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L’evoluzione semantico-funzionale dell’elemento -q-

nella morfologia verbale del greco*


Elisabetta Magni

1. Introduzione

L’ultimo capitolo di Origines de la formation des noms en indo-européen,


è dedicato alla disamina dei valori di un affisso poco studiato, ma la cui
importanza è ripetutamente sottolineata da Benveniste:

*-dh- joue dans la dérivation, préhistoriquement et historiquement, le rôle le plus


considérable, mais probablement le moins bien connu
(Benveniste 1935: 188).

Se a livello comparativo la complessità di esiti e funzioni del formante


giustificano le cautele di Brugmann, che rinuncia ad indicarne il ruolo
1
specifico , è però indubbio che il greco offre al riguardo un panorama di fatti
estremamente ricco e interessante. Qui l’elemento -q- sembra infatti
manifestare una funzione produttiva già nella lingua omerica, dove compare

*
Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Percorsi diacronici
della morfosintassi indoeuropea nella prospettiva della continuità e discontinuità, cofinanziato
dal MIUR. L’unità operativa di riferimento è quella dell’Università per Stranieri di Siena,
coordinata dalla Prof. Marina Benedetti.
1. Lo studioso rileva infatti le difficoltà nella distinzione tra il ruolo di ampliamento
radicale e di suffisso, e anche la confusione tra *-dh- e *-d- (i cui esiti, coincidono, interamente
o parzialmente, in iranico, celtico, latino e alcune lingue italiche, baltico e slavo): «Bei beiden
Formantien kommt wieder die Unmöglichkeit in Betracht, präsensbildendes Element und
sogen. Wurzeldeterminativ oder Wurzelerweiterung auseinanderzuhalten. Dass übrigens alle -
dh- und alle -d- Formen die gleichen Art der Entstehung gehabt haben, ist nicht zu erweisen»
(Brugmann 1916: 372-373).

1
in una serie di presenti, e in alcune forme di aoristo e di perfetto2. E se pure è
vero che, in seguito, questo tipo di formazioni non ha conosciuto uno sviluppo
apprezzabile (Chantraine 19583: 326), è però possibile rintracciare una linea
di continuità che, a detta di alcuni studiosi3, collega il suffisso alla vicenda del
medio e dell’aoristo passivo.
Un contributo presentato al V Incontro Internazionale di Linguistica Greca
(Magni 2004) ha proposto un riesame dei presenti omerici in -qw, mentre
successive indagini (Magni 2008) hanno esplorato le relazioni che motivano
sia il loro legame con i passivi in -qh-, sia il contrasto tra questi ultimi e agli
aoristi medi, e in particolare il tipo in -savmhn.
Il presente studio muove da queste ricerche per illustrare come la tipologia
e il modello delle mappe semantiche siano utili strumenti per ricondurre le
varie manifestazioni di questo elemento ad una costellazione di usi e
significati in cui si attua sia la collisione con il medio, sia la transizione dalla
derivazione alla flessione. Dati i limiti di spazio, la discussione si concentrerà
sul primo punto, e in particolare sui dettagli dell’articolazione sincronica che
motiva l’evoluzione del suffisso.

2. Le coppie omeriche

In Omero le forme in -qw si affiancano ad altri presenti ottenuti dalla


medesima radice secondo il tipo tematico o atematico. La grammatica di
Schwyzer (1953: 703-704) si limita ad elencarli, senza proporre alcuna
caratterizzazione semantica, mentre Risch (19742: 278) rileva soltanto che «ist
die Aktionsart schwer zu bestimmen. Am häufigsten ist -qw bei Verben, die
einen physiologischen Vorgang bezeichnen». Uno studio più recente, infine,
afferma recisamente che questi presenti «carry no special meaning» (Kujọrẹ
1973: 98).
D’altro canto, è vero che la funzione ‘aspettuale’, a suo tempo individuata
da Chantraine, non si realizza in modo coerente4:

2. «Die Verba auf -qw und -qon sind der Bildung und Bedeutung nach recht
verschiedenartig; sie sind z.T. Präsentien, z.T. Aoriste» (Risch 19742: 278), mentre sono
pochissimi i cosiddetti «Perfekta auf -qa» (Risch 19742: 347). Secondo Benveniste (1935: 198-
207), il suffisso riveste una funzione importante anche nella derivazione nominale e
aggettivale, di cui tuttavia non ci occuperemo in questa sede.
3. Cfr. Wackernagel (1890), e soprattutto Prévot (1935), fino al più recente lavoro di
Pernéè (1984).
4. «[T]his distinction even within the pairs in which it can be observed is, it is admitted,
by no means rigid» (Kujọrẹ 1973: 101 s.).

2
Le grec emploie le verbe en *-qw quand l’achèvement de l’action est envisagé. La
nuance est voisine de celle du verbe déterminé en slave. […] le suffixe *-qw fournit
des présents terminatifs
(Chantraine 1925: 94).

E un discorso analogo vale anche per il nesso con il medio e l’intransitività


intuito da Benveniste5:

la notion de ‘déterminé’ perd-elle de son importance à côté du fait essentiel que ces
présents sont tous intransitifs et de valeur nettement moyenne
(Benveniste 1935: 194).

