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Prefazione
Avvertenze
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Racconto degli avvenimenti dei secoli passati fatto da un monaco che era a
Kiev, nel monastero di Pečerskij, al tempo di Feodosij, su come è derivata
la terra russa, chi a Kiev cominciò dapprima a regnare e come la terra russa
è sorta
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e sulle montagne al di là del Dnepr». E gli altri dissero: «Che cosa vi hanno
dato?». Mostrarono le spade. Allora gli anziani dei Chazari dissero:
«Principe, questo non è un buon tributo! Noi usiamo armi che tagliano
soltanto da una parte, come la sciabola; queste hanno i due lati taglienti
come la spada. Dobbiamo temere che un giorno questo popolo chiederà il
tributo a noi e ad altri popoli». Infatti ciò successe, poiché gli anziani non
avevano parlato per proprio volere, ma per ispirazione divina.
Fu ciò che accadde al tempo del Faraone, imperatore d’Egitto, quando Mosè
fu portato dinanzi a lui e il consiglio degli anziani disse: «Quest’uomo
umilierà l’Egitto!» E ciò ebbe luogo, poiché Mosè sterminò gli Egizi, di cui
prima egli era loro schiavo. Analogamente, i Chazari dapprima soggiogarono
i Poljani e in seguito furono questi a dominare i Chazari. Ed ecco come
ancora oggi i principi russi regnano sui Chazari.
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Severjani e i Vjatiči erano tributari dei Chazari, che prelevavano una pelle di
scoiattolo per ogni focolare.
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Car’grad, ed egli accelerò il ritorno, ma i Russi erano già penetrati nel Corno
d’Oro. Costoro fecero una orribile strage dei cristiani e assediarono Car’grad
con i loro duecento vascelli. L’imperatore, entrato a stento la città, si rifugiò
con il patriarca Fozio nella chiesa della Santa Deipara alle Blacherne e vi
passò la notte in preghiera. All’alba, in mezzo ai canti dei salmi e dei santi
cantici, il patriarca immerse il manto della Santa Vergine nel mare calmo e
tranquillo e subito si levò una tempesta, le acque del mare si ingrossarono,
le onde si alzarono e i vascelli dei Russi idolatri furono dispersi, scagliati
sulla costa e fracassati, cosicché pochi sfuggirono al disastro e ritornarono
alle loro case.
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durante la sua vita i demoni fecero queste e altre cose simili per lui, ma,
anche dopo la sua morte, frequentano la sua tomba e fanno prodigi in suo
nome per fuorviare i poveri di spirito, molto portati a queste cose
diaboliche».
Cosa dire degli atti magici di Manetone? Era così abile nell’arte della magia
che cancellava senza dubbio Apollonio, dicendo che costui non possedeva la
vera saggezza filosofica, perché avrebbe dovuto, diceva, fare ciò che voleva
con la sola parola e non usare mezzi materiali [In altre tradizioni si
generalizza la frase, non citando Manetone, che fu un sacerdote e storico
egizio del III secolo a.C.]. Ma tutto ciò arriva con il permesso di Dio e
l’opera del demonio. È così che egli prova l’ortodossia della nostra fede, se
essa è salda nell’essere unita al Signore, se non si lascia sedurre dagli
ingannevoli miracoli e artifici di Satana compiuti dagli schiavi e dai servi
della sua malizia. E ancora, alcuni hanno profetizzato in nome del Signore,
come Balaam, Saul e Caifa, e hanno cacciato i demoni come Giuda e i figli di
Sceva [At 19,14-15], perché la Grazia opera spesso attraverso le persone
indegne per andare a vantaggio di altri. Balaam era ben lontano dalla retta
vita e dalla fede, e tuttavia la Grazia si mostrò in lui per l’edificazione di
altri. Tale era anche il Faraone, a cui si predisse l’avvenire [Es 5]. E
Nabucodonosor aveva violato le leggi e tuttavia gli fu rivelato il futuro di
diverse generazioni a venire [Dn 2,28 ss.].
Così molti, nemici del Signore, fecero miracoli sotto il segno del Cristo [o:
prima dell’incarnazione del Verbo] e approfittarono con i loro artifici di
coloro che non comprendevano il bene, tali sono stato Simon Mago,
Menandro e altri. È per tale gente che è stato detto «Non lasciarti ingannare
dai prodigi».
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ritornarono nel loro paese dopo aver concluso la pace con Romano.
Nell’anno 6452 [944], Igor’ radunò un esercito di Varjaghi, Russi, Poljani,
Slavi, Kriviči e Tiverci e assoldò i Peceneghi prendendo da loro degli ostaggi,
e mosse contro la Grecia, per mare e per terra, volendo vendicarsi. I
Chersonesi, avendo saputo ciò, avvisarono Romano dicendo: «Ecco, i Russi,
hanno già coperto il mare con i loro innumerevoli vascelli». Anche i Bulgari
annunciarono la stesse notizia, dicendo: «Arrivano i Russi, hanno i
Peceneghi al loro servizio». L’imperatore, sentito ciò, inviò a Igor’ i suoi
dignitari più illustri, per pregarlo dicendo: «Non venire, prendi il tributo che
riscuoteva Oleg e io aggiungerò ancora qualcosa a quel tributo». Egli inviò
anche ai Peceneghi tessuti preziosi e molto oro.
Igor’ arrivò al Danubio, radunò la družina [ufficiali] e tenne consiglio
ripetendo ciò che aveva proposto l’imperatore. La družina disse a Igor’: «Se
l’imperatore parla così, che cosa dobbiamo fare se non prendere l’oro,
l’argento e la seta senza combattere? Chi sa dire chi sarà il vincitore, se noi
o loro? Chi è che discute con il mare? Perché noi non marceremmo sulla
terra, ma sopra gli abissi marini; la morte ci minaccia tutti». Igor’ prestò
loro ascoltò e ordinò ai Peceneghi di devastare la Bulgaria, poi prese dai
Greci oro e tessuti preziosi per tutto l’esercito e ritornò verso Kiev nella sua
terra.
Nell’anno 6453 [945], Romano, Costantino e Stefano inviarono degli
ambasciatori a Igor’ per rinnovare l’antico trattato di pace. Igor’ discusse
con loro della pace, inviò i suoi uomini da Romano. Romano riunì i bojari e i
dignitari. E introdussero gli ambasciatori russi, e si ordinò di trascrivere su
pergamena quanto si conveniva tra le due parti.
«Conformemente all’altro trattato stipulato al tempo degli imperatori
Romano, Costantino e Stefano, signori amanti di Cristo.
«Noi della stirpe russa, ambasciatori e mercanti: Ivor, ambasciatore di Igor’,
gran principe russo, e gli ambasciatori ordinari: Vuefast per Svjatoslav figlio
di Igor’, Iskusevi per la principessa Ol’ga, Sludy per Igor’ [nipote del Gran
principe Igor’], Uleb per Vladislav, Kanicar per Predslava [figlia di Igor’],
Šichbern per Sfandra, la sposa di Uleb, Prasten per Turd, Libiar per Fast,
Grim per Sfirk, Prasten per Akun, nipote di Igor’, Kary per Tudkov, Karšev
per Turodov, Egri per Evliskov, Voist per Voïkov, Istr per Amindov, Prasten
per Bern, Javtjag per Gunarev, Šibrid per Aldan, Kol per Klekov, Steggi per
Eton, Sfirka, Alvad per Gud, Fudri per Tuad, Mutur per Utin; i mercanti:
Adun’, Adulb, Iggivlad, Oleb, Frutan, Gomol, Kuci, Emig, Turobid, Furosten,
Bruny, Roald, Gunastr, Frasten, Inegeld, Turbern e l’altro Turbern, Uleb,
Turben, Mony, Ruald, Sven’, Aldan, Tilen, Apoub’ksar, Vuzlev e Sinko Borič,
inviati da Igor’, gran principe russo, e da tutti i principi e tutti i popoli della
terra di Rus’. Da loro ci fu ordinato di rinnovare il vecchio trattato di pace,
violato da anni dal demone nemico del bene e amico della discordia, e di
consolidare l’antica amicizia tra i Greci e i Russi.
«Il nostro gran principe Igor’ e i suoi principi e bojari e tutti i popoli russi ci
hanno inviato da Romano, Costantino e Stefano, grandi imperatori della
Grecia, per confermare l’amicizia con questi imperatori e con tutti i loro
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bojari e con tutto il popolo greco per tutto il tempo che il sole brillerà ed
esisterà l’universo.
«E chiunque dei Russi cercasse di rompere questa pace, se è di coloro che
hanno ricevuto il battesimo, sia punito da Dio onnipotente e condannato a
perire in questa vita e nell’altra. Se invece è fra i non battezzati, che non
riceva aiuto né da Dio, né da Perun, che non sia riparato dai loro scudi, ma
sia trafitto dalle sue stesse spade, dalle sue frecce, dalle altre armi, e che
siano schiavi in questo secolo e in quelli futuri.
«Il gran principe di Russia e i suoi bojari inviino ai Greci, ai grandi
imperatori greci, quante navi a loro piaccia con ambasciatori e mercanti.
