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INTRODUZIONE
La Meccanica Razionale è quella parte della Fisica Matematica che studia le leggi generali
del movimento e dell’equilibrio dei corpi o delle loro parti. Ovviamente, nei fenomeni
fisici, il movimento non interviene mai da solo: ad esempio, se si osserva un’automobi-
le che cammina, il fatto che i vari pezzi della carrozzeria siano rigidi proviene da certe
proprietà degli atomi che sono studiate nella Fisica dello Stato Solido, mentre la viscosità
e la fluidità del carburante, o del liquido di raffreddamento, o i fenomeni che si verificano
all’interno della camera di combustione sono strettamente legati a processi di vario tipo:
termico, chimico, elettromagnetico, ecc. La Meccanica Razionale si limita allo studio della
più semplice forma di moto, quello meccanico, intendendo per moto meccanico variazioni
con il tempo della posizione dei corpi relativamente ad altri. Poichè lo stato di equilibrio è
un caso particolare di moto, la Meccanica Razionale include anche lo studio dell’equilibrio
dei corpi.
Le osservazioni dei vari fenomeni naturali mostrano che non tutte le proprietà dei
corpi coinvolti nel fenomeno in questione influiscono sull’andamento del fenomeno o sul
suo risultato finale. Per esempio, è noto dall’esperimento che una trave poggiata su due
supporti agisce su di essi con forze che sono dipendenti essenzialmente dalla posizione dei
supporti e non dalla deflessione della trave (purchè tale deflessione sia piccola). Pertanto
nel determinare tali forze, possiamo sostituire la trave reale con una trave indeformabile
(perfettamente rigida). Nello studio di altri fenomeni, argomenti analoghi conducono alla
nozione di modelli di corpi (punto materiale, punto carico, corpo rigido, ecc.). Notiamo
tuttavia che in natura non esistono corpi rigidi, punti materiali, punti dotati di carica,
ecc. e che tutte queste sono astrazioni che ci permettono, attraverso la formulazione di un
modello matematico, di considerare teoricamente il fenomeno in questione e di risolvere
il problema proposto. Ogni tentativo, infatti, di risolvere anche il più semplice problema
senza ricorrere ad uno di tali modelli semplificati è destinato a fallire.
Il presente corso è dedicato allo studio della meccanica classica ed è basato sulle leggi
che vennero stabilite da G. Galilei e da I. Newton. Alla fine del 190 secolo ed all’inizio
del 200 secolo è stato mostrato che le leggi della meccanica classica non sono applica-
bili al moto di particelle subatomiche ed a corpi che si muovono con velocità vicine a
quelle della luce. La meccanica quantistica e la meccanica relativistica, che affrontano
lo studio di tali fenomeni, indicano i limiti di validità della meccanica classica. Tutto
ciò non diminuisce tuttavia il ruolo della meccanica classica che continua a rimanere uno
strumento indispensabile per lo studio del moto di corpi macroscopici le cui velocità sono
piccole confrontate con quella della luce, cioè tutti i moti di cui si occupa usualmente
l’ingegneria.
I metodi della Meccanica Razionale. La Meccanica Razionale, cosı̀ come le altre parti
della Fisica Matematica, usa largamente il metodo dell’astrazione. L’applicazione di tale
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metodo consente di stabilire, attraverso la generalizzazione dei risultati sperimentali e
della pratica tecnologica, alcune leggi generali, che prendono il ruolo di assiomi. Tutte le
altre proposizioni della disciplina possono essere derivate da questi assiomi con deduzioni
logiche e calcoli matematici. Poichè la Meccanica Razionale tratta maggiormente con
relazioni quantitative, è chiaro che in essa la Matematica deve giocare un ruolo molto
importante. Tuttavia, sebbene il corso di Meccanica Razionale contenga pochi riferi-
menti a studi sperimentali, anche per questa disciplina, come per ogni altra scienza, la
dimostrazione finale delle sue leggi e proposizioni risiede nella pratica e nell’esperimento:
solamente attraverso una verifica sperimentale si può decidere se una data ipotesi o una
teoria è o no corretta.
I.1. Note storiche. La Meccanica è una delle scienze più antiche. Sebbene i più antichi
manoscritti di meccanica giunti a noi appartengono al 40 secolo a.C., i resti di antiche
strutture mostano che già molto prima alcuni concetti della meccanica erano noti. La
prima parte della Meccanica Razionale che iniziò a svilupparsi fu la Statica, la scienza
che tratta dell’equilibrio dei corpi materiali. Nella prima parte del 30 secolo a.C. vennero
gettate le sue basi, principalmente nei lavori di Archimede (circa 287-212 a.C.). Egli stu-
diando l’equilibrio della leva introdusse il concetto di baricentro, e scoprı̀ la ben nota legge
dell’idrostatica che deve a lui il nome. Le basi della Cinematica, ed, in particolare, della
Dinamica (la parte della Meccanica Razionale che studia il moto dei corpi in connessione
con le loro interazioni) vennero gettate da Galileo (1564-1642) e da Newton (1642-1727)
soltanto alla fine del 160 secolo ed all’inizio del secolo successivo. Il periodo di quasi
2000 anni separante i tempi di Archimede e di Newton, può essere caratterizzato, in re-
lazione agli sviluppi della Meccanica, come un tempo in cui venne accumulata una grande
quantità di dati sperimentali, riguardanti vari tipi di moto meccanico (in particolare, il
moto dei corpi celesti) e di un sistematico, sebbene lento, sviluppo di metodi matematici.
Questo materiale sperimentale, lo sviluppo della Matematica, le grandi scoperte fatte da
N. Copernicus (1473-1543), da J.Kepler (1571-1630) e soprattutto da Galileo, immediato
predecessore di Newton, consentirono a quest’ultimo di scoprire le leggi generali della
Meccanica (che da lui presero il nome) e di creare adeguati metodi matematici (il cal-
colo differenziale ed integrale) rendendo possibile l’applicazione di queste leggi generali
e delle loro conseguenze alla risoluzione di problemi pratici. Nel 180 e 190 secolo infine
vennero formulati i metodi analitici della Meccanica Razionale (L. Euler (1707-1787),
J.D’Alembert (1717-1783), J.L. Lagrange (1736-1813), K.G.J. Jacobi (1804-1851), W.R.
Hamilton (1805-1865), J.H. Poincaré (1854-1912) e altri).
Lo sviluppo della moderna tecnologia ha condotto allo studio indipendente di alcune
particolari parti della Meccanica, cosı̀ come l’idrodinamica, l’aerodinamica, la gasdinam-
ica, la teoria dell’elasticità, la teoria della plasticità, la resistenza dei materiali, ecc. Tut-
tavia, i metodi utilizzati da queste scienze nel risolvere problemi sono tutti basati sui
metodi della Meccanica Razionale e più in generale della Fisica Matematica.
I.2. Argomenti di Meccanica Razionale. Il corso di Meccanica Razionale è diviso
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in tre parti, la Cinematica, la Statica e la Dinamica. In Cinematica si studia il moto
dei corpi, in maniera puramente geometrica, senza tener conto dei fattori che lo causano.
La Statica riguarda le leggi dell’equilibrio dei corpi materiali e le regole di riduzione di
sistemi di forze a sistemi di forma più semplice. Infine la Dinamica studia il moto dei
corpi in relazione con le forze che agiscono su di essi e che lo causano.
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PARTE I
CALCOLO VETTORIALE
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CAPITOLO 1
ALGEBRA VETTORIALE
Figura 1.2.1
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Si verifica immediatamente che la relazione di equipollenza sopra definita gode delle
seguenti proprietà: è riflessiva (AB è equipollente a se stesso), simmetrica (se AB è
equipollente ad A0 B 0 , A0 B 0 è equipollente ad AB) e transitiva (se AB è equipollente ad
A0 B 0 ed A0 B 0 è equipollente ad A00 B 00 , allora AB è equipollente ad A00 B 00 (f ig. 1.2.1a)).
La relazione di equipollenza ora definita permette di suddividere l’insieme dei segmenti
orientati dello spazio in sottinsiemi, che chiameremo classi di equipollenza: ogni classe è
costituita da tutti e soli i segmenti orientati equipollenti ad un dato segmento. Una classe
di equipollenza è quindi individuata da uno qualsiasi dei segmenti orientati che la costi-
tuiscono, ad esempio i segmenti AB, A0 B 0 e A00 B 00 di f ig. 1.2.1a sono tutti appartenenti
alla stessa classe. Per individuare la classe si può allora scegliere come rappresentante
uno qualunque tra essi.
Chiameremo vettore libero (o vettore geometrico o vettore fisico o semplicemente
vettore) (non nullo) una classe definita dalla relazione di equipollenza. Definiamo infine
vettore nullo la classe delle coppie ordinate (A, A).
Denoteremo con V l’insieme delle classi di equipollenza sopra definite. Un vettore sarà
sempre indicato con lettere minuscole in grassetto ( x, y, z, u, v, w, ecc.), o con lettere
corsive sottosegnate (x,y,z,u,v,w, ecc.), o con freccie (~x, ~y , ~z, ~u, ~v , w,
~ ecc.); uno scalare
¯¯¯¯¯ ¯
(numero reale) con una lettera corsiva non sottosegnata (λ, µ, a, b, ecc.). Il vettore nullo
verrà indicato indifferentemente con o e con 0.
Chiameremo direzione, verso e modulo di un vettore rispettivamente la direzione,
il verso e la lunghezza di un suo qualsiasi rappresentante. Al vettore nullo non può essere
associata nè una direzione nè un verso, il suo modulo invece è zero. Un vettore libero
v, può essere rappresentato graficamente tramite una qualunque coppia di punti (A, B)
appartenenti alla classe di equivalenza individuata dal vettore v.
Il segmento orientato AB, viene anche chiamato vettore applicato, ed indicato, oltre
che AB e B − A, anche con il simbolo (A, v). Il punto A prende il nome di punto di
applicazione del vettore v; il punto B, estremo.
Si definisce Somma o Risultante di due vettori v1 e v2 il vettore v1 + v2 , che de-
noteremo anche con R, il cui rappresentante può essere ottenuto nel seguente modo: si
applichi il vettore v1 un un punto A qualsiasi dello spazio e si ponga successivamente
l’origine del vettore v2 nell’estremo B di v1 . Sia C l’estremo del vettore v2 , applicato in
B. Il segmento orientato AC è un rappresentante del vettore v1 + v2 . Come si verifica
immediatamente, v1 + v2 coincide con la diagonale del parallelogrammo costruito su v1 e
v2 (f ig. 1.2.1b).
Si definisce Moltiplicazione o Prodotto del vettore v per lo scalare λ il vettore, che
indicheremo con λv, avente la stessa direzione di v, lunghezza uguale al prodotto della
lunghezza di v per il valore assoluto dello scalare λ e verso concorde o discorde con v a
seconda che il numero reale λ sia positivo o negativo (f ig. 1.2.1c).
Utilizzando le notazioni AB e B − A, la somma e la differenza di due vettori possono
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essere eseguite con le seguenti regole formali:
AB + BC = AC (B − A) + (C − B) = C − A (1.2.1)
AC − BC = AB (C − A) − (C − B) = B − A (1.2.2)
OSSERVAZIONE 1.2.1: L’insieme delle classi di equipollenza V, dotato delle operazioni
sopra definite, gode delle seguenti proprietà:
a) x + y = y + x, ∀x, y ∈ V
b) (x + y) + z = x + (y + z), ∀x, y, z ∈ V
c) ∃o ∈ V tale che o + x = x, ∀x ∈ V
e) 1x = x, ∀x ∈ V
g) (a + b)x = ax + bx ∀x ∈ V, ∀a, b ∈ R
h) a(x + y) = ax + ay ∀x, y ∈ V, ∀a ∈ R
Figura 1.3.1
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Il segmento orientato AD, congiungente l’origine A di v1 , con l’estremo D di v3 , individua
un rappresentante del vettore R. Si vede immediatamente che il vettore R è la diagonale
principale del parallelepipedo costruito sui tre vettori v1 , v2 e v3 (f ig. 1.3.1a).
Allo stesso modo, per sommare n vettori v1 , v2 , ... , vn basta costruire una poligonale
i cui elementi sono i vettori vi (i = 1, 2, ...n); il risultante R, si ottiene congiungendo
l’origine del primo vettore con l’estremo dell’ultimo. Poichè la somma di vettori soddisfa
la proprietà commutativa, il risultante R è indipendente dall’ordine utilizzato per costruire
la poligonale (f ig. 1.3.1b e c). Vale la seguente regola formale, che generalizza la (1.2.1):
Figura 1.4.1
Per comodità supporremo tali rette complanari. Sia v un vettore appartenente alla gia-
citura individuata dalle due rette r1 ed r2 . Sia A il punto di intersezione delle due rette
r1 ed r2 . Applichiamo in A il vettore v. Costruiamo il parallelogramma che si appoggia
sulle due rette r1 ed r2 e che ha come diagonale il vettore v, tracciando dall’estremo B
del vettore applicato (A,v) due rette s1 ed s2 rispettivamente parallele ad r1 ed r2 . I
punti di intersezione C e D di queste rette con r1 ed r2 sono proprio gli estremi dei vettori
applicati AC e AD, rappresentanti dei vettori v1 e v2 cercati (f ig. 1.4.1). I vettori v1
e v2 cosı̀ ottenuti, prendono il nome di vettori componenti (o componenti vettoriali) di v
secondo le due direzioni orientate r1 ed r2 .
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a π. Sia s la retta di intersezione tra i due piani π e π1 . Ripetendo nel piano π1 la
decomposizione - di cui al punto precedente - del vettore v secondo le due direzioni r ed
s, si ottengono i due vettori v1 e v2 cercati (f ig. 1.4.2). Tali vettori prendono il nome di
componenti vettoriali di v secondo la direzione orientata r e la giacitura π.
Figura 1.4.2
Figura 1.4.3
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1.5. MATRICI.
Siano aij numeri reali; n ed m numeri naturali. Sia:
a11 a12 . . a1j . . a1n
a21 a22 . . a2j . . a2n
. . . . . . . .
A = (aij ) =
. . . . . . . .
(1.5.1)
ai1 ai2 . . aij . . ain
. . . . . . . .
am1 am2 . . amj . . amn
una matrice con m righe ed n colonne. Come è usuale, nell’elemento generico aij di questa
matrice, il primo indice è l’indice di riga, il secondo, l’indice di colonna. Indicheremo con
M(m, n) l’insieme di tutte le matrici di tipo (m, n). Se scegliamo n = 1 otteniamo
l’insieme M(m, 1) dei vettori colonna con m componenti:
a11 a1
a21 a2
. .
.
. ..
v=
=
ai1 ai
. .
. .
. .
am1 am
Se scegliamo m = 1 otteniamo l’insieme M(1, n) dei vettori riga ad n componenti:
³ ´ ³ ´
v = a11 a12 · · a1i · a1n = a1 a2 · · ai · an
Se scegliamo m = n otteniamo l’insieme M(n, n) delle matrici quadrate.
ESEMPI DI MATRICI:
a) Si chiama Matrice nulla la matrice O i cui elementi sono tutti nulli.
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PRODOTTO DI UNA MATRICE PER UN NUMERO REALE: Dati la matrice A = (aij )
ed il numero reale λ, si definisce prodotto della matrice A per lo scalare λ, la matrice
C = (cij ) i cui elementi si ottengono moltiplicando i corrispondenti elementi della matrice
A per lo scalare λ:
C = λA (cij ) = (λaij ) ∀i, ∀j (1.5.4)
mentre sottraendo ad una matrice A la sua trasposta si ottiene una matrice antisimmet-
rica:
aij − aTij = aij − aji = −(aji − aTji )
Osservato poi che risulta
1 1
A = (A + AT ) + (A − AT )
2 2
concludiamo che una qualunque matrice A si può sempre decomporre nella somma di
due matrici, una simmetrica ed una antisimmetrica. La matrice (A + AT )/2 prende il
nome di parte simmetrica della matrice A, la matrice (A − AT )/2 prende il nome di parte
antisimmetrica della matrice A.
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PRODOTTO DI DUE MATRICI: Date le due matrici A = (aij ) e B = (bij ), tali che il
numero di colonne di A coincida con il numero di righe di B, si definisce prodotto righe
per colonne delle due matrici la matrice C = (cij ), tale che:
à n !