Tuttavia, la spiegazione secondo cui si tratterebbe di «mere metrical


variants in no way differentiated functionally from the rival forms» (Kujọrẹ
1973: 103), sembra poco convincente6.
In effetti, una dettagliata rianalisi dei contesti di impiego delle coppie
omeriche in (1), avvalora l’ipotesi che i verbi in -qw non siano dei semplici
‘doppioni’, ma la manifestazione di un fenomeno di alternanza che individua
un contrasto più ristretto e specifico rispetto a quello fra transitivo/
intransitivo.

(1) pivmplhmi/plhvqw riempire/riempirsi


flevgw/flegevqw bruciare (tr./intr.)
fqivnw/fqinuvqw uccidere/morire
baruvnw/baruvqw appesantire/appesantirsi
faeivnw/faevqw illuminare/splendere
aj(e)ivrw/hjerevqomai sollevare/sollevarsi
ajgeivrw/hjgerevqomai raccogliere/raccogliersi

Vediamo qualche esempio, tra i molti discussi in Magni (2004). Nella


coppia pivmplhmi/plhvqw, il primo verbo è chiaramente transitivo nella
seguente similitudine:

(2) Il. 21.23-24:


wJı d∆ uJpo; delfi'noı megakhvteoı ijcquveı a[lloi
feuvgonteı pim pl a' s i mucou;ı limevnoı eujovrmou

5. «With regard also to transitive and intransitive functions, there is no uniform


distribution» (Kujọrẹ 1973: 101).
6. Già Chantraine (1925: 96) accennava alla comodità della sequenza anapestica nel tipo
in -eqw: «[l]e caractère artificiel de la forme se comprend parce qu’elle a été faite pour entrer
dans un vers artificiel, l’hexamètre».

3
“come, sotto un delfino enorme, gli altri pesci
fuggendo riempiono i fondali del porto buon approdo”

Ma si osservi il significato del secondo nel passo in cui il poeta descrive


una tempesta e la furia crescente dei fiumi che esondano:

(3) Il. 16.389:


tw'n dev te pavnteı me;n potamoi; pl hv q ousi rJevonteı,
“ed ecco che tutti i loro (sc. degli uomini) fiumi si riempiono scorrendo”

È evidente che l’azione avviene senza che vi sia un intervento esterno, né


l’esercizio di volontà e controllo da parte di un agente istigatore. E anche le
fiaccole in (4) ardono da sole:

(4) Il. 18.210-211:


[…] a{ma d∆ hjelivw/ kataduvnti
pursoiv te fle gev q ousin ejphvtrimoi …
“[…] ma con il calare del sole
le fiaccole ardono fitte”

Chantraine (1925: 102) traduce “des torches s’allument”: si accendono, e


la sua versione coglie involontariamente una sfumatura importante, poiché
rende il senso di un evento che accade motu proprio. Non a caso, flevgw
compare invece quando il fuoco è una forza attiva che si applica su un
oggetto, come in (5):

(5) Il. 2.455:


hju?te pu'r aji?dhlon ej p i flev gei a[speton u{lhn
“come il fuoco distruttore incendia un’immensa foresta”

E nella scena in (6), dove Achille fa allestire il rogo funebre per Patroclo:

(6) Il. 23.52:


o[fr∆ h[toi tou'ton me;n ej p if lev g h/ ajkavmaton pu'r
“affinché il fuoco instancabile lo bruci”

La coppia baruvnw/baruvqw gioca invece sull’opposizione rendere pesante


vs. appesantirsi, e infatti Omero impiega il primo predicato con valore

4
causativo in Il. 5.664 e in Od. 5.321, così come in (7), quando Alessandro
ferisce Euripilo:

(7) Il. 11.583-584:


[…] kaiv min bavle mhro;n oji>stw'/
dexiovn: ejklavsqh de; dovnax, ej b av rune de; mhrovn.
“[…] e con la freccia lo colse nella coscia
destra; si spezzò l’asta e appesantì l’arto”

Ma troviamo invece baruvqw, che ricorre una sola volta, nel lamento di
Glauco in (8):

(8) Il. 16.518-519:


[…] oujdev moi ai|ma
tersh'nai duvnatai, b aruv qei dev moi w\moı uJp∆ aujtou'
“[…] e a me il sangue non
si può rapprendere, mi si appesantisce la spalla per esso”

Insomma, come si evince da questi esempi, ciò che motiva l’esistenza delle
coppie di presenti in questione è la relazione causativo/incoativo7.

3. L’alternanza causativo/incoativo

Il termine incoativo, non particolarmente felice, ma accolto nella


letteratura recente sull’argomento 8, è un’etichetta relativamente ampia e
volutamente generica, che sussume le caratteristiche dei predicati relativi a
processi di tipo telico e atelico, per i quali non viene menzionata un’entità
causale.
Haspelmath definisce il rapporto tra un incoativo ed un corrispondente
predicato transitivo nei termini seguenti:

7. Per un’analisi del fenomeno in vedico, cfr. Lazzeroni (2004).


8. Il termine incoativo è infatti originariamente usato nel senso di incettivo, cioè in
riferimento a verbi che indicano l’inizio di un’azione (come quelli latini in -sco). In Haspelmath
1987 (il cui § 2.1 è dedicato ad un’approfondita discussione sulle scelte terminologiche), viene
invece impiegato il termine anticausativo. Ma in effetti questa nozione ha (anche in
Haspelmath 1993) un significato più ristretto e specifico rispetto a quella di incoativo, poiché
include solo gli intransitivi inaccusativi (telici).