Come allora imposto, gli ambasciatori portavano un sigillo d’oro, mentre i
mercanti d’argento, ma ora il nostro principe ha stabilito di inviare uno
scritto al vostro imperatore. E gli ambasciatori e i mercanti da lui inviati
dovranno portare lo scritto che specifica «Ho inviato tante navi», affinché
noi riconosciamo coloro che vengono in pace. Ma se essi venissero senza
scritto, ce le consegneranno e noi le sorveglieremo e le tratterremo e
avvertiremo il vostro principe. Se essi non volessero arrendersi e
opponessero resistenza, essi saranno messi a morte e il vostro principe non
cerchi ragione di tale morte. Se essi fuggissero e giungessero nella Rus’, noi
scriveremo al vostro principe e si procederà secondo volontà.
«Se un Russo arriva senza merci, non riceva il mensile. E il principe vieti ai
suoi inviati e ai Russi, che qui verranno, di commettere eccessi nei villaggi
della nostra terra. Coloro che vengono dimorino a San Mamas [quartiere
suburbano di Costantinopoli], e il nostro imperatore manderà qualcuno per
trascrivere i loro nomi e solo dopo riceveranno il proprio mensile, gli
ambasciatori la loro paga e i mercanti il mensile; per primi riscuoteranno
quelli di Kiev, poi quelli di Černigov e di Perejaslavl’. Essi devono entrare in
città da un’unica porta scortati da un uomo dell’imperatore, senza armi, a
gruppi di cinquanta uomini per volta; si occupino del loro commercio
seguendo i propri interessi e poi se ne vadano via. L’ufficiale dell’impero li
sorvegli e se qualcuno dei Russi o dei Greci commetterà qualche torto, egli
lo giudichi. I Russi, entrando in città, non arrechino danno e non comprino
tessuti preziosi per più di cinquanta monete d’oro [o “sovrani”] e chiunque li
acquisti deve mostrarli all’ufficiale dell’impero e questi la sigillerà
[sdoganerà] e gliela renderà. E partendo i Russi ricevano da noi i viveri
occorrenti per il viaggio e quanto sarà necessario per i vascelli, così come si
è prima stabilito, e ritornino salvi nel loro paese. Essi non hanno il diritto di
passare l’inverno a San Mamas.
«Se uno schiavo fugge dalla Russia e lo si viene a cercare nel vostro impero,
se è a San Mamas lo si riprenda. Se non lo si trovasse, allora i Russi cristiani
facciano giuramento secondo la loro fede e i non cristiani secondo la loro
usanza e solo dopo essi riceveranno l’equivalente del suo prezzo, già fissato
di due tele preziose per servo.
«Se qualcuno del nostro impero o della vostra città oppure un servo nostro
di altra città si rifugia presso di voi portando con sé della refurtiva, lo si
restituisca e, se la roba sottratta è nella sua integrità, gli siano prese due
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monete d’oro per ogni cosa sottratta. Se un Russo prova a rubare qualcosa
alle genti del vostro impero, sia punito severamente e paghi il doppio del
valore di ciò che avrà rubato. Se un Greco fa lo stesso a un Russo, subisca
la medesima punizione. Se un Russo ruba qualcosa a un Greco, o un Greco
a un Russo, è giusto che renda non solamente la cosa stessa, ma anche il
valore di quella cosa. Se la cosa rubata è stata venduta, il ladro paghi il
doppio del valore e sia punito secondo la legge greca e secondo il codice e
la legge russa.
«Se un Russo porta dei prigionieri cristiani del nostro paese: se è un
giovane uomo o una giovane donna, si paghino dieci monete d’oro per il loro
riscatto, se sono persone di età media si paghino otto monete d’oro per il
loro riacquisto, se è un bambino o un vecchio, si diano cinque monete d’oro.
«Se si trovassero tra i Greci degli schiavi russi, i Russi potranno riscattarli
con dieci monete d’oro. Se è un Greco ad averli comperati, faccia
giuramento sulla croce per ricevere il prezzo pagato per loro.
«Riguardo al Chersoneso e alle sue città, sia precluso al principe russo di far
la guerra in quelle terre e in tutte le città esistenti in quella regione e quel
territorio non gli sia sottomesso. Se il principe russo ci chiederà dei soldati
per la guerra, gliene saranno consegnati quanti ne avrà bisogno. Se i Russi
trovano una nave greca gettata in qualche luogo dalla tempesta, essi non la
tocchino. Colui che sottrarrà qualcosa da questa nave o che mandi un uomo
in prigione o lo uccida, sia giudicato secondo la legge russa e quella greca.
«Se i Russi trovassero i Chersonesi che pescano alla foce del Dnepr, non si
faccia loro alcun male.
«I Russi non potranno passare l’inverno alla foce del Dnepr, né a Belobereg,
né a Sant’Eterio, ma al volgere dell’autunno, dovranno tornare alle loro case
nella Rus’.
«Quanto ai Bulgari Neri che vengono a devastare il Chersoneso, noi
chiediamo al principe russo di non permettere loro di recar danno a questa
regione.
«Se qualche crimine viene commesso dai Greci sudditi del nostro impero,
voi non avete il diritto di punirlo, ma ciascuno sarà punito dall’ordine del
nostro imperatore per i suoi delitti. Se un Cristiano uccide un Russo o un
Russo un Cristiano, l’omicida sia catturato dai congiunti e ucciso. Se
l’omicida fugge ed è ricco, i familiari della vittima prendano i suoi beni. Se
l’omicida è povero e fugge, lo si ricerchi fino a quando non si trovi e,
trovatolo, sia messo a morte.
«Se un Russo colpisce un Greco o un Greco un Russo con la spada, la lancia
o altra arma, paghi per questa colpa cinque libbre d’argento, secondo la
legge russa; se è povero, si venda tutto ciò che possiede e pure i vestiti che
indossa e infine lo si faccia giurare, secondo la sua fede, che egli non ha più
nulla e solo allora lo si rilasci.
«Se il nostro imperatore avesse bisogno di soldati per combattere i nostri
nemici, si scriverà al vostro gran principe, ed egli ci invierà quanti soldati
richiederemo, e così gli altri paesi vedranno quale amicizia esiste tra Greci e
Russi.
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ancora: «inclina il tuo cuore alla prudenza» [Prv 2,2], «Io amo coloro che
mi amano e quelli che mi cercano mi troveranno» [Prv 8,17]. Il Signore
disse: «Colui che viene a me non respingerò » [Gv 6,17].
E Ol’ga ritornò a Kiev e l’imperatore greco inviò [ambasciatori] dicendo: «Ti
ho colmata di molti doni, e tu mi dicesti: Quando sarò rientrata nella Rus’, ti
invierò molti doni: schiavi, cera, pellicce e soldati in soccorso». Ol’ga rispose
agli inviati: «Dite all’imperatore: Se tu dimorerai presso di me sulla Počajna
[fiume presso Kiev] come già io sono rimasta nel Corno d’Oro, te li darò». E
con queste parole congedò gli ambasciatori.
Ora, Ol’ga viveva con suo figlio, Svjatoslav, e la madre lo indottrinava per il
battesimo, ma egli non l’ascoltava neppure. E quando qualcuno voleva
essere battezzato, egli non lo ostacolava, ma lo scherniva. Perché «La
parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione» [1
Cor 1,18]; «Non capiscono, non vogliono intendere, avanzano nelle
tenebre» [Sal 82,5] e non vedono la gloria del Signore: i loro cuori sono
induriti, le loro orecchie provano pena a udire e i loro occhi a vedere.
Salomone disse: «Gli atti impuri sono lontani dall’intelletto» e «Poiché vi ho
chiamato e avete rifiutato, ho steso la mano e nessuno ci ha fatto
attenzione; avete trascurato ogni mio consiglio e la mia esortazione non
avete accolto... Poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il
timore del Signore; non hanno accettato il mio consiglio e hanno
disprezzato tutte le mie esortazioni» [Prv 1,24-30]. Anche Ol’ga diceva
spesso: «Figlio mio, io ho conosciuto la saggezza [o Iddio] e ne gioisco; se
tu la conoscessi, anche tu ne gioiresti». Egli non badava a ciò e diceva: «Se
accogliessi io, da solo, un’altra fede, la mia družina riderebbe di me». Ella
gli rispondeva: «Se tu ti fai battezzare, tutti ti seguiranno», ma egli non
ascoltava sua madre e perseverava nei costumi pagani, non sapendo che
colui che non ubbidisce a sua madre cade in sventura, come sta scritto:
«Chiunque maltratta suo padre o sua madre dovrà essere messo a morte».
[Lv 20,9; cfr. Es 21,17]. E lui si arrabbiò con sua madre, perché Salomone
disse: «Chi corregge il beffardo se ne attira il disprezzo, chi rimprovera
l’empio se ne attira l’insulto. Non rimproverare il beffardo per non farti
odiare» [Prv 9,7-8].
Ma Ol’ga amava suo figlio Svjatoslav e diceva: «Sia fatta la volontà di Dio;
se Dio vorrà dare la grazia alla mia stirpe e della terra di Rus’, ponga nei
loro cuori il desiderio di convertirsi a Dio, quel desiderio di cui anche a me
fece dono». E, dicendo ciò, pregava per suo figlio e per la sua gente tutti i
giorni e tutte le notti, allevando suo figlio fino alla maggiore età.
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inneggiano come loro guida, perché dopo la morte, pregò Dio per la Rus’.