X
C = AB (cij ) = aik bkj ∀i, ∀j (1.5.5)
k=1
Posto A−1 = (bij ), ed indicato con αij l’aggiunto dell’elemento aij di A, si verifica che:
αji
bij =
detA
MATRICE ORTOGONALE: una matrice quadrata A = (aij ) si dice ortogonale se:
A−1 = AT (1.5.8)
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Una matrice ortogonale è ovviamente non singolare e risulta:
cij = aij + bij , cij = aik bkj , ahs aks = δhk , ars aTsl = δrl . (1.5.12)
Si noti che in ciascuna delle formule sopra scritte compaiono due indici liberi, conseguentemente ciascuna di tali
formule è una forma compatta per scrivere 32 espressioni. Ad esempio, la (1.5.12)2 equivale alle 9 uguaglianze:
c11 = a11 b11 + a12 b21 + a13 b31 c12 = a11 b12 + a12 b22 + a13 b32 c13 = a11 b13 + a12 b23 + a13 b33
c21 = a21 b11 + a22 b21 + a23 b31 c22 = a21 b12 + a22 b22 + a23 b32 c23 = a21 b13 + a22 b23 + a23 b33
c31 = a31 b11 + a32 b21 + a33 b31 c32 = a31 b12 + a32 b32 + a33 b32 c33 = a31 b13 + a32 b23 + a33 b33
λ1 v1 + λ2 v2 + λ3 v3 + ... + λn vn = o
implica λ1 = λ2 = λ3 = ... = λn = 0.
Uno spazio vettoriale V si dice di dimensione infinita se, comunque preso il numero
intero n, esistono in V n vettori linearmente indipendenti. Uno spazio vettoriale V si dice
di dimensione n se esistono in V n vettori linearmente indipendenti, ma comunque presi
n + 1 vettori essi sono linearmente dipendenti. Nel seguito ci occuperemo soltanto di spazi
vettoriali di dimensione finita n. Quando vorremo indicare esplicitamente la dimensione
dello spazio scriveremo Vn .
Si chiama base di uno spazio vettoriale Vn una qualunque n-pla di vettori linearmente
indipendenti. Nel seguito i vettori che compongono una base saranno indicati con il
simbolo ei , e l’insieme degli n vettori con {e1 , e2 , ..., en }, con {ei }(i=1,...,n) o semplicemente
con {ei }.
Si dimostra che, in uno spazio vettoriale Vn di dimensione n, comunque preso un
vettore v ed una base {ei }, sono determinati in maniera univoca n numeri reali vi , tali
che:
v = v1 e1 + v2 e2 + ... + vn en (1.6.1)
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Gli n numeri reali vi , cosı̀ determinati, prendono il nome di componenti (più precisamente
componenti controvarianti) del vettore v nella base {ei }.
Vettori paralleli. Due vettori x e y, non nulli, si dicono paralleli (o collineari) se hanno
la stessa direzione. Si verifica facilmente che y è parallelo a x e scriveremo y||x, se e
solo se se esiste uno scalare m 6= 0 tale che y = mx. Due vettori paralleli sono dunque
linearmente dipendenti. Se m > 0, diremo che y è parallelo e concorde con x; se m < 0,
diremo che y è parallelo e discorde con x.
Vettori complanari. Tre vettori x, y e z non nulli si dicono complanari se hanno
direzioni parallele ad uno stesso piano. Si verifica facilmente che tre vettori complanari
sono linearmente dipendenti (cioè uno di essi si può esprimere come combinazione lineare
degli altri due).
Basi nell’insieme dei vettori liberi. Abbiamo visto nel par. 1.1.4 che ogni vettore
libero dello spazio fisico può essere espresso come somma di tre vettori non complanari.
Mostriamo adesso che tre qualsiasi vettori non complanari {e1 , e2 , e3 } costituiscono una
base.
Sia dunque v un qualunque vettore e siano r1 , r2 , r3 tre rette, passanti per un generico
punto A, parallele a {e1 , e2 , e3 }. Effettuando la decomposizione di cui al punto precedente,
possiamo determinare tre vettori v1 , v2 e v3 , rispettivamente paralleli a e1 , e2 e e3 , tali
che:
v = v1 + v2 + v3
Essendo v1 , v2 , e v3 rispettivamente paralleli a e1 , e2 ed e3 esisteranno tre scalari λ1 , λ2
e λ3 tali che:
v1 = λ1 e1 , v2 = λ2 e 2 v3 = λ 3 v 3
possiamo cosı̀ scrivere:
v = λ1 e1 + λ2 e2 + λ3 v3 (1.6.2)
I tre scalari λ1 , λ2 , λ3 sono proprio le componenti del vettore v nella base {ei }. Abbiamo
cosı̀ mostrato che i vettori liberi dello spazio fisico costituiscono uno spazio vettoriale di
dimensione tre.
Allo stesso modo si mostra che l’insieme dei vettori del piano è uno spazio vettoriale di
dimensione 2 e che l’insieme dei vettori della retta è uno spazio vettoriale di dimensione
1.
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in cui il primo indice, l’indice di riga i, è relativo alla vecchia base mentre il secondo indice, l’indice di colonna j,
è relativo alla nuova, consente di passare dai vettori della vecchia base ai vettori della nuova e prende il nome di
Matrice del cambiamento di base.
Si verifica facilmente che risulta det A 6= 0. Conseguentemente, il sistema di equazioni (1.6.3) è invertibile.
Indichiamo con A−1 la matrice inversa della matrice A; come è noto essa è definita dalla relazione:
A−1 A = AA−1 = I
La legge che consente di passare dai vettori della vecchia base a quelli della nuova si ottiene invertendo le equazioni
(1.6.3); denotando con Āij le componenti della matrice inversa della matrice A, è:
Un vettore, essendo un ente intrinseco, non varia al variare della base; variano invece le sue componenti.
Indichiamo con vi le componenti del vettore v nella vecchia base e con vj0 quelle nella nuova base. Poniamo cioè:
X
3
X
3
v= v j ej = vi0 ui
i=1 i=1
Le componenti (vj ) del vettore v nella vecchia base, risultano ovviamente legate alle componenti (vi0 ) di v nella
nuova base. Si ottiene infatti, dopo qualche calcolo:
Osserviamo infine che il passaggio dalla vecchia base ei alla nuova base uj (equazione (1.6.5)) è retto dalla
matrice A = (Aij ), mentre il passaggio dalle componenti di v nella base ei a quelle nella base uj , come abbiamo
osservato, è retto dalla sua inversa A−1 = (Āji ).
ESERCIZIO 1.6.1: Sia V3 uno spazio vettoriale di dimensione 3. Sia {ei } una sua base.
(a) Verificare che i vettori
u1 = e1 − 2e3 u2 = e1 + e2 − e3 u3 = e1 − e2 + e3
16
1.7. PRODOTTO SCALARE TRA DUE VETTORI LIBERI
In V3 si definisce la seguente operazione, detta Prodotto Scalare. Tale operazione associa
ad ogni coppia di vettori u e v il numero reale, che indicheremo u · v, ottenuto moltipli-
cando la lunghezza dei due vettori per il coseno dell’angolo α che essi formano. Indicando
con u il modulo (la lunghezza) del vettore u e con v il modulo del vettore v, si ha:
u · v = u v cosα (1.7.1)
a) x · y = y · x
c) x · (y + z) = x · y + x · z
d) x · x ≥ 0 e x · x = 0 =⇒ x = o
vu = v · û. (1.7.3)
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Utilizzando questa definizione, il prodotto scalare tra due vettori risulta espresso da:
v · u = u vu = v uv
Figura 1.7.1
Figura 1.7.2
Possiamo dunque affermare che la componente scalare del risultante di n vettori secon-
do la direzione della retta orientata r è uguale alla somma delle componenti dei singoli
vettori secondo la direzione orientata r (vedi fig. 1.7.2):
18
ESERCIZIO 1.7.1: Determinare le componenti del vettore OP di fig. 1.7.3 secondo le
direzioni dell’asse x e dell’asse y in funzione delle quantità xA e ξP .
Figura 1.7.3
Detta h la lunghezza del lato AB del triangolo ed α l’angolo che BC forma con BA, si ha OP = OA + AB + BP ,
e quindi: xP = xA + ξP sin α; yP = h − ξP cos α.
BASI ORTONORMALI: Come abbiamo detto, nello spazio V3 una base è costituita da
tre generici vettori non complanari. Una base di vettori mutuamente ortogonali e di
modulo unitario, prende il nome di base ortonormale. Sia {c1 , c2 , c3 } una generica base
ortonormale di E3 . Si verifica immediatamente che tali vettori soddisfano le relazioni:
c1 · c1 = 1 c2 · c2 = 1 c3 · c3 = 1
c1 · c2 = 0 c1 · c3 = 0 c2 · c3 = 0
Utilizzando il simbolo di Kronecker δij , introdotto nella (1.5.2), tali relazioni possono
scriversi in forma compatta:
ci · cj = δij ∀i, j (1.7.6)
v̂ = (cos cd
1 v, cos c
d2 v, cos c
d3 v) . (1.7.9)
19
base ortonormale, del versore ur di una data retta r, sono proprio i coseni direttori della
retta, cioè i coseni degli angoli che la retta r forma con gli assi coordinati:
vers r = ur = (cos cd
1 r, cos c
d 2 r, cos c
d3 r) . (1.7.10)
v1 = v · c1 , v2 = v · c2 , v3 = v · c3 (1.7.11)
Pertanto, in una base ortonormale, per un generico vettore v vale la seguente scompo-
sizione:
v · w = v1 w 1 + v2 w 2 + v3 w 3 (1.7.15)
Osserviamo infine che il prodotto scalare dei due vettori si può calcolare effettuando il
prodotto righe per colonne del vettore riga (v1 v2 v3 ), trasposto del vettore (1.7.13)1 , per
il vettore colonna (1.7.13)2 :
³ ´ w1
v · w = v1 v2 v3 ·
w2 (1.7.15)
w3
ESERCIZIO 1.7.2 Sia {ci } una base ortonormale nell’insieme dei vettori fisici V3 .
a) Determinare il modulo ed il versore del vettore v le cui componenti nella base {ci }
sono (1,2,-3).
20
c) Sia v1 = 1 la prima componente di un vettore v; siano α = √12 e β = √12 i coseni degli
angoli che il vettore v forma con i versori c1 e c2 . Determinare il modulo di v e le
componenti v2 e v3 .
Figura 1.7.4
Sia {e1 , e2 } una base obliqua di V2 . Per semplificare sopporremo i due vettori e1 ed
e2 di modulo unitario. Sia cioè e1 · e1 = 1, e2 · e2 = 1 e e1 · e2 = cos θ, essendo θ l’angolo
formato dai due versori e1 e e2 (vedi f ig. 1.7.4).
Denotiamo con x1 e x2 le componenti del vettore x di V2 , e con x̃1 e x̃2 le proiezioni
ortogonali di x sui due versori della base. Si ha:
x̃1 = x · e1 = (x1 e1 + x2 e2 ) · e1 = x1 e1 · e1 + x2 e2 · e1 = x1 + cos θ x2
x̃2 = x · e2 = (x1 e1 + x2 e2 ) · e2 = x1 e1 · e2 + x2 e2 · e2 = cos θ x1 + x2
Le componenti e le proiezioni ortogonali del vettore x sono indicate in f ig. 1.7.4.
Come si vede in una base obliqua esse non coincidono. Le componenti di x sono infatti
i due lati del parallelogramma (di lati rispettivamente paralleli ai due versori della base)
di cui x è la diagonale, che differiscono dalle proiezioni ortogonali del vettore x sulle rette
di versori e1 ed e2 .
Allo stesso modo si verifica che le componenti di un vettore v di V3 , in una base
obliqua di versori, sono i tre lati del parallelepipedo (di lati rispettivamente paralleli ai
versori della base) di cui v è la diagonale, e differiscono dalle proiezioni ortogonali di v
sui versori della base obliqua.
Notiamo infine che in una base obliqua un vettore può essere individuato sia dalle sue
componenti che dalle sue proiezioni ortogonali sui versori della base. Per questo motivo, le
21
proiezioni ortogonali vengono talvolta chiamate anch’esse componenti del vettore x. Per
distinguere i due tipi di componenti in una base obliqua, le prime si chiamano componenti
oblique (o controvarianti), le seconde componenti ortogonali (o covarianti). L’utilizzo
dei termini componenti controvarianti e componenti covarianti fà riferimento alla legge
di variazione di queste quantità al variare della base. Infatti, come abbiamo visto nel
paragrafo 1.6, le componenti oblique si trasformano al variare della base con la legge
(1.6.8) in cui compare la matrice inversa della matrice del cambiamento di base A; si può
verificare invece che le proiezioni ortogonali al variare della base si trasformano con una
legge in cui compare la matrice A.
22
1.9. SPAZI DI PUNTI
Nei numeri precedenti, partendo dal concetto intuitivo di spazio fisico, abbiamo costruito
lo spazio vettoriale dei vettori geometrici liberi, associando ad ogni coppia di punti (A,B)
di tale spazio un segmento orientato, e poi definendo nell’insieme dei segmenti orientati la
relazione di equipollenza. Viceversa, partendo dal concetto geometrico astratto di spazio
vettoriale si può associare ad esso un insieme di punti, e trasportare su tale insieme la
struttura di spazio vettoriale e di spazio euclideo.
Sia V uno spazio vettoriale reale. Sia E un qualsiasi insieme i cui elementi saranno
chiamati punti ed indicati con le lettere dell’alfabeto latino A,B,C.....
L’insieme E si dice uno spazio puntuale affine associato a V, se esiste una applicazione
τ : E ×E −→ V che ad ogni coppia ordinata di punti (A,B) di E associa un ben determinato
vettore v di V (v = τ (A,B)) che soddisfa i seguenti assiomi:
d) Se alla coppia ordinata (A,B) corrisponde il vettore v, alla coppia ordinata (B,A)
corrisponde il vettore -v.
23
Dati due punti A e B la retta passante per tali punti è ovviamente l’insieme dei punti
P tali che P-A= λ AB.
L’insieme {O,ei } di un punto O ∈ En e di una base {ei } dello spazio Vn , prende il
nome di riferimento di En di origine O. Le rette passanti per O, individuate dai vettori ei ,
(i = 1, 2, ...n), si chiamano assi del riferimento. Le componenti xi del vettore OP=P-O
nella base {ei }, si chiamano coordinate cartesiane o coordinate rettilinee del punto P nel
riferimento di origine O ed assi xi .
RIFERIMENTI ORTONORMALI. In uno spazio puntuale euclideo, prende il nome di
riferimento ortonormale l’insieme {O,ci } di un punto O ∈ En e di una base {ci } di vettori
ortogonali e di modulo unitario.
Figura 1.9.1
24
negativo nel piano è un riferimento in cui x1 ruota in senso orario per sovrapporsi a x2
(f ig. 1.9.1b).
Figura 1.9.2
25
a seconda che risulti positivo il determinante della matrice che consente di passare dalla
base {ei } alla base {ci }.
1.10. ISOMETRIE
In Meccanica, particolarmente nello studio dei moti rigidi e nei moti relativi, hanno particolare importanza le
bijezioni tra spazi vettoriali e tra spazi affini che conservano le lunghezze e gli angoli.
Siano En ed Fn due spazi euclidei di uguale dimensione. Una bijezione f di En in Fn si dice isometrica, se
conserva il prodotto scalare. In altre parole, diremo che i due spazi vettoriali euclidei En ed Fn sono isometrici, se,
presi ad arbitrio due vettori x1 e x2 di En , detti y1 ed y2 i corrispondenti elementi di Fn (y1 = f (x1 ) y2 = f (x2 )),
risulta
x1 · x2 = y1 · y2 (1.9.1)
Ovviamente una isometria f , conservando il prodotto scalare tra due vettori, conserva anche l’angolo che essi
formano e le loro lunghezze.
Una bijezione f tra due spazi puntuali euclidei En e Fn si dice isometrica se, detti A1 , A2 , A3 , A4 quattro punti
arbitrari di En e B1 , B2 , B3 , B4 i loro corrispondenti in Fn secondo l’applicazione f , risulta:
A1 A2 · A3 A4 = B1 B2 · B3 B4 (1.9.2)
Una isometria tra due spazi puntuali euclidei è pertanto una bijezione che conserva le distanze tra i punti e gli
angoli tra le rette.
Figura 1.11.1
Indicato con α il minore tra gli angoli che formano i due vettori u e v, risulta:
|u ∧ v| = uv sin α (1.11.1)
a) il prodotto vettoriale di due vettori u e v si annulla se uno dei due vettori è nullo
oppure se i due vettori sono paralleli.
26
b) il prodotto vettoriale è anticommutativo, risulta infatti:
u ∧ v = −v ∧ u (1.11.2)
Figura 1.12.1
27
Deduciamo dunque che il modulo del prodotto misto dei tre vettori u, v e w è il volume
del parallelepipedo costruito sui tre vettori u, v e w (vedi f ig. 1.12.1). Possiamo dire poi
che il prodotto misto dei tre vettori u, v e w è positivo o negativo a seconda che i tre
vettori costituiscano, nell’ordine, una terna positiva o una terna negativa.
