1. CONCETTI BASILARI
La metrica è una branca di una più vasta disciplina che si chiama ritmica. Quest’ultima è una
scienza multidisciplinare, che prevede l’analisi del fenomeno del ritmo a cui concorrono,
accanto a discipline di ambito linguistico (quale la metrica), anche discipline di ambito extra-
linguistico, quali ad esempio la coréutica (che studia la danza, quindi le componenti del
ritmo non verbale, gestuale) e la musicologia (che studia la musica, quindi le componenti –
verbali e non – del ritmo musicale). In quest’ambito la metrica si occupa della descrizione e
dell’analisi delle componenti del ritmo verbale poetico.
Per ‘ritmo’ intendiamo la successione costante di segmenti secondo una misura di base. Il
ritmo verbale (relativo cioè alla dimensione del linguaggio verbale) è di due tipi:
- Accentuativo si ottiene per successione di sillabe toniche ed atone (la poesia
italiana mette a frutto questo ritmo – come anche tutte le poesie delle lingue
romanze).
- Quantitativo consiste nella successione di sillabe lunghe e brevi. Ѐ tipico della
poesia greca antica e latina.
Trattare di ritmo quantitativo esige una chiara distinzione fra quantità e durata:
Durata estensione nel tempo di qualsiasi suono.
Quantità è un tipo di durata, quella tipica di un fonema. Si dice ‘fonema’ un
segmento (o elemento) linguistico minimo (cioè non ulteriormente segmentabile) privo di
significato (carattere tipico invece del segmento linguistico detto ‘morfema’) e dotato di
valore distintivo. Per ‘valore distintivo’ di un elemento linguistico si intende la sua capacità
di distinguere per funzione e significato almeno una coppia di forme grazie alla propria
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Ringrazio sentitamente Davide Gregorelli per la collaborazione nella trascrizione di questi appunti.
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commutazione (cioè sostituzione). Si veda ad es. il valore distintivo proprio della qualità delle
consonanti iniziali nelle parole italiane rane – cane – tane – pane – sane.
La quantità può essere attributo sia di una vocale, sia di una sillaba.
In una lingua provvista di sensibilità per la quantità vocalica come il latino classico, anche la
quantità delle vocali viene usata come elemento per individuare e distinguere forme di
funzione e significato diverso. Esempio evidente e a tutti noto: ros-ă (nom.: ‘la rosa’ –
soggetto) / ros-ā (abl. ‘con la rosa’).
La componente costitutiva di ogni testo poetico e unità di misura di esso, qualsiasi sia il suo
ritmo, è il verso. Esso consiste in un’ordinata successione di elementi linguistici, secondo un
determinato schema. Questi elementi possono essere costanti e, quindi, detti ‘elementi
guida’ o ‘tempi forti’. Altri sono, invece, variabili e vengono detti ‘tempi deboli’.
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2. LA STRUTTURA DELL’ESAMETRO DATTILICO
Nello schema sopra riportato le sillabe sono indicate secondo la simbologia proposta dallo
studioso di metrica greca Paul Maas (cfr. ‘Metrica greca’, tr. it. Firenze 1976):
Simbolo Nome Funzione Realizzazione
Elemento guida2 Lunga
LONGUM
Elemento non guida di un Breve
BREVE tempo primo3
Elemento non guida di Lunga,
BICEPS due tempi primi pirrichio
In termini tecnici l’esametro dattilico è definito come ‘una esapodìa dattilica catalèttica’.
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Elemento guida = elemento invariabile della struttura ritmica.
Elemento non-guida = elemento variabile della struttura ritmica.
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Tempo primo = tempo minimo di durata, corrispondente a una breve (U). Tradizionalmente la lunga viene
considerata un suo doppio ( = ). Nell’esametro è possibile la sostituzione di con .