Ma l’anima dei giusti non muore [cfr. Sap 3,1], come ha detto Salomone
«Quando comandano i giusti il popolo gioisce» [Prv 29,2], perché il suo
ricordo è immortale [cfr. Sap 3,4], dura in Dio e negli uomini. Qui tutti gli
uomini la glorificano, perché vedono il suo corpo giacere incorrotto da molti
anni. Infatti il profeta disse: «Chi mi onorerà anche io lo onorerò» [1 Sam
2,30]. Anche Davide disse di costoro: «Il giusto sarà sempre ricordato, non
temerà annunzio di sventura, saldo è il suo cuore, confida nel Signore,
sicuro è il suo cuore, non teme» [Sal 112 (111),6-8]. Salomone disse
infatti: «I giusti vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e
l’Altissimo ha cura di loro, per questo riceveranno una magnifica corona
regale e un bel diadema dalla mano del Signore, perché li proteggerà con la
destra e con il braccio farà loro da scudo» [Sap 5,15-16]. Aveva egli difeso
la beata Ol’ga dal diavolo nemico e avversario.
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parlino». Essi dissero: «Così dice il nostro principe: Voglio una salda
amicizia con l’imperatore greco per tutti gli anni a venire». L’imperatore si
rallegrò e ordinò allo scriba di scrivere su pergamena l’intero dire di
Svjatoslav. E gli ambasciatori cominciarono a riferire il messaggio e lo scriba
a scrivere, e dissero:
«Conformemente al precedente trattato concluso tra Svjatoslav, gran
principe russo, e Svenal’d, scritto da Teofilo Sinkel [Teofilo il Segretario] per
Giovanni, soprannominato Zimisce, imperatore dei Greci, in Dorostol nel
mese di luglio, XIV indizione, anno 6479 [971].
«Io Svjatoslav, principe russo, ho giurato e confermo in questo trattato il
mio giuramento: voglio, insieme a quanti, bojari e altri, nella Rus’ sono miei
sudditi, vivere in pace e salda amicizia costante con voi Giovanni, grande
imperatore dei Greci, e Basilio e Costantino, imperatori ispirati da Dio, e con
tutte le vostre genti. Mai attaccherò la vostra terra, non adunerò guerrieri
contro essa, non istigherò altri popoli né contro di voi, né contro coloro che
sono soggetti al potere greco, né contro i Chersonesi o di altre sue città, né
contro la terra dei Bulgari. E se qualcun altro ardisse muovere contro il
vostro paese, gli sarò contro e lo combatterò. Come ho già giurato dinanzi
agli imperatori greci, e insieme a me i bojari e la Rus’ intera, osserveremo il
precedente trattato. Se noi non osserveremo quanto già enunciato, io e
coloro che sono sotto il mio potere siano maledetti dagli dèi in cui crediamo,
da Perun e da Volos, dio del bestiame, e che possiamo diventare gialli come
l’oro e si possa perire dalle nostre stesse armi. Crediate ciò per vero, per
avervi offerto ora la pergamena scritta e sigillato con il nostro sigillo».
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e ora l’ho ridotto in lacrime”. E piansero Abele per trent’anni, e il suo corpo
non si decomponeva ed essi non sapevano seppellirlo. E per volere di Dio
giunsero due uccelli, uno di essi morì e l’altro scavò una fossa, vi mise
l’uccello morto e lo seppellì [l’episodio non è nella Genesi]. Vedendo ciò
Adamo ed Eva scavarono una fossa, vi depositarono Abele e lo seppellirono
piangendo. Adamo, all’età di 230 anni, generò Set e due figlie; una fu presa
da Caino, l’altra da Set, e da queste unioni cominciarono a proliferare gli
esseri umani e a moltiplicarsi sulla terra. Ed essi non conoscevano il loro
creatore, si abbandonavano alla lussuria e a tutti i crimini, all’omicidio,
all’odio [o: invidia] e vivevano come animali.
«Fu Noè l’unico giusto di questa stirpe ed egli generò tre figli, Sem, Cam e
Jafet. E Dio disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo” e ancora:
“Sterminerò dalla terra l’uomo e gli animali”. E il Signore Dio disse a Noè:
“Costruisci un’arca lunga trecento cubiti, cinquanta di larghezza per trenta
di altezza”, perché gli Egizi chiamano cubito il sažen. Cento anni impiegò
Noè per costruire l’arca e annunciò Noè che ci sarebbe stato un diluvio e lo
schernirono. Quando l’arca fu pronta, Dio disse a Noè: “Entrerai nell’arca tu
e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli; porta con te una
coppia di ogni specie animale e di ogni tipo di uccello e di ogni sorta di
rettile”. E Noè portò nell’arca quanto Dio gli aveva ordinato. E Dio mandò il
diluvio sulla terra, e ogni cosa vivente fu inghiottita, ma l’arca galleggiava
sull’acqua. E quando le acque si ritirarono, uscì Noè e uscirono i suoi figli e
sua moglie e le donne dei suoi figli; ed è da costoro che si popolò la terra.
Ci furono molti uomini, e tutti parlavano la stessa lingua, e si dissero l’un
l’altro: “Costruiamo una torre la cui cima tocchi il cielo”. E si misero a
costruirla e il loro capo era Nimrod e Dio disse: “Ecco che gli uomini si sono
moltiplicati e i loro pensieri sono di vanità”. E discese Dio e divise la loro
lingua in settantadue lingue. Soltanto la lingua [il popolo] di Adamo non fu
allontanata dall’Eden poiché lui solo non si era unito alla loro stoltezza, così
dicendo “Se Dio avesse detto agli uomini di costruire una torre fino al cielo,
egli stesso l’avrebbe eretta con una sua parola, come creò il cielo e la terra
e tutte le cose visibili e invisibili”. È per questo che la sua lingua non fu
cambiata, e da essa discendono gli Ebrei [questo passo non è nella Genesi].
Si divisero [gli altri uomini] in settantuno nazioni e si dispersero sulla terra;
e ogni popolo assunse costumi particolari per istigazione del diavolo:
sacrificarono agli alberi, alle fonti, ai fiumi e non riconoscevano Dio. Ora, da
Adamo fino al diluvio sono 2242 anni e dal diluvio alla divisione delle lingue
529 anni. In seguito, il diavolo indusse gli uomini a più grandi errori ed essi
si misero a costruire idoli, alcuni di legno, altri di bronzo, altri di marmo,
d’oro o d’argento. Ed essi li adoravano e portavano dinanzi ad essi i loro figli
e le loro figlie e li sacrificavano e tutta la terra fu profanata e Serug
cominciò a creare gli idoli, e li creava in onore dei morti: imperatori passati,
eroi, maghi, donne perverse. Questo Serug generò Terach e Terach generò
tre figli Abramo, Nacor e Aran. Terach faceva idoli avendolo imparato da suo
padre. Abramo, raggiunta all’età della ragione, guardò il cielo e vide il sole e
la luna e le stelle, e disse: “In verità, colui che ha creato il cielo è Dio, e mio
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padre inganna gli uomini”. E Abramo disse: “Metterò a dura prova gli dèi di
mio padre”, e disse: “Padre, perché inganno gli uomini fabbricando idoli di
legno? È Dio che ha creato il cielo e la terra”. E Abramo prese del fuoco e
bruciò gli idoli nel tempio. Vedendo ciò, Aran, fratello di Abramo, che
venerava gli idoli, tentò di portarli fuori e là fu consumato dal fuoco e morì
prima di suo padre. Fino ad allora nessun figlio era mai morto prima del
padre, ma i padri morivano prima dei loro figli, e da allora presero a morire i
figli prima dei loro padri. Abramo piacque a Dio, che gli disse: “Vàttene dalla
casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande
popolo, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. E Abramo
fece ciò che Dio gli aveva ordinato. E Abramo prese suo nipote Lot, poiché
Lot era suo cognato e suo nipote, avendo Abramo preso in moglie Sara, la
figlia di suo fratello Aran. E giunse nella terra di Canaan presso la Quercia, e
Dio disse ad Abramo: “Alla tua discendenza io darò questo paese”. E
Abramo si inchinò a Dio. Ora, Abramo aveva 75 anni quando lasciò Carran,
e Sara era sterile ed era afflitta per la sterilità. Sara disse ad Abramo:
“Unisciti alla mia schiava”. E Sara prese Agar e la diede a suo marito e
quando Abramo si unì con Agar, ella concepì un figlio, che Abramo chiamò
Ismaele. Abramo aveva 86 anni quando Ismaele nacque. In seguito Sara
concepì e partorì un figlio e gli diede nome Isacco. E Dio ordinò ad Abramo
di circoncidere il bambino ed egli lo circoncise l’ottavo giorno. E Dio amò
Abramo e la sua stirpe e la proclamò gente sua, e li distinse dagli altri
popoli, dicendoli popolo suo. E Isacco crebbe, e Abramo morì all’età di 175
anni e fu seppellito. Isacco aveva sessant’anni quando generò due figli,
Esaù e Giacobbe. Esaù era cattivo e Giacobbe era giusto. Giacobbe servì
sette anni suo zio per ottenere in isposa la sua figlia minore, ma Labano,
suo zio, non gliela diede, dicendo: “Sposa la maggiore” e gli diede Lia, la
maggiore. Per [avere] l’altra gli disse: “Servimi per altri sette anni”. Egli
lavorò altri sette anni per ottenere Rachele, ed ebbe per mogli le due
sorelle, dalle quali ebbe otto figli: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar,
Zàbulon, Giuseppe e Beniamino; e da due schiave ebbe Dan, Nèftali, Gad e
Asser. È da loro che vengono gli Ebrei. [Qui comincia il racconto tratto
dall’Esodo]
«Giacobbe, all’età di 130 anni, partì per l’Egitto insieme alla sua
discendenza che contava sessantacinque persone. Visse 17 anni in Egitto e
morì, e la sua stirpe lavorò per quattrocento anni. Nel mentre, si
rafforzarono gli Ebrei e si moltiplicarono, intanto che gli Egizi li opprimevano
di fatiche. In quei tempi nacque fra gli Ebrei Mosè, e gli indovini maghi
d’Egitto dissero al Faraone: “Ecco, è nato fra gli Ebrei un bambino che
annienterà l’Egitto”. Subito il Faraone ordinò di gettare i neonati degli Ebrei
nel fiume Nilo. La madre di Mosè, temendo l’uccisione del neonato, lo prese
e lo mise in un canestro e lo portò via e lo lasciò sul prato presso la riva.