In precedenza abbiamo definito terne positive quelle individuate da una base di vettori
positiva (vedi paragrafo 1.9). Quel che precede ci porta ad individuare un facile metodo
per stabilite se una terna è concorde o discorde con una terna trirettangola levogira. Si
verifica infatti che una terna obliqua è levogira se i vettori w e u ∧ v formano un angolo
minore di π/2, cioè se si trovano dallo stesso lato rispetto al piano individuato da u e
v, è destrogira se l’angolo che essi formano è maggiore di π/2. Conseguentemente, una
terna è levogira se il prodotto misto dei tre versori che la individuano è positivo, è invece
destrogira, se tale prodotto misto è negativo.
Da quanto detto si deduce che condizione necessaria e sufficiente perchè tre vettori
siano complanari è che il loro prodotto misto si annulli.
SIMBOLO DI RICCI O LEVI-CIVITA
In V3+ si definisce il seguente ente matematico a tre indici, noto come tensore alternante o simbolo di Ricci o
simbolo di Levi-Civita:
(
1 se (ijk) è una permutazione di posto pari su (123)
²ijk = 0 se almeno due dei tre indici (ijk) sono uguali (1.12.3)
−1 se (ijk) è una permutazione di posto dispari su (123)
In una base ortonormale levogira si verifica subito che si ha:
²ijk = ci ∧ cj · ck (1.12.4)
Come mostra la precedente relazione il tensore di Levi-Civita non è un tensore, ma uno pseudo tensore, in quanto
esso cambia segno nel passare da una base levogira ad una base destrogira.
[u ∧ (λ1 v1 + λ2 v2 ) − λ1 u ∧ v1 − λ2 u ∧ v2 ] · w = 0
28
zando la proprietà appena dimostrata, possiamo scrivere:
3
X 3
X 3 X
X 3
(u ∧ v)k = u ∧ v · ck ( ui c i ) ∧ ( vj c j ) · c k = ui vj ci ∧ cj · ck
i=1 j=1 i=1 j=1
otteniamo cosı̀:
Concludiamo dunque che le componenti del prodotto vettoriale dei due vettori u e v, di
componenti (u1 , u2 , u3 ) e (v1 , v2 , v3 ), sono proprio i minori di secondo ordine della matrice
in cui, ordinatamente, nella prima riga vi sono le componenti del vettore u, nella seconda
le componenti del vettore v: µ ¶
u1 u2 u3
(1.12.7)
v1 v2 v3
Una regola pratica per calcolare il prodotto vettoriale di due vettori, di cui sono note
le componenti in una data base ortonormale, consiste nel calcolare il determinante di una
matrice in cui nella prima riga vi sono i versori degli assi, nella seconda le componenti del
primo vettore, nella terza le componenti del secondo vettore:
¯ ¯
¯c c2 c3 ¯¯
¯ 1
¯ ¯
u ∧ v = ¯ u1 u2 u3 ¯ (1.12.8)
¯ ¯
¯ v1 v2 v3 ¯
Un’altra espressione del prodotto vettore in componenti verrà data nel capitolo successivo,
quando sarà introdotto l’operatore assiale.
ESPRESSIONE DEL PRODOTTO MISTO IN UN RIFERIMENTO ORTONORMALE
LEVOGIRO: Come abbiamo visto, le componenti del prodotto vettoriale dei due vettori
u=(u1 , u2 , u3 ) e v=(v1 , v2 , v3 ) sono espresse dalle relazioni:
o anche: ¯ ¯
¯u u2 u3 ¯¯
¯ 1
¯ ¯
u ∧ v · w = ¯¯ v1 v2 v3 ¯¯ (1.12.11)
¯ w1 w2 w3 ¯
ESERCIZIO 1.12.1. Calcolare l’area del triangolo avente come vertici i punti
29
ESERCIZIO 1.12.2. Calcolare il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori le
cui componenti in un riferimento ortonormale levogiro sono:
(u ∧ v) ∧ w (1.13.1)
La dimostrazione della (1.13.2) si può effettuare osservando che entrambi i membri della
(1.13.2) hanno le stesse le componenti in una base ortonormale assegnata; mostriamo che
si identificano le componenti secondo la direzione del primo versore. Risulta infatti:
(u ∧ v) ∧ w]1 = [(u ∧ v) ∧ w] · c1 =
= (u2 v3 − u3 v2 )c1 ∧ w · c1 + (u3 v1 − u1 v3 )c2 ∧ w · c1 +
+(u1 v2 − u2 v1 )c3 ∧ w · c1 =
= (u3 v1 − u1 v3 )w3 c2 ∧ c3 · c1 + (u1 v2 − u2 v1 )w2 c3 ∧ c2 · c1 =
= (u3 v1 − u1 v3 )w3 − (u1 v2 − u2 v1 )w2
ma è anche:
[(u · w)v − (v · w)u]1 = [(u · w)v − (v · w)u] · c1 =
= (u1 w1 + u2 w2 + u3 w3 )v1 − (v1 w1 + v2 w2 + v3 w3 )u1 =
= (u2 w2 + u3 w3 )v1 − (v2 w2 + v3 w3 )u1
(u ∧ v) ∧ w 6= u ∧ (v ∧ w) (1.13.3)
Si ha infatti:
u ∧ (v ∧ w) = (w ∧ v) ∧ u = (u · w)v − (v · u)w (1.13.4)
30
Concludiamo dunque che il doppio prodotto vettoriale soddisfa la proprietà associativa
(u ∧ v) ∧ w = u ∧ (v ∧ w) solo se il vettore v risulta contemporaneamente ortogolare sia a
u che a w (v · u = v · w = 0), oppure se i vettori u e w sono paralleli: (v · u)w = (v · w)u.
u ∧ (v ∧ w) + v ∧ (w ∧ u) + w ∧ (u ∧ v) = 0 (1.13.5)
u·v =0 (1.14.3)
v 2 x0 = u ∧ v
31
Tutte le altre soluzioni della (1.14.1) si ottengono ora aggiungendo al vettore x0 dato dalla
(1.14.4) un qualsiasi vettore parallelo a v.
Concludiamo dunque che, sotto l’ipotesi di compatibilità (1.14.3), la (1.14.1) ammette
le infinite soluzioni:
u∧v
x = x0 + λv = + λv (1.14.5)
v2
ESERCIZIO 1.14.1. Dati i due vettori v=(1,1,1) e w=(2,-2,0), risolvere l’equazione
vettoriale:
w =x∧v
X
3
X
3
v= vi ui = vj0 cj (1.15.1)
i=1 j=1
Determiniamo la relazione tra le componenti controvarianti di v nella base obliqua e quelle nella base orto-
normale. Sia A = (Aji ) la matrice del cambiamento di base; riscriviamo la legge del cambiamento di base (1.6.6):
(
v10 = A11 v1 + A21 v2 + A31 v3
v20 = A12 v1 + A22 v2 + A32 v3 (1.15.2)
v30 = A13 v1 + A23 v2 + A33 v3
È questo un sistema di tre equazioni nelle tre incognite v1 , v2 , v3 . Osserviamo che nelle colonne della matrice
di tale sistema compaiono le componenti, nella base ortonormale, dei vettori ui della base obliqua. Si ha dunque:
det(Aji ) = u1 ∧ u2 · u3 6= 0 (1.15.3)
Si ha poi:
u2 ∧ u3 u3 ∧ u1 u1 ∧ u2
v1 = ·v v2 = ·v v3 = ·v (1.15.4)
u1 ∧ u2 · u3 u1 ∧ u2 · u3 u1 ∧ u2 · u3
Vediamo dunque che le componenti controvarianti del vettore v nella base {ui } si possono ottenere moltiplicando
scalarmente il vettore v per i tre vettori:
u2 ∧ u3 u3 ∧ u1 u1 ∧ u2
U1 = U2 = U3 = (1.15.5)
u1 ∧ u2 · u3 u1 ∧ u2 · u3 u1 ∧ u2 · u3
I tre vettori U1 , U2 ed U3 , cosı̀ definiti sono tre vettori linearmente indipendenti, e costituiscono la cosiddetta
base reciproca della base {ui }. Essi soddisfano la relazione:
ui · Uj = δij (1.15.6)
Si ha poi dualmente:
v = (v · u1 )U1 + (v · u2 )U2 + (v · u3 )U3 (1.15.8)
32
1.16. ESERCIZI DI RIEPILOGO
2) Sia V3 uno spazio vettoriale di dimensione 3 e sia {ei } una sua base.
3) Sia E3 uno spazio vettoriale euclideo e {ci } una base ortonormale. Dato il vettore v di
componenti (1,2,3), nella base {ci }, determinare la sua componente scalare secondo
la bisettrice, orientata in un qualunque verso, dell’angolo individuato dai versori c1
e c2 .
4) In una terna trirettangola levogira trovare il coseno dell’angolo formato dalle bisettrici
degli angoli xy
c e yz,
c supposto prefissato su tali rette un orientamento.
√ √
5) In uno spazio vettoriale euclideo sia {ci } una base ortonormale. Siano v1 = ( 3, 2, 2)
√ √
e v2 = (1, 5, 3) due vettori. Determinare i vettori s = v1 + v2 e d = v1 − v2 .
Dimostrare che s ⊥ d.
6) Calcolare l’angolo formato dalle diagonali del quadrilatero avente i vertici in (0,0,0),
(3,2,0), (4,6,0), (1,3,0).
7) Sia V2 uno spazio vettoriale di dimensione 2 ed {c1 , c2 } una sua base ortonormale.
Siano µ ¶ µ ¶
2 1
e1 = e2 =
1 1
due vettori di V2 .
8) Calcolare l’area del triangolo avente come vertici i punti P=(1,3,-1), Q=(0,2,1),
R=(3,6,1).
33
9) Calcolare il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori le cui componenti in un
riferimento ortonormale levogiro sono v1 = (0, −1, 0), v2 = (0, 1, 2), v3 = (1, 2, 4).
10) Determinare il volume del parallelepipedo avente un vertice nell’origine O degli assi
e gli spigoli uscenti da O, unitari e paralleli alle bisettrici degli angoli xy,
ˆ yz
ˆ e xz.
ˆ
11) Dati i due vettori v=(0,1,1) e w=(2,2,-2), determinare il luogo dei punti P dello
spazio tali che:
w = OP ∧ v
u1 = 3i − 4j
u2 = 3j + 4k
u3 = −i + j + 2k
(a) mostrare che essi costituiscono una base e determinare la base reciproca {Ûj }.
(b) esprimere il vettore v: v = 5i−3j+8k come combinazione lineare dei tre vettori
{ui } e dei tre vettori {Ûj }.
34
CAPITOLO II
L : x ∈ V −→ τ x ∈ V0 (2.1.1)
a) L(x + y) = Lx + Ly ∀x, y ∈ V
b) L(λx) = λLx, ∀x ∈ V, ∀λ ∈ R
O : x ∈ V −→ O x = o
U : x ∈ V −→ U x = x
τλ : x ∈ V −→ τλ x = λx
35
2.2. TENSORI DOPPI NEGLI SPAZI EUCLIDEI
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, gli spazi vettoriali che si incontrano nello
studio della Meccanica Razionale sono spazi, a due o tre dimensioni, dotati di prodotto
scalare. Ci limiteremo pertanto a studiare gli endomorfismi in un spazio vettoriale euclideo,
di dimensione 2 e di dimensione 3.
x = (x1 , x2 ) ∈ E2 ←→ z = x1 + ix2 ∈ C
Cosı̀ come un numero complesso, ogni vettore del piano x è suscettibile di una rappresen-
tazione esponenziale. Detti infatti x il modulo del vettore x e θ l’angolo che il vettore x
forma con il vettore c1 , ricordando la formula di Eulero, possiamo scrivere:
w = zv = ρvei(θ+φ)
36
per i si identifica dunque con l’operatore che ruota i vettori del piano di 90o in verso
antiorario. Per tale motivo, la moltiplicazione per il numero complesso i viene anche
chiamata operatore manovella. Si verifica anche facilmente che la moltiplicazione del
vettore x per il numero complesso z di modulo ρ ed argomento φ, consiste nel moltiplicare
il vettore x per il modulo ρ del numero complesso z e quindi ruotare il vettore cosı̀ ottenuto
di un angolo φ in verso antiorario.
L’OPERATORE ASSIALE
Consideriamo lo spazio euclideo tridimensionale dotato delle sole basi positive E+3 . Sia u
+
un generico vettore di E3 . Prende il nome di operatore assiale o semplicemente assiale
l’endomorfismo che associa ad ogni vettore x appartenente a E+ 3 il risultato del prodotto
vettoriale tra u ed x:
u∧ : x ∈ E+ +
3 −→ (u∧)x = u ∧ x ∈ E3 (2.2.1)
u ⊗ v : x ∈ E −→ u ⊗ v x = (u · x)v (2.2.2)
u ⊗ u x = (u · x)u = xr u.
Come vediamo la diade u ⊗ u agisce sul vettore x trasformandolo nel suo vettore proiezione secondo la direzione
della retta r. Nel seguito denoteremo tale operatore con:
37
In particolare, se c1 , c2 e c3 sono i versori di un riferimento ortogonale in uno spazio tridimensionale E3 ,
possiamo scrivere:
x = x1 c1 + x2 c2 + x3 c3 = (c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 ) x,
da cui deduciamo:
U = c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3 . (2.2.4)
Infine, l’operatore
P⊥ (u) := U − u ⊗ u (2.2.5)
è il vettore proiezione nel piano perpendicolare ad u, infatti si ha:
[P⊥ (u)x] · x = [(U − u ⊗ u) x] · x = 0
e
P|| (u) + P⊥ (u) = I.
38
Il vettore w trasformato del vettore v tramite l’operatore L si ottiene come combinazione
lineare, con coefficienti vi , dei trasformati degli elementi della base {ci }. Conseguente-
mente, esso risulta individuato una volta noti i tre vettori Lc1 , Lc2 e Lc3 , trasformati
degli elementi della base.
Sostituendo adesso le (2.3.2) nella (2.3.5) si ricava:
3
X 3
X
w= wi ci = vj Lij ci
i=1 i,j=1
cioè:
3
X
wi = Lij vj (2.3.6)
j=1
ESEMPI
Componenti dell’endomorfismo nullo e dell’endomorfismo identico. Applicando
la (2.3.1), si deduce subito:
(u ⊗ v)ij = ci · (u ⊗ v cj ) = uj vi (2.3.9)
39
deduciamo quindi che, in un spazio euclideo tridimensionale, la matrice delle componenti
del prodotto tensoriale tra u e v è:
u1 v 1 u2 v1 u3 v 1
((u ⊗ v)ij ) = u1 v2 u2 v2 u3 v 2 (2.3.10)
u1 v 3 u2 v3 u3 v 3
Nell’insieme Lin (V) delle trasformazioni lineari vengono definite, in maniera naturale,
la somma ed il prodotto per uno scalare.
Prende il nome di somma dei due operatori L1 e L2 , l’operatore L1 + L2 tale che:
(L1 + L2 )v = L1 v + L2 v (2.4.1)
Si verifica immediatamente che le componenti in una base {ei } della somma di due
operatori, del prodotto di un operatore per uno scalare e del prodotto di due operatori
sono:
40
(L1 + L2 )ij = (L1 )ij + (L2 )ij
(λL)ij = λLij
Pn
(L1 ◦ L2 )ij = h=1 (L1 )ih (L2 )hj
L= Lij ci ⊗ cj . (2.4.3)
i,j=1
Il primo membro della (2.5.2), per la (2.3.1), è la componente Aji dell’operatore A nella
base prefissata, mentre il secondo membro è la componente di posto ij dell’operatore AT ;
denotata quest’ultima con ATij , la (2.5.2) porge:
41
ESEMPIO: La diade (v, v) è una dilatazione. Infatti:
Tensori simmetrici si incontrano nello studio della dinamica dei corpi rigidi (tensore
d’inerzia) e nello studio della cinematica e della meccanica dei continui deformabili. Il
termine dilatazione per indicare un tensore simmetrico trae origine proprio dallo studio
della deformazione dei continui tridimensionali.
Duku (2.5.6)
cioè tali che la dilatazione del vettore u sia ad esso parallela. Ricordiamo che prende il
nome di autovettore v dell’operatore D corrispondente all’autovalore λ un vettore v tale
che
Dv = λv (2.5.7)
Osservato che se v è un autovettore associato all’autovalore λ anche il prodotto di v per
un qualunque numero reale λ è un autovettore, possiamo affermare che l’equazione (2.5.7)
individua semplicemente una direzione che prende il nome di direzione unita dell’operatore
D associata all’autovettore λ.
