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2/3/2019 Storia della musica

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Musica/ Storia/ Capitolo 2.6/

» La secolarizzazione della società e della cultura - prevalenza della musica profana


» L'ars nova francese
» L'ars nova italiana
» La musica strumentale e gli strumenti del medioevo

La secolarizzazione della società e della cultura - prevalenza della musica profana

Fino a tutto il secolo XIII la società medioevale era stata governata dal principio della religione e del
trascendente sul temporale, del sacro sul profano. Dio, la Chiesa, la spiritualità religiosa erano al centro di una
concezione unitaria di cui si alimentavano il pensiero filosofico e la cultura; essa influiva sulle vicende politiche
ed era lafonte principale dell'ispirazione artistica e letteraria. Anche la musica, sia monodica sia polifonica, era
destinata, con forte prevalenza, ai riti sacri e alle celebrazioni religiose.
Questa concezione del mondo arrivò a piena maturità durante il Duecento. In questo secolo furono fondati
l'ordine francescano e domenicano, furono avviate le prime spedizioni missionarie per la conversione dell'Africa e
dell'Asia. In questo secolo San Tommaso D'Aquino realizzo nella gigantesca Summa la confluenza di teologia e
filosofia. Le più alte manifestazioni di questa visione del mondo e della storia furono anche le ultime; esse si
riconoscono nella dottrina teocratica di Papa Bonifacio VIII (1924-1303), che voleva lo stato sottomesso alla
Chiesa, e nella Divina commedia di Dante Alighieri (1265-1321), una delle massime espressioni di poesia di tutti i
tempi. Dopo, il mondo mutò e avanzò rapidamente la secolarizzazione, cioè la laicizazione della società e della

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cultura. Non la scristianizzazione, ma la distinzione tra la rivelazione divina e la ragione umana, la separazione
tra chiesa e stato, tra religione e scienza. Questo mutamento ebbe anche conseguenze in tutti i campi dell'umano
operare a partire dai primi decenni del secolo XIV. In politica, caduto l'ideale dell'unità rappresentato dal Sacro
Romano Impero, si vennero formando monarchie assolute fortemente centralizzate (Francia) o costellazioni di
piccoli stati e signorie assolute e rivali fra loro (Italia). In campo sociale, al declino dell'aristocrazia feudale
corrispose una crescita di potere economico e politico della classe media urbana.

Il distacco dal passato fu più rapido ed evidente nei campi dell'espressione letteraria e artistica. Se l'ispirazione
religiosa aveva animato una parte notevole delle letterarure in latino e nei volgari del Duecento, nelle opere del
Treccento prevalse l'ispirazione profana. Alla Divina Commedia, che aveva riassunto gli ideali della trascendenza
medioevale, pochi decenni dopo si contrapposero, specchi dell'immanenza trecentesca, le novelle del
Decamerone di Boccaccio e i Racconti di Canterbury di Chaucer. Nell'architettura, accanto alle cattedrali innalzate
alla gloria di Dio, della Vergine e dei Santi, si costruirono palazzi per il conforto e la difesa dei potenti. Nella
pittura, al formalismo di origine bizantina dei crocifissi di Cimabue subentrarono le storie raccontate con vivace
naturalismo dal pennello di Giotto.
La stessa cosa avvenne per la musica: la produzione musicale sacra fu nel Treccento inferiore e meno importante
delle creazioni profane. Influì su questo capovolgimento la crisi politica e religiosa che provocò il trasferimento
della Curia papale da Roma nella città francese di Avignone. Ma notevole peso ebbero anche le critiche che si
erano levate all'interno della chiesa nei confronti della pratica contrappuntistica applicata ai brani del repertorio
liturgico. Queste critiche avevano una duplice motivazione: il timore che la seduzione dell'artificio
contrappuntistico a più voci distrasse i fedeli dall'attenzione al rito e alla preghiera, e la costatazione che,
nell'intreccio delle voci, si perdeva l'intelligenza delle parole sacre e delle melodie gregoriane. Questa seconda
critica risuonerà altre volte nei secoli, nei documenti papali e nelle disposizioni conciliari sulla musica sacra, fino
ai tempi nostri.