5
it is a pair of verbs which express the same basic situation (generally a change of
state, more rarely a going-on) and differ only in that the causative verb meaning
includes an agent participant who causes the situation, whereas the inchoative verb
meaning excludes a causing agent and presents the situation as occurring
spontaneously
(Haspelmath 1993: 90).

Nello specifico, però, l’istanza di causazione ha un ruolo implicito nel


determinare le modalità e le forme prevedibili dell’alternanza:

among verbs describing spontaneously occurring eventualities, it is the status of the


eventuality as internally or externally caused that determines the morphological
shape of the verb
(Levin, Rappaport Hovav 1995: 106).

In altre parole, si possono avere coppie semanticamente e formalmente


differenti a seconda di come l’esperienza registra il tipo di processo implicato:
in base alle relazioni di marcatezza, Haspelmath (1993: 91-92) riconosce tre
tipi fondamentali di alternanza causativo/incoativo:

(9) • alternanza causativa: incoativo basico/causativo derivato


it. crollare/far crollare; ar. darasa/darrasa ‘apprendere/insegnare’
• alternanza anticausativa: causativo basico/incoativo derivato
gr. mod. shkwvnw/shkwvnomai = it. sollevare/sollevarsi
• alternanze non-direzionate: né causativo né incoativo derivano l’uno
dall’altro. Si dividono in:
- labili: stesso verbo tr./intr.
it. affondare; ingl. melt; gr. mod. sbhvnw ‘spegnere/spegnersi’
- suppletive: differenti radici verbali
it. uccidere/morire; ingl. kill/die
- equipollenti: stessa radice, differenti affissi
giap. atum-aru/atum-eru ‘raccogliere/raccogliersi’;
gr. baruv-n-w/baruv-q-w

4. La mappa semantica dell’incoativo

Ferma restando l’universalità delle condizioni che governano il fenomeno


dell’alternanza, la categoria dell’incoativo comprende dunque una serie di
predicati intransitivi virtualmente piuttosto varia. Pertanto non sorprende che,
a livello tipologico, le relative marche formali risultino caratterizzate da
considerevoli fenomeni di polisemia e polifunzionalità, che rendono difficile

6
la loro delimitazione sincronica ed estremamente interessanti i loro percorsi
diacronici.
Lo spazio materializzato da questa costellazione di significati e/o funzioni
9
può essere efficacemente rappresentato mediante una mappa semantica .
La figura sotto riproduce, con qualche adattamento, quella elaborata da
Haspelmath: qui la nozione centrale di incoativo sostituisce quella di
anticausativo che, come si deduce dalla sintesi in (9), corrisponde più
precisamente ad una sottocategoria di alternanti (cfr. nota 8). Inoltre,
l’etichetta incrementativo è stata preferita a quella di fientivo per le ragioni
che verranno esposte al § 7.

Tav. 1: Mappa semantica dell’incoativo (da Haspelmath 1987: 35)

La polivalenza delle marche dell’incoativo si riflette anche nella varietà


delle forme caratterizzate dall’elemento -q-, ed è proprio questa circostanza
che ha ostacolato il riconoscimento della sostanziale unità di una categoria
che si presenta al contempo ristretta e sfaccettata secondo modalità che, a
prima vista, disorientano.

9. Nello spazio delle mappe semantiche, le funzioni che, almeno in una lingua, sono
espresse dalla stessa marca, vengono collocate in posizioni adiacenti: l’obiettivo è la
rappresentazione grafica delle somiglianze semantiche che collegano i differenti usi di uno
stesso tipo di marca nelle varie lingue, e la creazione di strumenti potenzialmente validi per
tutte le lingue del mondo. Implicitamente, le mappe offrono predizioni verificabili circa i
sistemi linguistici possibili, e anche la proiezione dei prevedibili percorsi diacronici (ad es. i
processi di grammaticalizzazione) delle marche grammaticali (Haspelmath 2003).

7
Se da un lato le restrizioni semantiche motivano la scarsità di predicati che
soddisfano le condizioni per l’istaurarsi di un rapporto diadico con un
corrispondente transitivo, dall’altro il quadro risulta ulteriormente complicato
sia dalla presenza di forme isolate, sia dal ruolo e dalla concorrenza del
medio.
Spesso, inoltre, le marche dell’incoativo trovano dei naturali percorsi
evolutivi, lungo le linee che si irradiano dal centro della costellazione. Poiché
questo è un aspetto di particolare interesse ai fini del nostro discorso,
verifichiamo l’utilità della mappa per orientarsi nell’articolazione sincronica e
nelle vicende diacroniche del suffisso.

5. Risultativo

La diffusa (e apparentemente confusa) distribuzione di questo elemento


interessa alcune forme di perfetto, ed è anche questa circostanza che induce
Benveniste a sottolineare ripetutamente che «l’affixe *-dh- exprime l’état,
spécialement l’état achevé» (Benveniste 1935: 189).
L’attribuzione di questa valenza è del tutto innegabile in bevbriqa (cfr.
anche Il. 21.385, Od. 15.334, Od. 16.474):

(10) Il. 16.384:


wJı d∆ uJpo; laivlapi pa'sa kelainh; bev b ri qe cqwvn
“come sotto la tempesta tutta la nera terra è gravata”

e gevghqa (cfr. anche Il. 11.683, Il. 13.494, Od. 6.106):

(11) Il. 8.559:


pavnta de; ei[detai a[stra, gev g hqe dev te frevna poimhvn
“si vedono tutte le stelle, è rallegrato in cuore il pastore”

In Omero queste forme hanno lo stesso valore dei rispettivi presenti brivqw
e ghqevw, entrambi privi di un alternante transitivo. Chantraine le analizza
insieme ad altre più rare (e problematiche), come quella in (12), uguale a Il.
18.299:

(12) Il. 7.371:


kai; fulakh'ı mnhvsasqe kai; ej grhv go rqe e{kastoı
“e pensate alla guardia, ciascuno sia sveglio”

8
Secondo lo studioso francese:

L’adjonction d’un suffixe -q- au parfait apparaît donc si naturelle qu’on pourrait se
demander si quelques formes isolées n’offrent pas l’amorce d’un système où -q-
aurait servi de caractéristique au parfait
(Chantraine 1932: 88).