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Per ‘esapodia’ intendiamo una sequenza ritmica di sei piedi, cioè unità ritmiche composte
dall’unione di sillabe omogenee o eterogenee (uguali o diverse) per quantità . Metro e piede
sono concetti solo parzialmente coincidenti. Il metro è infatti l’unità di misura di un verso.
Non tutti i versi sono misurati ‘per singoli piedi’, come nel caso dell’esametro in cui piede e
metro coincidono. Alcuni lo sono per unità ritmiche composte da più piedi. E’ il caso ad
esempio del trimetro giambico, misurato per segmenti di due giambi (ognuna delle quali è
detta ‘dipodìa giambica’):
L’esametro qui considerato è un’esapodia dattilica, perché i piedi che vi si succedono sono
detti ‘dattili’ . Un dattilo è un piede composto da un elemento guida seguito da
due brevi; la sequenza di due brevi si chiama pirrìcchio (UU).
Il dattilo può essere sostituito dalla sequenza isòcrona (cioè della stessa quantità) di longum
guida e longum non guida: . Questo piede si chiama ‘spondéo’.
Si tratta ora di avviarsi alla lettura metrica di testi in esametro dattilico. Consiglio come
molto facile e razionale di applicare a ciascun verso un metodo di lettura scandito nei
seguenti passaggi:
1. Individuazione dei casi di sinaléfe.
2. Scansione fonosintattica.
3. Individuazione di tempi forti e deboli (e quindi dei piedi).
4. Individuazione delle articolazioni ritmiche (cesure e dieresi).
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I primi due punti sono di competenza della prosodìa, mentre i restanti ricadono nel dominio
della metrica.
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3. CENNI DI PROSODIA e INDIVIDUAZIONE DI SINALEFE
La prosodìa è una disciplina linguistica che come la metrica afferisce al vasto campo di
competenza della ritmica e descrive i fenomeni sillabici. La sillaba è un segmento linguistico
formato da una vocale (elemento necessario) e, in aggiunta, una o più consonanti e semi-
consonanti, che sono elementi accessori. Una sillaba può essere aperta, se finisce per
vocale, o chiusa, se finisce in consonante o semi-consonante. Es.: il verbo trisillabo per-mit-to
è formato da due sillabe chiuse (le prime due) e una aperta (l’ultima).
Dal punto di vista prosodico (cioè quantitativo) le sillabe aperte possono essere lunghe o
brevi, a seconda che sia lunga o breve la vocale che le forma; le sillabe chiuse sono invece
tutte lunghe. Es: l’aggettivo trisillabo tra-ba-lis ha due sillabe aperte: la prima è breve, in
quanto composta da ă, la seconda lunga, in quanto composta con ā.
Sono da considerarsi sillabe chiuse anche i dittonghi (in latino i più diffusi sono ae – già ai –,
oe – già oi –, au) in quanto finiscono in semiconsonante: essi sono quindi – dal punto di vista
della quantità sillabica – sempre lunghi.
Il verso è un continuum verbale, cioè – dal punto di vista ritmico – non prevede soluzione di
continuità, cioè divisione, tra parola e parola: ne discende a livello pratico che, quando si
deve sillabare il verso, bisogna considerare le parole come se fossero tutte unite.
Alcune dal punto di vista della produzione del ritmo ‘non contano’. Sono quelle che per lo
più si trovano in sinaléfe. La sinalefe è una figura metrica (un mezzo a livello ritmico) tesa ad
eliminare la cacofonia (suono ritenuto sgraziato) dello iàto: per iato si intende una cacofonia
che consiste in un incontro tra due vocali contigue, cioè l’una immediatamente successiva
all’altra. Effetto della sinalefe è la ‘legatura’ tra le due vocali in iato, che vengono a formare
un’unica sillaba, una sorta di dittongo discendente (cioè con elemento vocalico antecedente
quello semiconsonantico). Es.: la sequenza pelago alto si sillaba pe-la-gòal-to.