È noto che un operatore simmetrico ammette sempre tre autovalori λi reali (even-
tualmente coincidenti) e tre autovettori linearmente indipendenti. Mostreremo adesso
che questi tre autovettori individuano tre direzioni unite mutualmente ortogonali, mostr-
eremo cioè che, detti u1 , u2 ed u3 i versori di queste direzioni unite, risulta:
ui · uj = δij (2.5.8)
42
Concludendo, possiamo affermare che se λ1 6= λ2 6= λ3 esistono tre direzioni privilegiate
lungo le quali la dilatazione del vettore v è parallela al vettore stesso. Se i versori di queste
direzioni vengono scelti come base del nostro spazio vettoriale, la matrice delle componenti
di D assume forma diagonale. Nel caso in cui due dei tre autovalori sono uguali, sono
direzioni unite tutte quelle di un piano, nonchè la direzione ortogonale alla giacitura di
suddetto piano. Nel caso infine in cui tutti e tre gli autovalori sono uguali allora ogni
direzione è una direzione unita.
DECOMPOSIZIONE SPETTRALE
Sia Y un sottospazio lineare di E. Chiamiamo complemento ortogonale di Y il sottospazio lineare di E definito
da:
Y⊥ := {x ∈ E : x · y = 0, ∀y ∈ Y }
I due sottospazi Y e Y⊥ decompongono E, nel senso che, fissato un qualunque vettore x di E, esistono e sono
unici due vettori y e y⊥ , il primo appartenente a Y il secondo a Y⊥ tali che:
x = y + y⊥
Sia D un tensore simmetrico e supponiamo che esso ammetta tre autovalori λ1 , λ2 e λ3 distinti. Come abbiamo
visto, esistono tre sottospazi di E (i tre autospazi costituiti dai vettori paralleli agli autovettori u1 , u2 ed u3 ) che
sono invarianti sotto l’azione di D. Se i versori di queste direzioni vengono scelti come base di E3 , la matrice Dhk
delle componenti di D assume la seguente forma diagonale:
à !
λ1 0 0
0 λ2 0
0 0 λ3
Da quanto detto si deduce che il tensore D ammette la seguente decomposizione:
D = λ1 u1 ⊗ u1 + λ2 u2 ⊗ u2 + λ3 u3 ⊗ u3 (2.5.10)
detta decomposizione spettrale. In generale, anche quando gli autovalori non sono tutti distinti, gli autospazi di
un tensore simmetrico D in Lin(E) decompongono lo spazio vettoriale E. Nel caso in cui gli autovalori di D sono
tutti coincidenti, la matrice delle componenti di D è una matrice diagonale in un qualunque sistema di riferimento
ed il tensore D è un tensore isotropo.
f = (D OP ) · OP (2.5.11)
43
definita negativa se f (x) < 0, ∀x ∈ Rn ;
semidefinita positiva se f (x) ≥ 0, ∀x ∈ Rn , con f (x) = 0 per almeno un x;
semidefinita negativa se f (x) ≤ 0, ∀x ∈ Rn , con f (x) = 0 per almeno un x;
indefinita se f (x) assume valori sia positivi che negativi.
Una conica C si dice di tipo ellittico, parabolico o iperbolico a seconda che risulti D33 > 0,
D33 = 0, D33 < 0. Nel seguito ci interesseremo soltanto delle coniche per le quali risulta
D33 6= 0, dette coniche a centro.
Si può dimostrare facilmente che, con un opportuno cambiamento di variabili, se risulta
D33 6= 0, si può fare in modo che i termini lineari nella (2.5.15) si annullino. In questo
caso l’equazione della conica si scrive:
a11 x2 + a22 y 2 + 2a12 xy + a33 = 0 (2.5.17)
e, come si vede, è del tipo (2.5.14). Nel seguito considereremo coniche a centro scritte
nella forma (2.5.14) (o (2.5.17)). Come vedremo in questo caso il centro della conica, che
è centro di simmetria, coincide con l’origine del sistema di riferimento.
44
DIREZIONI CONIUGATE DI UN ENDOMORFISMO SIMMETRICO
Data una dilatazione D, prendono il nome di direzioni coniugate della dilatazione
due direzioni, individuate dai versori u e u0 , tali che
u · Du0 = u0 · Du = 0 (2.5.18)
LOP · u = 0 (2.5.20)
Come si vede, fissato il versore u, il diametro coniugato alla direzione u è una retta
passante per il punto O, che prende il nome di centro della conica. Come si può
verificare facilmente, per tale punto passano anche tutti gli altri diametri della conica.
FIGURA 2.5.1
45
In particolare, i diametri della conica coniugati alle direzioni degli assi coordinati hanno
equazioni:
a11 x + a12 y = 0 a12 x + a22 y = 0 (2.5.22)
Il punto O è centro di simmetria della conica; infatti il diametro d coniugato alla
direzione u contiene una corda P Q della conica con direzione u0 individuata dalla (2.5.18)
e quindi il diametro d0 , coniugato alla direzione u0 , per la proprietà 2, passerà per il punto
O, punto medio della corda P Q.
FIGURA 2.5.2
La corrispondenza nel fascio di rette di centro O individuata dalla (2.5.18) che associa al
diametro d il suo diametro coniugato d0 si dice involuzione dei diametri coniugati.
λ 1 x2 + λ 2 y 2 = c (2.5.24)
46
Ellisse. Supponiamo che sia λ1 > 0, λ2 > 0. Posto allora λ1 = c/a2 e λ2 = c/b2 si ottiene:
x2 y 2
+ 2 =1
a2 b
che è l’equazione canonica dell’ellisse. Come caso particolare si ottiene la circonferenza se
risulta λ1 = λ2 > 0
Iperbole: Se risulta λ1 > 0, λ2 < 0, posto λ1 = c/a2 e λ2 = −c/b2 si ottiene:
x2 y 2
− 2 =1
a2 b
f = (D OP ) · OP (2.5.30)
D OP · OP = costante (2.5.32)
Osserviamo che a seconda del segno degli autovalori della dilatazione D, la forma
quadratica (2.5.31) risulta definita, semidefinita o indefinita, e la quadrica associata
(2.5.33) è un ellissoide, un paraboloide o un iperboloide. In particolare, se la forma
quadratica (2.5.31) è definita positiva (cioè se tutti e tre gli autovalori della dilatazione
D sono positivi) e la costante c è anch’essa positiva, la quadrica è un ellissoide, la cui
equazione è proprio la (2.5.33). Da quanto dedotto in precedenza, si deduce infine che,
se si effettua in E3 un cambiamento del sistema di riferimento, scegliendo come nuovi
assi y1 , y2 , y3 proprio le direzioni unite della dilatazione, l’equazione (2.5.33) assume la
seguente forma canonica:
λ1 y12 + λ2 y22 + λ3 y32 = c
In tale nuovo riferimento, la matrice dhk delle componenti dell’operatore D assume forma
diagonale:
λ1 0 0
0 λ2 0
0 0 λ3
47
ESERCIZIO 1: Nello spazio vettoriale euclideo V3 sia data la dilatazione D, le cui componenti, in una base
ortonormale {ci }, sono: Ã !
d1 0 0
Dij = 0 1 −1
0 −1 1
(a) mostrare che si tratta di una dilatazione singolare.
(b) determinare le direzioni unite della dilatazione D.
(c) Scrivere la matrice delle componenti di D, nella base individuata dai versori delle direzioni unite.
(d) Individuare la quadrica associata alla dilatazione.
ESERCIZIO 2: Nello spazio vettoriale euclideo E3 sia data la dilatazione D, le cui componenti, in una base
ortonormale {ci }, sono: Ã !
d1 2 3
D= 2 1 −1
3 −1 1
(a) mostrare che si tratta di una dilatazione non singolare.
(b) determinare le direzioni unite della dilatazione D.
(c) Scrivere la matrice delle componenti di D, nella base individuata dai versori delle direzioni unite.
(d) Individuare la quadrica associata alla dilatazione.
48
Il fatto che il tensore Q è invertibile discende subito dall’osservare che il nucleo di Q (cioè
l’insieme dei vettori x tali che Qx=o) coincide col vettore nullo. Ovviamente, anche il
tensore Q−1 è ortogonale; infatti, posto u=Qx, la (2.6.1) equivale alla uguaglianza:
|u| = |Q−1 u|
|Q(x + y)| = |x + y|
Q−1 = QT (2.6.4)
Qx · Qy = x · QT (Qy)
cioè, tenendo presente la (2.6.3):
x · [(QT ◦ Q)y] = x · y
da quest’ultima relazione, per l’arbitrarietà di x e di y, si deduce:
QT ◦ Q = U
Js = Qcs (2.6.5)
49
Osserviamo in particolare che, dato in En un generico vettore v=(vi ), risulta:
3
X 3
X
w = Qv = Qvs cs = vs J s (2.6.6)
s=1 s=1
Si ha cioè:
3
X 3
X 3
X
ch = Qhk Jk Jh = Qkh ck = QThk ck (2.6.10)
k=1 k=1 k=1
da cui constatiamo, ricordando la formula (2.6) del capitolo 1, che la matrice Qhk è una
matrice di cambiamento di base, tra basi ortonormali. Essa infatti consente di passare
dalla nuova base {Jh } alla vecchia base {ck }. La sua inversa Q−1 = QT consente di
passare dalla vecchia base alla nuova.
Concludiamo dunque che il tensore Q ha due interpretazioni differenti. La prima
interpretazione (detta attiva) consente di passare dai versori ci di una base ortonormale ad
i versori Ji di un’altra base anch’essa ortonormale. La seconda (detta passiva) interpreta
la matrice Qhk come matrice di cambiamento di base: dai vettori Ji ai vettori ci .
PROPRIETÀ 5: La matrice delle componenti di un operatore ortogonale, in una base
ortonormale, è una matrice ortogonale.
Dimostrazione. Sia {ci } una base ortonormale; sia poi (Qij ) la matrice delle componenti
dell’operatore Q nella base assegnata. Dalla (2.6.4) si deduce:
Q−1 T
rs = Qrs = Qsr
Concludiamo dunque che, in una base ortonormale, la matrice delle componenti di un
tensore ortogonale è una matrice ortogonale. Se si interpreta tale matrice come matrice
di cambiamento di base tra basi ortonormali, ritroviamo la nota proprietà che, in uno
spazio vettoriale euclideo, la matrice di cambiamento di base - tra basi ortonormali - è
una matrice ortogonale.
Mostriamo adesso che gli elementi di una matrice ortogonale non sono indipendenti.
Tenendo presente la (2.6.10)2 e ricordando che jh sono i versori di una base ortonormale,
si ricava:
3
X 3
X 3
X
jh · jk = (Qih ci )(Qsk cs ) = Qih Qsk δis = Qsh Qsk
i,s=1 i,s=1 s=1
50
cioè:
3
X
Qsh Qsk = δhk (2.6.11)
s=1
PROPRIETÀ 6:
I tensori ortogonali formano un gruppo rispetto al prodotto di tensori definito nella (24.6).
Si lascia come esercizio al lettore la verifica di questa proprietà.
Denoteremo con O(E) il gruppo dei tensori ortogonali:
51
(iij ) è uguale alla matrice identità:
µ ¶µ ¶ µ ¶
0 −1 0 1 1 0
QT ◦ Q = = (2.6.15)
1 0 −1 0 0 1
52
CAPITOLO III
Nello studio dei fenomeni meccanici si incontrano spesso grandezze vettoriali che dipen-
dono anche dal punto dello spazio in cui vengono applicate. Esempi di tali grandezze
sono le Forze. Le forze, infatti vengono applicate a punti di corpi materiali, ed il loro
effetto dipende dal punto del corpo in cui vengono applicate. È dunque indispensabile,
nello studio della Meccanica, approfondire lo studio degli insiemi di vettori applicati.
3.1. VETTORI APPLICATI.
Ricordiamo che prende il nome di vettore applicato una coppia ordinata (A,B) di
punti dello spazio E3 . Un vettore applicato è dunque quel particolare ente geometri-
co caratterizzato da modulo, direzione, verso e punto di applicazione. Nel seguito lo
indicheremo con il simbolo
(A, v). (3.1.1)
La retta a passante per A e parallela al vettore v si dice retta di applicazione o retta
di azione del vettore v.
Figura 3.1.1
53
3.2. MOMENTO POLARE
Sia (A,v) un vettore applicato nel punto A, e Q un punto qualsiasi dello spazio puntuale
euclideo tridimensionale E3 .
Si chiama momento polare del vettore applicato (A,v) rispetto al polo Q il prodotto
vettoriale:
MQ = QA ∧ v (3.2.1)
Si noti che al momento polare MQ ora definito non viene associato alcun punto di appli-
cazione. Esso è pertanto un vettore libero.
Esercizio 3.2.1: Calcolare il momento del vettore v= (3, −1, 2)T , applicato nel punto P
di coordinate (0,1,2), rispetto al punto Q di coordinate (3,1,0).
Figura 3.2.1
54
risulta parallelo all’asse z, mentre il suo verso è concorde con k (cioè uscente dal foglio)
se il punto Q vede scorrere v sulla sua retta di applicazione in verso antiorario (vedi
f ig. 3.2.1a), è discorde con k (cioè entrante dentro il foglio) se il punto Q vede scorrere v
sulla sua retta di applicazione in verso orario (vedi f ig. 3.2.1b).
Figura 3.2.2
Il modulo del momento polare MQ , essendo uguale all’area del parallelogrammo costruito
su QA e v, è dato da:
MQ = |MQ | = |QA| |v| sin α
dove α è l’angolo tra QA e v. Denotiamo con b la distanza della retta a di applicazione
del vettore v dal polo Q e con v il modulo del vettore v; possiamo scrivere:
MQ = bv (3.2.3)
Il numero reale positivo b ora introdotto, prende anche il nome di braccio del vettore
applicato (A,v) rispetto al polo Q.
Il momento polare soddisfa le seguenti proprietà:
Proprietà 3.2.1: Il momento polare di un vettore applicato si annulla se e solo se il
punto Q appartiene alla retta a di applicazione del vettore v.
MQ = 0 ⇐⇒ Q∈a (3.2.4)
QA’ ∧ v = QA ∧ v (3.2.5)
55
Figura 3.2.3
Pertanto, il concetto di momento polare resta definito anche per i cursori; notiamo invece
che tale concetto non ha senso per i vettori liberi.
L’esigenza di introdurre in Meccanica il concetto di momento di un vettore rispetto a
un punto (e quindi il concetto di prodotto vettoriale tra vettori) appare evidente quando
si considera ad esempio l’effetto di una forza (A,F), applicata in un punto A di un corpo
rigido girevole intorno ad un asse fisso, passante per Q: infatti, come si vedrà in seguito,
il vettore QA∧F rappresenta totalmente tale effetto, in quanto è in grado di tener conto,
con il suo modulo |MQ | = bF , della forza F e della sua distanza dall’asse di rotazione,
con la sua direzione dell’asse di rotazione e con il suo verso del senso della rotazione.
Il concetto di momento di una forza rispetto a un punto è un concetto fondamen-
tale della statica (cioè dell’equilibrio) dei corpi rigidi. Ciò si comprende, ad esempio,
considerando una leva (cioè un’asta AB, di lunghezza l, imperniata in un suo punto C).
L’esperienza insegna che, se il perno C è il punto medio dell’asta AB, se si applica una forza
F sul punto A della leva, perchè l’asta sia in equilibrio è necessario applicare nel punto B
una forza F, identica a quella che è stata applicata in A. Se invece il perno C è posto ad
una distanza disuguale dai due estremi, ad esempio, |AC| = l/3 e |CB| = 2l/3, le forze
che devono essere applicate nei punti A e B della leva sono inversamente proporzionali
alle distanze di A e B dal perno C. Soddisfano cioè la relazione:
CA ∧ FA = −CB ∧ FB
56
v, (ux , uy , uz )T le componenti del versore û, possiamo scrivere:
¯ ¯
¯x − x yA − yQ zA − zQ ¯¯
¯ A Q
¯ ¯
QA ∧ v · û = ¯ vx vy vz ¯ (3.3.2)
¯ ¯
¯ ux uy uz ¯
Osserviamo che la definizione di momento assiale sembra non ben posta, in quanto appare
dipendere dal punto Q della retta r. Vale invece la seguente:
Proprietà 3.3.1. Il momento assiale non varia quando si fa variare Q sulla retta r.