L'ars nova francese

Quando scrissero i trattati Ars novae musicae (1319) e Ars nova musicae (1320), sia il matematico e astronomo
dell'università parigina Johannes de Muris Philippe de Vitry avevano compreso che si affacciavano tempi nuovi e
nuove usanze musicali. Ars nova è da intendere nel significato medioevale: ars non voleva dire arte, ma tecnica,
sistema, e nova era l'opposta di antiqua, una contrapposizione familiare nella trattatistica filosofica del tempo,
che l'aveva derivata dalla divisione della Bibbia di Antico e Nuovo Testamento.
La novità della musica a più voci diffusa in Francia all'inizio del secolo XIV riguardava innanzitutto la notazione:
la pari dignitàriconosciuta alla divisione imperfetta (binaria) dei valori rispetto alla divisione perfetta (ternaria),
e l'aggiunta ai valori della notazione franconiana (maxima, longa, brevis e semibrevis) quelli della minima e, più
tardi della semiminima (vedi capitolo 2.3).
Un altro tratto caratteristico della produzione francese del secolo XIV, al quale si è già accennato, fu il prevalere
di opere a destinazione profana.

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La forma più importante fu ancora il mottetto, molto spesso elaborato secondo gli artifici del contrappunto. Il
mottetto francese del Treccento e dell'inizio del Quattrocento ebbe funzioni celebrative, e come tale era eseguito
in importanti cerimonie pubbliche; esprimeva lodi nei confronti di personaggi autorevoli o deplorazioni dei
confronti di altri; fu spesso anche un documento politico o di denuncia morale. I testi poetici di molti mottetti
sono al proposito assai eloquenti.

I mottetti dell'Ars nova francese erano a 3, meno frequentamente a 4 voci (triplum, motetus, tenor e
contratenor). Il tenor si svolgeva, come nel secolo XIII, su un motivo del repertorio gregoriano, a valori larghi,
mentre il triplume il motetus eseguivano due testi poetici diversi, per lo più in francese. Molti mottetti erano
isoritmici.

Il termine isoritmia fu coniato da un musicologo tedesco, Fr. Ludwig, per designare un'elaborata organizzazione
ritmica del tenor e, se c'era, del contratenor di un mottetto. La tecnica dell'isoritmia consisteva nella
combinazione di una melodia di origine gregoriana (color) impiegata come cantus firmus, con uno schema
ritmico di più note e pause (talea) che nello svolgimento della melodia-color era ripetuto più volte. Anche il color
poteva essere ripetuto da capo, fino alla conclusione del mottetto.
Questa tecnica compositiva assicurava al mottetto una forte coesione e consentiva al movimento melodico che si
sviluppava nella voci inferiori.

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Esempio di tenor del mottetto isoritmico


"Detractor est/Qui secuntur castra/Verbum iniquum"
tratto dal Roman de Fauvel

Guillaume de Machaut
Diplomatico, poeta e musicista, Guillaume de Machaut fu il più importante compositore del secolo XIV e il primo
che si sia affacciato alla storia della musica europea.

LA vita
Naque intorno al 1300 in un villaggio della Champagne, nel nord della Francia. Ricevuti gli ordini sacri, nel 1323
entrò come segretario al servizio di Giovanni di Lussemburgo re di Boemia e lo seguì nelle campagne militari
attraverso l'Europa.
Dopo la battaglia di Cr�cy contro gli inglesi (1346), nella quale Giovanni di Lussemburgo trovò la morte,
Machaut fu al servizio della corte di Francia e del futuro re Carlo V.
Aveva ottenuto un canonicato presso la cattedrale di Remis e in questa città trascorse l'ultima parte della sua
vita, dedicandosi alla poesia e alla composizione musicale. Morì nel 1377 a Remis.