Giunse allora la figlia del Faraone, Fermufi, per fare un bagno e vide il
bambino che piangeva e lo prese, e lo salvò e gli diede nome Mosè e
l’allevò. Il bambino era molto bello e quando ebbe quattro anni la figlia del
Faraone lo portò al cospetto di suo padre. Il Faraone vide Mosè e prese ad
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amare il fanciullo. Mosè si aggrappò al collo del Faraone e gettò per terra la
corona e la calpestò. Vedendo ciò, un indovino disse al Faraone:
“Imperatore, fai uccidere questo bambino, perché, se non lo farai, perderai
l’Egitto”. Ma il re non lo ascoltò, al contrario ordinò di non uccidere più i figli
degli Ebrei [questo episodio non è nell’Esodo].
«Quando Mosè fu adulto, acquisì importanza alla corte del Faraone e poiché
sembrava un secondo imperatore, i bojari gli portavano invidia. Mosè,
avendo ucciso un Egiziano che aveva oltraggiato un Ebreo, fuggì dall’Egitto
e raggiunse la terra di Madian. Trovandosi nel deserto, egli apprese
dall’angelo Gabriele della creazione del mondo, del primo uomo e di quelli
che lo seguirono, e del diluvio e della confusione delle lingue, e di ognuno
quanti anni era vissuto, e il movimento e il numero delle stelle, e le misura
della terra e ogni conoscenza. Dopo gli apparve Dio in un roveto ardente e
gli disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto, sono sceso per
liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese. Io ti
mando dal Faraone re d’Egitto, e digli: Fa’ uscire Israele, affinché per tre
giorni facciano offerte a Dio. Se il Faraone degli Egizi non ti ascolta, lo
fulminerò con tutti i miei prodigi”. Andò Mosè, ma il Faraone non gli prestò
ascoltò. E Dio mandò al Faraone dieci piaghe: con la prima i fiumi furono
tramutati in sangue, con la seconda le rane, con la terza le zanzare, con la
quarta i mosconi, con la quinta la peste del bestiame, con la sesta la ulcere,
con la settima la grandine; con l’ottava le cavallette; con la nona un’oscurità
di tre giorni, con la decima la morte dei primogeniti. Così subirono dieci
piaghe per aver affogato i figli degli Ebrei per dieci mesi. E quando venne la
peste in Egitto, il Faraone disse a Mosè e a suo fratello Aronne: “Andatevene
prima possibile”. Mosè radunò gli Israeliti e uscì dalla terra d’Egitto. E Dio lo
guidò attraverso il deserto verso al Mar Rosso: li precedeva il giorno sotto
forma di nuvola e la notte di colonna di fuoco. Il Faraone, apprendendo che
il popolo fuggiva, lo inseguì e lo spinse contro il mare. Accortisi, gli Israeliti
gridarono contro Mosè dicendo: “Perché hai voluto condurci alla morte?” E
Mosè si rivolse a Dio, e Dio disse: “Perché mi invochi? Batti il mare con la
verga”. Ciò fece Mosè e le acque si divisero in due, e i figli d’Israele
entrarono nel mare. Vedendo ciò, il Faraone li inseguì. I figli d’Israele
raggiunsero la terra ferma e come furono sulla riva, il mare si richiuse sopra
il Faraone e il suo esercito. E il Signore salvò Israele. E, dal mare,
camminarono tre giorni nel deserto, e giunsero e arrivarono a Mara, e qui
l’acqua era amara e il popolo mormorò contro Dio. E il Signore mostrò loro
un legno, e Mosè lo mise nell’acqua e l’acqua si addolcì. In seguito ancora
brontolarono contro Mosè e Aronne, dicendo: “Stavamo meglio in Egitto,
dove mangiavamo carne, cipolla e pane a volontà!”. E il Signore disse: “Ho
sentito il lamento dei figli di Israele” e dette loro della manna da mangiare.
Poi dette loro la legge sul Monte Sinai. Mentre Mosè era salito sul monte
presso Dio, essi fusero una testa di vitello e la adoravano come fosse un
dio. Di costoro, Mosè ne fece perire tremila. E in seguito mormorarono
nuovamente contro Mosè e Aronne perché mancava l’acqua. E Dio disse a
Mosè: “Batti la roccia con un bastone”. E colpendo la roccia con il bastone
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pensò: “E se l’acqua non sgorgasse dalla roccia?”. E Dio s’adirò contro Mosè,
perché egli non aveva glorificato il Signore, e, a causa di ciò e dei mormorii
del popolo, egli [Mosè] non entrò nella terra promessa, ma [Dio] lo
condusse sul Monte Nebo e gli mostrò la terra promessa. E Mosè morì sul
monte.
«E Giosuè, figlio di Nun, prese il comando; entrò nella terra promessa,
distrusse la stirpe di Canaan e al suo posto stabilì i figli di Israele [cfr. Gs 1-
5]. Morto Giosuè, Giuda fu posto giudice in vece; e vi furono altri quattordici
giudici [cfr. Gdc 1], sotto i cui ordini dimenticarono Dio che li aveva tratti
dall’Egitto, e cominciarono ad adorare gli idoli. E Dio adirato li abbandonò ai
predoni delle tribù straniere. Quando si pentirono, ebbe pietà di loro e,
quando li ebbe liberati, ricominciarono a servire il maligno. Dopo questi,
furono giudici il sacerdote Elia [cfr 1 Re 17-21] e poi il profeta Samuele [cfr.
1 Sam e 2 Sam]. E il popolo disse a Samuele: “Dacci un re!” e il Signore si
adirò contro Israele e dette loro Saul come re. Ma Saul non volle camminare
nella legge del Signore, e Dio scelse Davide e lo mise alla testa degli
Israeliti. E Davide assecondò Dio e il Signore promise a Davide che dalla sua
stirpe nascerà Dio. E per primo iniziò a profetizzare l’incarnazione divina,
dicendo: “Dal seno dell’aurora ti ho generato” [Sal 110 (109),3]. Profetizzò
per quarant’anni e poi morì.
«Dopo di lui regnò e profetizzò suo figlio Salomone [cfr. 1 Re] che costruì il
tempio al Signore e lo chiamò il Santo dei Santi. Era saggio, ma alla fine si
smarrì. Morì dopo avere regnato quarant’anni. Dopo Salomone regnò suo
figlio Roboamo. Sotto di lui, il regno dei Giudei si divise in due parti, l’una
era Gerusalemme e l’altra la Samaria. In Samaria regnava Geroboamo,
servo di Salomone, il quale costruì due vitelli d’oro, l’uno a Betel sul colle,
l’altro a Dan, dicendo: “Ecco, Israele, il tuo dio” [1 Re 12,28]. E il popolo
adorò dimenticando Dio. Così anche a Gerusalemme prese a dimenticare
Dio e ad adorare Baal, cioè il dio della guerra, ossia Ares, e dimenticò il Dio
dei loro padri. E Dio iniziò a mandare loro i profeti, e i profeti cominciarono
a rimproverare loro l’empietà e l’idolatria. Ma essi, i denunciati,
sterminarono i profeti. E Dio molto si adirò contro Israele e disse: “Li
scaccerò dalla mia presenza [cfr. 2 Re 17] e io convocherò altre genti che mi
ascolteranno. E se essi peccheranno, non ricorderò le loro iniquità” [cfr. Ger
31,34]. E si mise a inviare i profeti, dicendo: «Annunciate il rifiuto degli
Ebrei e la chiamata di altri popoli”. Per primo iniziò a profetizzare Osea,
dicendo: “Porrò fine al regno della casa d’Israele. [...] Spezzerò l’arco
d’Israele nella valle di Izreèl. [...] Non amerò più la casa d’Israele, non ne
avrò più compassione” [Os 1,4-6] e ancora: “Andranno raminghi fra le
nazioni” [Os 9,17].