DIMOSTRAZIONE: Sia Q’ un punto di r, distinto da Q. Calcoliamo il prodotto misto
dei tre vettori Q’A, v, e û. Si ha:
Q’A ∧ v · û = (Q’Q+QA) ∧ v · û = Q’Q ∧ v · û + QA ∧ v · û
Osservando che Q’Q è parallelo a û, si deduce che il prodotto misto Q’Q ∧ v · û si annulla;
conseguentemente:
Q’A ∧ v · û = QA ∧ v · û (3.3.3)
Ovviamente, anche per il momento assiale vale la seguente:
Proprietà 3.3.2. Il momento assiale non varia quando si fa variare il punto di appli-
cazione del vettore v sulla retta a.
Notiamo cosı̀ che il concetto di momento assiale, come quello di momento polare, resta
definito anche per i cursori.
È importante osservare la seguente:
Proprietà 3.3.3. Il momento assiale si annulla se e solo se la retta di azione di v è
parallela od incidente la retta a.
Infatti, in tal caso, i tre vettori QA, v e û risultano complanari, e quindi il loro prodotto
misto si annulla.
57
Figura 3.3.1
Consideriamo adesso il caso in cui le rette r ed a non sono perpendicolari tra di loro. Sia
Q un punto di r e π il piano che contiene Q e la retta di applicazione a del vettore v
(f ig. 3.3.2).
Figura 3.3.2
Sia α l’angolo che la retta r forma con la direzione di MQ (ovviamente ortogonale a π).
Detto b il braccio di v rispetto a Q, risulta:
Mr = bv cos α (3.3.6)
58
(a) (b)
Figura 3.3.3
Un altro modo per effettuare una determinazione sintetica del momento assiale è il
seguente. Siano Q∗ ∈ r e A∗ ∈ a i punti di minima distanza tra r ed a (vedi figura
3.3.3b). Come è noto, il vettore Q∗ A∗ che congiunge tali punti è ortogonale sia ad r
che ad a. Calcoliamo il momento assiale del vettore applicato (A,v) rispetto ad r. Se si
scompone v nei suoi componenti v⊥ e v00 , rispettivamente normale e parallelo ad r, solo
il componente v⊥ ortogonale ad r contribuisce al momento assiale. Si ottiene cosı̀, detto
u il versore di r:
Mr = QA ∧ v · u = Q∗ A∗ ∧ v⊥ · u (3.3.8)
Notiamo adesso che i tre vettori Q∗ A∗ , v⊥ ed u sono mutuamente ortogonali. Denotata
con b∗ = |Q∗ A∗ | la distanza tra le due rette a ed r, e con v⊥ il modulo del vettore v⊥ ,
risulta:
Mr = ±b∗ v⊥ (3.3.9)
ove è da prendersi il segno + o il segno - a seconda che la terna Q∗ A∗ , v⊥ e u sia levogira
o destrogira.
ESERCIZIO 3.3.1. Determinare il momento del vettore v = (−1, 1, 2)T applicato nel
punto A = (1, 1, 0) rispetto all’asse z.
DETERMINAZIONE ANALITICA. Si ha:
¯ ¯
¯ 1 1 0 ¯¯
¯
¯ ¯
Mz = OA ∧ v · c3 = ¯ −1 1 2¯ = 2
¯ ¯
¯ 0 0 1¯
DETERMINAZIONE SINTETICA. Con riferimento alla figura 3.3.3b, scelto Q coinci-
dente con O e la retta r come asse z, decomponiamo il vettore v nei due componenti
parallelo e ortogonale all’asse z. Si ha: v⊥ = (−1, 1, 0)T e v00 = (0, 0, 2)T . Constatato che
√
solo v⊥ contribuisce a Mz e che OA è perpendicolare a v⊥ , osservando che |OA| = 2 e
√
|v⊥ | = 2, si deduce subito
√ √
Mz = 2 2 = 2
59
3.4. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI: RISULTANTE E MOMENTO
Dicesi Sistema di vettori applicati l’insieme formato da più vettori applicati.
Un sistema di forze applicate in punti di un corpo rigido è un esempio di sistema di
vettori applicati. Un insieme costituito da un numero finito di forze applicate in punti
distinti dello spazio si dirà discreto, un insieme costituito da infiniti vettori applicati in
una regione continua dello spazio si dirà continuo. Parleremo nel primo caso di forze
concentrate in punti del corpo rigido (ad esempio un insieme di molle o di funi), nel
secondo caso di una sollecitazione distribuita (o continua) di forze (ad esempio la forza
peso, che agisce su ogni elemento del corpo rigido in esame).
Lo studente stia ben attento a non confondere il momento risultante di Σ con il momento
del risultante R. Non ha senso, infatti, parlare di momento del risultante R, in quanto,
quest’ultimo, come del resto MQ è un vettore libero.
60
applicando la linearità del prodotto vettoriale:
n
X n
X n
X
MP = P Q ∧ vi + QAi ∧ vi = P Q ∧ vi + MQ
i=1 i=1 i=1
MP = MQ + PQ ∧ R (3.4.4)
COPPIE.
Si chiama coppia il sistema formato da due vettori applicati, paralleli, discordi e di uguale
modulo.
Si chiama intensità della coppia il valore comune del modulo di ciascun vettore della
coppia. Si chiama braccio della coppia la distanza tra le rette di applicazione dei due
vettori.
Una coppia di braccio nullo è una coppia di vettori che hanno la stessa retta di
applicazione.
Figura 3.4.1
MQ = MP ∀Q, ∀P
Per questo motivo, nel seguito, nell’indicare il momento di una coppia, scriveremo sem-
plicemente M, senza indicare il polo.
Siano (A,v) e (B,-v) i due vettori della coppia. Sia π il piano che la contiene e N il
versore normale al piano π.
Determiniamo il momento della coppia. Scegliamo come polo il punto di applicazione
di uno dei due vettori, ad esempio B. Si ha:
M = MB = BA ∧ v = ±bvN (3.4.6)
61
Figura 3.4.2
Il momento polare è un elemento caratteristico delle coppie, in quanto, data una cop-
pia, è unico il suo momento M; viceversa, dato un vettore momento M, esso è sempre
rappresentabile tramite una coppia in cui il vettore v ed il braccio b siano tali che vb = M
e la terna AB, v, M sia levogira. Ovviamente, vi sono infinite coppie atte a rappresentare
un dato momento M.
In particolare osserviamo che il momento di una coppia non varia se il piano che la
contiene si sposta parallelamente a se stesso o ruota di un angolo qualsiasi intorno ad un
asse ad esso perpendicolare.
Infine, il momento assiale di una coppia rispetto ad una retta orientata r, di versore
u, denotato con α l’angolo formato tra il versore N ortogonale al piano della coppia ed il
versore u della retta r, è dato da:
Mr = ±bv cos α.
Figura 3.5.1
62
Vale un analogo teorema di Varignon per il momento risultante assiale:
Teorema 3.5.2: Se i vettori di Σ sono applicati su rette concorrenti in un punto A, il
momento risultante assiale di Σ rispetto ad una retta r coincide con il momento rispetto
ad r del risultante R di Σ applicato in A.
La dimostrazione di questo teorema è una immediata conseguenza del teorema prece-
dente.
I = MQ · R (3.6.1)
Come si verifica facilmente, tale quantità risulta invariante al variare del polo. Infatti:
MQ · R = (MP + QP ∧ R) · R = MP · R
MQ · R = (~µ + NQ ) · R = ~µ · R
I = ±µR (3.6.4)
ove è da prendere il segno + o il segno - a seconda che i due vettori ~µ ed R siano concordi
o discordi.
Osserviamo infine che, essendo ~µ ed NQ ortogonali tra loro risulta:
|MQ | ≥ µ
Mostreremo nel prossimo paragrafo che esistono punti di E3 rispetto ai quali il momento
del sistema di vettori applicati Σ è proprio uguale a ~µ. Per questo motivo ~µ prende il
nome di momento minimo (cioè di modulo minimo) del sistema Σ ed è anche spesso
indicato con Mmin . Risulta:
I I
~µ = Mmin = vers R = 2 R. (3.6.5)
R R
63
ASSE CENTRALE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI
Sia Σ un sistema di vettori applicati, di risultante R e momento risultante rispetto al
polo Q MQ . Decomponiamo MQ nei suoi due componenti parallelo e normale al vettore
R; con le notazioni introdotte nel numero precedente:
MQ = ~µ + NQ (3.6.6)
NQ = QA ∧ R (3.6.7)
Figura 3.6.1
Mostriamo che la retta a cosı̀ trovata non dipende dal punto Q, rispetto a cui è stato
calcolato il momento risultante di Σ. A tale scopo, supponiamo che, scegliendo come polo
un punto Q0 , diverso da Q, si pervenga ad una retta a0 . Denotati con A0 i punti della
retta a0 , possiamo scrivere:
MQ0 = ~µ + Q0 A0 ∧ R
ma anche
MQ = ~µ + QA ∧ R
64
Sottraendo membro a membro:
65
con (xA , yA , zA ) le coordinate del punto A. Applicando la formula di trasposizione (3.4.4)
il momento risultante del sistema rispetto al polo A vale:
Imponendo che MA coincida con ~µ si ottiene l’equazione dell’asse centrale (nel riferimento
scelto): ½
yA = 0
M
xA = − ROy
0 −1 0 1 0 2 0 0 −1 −1 −2
MO = 1 0 0 1 + −2 0 0 2 = 1 + 0 = 1
0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0
Per calcolare MQ possiamo applicare la legge di trasposizione dei momenti, ottenendo
−2 0 2 0 1 4
MQ = MO + QO ∧ R = 1 + −2 0 0 3 = −1
0 0 0 0 2 0
L’invariante scalare è:
I = MO · R = 1
Il momento minimo ~µ è:
I 1 1
µ = 2R = 3
R 14 2
66
Si ha poi µ ¶
55 17 2
NQ = MQ − µ = ,− ,−
14 14 14
Infine, l’equazione dell’asse centrale si può determinare con la formula (3.6.12):
−2 +λ
R ∧ Mo 1 0 −2 3 −2 1
414
OA = 2
+ λR = 2 0 −1 1 + λ 3 = − 14 + 3λ
R 14 −3 1 0 0 2 7
− 14 + 2λ
ESERCIZIO 3.6.2
Cinque forze, di uguale intensità F = 2N , sono applicate nei vertici di un cubo, di spigolo
l = 10 cm, come in figura. Determinare:
a) il risultante ed il momento risultante di Σ rispetto ai poli O=(0,0,0) e Q=(0,10,10);
b) l’invariante scalare;
c) i due componenti µ ~ ed NQ del momento polare parallelo e normale al risultante;
d) l’asse centrale di Σ.
ESERCIZIO 3.6.3
Un corpo rigido è sottoposto all’azione di tre forze F1 , F2 e F3 , parallele agli assi co-
ordinati, dirette come in figura. I loro punti di applicazione A, B e C distano a, b e c
dall’origine degli assi. Determinare
a) i due componenti µ ~ ed NO del momento polare parallelo e normale al risultante;
b) la condizione che devono soddisfare le tre forze perchè il loro asse centrale passi per
l’origine O delle coordinate.
67
3.7. EQUIVALENZA E RIDUCIBILITÀ DI SISTEMI DI VETTORI APPLI-
CATI
Il concetto di equivalenza tra sistemi di vettori applicati è strettamente legato al problema
dello studio dell’equilibrio e del moto dei sistemi rigidi: come vedremo in seguito, infatti,
sistemi di forze equivalenti applicate ad un corpo rigido, producono gli stessi effetti (globali,
non le stesse azioni interne) sul comportamento meccanico (statico e dinamico) dei corpi
rigidi.
DEFINIZIONE: Due sistemi di vettori applicati Σ e Σ0 si dicono equivalenti se hanno
uguale risultante ed uguale momento risultante rispetto ad un qualsiasi polo:
R = R0 MQ = M0 Q , ∀Q ∈ E3 (3.7.1)
Osserviamo che basta verificare che R = R0 e che MQ = M0 Q per un solo Q. Sotto queste
ipotesi infatti si ha:
MP = MQ + PQ ∧ R = M0 Q + PQ ∧ R0 = M0 P (3.7.2)
68
Osserviamo che si può trasportare un vettore lungo la sua retta di applicazione con due
successive operazioni elementari di tipo b). Sia (A,v) un vettore applicato sulla retta a.
Sia B un altro punto della stessa retta a. Aggiungiamo al sistema Σ la coppia di braccio
nullo costituita dai vettori {(B,v), (B, -v)}. Sottraiamo al sistema cosı̀ ottenuto la coppia
costituita dai vettori {(A,v), (B, -v) }. Si ottiene in tal modo il vettore (B,v).
69
3.8. APPLICAZIONI ED ESEMPI
Mostriamo adesso, con semplici esempi, come è possibile da un dato sistema di vettori
applicati Σ ottenerne un altro equivalente attraverso operazioni elementari e di trasporto.
SISTEMI PIANI
ESEMPIO 3.8.1. Dato il sistema di due vettori applicati Σ = {( A 1 , v1 ); (A2 , v2 )},
contenuti nel piano π, non formanti coppia. Mostrare che questo sistema è equivalente al
risultante R = v1 + v2 applicato in un punto opportuno.
I caso: le rette di azione dei due vettori sono incidenti nel punto C. (Figura 3.8.1a)
Effettuiamo le seguenti operazioni:
a) trasportiamo i due vettori v1 e v2 nel punto C.
b) sostituiamo ai due vettori (C,v1 ) e (C,v2 ) il loro risultante R= v1 + v2 applicato in C.
II caso: le rette di azione dei due vettori sono parallele (Figura 3.8.1b).
Effettuiamo le seguenti operazioni:
a) aggiungiamo la coppia di braccio nullo (A1 ,w); (A2 , w).
b) sostituiamo ai due vettori (A1 , v1 ) e (A1 , w), applicati nello stesso punto il loro risul
tante v1 + w applicato in A1 e ai due vettori (A2 , v2 ) e (A2 , −w), applicati nel punto
A2 , il loro risultante v2 − w applicato in A2 .
c) trasportiamo i due vettori v1 + w e v2 − w nel punto C, intersezione delle loro rette di
applicazione.
d) sostituiamo ai due vettori (C,v1 + w) e (C, v2 − w) il loro risultante R = v1 + v2
applicato in C.
OSSERVAZIONE: In entrambi i casi la retta di applicazione del risultante R è l’asse
centrale del sistema di vettori applicati.
ESEMPIO 3.8.2. Nel piano π, mostrare che un vettore applicato (P,v), è equivalente a
tre vettori applicati su tre rette a, b e c non concorrenti prefissate.
70
Sia C l’intersezione della retta di applicazione del vettore v con la retta c. Dopo aver
trasportato il vettore v in C, lo si decomponga nei due vettori vc e v0 , rispettivamente
paralleli alla retta c ed alla retta CQ, essendo Q l’intersezione delle rette a e b. Trasportato
il vettore v0 nel punto Q, lo si decomponga infine nei due vettori va e vb , rispettivamente
paralleli alle rette a e b.
Figura 3.8.2
ESEMPIO 3.8.3. Nel piano π, mostrare che una coppia (P,v), (Q, -v) è equivalente ad
un’altra coppia i cui punti di applicazione sono due punti assegnati A e B (di π).
Basta decomporre il vettore v secondo le direzioni PA e PB ed il vettore -v secondo le
direzioni di QA e QB. I quattro vettori ottenuti, si trasportano quindi nei due punti A
e B e si sommano a due a due. Si ottiene una nuova coppia, i cui punti di applicazione
sono proprio P e Q.
Figura 3.8.3
ESEMPIO 3.8.4. Nel piano π, mostrare che una coppia (P,v), (Q, -v) è equivalente
ad un’altra coppia i cui vettori sono perpendicolari alla retta che congiunge i punti di
applicazione dei vettori.
71
Basta decomporre i due vettori v e -v secondo la direzione PQ e la direzione perpendicolare
a PQ. Dei quattro vettori che si ottengono, due costituiscono una coppia di braccio nullo,
gli altri due una coppia equivalente alla data.
Figura 3.8.4
Figura 3.8.5
72
quattro segmenti PO0 , PO1 , PO2 , PO3 , che prendono il nome di raggi proiettanti (primo,
secondo, terzo e quarto raggio proiettante).
Sia b0 una qualunque retta di π parallela al raggio proiettante PO0 . Dalla sua inter-
sezione C1 con r1 conduciamo la parallela b1 al raggio proiettante PO1 , fino ad incontrare,
in C2 la retta di applicazione del secondo vettore; da C2 tracciamo la retta b2 parallela
al raggio proiettante PO2 , fino ad incontrare in C3 la retta di applicazione del terzo vet-
tore; infine da C3 conduciamo la retta b3 parallela all’ultimo raggio proiettante PO3 . La
poligonale di lati b0 , b1 , b2 e b3 prende il nome di poligono funicolare di polo P.