Le opere
Machaut lasciò un'imponente produzione letteraria in varsi e in prosa e 142 composizioni musicali, raccolte in 6
manoscritti elegantemente redatti e illustrati. Si ritiene che le composizioni musicali siano tutte posteriori al

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1340.

La messa di Notre-Dame a 4 voci è la prima messa polifonica messa in musica da un solo compositore. Si ritiene
che sia stata scritta intorno al 1360.
Il Kyrie, il sanctus, l'Agnus Dei e l'Ita missa est sono stati scritti nello stile del mottetto isoritmico, e si basano
su cantus firmi dei corrispondenti brani di messe gregoriane; il gloria e il credo (tranne il lungo "Amen",
isoritmico) in quello del conductus. Alcuni passaggi della messa richiedono interventi strumentali.
(Il più antico esempio a noi noto di un'intera messa in stile polifonico è la messa di Tournai a 3 voci (1330 ca.), i
cui brani furono composti da più musicisti).

23 mottetti a 3-4 voci; 15 portano testi francesi (amorosi, cortesi), gli altri testi latini (argomenti encomiastici,
politici).
Le melodie sono meno ornate di quelle dei rondeaux e delle ballades; i tenor, tratti in gran parte da temi
liturgici, sono semplici e lineari. La struttura isoritmica, applicata al tenor e spesso anche contratenor, rileva la
grande maestria del compositore.

18 lais (lais not�s), due dei quali in forma di canone.

33 virelais (Machaut li chiamò chansons ballad�es), formati da tre strofe e da un ritornello che precede la prima
strofa e le segue tutte. Alcuni sono a 2, altri a 3 voci, con tenor assai semplici e di carattere strumentale.

21 rondeaux a 2, 3, 4 voci, su testi poetici costituiti da ottave di ottonari. Di solito il testo è cantato dalla voce
superiore; tenor e contratenor sono di carattere strumentale.

42 ballades (che l'autore chiama ballades not�es) a 2, 3, 4 voci. Non erano destinate alla danza; lo stile vocale è
simile a quello del rondeau.

Una complainte (complainte not�e), una chanson royale, l'Hoquetus David a 3 voci, probabilmente strumentale.

Altri compositori francesi


Un gruppo importante di composizioni dell'inizio del secolo XIV è costituita dai circa 160 brani musicali, la
maggior parte anonimi, inseriti nel Roman de Fauvel, un poema allegorico-satirico scritto intorno al 1316. Oltre a
33 mottetti a 3 parti, vi sono dei conductus, dei lai e altre forme.
Compositori di quest'epoca furono Jehannot de l'Escurel, Chaillou de Pestain e Philippe de Vitry.
Ecclesiastico e diplomatico, compositore e teorico, poi vescovo di Meaux, Philippede Vitry era poeta assai
apprezzato e lodato anche dal Petrarca. Ci rimangono di lui una quindicina di mottetti, 5 dei quali aggiunti al
Roman de Fauvel.
Operarono nella seconda metà del secolo tra altri Jean Vaillant, Pierre del Molins, Solage, Philippus de Caserta.