N.B. Costituisce iato anche l’incontro tra m finale di parola e vocale iniziale, dato che già in
età arcaica la nasale labiale m, quando era finale di parola, non si pronunciava. Es.: la
sequenza agnam albam si sillaba ag-nàal-bam
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N.B.2 La i – iniziale di parola seguita da vocale è da considerarsi consonante. Es.: la sequenza
regina iubes non presenta iato e si sillaba re-gi-na-iu-bes.
N.B.3 La h iniziale di parola già nel latino di età repubblicana è muta. Non si oppone quindi
alla creazione di iato. Es.: la sequenza arva habet si sillaba ar-vàha-bet.
In pratica, per prima cosa di fronte ad un esametro (ed in genere ad un verso latino) occorre
individuare casi di sinalefe e procedere alla legatura fra sillabe. Conterà – dal punto di vista
ritmico – solo la seconda delle due sillabe.
Ѐ di basilare importanza ricordare che l’applicazione della figura metrica della sinalefe è sì
molto diffusa, ma non è un automatismo. Non è quindi obbligatoria: in taluni casi l’autore
mantiene lo iato. Ѐ cosa di cui ci si accorge solo nella ‘fase 3’ del metodo qui descritto,
quando ci si rende conto che manca al conteggio delle sillabe un’unità per rientrare in
metro.
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4. SCANSIONE FONOSINTATTICA
Come si vede dall’esempio, per la sillabazione valgono in latino gli stessi criteri usati per
l’italiano, tranne i seguenti casi.
A. In latino due consonanti consecutive sono sempre assegnate a due sillabe diverse:
Es. arcus si scandisce ar-cus cfr. it. ar-co.
Tale parallelismo latino-italiano non si individua nel caso di s ‘spuria’, seguita cioè da
consonante:
istud si scandisce is-tud cfr. invece it. que-sto
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N.B. : Casi ‘particolari’
a. Sono considerati casi di consonanti consecutive, secondo la pronuncia restituta (tipica cioè
del latino classico), anche i gruppi consonantici –sc– e –gn– che suonano come un’unica
consonante secondo la pronuncia ecclesiastico-romana in genere in uso nella scuola italiana
Es. magnus si scandisce mag-nus
c. Positio debilis: consiste in una concatenazione di fonemi, nota come ‘muta cum liquida’
suscettibile di due articolazioni diverse. Per muta si intende una consonante occlusiva (le
bilabiali p-b, le velari c-g, le dentali t-d); le consonanti liquide, invece, sono l o r.
Es. pătris si scandisce păt-ris (secondo la ‘regola’) o pă-tris (‘eccezione’)
L’opzione per l’una o l’altra scansione avviene a seconda che faccia comodo avere una sillaba
lunga (păt-) o breve (pă) nella costituzione del verso.
Si associa al caso muta cum liquida anche la sequenza di labiodentale sorda f più consonante
liquida. Es. defraudo si sillaba def-rau-do o de-frau-do.
B. In presenza di più di due consonanti, tutte vengono attribuite alla sillaba precedente,
tranne l’ultima che viene attribuita alla successiva.
Es. dexter si scandisce deks-ter
Eccezione: se le consonanti che formano positio debilis sono tra loro indivisibili.
Es. dextra si scandisce deks-tra
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Ad esempio la sequenza –qu– non traduce graficamente due fonemi (consonante velare più
vocale velare), ma uno solo (viene per questo detto ‘digramma’): una consonante
labiodentale sorda. Ne consegue che qu forma sillaba con la vocale successiva:
Es. quotidie si scandisce quo-ti-di-e
A volte anche la sequenza –gu– è digramma e rappresenta una consonate labiodentale
sonora: ciò avviene solo nella ‘posizione anguis’ (parola mnemonica per rammentare tale
situazione), cioè quando –gu– sia preceduto dalla nasale n e seguito da vocale. Anguis
dunque si scandisce an-guis. In tutti gli altri casi gu non è digramma ma sequenza dei due
grafemi distinti.