«Geremia disse: “Anche se Mosè e Samuele si presentassero [...] non avrò
pietà di loro” [cfr. Ger 15,1]. E sempre Geremia disse ancora: Io giuro per il
mio grande nome che mai più il mio nome sarà pronunciato in tutto il paese
d’Egitto dalla bocca di un uomo di Giuda” [Ger 44,26]. Ezechiele disse: “Il
Signore Dio dice così: disperderò ad ogni vento quel che resterà di te [...]
poiché tu hai profanato il mio santuario con tutte le tue nefandezze [...] io
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raderò tutto [...] non avrò compassione” [Ger 5,10-11]. Malachia disse:
“Così dice il Signore: “Non mi compiaccio di voi [...]. Poiché dall’oriente
all’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto
incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra
le genti. [...] Perciò anch’io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il
popolo” [Ml 1,10-11; 2,9]. Il grande Isaia disse: “Così dice il Signore:
Stenderò la mano su di te, purificherò nel crogiuolo le tue scorie, eliminerò
da te tutto il piombo” [Is 1,25]. E ancora disse: “I vostri noviluni e le vostre
feste io detesto, e non i vostri sabato non posso sopportare” [Is 1,13-14]. Il
profeta Amos disse: “Ascoltate queste parole, questo lamento che io
pronunzio su di voi, o casa di Israele! È caduta, non si alzerà più” [Am 5,1-
2]. E Malachia disse: “Così dice il Signore: Manderò su di voi la maledizione
e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette,
perché nessuno tra di voi se la prende a cuore” [Ml 2,2] E molti
profetizzarono sul loro ripudio. E a questi profeti Dio ordinò di predicare
sulla chiamata di altre nazioni al posto loro. E iniziò Isaia a chiamare,
dicendo: “Poiché da me uscirà la legge, il mio diritto sarà luce dei popoli. La
mia vittoria è vicina, si manifesterà come luce la mia salvezza; le mie
braccia governeranno i popoli” [Is 51,4-5]. Geremia disse: “Così dice il
Signore: Con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova [...] Porrò la
mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio
ed essi il mio popolo” [Ger 31,31-33]. Isaia disse: “I primi fatti, ecco, sono
avvenuti e i nuovi io preannunzio; prima che spuntino, ve li faccio sentire”.
Cantate al Signore un canto nuovo” [Is 42,9-10] e “Ma i miei servi saranno
chiamati con un altro nome, che sarà benedetto su tutta la terra” [Is 65,15-
16] e “Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” [Is
56,7] Disse ancora Isaia: “Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti
a tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio
[Is 52,10]. Davide disse: “Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni,
dategli gloria” [Sal 117 (116),1]. Così Dio amando le nuove nazioni disse
che sarebbe disceso fra loro di persona manifestandosi in sembianze umane
e soffrire per il peccato di Adamo. Ed essi cominciarono a profetizzare
l’incarnazione di Dio. Davide disse per primo: “Oracolo del Signore al mio
Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei
tuoi piedi” [Sal 110 (109),1]. E disse ancora: “Il Signore mi ha detto: Tu sei
mio figlio, io oggi ti ho generato” [Sal 2,7]. Isaia disse: “Non un inviato né
un angelo, ma egli stesso li ha salvati” [Is 63,9]. E ancora: “Poiché un
bambino è nato per noi [...] Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è
chiamato: Consigliere ammirabile [...] grande sarà il suo dominio e la pace
non avrà fine” [Is 9,5-6]. E ancora: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà
un figlio, che chiamerà Emmanuele” [Is 7,14]. Michea disse: “E tu,
Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te
mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono
dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino
a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei tuoi fratelli
ritornerà ai figli di Israele” [Mic 5,1-2]. Geremia disse: “Egli è il nostro Dio e
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nessun altro può essergli paragonato. Egli ha scrutato tutta la via della
sapienza e ne ha fatto dono a Giacobbe suo servo [...] Per questo è apparso
sulla terra e ha vissuto fra gli uomini” [Bar 3,36-36]. E ancora: “È un uomo,
e chi comprenderà che è Dio, se morirà come uomo”. Zaccaria disse: “Come
al suo chiamare essi non vollero dare ascolto, così quand’essi grideranno, io
non li ascolterò, dice il Signore” [Zc 7,13]. E Osea disse “Così dice il
Signore: La mia carne verrà da loro”.
«Essi predissero anche la sua passione. Isaia disse: “Guai alle loro anime,
perché hanno concepito cattive intenzioni dicendo: Imprigioniamo il giusto”.
E disse ancora: “Il Signore mi ha detto: Non ho opposto resistenza, non mi
sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro
che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli
sputi” [Is 50,5-6]. Geremia disse: “Abbattiamo l’albero nel suo rigoglio,
strappiamolo dalla terra dei viventi” [Ger 11,19]. Mosè disse della sua
crocifissione: “La tua vita ti sarà dinanzi come sospesa ad un filo” [Dt
28,66]. E Davide disse: “Perché cospirano i popoli?” [Sal 2,1]. Isaia disse:
“Era come un agnello condotto al macello” [Is 53,7]. Esdra disse: “Sia
benedetto Dio, stendendo le sue braccia salvò Gerusalemme”.
E profetizzarono la sua resurrezione. Davide disse: “Sorgi, Dio, a giudicare
la terra, perché a te appartengono tutte le genti” [Sal 82 (81),8]. E ancora:
“Il Signore si destò come da un sonno” [Sal 78 (77),65]. E ancora: “Sorga
Dio, i suoi nemici si disperdano” [Sal 68 (67),2]. E di nuovo: “Sorgi,
Signore, alza la tua mano” [Sal 11 (10),33]. Isaia disse: “Su coloro che
abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” [Is 9,1]. Zaccaria disse:
“Quanto a te, per il sangue dell’alleanza con te, estrarrò i tuoi prigionieri dal
pozzo senz’acqua” [Zc 9,11]. E molti profetizzarono su di lui e tutto si è
compiuto».
Vladimir disse allora: «In quale tempo ciò si è compiuto?» E: «Si è già
verificato ciò? o deve ancora arrivare?». Egli rispose: «Tutto ciò si è
compiuto quando Dio si è incarnato. Come già ho detto, quando i Giudei
uccisero i profeti e i re, infransero la loro legge e Dio li consegnò alla
schiavitù, e, a causa dei loro peccati, furono portati prigionieri in Assiria,
dove lavorarono per settant’anni. In seguito tornarono nella loro terra e non
avevano un re, ma dei sacerdoti che li governarono fino al regno di Erode lo
straniero che li conquistò. Sotto il suo regno, nell’anno 5500, Gabriele fu
inviato a Nazaret dalla vergine Maria, della stirpe di Davide, per dirle:
“Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te” [Lc 1,28]. E da questa
parola concepì nel suo grembo il Verbo di Dio e partorì un figlio che chiamò
Gesù. Ed ecco vennero dei Magi dall’Oriente dicendo: “Dov’è il re dei Giudei
che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per
adorarlo” [Mt 2,2]. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui
tutta Gerusalemme. Riuniti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo,
s’informava da loro: “Dove doveva nascere il Messia?”. Gli risposero: “A
Betlemme di Giudea” [Mt 2,3-5]. Appreso ciò, Erode inviò messaggeri con
l’ordine: “Uccidete tutti i bambini al di sotto dei due anni” [cfr. Mt 2,16]. Essi
andarono e uccisero 14.000 bambini [numero inesistente nei Vangeli]. Maria
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converte a un’altra fede, allora brucerà nel fuoco nell’aldilà. Qual è la vostra
opinione? Cosa rispondete?». E i bojari e gli anziani dissero: «Tu sai,
principe, che nessuno denigra, ma sempre loda le proprie cose. Se vuoi
approfondire, gli uomini non ti mancano, mandali affinché verifichino di
persona il culto di ognuno e come ciascuno onora Dio». E questo discorso
piacque al principe, come a tutti i presenti. Scelsero uomini saggi e istruiti,
in numero di dieci, e dissero loro: «Andate prima di tutto dai Bulgari e
verificate la loro fede e il loro culto». Essi partirono e videro le loro azioni
impure e l’inchinarsi nelle moschee e ritornarono nel loro paese.
E Vladimir disse loro: «Andate ora dai Nemc’y e osservate attentamente e in
seguito andate dai Greci».
Essi andarono dunque presso i Nemc’y, e, dopo aver osservato la loro chiesa
e il loro servizio divino, si recarono a Car’grad, e si presentarono
all’imperatore. L’imperatore chiese loro la ragione del viaggio ed essi gli
raccontarono tutto ciò che era accaduto. Apprendendo ciò, l’imperatore se
ne rallegrò e in quel giorno tributò loro grandi onori. Il giorno dopo, mandò
un messaggero dal patriarca per dirgli: «I Russi sono qui giunti per
conoscere la nostra credenza; prepara dunque la chiesa e il clero e tu stesso
indossa le vesti da vescovo, affinché vedano la gloria del nostro Dio». Allora
il patriarca convocò immediatamente il clero e celebrarono l’ufficio solenne
secondo l’uso e bruciarono incenso [o: accesero le candele] e i cori
intonarono i canti. L’imperatore andò con i Russi in chiesa, e li pose in un
posto centrale. E si mostrarono loro le bellezze della chiesa, i canti e il
servizio dell’archiereo, il ministero dei diaconi, spiegando loro l’ufficio divino.