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L'ars nova italiana

Come si è già visto (cap. 2.2 e cap. 2.3), dalle origini al Treccento la polifonia si sviluppò in prevalenza a Parigi e
in Francia.
In Italia e in altre parti d'Europa la tecnica di elaborazione del contrappunto e della notazione si era invece
fermata ad un frado di sviluppo elementare. Studi recenti hanno messo in luce che nelle cappelle musicali delle
nostre cattedrali la pratica polifonica sacra durante il secolo XIII consisteva nel cantus planus binatim: una
melodia del repertorio liturgico era accompagnata da un'altra melodia, improvvisata o scritta. Le due voci
procedevano nota contro nota, a ritmo libero.
Ma si deve ritenere che verso la fine del secolo XIII l'influsso della cultura francese in Italia settentrionale abbia
contribuito a sviluppare la creazione polifonica. è impensabile che, senza un precedente periodo di diffusa
assimilazione ed elaborazione, lo studioso padovano Marchetto potesse redigere un trattato di notazione
mensurale quale è il Pomerium in arte musicae mensuratae (1321-1326), articolato e insieme autonomo rispetto
ai contemporanei trattati francesi del Vitry e del Muris (cap. 2.3).
L'influsso francese si rileva anche nelle composizioni dei pochi mottetti latini aventi intento celebrativo. Uno di
essi (Ave regina coelorum/mater innocentiae) fu composto da Marchetto ed eseguito per l'innagurazione a
Padova, nel 1305, nella Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto. La composizione di mottetti latini
celebrativi, da eseguire in occasione di pubbliche festività, fu coltivata sporadicamente nel Veneto e soprattutto
nella basilica di S. Marco a Venezia durante l'intero secolo XIV e oltre, fino al XVI (cap. 3.1).
La produzione polifonica sacra fu assai scarsa durante la nostra Ars nova. La quasi totalità della produzione
infatti è profana, e ciò nonostante che la maggior parte dei compositori appartenesse ad ordini ecclesiastici.
Le principali fonti musicali dell'Ars nova italiana sono sei codici.

il cod. Vaticano Rossi 215, il più antico;


il cod. 29987 del British Museum di Londra, già appartenuto alla famiglia dei medici;
il cod. iataliano 568 della biblioteca nazionale di Parigi, appartenuto alla casa reale di Francia;
il cod. Panciatichiano 26 della biblioteca nazionale di Firenze, che contiene 151 composizioni italiane;
il cod. Reina 6771 della biblioteca nazionale di Parigi, con 104 composizioni italiane;
di epoca più tarda il famoso codice Squarcialupi della biblioteca mediceolaurenziana di Firenze, compilato
verso il 1420. Esso deriva il nome da quello del primo proprietario, il fiornetino Antonio Squarcialupi, che
fu organista di Lorenzo il Magnifico.
Di raffinata fattura, con preziose miniature e scrittura accurata, contiene 352 composizioni a 2 e a 3 voci
dei 12 reputati compositori del tempo.

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L'ambiente culturale

L'ars nova italiana crebbe al di fuori delle cattedrali e delle istituzioni ecclesiastiche. Infatti i centri i sviluppo
furono alcune importanti corti settentrionali - quella degli Scaligeri a Verona e a Padova, quella di Visconti a
Milano, quella dei Carraresi a Padova - e alcuni circoli di cultura laica e borghese, attivi specialmente a Bologna,
città universitaria di rinomenza europea, e a Firenze che fu la più importante città del nostro Treccento musicale,
oltre che il maggior centro letterario e artistico.
L'ambiente nel quale si formò e crebbe l'ars nova italiana fu quello della nuova cultura volgare, la cultura cioè
aveva dato evidenti segnali con la poesia del Dolce stil novo e con la pittura di Giotto. Per la comprensione del
movimento musicale arsnovistico sono perciò assi utili le testimonianze fornite dalla letteratura in volgare del
tempo, specialmente dalla novellistica e dalla poesia per musica.