Risch ritiene invece che i presenti siano formazioni secondarie:

Bei bevbriqa (vgl. briarovı) und gevghqa (vgl. gavnumai, gaivwn) findet sich das q auch
im Präsens brivq w und ghqevw, doch kann hier das Präsens sekundär zum Perfekt
gebildet werden sein (vgl. aber lat. gaudeo)
(Risch 19742: 347).

Quale che sia la spiegazione, questa microcategoria di perfetti in -qa, si


può forse motivare meglio alla luce della vicinanza semantica fra incoativo e
valenze stativo/risultative10. Il fenomeno ipotizzato per il greco omerico trova
infatti dei paralleli tipologici in molte lingue (Haspelmath 1987: 32): un
esempio sono le forme in -ik- dello swahili in (13):

(13) swahili
vunj-/vunj-ik- ‘rompere/rompersi’

ki-kao ki-me-maliz-ika
CL7-sessione CL7-PERF-finire-INC
“la sessione è finita”

E qui, come nelle forme omeriche viste sopra, «[i]t is not surprising that
together with agentivity also dynamism is lost, since are both correlated with
transitivity» (Haspelmath 1987: 32).

6. Incettivo

Esaminando altre forme isolate, Chantraine rileva che «il est parfois
malaisé de décider si nous avons affaire à un thème de présent ou à un thème
d’aoriste» (Chantraine 19583: 328). In questi casi, il morfema sembra inoltre
espletare una funzione ancora diversa.

10. Un’ampia analisi tipologica dei costrutti risultativi si trova in Nedjalkov e Jaxontov
(1988) altre osservazioni utili in Maslov (1988). Interessanti osservazioni sull’analogo ruolo
dell’elemento *-dh- in germanico sono in Lehmann (1942: 132 e 1943: 22-25).

9
Si consideri ad es. e[draqon, in cui la presenza dell’elemento -q- è
immediatamente palesata dal confronto con il lat. dormio, e che solo in
seguito entra in rapporto con darqavnw. L’‘artificiosità’ di questo presente è
dimostrata indirettamente dal fatto che, in attico, katevdarqon funziona come
aoristo di kaqeuvdw.
Un esempio con entrambe le forme è in (14):

(14) Od. 20.141-143:


oujk e[qel∆ ejn levktroisi kai; ejn rJhvgessi ka qeuv d ei n,
ajll∆ ejn ajdeyhvtw/ boevh/ kai; kwvesin oijw'n
e[d raq ∆ ejni; prodovmw/: […]
“non volle dormire in un letto e fra i drappi:
su pelli di bue non conciate e velli di pecore
si addormentò nel portico […]”

Si può quindi pensare che, nella forma all’origine del paradigma di


darqavnw, la funzione del suffisso sia quella di segnalare proprio il significato
incettivo sottolineato anche da Benveniste (1967: 14): «darqavnw (surtout avec
préverbe kata-darqavnw) n’est pas synonyme de koimavomai ou de eu{dw […] il
implique l’entrée dans le sommeil», cioè un valore che, di per sé, si sposa
naturalmente con l’aspettualità ingressiva dell’aoristo.
E la medesima funzione potrebbe spiegare la presenza del morfema anche
nell’aoristo o[lisqon in Il. 23.774 (e Il. 20.470) che, sulla stessa falsariga di
e[draqon, è in rapporto con il presente ojlisqavnw “inciampo, scivolo”.

(15) Il. 23.774:


e[nq∆ Ai[aı me;n o[ lis qe qevw n, blavyen ga;r ∆Aqhvnh
“ed ecco che Aiace inciampò correndo. Atena (lo) ostacolò”

L’idea trova conferme nella tipologia: infatti la valenza incettiva viene


espressa mediante gli stessi morfemi che marcano l’incoativo anche in lingue
come il georgiano e l’antico nordico (Haspelmath 1987: 34): quest’ultimo,
come si vede dall’esempio in (16), impiega una marca analoga a quella del
gotico (cfr. bi-aukan/bi-auk-n-an “aumentare” tr./intr.):

(16) antico nordico


sofa/sof-n-a ‘dormire/addormentarsi’

10
7. Incrementativo (fientivo)

Il gotico condivide inoltre con lo swahili, il georgiano e il turco la


prerogativa di impiegare le marche dell’incoativo per ricavare anche verbi che
indicano la transizione da uno stato ad un altro, a partire da espressioni
stative, e soprattutto da aggettivi (Haspelmath 1987: 33):

(17) a. gotico
full-n-an “riempirsi” < fulls “pieno”
b. swahili
kamil-ik- “diventare perfetto” < kamili “perfetto”