Pieni di stupore, essi ammirarono e lodarono il loro servizio. Gli imperatori
Basilio e Costantino li chiamarono e dissero: «Tornate nelle vostre terre», e
li congedarono con grandi doni e con onori.
Ritornarono nel loro paese e il principe convocò i bojari e gli anziani e
Vladimir disse: «Ecco che gli uomini inviati sono ritornati, ascoltiamo ciò che
hanno appreso». E a loro disse: «Raccontate davanti alla družina». Essi
dissero: «Visitammo in primo luogo i Bulgari e vedemmo che si recavano
nel loro tempio, cioè nella moschea, senza cintura; quindi dopo gli inchini, si
sedettero, guardando da una parte all’altra come ossessi e non c’è gioia fra
loro, ma solo tristezza e un lezzo insopportabile. La loro legge non è bella. E
andammo presso i Nemc’y e li abbiamo visti celebrare il loro servizio nel
tempio, ma non vedemmo alcuna bellezza. Infine, giunti dai Greci, fummo
condotti nel luogo in cui celebrano il servizio al loro Dio. Non sapevamo se
eravamo in cielo o in terra, perché, in verità, non c’è sulla terra un simile
spettacolo, né tanta bellezza. Non siamo capaci di raccontarlo, ma sappiamo
solamente che là Dio abita in mezzo agli uomini, e che il loro ufficio è
superiore a quello degli altri paesi. Noi non dimenticheremo mai tanta
bellezza, perché ogni uomo che ha gustato il dolce, poi non sopporta
l’amaro. Allo stesso modo, noi non possiamo più vivere qui».
I bojari presero la parola, e dissero: «Se la religione greca fosse stata
cattiva, la nonna tua, Ol’ga, che era la più saggia fra tutti gli uomini, non
l’avrebbe accettata». Rispondendo, Vladimir chiese: «Dove riceveremo il
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libererai». Vladimir, sentendo ciò, disse: «Se ciò si compirà, in verità grande
è il Dio dei cristiani» e si fece battezzare. Il vescovo di Cherson, dopo aver
annunciato la buona novella al popolo, lo battezzò con l’aiuto dei sacerdoti
della principessa. E come impose le mani su di lui questi riacquistò subito la
vista. Vladimir, sorpreso dell’immediata guarigione, rese gloria a Dio
dicendo: «Solo ora conosco il vero Dio!». Veduto ciò, molti della sua družina
si fecero battezzare. Egli fu battezzato nella chiesa di San Basilio, e questa
chiesa si trova ancora a Cherson, nel centro della città, laddove i Chersonesi
tengono il loro mercato. Anche il palazzo di Vladimir esiste tuttora presso la
chiesa, e il palazzo della principessa è dietro all’abside. Dopo il battesimo,
Vladimir sposò la principessa.
Alcune persone male informate dicono che egli fu battezzato a Kiev, altri a
Vasil’ev, altri ancora dicono altrove.
Quando dunque Vladimir fu battezzato a Cherson, i sacerdoti gli esposero la
fede cristiana, parlando così: «Non ti lasciar sedurre dagli eretici, ma credi
nel dire: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della
terra” e fino alla fine di questo Credo. E di seguito: “Credo in un solo Dio
Padre non generato e nel Figlio unigenito, che è stato generato, e nello
Spirito Santo, che procede: tre entità compiute, pensanti, distinte per
numero ed essenza, ma non per divinità, perché essa si separa senza
dividersi e si unisce senza confondersi. Il Dio Padre non generato è sempre,
nella sua paternità senza inizio, principio e causa di ogni cosa, più anziano
del Figlio e dello Spirito perché egli non è stato generato. Da lui fu generato
il Figlio prima di tutti i secoli. Da lui procede lo Spirito Santo senza tempo e
senza corpo. Esso è nell’insieme Padre, Figlio e Spirito. Il Figlio è
consustanziale, senza principio come il Padre, e si distingue dal Padre e
dallo Spirito Santo soltanto perché è stato generato. Lo Spirito è lo Spirito
Altissimo, simile e consustanziale al Padre e al Figlio, ed esiste sempre. Il
Padre ha la paternità, il Figlio ha la figliolanza, lo Spirito la processione,
perché né il Padre trapassa nel Figlio o nello Spirito, né il Figlio nel Padre o
nello Spirito, né lo Spirito nel Padre o nel Figlio, le loro proprietà sono
immutabili. Non ci sono tre divinità, ma un solo Dio perché Dio è uno in tre
persone. Il Figlio uscì, per volontà del Padre e dello Spirito, per la salvezza
della creatura, dal seno del Padre senza tuttavia lasciarlo, per scendere,
come seme divino, nel purissimo grembo di una vergine; egli ricevette in
seguito un corpo animato di vita, dotato di parola e di ragione, e diventò il
Dio incarnato, nato meravigliosamente senza che l’integra verginità di sua
madre ne soffrisse. Egli non subì né turbamenti, né alterazioni, né
trasformazioni, ma restò ciò che era, diventando ciò che non era,
assumendo l’aspetto reale e non apparente di un servo, simile a noi in tutto,
eccetto per il peccato, poiché per sua volontà nacque, per sua volontà soffrì
la fame, per sua volontà ebbe sete, per sua volontà soffrì, per sua volontà
ebbe timore, per sua volontà morì realmente e non apparentemente. Tutte
le sue sofferenze furono reali, senza finzione alcuna. Si lasciò crocifiggere,
patì la morte sebbene innocente, resuscitato nella propria carne, salì nei
cieli senza che la sua carne conoscesse corruzione, si assise alla destra del
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Padre, e nuovamente verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti: come
egli salì nel suo proprio corpo, così tornerà. Per questo, riconosci un solo
battesimo con l’acqua e con lo Spirito Santo, accostati ai santi misteri
[sacramenti], credi nel vero corpo ed nel vero sangue, accetta le tradizioni
della Chiesa e onora le sante immagini. Adora il venerabile legno della Croce
e tutte le croci e le sante reliquie e i sacri calici. Rispetta anche i sette
concili dei santi padri, il primo dei quali ebbe luogo a Nicea, era composto
da trecentodiciotto padri che maledissero Ario e proclamarono la fede pura e
giusta. Il secondo si tenne a Car’grad, era composto da centocinquanta
padri che maledissero la Macedonia, che negava la divinità dello Spirito
Santo, e proclamarono la consustanzialità della Trinità. Il terzo ebbe luogo a
Efeso, era composto da duecento padri che dettero l’anatema a Nestorio e
proclamarono la santità della Deipara. Il quarto concilio ebbe luogo a
Calcedonia, era composto da seicentotrenta padri che maledissero Eutiche e
Dioscuro e proclamarono vero Dio e vero uomo Nostro Signore Gesù Cristo.
Il quinto concilio fu a Car’grad, era composto da centosessantacinque padri
che dettero l’anatema a Origene ed Evagrio. Il sesto concilio ebbe luogo a
Car’grad, era composto da centosettanta padri che maledissero Sergio e
Ciro. Il settimo concilio si tenne a Nicea, dove trecentocinquanta Padri
maledissero coloro che non onorano le icone.
«Non ricevere l’insegnamento dei Latini, la loro fede è corrotta, perché essi
entrano in chiesa e non si prosternano davanti alle immagini, ma restano in
piedi o si inchinano e, chini, tracciano una croce per terra e la baciano, ma
poi, alzatisi diritti, la calpestano con i piedi. Ma gli Apostoli non hanno
insegnato questa tradizione; gli Apostoli hanno insegnato a baciare la croce,
verticale, e onorare le immagini, perché Luca, l’evangelista, dipinse la prima
icona e la inviò a Roma, e, come disse Basilio, l’immagine risale al prototipo
originale. Inoltre, essi chiamano la terra “madre”, ma, se la terra è la loro
madre, allora il cielo è loro padre, poiché in principio Dio creò il cielo e la
terra. Perché dicono “Padre nostro che sei nei cieli”? Se dunque nella loro
convinzione la terra è la madre, perché sputano sulla loro madre? Prima la
baciano, poi la profanano. All’inizio, i Romani non facevano così, ma
presenziavano a tutti i concili dove si riunivano, giungendo da Roma e da
tutte le sedi vescovili. Così al primo concilio, quello contro Ario in Nicea,
papa Silvestro inviò da Roma vescovi e sacerdoti, Atanasio ne inviò da
Alessandria, Mitrofane da Car’grad e così corressero la fede. Al secondo
concilio, [presenziarono] Damaso da Roma, Timoteo da Alessandria, Melezio
da Antiochia, Cirillo da Gerusalemme e Gregorio il Teologo [da Car’grad]. Al
terzo concilio vennero Celestino da Roma, Cirillo da Alessandria, Giovenale
da Gerusalemme; al quarto Leone da Roma, Anatolio da Car’grad, Giovenale
da Gerusalemme; al quinto Vigilio da Roma, Eutiche da Car’grad, Apollinare
da Alessandria, Domnino da Antiochia. Al sesto concilio vennero Agatone da
Roma, Giorgio da Car’grad, Teofane da Antiochia, Pietro monaco da
Alessandria; al settimo concilio Adriano da Roma, Tarazio da Car’grad,
Poliziano da Alessandria, Teodoro da Antiochia, Elia da Gerusalemme. Tutti
questi prelati si riunirono con i loro vescovi e riaffermarono la fede. Dopo il
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angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» e qui, non uno, non due
si salvarono, ma una moltitudine innumerevole è ritornata al Signore,
illuminata dal santo battesimo. Come disse il profeta: «Vi aspergerò con
acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e
da tutti i vostri idoli » [Ez 36,25]. Un altro profeta disse: «Qual dio è come
te, che toglie l’iniquità e perdona il peccato [...] ma si compiace d’usar
misericordia? Egli tornerà ad aver pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu
getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati» [Mic 7,18-19]. San Paolo
disse: «Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati
battezzati nella sua morte [...] perché come Cristo fu risuscitato dai morti
per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una
vita nuova» [Rm 6,3-4]. E altrove: «Le cose vecchie sono passate, ecco ne
sono nate di nuove» [1 Cor 5,17]. «La nostra salvezza è più vicina ora [...]