Figura 3.8.6
Vale il seguente:
Teorema del poligono funicolare. Il sistema Σp è equivalente al vettore O0 P, applicato
su b0 più il vettore POn , applicato su bn (PO3 , nell’esempio illustrato in figura).
Osserviamo dapprima che:
Trasportiamo quindi ciascun vettore vi lungo la propria retta di azione, fino ad avere
punto di applicazione in Ci . Quindi scomponiamo ciascun vettore vi in due vettori,
rispettivamente paralleli ai lati del poligono funicolare passanti per Ci . Sui lati intermedi
b1 e b2 del poligono funicolare si ottengono coppie di braccio nullo, che si possono eliminare.
Il sistema Σp è quindi equivalente al sistema di due soli vettori applicati O0 P applicato
in b0 e O3 P applicato in b3 . (c.v.d.)
Osservato che i lati b0 e b3 si incontrano nel punto Ω, possiamo ancora trasportare i
vettori O0 P e O3 P in tale punto Ω e poi sommarli. Si ottiene il risultante R applicato
in Ω. Ovviamente, la retta di applicazione del vettore R è l’asse centrale del sistema di
vettori applicati.
73
Infine, nel caso in cui Σ ha risultante nullo il punto O0 coincide con il punto On . Ne
consegue che b0 e bn sono paralleli e Σ si riduce alla coppia di vettori O0 P e PO0 applicati
rispettivamente su b0 e su bn . Nel caso in cui b0 coincide con bn il sistema si riduce ad
una coppia di braccio nullo.
Figura 3.8.7
74
A appartiene alla retta di applicazione di (B , vB ) o a quella di (C , vC ), il problema si
risolve trasportando (B , vB ) (o (C , vC )) in A.
Esclusi questi casi, consideriamo i piani πB e πC passanti per A e contenenti rispetti-
vamente i vettori vB e vC , certamente distinti. Sia r la loro intersezione, passante per A.
Scelto su r un qualunque punto Q diverso da A, scomponiamo il vettore vB , nel piano πB
in due vettori vB1 e vB2 aventi le direzioni di AB e QB ed il vettore vC , nel piano πC in
due vettori vC1 e vC2 aventi le direzioni di AC e QC. Facciamo scorrere i quattro vettori
cosı̀ ottenuti lungo le loro rette di applicazione, fino in A e Q. Il sistema di partenza risulta
cosı̀ equivalente ad un sistema di 5 vettori, tre applicati in A e due applicati in Q; a loro
volta questi 5 vettori sono equivalenti a due vettori, uno applicato in A e l’altro applicato
in Q.
Figura 3.8.8
Figura 3.8.9
75
3.9. OPERAZIONI DI RIDUZIONE
Come si è detto, è molto importante, nelle applicazioni, ridurre un sistema di vettori
applicati Σ ad un altro Σ0 che sia più semplice, anzi il più semplice possibile. Si pensi
all’utilità di questa operazione nello studio delle condizioni di quiete o di moto di un corpo
rigido sotto l’azione di un sistema Σ di forze; si può studiare il problema applicando al
corpo un qualunque altro sistema di forze Σ0 equivalente al sistema Σ.
76
Se vogliamo ulteriormente ridurre il sistema a due soli vettori di cui uno applicato in
O (quesito c), basta scegliere uno dei due punti di applicazione dei vettori della coppia
nel punto O e poi effettuare le operazioni indicate al punto 3.9.1C.
Come coppia di momento M0 possiamo scegliere
{(O, −v), (P, v)}, con P ≡ (1, 0, 0), v ≡ [0, 3, 0]T
Si ottiene il sistema:
Σ0 = {( O,R) ; (P , v) ; (O, -v) }
equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in O si ottiene infine il sistema
Σ00 = {(O, R − v), (P, v)} , con (R − v)T ≡ [0, −1, 1]T
equivalente a Σ0 e quindi a Σ.
che è l’equazione dell’asse centrale (si ricordi che nello spazio una retta è l’intersezione di
due piani). Il sistema Σ è dunque equivalente al vettore R, applicato in un punto dell’asse
centrale e ad una coppia di momento ~µ:
R 0
~µ = (MO · R) 2 = 6/5
R 3/5
Se vogliamo ulteriormente ridurre il sistema Σ a due vettori, di cui uno applicato
sull’asse centrale (quesito c), dobbiamo fissare un punto sull’asse centrale ed una coppia
di momento ~µ.
Scegliamo
³ ´ come punto A dell’asse centrale rispetto a cui fare la riduzione il punto
6
A = 5 , 0, 0 , e scegliamo la coppia di momento ~µ con uno dei due vettori, −v, applicato
in A. Il secondo vettore della coppia v deve essere applicato in un punto P (appartenente
al piano passante per A ortogonale al risultante), scelto in modo tale che il momento di
questo vettore rispetto ad A sia proprio µ~ . Queste condizioni si scrivono:
AP ∧ v = ~
µ
AP · ~µ = 0
v · ~µ = 0
Vi sono infiniti vettori v ed infiniti punti P che soddisfano queste relazioni. Possiamo
scegliere, ad esempio:
P = (6/5, −1, 2) e v = [3/5, 0, 0]T .
77
Con questa scelta, il sistema Σ è infine equivalente al sistema:
Σ000 = {( O,R-v) ; (P, v )} con R − v = [−3/5, 2, 1]T .
78
B. Riducibilità di un sistema con R=0.
Si ha la seguente:
Proprietà 3.9.2B. Un sistema Σ di vettori applicati con R = 0 è riducibile ad una sola
coppia di momento M = ~µ.
DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che, essendo il risultante di Σ nullo il momento
risultante non dipende dal polo. Quindi, una qualunque coppia Σ0
Σ0 = {(A, v); (B, −v)}
tale che BA ∧ v = ~µ è equivalente al sistema Σ.
ESERCIZIO 3.10.1
Nei punti P1 = (1, 0), P2 = (0, 1) e P3 = (1, −1) di una lamina rigida piana sono applicate
le tre forze F1 = i, F2 = 2j, F3 = 2i + j. Ridurre il sistema alla forma più semplice.
RISOLUZIONE: Si tratta di un sistema piano con risultante diverso da zero, riducibile
dunque ad un sola forza, applicata sull’asse centrale. È R = 3i + 3j, MO = −3k.
L’asse centrale è, questo caso, il luogo dei punti di momento nullo, ed ha equazione:
y =x+1
Il sistema è dunque riducibile al vettore R applicato in un punto dell’asse centrale, ad
esempio A = (0, 1).
ESERCIZIO 3.10.2
Sia dato il sistema Σ = {(A1 , v1 ), (A2 , v2 ), (A3 , v3 )} di tre vettori applicati:
A1 = (3, 1, 0), A2 = (1, 1, 0), A3 = (1, −1, 0); v1 = −3j, v2 = 3i + 3j, v3 = −3i + 3j
a) determinare l’asse centrale a di Σ.
b) ridurre graficamente il sistema Σ ad un solo vettore applicato in un punto opportuno.
ESERCIZIO 3.10.3
Nei punti A1 = (3, 1), A2 = (1, 1) e A3 = (0, 1) di una lamina rigida piana sono applicate
le tre forze F1 = 2i, F2 = 2i + j, F3 = 2i − j.
Determinare sia analiticamente che graficamente l’asse centrale a del sistema di forze.
79
3.11. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI PARALLELI.
Sia Σp un sistema di n vettori applicati paralleli:
Σp = {(Ai , vi )} vi kvj , ∀i, j (3.11.1)
Sia u il versore della direzione comune ai vettori di Σp . Si ha
n
X n
X
R= vi || u MQ = QAi ∧ vi ⊥ u (3.11.2)
i=1 i=1
80
La condizione che individua questo punto C allora si scrive:
n
X
MC = 0, ∀u ⇐⇒ vi0 CAi = 0 (3.11.8)
i=1
Il punto C cosı̀ individuato prende il nome di centro del sistema Σp . Esso è definito
dalla relazione: n X
vi0 CAi = 0 (3.11.9)
i=1
e quindi
n
X n
X
vi0 OC = vi0 OAi
i=1 i=1
pertanto
n
1 X
OC = v 0 OAi (3.11.10)
R0 i=1 i
Le coordinate del punto C, detti x, y, z gli assi di un sistema di riferimento avente origine
in O, ed (xi , yi , zi ) le cordinate del punto Ai , sono date da:
n n n
1 X 1 X 1 X
xC = v 0 xi , yC = v 0 yi , zC = v 0 zi . (3.11.11)
R0 i=1 i R0 i=1 i R0 i=1 i
RISOLUZIONE.
È R = [7/3, −14/3, 7]T 6= 0. Posto û = vers v1 , si ha:
√ √ √ √ √
v10 = 14 ; v20 = 14/3 ; v30 = 3 14 ; v40 = −2 14 ; R0 = 14/3.
Pertanto è:
à √ !
4
1 X 0 3 √ 14 √ √
OC = 0 v OAi = √ 14OP1 + OP2 + 3 14OP3 − 2 14OP4
R i=1 i 14 3
da cui:
10
OC = 6c1 − c2 + c3
3
81
3.11.1. CENTRO DI UN SISTEMA DI DUE VETTORI PARALLELI
Come applicazione consideriamo il sistema di due vettori applicati paralleli a risultante
non nullo:
Σp = {(A1 , v1 ), (A2 , v2 )}, con v1 ||v2 e R = v1 + v2 6= 0
vale la seguente proprietà:
Il centro del sistema Σp appartiene alla retta r che congiunge A1 e A2 , è interno al
segmento A1 A2 se v1 e v2 sono concordi, esterno se v1 e v2 sono discordi, e le sue
distanze da A1 ed A2 sono inversamente proporzionali ai moduli di v1 e v2 .
Dimostrazione: La (22), nel caso in esame, porge:
1 0
OC = (v OA1 + v20 OA2 ) (3.11.12)
R0 1
con O arbitrario. Scegliendo O sulla retta r passante per i due punti di applicazione A1
A2 si vede che C appartiene a tale retta.
Prendendo poi O ≡ C, deduciamo:
cioè
v10
CA2 = − CA1 (3.11.13)
v20
da cui segue che se il rapporto v10 /v20 è positivo C è interno al segmento A1 A2 , mentre se
risulta v10 /v20 negativo C è esterno al segmento A1 A2 . Infine, in ogni caso, si ha:
|CA2 | |v1 |
= (3.11.14)
|CA1 | |v2 |
Determinazione grafica del centro di due vettori paralleli
La proporzionalità inversa, espressa dalla (3.11.14), suggerisce la determinazione grafica
del centro di Σp illustrata in figura 3.11.1.
Figura 3.11.1
82
Il centro di un sistema di vettori applicati paralleli gode delle seguenti importanti
proprietà.
PROPRIETÀ 3.11.1. Il centro di un sistema Σp (a risultante non nullo) non varia, nè se
si fanno ruotare tutti i vettori di uno stesso angolo, nè se si moltiplicano per uno stesso
numero.
sia costituito dai primi m vettori di Σp e Σ(2)p dai rimanenti n − m. Sia cioè
[
Σp = Σ(1)
p Σ(2)
p (3.11.15)
con
Σ(1)
p = {(Ai , vi ), (i = 1, 2, ...m)} Σ(2)
p = {(Aj , vj ), (j = m + 1, m + 2, ...n)}
Posto m n
X X
0
R(1) = vi0 0
R(2) = vi0
i=1 i=m+1
1 ³ 0 0
´
OC = R(1) OC 1 + R(2) OC 2 . (3.11.16)
R0
83
PROPRIETÀ 3.11.5: Se i punti di applicazione dei vettori di un sistema Σp parallelo,
a risultante non nullo, appartengono tutti ad una stessa retta r anche il centro di Σp
appartiene a ad r.
Entrambe queste proprietà discendono immediatamente dalla (3.11.10), prendendo O
su π per la proprietà 4 e prendendo O su r per la proprietà 5.
Σ(1)
p = {(Ai , vi ), (i = 1, 2, ...n − 1)} Σ(2)
p = {(An , vn ))}
84
3.12. ESERCIZI DI RIEPILOGO
1) Nei punti A1 = (0, 1, 0), A2 = (0, 1, 0) e A3 = (0, 0, 1) di un corpo rigido sono applicate
le tre forze
F1 = 2j, F2 = 2j + k, F3 = −j − k,
2) Nei punti A1 = (0, 1, 1), A2 = (1, 1, 0) e A3 = (0, 1, 0) di un corpo rigido sono applicate
le tre forze
F1 = 2i, F2 = 2i + j, F3 = 2i − j,
3) Ad un cubo rigido sono applicate le tre forze {(A1 , F1 ), (A2 , F2 ), (A3 , F3 )} , dove:
A1 = (a, 0, 0), A2 = (0, a, 0), A3 = (0, 0, a);
F1 = (0, X, X), F2 = (X, X, 0), F3 = (X, 0, X)
a) Determinare la condizione che devono soddisfare tali forze perchè siano riducibili
ad un solo vettore.
b) Determinare il loro asse centrale.
a) la condizione che devono soddisfare tali forze perchè siano riducibili ad un solo
vettore.
b) la condizione che devono soddisfare le tre forze perchè il loro asse centrale passi
per l’origine O delle coordinate.
85
5) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di sei forze di uguale
intensità applicate al cubo rigido di figura.
7) Effettuare la riduzione al polo A del sistema di dodici forze di uguale intensità applicate
al cubo rigido di figura.
8) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di due forze di uguale
intensità applicate al tetraedo rigido di figura.
86
9) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di tre forze di uguale
intensità applicate al tetraedo rigido di figura.
10) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di tre forze di uguale
intensità applicate al parallelepipedo rigido di figura.
11) Effettuare la riduzione al polo O del sistema di sei forze di uguale intensità applicate
al parallelepipedo rigido di figura.
87
CAPITOLO 4
Sia S un corpo che occupa una regione C dello spazio, come ad esempio una trave
o l’acqua contenuta all’interno di un recipiente. In questo caso, è utile la descrizione
del corpo S, come un corpo continuo. Tale descrizione, presuppone che sia possibile
continuare a suddividere il corpo in porzioni ∆S di volume ∆τ sempre più piccolo, in
modo che le quantità fisiche che caratterizzano le varie porzioni in cui il corpo S è stato
suddiviso siano, all’interno di ciascuna porzione, sempre più uniformi. Tuttavia è noto
che ciò è vero, purchè il volume ∆τ occupato dall’elementino non sia troppo piccolo. Se
infatti il volume ∆τ scende al di sotto di un volume critico ∆τ0 , dobbiamo prendere in
considerazione la struttura microscopica della materia e considerare il nostro corpo come
costituito da un numero estremamente grande di molecole; lo studio, in questo caso non
può che essere affrontato utilizzando la meccanica statistica.
Nella schematizzazione di un sistema materiale come corpo continuo, si affronta lo
studio della materia ad un livello intermedio (detto mesoscopico), che prescinde dalla
struttura microscopica della materia. Si postula allora che suddividendo la regione di
spazio C occupata da S in regioni ∆C sempre più piccole, il rapporto tra la massa ∆m
contenuta in ∆C ed il volume ∆τ di ∆C, ammetta limite, al restringersi della regione ∆C
intorno a P:
∆m
lim = µ(P) (4.1.2)
∆C→P ∆τ
Il numero µ cosı̀ introdotto prende il nome di densità del corpo S nel punto P.
La densità µ = µ(P) è detta lineare, superficiale o cubica, a seconda che il corpo S sia
ad una, due o tre dimensioni.
L’ipotesi fatta di arrestarci ad un livello mesoscopico, ci consente di affermare che la
funzione µ(P) è una funzione continua del punto P. Conseguentemente, se il volume ∆τ
di ∆C risulta sufficientemente piccolo, la massa in esso contenuta è data da µ(P)∆C.
88
Ricordando la definizione di integrale multiplo, come limite, al tendere a zero del
massimo diametro δ delle regioni ∆C, definiamo massa del corpo continuo S l’integrale:
Z
m= µ(P)dC. (4.1.3)
C
m = µ · mis C (4.1.4)
Se, come abbiamo supposto in ciò che precede, il corpo S occupa una regione dello spazio
tridimensionale mis C è il volume della regione C. Se il corpo S occupa una regione
bidimensionale (una porzione di piano o di superficie), con mis C intendiamo l’area della
regione di piano (o della superficie), se infine il corpo S occupa una regione lineare con
mis C intendiamo la lunghezza della linea.
89
punti Pi , ciascuno dotato di massa mi = µ(Pi ) mis (∆Ci ). Passando al limite, al tendere
a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆Ci , si ottiene proprio G.
