concetto comune sia
all'approccio elettrico che idraulico è il concetto di circuito, cioè un percorso chiuso in cui il
fluido possa scorrere.
La corrente però non è un fluido e cercando di applicare questa metafora ai casi che ci
possono capitare studiando l'elettronica possiamo incappare in errori abbastanza grossolani.
Anche se la corrente elettrica è generata da un moto di particelle cariche, immaginarsela
come tante palline da ping-pong che rimbalzano in un tubo può portare a problemi
d'interpretazione. Acqua e palline da ping-pong sono oggetti con una certa fisicità e che
possiamo toccare con mano: hanno una massa e una velocità. In alcuni casi si è portati a
pensare che queste palline impieghino un certo tempo per raggiungere i vari elementi di un
circuito, appunto perché caratterizzate da una certa massa e sottoposte a una forza o a una
pressione. Questo implica anche un concetto di direzione: l'acqua scorre dal rubinetto,
all'interno del circuito, fino a raggiungere lo scarico. Uno dei problemi maggiori di questo
approccio è che quando un principiante affronta un semplice circuito costituito da una
batteria in serie con una lampadina e una resistenza, sarebbe portato a pensare che il
comportamento del circuito dipenda dall’ordine dei componenti. Se un filo è equiparabile a
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Paolo Aliverti
un tubo e l’acqua vi scorre partendo dal polo positivo fino a raggiungere il polo negativo e se
una resistenza è un restringimento del tubo, allora la posizione della resistenza è importante.
Se il flusso incontra prima la resistenza e poi la lampada allora questa emetterà poca luce,
perché l’acqua rallenterà a causa del restringimento del tubo (la resistenza) per poi passare
nella lampadina. Se invece la lampadina è posta prima della resistenza, allora la resistenza
non avrà effetto.
In realtà il fatto che la resistenza sia prima o dopo alla lampadina non cambia le cose. Per
spiegarlo in termini semplici è come se la corrente consideri non tanto il percorso ma l’anello
da percorrere nella sua interezza… come se fosse “preveggente”.
In realtà la corrente elettrica si manifesta perché si stabilisce un campo elettrico all’interno
del conduttore. Il campo elettrico si stabilisce non appena chiudiamo i contatti del circuito e
colleghiamo un generatore i cui poli sono posti a differenti livelli di potenziale elettrico. Le
cariche elettriche, gli elettroni, non sono delle piccole palline: la fisica moderna li descrive
come delle nuvole di probabilità composte da elementi quantistici e quindi potete capire che
il discorso non sia poi così semplice.
Figura 1.11 - Circuito con batteria, resistenza e lampadina... se inverto la posizione di lampadina e resistenza
cambia qualcosa?
Potenza
Vi sarete sicuramente accorti che la definizione di potenza, in elettronica è qualcosa di
abbastanza spinoso. Infatti esistono numerosi modi per definirla e misurarla che generano
notevole confusione.
Per svolgere un qualsiasi tipo di lavoro è necessario utilizzare dell'energia. Se volete salire
dieci piani di scale e siete a stomaco vuoto, farete sicuramente fatica. Per poter far muovere
le vostre gambe dovete prima incorporare dell'energia sotto forma di cibo, come per esempio
un piatto di spaghetti. Il cibo può fornire dell'energia disponibile per compiere un lavoro. Una
volta incamerata l'energia potete decidere quanto velocemente consumarla. Se salirete con
tutta tranquillità, raggiungerete il decimo piano senza arrivare trafelati come se aveste
percorso le scale di corsa. La quantità di energia necessaria è sempre la stessa, quello che
cambia è invece il tempo necessario per compiere l'operazione e cioè la potenza impiegata
che è appunto definita come energia nell'unità di tempo. Meno tempo impiego per portare a
termine un lavoro e maggiore sarà la potenza.
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Ricettario di Elettronica
𝑃 =𝑉∙𝐼
La potenza è data dal prodotto della tensione per la corrente che sono applicate a un
dispositivo o a un componente. Una definizione più precisa di potenza spiega che questa è
pari al lavoro applicato a una carica elettrica nel tempo di un secondo. La potenza è quindi il
lavoro necessario per spostare una carica elettrica immersa in un campo elettrico. La potenza
si misura in watt.
Immaginando di avere una lampadina da 12 volt in cui circola una corrente di 0,5 ampere,
possiamo concludere che la lampada assorbe una potenza pari a:
𝑃 = 12𝑉 ∙ 0.5𝐴 = 6𝑊
Un dispositivo con maggiore potenza, come ben sappiamo, è in grado di svolgere un maggior
lavoro: un trapano da 600 watt è molto più potente di uno da 250 watt.
Figura 1.12 - Una lampada da 12 volt che assorbe 1 ampere di potenza consuma 6 watt di potenza.
𝑉 = 𝑅∙𝐼
𝑃 = 𝑉 ∙ 𝐼 = (𝑅 ∙ 𝐼) ∙ 𝐼 = 𝑅 ∙ 𝐼2
Analogamente si può fare con la corrente. Per la legge di Ohm possiamo scrivere:
𝑉
𝐼=
𝑅
e quindi sostituendola nella formula della potenza otteniamo la forma seguente:
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Paolo Aliverti
𝑉 𝑉2
𝑃 = 𝑉∙𝐼 = 𝑉∙( )=
𝑅 𝑅
Leggi di Kirchhoff
Per risolvere un circuito elettrico è necessario prima di tutto definire delle convenzioni, cioè
stabilire un verso predefinito, da considerare come positivo per la circolazione delle correnti
e delle tensioni. Immaginiamo di avere un semplice circuito composto da un generatore e da
una resistenza. Abbiamo visto come i generatori siano considerati bipoli attivi, con la corrente
in uscita dal loro polo positivo. In un circuito abbiamo componenti attivi e passivi. Ai capi di
un componente (o bipolo passivo), troveremo una tensione e sarà attraversato da una
corrente. Per convenzione troveremo che la corrente entrerà dal morsetto più positivo. Se
indichiamo graficamente la tensione come una freccia ai capi del bipolo, la corrente entrerà
in corrispondenza del morsetto toccato dalla punta della freccia della tensione (fig 1.13).
Figura 1.13 - In un bipolo passivo, per convenzione, la corrente entrerà nel morsetto corrispondente al polo
positivo (punta della freccia della tensione applicata).
Per risolvere circuiti semplici, formati da sole resistenze, non sono necessari calcoli
complessi e solitamente è sufficiente combinare tra di loro le varie resistenze fino ad arrivare
ad una sola resistenza equivalente. È possibile consultare qualche esempio di risoluzione di
questo tipo di circuiti più avanti nel libro. I circuiti reali sono solitamente più complessi e non
presentano semplici reti di resistori. Per risolverli servono metodi più appropriati, come per
esempio l’impiego delle due leggi di Kirchhoff che sono delle applicazioni pratiche del
principio di conservazione dell’energia. Lo scopo delle leggi di Kirchhoff è quello di aiutarci a
scrivere un certo numero di equazioni per poter risolvere il circuito. Per poter risolvere il
circuito senza ambiguità ci serve almeno un’equazione per ogni incognita.
𝑉1 + 𝑉2 + 𝑉3 + ⋯ = 0
𝑙𝑜𝑜𝑝
∑ 𝑉𝑖 = 0
𝑖
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Ricettario di Elettronica
Per poter comprendere meglio il funzionamento serve un circuito elettrico formato da più
resistori. Il circuito proposto include vari anelli e la legge di Kirchhoff si applica ad ogni anello
che possiamo individuare: un po’ come una specie di sudoku! Consideriamo il circuito di
figura 1.14, formato da vari generatori e da alcune resistenze.
Figura 1.14 - Circuito formato da generatori e resistenze (1); la convenzione da utilizzare per le tensioni (2).
Prima di ragionare sul circuito dobbiamo definire una convenzione per le tensioni.
Solitamente si sceglie un senso di rotazione, come fatto in figura 1.14.2. Scelto un anello a
piacere, tutte le tensioni che saranno orientate come la convenzione scelta, saranno
considerate positive. I versi delle tensioni li scegliamo noi a piacere ma solitamente si cerca
di seguire la convenzione per generatori e bipoli passivi. Tracciando la tensione come una
freccia a cavallo dei componenti, avremo per i generatori la punta della freccia della tensione
sul morsetto positivo da cui entra la corrente, mentre per i bipoli passivi la punta della freccia
della tensione sarà in corrispondenza del morsetto da cui entra la corrente. Quando
analizziamo inizialmente un circuito non sappiamo ancora quali saranno i valori e i versi
finali delle tensioni e delle correnti e quindi ci accontenteremo di segnare le tensioni
cercando di rispettare queste regole. Scopriremo se le nostre ipotesi sono corrette solo dopo
aver completato tutti i calcoli.
Figura 1.15 – Associamo le tensioni ai componenti del circuito lungo i vari anelli.
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Paolo Aliverti
Dopo aver associato le tensioni ai vari componenti possiamo iniziare a scegliere gli anelli. Il
circuito che stiamo esaminando presenta tre anelli.
𝑉1 − 𝑉𝑅1 − 𝑉2 = 0
𝑉2 − 𝑉𝑅2 + 𝑉3 − 𝑉𝑅3 = 0
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Ricettario di Elettronica
Ora ci viene in aiuto la seconda legge di Kirchhoff, che invece riguarda le correnti e afferma
che:
la somma delle correnti entranti in un nodo è pari alla somma delle correnti uscenti.
Anche in questo caso abbiamo una conservazione di energia e tutto sembra ragionevole. La
corrente che esce da un nodo non può essere diversa da quella che vi entra. Con nodo
intendiamo un punto in cui si congiungono più terminali, provenienti da vari componenti del
circuito.
𝐼1 + 𝐼2 + 𝐼3 + ⋯ = 0
𝑛𝑜𝑑𝑒
∑ 𝐼𝑖 = 0
𝑖
Per sommare le correnti senza fare confusione è necessaria una convenzione. Possiamo
assumere che le correnti che entrano in un nodo sono sempre positive e che quelle che escono
sono negative. Possiamo quindi procedere alla stesura delle equazioni che possono essere
scritte per ogni nodo del circuito. A questo punto, è chiaro che se del nostro circuito
conosciamo tutti i valori delle resistenze e dei generatori di tensione, le incognite saranno le
correnti che scorrono nei vari rami. Le equazioni di Kirchhoff permettono di calcolare queste
correnti per ogni tipo di circuito. Note le correnti possiamo poi ricavare anche i valori di
tensione presenti su ogni ramo del circuito. Utilizzando il circuito presentato in figura 1.17
possiamo individuare due nodi: A e B e quindi scrivere le equazioni per le correnti usando la
convenzione per cui le correnti entranti nel nodo sono positive.
Figura 1.17 – Il circuito con indicate le correnti entranti e uscenti nei nodi A e B.
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Paolo Aliverti
allora significa che ho scelto correttamente il verso delle frecce che indicano le correnti sul
nodo A. Se invece mi trovassi una corrente con segno negativo:
𝑖1 = −1𝐴, 𝑖2 = 2𝐴, 𝑖3 = 1𝐴
Significherebbe che il verso che ho ipotizzato per i1 è semplicemente errato e che andrebbe
girato: i1 non è entrante ma uscente.
𝐼1 − 𝐼2 + 𝐼3 = 0
Consideriamo ora il nodo B. Osservando bene il circuito possiamo fare delle ipotesi sulle
correnti e vediamo che nel nodo B circolano le stesse correnti I 1, I2 e I3, solo con versi
differenti. Posso infatti pensare che lungo un ramo del mio circuito la corrente che esce da
una estremità sia pari a quella entra dalla parte opposta. Quindi per il nodo B:
−𝐼1 + 𝐼2 − 𝐼3 = 0
Il nostro circuito ha quindi tre incognite in totale che sono pari alle tre correnti I 1, I2 e I3. Per
determinare i loro valori devo raccogliere almeno tre equazioni. Considerato che le equazioni
per il nodo A e B sono praticamente identiche posso scrivere un sistema che usa solo tre delle
equazioni che abbiamo scritto. Scegliamo queste:
𝐼1 − 𝐼2 + 𝐼3 = 0
{ 𝑉1 − 𝑉𝑅1 − 𝑉2 = 0
𝑉2 − 𝑉𝑅2 + 𝑉3 − 𝑉𝑅3 = 0
Utilizzando la legge di Ohm posso riscrivere le ultime due equazioni sostituendo la tensione
ai capi delle resistenze e facendo apparire le correnti:
𝐼1 − 𝐼2 + 𝐼3 = 0
{ 𝑉1 − 𝐼1 𝑅1 − 𝑉2 = 0
𝑉2 − 𝐼2 𝑅2 + 𝑉3 − 𝐼3 𝑅3 = 0
Risolvendo il sistema ricavo i valori per I 1, I2 e I3 e quindi posso conoscere ogni grandezza
elettrica all’interno del mio circuito. Saper scegliere le equazioni e impostare i calcoli è cosa
importante e non bisognerebbe mai perdere l’allenamento, comunque nel lavoro quotidiano
o per avere una risposta rapida e sicura conviene affidarsi a un simulatore circuitale: li
tratteremo più avanti.
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Ricettario di Elettronica
riassumono il comportamento di tutta al rete!
I morsetti che sceglieremo, saranno quelli di nostro interesse: per esempio un punto
particolare di cui vogliamo conoscere la tensione e la corrente presenti. Spesso questi due
punti sono i terminali di un componente già presente. In questo caso dovremo rimuovere
(idealmente o realmente) il componente per poter ricavare l'equivalente di Thevenin del
rimanente circuito. Il teorema di Thevenin prevede due fasi:
• inizialmente si misura la tensione presente ai morsetti del circuito;
• in una seconda fase si eliminano i generatori sostituendoli con circuiti aperti o
cortocircuiti e si calcola la resistenza equivalente.
Consideriamo il circuito illustrato in figura 1.18 formato da una rete con vari generatori. Il
circuito non presenta veramente dei morsetti e noi siamo interessati a misurare tensione e
corrente ai capi della resistenza R X. Rimuoviamo quindi la resistenza considerandola come
un carico da collegare in seguito.
Figura 1.18 - Circuito d'esempio per calcolare l'equivalente di Thevenin. Sulla destra osserviamo il circuito a cui
è stata rimossa la resistenza R X.
Rimuovendo la resistenza, ricaviamo i due morsetti A e B (figura 1.18) a cui fa capo il resto
della rete che considereremo come una black box. Per risolvere il circuito ai morsetti A-B
dobbiamo prima di tutto procedere nel ricavare la tensione rilevabile ai morsetti. Possiamo
utilizzare Kirchhoff per ricavare la tensione presente tra A e B.
La tensione tra A e B è la tensione equivalente di Thevenin. Procediamo a calcolare la
resistenza equivalente modificando il circuito in questo modo:
• sostituendo con un cortocircuito i generatori di tensione;
• rimuovendo i generatori di corrente (sostituzione con circuito aperto).
Dopo aver sostituito i generatori presenti, possiamo calcolare il valore della resistenza
equivalente di Thevenin, cioè la resistenza visibile ai morsetti A e B.
Figura 1.19 – Risoluzione di un circuito con Thevenin: circuito modificato con i generatori di tensione
cortocircuitati.
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Paolo Aliverti
Esiste una versione “duale” del teorema di Thevenin chiamata il teorema di Norton secondo
il quale, con procedimento analogo a quello visto, è possibile ricavare una versione
equivalente di un circuito formato da resistenze e generatori di tensione e corrente con un
semplice generatore di corrente con in parallelo una resistenza equivalente. In questo caso è
necessario individuare due morsetti e ricavare la corrente che si avrebbe mettendoli in corto
circuito. Si deve poi determinare la resistenza equivalente che in questo caso si calcola
cortocircuitando i generatori di tensione e rimuovendo tutti i generatori di corrente.
Tutte le grandezze elettroniche possono essere espresse con una regola che cerca di spiegare
come queste si comportino. Queste regole sono solitamente chiamate, in matematica, con il
nome di funzioni e dovrebbe essere un concetto noto ai più. Una funzione si può pensare come
se fosse una scatola magica (o black box), che riceve un numero in ingresso e restituisce un
risultato. Il numero fornito all'ingresso, la variabile d'ingresso, è solitamente indicata con la
lettera x, mentre indichiamo il risultato con la lettera y.
Possiamo indicare una generica funzione con la scrittura seguente:
𝑦 = 𝑓 (𝑥)
Con questo termine non stiamo dicendo molto se non, che la variabile y è determinata da
qualche operazione matematica applicata alla x. Queste operazioni generiche sono indicate
dalla lettera f. Possiamo essere più precisi e cercare di descrivere il comportamento della
funzione aggiungendo, subito dopo il segno di uguale, dei termini che utilizzano la variabile
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Ricettario di Elettronica
x, chiamata anche variabile indipendente. Ecco un esempio di funzione matematica:
𝑦 = 12 ∙ 𝑥 2 + 10 ∙ 𝑥 − 8
𝑦 = 𝑓(𝑡)
dove la variabile indipendente è questa volta il tempo (t), passato come argomento alla
generica funzione f. La y è detta variabile dipendente perché il suo valore dipende dalla t, che
possiamo scegliere a nostro piacimento.
A volte le funzioni esprimono relazioni tra varie grandezze elettriche e al posto di x e y
possiamo avere correnti o tensioni. Per esempio potremmo incontrare una funzione del
genere:
𝐼𝐷 = 𝑓 (𝑉𝐺𝑆 )
In questo caso non dobbiamo farci disorientare dalla scrittura un po' meno familiare e
dobbiamo semplicemente trattare la 𝑉 come se fosse la x e 𝐼 come se fosse la y.
𝐺𝑆 𝐷
Una funzione molto particolare che si incontra spesso in elettronica è il seno (o il coseno).
Queste funzioni godono di particolari proprietà che permettono di lavorare con vari tipi di
segnali con facilità, trattandoli anche dal punto di vista matematico. Ecco l’espressione
matematica di una sinusoide:
𝑦 = 𝑠𝑖𝑛(𝑡)
Una sinusoide produce un segnale regolare e ripetitivo che possiamo tracciare su un grafico.