Es. arguo si scandisce ar-gu-o
I due casi ora citati esemplificano come due grafemi possano rendere un solo fonema ad essi
sotteso. Altrove si riscontra l’opposto: un grafema può rappresentare due fonemi.
Così la. La –i intervocalica vale per due i: la prima semiconsonantica, la seconda
consonantica.
Es. maiores si scandisce mai-io-res
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5. INDIVIDUAZIONE DI TEMPI FORTI E DEBOLI
Occorre ora individuare la quantità delle sillabe isolate e accorparle in piedi, accentando
nella lettura seguente il tempo forte di ciascuno.
In pratica. A questo fine consiglio di applicare al testo l’uno dopo l’altro i seguenti criteri
b. Applicazione della ‘legge della penultima’ alle parole almeno trisillabe. Occorre quindi
per il momento rifarsi al verso articolato in parole, selezionare quelle almeno trisillabe e
determinare la quantità della penultima in base al criterio stabilito dall’omonima legge, che
– ricordo – recita: ‘Se la penultima sillaba è lunga, l’accento cade sulla stessa sillaba; se la
penultima sillaba è breve, l’accento cade sulla terzultima’. In caso di dubbio sulla quantità
della penultima consultare il dizionario…
In CONTICUERE OMNES INTENTIQUE ORA TENEBANT
Rispondono al nostro caso CONTICUÉRE, INTÉNTI, TENÉBANT.
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Dalla posizione dell’accento appare chiaro che le tre E in penultima sillaba, su cui esso è
posto, sono lunghe. La quantità delle ultime due ci era già nota.
Completiamo così il nostro verso:
3. Determinare la quantità delle sillabe rimaste ignote in base alla struttura dell’esametro.
A partire dall’inizio o dalla fine del verso si ‘riempiano’ i vuoti usando tale riferimento.
Partiamo dall’inizio di .
Le due sillabe di quantità ignota -TI-CU poste come sono tra due lunghe possono essere due
brevi e formare il primo piede (un dattilo) con tempo guida. Ē-REŌM è già definito
come uno spondeo, con Ē tempo guida. Ne consegue che la sillaba sconosciuta NE- prima di
lunga sarà probabilmente anch’essa lunga: il terzo piede sarà di nuovo uno spondeo con NE-
tempo guida. Già definito il quarto piede: lo spondeo TĒN-TĪ. Le tre sillabe successive QUEO-
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6. INDIVIDUAZIONE DELLE ARTICOLAZIONI RITMICHE
L’articolazione del ritmo equivale a livello pratico ad una pausa, momento dinamico di
rilancio del ritmo stesso. Esistono due tipi di articolazioni del ritmo:
1. Cesura
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Con la soluzione ritmica eftemìmere + tritemìmere si ottiene una suddivisione
equilibrata in tempi forti o guida (2+2+2).
Le cesure (primarie o no) inoltre si catalogano anche in base alle sequenze ritmiche che esse
individuano in
Maschili o forti ripartiscono il piede in porzioni isòcrone (della stessa durata, in base
all’equivalenza convenzionale longum=due brevia). Con riferimento ad Aen. II, v. 671:
- >
- >
. Femminili o deboli ripartiscono il piede in porzioni non isocrone. Di nuovo in riferimento
al medesimo verso:
- >
2. Diéresi
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In pratica: Si deve ora riconsiderare il verso articolato in parole. Si appuri anzitutto se si dia
possibilità di individuare in esso cesura pentemimere (congiunta eventualmente a dieresi
bucolica). Ѐ il caso del verso sopra scandito:
IN CONCLUSIONE
Il percorso esposto, per la sua stessa natura, è una pesante semplificazione di una materia
molto complessa. Nell’elaborarlo mi riconosco debitore soprattutto delle seguenti opere, a
cui rimando per un confronto-approfondimento:
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