La notte è avanzata, il giorno è vicino» [Rm 13,11-12]. Grazie alla fede del
nostro principe Vladimir, «abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di
accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo» [Rm 5,2].
«Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto
che vi porta alla santificazione» [Rm 6,22]. Per questo siamo obbligati a
servire il Signore, gioendo in lui. Disse Davide: «Servite Dio con timore e
con tremore esultate» [Sal 2,11]. Intoniamo inni al Signore nostro Dio,
dicendo «Sia benedetto il Signore, che non ci ha lasciati, in preda ai loro
denti [...] il laccio si è spezzato e noi siamo scampati» [Sal 124 (123),6-7]
dagli inganni del diavolo. «E si dissolse il ricordo di lui con frastuono. Il
Signore però vivrà in eterno» [cfr. Sal 9] presso i figli della Rus’ che
celebrano la Trinità, mentre i demoni saranno maledetti dagli uomini fedeli e
dalle donne pie, che hanno ricevuto il battesimo e la penitenza per la
remissione dei peccati: genti cristiane nuove, prescelte da Dio.
Vladimir fu illuminato [battezzato], lui, i suoi figli e anche il popolo russo.
Egli aveva dodici figli Vyšeslav, Izjaslav, Svjatopolk, Jaroslav, Vsevolod,
Svjatoslav, Mstislav, Boris, Gleb, Stanislav, Pozvizd, Sudislav. Egli stabilì
Vyšeslav a Novgorod, Izjaslav a Polock, Svjatopolk a Turov e Jaroslav a
Rostov. Quando il maggiore Vyšeslav morì, stabilì Jaroslav a Novgorod, Boris
a Rostov, Gleb a Murom; Svjatoslav presso i Drevljani; Vsevolod a Vladimir;
Mstislav a Tmutorokan’, e quindi disse: «Non è bene che ci siano così poche
città attorno a Kiev» e fondò delle città lungo la Desna e l’Oster, lungo il
Trubež e la Sula e la Stugna. E si mise a radunare uomini valorosi tra gli
Slavi, i Kriviči, i Čudi, i Vjatiči e con loro popolò queste città.
Egli ebbe la guerra con i Peceneghi, e combatté contro di loro e li vinse.
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contro Jaroslav, questi mandò a chiamare al di là del mare dei Varjaghi per
timore di suo padre. Ma Dio non dette al diavolo questa gioia [ossia vedere
il figlio armato contro il padre]. Nel tempo in cui Vladimir era malato, aveva
accanto Boris. Marciando i Peceneghi verso la Rus’, egli inviò Boris contro di
loro, poiché egli era in grave salute e di quella malattia egli morì il giorno 15
del mese di luglio. Spirò a Berestovo, e lo nascosero, perché Svjatopolk era
a Kiev. Di notte si aprì un varco nell’andito, lo avvolsero in un tappeto e lo
calarono con delle funi [il palazzo era evidentemente su palafitte o
comunque sopraelevato] e, deposto sulla slitta, lo trasportarono e lo misero
nella chiesa della Santa Madre di Dio, che egli stesso aveva fatto costruire.
Saputo ciò, una folla innumerevole là si diresse e pianse per lui: i bojari per
il difensore della loro terra, gli indigenti per il protettore e benefattore. Poi
lo deposero in un sepolcro di marmo e tra le lacrime seppellirono la salma
del beato principe.
Nuovo Costantino della grande Roma è egli, che da solo si convertì e
battezzò la sua gente, così che questi [Vladimir] fece similmente a quegli
[Costantino]. In precedenza, quand’era pagano, si era abbandonato alle
cattive passioni; più tardi se ne pentì, come disse l’apostolo: «Laddove è
abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia » [Rm 5,20].
Egli si distinse per il pentimento e le elemosine perché è scritto: «Io ti
giudicherò nello stato in cui ti troverò» [cfr. Ez 7 e 24]. E il profeta disse:
«Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore Dio – io non godo della morte
dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» [Ez 33,11].
Perché molti uomini giusti vivono secondo la legge di Dio e lasciano la retta
via al momento della morte e periscono; e altri vivono in modo empio ma
pentitisi al momento della trapasso si purificano, come disse il profeta: «La
giustizia del giusto non lo salva se pecca [...] Se io dico al giusto: Vivrai, ed
egli, confidando sulla sua giustizia commette l’iniquità, nessuna delle sue
azioni buone sarà più ricordata e morirà nella malvagità che egli ha
commesso. Se dico all’empio: Morirai, ed egli desiste dalla sua iniquità e
compie ciò che è retto e giusto, rende il pegno, restituisce ciò che ha
rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e
non morirà; nessuno dei peccati che ha commessi sarà più ricordato: egli ha
praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà. [...] Giudicherò
ciascuno di voi secondo il suo modo di agire, Israeliti» [Ez 33,12-20]. Ora,
quest’uomo morì nella retta fede; cancellò i suoi peccati con la contrizione e
con la carità che vale più di ogni altra cosa, poiché è scritto: «Sono state
esaudite le tue preghiere e ricordate le tue elemosine davanti a Dio» [At
10,31].
È cosa meravigliosa quanto bene fece alla terra di Rus’ battezzandola. Ma
noi, sebbene diventati Cristiani, non gli rendiamo un onore degno del suo
operato. Se egli non ci avesse battezzati, ancora oggi saremmo avviluppati
nelle insidie dal diavolo, nella quali perirono i nostri antenati. Se avessimo
avuto maggior rispetto per lui e avessimo pregato Dio per lui nel momento
del suo trapasso, certamente Dio, vedendo il nostro zelo, lo avrebbe
glorificato. Noi dobbiamo dunque pregare Dio per lui; poiché è per mezzo
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l’immagine del Salvatore e disse «Signore Gesù Cristo, che con queste
sembianze ti sei mostrato sulla terra, e per tua volontà hai lasciato
inchiodare le tue mani sulla croce, e hai accolto la tua passione per i nostri
peccati, concedi anche a me di subire la mia. Non la ricevo da nemici, bensì
da mio fratello, ma “Signore, non imputar loro questo peccato”» [At 7,60].
E dopo aver pregato ancora un poco, si gettò sul suo giaciglio. Ed ecco che
gli assassini si precipitarono, come bestie feroci, intorno alla sua tenda e
con le loro lance trafissero Boris, e il suo servo, gettatosi su di lui per
proteggerlo, insieme a lui trafissero. Boris lo amava molto. Era questi un
giovane di origine magiara, il preferito di Boris; si chiamava Georgij e Boris
grandemente lo amava. Gli aveva donato un magnifico collare d’oro che egli
indossava al suo cospetto. Uccisero un gran numero dei servitori di Boris; a
questo Georgij, non riuscendo a togliergli in fretta il collare, gli tagliarono la
testa e presero il collare e gettarono via la testa, cosicché, più tardi, non
trovarono il suo corpo fra i cadaveri. Assassinato Boris, gli scellerati lo
avvolsero nella tenda, e lo deposero sul carro e lo portarono via che ancora
respirava. Quando l’empio Svjatopolk seppe che respirava ancora, mandò i
Varjaghi a finirlo. Vennero quei due e vedendolo che era ancora in vita, uno
dei due sguainò la spada e gli trafisse il cuore. Così morì il beato Boris,
accogliendo la corona di Gesù Cristo insieme ai giusti, annoverati tra i
profeti e gli apostoli, mescolandosi alle schiere dei martiri, riposando nel
grembo di Abramo, contemplando la gioia ineffabile, cantando con gli angeli
e giubilando con le schiere dei santi.
E trasportarono segretamente il suo corpo a Vyšgorod e lo seppellirono nella
chiesa di San Basilio. Quegli empi sicari vennero a Svjatopolk, come per
reclamare gloria, i miserabili. I nomi di tali iniqui sono Put’ša e Talec’, Elovit
e Ljaško. Loro padre è Satana. Sono stati servi dei demoni; i demoni,
infatti, sono inviati per fare il male, e gli angeli per il bene, poiché l’angelo
non fa alcun male all’uomo, bensì pensa sempre al suo bene, ancor più
soccorre i Cristiani e li protegge dal diavolo, loro nemico, mentre i demoni
non incitano che al male perché invidiosi dell’uomo che vedono stimato da
Dio e rosi dal livore sono solleciti a invitare al male. Infatti il Signore
domandò: «Chi ingannerà Acab re di Israele [...] Si fece avanti uno spirito
che [...] disse: Io lo ingannerò». [2 Cr 18,19-20].] L’uomo cattivo che si
consegna al male è peggiore del demonio, perché i demoni temono Dio,
mentre l’uomo malvagio non ha né timore di Dio, né vergogna dinanzi agli
uomini. I demoni temono la croce del Signore, mentre l’uomo malvagio non
ha timore della croce del Signore. E Davide disse: «Rendete veramente
giustizia o potenti, giudicate con rettitudine gli uomini? Voi tramate iniquità
con il cuore, sulla terra le vostre mani preparano violenze. Sono traviati gli
empi fin dal seno materno, si pervertono fin dal grembo gli operatori di
menzogna. Sono velenosi come il serpente» [Sal 58 (57), 1-5].