Figura 1.21 - Il tracciato del seno parte dall'origine e si ripete salendo e scendendo regolarmente da 1 a -1. Il
tracciato del coseno parte da 1 e si ripete salendo e scendendo regolarmente.
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Paolo Aliverti
sessagesimali1 o radianti.
I radianti sono un sistema differente per indicare un angolo. La lancetta di un orologio punta
a 0 gradi quando indica mezzogiorno; mentre ruota, arriva a 90° quando tocca le tre, per
arrivare a 180° alle ore 6, quindi a 270° alle 9 e infine 360° quando ritorna a mezzogiorno,
per poi ricominciare da 0. L'angolo completo, pari a 360° si chiama anche angolo giro.
Possiamo immaginare che il tracciato della sinusoide sia legato alla lancetta dell'orologio che
gira e mentre questa compie un giro intero del quadrante, l'onda compie un tracciato
completo da partendo da 0 e passando per 1 e -1 per poi azzerarsi.
I radianti sono un modo alternativo per indicare gli angoli, preferito dai matematici. Gli angoli
in radianti vanno da 0 a 2 2 e quindi il loro valore numerico va 0 e arriva a circa 6.28.
𝛼: 360° = 𝛼𝑟𝑎𝑑 : 2𝜋
𝛼 ∙ 2𝜋 𝜋
𝛼𝑟𝑎𝑑 = =𝛼∙
360° 180°
Per ricavare un angolo in gradi sessagesimali partendo da un angolo in radianti:
Tempi e Frequenze
Il tempo e la frequenza sono due grandezze fondamentali nello studio dell’elettronica. Tempo
e frequenza sono strettamente legati, soprattutto quando siamo in presenza di segnali o
eventi ciclici (cioè che si ripetono nel tempo). Se battiamo una bacchetta su un tamburo
quattro volte in un secondo, stiamo producendo un suono a quattro hertz. I battiti sono quindi
1 Il sistema sessagesimale per la misura dell’ampiezza degli angoli parte da 0° e arriva fino a 360°.
2 La lettera greca (PI) si usa per indicare una costante matematica pari a circa 3.14
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Ricettario di Elettronica
separati tra di loro da un tempo pari a:
1 1
𝑡𝑏 = = = 0.25𝑠
𝑓𝑏 4𝐻𝑧
1
𝑓=
𝑇
La lettera T indica il periodo, cioè la durata complessiva di un evento che si ripete. Per una
corrente alternata, il periodo è il tempo necessario perché la corrente compia un ciclo
completo, partendo da 0, arrivando al massimo, scendendo fino al valore minimo e
ritornando a 0. Possiamo parlare di periodo e quindi di frequenza per ogni segnale che si
ripete nel tempo.
Abbiamo capito che agli elettronici non piacciono molto i numeri con tante virgole o tanti zeri
e sono molto pigri… per questo preferiscono parlare di Hertz (Hz) piuttosto che di eventi che
si verificano ogni 0,00000012 s!
Le correnti continue hanno una frequenza pari a 0 Hz, perché, appunto non variano mai.
Fasori
La formula del seno usato in elettronica dipende solitamente dal tempo, utilizzato come
variabile indipendente. Possiamo per esempio esprimere una tensione che varia nel tempo
con andamento sinusoidale con una scrittura del genere:
𝑣 (𝑡) = 𝑠𝑖𝑛(𝑡)
𝑣 (𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑠𝑖𝑛(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
Questa scrittura ci permette di definire l'ampiezza del segnale che dipende dal valore di A. La
sinusoide pura oscilla tra 1 e -1, mentre in questo modo possiamo ottenere un segnale che va
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Paolo Aliverti
da A a -A. Se A fosse pari a 10, avremmo un segnale che passa da 10 a - 10 volt. Tra le parentesi
troviamo una scrittura più complicata. Concentriamoci sulla prima parte che determina la
frequenza di oscillazione dell'onda. Per poter impostare la frequenza di oscillazione e usare
il tempo come variabile serve la scrittura:
2𝜋𝑓𝑡
L'onda sinusoidale si ripete periodicamente dopo un certo periodo di tempo T. Questo tempo
è chiamato il periodo dell'onda ed è esattamente l'inverso della frequenza:
1
𝑓=
𝑇
oppure
1
𝑇=
𝑓
2𝜋 è una velocità angolare perché esprime in quanto tempo la sinusoide ritorna al punto di
𝑇
partenza e può essere espresso in angoli al secondo. Abbiamo visto che 2 è pari all'angolo
giro, cioè 360 gradi, che dividiamo per il periodo T dell'onda. Moltiplicando questa velocità
angolare per il tempo t posso conoscere a che punto si trova la mia sinusoide, immaginando
che sia "tracciata" da una lancetta che gira all'interno di un quadrante di orologio.
L'ultimo parametro della nostra sinusoide è la fase ( )3 che serve nel caso si voglia far partire
l'onda da un punto diverso da 0.
Quando si studiano dei circuiti in cui circolano delle correnti sinusoidali può far comodo
utilizzare una descrizione alternativa e più pratica per svolgere i calcoli che non trattare
direttamente con le sinusoidi. Applicando un segnale di una certa frequenza a un circuito
composto da componenti comuni (resistenze, induttanze, condensatori), tutte le grandezze
elettriche presenti varieranno con la stessa pulsazione (alla stessa frequenza). Posso allora
semplificare le cose e tenere solo l'indispensabile. Considero un’onda cosinusoidale
𝑣(𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
𝐴, 𝜑
𝑽 = 𝐴¬𝜑
poiché la frequenza sarà la stessa per tutto il circuito. Questi due numeri esprimono una
ampiezza e un angolo e posso disegnarle su un grafico. Siamo abituati a usare grafici
cartesiani, dove le coordinate sono indicate su due assi perpendicolari tra di loro. Un modo
alternativo di indicare un punto è tramite le coordinate polari che specificano, al posto della
x e dalla y, la distanza del punto dall'origine e l'angolo di inclinazione rispetto a un asse di
riferimento.
𝑃 = (𝑎, 𝑏)
𝑃 = (𝐴, 𝜑)
Numeri complessi
I matematici e gli ingegneri che hanno per primi studiato questi segnali hanno preferito
utilizzare una versione molto più cool del semplice spazio cartesiano formato da due
coordinate x e y, adottando quelli che si chiamano numeri complessi (o immaginari), che
permettono di combinare insieme x e y in un solo numero (mi si perdoni la definizione poco
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accurata e un po' folkloristica). Possiamo quindi indicare lo stesso punto P usando questa
forma:
𝑃 = 𝑎 + 𝑖𝑏
2
√4 = 2
La radice quadrata di un numero y è un numero x tale che il suo quadrato, cioè x moltiplicato
per sé stesso, sia pari a y. Sappiamo calcolare la radice quadrata di ogni numero positivo, ma
cosa accade se cerchiamo di estrarre la radice quadrata di -1? Ci hanno insegnato che non è
possibile e la calcolatrice va in errore, ma i matematici, ostinati, hanno cercato un modo per
risolvere anche questo problema. Qual è quel numero che moltiplicato per sé stesso ha come
risultato -1?
𝑛 ∙ 𝑛 = −1
2
√−1 =?
Questo numero così particolare è proprio la i, l’unità immaginaria, infatti possiamo scrivere:
𝑖 ∙ 𝑖 = −1
E quindi anche:
2
√−1 = 𝑖
𝑧 = 𝑎 + 𝑖𝑏
Possiamo tracciare su un grafico cartesiano questo numero come se fosse un comune punto
con una ascissa (la x) pari ad a e una ordinata (la y) pari a b.
Possiamo trasformare un numero immaginario in una sua rappresentazione polare: il punto
sul piano è il medesimo ma lo specifichiamo non con due coordinate, ma con un angolo e una
distanza. Anche in questo caso non avremo due numeri slegati ma possiamo scrivere il tutto
in una forma più compatta (non fatevi intimorire dall’esponenziale!):
𝑃 = 𝐴 ∙ 𝑒 𝑖𝜑
A è pari alla lunghezza del segmento che unisce l'origine con il punto, mentre è
l'inclinazione del segmento rispetto all'asse orizzontale.
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Ricettario di Elettronica
Figura 1.25 - Il punto P rappresentato nel piano immaginario, in coordinate cartesiane e polari.
Siamo partiti da una sinusoide per arrivare a una sua rappresentazione particolare che tiene
conto solo delle sue componenti fondamentali: ampiezza e fase. Possiamo quindi dire che:
𝐴 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
è equivalente a:
𝐴 ∙ 𝑒 𝑖𝜑
Questa ultima scrittura si può chiamare fasore e quando si tratta con le correnti alternate
semplifica molto i calcoli. Posso inoltre passare da una sinusoide in forma classica a un fasore
e viceversa. Per usanza però quando si lavora con i fasori non si considera l'ampiezza
originaria dell'onda sinusoidale ma si divide il suo valore per la radice quadrata di 2 perché
così lavoro con il valore efficace della sinusoide.
Il valore efficace si può definire per ogni grandezza periodica e ha a che fare con i valori medi.
Se consideriamo una sinusoide e la osserviamo per un periodo, questa avrà una zona tutta
positiva e una, identica, negativa. Il suo valore medio è quindi pari a 0 perché l'onda è tanto
tempo positiva così per quanto è negativa! Sembrerebbe quindi che un’onda sinusoidale non
sia in grado di combinare nulla se alla fine ha un valore medio pari a 0!
Sappiamo bene che non è così, altrimenti nelle nostre case non avremmo la corrente
alternata, per questo si utilizza il valore efficace o RMS (Root Mean Square) perché è pari al
valore della corrente continua che produrrebbe la stessa dissipazione di potenza (media) su
un carico resistivo. Per calcolare il valore efficace di un’onda sinusoidale serve calcolare l'area
della sinusoide al quadrato, divisa per il suo periodo e il tutto sotto radice quadrata. Il calcolo
fornisce un risultato molto semplice e familiare a tutti gli elettronici:
𝑉𝑚𝑎𝑥
𝑉𝑒𝑓𝑓 =
√2
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𝑛 ∙ 𝑠𝑖𝑛(𝑡) → 𝑛 ∙ 𝐴1
Somma di fasori
Se abbiamo due grandezze sinusoidali s1 e s2, possiamo sommarle, ottenendo:
𝑨𝟑 = 𝑨𝟏 + 𝑨𝟐
Derivata di un fasore
A volte, quando studiamo un segnale, siamo interessati, oltre al suo andamento, anche alla
sua variazione nel tempo. Se ho un segnale descritto dalla funzione 𝑠 (𝑡), potrei essere
1
interessato a studiare quanto rapidamente cambia il segnale nel tempo, il che corrisponde a
considerare la pendenza della curva. In molte formule elettroniche è necessario calcolare
questo tipo di "variazioni". Per esempio studiano i condensatori si trova che la corrente che
li attraversa è proporzionale alla variazione nel tempo della tensione sulle armature. La
variazione della tensione nel tempo è equiparabile alla pendenza della curva. Quando
vogliamo misurare la pendenza di una strada misuriamo di quanto sale lungo una certa
distanza. Rapportando le due misure possiamo determinare la pendenza, eventualmente
esprimibile in percentuale. Quando guidando incontriamo un cartello stradale che indica che
la pendenza della strada è del 10%, significa che la strada salirà di 10 metri ogni 100 metri
che percorriamo.
Figura 1.26 - Cartello stradale che indica una pendenza del 10% e grafico per il calcolo della pendenza.
Per misurare la pendenza dobbiamo misurare due intervalli, uno lungo l'asse x e uno lungo
l'asse y. Questi intervalli sono anche chiamati "delta" e si scrivono così:
∆𝑡 = 𝑡2 − 𝑡1
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Il “delta t” si calcola come la differenza tra il tempo t 2 e il tempo t1. Solitamente il tempo t2 è
successivo a t1, ma non è necessario (se fossero invertiti avremmo un delta negativo).
Possiamo immaginare di prendere un intervallo molto piccolo, riducendo il più possibile la
distanza tra i due punti che lo definiscono. Possiamo immaginare di ridurre la distanza fino a
zero. In matematica questa operazione equivale a calcolare il limite, portando la distanza tra
due punti idealmente a 0. In questa condizione cambia anche il modo di scrivere il delta che
è praticamente infinitesimale. Scriveremo allora:
𝑑𝑡
Per indicare che stiamo derivando una funzione rispetto a una delle sue variabili, per esempio
una funzione che dipende dal tempo t (perché siamo interessati alla sua pendenza rispetto al
tempo che scorre), scriveremo:
𝑑𝑓
𝑑𝑡
Per calcolare la derivata di una funzione qualsiasi servono un po’ di conoscenze di analisi
matematica. Il procedimento non è complesso ed è necessario ricordare alcune semplici
regole che demanderemo a un libro di matematica. Per ora è sufficiente aver compreso (o
ricordato) che la derivata di una funzione equivale a calcolare una nuova funzione che
rappresenta la pendenza della funzione di partenza punto per punto.
𝑠1 (𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
𝑑𝑠1 (𝑡)
𝑠2 (𝑡) = = −2𝜋𝑓 ∙ 𝐴 ∙ 𝑠𝑖𝑛(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
𝑑𝑡
L’espressione 2 ft si scrive anche come (la velocità angolare), quindi abbiamo:
𝑠2 (𝑡) = − ∙ 𝐴 ∙ 𝑠𝑖𝑛(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
𝑨𝟐 = 𝑖𝜔𝑨𝟏
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Considerato che i fasori sono caratterizzati da una distanza e un angolo, si possono tracciare
graficamente. Il risultato che abbiamo ottenuto corrisponde a ruotare il fasore di 90°. Questa
informazione ci servirà più avanti quando applicheremo la sinusoide a componenti
elettronici come condensatori e induttanze.
𝑉1 (𝑡) = 𝑉 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡)
La corrente che circola nel circuito si può determinare usando, semplicemente la legge di
Ohm:
𝑉 (𝑡) 𝑉 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡) 𝑉
𝐼 (𝑡) = = = ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡)
𝑅 𝑅 𝑅
Osserviamo che sia l’espressione del voltaggio, sia quella della corrente hanno la stessa
“forma”, entrambe sono dei coseni, con la stessa frequenza: cambia solo la loro ampiezza.
Abbiamo quindi due semplici onde “sincronizzate”, cioè in fase tra di loro. La resistenza non
modifica il segnale sinusoidale e non introduce sfasamenti. Possiamo scrivere le equazioni
anche usando i fasori. La legge di Ohm prende questa forma:
𝑽
𝐈=𝑹
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infatti il condensatore permette il passaggio solo di correnti variabili nel tempo, mentre
blocca quelle continue.
Quando applichiamo una tensione continua, sulle due placche si forma una distribuzione di
cariche elettriche, positive su una armatura e negative sull’altra. Questa distribuzione di
cariche origina un campo elettrico stabile. La corrente riesce a scorrere da una parte all’altra
fino a che le due distribuzioni non sono equilibrate. A regime, quando le quantità di carica si
eguagliano, nessuna corrente può fluire. La quantità di carica presente sulle armature di un
condensatore è proporzionale alla differenza di potenziale applicata. La costante che indica
questa proporzione è detta capacità ed è indicata con la lettera C.
𝑄 = 𝐶 ∙𝑉
La capacità è una grandezza simile alla resistenza, infatti caratterizza il condensatore e indica
la sua capacità di immagazzinare cariche elettriche, inoltre è un numero sempre positivo. La
capacità di un condensatore si misura in farad e in sottomultipli di farad.
Figura 1.28– Simboli di condensatori, polarizzati e non e rappresentazione grafica delle armature cariche.
Abbiamo visto, all’inizio del capitolo che la corrente può essere espressa come la variazione
di carica nel tempo. Nella prima scrittura abbiamo usato i delta. Ovviamente la formula si può
scrivere come una derivata e quindi sarà:
𝑑𝑄
𝑖=
𝑑𝑡
Ricordiamoci che questa scrittura significa che siamo interessati a conoscere l’andamento
delle variazioni di carica nel tempo. Proviamo a applicare la derivata all’equazione che
descrive la relazione tra carica e tensione su un condensatore:
𝑑𝑄 𝑑𝑉
=𝐶∙
𝑑𝑡 𝑑𝑡
Il primo termine è proprio la corrente, quindi sostituendolo, abbiamo:
𝑑𝑉
𝑖=𝐶∙
𝑑𝑡
30
Paolo Aliverti
Possiamo analizzare la formula anche con i fasori. Immaginiamo di applicare una tensione
sinusoidale al condensatore:
𝑉(𝑡) = 𝑉 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
𝐈 = 𝑖 ∙ 2𝜋𝑓 ∙ 𝐶 ∙ 𝐕
La tensione applicata varia continuamente e quindi nel condensatore scorrerà una corrente
e questo potrebbe comportarsi in modo simile a un resistore. A differenza di un resistore, un
condensatore non dissipa energia ma agisce sfasando tra di loro la tensione e la corrente
applicate. Possiamo quindi descriverlo come un rapporto tra tensione e corrente che si
chiamerà reattanza e si misura in ohm. Solitamente la reattanza è indicata con la lettera X.
La reattanza del condensatore è pari a:
1
𝑋𝑐 =
2𝜋𝑓𝐶
La reattanza dipende dalla frequenza e quando la frequenza è molto alta avremo un numero
molto basso che salirà man mano che la frequenza diminuisce. Quando la frequenza è pari a
0, il valore di induttanza è infinito. Per questo i condensatori lasciano passare i segnali
variabili ma non quelli continui.
31
Ricettario di Elettronica
Figura 1.30 – Andamento della reattanza di un condensatore al variare della frequenza del segnale applicato.
𝑑𝐼
𝑉=𝐿∙
𝑑𝑡
La tensione ai capi dell’induttore è legata alle variazioni di corrente tramite il valore
dell’induttanza (L). L’induttanza si misura in henry e sottomultipli di henry.
L’induttanza è una grandezza simile alla resistenza, infatti caratterizza l’induttore e indica la
sua capacità di immagazzinare energia elettromagnetica. L è un numero sempre positivo.