Nella mappa originale di Haspelmath, i due presenti baruvqw “divento


pesante” < baruvı, e plhvqw “divento pieno” < plevwı, ricadrebbero quindi
sotto l’etichetta di fientivo, situata accanto a quella di incettivo, a cui è molto
vicina semanticamente. In questo caso, sembra tuttavia più appropriato il
riferimento alla categoria più ampia degli incrementativi, cioè predicati che:

indicano un processo di progressiva accumulazione di una certa proprietà da parte di


un dato soggetto, tra questi verbi rientrano, ad es.: impallidire, ingrandire,
invecchiare, ingiallire, crescere, rincoglionire, divenire grasso, sprofondare, fiorire
etc.
(Bertinetto 1986: 300)

Questi verbi 11 si prestano naturalmente ad esibire le marche dell’incoativo


che, diversamente dall’anticausativo, include anche predicati atelici. Alcuni,
come appunto baruvqw e plhvqw, entrano anche nel gioco di alternanza, mentre
altri restano invece isolati, come qalevqw “fiorisco, cresco”, cfr. (18):

(18) Od. 23.191-192:


qavmnoı e[fu tanuvfulloı ejlaivhı e{rkeoı ejntovı,
ajkmhno;ı qa lev q wn : […]
“c’era un tronco di olivo dall’ampia fronda dentro il cortile,
che cresceva in pieno vigore […]”

il verbo televqw “divento, appaio”, cfr. (19):

11. Su cui si veda anche Bertinetto e Squartini (1995).

11
(19) Il. 21.464-466 :
[…] oi} fuvlloisin ejoikovteı a[llote mevn te
zaflegeveı telev q ousin ajrouvrhı karpo;n e[donteı,
a[llote de; f qinuv q ousin ajkhvrioi.
“[…] simili alle foglie che ora
diventano rigogliose, mangiando il frutto della terra,
ora invece muoiono prive di vita”

e anche minuvqw “mi consumo, svanisco”12, cfr. (20):

(20) Od. 12.45-46:


[…] polu;ı d∆ ajmf∆ ojsteovfin qi;ı
ajndrw'n puqomevnwn, peri; de; rJinoi; minuv q ousin.
“[…] in giro un gran mucchio di ossa
di uomini che imputridiscono, le carni si disfano intorno”

Queste forme avvalorano l’impressione di Risch (cfr. § 2), circa la


presenza del suffisso nei predicati che indicano processi fisiologici, cioè
eventi spontanei che generalmente coinvolgono entità inanimate. Inoltre,
qualora il processo descritto da un verbo in -q- sia semanticamente ambiguo,
perché riferibile anche ad entità animate (e umane), si determinano
sovrapposizioni con aree periferiche del medio, il cui nucleo centrale descrive
«events occurring in the mind and/or body of human or at least animate
entities» (Kemmer 1993: 142).
Questo sembra effettivamente il caso di puvqomai “marcisco” (cfr.
puqomevnwn nell’esempio sopra) e a[lqomai “guarisco”, per i quali il rapporto
13
con il corrispondente causativo (puvqw e ajlqaivnw14) pare secondario: e il fatto
che siano gli unici media tantum caratterizzati anche dal suffisso -q-, sembra

12. Secondo Benveniste (1935: 194) minuvqw «doit s’opposer à un *mivnÛw correspondant à
lat. minuō. Le fait important est que ce *mivnÛw serait transitif comme lat. minuō, en face de
minuvqw intransitif».
13. Benveniste segnala correttamente che il verbo di forma attiva è transitivo (cfr. Il. 4.
174), ma si chiede «si la disparition du verbe radical n’aurait pas secondairement fait transférer
la valeur transitive à puvqw, pour l’opposer à puvqomai qui garderait la valeur intransitive de la
forme à *-dh-» (Benveniste 1935: 193). Anche il DELG (s.v.) ritiene che le forme medie siano
più antiche. Il verbo è ovviamente ambiguo, perché presuppone entità sempre inanimate, anche
se umane: cfr. ad es. Od. 1.161, dove si ipotizza la morte di Odisseo; contesto molto simile
anche per katapuvqetai in Il. 23.328, mentre di un morto che imputridisce (puvqetai) e di
scheletri marcenti (puqovmenwn) si parla rispettivamente in Il. 11.395 e in Od. 12.46.
14. Omero usa solo a[lqomai (a[lqeto, Il. 5.417; anche derivato: ajpalqhvsesqon, Il. 8.405 e
419): e anche in questi casi non c’è riferimento ad un tipico partecipante animato ma,
rispettivamente, al polso di Afrodite e alle piaghe.

12
dunque indicare che, rispetto al medio, questo morfema aveva restrizioni di
impiego sensibili al livello di animatezza dell’entità coinvolta nel processo.