La fonte letteraria primaria, in ordine cronologico, fu il Decamerone di Giovanni Boccaccio. La lieta brigata di
dieci giovani donne e uomini che lo scrittore immaginò rifugiati in una villa fuori Firenze per sfuggire la peste
che nel 1348 aveva colpito la città e l'europa, concludeva le sue giornate mettendosi "a cantare a suonare e
carolare" cioè danzare. Boccaccio di dilunga su questi trattenimenti musicali, e le sue descrizioni forniscono
notizie preziose. Altrettanti notizie su usi, ambienti e forme poetico-musicali si trovano in altre raccolte di
novelle:

- nel Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, i cui racconti sono inframezzati dal canto di amorose ballate;
- nelle Novelle di Giovanni Sercambi (1374) il quale tra l'altro cita titoli e autori dei madrigali e delle ballate che
erano eseguiti dall'immaginaria brigata dei suoi novellatori;
- nel Paradiso degli Alberti di Giovanni Prato (1389) i cui racconti sono alternati da esecuzioni musicali e vi
appare, come narratore, il più grande musicista italiano del secolo, Francesco Landino;
- nel Saporetto di Simone Prudenzani (1415), ricco di riferimenti alle usanze ai repertori musicali.

La "poesia per musica" fu un vero e proprio genere della poesia volgare del Treccento. Comprendeva madrigali,
caccie e ballate, scritte per essere "intonate", cioè poste in musica.
Il genere riscosse fortuna in una società - scrisse il Sapegno - "che anelava a tradurre il suo prestigio e la sua
ricchezza in termini di eleganza e di squisito comportamento".

Il maggiore fra i poeti per musica fu Franco Sacchetti, rimatore o nevelliere (1332-1400). Tra le sue Rime si
trovano alcuni tra i più perfetti esempi di poesie per musica, ricche di grazia e di fantasia: le ballate O vaghe
montanine pastorelle e Innamorato pruno e la caccia Passando col pensier per un boschetto.
Dopo Sacchetti si ricordano il nobile fiorentino Niccolò Soldanieri, esule, autore di una settantina di ballate,
caccie e madrigali, Alessio di Guido Donati, il bolognese Matteo Grifoni. Ma rime per musica si trovano anche
nelle opere poetiche di Petrarca, di Boccaccio, di Cino Rinuccini e Dino Frescobaldi.

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Le forme e i compositori

Lo stile delle composizioni dell'Ars nova italiana differisce nettamente da quello della coeva produzione francese.
Nelle musiche d'oltralpe è sempre presente un disegno costruttivo, il quale governa gli elementi strutturati.
Invece nelle composizioni italiane c'è la maggior libertà, distesa scansione melodica, fluidità ritmica. Questi tratti
sono comuni ai madrigali, alle cacce, alle ballate.

Madrigali
Ebbero gran voga soprattutto nel primo periodo dell'Ars nova e sono abbondantemente citati nei trattati delle
forme poetico-muscicali di Francesco da Barberino, Antonio da Tempo e Gidino da Sommacampagna.
La struttura poetica era la seguente: 2 o 3 terzine di endecasillabi con lo stesso ordine di rime erano seguite da
un ritornello di 2 endecasillabi a rima baciata.

I madrigali erano per lo più a 2 voci, poi anche a 3; sia che la voce superiore (cantus) si l'inferiore (tenor) erano
di solito eseguite da cantori, ma ciò non escludeva raddoppi strumentali. La musica della prima terzina era
ripetuta nella seconda (e terza) terzina; diversa era la muscia del ritornell. Caratteristici erano l'inizio e la
conclusione di ogni verso, di stile melismatico, che inquadravano sezioni con svolgimento poù scandito.

Non al suo amante più Diana piacque -|


quando per tal ventura tutta ignuda | A
la vide in mezzo de le gelide acque, -|

ch'a me la pastorella alpestra e cruda -|


posta a bagnar un leggiadretto velo, | A
ch'a l'aura il vago e biondo capel chiude; -|

tal che mi fece, or quand'egli arde il cielo, -| B


tutto tremar d'un amoroso gelo. -|

(madrigale di Petrarca posto in musica


da Jacopo da Bologna)

Caccia
è un canone a 2 voci all'unisono, sostenute da un tenor strumentale. Non ha una forma metrica prestabilita;
spesso è conclusa da un ritornello strumentale simile a quello del madrigale.