32
Paolo Aliverti
Figura 1.31 – Simbolo di un induttore e rappresentazione grafica della bobina con il campo elettrico.
𝐼 (𝑡) = 𝐼 ∙ 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜑)
𝐕 = 𝑖 ∙ 2𝜋𝑓 ∙ 𝐿 ∙ 𝐈
La formula mi dice che il fasore I, applicato all’induttore produrrà un fasore V, sfasato di 90°.
Possiamo accorgerci di questa proprietà degli induttori anche tracciando su un grafico
l’andamento di 𝐼 (𝑡) e provando a calcolare graficamente la sua derivata come abbiamo fatto
per il caso del condensatore. Possiamo osservare che la curva della tensione è sfasata di 90°
(in ritardo) rispetto alla corrente.
La tensione applicata varia continuamente e quindi nell’induttore scorrerà una corrente che
troverà difficoltà a circolare perché questo si comporta in modo simile a un resistore. A
differenza di un resistore, un induttore non dissipa energia ma agisce sfasando tra di loro la
tensione e la corrente applicate. Possiamo quindi descriverlo come un rapporto tra tensione
e corrente che si chiamerà reattanza e si misura in ohm. Solitamente la reattanza è indicata
con la lettera X. La reattanza dell’induttore è pari a:
𝑋𝐿 = 2𝜋𝑓𝐿
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Ricettario di Elettronica
La reattanza dipende direttamente dalla frequenza: all’aumentare del suo valore aumenterà
anche il suo valore per essere zero in presenza di corrente continua. Per questo gli induttori
lasciano passare i segnali continui e ostacolano quelli variabili.
Figura 1.33 – Andamento della reattanza di un induttore al variare della frequenza del segnale applicato.
Impedenza
Quando una corrente alternata circola in un circuito elettrico, può subire una certa resistenza
al suo fluire, così come accade per una corrente continua. In questi casi non parliamo di
semplice resistenza ma di impedenza (Z), che è sempre misurata in ohm ma è un numero
complesso, il che significa che è formato da due componenti, come se fosse una specie di
coordinata.
A differenza del caso continuo dove solo i resistori si oppongono al passaggio della corrente,
per la corrente alternata o comunque variabile, anche altri bipoli possono influire. Come
abbiamo visto condensatori e induttanze hanno un comportamento che varia con la
frequenza del segnale. In particolare offrono una resistenza maggiore o minore a seconda
della frequenza che li attraversa. Questi bipoli, oltre a offrire resistenza al passaggio della
corrente, agiscono anche modificando la fase tra le componenti di tensione e corrente.
L’impedenza è quindi una generalizzazione della legge di ohm e possiamo scriverla come un
rapporto tra la componente di tensione e corrente (espresse come fasori):
𝐕
Z=
𝐈
Come abbiamo visto, un fasore è un numero complesso, cioè un numero formato da due
componenti che possono essere tracciate su due dimensioni. L’impedenza può quindi essere
scritta:
𝑍 = 𝑅 + 𝑖𝑋
34
Paolo Aliverti
1
𝑌=
𝑍
Possiamo realizzare dei circuiti formati da bipoli caratterizzati da un valore di impedenza che
dipende dalla frequenza a cui lavora il circuito. I bipoli possono essere combinati in serie e
parallelo, come accade per le semplici resistenze. Nel caso di bipoli in serie, l’impedenza
risultante sarà pari alla somma delle impedenze dei singoli componenti:
𝑍𝑡𝑜𝑡 = 𝑍1 + 𝑍2 + 𝑍3 + ⋯ = ∑ 𝑍𝑖
𝑖=1
Più bipoli in parallelo hanno una ammettenza pari alla somma delle ammettenze dei singoli
bipoli:
𝑌𝑡𝑜𝑡 = 𝑌1 + 𝑌2 + 𝑌3 + ⋯ = ∑ 𝑌𝑖
𝑖=1
Possiamo anche riscrivere il tutto in una forma più familiare, dicendo che l’inverso
dell’impedenza di più bipoli in parallelo è pari alla somma degli inversi delle singole
impedenze:
𝑁
1 1 1 1 1
= + + +⋯=∑
𝑍𝑡𝑜𝑡 𝑍1 𝑍2 𝑍3 𝑍𝑖
𝑖=1
𝑉𝐴 = 𝑉𝑒𝑓𝑓 ⋅ 𝐼𝑒𝑓𝑓
Per indicare la potenza apparente non utilizzeremo la lettera P ma la sigla VA e non si misura
in watt perché avrebbe poco senso, ma in VA (voltampere).
Immaginiamo di avere un circuito formato da un generatore di tensione sinusoidale collegato
a una impedenza. Il generatore ha una tensione efficace che indichiamo con V eff o VRMS che è
pari alla tensione di picco divisa per la radice quadrata di 2. Siamo abituati a esprimere la
tensione alternata utilizzando il suo valore efficace. Per esempio sappiamo che tensione di
rete che arriva nelle nostre case ha un valore di 230 volt che è pari alla tensione efficace (o
RMS), mentre il suo valore di picco è di circa 325 volt.
L'impedenza collegata al generatore la possiamo esprimere con un numero complesso Z:
𝑍 = 𝑅 + 𝑗𝑋
Questo numero ha una componente R, chiamata reale, che corrisponde alle componenti
resistive presenti nel circuito e una componente X, chiamata reattiva che tiene in
considerazione gli effetti energetici imputabili a bobine e condensatori presenti all'interno
del circuito. Le componenti resistive dissiperanno una potenza reale espressa in watt:
2
𝑃𝑅 = 𝐼𝑒𝑓𝑓 ⋅𝑅
Per le componenti reattive parleremo di potenza reattiva che sarà indicata con il termine
VAR e misurata in VA (voltampere):
2
𝑉𝐴𝑅 = 𝐼𝑒𝑓𝑓 ⋅𝑋
Potrebbe venirci in mente di sommare le due potenze per riottenere la potenza apparente ma
commetteremmo un errore.
𝑃𝑅 + 𝑉𝐴𝑅 ≠ 𝑉𝐴
Infatti dovremmo tenere conto della fase che hanno le singole componenti per poterle
combinare in modo corretto.
Un altro parametro importante che possiamo incontrare in questo tipo di circuiti è il fattore
di potenza (power factor) con cui si indica quanto sono bilanciate o sbilanciate le potenze
reattive e resistive in un circuito. L'espressione è molto semplice è si esprime solitamente in
percentuale:
𝑃𝑅
𝑃𝐹 =
𝑉𝐴
Al numeratore troviamo la potenza resistiva mentre al denominatore abbiamo la potenza
apparente.
Decibel
I decibel si usano per indicare in modo agevole il rapporto tra due grandezze che possono
essere molto differenti. A seconda del tipo di grandezze che si stanno confrontando, si
utilizzano due diverse formule: ne esiste una per confrontare grandezze come semplici
36
Paolo Aliverti
tensioni e una per confrontare le potenze. Per eseguire il calcolo è necessario utilizzare un
logaritmo in base dieci, senza approfondire la cosa, potete trovare la funzione in una
calcolatrice scientifica o in un foglio di calcolo. Il logaritmo è un operatore che appiattisce i
numeri e aiuta i confronti quando stiamo comparando numeri grandissimi con numeri
piccolissimi. La formula per le tensioni è:
𝑉2
𝑑𝐵 = 20 ∙ 𝑙𝑜𝑔10 ( )
𝑉1
𝑉2
𝑑𝐵 = 10 ∙ 𝑙𝑜𝑔10 ( )
𝑉1
37
Ricettario di Elettronica
38
Paolo Aliverti
Le resistenze al 5% si riconoscono perché hanno quattro bande colorate e una delle strisce,
quella posta a un’estremità, è di colore dorato. Per leggere la resistenza teniamo la banda
dorata alla nostra destra e poi leggiamo le bande partendo da sinistra verso destra usando la
tabella dei colori visibile in figura 1 e riportati in tabella 2.1.
Figura 2.2 – leggiamo le bande del resistore e annotiamo su di un foglio il codice corrispondente a ogni colore.
• Cancelliamo la terza cifra e sostituiamola con un numero di zeri pari al valore della
cifra. Eliminiamo il numero «4» e scriviamo al suo posto quattro zeri: «0 0 0 0»;
Al posto di scrivere 100.000 Ω gli elettronici preferiscono però usare «100 kΩ». I numeri fino
a 999 si scrivono senza abbreviazioni. I numeri sopra alle migliaia si scrivono con una "k" che
sta per kilo:
1k Ω = 1.000 Ω
10k Ω = 10.000 Ω
100k Ω = 100.000 Ω.
40
Paolo Aliverti
2k2 = 2.200 Ω
4k7 = 47.000 Ω
3M3 = 3.300.000 Ω
Le resistenze al 5% sono prodotte solo in una serie limitata di valori. I valori ammessi
rispettano questa scaletta: 1, 1.2, 1.5, 1.8, 2.2, 2.7, 3.3, 3.9, 4.7, 5.6, 6.8, 8.2, 10. Non troveremo
mai una resistenza da 20 Ω, ma da 22 Ω o da 18 Ω. Non esistono componenti da 500 kΩ, ma
da 470 kΩ o da 560 kΩ.
Proviamo a leggere alcune resistenze con quattro serie di bande come riportato in figura 2.4.
Il primo resistore ha le bande di colore: marrone, nero, nero, oro. Il suo valore è quindi di 10
ohm. La seconda resistenza ha le bande di colore: giallo, viola, arancione e oro. Il suo valore è
di 47k ohm. La terza resistenza ha le bande di colore marrone, nero, oro e oro. Avremo quindi
1, 0 e quindi 10 da moltiplicare per il moltiplicatore “oro” che è pari a 0,1: otterremo quindi
1 ohm. L’ultima resistenza ha le bande di colore rosso, rosso, argento e oro. Ricordandoci che
la banda argento corrisponde a un moltiplicatore pari a 0,01 otterremo un valore di 0,22 ohm.
Figura 2.4 – Alcuni resistori al 5%: (1) 10 ohm, (2), 47k ohm, (3) 1 ohm, (4) 0,22 ohm.
Esistono resistori più precisi di quelli al 5% e la loro interpretazione è del tutto simile come
procedimento. Anche questi modelli riportano delle bande sul loro corpo che però sono
cinque e non quattro, potendo specificare valori più precisi. Il metodo di lettura è identico: la
cifra è composta leggendo le prime quattro bande e trattando la quarta come “moltiplicatore”.
La quinta banda indica la precisione e per le resistenze all’1% è di colore marrone, mentre
per quelle al 2% è di colore rosso. In figura 2.5 potete osservare due resistori con cinque
bande. Il primo dei due ha le bande di colore: marrone, rosso, nero, rosso e marrone. Per le
prime quattro bande, traduciamo i colori in numeri, ottenendo: 1202. Sostituiamo l’ultimo
numero, il 2, con due zeri, ottenendo: 12000 e quindi 12k ohm all’1% perché l’ultima banda
è di colore marrone. Per la seconda resistenza abbiamo i colori: bianco, marrone, nero, rosso,
rosso. L’ultima banda è di colore rosso e quindi la resistenza è al 2%. Le altre bande si
traducono nel numero: 9102. Sostituiamo l’ultima cifra con due “zeri” ed otteniamo: 91000,
cioè 91k ohm.
41
Ricettario di Elettronica
Figura 2.6 – Resistori di potenza: (1) 1.2 ohm e 10 watt, (2) 100 ohm e 5W.
L’altra tipologia di resistenze sono quelle a forma rettangolare, molto più semplici da saldare
sui circuiti stampati ma molto più piccole. Queste resistenze hanno la forma di una piccola
piastrella di colore nero e riportano delle scritte facilmente interpretabili che indicano il
valore della resistenza. Le dimensioni di questo tipo di resistenze sono espresse in frazioni di
pollici. I formati utilizzati sono: 0201, 0402, 0603, 0805, 1206, 1210, 1218, 2010, 2512. Uno
dei formati più usati è il “0603” che corrisponde a una resistenza da 0,06 x 0,03 pollici.
Le resistenze SMD usano un sistema di marcatura simile a quello delle resistenze a filo e sul
loro corpo dalle dimensioni molto minute troverete stampigliato direttamente il valore con
3 o 4 cifre. A seconda del caso potrete leggere scritte come la seguente: 223. La lettura è simile
all’interpretazione delle bande colorate, infatti l’ultima cifra è il moltiplicatore e per ottenere
il valore del componente dovrete semplicemente sostituirla con il corrispondete numero di
“zeri”: 223 diventerà quindi: 22000 e quindi 22k .
Ecco altri esempi:
• 102 pari a 1k ;
• 103 pari a 10k ;
• 2202 (a quattro cifre) pari a 22k ;
• 1R0 pari a 1 ;
• R10 pari a 0,10 ;
• 0 pari a 0 , usata di solito come jumper per saltare delle piste.
La lettera R è utilizzata al posto della virgola, per avere una maggiore leggibilità. Le resistenze
con valore sotto a 10 non hanno un moltiplicatore.
In alcuni casi si potrebbero incontrare delle sigle formate da numeri e una lettera. Questa
marcatura segue uno standard chiamato EIA-96 e per interpretare il valore è necessario
utilizzare una tabella di conversione. Le prime due cifre indicano il valore mentre la lettera
finale è il moltiplicatore.
Tabella 2.2 – I codici EIA-96 per la marcatura delle resistenze SMD
Codice valore Codice valore Codice valore Codice valore Codice valore Codice valore
01 100 17 147 33 215 49 316 65 464 81 681
02 102 18 150 34 221 50 324 66 475 82 698
03 105 19 154 35 226 51 332 67 487 83 715
04 107 20 158 36 232 52 340 68 499 84 732
05 110 21 162 37 237 53 348 69 511 85 750
06 113 22 165 38 243 54 357 70 523 86 768
07 115 23 169 39 249 55 365 71 536 87 787
08 118 24 174 40 255 56 374 72 549 88 806
09 121 25 178 41 261 57 383 73 562 89 825
43
Ricettario di Elettronica
Utilizzando le tabelle 2.2 e 2.3 è possibile interpretare il valore riportato sul corpo della
resistenza. Se leggessimo il codice “01A”, dovremmo prima cercare nella tabella 2.2 il valore
corrispondente alla posizione 01 (in questo caso 100) e poi cercare il moltiplicatore A
all’interno della tabella 2.3. La resistenza avrà quindi un valore pari a: 100 x 1 = 100 .
Ecco qualche altro esempio:
• 66X che si legge 475 x 0.1 = 47.5 ;
• 85Z che si legge 750 x 0.001 = 0.75 ;
• 36H che si legge 232 x 10 = 2320 , cioè 2,32K .
Figura 2.8 – Resistori SMD: (1) componente SMD 0603 da 1k ohm (2) alcuni esempi di marcatura dei valori a 3
e 4 cifre e con sistema EIA-96.
Figura 2.10 – Scegliete la portata adatta e nel caso la resistenza sia ignota partite da quella più alta per poi
scendere.
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Ricettario di Elettronica
Figura 2.11 – Toccate con i puntali il componente da misurare. In questa foto per avere un contatto più stabile
utilizzo delle sonde a coccodrillo.
Potete ricavare il valore di una resistenza anche in modo operativo, senza misurarla
direttamente, ma rilevando la corrente che la attraversa e la tensione ai suoi capi. Utilizzate
quindi la legge di ohm per ricavare il suo valore.
𝑉𝑚𝑖𝑠𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎
𝑅=
𝐼𝑚𝑖𝑠𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎
12𝑉
𝑅= = 1200𝛺
10𝑚𝐴
Iniziamo a combinare alcuni resistori tra di loro, collegandoli in serie. Utilizzeremo tre
resistori del valore di: 220 , 1.2 k e 4.7K (figura 2.12.1). Per ottenere la resistenza totale,
sarà sufficiente sommare i tre valori:
Collegando le resistenze in serie la corrente che entra nella prima, attraverserà tutte le altre.
Vediamo come calcolare il valore risultante per tre resistenze in parallelo da: 10 , 470 e
1000 (figura 2.12.2). Applicando la formula che utilizza l’inverso del valore abbiamo:
1 1 1 1 1 1 1 4847
= + + = + + =
𝑅𝑡𝑜𝑡 𝑅1 𝑅2 𝑅3 10 470 1000 47000
47000
𝑅𝑡𝑜𝑡 = = 9.697𝛺
4847
Se le resistenze sono due, dello stesso valore, il calcolo è immediato perché è pari alla metà
del valore di una singola resistenza. Prendiamo due resistori da 1000 in parallelo:
1 1 1 𝑅2 + 𝑅1
= + =
𝑅𝑡𝑜𝑡 𝑅1 𝑅2 𝑅1 ∙ 𝑅2
𝑅1 ∙ 𝑅2
𝑅𝑡𝑜𝑡 =
𝑅1 + 𝑅2
Se R1 è uguale a R2 il valore risultante è pari alla meta del valore di una delle due resistenze
47
Ricettario di Elettronica
(figura 2.12.3):
𝑅 1000𝛺
𝑅𝑡𝑜𝑡 = = = 500𝛺
2 2
Proviamo ad osservare come cambia il valore della resistenza equivalente al variare del
valore delle due resistenze. Se calcoliamo il parallelo di due resistori del valore di 1000 e
2200 abbiamo:
𝑅1 ∙ 𝑅2 10 ∙ 10000 100000
𝑅𝑡𝑜𝑡 = = = = 9.99𝛺
𝑅1 + 𝑅2 10 + 10000 10010
Si può vedere che più è alta la differenza tra i due valori e più predomina il valore della
resistenza di basso valore. Potremmo immaginare che avendo due vie da percorrere, la
corrente scelga sempre quella in cui fa meno fatica e quindi preferisca sempre la resistenza
con il valore più basso.
A volte può servire una resistenza con un valore inesistente. Conoscendo il valore della R tot
48
Paolo Aliverti
desiderata e fissando una o più delle altre resistenze, vediamo come ricavare il valore della
resistenza mancante. Utilizziamo solo due resistenze, anche se è facile estendere il
ragionamento a più di due componenti.