8. Endoriflessivo

La vicinanza tra il dominio semantico-funzionale dell’incoativo e quello


del medio determina anche altre aree di intersezione.
In effetti, in alcuni dei verbi omerici, il medio sembra marcare in modo
ridondante, quasi rideterminare, la valenza incoativa già indicata dal suffisso.
È questo il caso di hjerevqomai e hjgerevqomai e di nemevqomai, che ricorre solo
nell’a{pax nemevqonto di Il. 11.635, un imperfetto che in Magni (2004: 338-
339) si è proposto di reinterpretare come “si distribuivano” anziché
“pascolavano”:

(21) Il. 11.633-635:


[…] ou[ata d∆ aujtou'
tevssar∆ e[san, doiai; de; peleiavdeı ajmfi;ı e{kaston
cruvseiai nemevqonto […]
“[…] e i suoi (sc. della coppa) manici
erano quattro, e due colombe intorno a ciascuno,
d’oro, si distribuivano […]”

Poiché una caratteristica evidente di questo piccolo gruppo di verbi15 è il


significato riflessivo, si può ragionevolmente supporre che qui la funzione
della diatesi sia quella di segnalare la peculiarità di predicati che occupano di
fatto una posizione intermedia fra il dominio dell’incoativo e quello del
medio, dato che descrivono non solo il movimento corporeo, ma anche
«naturally collective events» (Kemmer 1993: 123-125). E la somma di
strategie derivative e flessionali potrebbe quindi essere il mezzo per indicare il
livello di riflessività proprio dei cosiddetti endoriflessivi, cioè predicati in cui

the action does not get outside in the first place, but remains, so to speak, within the
actor, who is necessarily identical to the undergoer (hence ‘endo-’)
(Haspelmath 1987: 27).

A ben guardare, la differenza fra endoriflessivi e incoativi è sottile, e


risiede essenzialmente nel grado di agentività dell’entità codificata come

15. Le cui forme sembrano peraltro correlate e rifatte analogicamente: Risch (19742: 278)
infatti interpreta hjgerevqonto come un aoristo, da cui si sarebbero formati meccanicamente
hjgerevqesqai (Il. 10.127) e hjgerevqontai (Il. 3.231), quindi, per analogia, anche hjerevqontai e
nemevqonto. L’idea è accolta anche da Kujọrẹ (1973: 100).

13
soggetto, tanto che uno stesso predicato può essere interpretato in entrambi i
modi a seconda che abbia un soggetto animato oppure no16. Quindi, come per
puvqomai e a[lqomai, proprio l’ambiguità connessa al tipo di partecipanti
coinvolti nel processo, potrebbe spiegare la presenza di una doppia marcatura.
In generale, come prova la serie di esempi da un campione di lingue
tipologicamente vario, le relazioni fra incoativo e riflessivo sono notevoli: il
greco moderno, ad es., usa il medio per codificare sia la riflessività, sia
l’incoativo, rivelando gli esiti di un lungo processo di espansione in cui
proprio l’endoriflessivo potrebbe aver giocato un ruolo chiave. Si può cioè
ipotizzare che, nello sviluppo della funzione oppositiva, il medio si sia
incuneato nel dominio dell’incoativo lungo la linea a sinistra sulla mappa
(riflessivo > endoriflessivo > incoativo)17.
Confrontando la mappa di Haspelmath con quella dei cosiddetti middle
situation types elaborata da Kemmer (1993: 212), si evince che i punti di
contatto e le intersezioni tra i valori veicolati dal suffisso -q- e il medio18 sono
rappresentati proprio da processi fisiologici ‘atipici’ da un lato, ed
endoriflessivi dall’altro.
In generale, le condizioni che regolano l’opposizione fra causativo e
incoativo impongono delle forti restrizioni che, di fatto, abbassano il livello di
generalità lessicale, cioè il requisito necessario perché una categoria venga
espressa flessionalmente: per questo l’incoativo è, tendenzialmente (e nel caso
del greco almeno marginalmente), una categoria derivazionale. In effetti,
quello conservato nella lingua omerica potrebbe essere il relitto di un
microsistema di alternanza su base derivazionale, perché caratterizzato da
vincoli più specifici rispetto a quelli che governano l’impiego concorrenziale
del medio.

9. Cancellazione dell’oggetto indefinito

La natura di tali restrizioni si può forse precisare meglio esplorando


un’ipotesi suggestiva circa due forme molto problematiche: la prima è il verbo

16. Haspelmath (1987: 29) confronta ad es. il valore endoriflessivo in Die Spielerinnen
verteilten sich über das Feld, con quello incoativo in Die Radioaktivität verteilte sich über
Europa.
17. Che costituisce «a chain in which only minimal changes are allowed between two
adjacent members» (Haspelmath 1987: 29). L’ipotesi trova sostegno anche nelle successive
riflessioni dello studioso (Haspelmath 2003: 234-236), che pone la funzione body motion in
posizione intermedia tra full reflexive e anticausative nella catena di sviluppo del medio,
confrontata in 7 lingue.
18. Su cui si veda anche l’ampio studio di Allan (2003).

14
e[sqw/esqivw “mangio”, che tende gradualmente a sostituire l’antico atematico
e[dw. Per Chantraine (19583: 327) tra i due tipi di presente non esistono
differenze semantiche, e le forme e[sqw e ejsqivw sarebbero derivate da un
imperativo atematico e[sqi. Secondo Benveniste, invece, malgrado le
sostituzioni motivate dal metro e la creazione di un sistema suppletivo, in
Omero è ancora rilevabile una differenza di funzioni:

e[dw, transitif, indique l’opération; e[sqw, ejsqivw apparaissent souvent en fonction


absolue, pour indiquer la capacité ou l’exercice de l’action, sans complément
(Benveniste 1935: 191).