FIGURA 4.2.1
d) Il baricentro di un sistema S appartiene alla più piccola regione convessa dello spazio
che contiene S.
90
4.3.2. Piano diametrale e piano di simmetria.
Per una più semplice determinazione del baricentro G di alcuni sistemi materiali, è utile
introdurre la nozione di piano diametrale.
Si dice che il piano π è per il sistema particellare (continuo) S un piano diametrale
coniugato alla direzione della retta r, se i punti di S che non appartengono a π, si suddi-
vidono in coppie di punti P P0 , di uguale massa (densità) e tali che il segmento PP0 sia
parallelo ad r e dimezzato da π.
Un piano π coniugato alla sua direzione ortogonale prende il nome di piano di simme-
tria.
Un piano π coniugato ad una direzione non ortogonale ad esso si chiama anche piano
di simmetria obliqua.
Sussiste la seguente importante proprietà:
Ogni piano diametrale per un sistema S contiene il baricentro G di S.
Infatti, possiamo considerare il sistema S come l’unione (di un numero finito o infinito)
di sottosistemi:
[
S = {Pi , P0i } ∪ Sπ
i∈I
Come conseguenza della proprietà f), se un sistema S ammette tre piani diametrali
il suo baricentro, viene determinato immediatamente come il punto di intersezione dei
tre piani diametrali. Se un sistema S è piano, ed ammette due piani diametrali, il suo
baricentro è il punto di intersezione del piano che contiene il sistema e dei due piani
diametrali. Se un sistema S è contenuto in una retta ed ammette un piano diametrale,
il suo baricentro è il punto di intersezione della retta che contiene il sistema e del piano
diametrale.
91
4.3.4. Teoremi di Pappo-Guldino.
Per il calcolo del baricentro di solidi o di superfici di rotazione possono essere applicati i
seguenti teoremi, di omettiamo la dimostrazione.
Primo teorema di Pappo-Guldino. Una figura piana ruota ruota intorno ad un asse com-
planare, che non la interseca. Il volume da essa generato è pari al prodotto dell’area A
della figura per il cammino percorso dal suo baricentro durante la rotazione.
Questo teorema può essere utilizzato per determinare la posizione del baricentro di una
figura piana quando sono note le misure dell’area A e del volume da essa generato.
ESEMPIO: Baricentro di un semicerchio. Si ha:
V 4R
V = A · 2πyG =⇒ yG = =
2πA 3π
Figura 4.3.5
Secondo teorema di Pappo-Guldino. Un arco di curva piano ruota intorno ad un asse com-
planare, che non lo interseca. L’area della superficie da esso generata è pari al prodotto
della lunghezza della curva l per il cammino percorso dal suo baricentro durante la ro-
tazione.
Questo teorema può essere utilizzato per determinare la posizione del baricentro di una
curva quando sono note le misure della sua lunghezza e dell’area della superficie da essa
generata.
ESEMPIO: Baricentro di una semicirconferenza. Si ha:
S 2R
S = l · 2πyG =⇒ yG = =
2πl π
92
4.4. CALCOLO DI BARICENTRI.
Esempio 4.4.1. Baricentro di un’asta non omogenea.
Sia AB un’asta, di lunghezza l, la cui densità varia con la legge µ = kx, essendo x la
distanza del punto generico dell’asta dall’estremo A. Si ha:
Z l Z l
1
m= µ(x)dx = kxdx = k l2
0 0 2
2m
e quindi k = l2 . Si ha poi:
1 Zl 1 Zl 2 2 l3 2
xG = µ(x)xdx = kx dx = 2 = l
m 0 m 0 l 3 3
Vediamo cosı̀ che il baricentro dell’asta AB ha la stessa ascissa del triangolo omogeneo
ABC, costruito sul lato AB, il cui lato AC ha equazione y = kx. In generale, se la densità
dell’asta è la funzione µ = µ(x) il baricentro di AB ha la stessa ascissa del baricentro del
trapezoide costruito sul lato AB relativo alla funzione densità µ = µ(x).
FIGURA 4.4.1
FIGURA 4.4.2
Poichè l’asse x è un asse di simmetria per la figura, il baricentro G dell’arco ha ordinata
yG = 0. Si ha poi, ricordando che è x = R cos θ e che l’elemento d’arco ds = Rdθ:
1Z α 1 Zα 2 R sin α
xG = x ds = R cos θ dθ =
l −α 2αR −α α
93
In particolare, il baricentro di una semicirconferenza si ottiene ponendo α = π/2. Si
ottiene in tal caso xG = 2R π
. Allo stesso risultato si perviene utilizzando il secondo
teorema di Pappo-Guldino.
FIGURA 4.4.3
Si conclude dunque che il baricentro G del triangolo è il punto di intersezione delle tre
mediane. Detta l la lunghezza della mediana CH, mostriamo che risulta
AG= 23 AN.
Siano M ed N i punti medi dei lati AB e BC. Dai punti M ed N tracciamo leparallele
alla mediana CH, che intersecheranno le mediane AN e BM nei punti L e P; essendo
il quadrilatero LMNP ottenuto un parallelogramma risulta |LG| = |GN|, |MG| = |GF|.
Osservato poi che i triangoli AML e ACG sono simili, deduciamo che |AL| = 2 |AG|.
FIGURA 4.4.4
94
Infatti il piano ortogonale al piano del parallelogramma, contenente una diagonale, è un
piano diametrale coniugato alla direzione dell’altra diagonale.
FIGURA 4.4.5
FIGURA 4.4.6
95
Esempio 4.4.7. Baricentro di una trave a L.
Si consideri la sezione di una trave ad L indicata in figura. Scelto come sistema di
riferimento il sistema {O, x, y} di figura, si constata immediatamente che la retta x = y è
un’asse di simmetria per la figura. Il baricentro G della sezione, si trova pertanto su tale
retta. Si ha: ³ ´
a(a + b) a2 + ab a + 2b a(a2 + 3ab + b2 )
xG = y G = =
2b2 + a2 2(2ab + a2 )
Una determinazione grafica immediata di G si ottiene decomponendo la figura in due
rettangoli. Il baricentro G si trova sull’intersezione del segmento G1 G2 che congiunge i
due rettangoli con la bisettrice del primo quadrante.
FIGURA 4.4.7
FIGURA 4.4.8
96
Esempio 4.4.9. Baricentro di un pendolo.
Si schematizzi il pendolo di un orologio con un disco omogeneo di massa m collegato
rigidamente ad un asta anch’essa omogenea, di uguale massa m. Sia d la lunghezza
dell’asta. Applicando la proprietà distributiva del baricentro, si verifica immediatamente
che il baricentro G coincide con il punto di medio del segmento G1 G2 .
FIGURA 4.4.9
FIGURA 4.4.10
97
FIGURA 4.4.11
S OG + S1 OG2 = 0;
√
ricordando che la superficie dell’esagono è data da S2 = 3 2 3 a2 , si ottiene:
à √ !
3 3 2
a − πr xG + πr2 b = 0
2
2
Esempio 4.4.12. Baricentro di una lamina piana unione di più lamine di dif-
ferente densità.
Si consideri la lamina non omogenea di figura. Per considerazioni di simmetria, G si trova
sull’asse y, indicato in figura. Si ha poi, per la proprietà distributiva:
h i h 2
i h 2
i
2 µa2 a2 + 2 3µ a2 a
3
+ 2 2µ a2 2a
3
yG = 2
7µa
FIGURA 4.4.12
98
FIGURA 4.4.13
FIGURA 4.4.14
99
Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, si ha:
r3
yG = 0 xG = (R + r)
r 3 + R3
FIGURA 4.4.15
FIGURA 4.4.16
100
Esempio 4.4.17. Baricentro di settore sferico omogeneo.
Sia S un settore sferico omogeneo, di raggio R ed angolo al centro α e C la regione di
spazio da esso occupato.
FIGURA 4.4.17
101
e R Rh RR
z dC
C 0 zdz Cz dxdy 3
zG = R = = h
C dC mis C 4
FIGURA 4.4.20
Scelto come sistema di riferimento il sistema {O, x, y, z} di figura, il baricentro G di S
ha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0, mentre è:
1 Z
zG = zdσ
2πR2 S
L’elemento di superficie si scrive dσ = R2 sin θdθdφ; inoltre è z = ρ cos θ. Il dominio base
della superficie è D = {(θ, φ)| 0 ≤ θ ≤ π2 , 0 ≤ φ ≤ 2π}. Si ha quindi:
RR
D R cos θ R2 sin θdθdφ R
zG = 2
=
2πR 2
102
4.5. MOMENTI STATICI (O DI PRIMO ORDINE)
Sia S un sistema di punti materiali Pi di masse mi . Sia G il baricentro S.
Dato un piano π, se non contiene G, orientiamo la normale d a tale piano verso il
baricentro G di S, se invece G ∈ π orientiamo la normale a π in un verso qualunque.
Figura 4.5.1
dove con δi si è indicata la distanza (con segno) del punto Pi dal piano π. Fissato un
punto O qualunque su π e denotato con n̂ il versore dell’asse d ortogonale a π, il momento
statico Sπ (che sarà anche indicato con Sn̂ ), risulta uguale a:
n
X
Sπ = Sn̂ = mi (OPi · n̂). (4.5.2)
i=1
Sπ = mdG (4.5.4)
P
avendo indicato con dG la distanza del baricentro G di S dal piano π e con m = ni=1 mi
la massa del sistema S. Dalla (4.5.4) deduciamo la seguente importante proprietà
PROPRIETÀ 4.5.1: il momento statico di un qualunque sistema materiale rispetto ad un
piano coincide con quello dell’intera sua massa concentrata nel baricentro.
103
In particolare, se π è un piano passante per il baricentro G di S, il momento statico di
S rispetto a tale piano è nullo. Vale anche la seguente
PROPRIETÀ 4.5.2: se sono noti i tre momenti statici di S rispetto a tre piani non
paralleli è individuata univocamente la posizione del baricentro G di S.
Infatti, se tali piani sono mutuamente ortogonali, possiamo sceglierli come piani coordinati
e quindi scrivere:
Sc Sc Sc
OG = 1 c1 + 2 c2 + 3 c3 (4.5.4)
m m m
La proprietà rimane valida anche se i tre piani non sono tra di loro perpendicolari. Ci
limiteremo a verificarla nel caso di un sistema S che giace nel piano (x, y). In questo
caso il momento statico rispetto ad un piano τ ortogonale a π, che interseca il piano π
secondo una retta a viene più semplicemente chiamato momento statico rispetto all’asse
a. Ad esempio, i momenti statici rispetto ai piani (x, z) e (y, z), vengono chiamati,
rispettivamente, momenti statici rispetto agli assi x e y.
Figura 4.5.2
dalla figura 4.5.2 deduciamo, dette δi e δi0 le distanze del punto Pi dai due assi ξ e η:
e quindi
n n n
à n
!
X X 1 X X 1
mOG = mi ξi e1 + mi ηi e2 = mi δi0 e1 + mi δi e2 = (Sη e1 + Sξ e2 )
i=1 i=1 sin α i=1 i=1 sin α
conseguentemente, si ha
1
OG = (Sη e1 + Sξ e2 )
m sin α
104
4.6. MOMENTI D’INERZIA
La posizione del baricentro non consente di caratterizzare in maniera completa la distribu-
zione nello spazio delle masse di un sistema materiale. Si consideri ad esempio il sistema
di figura 4.6.1.
FIGURA 4.6.1
105
svolto dalla massa nel moto traslatorio, cioè cosı̀ come la massa è la misura dell’inerzia di
un corpo rigido in moto traslatorio, il momento di inerzia assiale è la misura dell’inerzia
di un corpo rigido in moto rotatorio.
Scelto un riferimento ortogonale {O; x, y, z}, i momenti di inerzia del sistema S rispetto
agli assi x, y e z sono dati dalle formule
n
X n
X n
X
Ix = ms (ys2 + zs2 ), Iy = ms (x2s + zs2 ), Iz = ms (x2s + ys2 ). (4.6.3)
s=1 s=1 s=1
I momenti d’inerzia rispetto agli assi coordinati si sogliono anche indicare con i simboli
Ix = I11 , Iy = I22 e Iz = I33 .
La precedente definizione si estende in modo ovvio a sistemi materiali continui. Si
consideri ad esempio un corpo continuo S, occupante una regione tridimensionale C.
Si suddivida la regione C occupata dal sistema S in n regioni parziali ∆Cs e si scelga
all’interno di ciascuna regione un punto Ps . Si consideri il sistema particellare Sn cos-
tituito dagli n punti Ps , ciascuno dotato di massa ms = µ(Ps ) mis (∆Cs ) e si calcoli il
momento d’inerzia di questo sistema particellare rispetto alla retta r. Passando al limite,
al tendere a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆Cs , la sommatoria che figura
nell’uguaglianza (4.6.2) si trasforma in un integrale. Nel caso di continui bidimensionali o
monodimensionali, si ripete ovviamente lo stesso ragionamento con le dovute modifiche.
In particolare, tenendo presente che dm = µdC, dove µ è la densità e dC è l’elemento
di volume, si ottiene, indicando con δ la distanza del generico punto P di C dalla retta r:
Z Z
Ir = δ 2 dm = µδ 2 dC (4.6.4)
C C
In questa relazione, la densità µ = µ(P ) e la distanza δ = δ(P ) dipendono dalle coordinate
dei punti del corpo e l’integrale è esteso alla regione C occupata dal sistema.
Le formule (4.6.3) per i corpi continui si scrivono:
Z Z Z
Ix = I11 = µ(y 2 + z 2 )dC, Iy = I22 = µ(x2 + z 2 )dC, Iz = I33 = µ(x2 + y 2 )dC.
C C C
(4.6.5)
Osserviamo infine che il momento d’inerzia assiale del sistema S rispetto alla retta r,
passante per O, di versore ûr si può anche esprimere nel seguente modo equivalente:
n
X
Ir = ms [OPs ∧ ûr ]2 . (4.6.6)
s=1
FIGURA 4.6.2
106
4.6.2. RAGGIO D’INERZIA
Nelle applicazioni si usa spesso la nozione di raggio di inerzia. Si definisce raggio
d’inerzia di un sistema materiale rispetto all’asse r la grandezza lineare ρin definita
dall’uguaglianza
Ir = mρ2in (4.6.7)
dove m è la massa del sistema.
Dalla definizione segue che il raggio di inerzia individua la distanza dalla retta r del
punto in cui bisogna concentrare la massa dell’intero sistema, affinchè il momento di
inerzia di questo punto sia uguale al momento di inerzia di tutto il corpo. Conoscendo
il raggio di inerzia, si può trovare, dalla (4.6.4), il momento di inerzia di un corpo e
viceversa.
dove ds e d0s sono rispettivamente le distanze con segno del punto Ps dai piani π e π 0 .
La (4.6.8) può anche scriversi nella seguente forma equivalente, che sarà utilizzata nel
seguito:
n
X
In,n0 = ms [OP · n̂][OP · n̂0 ], (4.6.9)
s=1
con O punto arbitrario della retta intersezione dei due piani π e π 0 .
FIGURA 4.6.3
107
Fissato un riferimento ortogonale {O; x, y, z}, i momenti di deviazione rispetto alle
coppie di piani coordinati (assumendo come versori normali i versori degli assi c1 , c2 , c3 )
si definiscono nel seguente modo:
n
X n
X n
X
Ic1 c2 = ms xs ys , Ic1 c3 = ms xs zs , Ic2 c3 = ms ys zs . (4.6.10)
s=1 s=1 s=1
momenti di deviazione rispetto alle coppie di piani coordinati sono spesso indicati con i
simboli Ic1 c2 = C 0 , Ic1 c3 = B 0 , Ic2 c3 = A0 .
I momenti d’inerzia ed i momenti di deviazione ora definiti verranno applicati nello
studio della dinamica dei corpi rigidi.
108
Siano m1 ed m2 le masse dei due punti e d la distanza tra i due punti; indichiamo con
δ1 e δ2 le distanze dei due punti P1 e P2 dal baricentro della molecola. Per la definizione
di baricentro, si ha m1 δ1 = m2 δ2 , e quindi δ1 = m1m+m
2
2
d e δ2 = m1m+m
1
2
d.
FIGURA 4.6.4
Allora per il momento d’inerzia della molecola biatomica rispetto all’asse baricentrale,
si ha:
m1 m2
Ir = m1 δ12 + m2 δ22 = d (4.6.14)
m1 + m2
FIGURA 4.6.5
109
3. Anello circolare omogeneo (superficie cilindrica omogenea).
Determiniamo il momento d’inerzia di un anello circolare omogeneo di raggio R e massa
M , rispetto all’asse z perpendicolare al piano dell’anello e passante per il suo centro C.