𝑅𝑡𝑜𝑡 = 𝑅1 + 𝑅2
Note Rtot e R1, ricaviamo R2:
𝑅2 = 𝑅𝑡𝑜𝑡 − 𝑅1
La resistenza da utilizzare avrà un valore pari a 180 . Se non dovesse esistere, si sceglierà il
valore più prossimo.
𝑅1 ∙ 𝑅2
𝑅𝑡𝑜𝑡 =
𝑅1 + 𝑅2
(𝑅1 + 𝑅2 ) ∙ 𝑅𝑡𝑜𝑡 = 𝑅1 ∙ 𝑅2
𝑅1 ∙ 𝑅𝑡𝑜𝑡 + 𝑅2 ∙ 𝑅𝑡𝑜𝑡 = 𝑅1 ∙ 𝑅2
Supponiamo che Rtot sia da 500 e R2 valga 1200 . R1 si calcolerà sostituendo nella formula:
Come accennato, un motivo per utilizzare delle resistenze in serie invece che una sola
resistenza può trovarsi in ottimizzazioni di costo eseguite da un progettista. Su molti
elettrodomestici si rileva la tensione di rete utilizzando un partitore collegato direttamente
alla tensione di rete raddrizzata. Per abbassare la tensione da 300 fino a pochi volt dovremmo
usare una resistenza del valore di qualche chilo ohm. Anche se la corrente che circola nel
partitore è bassa, l’alto valore della resistenza fa si che la potenza da dissipare possa essere
notevole. Considerato che la potenza dissipata da una resistenza si può scrivere nella forma:
𝑃𝑑𝑖𝑠𝑠𝑖𝑝𝑎𝑡𝑎 = 𝑖 2 ∙ 𝑅
Possiamo osservare che dipende direttamente dal valore di R. Quindi se potessimo ridurre R
49
Ricettario di Elettronica
riusciremmo a utilizzare resistenze con una potenza nominale minore che solitamente sono
più economiche.
Immaginiamo un caso reale in cui abbiamo due resistenze collegate in serie a una linea a 300
volt (figura 2.13). Abbiamo una resistenza collegata a massa che deve avere ai suoi capi 10
volt. Per ridurre i 300 volt dobbiamo collegare una resistenza in serie alla prima. Sulla
seconda resistenza troveremo quindi 290 volt. Per calcolare quanta potenza dovrà dissipare
è necessario ricavare la corrente che possiamo ricavare osservando la prima resistenza che
vale 1K ed ha ai suoi capi 10 volt. Per la legge di ohm troviamo quindi:
𝑉 10𝑉
𝑖= = = 0.01𝐴 = 10𝑚𝐴
𝑅 1𝐾𝛺
Conoscendo la corrente che attraversa le due resistenze possiamo determinare il valore per
RX:
290𝑉
𝑅𝑋 = = 29000𝛺
10𝑚𝐴
La potenza che dovrà dissipare la resistenza R X sarà pari a:
Quindi affinché il circuito non si danneggi dovremo utilizzare una resistenza da almeno 3
watt, componente sicuramente più costoso di una semplice resistenza. Se al posto di una sola
resistenza ne mettessimo tre da 10K in serie (approssimando il valore di 29k per
semplicità), la potenza dissipata da ogni singola resistenza sarebbe minore e potremmo usare
componenti più modesti:
Con sei resistenze da 4.7K la potenza su ogni resistenza sarebbe ancora più bassa e
potremmo usare di componenti da mezzo watt:
50
Paolo Aliverti
Figura 2.13 – Considerazioni energetiche sulla riduzione della tensione da 300 a 10 volt con una singola
resistenza.
Figura 2.14 – In una serie di resistori, si deve tenere in considerazione il componente che può sopportare la
potenza più bassa.
Figura 2.15 – In un parallelo di resistori, si deve tener in considerazione il componente che può sopportare la
potenza più bassa, valutando la corrente che circola su ogni ramo (o la tensione applicata).
𝑡𝑠𝑖𝑛𝑔𝑜𝑙𝑎
𝑡𝑐𝑜𝑚𝑝𝑙𝑒𝑠𝑠𝑖𝑣𝑎 =
√𝑛
Per due resistori al 5%, in serie o parallelo abbiamo quindi:
5
𝑡𝑡𝑜𝑡 = % = 3.53%
√2
La formula considera un caso particolare in cui tutti i componenti abbiano lo stesso valore.
Possiamo utilizzare una semplificazione considerando che la tolleranza complessiva sarà
almeno pari a quella dei singoli componenti.
52
Paolo Aliverti
A seconda della rete da affrontare è possibile iniziare in un punto a nostra scelta, ma a volte
non abbiamo possibilità e il procedimento da seguire è obbligato. Questo dipende da come la
rete è stata realizzata. Per procedere è necessario:
• individuare le configurazioni in parallelo e in serie che possiamo semplificare;
• calcolare il valore della resistenza equivalente serie o equivalente parallelo;
• sostituire la resistenza equivalente alle due di partenza;
• ridisegnare la rete con la nuova resistenza;
• analizzare di nuovo la rete alla ricerca di altre configurazioni di base.
Il procedimento si ripete fino a ottenere un solo resistore.
Nella rete di figura 2.16 inizieremo dal parallelo di R7 e R8, anche se sarebbe stato possibile
considerare il parallelo di R2 e R3. Il risultato finale è ovviamente il medesimo,
53
Ricettario di Elettronica
indipendentemente dal percorso scelto. Per semplicità tutti i resistori hanno un valore pari a
100 . Calcolando il parallelo di R7 e R8 ricaviamo il valore:
Possiamo proseguire calcolando la resistenza equivalente del parallelo tra R678 e R5:
𝑅 ∙𝑅 100∙160 16000
𝑅345678 = 𝑅 3+𝑅45678 = 100+160 = = 61.54𝛺
3 45678 260
54
Paolo Aliverti
Figura 2.17 – Un circuito che non è immediatamente risolvibile con le configurazioni in serie e parallelo.
Per poter risolvere questo tipo di circuiti serve un piccolo trucco, infatti non ci è possibile
considerare in serie o parallelo nessuna delle resistenze presenti senza un piccolo aiuto. Il
sistema da adottare è quello di provare a individuare all’interno della rete una configurazione
a triangolo o a stella e di convertirla nel suo opposto. Quindi cercheremo un triangolo e lo
trasformeremo nel suo equivalente a stella, oppure cercheremo una stella e la trasformeremo
nel suo equivalente a triangolo.
Figura 2.18 – Individuiamo una configurazione a triangolo e trasformiamola nel suo equivalente a stella.
55
Ricettario di Elettronica
cui dovremo calcolare il valore. Come possiamo vedere dalla figura 2.18, una volta effettuata
la conversione, il circuito si semplifica e diventa risolvibile con i classici metodi che
conosciamo. Per il calcolo utilizziamo le formule incontrate nel primo capitolo. Le riporto qui
di seguito per comodità, facendo riferimento alle referenze dei componenti di figura 2.18:
𝑅1 ∙ 𝑅2
𝑅𝐴 =
𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3
𝑅1 ∙ 𝑅3
𝑅𝐵 =
𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3
𝑅2 ∙ 𝑅3
𝑅𝐶 =
𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3
Per semplicità tutte le resistenze del circuito valgono 100 . Iniziamo a calcolare il valore
delle resistenze che compongono la stella:
Una volta ricavata la stella possiamo procedere senza difficoltà calcolando le serie di R B con
R4 e di RC con R5:
RB4 e RB5 sono in parallelo e hanno lo stesso valore, quindi il loro parallelo sarà pari a:
56
Paolo Aliverti
Se non troviamo un'unica batteria che con la sua tensione e capacità possa soddisfare le
nostre esigenze, possiamo collegarne due o più utilizzando varie possibilità di collegamento:
• in serie,
• in parallelo,
• in serie e parallelo.
Il collegamento di più batterie in serie serve per aumentare il voltaggio mantenendo la stessa
capacità di corrente offerta dalla singola batteria. Per collegare in serie le batterie uniremo il
positivo di una batteria con il negativo della successiva, ricavando i morsetti principali alle
estremità della serie.
Quando si collegano tra di loro delle batterie è molto importante cercare di sceglierle il più
possibile simili tra di loro. Combinando batterie in serie con diversa capacità incorrerete in
una scarica non uniforme dei singoli elementi. La batteria con meno capacità si esaurirà
prima della altre. La ricarica delle batterie, quando queste non sono tutte allo stesso livello
potrebbe essere problematica per via dei diversi assorbimenti di corrente delle singole unità,
oltre che incorrere in un accorciamento della vita utile delle batterie.
Per ottenere un collegamento in parallelo dobbiamo collegare tra di loro i poli negativi delle
batterie e a parte tutti i poli positivi. La tensione risultante sarà pari a quella di una singola
batteria, mentre la capacità totale sarà data dalla somma delle singole capacità. Anche in
questo caso è preferibile utilizzare batterie compatibili, con pari tensione e capacità.
Se fossero necessarie tensioni e capacità molto elevate, si può ricorrere anche a combinazioni
57
Ricettario di Elettronica
di batterie in serie e parallelo.
I cavi utilizzati per i collegamenti sono molto importanti e non vanno sottovalutati,
soprattutto se le correnti in gioco sono elevate. In queste condizioni, impiegando cavi non
adatti, troppo lunghi o con una sezione ridotta, incorreremo in perdite o surriscaldamenti che
potrebbero anche causare spiacevoli incidenti. Tenete presente che un cavo con sezione
troppo piccola potrebbe, in caso di forti correnti, offrire una resistenza non trascurabile e che
in alcuni casi potrebbe dare malfunzionamenti o comportamenti indesiderati. Cercate di
realizzare cablaggi ordinati, utilizzando cavi rossi e neri, collegando i cavi rossi sul positivo e
neri al negativo. Usate cavi della lunghezza corretta, non troppo lunghi e neppure troppo corti
e di teneteli tutti alla stessa lunghezza. Ricordatevi che altri potrebbero mettere le mani sui
vostri circuiti e non rispettare le convenzioni potrebbe essere causa di incomprensioni e
perfino di incidenti.
Figura 2.20 – Tre modalità di collegamento delle batterie: (1) in serie, (2) in parallelo, (3) misto.
58
Paolo Aliverti
calcolare per quanto tempo potremo alimentarlo.
𝐶𝑏𝑎𝑡𝑡
𝑡=
𝑖
Immaginiamo di avere una batteria con 1000 mAh di capacità e di collegarvi un circuito che
assorbe 10mA. Il tempo teorico di funzionamento è di:
1000𝑚𝐴ℎ
𝑡= = 100ℎ
10𝑚𝐴
La batteria si scaricherà progressivamente degradando le sue prestazioni fino all’ultimo
istante. Nella fase di scarica la sua tensione diminuirà fino a che a un certo punto il circuito si
spegnerà prima del tempo previsto.
𝐶𝑏𝑎𝑡𝑡 = 𝑡 ∙ 𝑖
Per tenere acceso per una giornata intera un circuito che assorbe 10mA serve una batteria
con una capacità pari a:
59
Ricettario di Elettronica
Figura 2.21 – Ogni dispositivo, per funzionare richiede una tensione appropriata.
Per farci un’idea di quello che potrebbe accadere, richiamiamo l’analogia idraulica per i
circuiti. Immaginiamo che l'alimentatore sia una cascata d'acqua e che il circuito sia
rappresentato dalla pala di un piccolo mulino. Se la ruota del mulino è troppo grande, la
cascata non riuscirà a riempire la ruota del mulino e a farla muovere. Se invece la cascata è
troppo alta e la ruota del mulino è molto piccola, la caduta dell'acqua danneggerà o
distruggerà completamente la ruota. L’altezza corretta della cascata sarà quella pari al
diametro della ruota, quindi:
Figura 2.22 – Per far ruotare la ruota del mulino, la cascata d’acqua deve avere un’altezza opportuna.
Ogni dispositivo elettrico consuma una certa quantità di corrente. Se gli forniamo poca
corrente, il circuito non funzionerà o si accenderà in modo non corretto. Riprendiamo ancora
una volta la metafora acquatica e immaginiamo di essere sulle rive del fiume Po. Nel fiume
scorre una grande quantità di acqua perché ha una grande portata (1540 m3/s). Immergiamo
un tubo nel fiume e preleviamo dell'acqua per far girare la pala del nostro mulino. Il tubo si
riempirà per bene di acqua che farà quindi lavorare la ruota del mulino.
60
Paolo Aliverti
Figura 2.23 – Un fiume con una grande portata può fornire tutta l’acqua necessaria.
Ora immaginiamo di essere sulle rive di una piccola e pigra roggia della bassa lodigiana. Se le
zanzare ce lo permettono, cerchiamo di immergere il tubo nel corso d’acqua, che questa volta
farà fatica a colmarsi: la ruota del mulino non ruoterà. A differenza della tensione, avere un
alimentatore che può fornire una corrente maggiore non è un problema per il vostro circuito,
anzi a volte è desiderabile. Durante il normale funzionamento, il circuito assorbirà una certa
quantità di corrente, per esempio 100 mA. Se il nostro generatore (alimentatore o batteria)
ha una capacità superiore, funzionerà come un serbatoio di corrente: di sicuro potrà fornire
la corrente necessaria e riuscirà anche a far fronte a richieste improvvise dovute ad
azionamenti di motori, relè o commutazioni varie.
Nel mio laboratorio c'è un alimentatore regolabile in cui posso impostare a piacimento la
tensione o la corrente. Per accendere un circuito che funziona a cinque volt e che richiede un
ampere di corrente devo impostare la regolazione del voltaggio esattamente su cinque volt
(o poco meno). Se alzassi la tensione oltre al livello indicato, rischierei di danneggiare il
circuito. Questo tipo di alimentatori hanno anche una regolazione per la corrente. Se la
corrente è impostata a zero ampere, il circuito è alimentato ma non funzionante, anche se la
tensione è corretta, perché non gli arriva corrente. È come se avessi messo il mio tubo in un
torrente in secca. Alzando la corrente di qualche decina di milliampere, il circuito potrebbe
iniziare ad accendersi. Se la corrente non è sufficiente, alcuni dispositivi potrebbero non
funzionare correttamente. Aumentando la corrente il circuito funzionerà correttamente. Che
cosa accadrebbe se portassi la corrente a quindici ampere? Esploderebbe tutto? Certamente
no! È come se avessi immerso il mio tubo nel Po: il tubo si riempie per bene e il mulino ha
tutta l'acqua che gli serve, prendendo dal fiume solo quanto gli è necessario per funzionare.
C’è una solo controindicazione a fornire una corrente maggiore di quella necessaria: in caso
di cortocircuito il generatore fornirà tutta la corrente disponibile e potreste quindi avere un
danno proporzionale alla corrente transitata. Correnti da 10 o più ampere possono far
sciogliere o esplodere i componenti! Quando alimentate un circuito valutate sempre il suo
assorbimento di corrente. Se lo avete realizzato voi, dovreste sapere quanto assorbirà e se vi
accorgete che l’alimentatore eroga più del previsto, spegnetelo subito e ricontrollate il
circuito. I circuiti elettronici (non di potenza) non assorbono più di qualche decina, al
massimo centinaio di milliampere.
61
Ricettario di Elettronica
Figura 2.25 – Circuito formato da un generatore di tensione collegato a un resistore (1). La tensione fornita dal
generatore è applicata direttamente al resistore (2).
𝑉
𝐼=
𝑅
Immaginando di avere un generatore che fornisce 12 volt e di collegargli una resistenza da
1k , la corrente sarà pari a:
12𝑉
𝐼= = 0.012𝐴 = 12𝑚𝐴
1000𝛺
Volendo invece ottenere una specifica corrente, possiamo invertire la formula così da
ricavare il valore di R:
𝑉
𝑅=
𝐼
Immaginiamo avere ancora il generatore da 12V e di voler far circolare nel circuito una
corrente pari a 100mA:
12𝑉
𝐼= = 120𝛺
0.1𝐴
Figura 2.26 – Circuito formato da un generatore di corrente collegato a un resistore (1). La corrente fornita dal
generatore passa interamente nel resistore (2).
Analogamente possiamo ripetere i calcoli per un generatore di corrente, anche se nella realtà
è qualcosa di più difficile da incontrare (lo si trova realizzato con transistor all’interno di
circuiti particolari o integrati). Il generatore di corrente fornisce una corrente specifica e
fissa, mentre ai suoi capi possiamo trovare una qualsiasi tensione, imposta dal carico che
collegheremo. All’opposto del generatore di tensione, collegandogli una resistenza infinita
(circuito aperto) la tensione sarà infinita, mentre collegando una resistenza nulla (corto
circuito), la tensione sarà nulla.
Facendo riferimento alla figura 2.26, supponiamo di conoscere la corrente I fornita dal
63
Ricettario di Elettronica
generatore e il valore di R. Per determinare la tensione, osserviamo che la corrente che esce
dal generatore entra direttamente nei morsetti della resistenza, quindi posiamo usare
immediatamente la legge di Ohm:
𝑉 =𝐼∙𝑅
𝐼 = 1𝐴 ∙ 10𝛺 = 10𝑉
Volendo invece ottenere una specifica tensione, possiamo invertire la formula così da
ricavare il valore di R:
𝑉
𝑅=
𝐼
Immaginiamo avere ancora il generatore da 1 ampere e di voler avere una tensione pari a 10
volt ai capi della resistenza R:
10𝑉
𝑅= = 10𝛺
1𝐴
64
Paolo Aliverti
Figura 2.27 – Schema elettrico di un partitore di tensione collegato a un generatore che fornisce la tensione V.
Iniziamo con il primo caso in cui ipotizziamo di avere un generatore di tensione da 12 volt
collegato a una serie di due resistenze: R 1 da 10K e R2 da 2.2K. Per determinare la tensione ai
capi dei due resistori procediamo semplificando la rete di resistenze e ricavando la resistenza
equivalente. La resistenza equivalente ci servirà per determinare la corrente che scorre nel
circuito. Con due semplici resistenze in serie l'operazione è semplicissima ed è sufficiente
sommare i loro valori.
Figura 2.28 – Schema elettrico equivalente per la risoluzione del partitore di tensione.