Nello specifico, e[sqw ed ejsqivw indicano spesso l’esercizio dell’azione


senza un oggetto definito: ad es. nelle locuzioni del tipo e[sqein kai; pivnein
“mangiare e bere” (cfr. Od. 5.197, simile a Od. 7.221, Od. 2.305, e Od.21.69),
e nell’esempio in (22) (cfr. anche Od.17.358, Od.10.373):

(22) Od. 9.292:


h[ s qie d∆ w{ı te levwn ojresivtrofoı […]
“mangiò come un leone montano […]”

Considerazioni analoghe si possono proporre anche per l’aoristo


(ej)scevqon, in rapporto con il presente i[scw, secondo un uso a cui si presta
anche l’italiano tenere. Spesso, il soggetto è anche inanimato, come in (23)
(cfr. anche Il. 20. 398, molto simile, e Il. 12.461, Il. 13.608, Il. 16.340):

(23) Il. 12.184-185:


oujd∆ a[ra calkeivh kovruı e[ s ceqe n, ajlla; dia; pro;
aijcmh; calkeivh rJh'x∆ ostevon, […]
“l’elmo di bronzo non tenne, ma da parte a parte
la punta di bronzo trafisse l’osso […]”

Indubbiamente gli impieghi non sono sempre coerenti, e il senso transitivo


finisce poi per prevalere, tuttavia, osservando la mappa, quella esemplificata
potrebbe essere proprio la funzione intransitivizzante di cancellazione
dell’oggetto indefinito che i morfemi di incoativo esplicitano, ad es., nelle
lingue slave: questo specifico uso di się in polacco (cfr. obracać/obracać się
“girare” tr./intr.) è illustrato in (24).

(24) polacco
człowiek pcha wagon “l’uomo spinge la macchina”
nie pchaj się, pan! “smetta di spingere, signore!”

15
10. Il rapporto con il medio

Questa possibile ulteriore riprova della correlazione tra il suffisso e i


predicati che descrivono processi inagentivi di tipo atelico, pone dunque in
una diversa luce l’affermazione secondo cui «une équivalence significative
s’établit entre -qw et un présent à désinences moyennes» (Benveniste 1935:
194).
Indubbiamente, il medio di pivmplhmi può descrivere eventi spontanei e
incontrollabili in modo analogo a plhvqw, quando è usato per descrivere gli
occhi che si riempiono di lacrime (dakruovfin pivmplanto, Od. 10.248 =
Od.20.349), i precordi che si colmano d’ira (mevneoı de; mevga frevneı
ajmfimevlainai pivmplant∆, Il. 1.104-105 = Od. 4. 661-662), o scene come
quella in (25), simile a Il.21.607):

(25) Od. 8.16:


karpalivmwı d∆ e[ m p lh nto brotw'n ajgoraiv te kai; e{drai
“rapidamente si riempirono di uomini le piazze e i sedili”

Ciò vale anche flevgomai, nella seguente descrizione del fiume Xanto:

(26) Il. 21.365:


w}ı tou' kala; rJeveqra puri; flev geto , zeve d∆ u{dwr
“così le sue belle correnti ardevano nel fuoco, bolliva l’acqua”

E con le forme medie di ajeivrw e ajgeivrw, l’effetto è lo stesso:

(27) Il. 23.501:


uJyovs∆ aj e i rev s q hn rJivmfa prhvssonte kevleuqon
“si sollevavano alti (sc. i due cavalli), compiendo in fretta il cammino”

E per il secondo verbo, si veda l’esempio in (28), che ricorre uguale in Il.
2.444 e Od. 2.8:

(28) Il. 2.52:


oi} me;n ejkhvrusson, toi; d∆ hj geiv ront o mavl∆ w\ka
“quelli (sc. gli araldi) convocarono ed essi si riunirono in fretta”

16
Eppure, tutti gli esempi appena visti sono accomunati da due tratti
talmente costanti che non possono essere casuali: la descrizione di eventi che
si concludono in un lasso di tempo circoscritto perché avvengono con estrema
rapidità (karpalivmwı, rJivmfa, mavl∆ w\ka), e/o caratterizzati da un’istanza
causale implicita, che viene lasciata in secondo piano (dakruovfin, mevneoı,
brotw`'n, puriv).
In altre parole, la sensazione è che il medio descriva mutamenti di tipo
telico, che corrispondono pienamente all’intransitivizzazione di predicati a
causazione esterna (le lacrime riempiono gli occhi / gli occhi si riempiono di
lacrime), mentre il significato veicolato dalle forme in -q-, alternanti e non,
sembra piuttosto riferirsi a processi a causazione interna di tipo atelico, cioè
ad un divenire che si approssima, senza necessariamente raggiungerla, ad una
meta ideale.
Se questa idea è corretta, si può allora pensare che l’uso omerico lasci
intravedere le ultime tracce di differenti alternanze che, anche sul piano
formale, manifestano differenti concettualizzazioni dei processi spontanei.
Più precisamente, in quelli descritti dalle forme in -q- prevale la causazione
interna, ma con alcuni è talora ammissibile l’intervento di una causa esterna
‘atipica’. Il primo tipo corrisponde alle forme che non entrano in alternanza,
ma esprimono comunque significati affini all’incoativo: sono verbi che
oscillano fra processo e stato come gli incrementativi qalevqw, televqw, e
minuvqw, risultativi come i perfetti bevbriqa e gevghqa, o incettivi come gli
aoristi e[draqon e o[lisqon. Il secondo tipo partecipa invece al gioco di
alternanza, che è di solito non direzionata: infatti, se la concettualizzazione
dell’evento ammette entrambi i tipi di causazione, allora incoativo e causativo
sono sullo stesso piano, entrambi variamente marcati in un’opposizione
equipollente (baruvnw/baruvqw, faeivnw/faevqw).
Il medio, diversamente, corrisponde agli intransitivi che presuppongono
sempre un’istanza di volontà o causale implicita, perché relativi a processi a
causazione esterna, la cui telicità, se da un lato si accorda l’affectedness del
soggetto, dall’altro specifica la natura propriamente inaccusativa di predicati
che, in quanto derivati da un causativo basico, compaiono in alternanze di tipo
propriamente anticausativo 19, cfr. la classificazione in (9) al § 3.
E dunque non è un caso che i verbi che implicano distruzione e violenza
siano quasi del tutto esclusi dalla serie dei presenti in -qw, e che proprio la
coppia fqivnw/fqinuvqw abbia l’aspetto di un’alternanza anticausativa, infatti «a
factor favoring the anticausative expression type is the probability of an
outside force bringing about the event» (Haspelmath 1993: 103).