L’elemento lineare dell’anello, di lunghezza ds e massa dm = µds, ha momento d’inerzia
dIz = dm δ 2 , dove δ indica la distanza dell’elemento dall’asse. Poichè tutti i punti
dell’anello hanno uguale distanza δ = R dall’asse (figura 4.6.6), si ha dIz = R2 dm; quindi:
Z Z
Iz = R2 dm = R2 dm
C C
Di conseguenza
Iz = mR2 . (4.6.16)
FIGURA 4.6.6
dm = µdS = µ2πrdr,
dove µ = M/πR2 è la massa dell’unità di area della lamina. Quindi, in base alla formula
(4.6.14), per l’anello elementare avremo
dIz = r2 dm = 2πµr3 dr
110
FIGURA 4.6.7
1 1 1
Ix = M b 2 Iy = M a2 Iz = M (a2 + b2 ) (4.6.19)
3 3 3
7. Cono circolare retto omogeneo di massa M e raggio della base R (l’asse z è diretto
lungo l’asse del cono):
3
Iz = M R2 (4.6.20)
10
2
Iz = M R2 (4.6.21)
5
I momenti di inerzia di corpi non omogenei e di corpi di configurazione complessa
possono essere determinati sperimentalmente con l’aiuto di opportuni strumenti. Uno di
questi metodi verrà studiato in seguito.
111
4.7. ENDOMORFISMO D’INERZIA, MATRICE D’INERZIA
Sia r una retta generica uscente da un punto Ω, ed ur il suo versore. Vogliamo studiare
come varia il momento d’inerzia del sistema al variare della retta r passante per un punto
Ω. A tale scopo è utile usare l’espressione (4.6.6), che riscriviamo nel seguente modo:
n
X
Ir = ms (ΩPs ∧ ûr ) · (ΩPs ∧ ûr ). (4.7.1)
s=1
FIGURA 4.7.1
Il prodotto scalare (ΩPs ∧ûr )·(ΩPs ∧ûr ) può essere considerato come prodotto misto dei
tre vettori ΩPs ∧ ûr , ΩPs ed ûr ; permutando ciclicamente questi tre vettori, ed applicando
la proprietà di anticommutazione del prodotto vettoriale, si ottiene
n
X n
X
Ir = ms [(ΩPs ∧ ûr ) ∧ ΩPs ] · ûr = − ms [ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ûr )] · ûr .
s=1 s=1
Constatiamo dunque che il momento d’inerzia del sistema rispetto alla retta r si ottiene
applicando due volte l’operatore assiale ΩPs ∧ al versore ûr della retta r, moltiplicando
il risultato ottenuto per la massa del punto Ps , sommando su tutti i punti del sistema,
e, dopo aver cambiato di segno il risultato ottenuto, moltiplicando il tutto scalarmente
per il versore ûr della retta r. Possiamo più semplicemente dire che il momento d’inerzia
P
del sistema rispetto alla retta r si ottiene applicando l’operatore − ns=1 ms (ΩPs ∧)2 , che
denoteremo con σΩ (o anche con IΩ ), definito dalla relazione:
n
X
σΩ = − ms (ΩPs ∧)2 (4.7.2)
s=1
112
come combinazione lineare di endomorfismi, è un endomorfismo. Esso prende il nome di
operatore d’inerzia, o tensore d’inerzia, relativo al punto Ω.
All’operatore σΩ è quindi associata, in una data base, una matrice (la matrice delle sue
componenti). Scegliamo di scrivere la matrice delle componenti di σΩ in un riferimento
di origine Ω, assi x1 , x2 , x3 e versori c1 , c2 , c3 . Come mostreremo, denotate con σhk le
componenti dell’operatore σΩ , risulta:
Ω Ω
σhk = ch · (σΩ ck ) = ck · (σΩ ch ) = σkh (4.7.4)
A = ĉ1 · [σΩ ĉ1 ] = Ix , B = ĉ2 · [σΩ ĉ2 ] = Iy , C = ĉ3 · [σΩ ĉ3 ] = Iz . (4.7.6)
Vediamo dunque che gli elementi della diagonale principale della matrice delle compo-
nenti di σΩ sono proprio i momenti d’inerzia del corpo rispetto agli assi del sistema di
riferimento. Denotate con xs , ys , zs le coordinate del generico punto Ps del sistema, per
la (4.6.3), si ottiene:
n
X n
X n
X
A= ms (ys2 + zs2 ), B= ms (x2s + zs2 ), C= ms (x2s + ys2 ). (4.7.7)
s=1 s=1 s=1
σ12 = σ21 = ĉ1 · [σΩ ĉ2 ] σ13 = σ31 = ĉ1 · [σΩ ĉ3 ] σ23 = σ32 = ĉ2 · [σΩ ĉ3 ] (4.7.8)
Come si verifica immediatamente, scambiando nella relazione precedente ĉ1 con ĉ2 si
ottiene lo stesso risultato. Pertanto σ12 = σ21 .
Notiamo che gli elementi fuori diagonale della matrice delle componenti di σΩ sono
gli opposti dei momenti di deviazione di S rispetto alle coppie di piani coordinati.
113
Denotate con xs , ys , zs le coordinate del generico punto Ps del sistema, per la (4.6.10), si
ha: n n n
X X X
A0 = ms ys zs , B0 = m s xs z s , C0 = ms xs ys . (4.7.9)
s s s
n
X n
X
=− ms (ΩPs · n̂)(ΩPs · n̂0 ) − ms |ΩPs |2 n̂ · n̂0
s=1 s=1
114
ASSI PRINCIPALI ED ASSI CENTRALI D’INERZIA
La matrice σΩ è reale e simmetrica. Questa proprietà ci consente di affermare che esiste
una base ortonormale (cioè un sistema di riferimento con origine in Ω) rispetto alla quale
essa assume la seguente forma diagonale:
A 0 0
σΩ = 0 B 0 (4.7.15)
0 0 C
Questa base ortonormale è costituita dagli autovettori di σΩ relativi ai suoi tre autovalori
(reali) A, B, C. Denoteremo con i1 , i2 , i3 gli autovettori di σΩ di modulo unitario.
Gli assi del riferimento {Ω, i1 , i2 , i3 }, che distingueremo dagli assi della generica terna
solidale indicandoli con ξ, η, ζ, sono chiamati assi principali d’inerzia relativi ad Ω, e
gli elementi non nulli A, B, C di σΩ sono i momenti principali d’inerzia rispetto agli
assi ξ, η, ζ. Essi sono ancora definiti dalle (4.7.7), che ora si scrivono:
n
X n
X n
X
A= ms (ηs2 + ζs2 ), B= ms (ξs2 + ζs2 ), C= ms (ξs2 + ηs2 ). (4.7.16)
s s s
Se ne conclude che nel sistema di riferimento costituito dalla terna principale {Ω, ξ, η, ζ},
che prende il nome di riferimento principale d’inerzia, si annullano tutti i momenti
di deviazione.
La formula (4.7.11) che fornisce l’espressione del momento d’inerzia rispetto ad una
retta passante per Ω e la formula (4.7.13) che fornisce l’espressione del momento di de-
viazione rispetto a piani passanti per Ω perpendicolari tra loro, quando si sceglie come
riferimento il riferimento principale d’inerzia, si scrivono semplicemente:
Ir = Aα2 + Bβ 2 + Cγ 2 (4.7.18)
ELLISSOIDE D’INERZIA
Il tensore d’inerzia (4.7.2) è suscettibile di una utile interpretazione geometrica.
A tale scopo si consideri la formula (4.7.3) che fornisce la legge di variazione del mo-
mento d’inerzia rispetto alle rette passanti per Ω e si cerchi il luogo dei punti L = (x, y, z)
115
della generica retta r, passante per Ω, la cui distanza da Ω sia inversamente proporzionale
alla radice quadrata del momento d’inerzia, cioè tali che:
s
1
|ΩL| = . (4.7.31)
Ir
Detto u il versore della retta r si ha:
s
1 q
ΩL = u o anche u= Ir ΩL; (4.7.32)
Ir
sostituendo quest’espressione nella (4.7.28) si ricava Ir = Ir ΩL · [σΩ ΩL].
L’equazione del luogo cercato è quindi la quadrica:
FIGURA 4.7.2
116
SIMMETRIE. GIROSCOPI.
Se i momenti principali d’inerzia rispetto a due assi di simmetria dell’ellissoide sono uguali,
allora l’ellissoide d’inerzia è di rotazione attorno al terzo asse principale, e il sistema
materiale si definisce a struttura giroscopica rispetto al punto Ω. Se tutti e tre i
momenti q principali d’inerzia sono uguali, l’ellissoide d’inerzia è la sfera di centro Ω e
raggio 1/Ir .
Se Ω coincide con il baricentro G del sistema, l’ellissoide relativo a G è chiamato
ellissoide centrale d’inerzia, i suoi assi di simmetria sono gli assi centrali d’inerzia
e i momenti A, B, C rispetto a tali assi sono i momenti centrali d’inerzia del sistema.
Se i momenti centrali d’inerzia rispetto a due assi di simmetria dell’ellissoide sono uguali,
allora l’ellissoide d’inerzia è rotondo, e il sistema materiale prende il nome di giroscopio.
Le proprietà dell’ellissoide d’inerzia sono legate all’esistenza di simmetrie nel sistema
materiale. L’individuazione di un piano di simmetria per il sistema materiale consente
spesso di determinare con facilità i momenti principali d’inerzia.
In particolare, valgono le seguenti proprietà, di facile verifica:
PROPRIETÀ 1. Se il sistema ammette un piano di simmetria π, la retta normale a π
passante per ogni suo punto Ω è asse principale d’inerzia relativo ad Ω.
PROPRIETÀ 2. Se il sistema ammette due piani di simmetria π1 e π2 perpendicolari fra
loro, la retta intersezione dei due piani è asse principale d’inerzia relativo ad ogni suo
punto A. Gli altri due assi principali d’inerzia relativi a tale punto A sono le due rette,
appartenenti a π1 e a π2 , normali alla retta intersezione dei due piani, passanti per A.
PROPRIETÀ 3. Se il sistema ammette due piani di simmetria non perpendicolari fra
loro, il sistema è a struttura giroscopica rispetto ad ogni punto A della retta intersezione
dei due piani.
TEOREMI DI TRASPOSIZIONE
TEOREMA DI TRASPOSIZIONE PER IL TENSORE D’INERZIA
In questo paragrafo determineremo la legge di variazione del tensore d’inerzia σΩ (e quindi
in particolare dei momenti d’inerzia e dei momenti di deviazione) al variare del polo.
Consideriamo in particolare il tensore d’inerzia del sistema S relativo al suo baricentro,
detto tensore centrale d’inerzia. Esso è per definizione l’applicazione (lineare) che
P
associa al vettore u il vettore − ns=1 ms GPs ∧ (GPs ∧ u):
n
X
σG : u −→ − ms GPs ∧ (GPs ∧ u) (4.7.39)
s=1
e scriveremo n
X
σG = − ms (GPs ∧)2 (4.7.40)
s=1
117
Determiniamo il legame tra i due tensori σΩ e σG . Calcoliamo σΩ u; si ha:
n
X n
X
σΩ u = − ms ΩPs ∧(ΩPs ∧u) = − ms (ΩG+GPs )∧[(ΩG+GPs )∧u] =
s=1 s=1
n
X
=− ms {GPs ∧(GPs ∧u)+ΩG∧(ΩG∧u)+ΩG∧(GPs ∧u)+GPs ∧(ΩG∧u)} (4.7.41)
s=1
Otteniamo la somma di quattro addendi, che studiamo separatamente. Si ha
n
X n
X
− ms GPs ∧ (GPs ∧ u) = σG u − ms ΩG ∧ (ΩG ∧ u) = −m(ΩG∧)2 u (4.7.42)
s=1 s=1
σΩ = σG − m(ΩG∧)2 (4.7.43)
118
Teorema di trasposizione per i momenti di deviazione.
Il momento di deviazione di un sistema materiale rispetto a due piani π1 e π2 tra di
loro perpendicolari è dato dalla somma del momento di deviazione del sistema materiale
(G) (G)
rispetto a due piani π1 e π2 , paralleli rispettivamente ai piani π1 e π2 e passanti per il
baricentro, e del momento di deviazione (rispetto ai due piani π1 e π2 ) che competerebbe
al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema.
Denotate con d1 e d2 le distanze (con segno) di G dai due piani π1 e π2 , otteniamo:
119
4.9. TENSORE D’INERZIA PER I SISTEMI PIANI
ESERCIZIO
Si consideri il sistema piano costituito da 5 punti collegati rigidamente tra di loro, le cui
coordinate, nel riferimento di figura, sono:
P1 ≡ (0, 0), P2 ≡ (l, 0), P3 ≡ (2l, l), P4 ≡ (0, 2l), P5 ≡ (−l, l).
Le masse di P1 , P2 , P3 e P4 sono tutte uguali ad m, la massa di P5 è scelta in modo tale
che il riferimento {c1 , c2 , c3 } sia un riferimento principale d’inerzia per il sistema relativo
ad O. Determinare il tensore d’inerzia del sistema relativo al suo baricentro.
120
ELEMENTI DI GEOMETRIA DELLE AREE
In questo paragrafo considereremo sistemi piani omogenei e supporremo unitaria la loro
densità. Parleremo di sistemi piani o di figure (aree) piane.
Nello studio di tali sistemi è sufficiente considerare la restrizione del tensore d’inerzia
σO ai vettori del piano π. Si verifica infatti facilmente che se S è un sistema piano, che
giace su π, l’operatore d’inerzia ad esso associato σO , con O punto qualsiasi del piano π,
trasforma vettori appartenenti a π in vettori appartenenti ancora a π. Infatti, scelto il
piano π come piano x, y, preso un qualunque vettore v = (v1 , v2 , 0), si ha:
Ix −Jxy 0 v1 Ix v1 − Jxy v2
σO v = −Jxy Iy
0 v2 = −Jxy v1 + Iy v2
(4.9.5)
0 0 Iz 0 0
La matrice delle componenti di σO si scrive semplicemente:
" #
Ix −Jxy
σO = (4.9.5a)
−Jxy Iy
Il momento d’inerzia del sistema rispetto ad una retta r passante per Ω di versore
u = (α, β) è:
Ir = u · (σO u) = Ix α2 + Iy β 2 − 2Jxy αβ (4.9.4a)
ELLISSE D’INERZIA
Fissato un punto O del piano (x, y) e fissata una costante positiva c, il luogo dei punti L
del piano tali che risulti:
OL · (σO OL) = c (4.9.6)
prende il nome di conica indicatrice associata all’endomorfismo simmetrico σO .
Come già visto nel caso dei sistemi spaziali, i punti L che appartengono a questo luogo
sono legati al momento d’inerzia del sistema Ir rispetto alla retta r dalla relazione:
|OL|2 Ir = c (4.9.7)
Ix x2 + Iy y 2 − 2Jxy xy = c (4.9.8)
Fissato un valore per la costante c tale luogo è una conica (anzi è un’ellisse, poichè
essendo Ir sempre diverso da zero i punti L sono tutti al finito), che prende il nome di
ellisse d’inerzia, relativa al punto O, dell’area piana A. Come si verifica immediatamente,
tale ellisse è l’intersezione dell’ellissoide d’inezia di equazione (4.9.4) con il piano π di
equazione z = 0.
Se scegliamo come assi del riferimento proprio gli assi principali d’inerzia passanti per
O, denotati con X e Y tali assi, poichè in questo caso il momento di deviazione JXY è
121
zero, l’equazione dell’ellisse d’inerzia si scrive:
IX X 2 + IY Y 2 = c (4.9.9)
FIGURA 4.9.1
122
detto α è l’angolo che l’asse principale ξ forma con l’asse x, è
2Jxy
tan 2α =
Iy − Ix
dove abbiamo indicato con δs e δs0 le distanze (con segno) del punto Ps dagli assi ξ e ξ 0 .
Ma si ha anche, detti n̂ e n̂0 i versori normali a û e û0 :
" n
# n
X X
0 0
n̂ · [σO n̂] = n̂ · − ms OPs ∧ (OPs ∧ n̂) = − ms n̂0 · [OPs ∧ (OPs ∧ n̂)] =
s=1 s=1
n
X n
X
0
=− ms (OPs ∧ û) · (û ∧ OPs ) = − ms δs δs0 (4.9.16)
s=1 s=1
123
confrontando con la (4.9.15) si ottiene infine:
Vediamo cosı̀ che il momento di deviazione di un sistema materiale rispetto a due assi
uscenti da O si annulla se e solo se i versori normali a questi assi sono direzioni coniugate
per l’endomorfismo d’inerzia σO .
124