Facendo riferimento al circuito equivalente riportato in figura 2.28, calcoliamo con la legge
di Ohm, la corrente che circola nell'unico anello presente:
𝑉 12𝑉
𝐼= = = 0.00098𝐴 = 0.98𝑚𝐴
𝑅 12200Ω
Ritorniamo ora al circuito illustrato in figura 2.27: la corrente I attraversa entrambi i resistori
e provocherà quindi una caduta di tensione ai capi di entrambi i componenti che possiamo
ricavare applicando la legge di Ohm.
65
Ricettario di Elettronica
Calcoliamo per verifica anche la V2:
La somma di V1 e V2 dovrebbe essere pari a 12 volt, come la tensione applicata dal generatore
ma per via delle approssimazioni inserite nei calcoli la loro somma è leggermente inferiore.
La tensione applicata dal generatore si suddivide proporzionalmente al valore delle
resistenze presenti. Se R1 e R2 fossero state uguali, ai loro capi avremmo trovato esattamente
la metà della tensione di alimentazione.
Nel secondo caso presentato vogliamo ricavare una tensione precisa utilizzando il partitore.
Immaginiamo di voler ottenere 5 volt ai capi di R2. Per poter determinare il resto del circuito
ci serve un’ulteriore variabile. Proviamo a fissare quindi il valore che dovrebbero avere R 1 e
R2 in serie (il valore della Req di figura 2.28):
𝑅𝑡𝑜𝑡 = 𝑅1 + 𝑅2 = 10𝑘Ω
In questo modo vincoliamo la corrente che scorrerà nell'anello, che possiamo calcolare con
la legge di Ohm:
𝑉 12𝑉
𝐼= = = 0.0012𝐴 = 1.2𝑚𝐴
𝑅𝑡𝑜𝑡 10000Ω
𝑉2 5𝑉
𝑅2 = = = 4166Ω
𝐼 0.0012𝐴
R1 si può ricavare per differenza:
Questi valori molto particolari non sono in commercio e dovremo approssimarli con i valori
commerciali più simili. Per ottenere esattamente 5 volt ai capi di R 2 dovremo fare qualche
tentativo. Potremmo per esempio usare per R 1 una resistenza da 5.6 k e per R2 scegliere un
valore di 3,9 k . Rifacendo i calcoli troveremmo in questo caso una V2 pari a 4,93 volt: un
valore accettabile.
66
Paolo Aliverti
𝑅2 𝑅𝐿 500 ∙ 1000
𝑅𝑒𝑞 = 𝑅1 + = 700 + = 700 + 333.33 = 1033.33Ω
𝑅2 + 𝑅𝐿 500 + 1000
𝑉 12𝑉
𝐼= = = 0.0116𝐴 = 11.61𝑚𝐴
𝑅𝑒𝑞 1033.33Ω
𝑅2 𝑅𝐿
𝑉2 = 𝐼 ∙ = 0.0116𝐴 ∙ 333.33Ω = 3.87𝑉
𝑅2 + 𝑅𝐿
Un valore ben diverso da quello previsto di 5 volt. Modificando il valore di RL troviamo che il
valore di V2 varia notevolmente. Provate a inserire le formule in un foglio di calcolo per
vedere cosa accade alla tensione V2 al variare di RL. Ho riportato alcuni risultati nella tabella
2.4.
Tabella 2.4 - Variazione della tensione ai capi del partitore applicando diversi carichi.
RL (Ω) V2
10 0.17 V
100 1.27
67
Ricettario di Elettronica
1k 3.87
10k 4.85
100k 4.95
Possiamo osservare che più il carico è elevato, minore sarà la corrente assorbita e la tensione
V2 resterà più vicina al valore che avevamo ipotizzato di 5 volt. Il problema è dato dal parallelo
tra R2 e RL, come abbiamo visto alcune pagine fa, la resistenza equivalente di una connessione
in parallelo è fortemente influenzata dal componente con il minor valore. Se vogliamo avere
un partitore che modifichi di poco le tensioni impostate, dobbiamo ridurre il valore delle
resistenze che lo compongono. Questo farà aumentare la corrente assorbita dal circuito e
dovremo cercare di volta in volta un compromesso tra il carico che desideriamo collegare e
gli elementi del partitore. Per questo motivo i partitori di tensione sono raramente utilizzati
come soluzione per l'alimentazione dei circuiti, preferendo circuiti che utilizzano diodi zener
o altri tipi di regolatori.
Facciamo riferimento alla figura 2.29, dove questa volta il generatore avrà una tensione di 5
volt. Il procedimento da seguire è il seguente:
• conoscendo la corrente che deve attraversare il carico (I L), ricaviamo empiricamente
la I2, in modo che sia pari al 10% di IL;
• Nota la I2 e sapendo qual è la tensione da applicare al carico, ricaviamo la R2, anche
chiamata "bleeder resistor";
• ricaviamo la corrente che passa per R 1, data dalla somma di IL e I2;
• Note I1 e la tensione ai capi di R1, determiniamo R1.
𝑉𝐿 3𝑉
𝑅2 = = = 300Ω
𝐼2 0.010𝐴
Arrotondo il valore di R2 scegliendo il valore commerciale più vicino a quello calcolato: 330
Ω. Ricalcolo la I2 usando il valore corretto di R2:
3𝑉
𝐼2 = = 0.0091𝐴 = 9.1𝑚𝐴
330Ω
Ora calcolo la corrente che passa in R1, considerando il nodo formato dal partitore e dal
carico:
68
Paolo Aliverti
𝐼 = 𝐼2 + 𝐼𝐿 = 0.0091 + 0.1 = 0.1091𝐴
𝑉 − 𝑉𝐿 5−3
𝑅1 = = = 18Ω
𝐼 0.1091
Posso usare al posto di R1 una resistenza da 19 o 15 Ω, altrimenti cercarne una all'1% con il
valore esatto. Considerate le correnti in gioco devo scegliere opportunamente la potenza dei
componenti che utilizzerò. Ecco di seguito il calcolo delle potenze dissipate dalle due
resistenze:
Per R1 dovremmo utilizzare un resistore da almeno mezzo watt (infatti si preferisce utilizzare
un valore doppio di quello calcolato). Per R 2 possiamo utilizzare un comune resistore da 1/4
Watt.
Anche per il partitore di corrente possiamo trovarci di fronte a due casi: l'analisi o la sua
progettazione. Proviamo a progettare un partitore con due rami in cui vorremmo far passare
dieci e venti milliampere. Le informazioni note sono le seguenti:
• Vbatteria = 9 V,
• I1 = 10 mA,
• I2 = 20 mA.
In questo caso possiamo subito determinare le resistenze necessarie per ottenere le correnti
69
Ricettario di Elettronica
richieste, perché ai capi dei resistori ci sono nove volt. Utilizzando la legge di Ohm abbiamo:
𝑉𝑏𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎 9𝑉
𝑅1 = = = 900Ω
𝐼1 10𝑚𝐴
𝑉𝑏𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎 9𝑉
𝑅2 = = = 450Ω
𝐼2 20𝑚𝐴
La resistenza totale collegata alla batteria la possiamo ricavare dal parallelo di R 1 e R2:
𝑅1 ∙ 𝑅2 450 ∙ 900
𝑅𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 = = = 300Ω
𝑅1 + 𝑅2 450 + 900
La corrente totale fornita dalla batteria sarà pari alla somma della corrente nei due rami
oppure si può ricavare, per verifica, dividendo la tensione della batteria per la resistenza
totale:
9𝑉
𝐼𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 = = 30𝑚𝐴
300Ω
Esistono dei LED in grado di emettere luce non visibile, nella gamma degli infrarossi: sono
utilizzati nei telecomandi o nei visori notturni come fonti di illuminazione «invisibile». Oltre
ai LED «comuni» da tre e cinque millimetri, se ne trovano anche con forme particolari,
quadrati o triangolari, adatti per essere utilizzati come indicatori sui pannelli.
70
Paolo Aliverti
La domanda che molti si pongono quando hanno un LED tra le mani, è: «Che resistenza ci
metto per non bruciare il LED?». Per accendere correttamente il LED, ci serve una resistenza
che farà in modo che sul componente ci sia una caduta di tensione di due volt. Ipotizziamo di
usare un generatore da 12 volt. Immaginiamo di usare un LED verde che richiede una V L pari
a 2 volt. La caduta di tensione sulla resistenza sarà quindi di 10 volt. Dobbiamo scegliere un
valore opportuno per R1 affinché la corrente circolante nell'anello formato da generatore,
LED e resistenza sia pari a 10 mA.
𝑉1 10𝑉
𝑅1 = = = 1000Ω
𝐼 0.010𝐴
In questo caso il valore della resistenza è reperibile in commercio e non dobbiamo inserire
delle approssimazioni.
𝑉1 (24 − 2)𝑉
𝑅1 = = = 1467Ω
𝐼 0.015𝐴
71
Ricettario di Elettronica
La tensione ai capi di R1 è data dai 24 volt a cui sottraiamo la tensione del LED. Questa volta
non troveremo in commercio una resistenza da 1467 Ω e dobbiamo sostituirla con una da
1500 Ω. Calcoliamo la corrente effettiva:
22𝑉
𝐼= = 0.0146𝐴 = 14.6𝑚𝐴
1500Ω
Se nel circuito di figura 2.32 avreste trovato prima il LED e poi la resistenza, non sarebbe
cambiato nulla. Non è importante che la resistenza preceda il LED per "rallentare" la corrente:
dovete sempre considerare un anello "chiuso", con tutti i componenti che trovate al suo
interno. Non importa se la resistenza sia prima o dopo, l'importante è che ci sia. I calcoli sono
esattamente identici. Ricordatevi che la metafora "acquatica" molto spesso non funziona e
può indurvi a errori e confusione.
72
Paolo Aliverti
Proviamo a fare qualche calcolo facendo riferimento alla figura 2.33 in cui abbiamo una
batteria da 9 volt collegata a un LED e una resistenza da 470 Ω. La resistenza interna R i del
generatore è pari a 1 Ω. Quando la batteria è scollegata dal circuito, misurando la tensione ai
suoi capi troveremmo esattamente 9 volt perché non c'è passaggio di corrente attraverso R i
e quindi ai suoi morsetti troviamo esattamente la tensione V. Collegando LED e resistenza,
nel circuito si stabilisce una corrente che possiamo calcolare:
Maggiore sarà la corrente circolante nel circuito, per esempio collegando un carico con basso
valore resistivo, e maggiore sarà la caduta di tensione ai capi della batteria.
Ci sono resistori a filo con l'involucro in ceramica o cemento in grado di sopportare potenze
di 5, 10 fino anche a 20 watt. Se la potenza da dissipare è notevole, si possono utilizzare anche
resistori dotati di alette di raffreddamento.
73
Ricettario di Elettronica
Figura 2.35 – Un resistore a filo in materiale ceramico può dissipare potenze rilevanti.
Tutta la potenza elettrica dissipata da un resistore si trasforma in calore e questo può essere
un problema se non ne teniamo conto quando progettiamo un circuito. Dopo aver
determinato quali resistori sono necessari, dovremmo sempre chiederci quale potenza
dovranno dissipare e quindi scegliere il modello adeguato. I progettisti solitamente sono
molto prudenti e raddoppiano il valore calcolato. Se una resistenza dovrà sopportare una
potenza di 100 mW, allora se ne sceglie una da almeno 200 mW e visto che non esiste un
simile modello, si opta per la classe di potenza più vicina ma con il valore maggiore: 1/4 Watt
(0,250W).
Figura 2.36 – Un componente elettronico a cui è applicata una tensione V e che assorbe una corrente i, dissipa
una potenza pari a P.
Applicando questa formula a un generatore possiamo invece conoscere quale sarà la potenza
in grado di fornire al circuito. Utilizzeremo questa formula anche su un dispositivo
utilizzatore, quando non siamo sicuri come la potenza sarà utilizzata, per esempio in un LED,
dove non ho una dissipazione in calore e l'energia è trasformata in luce. Conoscendo la
potenza assorbita possiamo determinare la corrente. Se un componente dissipa 100 watt ed
è alimentato a 12 volt, ricaviamo la corrente assorbita:
𝑃 100𝑊
𝐼= = = 8.3𝐴
𝑉 12𝑉
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Paolo Aliverti
Quando calcoliamo la potenza dissipata da un resistore o da un elemento resistivo possiamo
utilizzare anche la seguente formula, in cui compare il valore della resistenza:
𝑉2
𝑃 = 𝐼2 ∙ 𝑅 =
𝑅
P = I^2 x R =V^2 / R
Questo tipo di formula indica che il dispositivo utilizzerà la potenza dissipandola in calore.
𝑃𝑓𝑜𝑟𝑛𝑖𝑡𝑎 = 𝑃𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑎
9 − 1,8
𝑖= = 0.0128𝐴 = 12.8𝑚𝐴
560 + 1
Utilizzando la formula per la potenza calcoliamo la potenza che può fornire la batteria.
Calcoliamo ora le potenze dissipate o consumate dai vari elementi. Anche la batteria, in
quanto "reale" consumerà una certa potenza, dissipata in calore:
Affinché la resistenza non si danneggi dovremmo utilizzare un valore pari almeno al doppio
75
Ricettario di Elettronica
della potenza assorbita e quindi sarà necessario usare una resistenza da 1/4 watt.
Il LED consuma potenza che però non dissipa in calore ma trasforma in luce. Stiamo
semplificando il suo modello perché volendo complicare le cose anche il LED avrebbe una
resistenza interna e potremmo anche considerare la resistenza dei cavi elettrici! Per il LED
utilizzeremo quindi la seguente formula:
Proviamo a risolvere una rete con alcuni generatori e delle resistenze che per semplicità
assumiamo tutte di valore pari a 100 ohm. Lo schema elettrico è riportato in figura 2.38.
76
Paolo Aliverti
Figura 2.38 – Circuito elettrico con generatori e resistori.
Fissiamo le convezioni:
• le tensioni orientate in senso orario sono positive;
• le correnti uscenti da un nodo sono positive.
Vogliamo determinare tutte le correnti e le tensioni presenti nella rete. Possiamo assumere
che tutte le correnti sono ignote e quindi saranno loro le nostre variabili.
Abbiamo quindi: i1, i2, i3 e i4. Possiamo osservare però che i4 e i2 sono identiche, perché
scorrono nello stesso anello. Quindi abbiamo solo tre incognite. Analizzeremo due anelli e un
nodo per ricavare le equazioni risolutive. Annotiamo lo schema, come illustrato in figura 2.39,
segnando le correnti e le tensioni. Il verso delle correnti potrebbe essere ignoto e possiamo
quindi assegnarlo a piacere. I risultati finali confermeranno o smentiranno le nostre ipotesi.
Nel caso ci ritrovassimo con una corrente negativa, significherebbe che inizialmente abbiamo
ipotizzato il verso contrario a quello reale. Sarà sufficiente girare il suo verso.
Segniamo le correnti in modo che siano entranti nelle resistenze. Percorriamo il primo anello
e scriviamo l'equazione corrispondente:
12𝑉 − 𝑖1 𝑅1 − 𝑖3 𝑅3 = 0
𝑖3 𝑅3 − 𝑖2 𝑅2 − 3𝑉 − 𝑅4 𝑖2 = 0
𝑖2 + 𝑖3 − 𝑖1 = 0
12𝑉 − 𝑖1 𝑅1 − 𝑖3 𝑅3 = 0
{𝑖3 𝑅3 − 𝑖2 𝑅2 − 3𝑉 − 𝑅4 𝑖2 = 0
𝑖2 + 𝑖3 − 𝑖1 = 0
77
Ricettario di Elettronica
12𝑉
𝑖1 = − 𝑖3
100
Risolvo la seconda equazione per i2:
200𝑖2 = 100𝑖3 − 3𝑉
100𝑖3 3𝑉
𝑖2 = −
200 200
Il sistema ora è:
12𝑉
𝑖1 = − 𝑖3
100
100𝑖3 3𝑉
𝑖2 = −
200 200
{ 𝑖2 + 𝑖3 − 𝑖1 = 0
i1 = 66 mA
i2 = 12 mA
i3 = 54 mA
Ora posso ricavare tutte le tensioni del circuito, in particolare quelle a cavallo delle
resistenze:
Ora verifico che la somma delle tensioni lungo i due anelli sia effettivamente pari a zero:
per l'anello 2:
78
Paolo Aliverti
5.4𝑉 − 1.2𝑉 − 3𝑉 − 1.2 = 0𝑉
Figura 2.40 - Circuito d'esempio per calcolare l'equivalente di Thevenin. Sulla destra osserviamo il circuito a cui
è stata rimossa la resistenza R X.
Una volta rimossa la resistenza abbiamo ricavato i due morsetti A e B (figura 2.40) a cui fa
capo il resto della rete che considereremo come una “black box”. Come abbiamo detto per
risolvere il circuito ai morsetti A-B dobbiamo prima di tutto procedere nel ricavare la
tensione rilevabile ai morsetti. Utilizziamo Kirchhoff per ricavare la tensione presente tra A
e B.
Figura 2.41 – Assegniamo al circuito le tensioni e le correnti per risolverlo con Kirchhoff
𝑉1 − 𝑅1 𝐼1 − 𝑅2 𝐼2 = 0
79
Ricettario di Elettronica
La seconda equazione la ricaviamo osservando il nodo a cui sono collegare R 1, R2 e il
generatore V2.
𝐼1 − 𝐼2 + 𝐼3 = 0
La corrente I3 è quella che proviene dal generatore V 2 che però ha un terminale scollegato e
quindi possiamo affermare che varrà 0. Riscriviamo l’equazione:
𝐼1 − 𝐼2 + 0 = 0
e quindi:
𝐼1 = 𝐼2
𝑉1 − 𝑅1 𝐼1 − 𝑅2 𝐼2 = 0
{
𝐼1 = 𝐼2
𝑉1 = 𝐼1 (𝑅1 + 𝑅2 )
e quindi:
𝑉1
𝐼1 =
(𝑅1 + 𝑅2 )
12𝑉
𝐼1 = = 4𝑚𝐴
(1𝐾𝛺 + 2𝐾𝛺)
e quindi:
𝐼2 = 𝐼1 = 4𝑚𝐴
La tensione tra A e B forma una seconda maglia che potremmo risolvere in modo rigoroso
con Kirchhoff. Possiamo anche osservare che:
𝑉𝐴𝐵 = 𝑅2 𝐼2 − 𝑉2
80
Paolo Aliverti
• rimuoviamo i generatori di corrente sostituendoli con un circuito aperto.