19. Inoltre, «[s]ince anticausatives are always telic, it would be more exact to call such
alternations ‘transitive/unaccusative alternations’» (Haspelmath 1987: 19, nota 5).

17
Così interpretati, i fenomeni del greco rivelano analogie con la situazione
degli inaccusativi del francese e dell’italiano, in cui i predicati alternanti si
dividono in due sottoclassi: il tipo aumentare e il tipo aprire/aprirsi. L’analisi
di Sorace (2000) attribuisce ai primi un minore livello di telicità rispetto ai
secondi, e la sensibilità al parametro è tale che, in francese, questi selezionano
l’ausiliare avoir (e in italiano mostrano oscillazioni indicative fra avere e
essere), quelli in forma pseudoriflessiva sono invece coerenti nella selezione
di être (e essere). Inoltre, come osserva Centineo (1995: 69), i processi come
aprire/aprirsi presuppongono sempre la causazione esterna, mentre quelli
come aumentare sono concettualizzabili anche come a causazione interna.
Quindi la scissione riflette sostanzialmente un diverso rapporto fra il verbo
intransitivo e il corrispondente transitivo.
Gli eventi compatibili con più di un costrutto cognitivo danno luogo non
solo a variazioni interlinguistiche, ma anche a fluttuazioni intralinguistiche
connesse alla fluidità delle componenti semantiche sintatticamente rilevanti:
forse proprio questi fattori motivano i due tipi di intransitivi alternanti del
greco.
La stessa ambiguità sembra spiegare anche la doppia opposizione (labile e
anticausativa) che complica il quadro delle alternanze nei verbi come fondere
e gonfiare. Ma qui, la comparsa di forme pseudoriflessive è anche un
fenomeno leggibile in diacronia e imputabile alla generale preferenza per
relazioni di tipo diagrammatico più trasparenti, e affidate a strategie più
produttive. In altre parole, date due modalità concorrenti nell’espressione
dell’incoativo, è plausibile che il mutamento linguistico operi a favore di
quella più vitale e con meno restrizioni di impiego, eventualmente obliterando
la specifica opposizione correlata alla strategia recessiva.
Il che è appunto quello che accade anche in greco con il medio, che si
impone nella katharévousa 20 perché il prototipo degli inaccusativi è una
categoria con una generalità maggiore rispetto alla porzione di incoativi
codificata dalle forme in -q-.

11. Conclusioni

Destinato a soccombere nella collisione funzionale con il medio, il suffisso


trova però nuova vitalità e produttività ‘spostandosi’ nello spazio della mappa

20. Ma la lingua parlata, in cui sono frequenti le alternanze labili del tipo sbhvnw
“estinguo, spengo” tr./intr. (Haspelmath 1993, Manney 2000), contrasta l’omologazione
formale degli alternanti mantenendo, nelle opposizioni non direzionate, degli incoativi ‘diversi’
dal medio e ‘uguali’ al corrispondente transitivo, perché sullo stesso piano quanto a basicità
dell’istanza di causazione.

18
che, verso i margini a sinistra e a destra, include significati grammaticali
meno pertinenti alla semantica del verbo e più affini a funzioni morfo-
sintattiche. E così, in una graduale transizione dalla derivazione alla
flessione21, l’elemento -q- rinnova la sua concorrenza con il medio
nell’espressione del passivo (Magni 2008), che in greco, come in altre lingue
indoeuropee, è una categoria relativamente recente e formalmente articolata.
I dati e le ipotesi qui esposte sembrano dunque confermare l’affermazione
di Benveniste circa l’importanza dell’affisso nello sviluppo del sistema
verbale del greco. Non solo: la vicenda ricostruita illustra anche la
fondamentale relazione fra contiguità (sincronica) e continuità (diacronica)
nel funzionamento e nel rinnovamento delle categorie linguistiche, perché la
multifunzionalità dei morfemi rappresentata nelle mappe semantiche, anche
quando non presuppone processi di grammaticalizzazione, presuppone
l’implicita diacronia di un’espansione graduale e ordinata:

Just as synchronically each gram covers a contiguous area, so diachronically a gram


cannot arbitrarily ‘jump’ to a distant function, but must be extended step by step
(Haspelmath 2003: 233)

E dunque, se da un lato l’analisi delle categorie verbali e dei relativi


fenomeni morfo-sintattici può senz’altro trarre vantaggio dall’attenta
considerazione dei fattori semantici, dall’altro, lo studio del loro mutamento,
specie quando lo sguardo si volge a fasi linguistiche remote, può procedere
con meno incertezze grazie al contributo della tipologia.

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