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I testi trattano spesso scene di caccia, di pesca, di mercato e di gioco che giustificavano effetti d'eco, ripetizioni,
onomatopee.

Ballata
Fu la forma più evoluta e matura dell'ars nova italiana, e predominò nella produzione a partire dalla metà del
secolo XIV.
La struttura poetica della ballata era loa seguente: ripresa di 2 varsi endecasillabi; 2 piedi (o mutazioni) di due
versi endecasillabi ciascuno, con identiche rime; una volta uguale alla ripresa, di 2 versi; il primo di essi rima con
l'ultimo verso del secondo piede; il secondo rima con il primo della ripresa. Si ripete la ripresa da capo.
Gli episodi musicali sono due: su A si eseguono le riprese e la volta, su B i piedi.
Le ballate erano 2 o a 3 voci: cantus, tenor (e contratenor), tutte eseguite vocalmente, anche se era
consuetudine far intervenire strumenti, come rinforzo o in sostituzione delle voci inferiori.

Benchè ora piova, pur buon tempo aspettto -| ripresa A


al mio cammin, e perciò non m'affretto. -|

Ogni cosa per ordin'ha suo tempo, -| piede I B


ma pur un tempo non ha ogni cosa: -|

donna leggiadra nel suo giovin tempo -| piede II B


agli occhi di ciascuno par graziosa, -|

così vecchiezza la rende noiosa -| volta A


al guardo di chi più n'aveva diletto. -|

Benchè ora piova... ecc. -| ripresa A

(ballata, forse di F. Landino,


messa in musica da Landino stesso)

Nella fase iniziale l'ars nova si affermò soprettutto nell'Italia settentrionale. Presso le corti degli Scaligeri e degli
Scaligeri e dei Visconti furono attivi Jacopo da Bologna e Giovanni da Firenze.
Nella fase successiva, che ebbe il suo centro in Firenze, operarono tra altri Gherardello, Donato da Cascia, Nicolò
del Preposto da Perugia, ma soprattutto:

Francesco landino
(Fiesole 1325 - Firenze 1397). Chiamato anche "Francesco degli Organi", era celebrato tra i contemporanei,
oltre che per la grande perizia di esecutore su ogni tipo di strumento, per la cultura anche filosofica e poetica. Fu

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in rapporto con gli intellettuali fiorentini, con le corti dell'Italia settentrionale e visse qualche tempo a Venezia
dove Pietro Lusignano, re di Cipro, lo incoronò di alloro.

Si conservano di lui: 12 madrigali a 2 e a 3 voci, una caccia, 140 ballate a 2 e a 3 voci. Molti testi poetici sono di
sua composizione.
Il meglio di sè Landino lo diede nelle ballate a 2 voci, di stile melismatico, e in quelle a 3 voci nelle quali i passi
melismatici si alternano ad andamenti sillabici, con risultati di grande varietà melodica e libertà ritmica.

Nella fase finale dell'ars nova italiana (che coincide con il primo ventennio del secolo XV) si distinsero Bartolino
da Padova, Matteo da Perigia, Zaccaria e Giovanni da Genova. Con il ritorno del papato da Avignone a Roma e
negli anni dello Scisma d'Occidente si verificarono frequenti arrivi in Italia di cantori stranieri, e ciò favorì
l'espandersi dello stile manierista francese, a fianco delle ultime affermazioni dello stile italiano.
La decadenza dell'ars nova italiana e la sua eclissi furono causate dalle mutate condizioni della vita culturale,
fattasi più sensibile alle influenze d'Oltralpe.
Il musicista che sanzionò questa conclusione fu il conpositore e teorico vallone Johannes Ciconia, nato a Liegi nel
1335 ca. e dal 1403 cantore della cattedrale di Padova dove morì nel 1411. Esperto degli artifici del manierismo
francese, nel breve periodo trascorso nel Veneto egli fu influenzato dallo stile italiano.