Dopo aver sostituito i generatori presenti, possiamo calcolare il valore della resistenza
equivalente di Thevenin, cioè la resistenza visibile ai morsetti A e B.
Corto-circuitando i generatori di tensione presenti nel nostro circuito rimangono solo due
resistenze in parallelo. Il calcolo della resistenza equivalente di Thevenin è quindi molto
semplice:
𝑅1 ∙ 𝑅2 1𝐾𝛺 ∙ 2𝐾𝛺
𝑅𝑒𝑞 = = = 0.66𝐾𝛺 = 667𝛺
𝑅1 + 𝑅2 1𝐾𝛺 + 2𝐾𝛺
Possiamo ora disegnare il circuito equivalente di Thevenin formato dalla resistenza Req in
serie con il generatore di tensione Veq (figura 2.43).
𝑉𝑒𝑞 − 𝑅𝑒𝑞 𝐼𝑋 − 𝑅𝑋 𝐼𝑋 = 0
𝑉𝑒𝑞 3𝑉
𝐼𝑋 = = = 0.28𝑚𝐴
(𝑅𝑋 + 𝑅𝑒𝑞 ) 10𝐾𝛺 + 667𝛺
81
Ricettario di Elettronica
Così come per le resistenze, in commercio non troviamo tutti i possibili valori di capacità, ma
dei valori "razionalizzati". Se vi serve un particolare valore potete combinare due o più
elementi in serie o parallelo. Per i condensatori ceramici, ceramici multistrato e al poliestere
i valori seguono la seguente scala (eventualmente estesa con dei moltiplicatori):
1,0, 1,2, 1,5, 1,8, 2,2, 2,7, 3,3, 3,9, 4,7, 5,6, 6,8, 8,2.
Possiamo quindi trovare condensatori ceramici da 1pF, 1,2pF ma non da 5pF. Troviamo
condensatori al poliestere da 100nF, 180nF, 390nF ma non da 35nF.
Applicando dei moltiplicatori possiamo far partire la scala da:
La capacità è riportata sul corpo dei componenti seguendo varie convenzioni che vedremo
tra poco.
Sul corpo dei condensatori troviamo riportata spesso anche la tolleranza e la tensione
massima di funzionamento. La tolleranza è indicata usando una lettera.
82
Paolo Aliverti
Tabella 2.7 - Tolleranza dei condensatori
Lettera Tolleranza
M 20%
K 10%
J 5%
Dopo la lettera della tolleranza è possibile trovare un numero che indica invece il valore della
tensione massima sopportabile dal componente. Il numero è spesso indicato senza alcuna
unità di misura, mentre in alcuni casi troverete anche specificato il valore massimo per la
tensione continua e alternata. La tensione alternata è seguita da una "tilde" o dalla sigla AC.
Per esempio: 100/275 AC per indicare un componente che può lavorare a 100 VDC o al
massimo a 275 VAC.
Se i condensatori sono marchiati con la codifica asiatica e sono di piccola taglia, solitamente
di tipo ceramico e della capacità massima di 100pF troverete indicato un semplice numero,
senza unità di misura. Per esempio un ceramico da 2.2pF riporterà semplicemente la scritta
"2.2".
Per capacità superiori a 100pF, si segue una regola simile a quella delle resistenze, tenendo
le prime due cifre e sostituendo i rimanenti zeri con un moltiplicatore. Un condensatore da
1000pF, cioè da 1nF, sarà marchiato con: "102".
Esiste infine anche la codifica americana che per i piccoli condensatori, fino a 10pF riporta
semplicemente il valore senza unità di misura. Per le capacità da 1nF in su viene utilizzata
l’unità di misura microfarad. Se leggiamo ".001" avremo di fronte un condensatore da 1nF, se
la scritta è ".1" il condensatore è da 100nF.
83
Ricettario di Elettronica
Figura 2.44 – Alcuni condensatori ceramici e al poliestere nelle varie convenzioni di marcatura: (1) asiatica, (2)
americana e (3) europea.
Figura 2.45 – In figura alcuni condensatori a film: (1) 1,2nF con tolleranza del 10% e tensione di 100V, (2) 10nF
al 10% e tensione di 300V, (3) condensatore di sicurezza X2 da 1µF al 10%, 275 VAC con classe climatica
40/105/56 (da -40°C a 105 °C per 56 giorni)
84
Paolo Aliverti
Esistono alcuni particolari condensatori "di sicurezza", al poliestere o materiali simili, che
sono impiegati negli stadi di alimentazione dei dispositivi elettronici. Questi condensatori
sono marchiati con delle sigle: X1, X2, Y1, Y2.
Nella classificazione di sicurezza la X si riferisce ai casi in cui la rottura del condensatore non
comporta un rischio di shock elettrico, mentre la Y indica il caso in cui esiste questo rischio. I
condensatori di classe X vengono usati normalmente fra due fili di linea, mentre quelli di
classe Y fra linea e massa.
Se si dovesse rompere un condensatore di tipo X potrebbero solo saltare i fusibili, mentre nel
caso si rompesse un condensatore di tipo Y avremmo il telaio in tensione (cosa ben più grave
e pericolosa).
Raramente potreste incontrare dei condensatori a film colorati con delle strisce simili a quelle
delle resistenze. Utilizzano un codice a cinque colori in cui ogni banda, partendo dall'alto
verso il basso, rappresenta:
• prima cifra,
• seconda cifra,
• moltiplicatore,
• tolleranza,
• tensione di lavoro.
Le prime due strisce indicano il valore da moltiplicare per il moltiplicatore. Il valore ottenuto
è in picofarad. Fate riferimento alla tabella 2.10 per poter decodificare i colori.
Figura 2.46 – Condensatore a film da 47nF con tolleranza al 10% e tensione pari a 250V.
Applicate questi valori a un moltiplicatore per ottenere tutti i possibili valori. Si trovano
condensatori da qualche decimo di microfarad fino a migliaia o decine di migliaia di
microfarad. I valori possono variare a seconda del produttore che può magari offrire una
maggior copertura. Anche le tensioni sono abbastanza standard e devono sempre essere
maggiori di quella teorica. Tensioni di lavoro comuni sono:
5, 6.3, 10, 16, 20, 25, 35, 50, 63, 100, 250, 400 e 450 V.
Comunemente la tolleranza di questi componenti è del 20%. Bisogna tenere conto anche della
temperatura massima di funzionamento che di solito è di 85°C. Anche questo parametro non
è sempre indicato anche se è importante da conoscere, infatti i condensatori elettrolitici sono
molto sensibili al calore e ne possono risentire (a lungo tempo il calore asciuga l'elettrolito
portando al guasto il componente). Esistono serie di condensatori che possono lavorare a
86
Paolo Aliverti
temperature più elevate (105°C e 125°C).
Un ulteriore parametro da considerare è il valore di ESR (resistenza serie equivalente). Il
modello reale di un condensatore prevede la presenza di effetti resistivi per giustificare le
perdite e i surriscaldamenti. Questi effetti sono equiparabili a una resistenza di basso valore
posta in serie al condensatore. L'ESR entra in gioco quando si hanno correnti alternate di
valore elevato o circuiti a radio frequenza e lo si trova indicato nei datasheet dei componenti,
oppure è misurabile con specifici strumenti. Un condensatore danneggiato presenta un ESR
elevato (decine di ohm) e quindi ha un comportamento in parte resistivo.
Esistono dei condensatori elettrolitici definiti bipolari o non polarizzati. Sono un particolare
tipo di componente usato per applicazioni particolari come nei circuiti audio. È possibile
realizzarne uno collegando in antiserie (collegando insieme gli anodi) due condensatori
elettrolitici di valore doppio. Combinando due condensatori da 47 µF otterrete un
condensatore elettrolitico non polarizzato da 23,5 µF.
Figura 2.47 – Condensatori elettrolitici da 1000µF a 25 volt di tipo radiale (1) e assiale (2).
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Ricettario di Elettronica
Marrone 1 1 x 10 1.6V
Rosso 2 2 x 100 30V
Arancio 3 3 - 35V
Giallo 4 4 - 6.3V
Verde 5 5 - 16V
Blu 6 6 - 20V
Viola 7 7 :1000 -
Grigio 8 8 :100 25V
Bianco 9 9 :10 3V
I condensatori al tantalio possono essere marchiati con un codice a strisce colorate. Per la
lettura si parte sempre dall'alto. Le prime due bande indicano il valore, mentre il punto fa da
moltiplicatore. La terza banda indica la tensione di funzionamento. Osservando il
condensatore in modo che abbia il punto sul lato frontale, Il terminale positivo si trova sulla
destra.
𝐶𝑡𝑜𝑡 = 𝐶1 + 𝐶2
88
Paolo Aliverti
Collegando due condensatori in serie otterremo una capacità inferiore alle due che
combineremo. L'inverso della capacità totale sarà pari alla somma degli inversi dei singoli
valori (come accade per le resistenze in parallelo). I condensatori in questo caso saranno
attraversati dalla stessa corrente e si avrà una distribuzione di cariche su tutte le loro
armature. Nella parte centrale le cariche positive compenseranno quelle negative e quindi
otterremo una concentrazione netta di carica totale inferiore a quella che potrebbero avere i
singoli condensatori. La formula per il calcolo è la seguente:
1 1 1
= +
𝐶𝑡𝑜𝑡 𝐶1 𝐶2
𝐶1 ⋅ 𝐶2
𝐶𝑡𝑜𝑡 =
𝐶1 + 𝐶2
Figura 2.50 – Condensatori in serie.
Gli schemi di collegamento valgono anche per i condensatori polarizzati. In questi casi si
devono rispettare sempre le polarità, tenendole sempre concordi.
89
Ricettario di Elettronica
Figura 2.51 – Condensatori polarizzati in serie (1) e in parallelo (2).
La corrente che scorre in un condensatore quando gli si applica una tensione costante è una
corrente definita di "spostamento" (displacement current). Infatti è come se fosse una
corrente apparente, dovuta al fatto che sembra che ci sia un movimento di cariche, quando
queste in realtà si accumulano sulle armature del condensatore. Quindi il condensatore
caricandosi "assorbe" delle cariche dando l'impressione che una corrente stia scorrendo. Una
volta che le armature sono sature, la corrente è pari a zero. La corrente è quindi generata da
una variazione di carica nel tempo e visto che la carica è, per un condensatore, proporzionale
alla sua capacità e alla tensione applicata, possiamo scrivere:
𝑑𝑄 (𝐶𝑉) 𝐶 ⋅ 𝑑𝑉
𝐼= =𝑑 =
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡
Le variazioni di una grandezza si indicano specificando una differenza tra due valori e usando
la lettera greca Δ (delta). La variazione di tensione in due istanti differenti può essere quindi
indicata come:
𝛥𝑉 = 𝑉(𝑡2 ) − 𝑉(𝑡1 ) = 𝑉2 − 𝑉1
Come abbiamo visto nel primo capitolo, possiamo ridurre l'intervallo di tempo tra le due
misure fino a portarlo ad essere infinitesimo. Lo possiamo allora scrivere come dt. Per dire
che ci interessa questa variazione rispetto al tempo scriviamo quindi:
𝑑𝑉
𝑑𝑡
Questa scrittura si definisce come la derivata della funzione V, che immaginiamo vari con il
tempo, rispetto al tempo ed equivale a valutare la pendenza della curva V(t) punto per punto.
𝑑𝑉 𝐼
=
𝑑𝑡 𝐶
Come possiamo eliminare l'effetto della derivata? Esiste un operatore che ne annulla l'effetto
e ci restituisce la funzione originale V(t) quasi intatta. Questo operatore si chiama integrale.
Il nome fa paura ma è una cosa abbastanza semplice. Se la derivata di V esprime l'inclinazione
della curva V(t) punto per punto e come se mi dicesse in ogni istante di quanto devo salire
per seguire la curva originale. Osservate la figura 2.52. Nella prima parte abbiamo una
generica funzione V(t) che parte da un punto posto ad una altezza C, quindi sale con un angolo
di 45°, resta costante e poi scende di 45°. La derivata di questa funzione è rappresentata nel
secondo grafico riportato nella figura. Nella prima parte abbiamo un valore pari a uno perché
la curva originale saliva con pendenza di 45°: per ogni "metro" percorso salgo di un metro.
Nella parte centrale la pendenza della curva originale è pari a zero e infine la pendenza sarà
pari a -1 nell'ultimo tratto.
Se ora volessimo ricostruire la curva originale avendo solo la derivata come potremmo fare?
Dovremmo porci nell'origine degli assi iniziare a ragionare sui valori assunti dalla derivata.
90
Paolo Aliverti
Nel primo tratto vale "uno" e quindi significa che dovremo salire di 45 gradi. Per ogni metro
o quadretto del foglio saliremo di una pari distanza. Ad un certo punto la derivata sarà pari a
zero e quindi proseguiremo in piano, per poi scendere.
Possiamo pensare alla cosa anche come a una sommatoria. Nel primo tratto la derivata vale
uno, quindi ne prendiamo una fettina infinitesima, ne calcoliamo l'area e la tracciamo sul
grafico. Fino a che la derivata ha un valore costante, per ogni passo infinitesimale che compio
sull'asse delle x, dobbiamo misurare l'area e andare a sommarla a quella calcolata in
precedenza. Nel tratto in cui la derivata vale zero non sommeremo nulla e nel tratto in cui è
negativa, andremo a sottrarre delle piccole aree al valore attuale. Questa operazione, di
calcolare l'area di una funzione, corrisponde all'integrazione e si rappresenta con un simbolo
a forma si S allungata (a ricordarci che si tratta di una specie di sommatoria). Come potete
vedere dalla figura 2.52, riusciamo a recuperare la funzione originaria a meno di una costante,
infatti la funzione V(t) partiva da un'altezza C, che però perdiamo durante l’applicazione della
derivata.
Figura 2.52 – La funzione V(t), la sua derivata e l'integrale della sua derivata. Ricostruiamo V(t) originale a meno
di C.
Tornando alla formula del condensatore, possiamo quindi ottenere la V(t) integrando
l'equazione della corrente. L'integrale "annulla" la derivata applicata a V:
1
𝑉(𝑡) = ∫ 𝐼𝑑𝑡
𝐶
91
Ricettario di Elettronica
Con questi rudimenti matematici possiamo analizzare in dettaglio cosa accade quando
combiniamo insieme due condensatori in serie. Nella figura 2.50 possiamo vedere che ai due
componenti è applicata una tensione V. Sui due condensatori avremo quindi una tensione V 1
e V2 che sommate saranno pari alla V applicata. Possiamo quindi scrivere:
𝑉 = 𝑉1 + 𝑉2
1 𝑑𝐼 1 𝑑𝐼 1 1 𝑑𝐼 1 𝑑𝐼
𝑉= ∫ + ∫ = ( + )∫ = ∫
𝐶1 𝑑𝑡 𝐶2 𝑑𝑡 𝐶1 𝐶2 𝑑𝑡 𝐶𝑡𝑜𝑡 𝑑𝑡
1 1 1
= +
𝐶𝑡𝑜𝑡 𝐶1 𝐶2
Per il collegamento in parallelo, osserviamo la figura 2.49: possiamo notare che ai due
componenti è applicata la medesima tensione e che la corrente che li raggiunge si divide, nel
nodi di giunzione dei due terminali nelle componenti I 1 e I2. Se scriviamo l'equazione al nodo,
per le correnti abbiamo:
𝐼 = 𝐼1 + 𝐼2
𝐶𝑡𝑜𝑡 = 𝐶1 + 𝐶2
92
Paolo Aliverti
Figura 2.53 – Alcuni tipi di induttori: (1) semplice filo smaltato avvolto in aria, (2) filo smaltato con nucleo in
ferrite, (3) bobina toroidale, (4) induttore per uso generico con marcatura a colori.
Gli induttori si possono acquistare o costruire, infatti è sufficiente avvolgere del filo di rame
smaltato attorno ad un cilindro di carta che può essere occupato o no da un nucleo in metallo
o di ferrite. La presenza di un nucleo modifica l’induttanza della bobina e migliora il suo
fattore di qualità: un parametro, indicato con la lettera Q,, utile per capire quanto efficiente
sia la bobina. Un Q elevato indica che la bobina smorzerà più lentamente le oscillazioni. Per
la costruzione delle bobine si possono seguire alcune semplici formule che indicano le
dimensioni che il componente deve avere. I parametri tipici sono la sezione del filo, il
diametro delle spire, la lunghezza della bobina, il numero di spire, la spaziatura e la forma
dell'avvolgimento. Il filo solitamente utilizzato per realizzare le bobine è di rame smaltato. La
presenza di un nucleo, cioè il cilindretto metallico che si inserisce in mezzo alla bobina, può
variare il suo valore aumentandolo o diminuendolo. I materiali sono caratterizzati da una
permeabilità magnetica µ che è utilizzata nelle formule per il calcolo dell'induttanza. La
permeabilità magnetica esprime l'attitudine di un materiale a magnetizzarsi in presenza di
un campo magnetico. Quella del vuoto è pari a:
93
Ricettario di Elettronica
𝐻 𝐻
𝜇0 = 4𝜋 ⋅ 10−7 = 1.25663706144 ⋅ 10−6
𝑚 𝑚
La formula per calcolare l'induttanza (L) di una semplice bobina in aria è la seguente:
(𝑁 ⋅ 𝑟)2
𝐿=
9𝑟 + 10𝑙
La bobina va realizzata avvolgendo un semplice filo di rame smaltato su un supporto che poi
rimuoverete, in modo che tra le spire ci sia solo dell'aria. Solitamente io utilizzo una matita o
un pennarello per dare la forma alle spire. Dovete prestare attenzione alle dimensioni e al
numero di spire (N). Per il calcolo del valore vi serve anche misurare il raggio delle spere (r)
e la lunghezza (l) su cui le disponete. Le spire devono essere "strette", cioè essere a contatto
una con l'altra (per questo serve un filo smaltato). Realizzate un solo strato di spire e non
sovrapponetele.
Il componente che otterrete potrebbe avvicinarsi al valore ricavato dalla formula, ma poi, in
realtà sarà sempre necessario fare qualche aggiustamento aggiungendo o togliendo delle
spire. Per poter ottenere delle bobine accettabili dovete procurarvi un induttanzimetro,
strumento fondamentale per la loro costruzione e verifica. L'induttanzimetro assomiglia a un
multimetro, ma è specializzato per la misura delle bobine. Collegando le sue due sonde a una
94
Paolo Aliverti
bobina, otterrete immediatamente il suo valore. È possibile costruire bobine con forme più
disparate e intervenire sul loro valore con vari accorgimenti o semplicemente modificando le
caratteristiche meccaniche dell'oggetto. Potete per esempio spaziare le spire, creare
avvolgimenti su più strati o inserire nuclei di vario tipo (cilindrici o toroidali). Esistono
formule particolari per ogni tipo di avvolgimento.
È anche possibile evitarsi tutte queste fatiche e per usi generici o non particolarmente critici,
fare affidamento a delle bobine pronte all'uso. Esiste un'ampia varietà di componenti di
questo tipo con marchiature non sempre standard. Spesso si incontrano bobine simili nella
forma a delle resistenze. Anche questi componenti usano un codice di riconoscimento a
bande colorate. Potete riconoscerle con un po' di esperienza, notando che hanno le estremità
leggermente più tondeggianti di un resistore. Misurandole con un ohmmetro leggerete valori
molto bassi, di pochi ohm. Un componente come quello visibile in figura 2.53.4, che presenta
delle bande nei colori: marrone, nero, marrone e argento, ha un valore di 100 µH con
tolleranza del 10%. Solitamente l'unità di misura "base" è il µH a cui si applica il
moltiplicatore indicato dalla terza banda. Quando si sceglie questo tipo di induttori, si deve
fare attenzione anche al loro fattore di potenza, spesso indicato come corrente massima
sopportabile.
𝐿𝑡𝑜𝑡 = 𝐿1 + 𝐿2 + 𝐿3 + ⋯
95
Ricettario di Elettronica
La tensione ai capi di un induttore dipende dalle variazioni della corrente, secondo la legge:
𝑑𝐼
𝑉=𝐿
𝑑𝑡
dove L è l'induttanza del componente. Così come abbiamo visto per i condensatori è possibile
risolvere l'equazione ricavando la corrente. Per "annullare" l'effetto della derivata è
necessario applicare un integrale:
1
𝐼 = ∫ 𝑉𝑑𝑡
𝐿
Nella figura 2.56 abbiamo due induttanze collegate in serie: la tensione applicata ad
entrambe (V) si divide su ognuna delle due nelle componenti V1 e V2 e le due induttanze
sono attraversate dalla stessa corrente I. Possiamo allora scrivere l'uguaglianza:
𝑉 = 𝑉1 + 𝑉2
96
Paolo Aliverti
e sostituendo l'espressione della tensione per le induttanze avremo:
𝑑𝐼 𝑑𝐼 𝑑𝐼
𝑉 = 𝐿1 + 𝐿2 = (𝐿1 + 𝐿2 )
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡
Da cui possiamo dedurre che per le induttanze in serie vale:
𝐿𝑡𝑜𝑡 = 𝐿1 + 𝐿2
Nella figura 2.56 abbiamo invece due induttanze in parallelo. Ad entrambe è applicata la
tensione V mentre in ognuna circola una diversa corrente. Possiamo scrivere un'equazione
per le correnti:
𝐼 = 𝐼1 + 𝐼2
1 1 1 1
𝐼= ∫ 𝑉𝑑𝑡 + ∫ 𝑉𝑑𝑡 = ( + ) ∫ 𝑉𝑑𝑡
𝐿1 𝐿2 𝐿1 𝐿2
1 1 1
= +
𝐿𝑡𝑜𝑡 𝐿1 𝐿2
97
Ricettario di Elettronica
𝑑𝑉
𝐼=𝐶
𝑑𝑡
Possiamo provare a utilizzare Kirchhoff applicandolo all'unica maglia presente nel circuito.
Abbiamo quindi:
𝑉0 − 𝑉𝑅 − 𝑉𝐶 = 0
𝑉0 = 𝑉𝑅 + 𝑉𝐶
La corrente che circola nell'anello è determinata dalla carica del condensatore, quindi
possiamo aggiungere qualche dettaglio alla nostra equazione. La tensione ai capi del
condensatore è data dalla formula:
1
𝑉𝐶 = ∫ 𝐼𝑑𝑡
𝐶
1
𝑉0 = 𝐼𝑅 + ∫ 𝐼𝑑𝑡
𝐶
Questa equazione non è per nulla semplice! Ricordandoci che l'integrale ricostruisce una
derivata e che l'operazione funzione anche al contrario, possiamo provare a derivare tutto
per eliminare l'integrazione:
𝑑𝐼 1
0= 𝑅+ 𝐼
𝑑𝑡 𝐶
Il termine V0 si è annullato perché è una costante e quindi ha pendenza pari a zero.
Derivandolo otteniamo infatti:
𝑑𝑉0
=0
𝑑𝑡
98
Paolo Aliverti
Riordiniamo l'equazione che abbiamo ottenuto, sperando di avere qualche illuminazione:
𝑅𝑑𝐼 1
+ 𝐼=0
𝑑𝑡 𝐶
𝑑𝐼 1
+ 𝐼=0
𝑑𝑡 𝑅𝐶
Purtroppo è un'equazione differenziale: l'incognita è la I che è presente come derivata.
Questo tipo di equazioni sono però risolvibili e in particolare, la soluzione di questa è nota (vi
rimando a un libro di matematica o alla vostra fiducia). La soluzione è:
−𝑡
𝐼 = 𝐼0 𝑒 𝑅𝐶
Ora, conoscendo l'andamento della corrente possiamo ricavare l'andamento della tensione ai
capi del resistore R:
−𝑡 −𝑡
𝑉𝑅 = 𝐼𝑅 = 𝐼0 𝑒 𝑅𝐶 = 𝑉0 𝑒 𝑅𝐶
1 𝑡 −𝑡
𝑉𝐶 = ∫ 𝐼0 𝑒 𝑅𝐶 𝑑𝑡
𝐶 0
Per risolvere questa equazione dobbiamo calcolare l'integrale. Abbiamo visto, trattando i
99
Ricettario di Elettronica
condensatori che l'integrale è una specie di sommatoria. In questo caso il simbolo riporta uno
0 e una t, il che significa che siamo interessati a calcolare l'integrale per t che va da 0 a un
valore generico "t". Per risolverlo possiamo farci aiutare da siti come WolframAlpha
(www.wolframalpha.com) o CyMath (www.cymath.com) che sono in grado di effettuare
questi calcoli e di presentare sia il procedimento che il risultato. Per esempio per risolvere
un integrale con cymath dovete inserire nel campo di ricerca del sito una scrittura tipo:
In pochi istanti avrete la soluzione. Questo integrale però si può risolvere facilmente anche a
mano, infatti l'espressione ex è particolare e molto semplice da risolvere perché il suo
integrale è pari alla funzione stessa:
∫ 𝑒 𝑥 𝑑𝑥 = 𝑒 𝑥
1 𝑡 −𝑡 𝐼0 𝑡 −𝑡
𝑉𝐶 = ∫ 𝐼0 𝑒 𝑑𝑡 = ∫ 𝑒 𝑅𝐶 𝑑𝑡
𝑅𝐶
𝐶 0 𝐶 0
Abbiamo visto come risolvere l'integrale per ex, ma qui abbiamo all'esponente un'espressione
più complicata che potrebbe causarci qualche difficoltà. Usiamo un espediente, sostituendola
con una variabile di comodo u. Scriviamo allora la sostituzione:
−𝑡
𝑢=
𝑅𝐶
Sostituendo la t dobbiamo però sostituire anche dt. Applichiamo la derivata così ricaviamo
l'espressione da sostituire anche al posto di dt.
−𝑑𝑡
𝑑𝑢 =
𝑅𝐶
e quindi per dt avremo:
𝑑𝑡 = −𝑅𝐶𝑑𝑢
𝐼0 𝑡 𝑢 𝑡 𝑡
𝑉𝐶 = −𝑅𝐶 ∫ 𝑒 𝑑𝑢 = −𝑅𝐼0 ∫ 𝑒 𝑢 𝑑𝑢 = −𝑉0 ∫ 𝑒 𝑢 𝑑𝑢
𝐶 0 0 0
𝑉𝐶 = −𝑉0 [𝑒 𝑢 ]
−𝑡
𝑉𝐶 = −𝑉0 [𝑒 𝑅𝐶 ]
100
Paolo Aliverti
𝑒𝑥 = 1
−𝑡 −𝑡
𝑉𝐶 = −𝑉0 [𝑒 𝑅𝐶 − 1] = 𝑉0 [1 − 𝑒 𝑅𝐶 ]
La tensione ai capi del condensatore parte da 0 e sale fino a raggiungere il valore massimo
(V0). All'esponente dell'espressione ricavata troviamo la costante RC, anche chiamata
costante di tempo (τ). Quando il tempo trascorso dalla chiusura dell'interruttore è pari a RC,
la tensione ai capi del condensatore ha raggiunto circa il 63% del suo valore. Possiamo
ricavare il valore percentuale sostituendo RC al posto di t e immaginando che V 0 valga 100:
−𝑅𝐶
𝑃𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑎 = 100 [1 − 𝑒 𝑅𝐶 ] = 100[1 − 𝑒 −1 ] ≃ 63%
−2𝑅𝐶
𝑃𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑎 = 100 [1 − 𝑒 𝑅𝐶 ] = 100[1 − 𝑒 −2 ] ≃ 86%
Aumentando la capacità del condensatore e il valore della resistenza i tempi aumentano. Con
un condensatore da 10 µF in serie con una resistenza da 10 kΩ la costante di tempo vale:
𝜏 = 10𝜇𝐹 ⋅ 10𝐾𝛺 = 10 ⋅ 10−6 ⋅ 10 ⋅ 103 = 100 ⋅ 10(−6+3) = 102 ⋅ 10−3 = 10−1 = 0.1𝑠
101
Ricettario di Elettronica
Figura 2.59 – Tracciati "normalizzati" (cioè riportati a 1) per la tensione ai capi di R e C e per la corrente durante
la fase di carica del condensatore.
102
Paolo Aliverti
inizialmente si opporrà alla corrente mentre tra le sue spire si stabilisce il campo
elettromagnetico. La corrente crescerà fino al valore massimo, determinato dal resistore R.
Potremo quindi misurare una corrente che aumenterà progressivamente. Non appena il
circuito è a regime (la corrente è stabile), l'induttore apparirà come un corto circuito e quindi
la tensione ai suoi capi sarà pari a zero. Per analizzare il circuito in modo più preciso
dobbiamo ricordarci qual è la legge che descrive l'andamento della tensione ai capi di
un induttore:
𝑑𝐼
𝑉𝐿 = 𝐿
𝑑𝑡
Osservando il circuito di figura 2.60 possiamo individuare una maglia e quindi scrivere
le tensioni che incontriamo percorrendo l'anello:
𝑉0 = 𝑉𝑅 + 𝑉𝑅
𝑑𝐼
𝑉0 = 𝑅𝐼 + 𝐿
𝑑𝑡
Proviamo a riordinare l'equazione che abbiamo ricavato:
𝑑𝑖
𝐿 + 𝑅𝐼 = 𝑉0
𝑑𝑡
Dividiamo tutto per L:
𝑑𝑖 𝑅 𝑉0
+ 𝐼=
𝑑𝑡 𝐿 𝐿
Anche questa è un'equazione differenziale e non è semplice da risolvere senza qualche
nozione matematica avanzata. A questo punto imbrogliamo e ci facciamo suggerire la
soluzione da qualche amico matematico. La soluzione dell'equazione è un'espressione
che contiene fondamentalmente un'esponenziale:
𝑉0 −𝑡 𝑉0 −𝑅𝑡
𝐼= (1 − 𝑒 𝐿⁄𝑅 ) = (1 − 𝑒 𝐿 )
𝑅 𝑅
Conoscendo l'andamento della corrente nel transitorio iniziale posso ricavare la
formula che descrive la tensione ai capi della resistenza R:
𝑉0 −𝑅𝑡 −𝑅𝑡
𝑉𝑅 = 𝑅𝐼 = 𝑅 ( (1 − 𝑒 𝐿 )) = 𝑉0 (1 − 𝑒 𝐿 )
𝑅
103
Ricettario di Elettronica
Serve una nota sull'ultimo passaggio. È vero che la derivata:
𝑑 𝑥
(𝑒 ) = 𝑒 𝑥
𝑑𝑡
Ma se all'esponente abbiamo una costante che moltiplica la x, la derivata diventa:
𝑑 𝑎𝑥
(𝑒 ) = 𝑎𝑒 𝑥
𝑑𝑡
In questi casi può esservi d'aiuto il sito di Cymath.com. Inserendo nel campo di ricerca:
Differentiate e^(cx)
𝐿
𝜏=
𝑅
Analogamente al caso del condensatore, se t è pari alla costante di tempo (che dipende dai
valori di R e L utilizzati), troverò che la tensione è scesa del 63,2% rispetto al valore massimo
Figura 2.61 – Andamenti (normalizzati cioè riportati a 1) della tensione ai capi dell'induttore L e della resistenza
e della corrente durante il transitorio di carica.
104
Paolo Aliverti
21. Come calcolare la reattanza di un condensatore
I condensatori attraversati da una corrente variabile ad una certa frequenza si comportano
come una resistenza. In questi casi però parliamo di reattanza e non di resistenza. La
reattanza, come abbiamo visto nel capitolo 1, dipende dalla frequenza (f) e dal valore del
condensatore (C). La reattanza s’indica con la lettera X e si calcola con la formula:
1
𝑋𝐶 =
2𝜋𝑓𝐶
105
Ricettario di Elettronica
Figura 2.62 – Tracciato su grafico a scala logaritmica della reattanza di un condensatore ideale (rosso). In blu è
tracciata la reattanza di un condensatore reale. Le differenze sono dovute agli effetti parassiti e secondari sul
componente.
𝑋𝐿 = 2𝛱 ⋅ 𝑓 ⋅ 𝐿
Anche per gli induttori, l'energia assorbita non è dissipata in calore ma immagazzinata come
campo elettromagnetico. Gli induttori ideali quindi non si surriscaldano. Nella realtà sono
presenti effetti parassiti e secondari che ne modificano il comportamento e che possono
sviluppare calore.
Per una bobina da 100 µH (100・10-6) alla frequenza di 50 Hz, la reattanza ha un valore pari
a:
Possiamo tracciare un grafico che riporta l'andamento della reattanza in funzione della
frequenza applicata (fig. 2.63).
106
Paolo Aliverti
Figura 2.63 – Tracciato su grafico a scala logaritmica della reattanza di un induttore ideale (rosso). In blu è
tracciata la reattanza di un induttore reale. Le differenze sono dovute agli effetti parassiti e secondari sul
componente.
Figura 2.64 – Circuito composto da un generatore sinusoidale collegato a un resistore in serie con un
condensatore e una induttanza.
Vogliamo esaminare cosa accade al circuito "a regime", cioè una volta che le tensioni e le
correnti si sono stabilite nel circuito. Utilizziamo un generatore di tensione sinusoidale come
frequenza pari a f e una certa fase iniziale (φ):
107
Ricettario di Elettronica
2𝜋𝑓𝑡 = 𝜔𝑡
Ora consideriamo l'unico anello presente nel circuito e scriviamo con Kirchhoff:
𝑉(𝑡) = 𝑉𝑅 + 𝑉𝐿 + 𝑉𝐶
Vogliamo determinare la corrente che scorre nel circuito e quindi l'andamento delle tensioni
ai capi di ogni componente. Conoscendo per ogni componente l'espressione della tensione ai
suoi capi nota la corrente possiamo scrivere:
𝑑𝐼 1
𝑉0 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡 + 𝜙) = 𝐼𝑅 + 𝐿 + ∫ 𝐼𝑑𝑡
𝑑𝑡 𝐶
Non è un’equazione per nulla semplice da risolvere. Possiamo provare a differenziarla per
cercare di far sparire l'integrale. Omettendo i passaggi matematici otterremmo:
𝑑𝐼 𝑑2 𝐼 1
−𝜔𝑉0 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 + 𝜙) = 𝑅 +𝐿 2+ 𝐼
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝐶
La situazione non è per nulla migliorata e l'equazione che ci troviamo tra le mani è di tipo
differenziale di secondo grado! Sarebbe possibile risolverla e si trova anche una soluzione ma
ci rendiamo conto che non è una strada percorribile. Cosa possiamo fare? Per risolvere un
circuito di questo tipo senza troppe difficoltà dobbiamo ripescare alcuni dei concetti teorici
illustrati nel primo capitolo, in particolare ci serviranno i fasori. In questo modo potremo
considerare l'induttanza L e la capacità C come se fossero dei particolari bipoli, simili a dei
resistori dal valore molto particolare, infatti avranno un valore espresso utilizzando dei
numeri complessi. I numeri complessi sono dei particolari numeri che assomigliano molto
a delle coordinate, espresse con una scrittura unica, come per esempio:
𝑧1 = 10 + 𝑗5
I numeri complessi hanno due componenti una chiamata reale e l'altra immaginaria. La
componente immaginaria è sempre preceduta dalla lettera i o j, chiamata l'unità immaginaria.
Matematicamente parlando, la i permette di trovare una soluzione alla radice quadrata di -1.
Sappiamo risolvere radici quadrate di ogni numero, purché sia positivo. Quindi:
√4 = 2
22 = 2 ∙ 2 = 4
√−1 =?