La musica strumentale e gli strumenti del medioevo

Le testimonianze letterarie in prosa e in poesia, le pitture e le sculture, a partire dal secolo XII abbondano di
riferimenti, descrizioni e raffigurazioni di strumenti musicali. Questo fatto sembra in contraddizione con la natura
delle composizioni musicali conservate dai codici; sacre e profane, monodiche e polifoniche, esse sono scritte per
voci.
Contraddizione non c'è, invece, perchè una parte notevole delle musiche del tempo nella pratica quotidiana,
erano eseguite sia da cantori sia da strumentisti. Questi ultimi potevano intervenire in diverse maniere:
raddoppiavano le voci di una composizione, e in alcuni casi lo sostituivano, in parte o tutte; eseguivano il tenor e
il contratenor, in special modo queslli scritti a valori lunghi.
Questo uso non può facilmente accordarsi con la nostra concezione della musica, che si basa sul riconoscimento
delle individualità timbriche e delle peculiarità dei vari strumenti, ma il pensiero estetico del Medioevo in ciò era
molto diverso dal nostro. Un musicista, quando scriveva una composizione, la pensava èer l'esecuzione vacale e
in rapporto al testo che la accompagnava, ma riteneva leggittimo e pacifico che la si eseguisse altrimenti.
Questo spiega perchè, prima del secolo XVI, siano pochissimi i manoscritti contenti composizioni destinate
all'esecuzione strumentale. L'elenco dei principali codici è assai breve.

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Il più antico è un manoscritto del Treccento conservato al British Museum, contenente una vetrina di danze in
stesura monodica, soprattutto estampies francesi e saltarelli. Dello stesso periodo è il Robertsbridge Codex
inglese, il più antico manoscritto che contiene musiche per strumenti da tasto: estampies e trascrizioni di sue
mottetti del Roman de Fauvel.
Pure per strumenti da tasto sono le composizionicomprese nel quattrocentesco Codice di Faenza, chiamato
anche Codice Bonadies. Esso contiene musiche dell'ars nova francese italiana, trascitte a due con "passaggi", e
alcuni versetti di Kyrie e di Gloria gregoriani.

Le fontipiù autorevoli per la conoscenza della musica strumentale e degli strumenti del medioevo sono il già
citato trattato di Johannes de Grochero e il Tractatus de musica di Girolamo di Moravia (metà del sec. XIII).

Lo strumento più importante fu l'organo (cap. 1.2). Reintrodotto in Europa da Bisanzio nel 757 d.C., dal IX secolo
fu usato nelle chiese, e divenne poi lo strumento liturgico liturgico per eccellenza. L'iconografia dei secoli XIII-XV
raffigura due diversi tipi di organi:

il portativo, piccolo strumento provvisto di un numero limitato di canne che si tiene sulle ginocchia e si
suona con la mano destra mentre la sinistra aziona il mantice;
il positivo, di maggiori dimensioni, ma ancora privo di pedaliera. Usato in chiesa o in casa, si suonava a due
mani perchè il mantice era azionato da un altra persona

Tra gli strumenti a corda si devono ricordare lo scacchiere (o oschiquier) a corde percosse, precursore del
clavicordo, e il salterio a corde pizzicate; da esso si fa derivare il clavicembalo.
Tra gli strumenti ad arco il più antico era la crotta, o rotta; il più diffusola viella. Fornita solitamente di 5 corde,
ad accordatura mnon fissa, si suonava con un arco ricurvo ed era lo strumento preferito dai trovatori. Altri
strumenti ad arco erano la ribeca e la giga.
Tra gli strumenti a fiato si citano: la tromba, che produceva la serie naturale dei suoni; il cornetto in legno,
munito di fori che permettevano l'esecuzione della scala cromatica, i flauti diritti e traversi.
Erano anche ampiamente usati l'arpa e vari tipi di strumenti a percussione.

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