È una scrittura senza senso o potrebbe esistere una soluzione? Il primo riferimento alla
radice quadrata di un numero negativo si trova attorno al I secolo a.C. negli scritti di Erone di
Alessandria. Ne parlano anche Tartaglia e Cardano, ma sono ufficialmente accettati solo con
108
Paolo Aliverti
Wessel (1799) e Gauss (1832). Bene, pare che ci sia una soluzione a questo dilemma e sia un
numero così particolare che quasi non esiste. Questo numero è chiamato unità immaginaria
e vale: i. Quindi:
√−1 = 𝑖
e
𝑖 2 = −1
È un po' come se fino ad ora avessimo utilizzato solo numeri "reali" tracciabili su un foglio e
ad un certo punto, con una lama affilatissima sfogliassimo il foglio in due parti rivelando una
nuova dimensione, infatti i numeri complessi si possono rappresentare in due coordinate.
Prendiamo per esempio il numero:
𝑧 = 𝑎 + 𝑗𝑏
È formato da due parti, una detta reale, corrispondente alla "a" e una immaginaria,
corrispondente alla "b". Possiamo tracciarlo su due assi perpendicolari, prendendo la a come
ascissa (distanza lungo l'asse orizzontale) e la b come ordinata (distanza lungo l'asse
verticale). La j da sola corrisponde a un punto posto sull'asse verticale ad una quota pari a 1.
Figura 2.65 – Rappresentazione grafica, su un piano, del numero Z (1) e dell'unità immaginaria (2).
Ogni numero complesso essendo definito da due coordinate, può anche essere individuato da
un angolo e dalla sua distanza dall'origine. Per il numero z, la distanza si calcola
semplicemente utilizzando il teorema di Pitagora:
𝑑𝑍 = √𝑎2 + 𝑏2
𝑏
𝑡𝑎𝑛(𝛼 ) =
𝑎
Per ricavare l'angolo (tra 90° e -90°), conoscendo a e b possiamo usare la funzione inversa
della tangente:
109
Ricettario di Elettronica
𝑏 𝑏
𝑎𝑟𝑐𝑡𝑎𝑛 ( ) = 𝑡𝑎𝑛−1 ( ) = 𝛼
𝑎 𝑎
Figura 2.66 – Rappresentazione del numero complesso Z, del suo modulo e dell'angolo che forma con l'asse
orizzontale.
Nel capitolo 1 abbiamo visto come è possibile dare una rappresentazione "abbreviata" di una
tensione sinusoidale utilizzando i numeri complessi. Una tensione come la:
𝑉 = 𝑉0 𝑐𝑜𝑠(2𝜋𝑓𝑡 + 𝜙) = 𝑉0 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡 + 𝜙)
𝜔𝑡 = 2𝜋𝑓𝑡
può essere descritta come un fasore, tenendo in considerazione solo la fase φ e la sua
ampiezza V0. Potremo quindi scrivere, al posto dell'espressione con il coseno:
𝐕 = 𝑉0 𝑒𝑗(𝜔𝑡+𝜙)
𝐕 = 𝑉0 ¬𝜙
Possiamo ora analizzare alcune situazioni tipiche in cui un generatore sinusoidale è collegato
a un resistore, un condensatore e un induttore. Utilizzeremo quindi i fasori e ricaveremo delle
espressioni di questi componenti che ci permettano di utilizzarli come se fossero dei resistori
"particolari".
110
Paolo Aliverti
Figura 2.67 – Un generatore sinusoidale collegato rispettivamente a una resistenza (1), a un condensatore (2) e
a un induttore (3).
In questi casi, in cui i circuiti sono alimentati con un unico generatore sinusoidale, possiamo
pensare di trattare con dei bipoli generici che presenteranno una resistenza che potrà essere
sia reale che immaginaria (un numero complesso), per questo la chiameremo impedenza e
la rappresenteremo con la lettera Z. Possiamo quindi trattare i componenti come elementi
del tutto generici, dotati di un'impedenza espressa con un numero complesso. La tabella 2.14
riassume le espressioni da utilizzare per i componenti passivi. Ricordatevi che il valore
dell'impedenza, dipende da ω e quindi dalla frequenza di funzionamento del circuito.
111
Ricettario di Elettronica
Figura 2.68 – Impedenza per un resistore (1), un condensatore (2) e un induttore (3).
Osserviamo che, per un resistore, l'impedenza coincide con il suo valore resistivo:
𝑍𝑅 = 𝑅
𝑍𝐶 = 10 − 𝑗5, 𝑍𝐿 = 5 + 𝑗12
I valori della parte reale e immaginaria dipendono dai componenti e dalla frequenza di
utilizzo. Risolvere circuiti come quelli in figura 2.67 non è poi così complicato perché per le
induttanze valgono ancora la legge di Ohm e le leggi di Kirchhoff. Proviamo a risolvere il
circuito 1 di figura 2.67: il generatore è collegato direttamente al resistore R. La legge di Ohm
per le induttanze sarà:
𝐕 =𝑰⋅𝑍
dove V e I sono dei fasori. La legge di Kirchhoff per l'unico anello presente ci permette di
scrivere:
𝑽 = 𝑽𝑹
𝐕 = 𝐈 ⋅ 𝑍𝑅
e quindi la corrente:
𝐕
𝐈=
𝑍𝑅
𝑍𝑅 = 𝑅 + 𝑗0 = 𝑅
La tensione applicata è una sinusoide con ampiezza V 0 che esprimeremo come fasore:
𝐕 = 𝑉0 𝑒𝑗(𝜔𝑡+𝜙)
o ancora meglio:
𝐕 = 𝑉0 ¬𝜙
112
Paolo Aliverti
Che significa che abbiamo un’onda con ampiezza V o e fase phi. Quindi:
𝑒 𝑗(𝜔𝑡+𝜙) 𝑉0 ¬𝜙 𝑉0
𝑰 = 𝑣0 = = ¬𝜙
𝑅 𝑅 𝑅
La corrente sarà quindi pari a una sinusoide con la medesima frequenza e fase della tensione
e con ampiezza pari a Vo fratto R.
Nel secondo circuito visibile in figura 2.67, abbiamo un condensatore collegato allo stesso
generatore sinusoidale di tensione. L'espressione della corrente per il condensatore è:
𝑑𝑉
𝐼𝐶 = 𝐶
𝑑𝑡
Sostituendo l'espressione della sinusoide scritta in forma di fasore abbiamo:
𝑑
𝐼𝐶 = 𝐶 (𝑉 𝑒𝑗𝜔𝑡+𝜙 )
𝑑𝑡 0
Dobbiamo calcolare la derivata del fasore, che è scritto con un esponenziale. Sapendo che:
𝑑𝑒 𝑥
= 𝑒𝑥
𝑑𝑡
Se la x all'esponente è moltiplicata per qualche costante abbiamo:
𝑑𝑒 𝑎𝑥
= 𝑎 ⋅ 𝑒𝑥
𝑑𝑡
Invece, una costante, se derivata, “sparisce” (diventa pari a 1):
𝑑𝑒 𝑎𝑥+𝑐
= 𝑎 ⋅ 𝑒𝑥
𝑑𝑡
Allora la corrente per il condensatore sarà pari a:
𝑑
𝐼𝐶 = 𝐶 (𝑉 𝑒 𝑗𝜔𝑡+𝜙 ) = 𝑗𝜔𝐶𝑉0 𝑒 𝑗𝜔+𝜙
𝑑𝑡 0
Potendo comparare il condensatore a un generico bipolo con una certa induttanza e
applicando la legge di ohm "generalizzata" abbiamo:
𝐕
𝐈=
𝑍𝐶
1
𝑍𝐶 =
𝑗𝜔𝐶
Volendo portare la j al numeratore, moltiplichiamo sia sopra che sotto per j ed otteniamo
113
Ricettario di Elettronica
quindi:
1 𝑗 −𝑗 1
𝑍𝐶 = = =0−𝑗
𝑗𝜔𝐶 𝑗 𝜔𝐶 𝜔𝐶
Possiamo svolgere dei calcoli analoghi anche per il terzo circuito di figura 2.67, dove troviamo
un induttore collegato al generatore di tensione sinusoidale. I calcoli in questo caso
risulteranno più impegnativi perché dovremo affrontare un integrale. Analizzando l'unica
maglia presente e ricordandoci che la corrente per un induttore vale:
𝐼𝐿 = ∫ 𝑉𝑑𝑡
Consideriamo anche in questo caso l'induttore come se fosse un generico bipolo e usiamo la
legge di Ohm generalizzata:
𝑉𝐿 = 𝐼𝐿 ⋅ 𝑍𝐿
Usiamo anche in questo caso la tensione del generatore espressa nella forma:
𝐕 = 𝑉0 𝑒𝑗(𝜔𝑡+𝜙)
1 1 𝑉0
𝐼𝐿 = ∫ 𝑉𝑑𝑡 = ∫ 𝑉0 𝑒 𝑗𝜔𝑡+𝜙 𝑑𝑡 = ∫ 𝑒 𝑗𝜔𝑡+𝜙 𝑑𝑡
𝐿 𝐿 𝐿
Sappiamo risolvere l'integrale di ex:
∫ 𝑒 𝑥 𝑑𝑥 = 𝑒 𝑥
Avendo all'esponente non una semplice “x” (o t) ma un'espressione più complessa, possiamo
sostituirla con una variabile di comodo u:
𝑗𝜔𝑡 + 𝜙 = 𝑢
𝑗𝜔𝑑𝑡 = 𝑑𝑢
e quindi:
𝑑𝑢
𝑑𝑡 =
𝑗𝜔
Sostituiamo nell'integrale:
𝑉0 1
𝐼𝐿 = ⋅ ∫ 𝑒 𝑢 𝑑𝑢
𝐿 𝑗𝜔
114
Paolo Aliverti
𝑉0 𝑢 𝑉0 𝑗𝜔𝑡+𝜙
𝐼𝐿 = 𝑒 = 𝑒
𝑗𝜔𝐿 𝑗𝜔𝐿
Possiamo portare la j al numeratore, moltiplicando sia sopra che sotto per j e ricordandoci
che:
𝑗 ⋅ 𝑗 = −1
Avremo quindi:
𝑗 𝑉0 𝑗𝜔𝑡+𝜙 𝑉0 𝑗𝜔𝑡+𝜙
𝐼𝐿 = ⋅ 𝑒 = −𝑗 ⋅ 𝑒
𝑗 𝑗𝜔𝐿 𝜔𝐿
Da cui per confronto con la legge di Ohm generalizzata possiamo dedurre che:
𝑍𝐿 = 0 + 𝑗𝜔𝑡 = 𝑗𝜔𝑡
𝑍𝑡𝑜𝑡 = 𝑍1 + 𝑍2
𝑍1 = 10 + 𝑗5
𝑍2 = 2 − 𝑗8
Figura 2.69 – La serie di due impedenze è pari alla somma dei singoli valori.
115
Ricettario di Elettronica
Proveremo ora a risolvere un circuito con dei componenti passivi collegati in serie.
Considereremo i componenti come se fossero delle generiche impedenze, alimentate da un
generatore di tensione sinusoidale. Le tensioni e le correnti presenti saranno quindi tutte alla
stessa frequenza, condizione fondamentale per risolvere questo tipo di circuiti con il metodo
dei fasori.
Figura 2.70 – Circuito formato da un condensatore in serie con un resistore (1) e lo stesso circuito analizzato
considerando i componenti come se fossero generiche impedenze (2).
Ipotizziamo che la frequenza del generatore sia una sinusoide a 50 Hz con ampiezza di 24
volt. Lo schema del circuito è illustrato in figura 2.70, dove abbiamo un resistore R da 100 kΩ
in serie con un condensatore C da 100 nF. La serie di questi due componenti, se utilizzata per
smorzare le sovratensione è spesso chiamata rete "snubber". Prima di tutto calcoliamo
l'impedenza dei singoli componenti. Poi, trattandosi di un collegamento in serie, sommeremo
i loro valori.
𝑍𝑅 = 100𝑘𝛺 + 𝑗0 = 100𝑘𝛺
1 1
𝑍𝐶 = −𝑗 = −𝑗
𝜔𝐶 2𝜋𝑓𝐶
𝑍𝑇𝑂𝑇 = 𝑍𝑅 + 𝑍𝐶
Questo è un numero complesso che può essere rappresentato su un piano perché corrisponde
116
Paolo Aliverti
alle coordinate di un punto. Possiamo anche ricavare la sua espressione in coordinate polari,
cioè con la distanza dall'origine degli assi assieme all'angolo formato con l'asse orizzontale.
La distanza del punto dall'origine è anche chiamata modulo del numero complesso.
Osservando la figura 2.71 possiamo intuire che il calcolo è semplice utilizzando il teorema di
Pitagora. Il modulo è dunque:
−𝑏 −31847
𝛼 = 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑎𝑛 ( ) = 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑎𝑛 ( ) = 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑎𝑛(−0.31947) = −17.67°
𝑎 100000
Se calcolate l'angolo con la calcolatrice verificate che sia impostata nella modalità DEG (non
in RAD o DEC), per avere un risultato espresso in gradi sessagesimali (quelli tra 0 e 360) e
verificate, osservando le coordinate, che l'angolo sia tra -90° e +90°: l'arcotangente non
distingue tra angoli inferiori e superiori a 90° e dovrete eventualmente correggere il risultato
ottenuto aggiungendo o sottraendo i 90° mancanti.
𝐕 = 24¬0°
117
Ricettario di Elettronica
𝐕 24¬0° 24
𝐈= = =( ) ¬(0° − (−17°)) ≃ 0.23𝑚𝐴¬17°
𝑍𝑇𝑂𝑇 104958¬ − 17° 104958
e quindi:
Vi sarete sicuramente accorti che qualcosa non torna, infatti sommando le tensioni ai capi di
resistenza e condensatore, non otteniamo la stessa tensione fornita dal generatore. La cosa
non deve preoccuparci ed è normale perché stiamo cercando di sommare delle sinusoidi che
sono sfasate tra di loro!
1
𝑌=
𝑍
L’ammettenza di due bipoli in parallelo è pari alla somma delle singole ammettenze:
𝑌𝑡𝑜𝑡 = 𝑌1 + 𝑌2
1 1 1
= +
𝑍𝑡𝑜𝑡 𝑍1 𝑍2
𝑍1 𝑍2
𝑍𝑡𝑜𝑡 =
𝑍1 + 𝑍2
118
Paolo Aliverti
Figura 2.72 – Due generici bipoli collegati in parallelo hanno un’impedenza pari alla somma delle singole
ammettanze. La formula è simile a quella usata nel calcolo di due resistori in parallelo.
Analizziamo il circuito in figura 2.73 dove troviamo i due condensatori in serie collegati a un
generatore di tensione sinusoidale di cui non ci interessa la frequenza, ma solo l'ampiezza.
𝑉0 = 𝑖𝑍1 + 𝑖𝑍2
La tensione e la corrente sono espresse come fasori. Per i condensatori consideriamo la loro
impedenza. Una volta ricavata la corrente i possiamo calcolare la tensione ai capi dei due
condensatori utilizzando la legge di Ohm generalizzata:
𝑉1 = 𝑖𝑍1
𝑉2 = 𝑖𝑍2
119
Ricettario di Elettronica
La corrente è quindi:
𝑉0 1 −𝑗 1 1 𝐶1
𝑉2 = 𝑖𝑍2 = ⋅ 𝑍 = 𝑉0 ⋅ ⋅ = 𝑉0 ⋅ ⋅ = 𝑉0 ⋅
𝑍1 + 𝑍2 2 −𝑗 −𝑗 2𝜋𝑓𝐶2 𝐶2 + 𝐶 1 𝐶2 𝐶1 + 𝐶2
2𝜋𝑓𝐶1 + 2𝜋𝑓𝐶2 𝐶1 𝐶2
𝐶2
𝑉1 = 𝑖𝑍1 = 𝑉0 ⋅
𝐶1 + 𝐶2
10 ⋅ 10−9 10
𝑉1 = 12 ⋅ −9 −9
= 12 ⋅ = 1.09𝑉
10 ⋅ 10 + 100 ⋅ 10 110
100 ⋅ 10−9 100
𝑉2 = 12 ⋅ −9 −9
= 12 ⋅ = 10.91𝑉
10 ⋅ 10 + 100 ⋅ 10 110
Figura 2.74 – È possibile accendere un LED con la tensione di rete collegandolo in serie con un condensatore
opportuno.
120
Paolo Aliverti
che preleveremo avrà un valore di 230 volt, che però sono efficaci (rms). A noi serve il valore
massimo della tensione che possiamo ricavare moltiplicando il calore efficace per la radice
quadrata del numero 2:
Sapendo che i LED, per accendersi, richiedono una tensione di circa 2 volt con una corrente
di una decina di milliampere, possiamo ricavare, per differenza, la tensione che dovremo
trovare ai capi del condensatore che varrà 323 volt. Nel circuito di figura 2.74 troviamo anche
una resistenza da 390 Ω inserita per limitare ulteriormente la corrente che raggiunge il LED.
Abbiamo inserito due LED in anti-parallelo così che uno dei due LED sia sempre acceso e che
quello spento non sia sottoposto a una tensione inversa troppo elevata. Potete anche
sostituire uno dei due LED con un diodo come per esempio l'1N4004.
La parte cruciale del circuito è il condensatore, il cui valore possiamo ricavare dalla formula
che esprime la sua reattanza.
Conoscendo la tensione e la corrente che dovremmo trovare sul condensatore, ricaviamo il
valore di reattanza:
323𝑉
𝑍𝐶 = = 32300𝛺
10𝑚𝐴
La formula per la reattanza del condensatore è:
1
𝑋𝐶 =
2𝜋𝑓𝐶
1 1
𝐶= = = 98 ⋅ 10−9 𝐹 ≃ 100𝑛𝐹
2𝜋𝑓𝑋𝐶 2𝜋50 ⋅ 32300
Possiamo quindi utilizzare un condensatore a film da 100 nF e che possa sopportare una
tensione di almeno 250 volt. La resistenza da mettere in serie al LED può avere un valore di
390 Ω.
Questo tipo di circuito è di tipo dimostrativo. Non utilizzatelo per alimentare i vostri circuiti
a bassa tensione, a meno che sia l'unica soluzione possibile. Questo sistema di alimentazione
non è isolato e introduce molti disturbi nei vostri circuiti.
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