L’empio Svjatopolk rifletté fra sé e disse: «Ecco, ho ucciso Boris; ora come
ucciderò Gleb?». E concepì un disegno degno di Caino. Inviò con l’inganno
[un messaggero] a Gleb per dirgli: «Vieni, affrettati, presto, nostro padre ti
invoca perché è molto malato». Gleb balzò subito a cavallo, e partì con una
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Così disse Isaia: «Dalla pianta dei piedi alla testa essi hanno peccato» [cfr.
Is 1,6], cioè dal principe fino al basso volgo. Guai dunque alla città il cui
principe è giovane, amante del vino al suono delle gusli [strumento
musicale a corde] in compagnia di giovani consiglieri, poiché Dio manda
costoro per i peccati del popolo, mentre sottrae gli anziani e i saggi, come
disse Isaia: «Il Signore, Dio degli eserciti, toglie a Gerusalemme [...] ogni
genere di sostegno [...] il prode e il guerriero, il giudice e il profeta,
l’indovino e l’anziano, il capo di una cinquantina e il notabile, il consigliere e
il mago sapiente e l’esperto di incantesimi. Io metterò come loro capi
ragazzi, monelli li domineranno » [Is 3,1-4].
L’empio Svjatopolk iniziò a regnare a Kiev, e convocò il popolo e si mise a
distribuire ad alcuni un mantello, ad altri denari e dispensò grandi ricchezze.
Jaroslav ignorava ancora la morte del padre e aveva presso di sé molti
Varjaghi, i quali facevano violenza ai Novgorodiani e alle loro mogli, e
insorsero i Novgorodiani e fecero strage dei Varjaghi nel palazzo di
Poromon. S’infuriò Jaroslav e, andato a Rakomo, si chiuse nel palazzo, e
mandò [ambasciatori] ai Novgorodiani per dire: «Non mi è possibile
risuscitarli». E chiamò a sé gli uomini migliori che avevano ucciso i Varjaghi,
e li uccise con l’inganno. Quella stessa notte ricevette dalla sorella Predslava
un messaggio da Kiev: «Tuo padre è morto, Svjatopolk si è insediato a Kiev
dopo aver ucciso Boris e mandato per [uccidere] Gleb, guardati da lui».
All’udir ciò, Jaroslav pianse per il padre, il fratello e la družina. L’indomani
presto Jaroslav riunì quanti rimanevano dei Novgorodiani dicendo: «O mia
cara družina, che ieri ho messo a morte ed oggi invece mi sarebbe molto
utile». Egli si asciugò le lacrime e disse loro nel veče: «Mio padre è morto e
Svjatopolk regna a Kiev e massacra i suoi fratelli». I Novgorodiani
risposero: «Sebbene i nostri fratelli siano stati uccisi, noi possiamo ora
combattere con te». E Jaroslav adunò mille Varjaghi e quarantamila altri
soldati e marciò contro Svjatopolk, e invocando Dio disse: «Non io cominciai
a uccidere i miei fratelli, bensì lui, che Dio sia il vendicatore del sangue dei
miei fratelli, poiché egli versò il sangue innocente dei giusti Boris e Gleb.
Farà forse anche con me lo stesso? Ma giudicami, o Signore, secondo
giustizia, affinché la malvagità del peccatore abbia fine». E mosse contro
Svjatopolk. Quando Svjatopolk ebbe appreso della marcia di Jaroslav, riunì
un esercito innumerevole di Russi e Peceneghi e uscì contro di lui presso
Ljubeč’, su questa riva del Dnepr, mentre Jaroslav era sull’altra.
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cominciando a gelare. Svjatopolk era accampato fra due laghi, e passò tutta
la notte a bere con la sua družina. Jaroslav schierò la sua družina e traversò
il fiume prima del levar del sole. Sbarcati sulla riva, allontanarono le barche
dalla riva e mossero subito all’attacco gli uni contro gli altri. E fu un terribile
massacro e il lago impedì il soccorso dei Peceneghi; Sviatopolk e la sua
družina furono schiacciati contro il lago e camminarono sul ghiaccio, ma il
ghiaccio si ruppe per il sovrappeso e Jaroslav prese il sopravvento. Vedendo
ciò Svjatopolk fuggì e Jaroslav vinse. Sviatopolk si rifugiò dai Ljachi e
Jaroslav si insediò a Kiev sul trono del padre e degli avi. Jaroslav aveva
allora ventotto anni.
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si fermò nel luogo dove Boris era stato ucciso e, levate le mani al cielo,
disse: «Il sangue di mio fratello grida a te Signore [cfr. Gn 4,10], vendica il
sangue di questo giusto, come hai vendicato il sangue di Abele infliggendo a
Caino gemiti e terrore. Che sia lo stesso per Svjatopolk!». E pregò dicendo:
«Fratelli miei, sebbene con il corpo abbiate abbandonato questo luogo,
aiutatemi con la vostra preghiera e soccorretemi contro questo avversario
assassino e superbo».
Dopo questa preghiera, avanzarono gli uni contro gli altri, e la piana
dell’Al’ta fu ricoperta da una moltitudine dei guerrieri di entrambi gli eserciti.
Era un venerdì e al levar del sole incrociarono le armi ambo i contendenti e
il combattimento fu terribile, e mai si era visto di simile nella Rus’. Si
afferravano con le mani e si squartavano l’un l’altro, e per tre [o: due] volte
si ricominciò la mischia, e il sangue scorreva come ruscelli in montagna. Sul
far della sera, Jaroslav vinse, e Svjatopolk fuggì e mentre fuggiva, il diavolo
s’impossessò di lui, le sue ossa si indebolirono, non si resse più sul cavallo e
dovettero portarlo in barella. E i fuggiaschi andarono a Berest’e. Egli diceva:
«Fuggite con me, ci inseguono!». I suoi famigli mandarono in esplorazione:
«Forse che qualcuno ci insegue?» ma non v’era nessuno che li inseguisse, e
continuarono a fuggire con lui. Egli giaceva malato, ma sollevandosi un po’
esclamava: «Ecco, ci inseguono, ci inseguono, fuggite!», e non voleva
fermarsi in alcun luogo e fuggendo attraversò il paese dei Ljachi,
perseguitato dalla rabbia di Dio. Raggiunse il deserto tra il paese dei Ljachi
e quello dei Cechi e là spirò, malamente.
Poiché egli era ingiusto, il giudizio di Dio fu emesso e dopo uscito da questo
mondo, egli, misero, trovò i tormenti dei dannati, come provò la ferita letale
che gli fu inflitta senza pietà e lo condusse alla morte; e dopo la morte, fu
consegnato ai tormenti eterni, relegato nell’abisso dell’inferno. Il suo tumulo
esiste ancora oggi nel deserto e ne fuoriesce un fetore orribile. Tale fu un
avvertimento di Dio ai principi russi, affinché, se mai tenessero una
condotta simile, si ricordino che riceveranno un castigo simile o anche
maggiore, giacché, pur conoscendo ciò, un così turpe fratricidio
commetterebbero. Caino, l’uccisore di Abele, fu colpito sette volte, mentre
Lamech settanta volte, perché Caino ignorava il castigo di Dio che
l’aspettava, invece Lamech, conoscendo il castigo abbattutosi sul suo avo,
commise lo stesso un omicidio. Lamech disse alle mogli: «Ho ucciso un
uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte
sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette» [Gn 4,23-24], perché, pur
sapendo, aveva ucciso i due figli di Enoch e preso per sé le loro mogli. E
Svjatopolk è un novello Abimelech, che fu generato dall’adulterio e che
uccise i suoi fratelli, figli di Gedeone [Gdc 9], così anche egli si comportò.
Jaroslav giunse a Kiev e vi si insediò dopo essersi ripulito dai suoi sudori con
la sua družina manifestando la vittoria e il grande impegno.
Nell’anno 6528 [1020], un figlio nacque a Jaroslav e gli si dette nome
Vladimir.
Nell’anno 6529 [1021], Brjačislav, figlio di Izjaslav e nipote di Vladimir,
marciò contro Novgorod, occupò questa città e preso un gran numero di
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discorsi dei profeti e gli insegnamenti evangelici e degli apostoli e le vite dei
santi padri, troverà per la sua anima grande utilità.
Jaroslav dunque, come abbiamo detto, amava i libri e dopo averne copiati
molti li lasciò in Santa Sofia, che egli stesso aveva costruito, e la ornò di
icone preziose, d’oro e d’argento, e di vasi sacri, e in essa si cantano nelle
ore prestabilite gli inni del Signore. E fondò altre chiese nelle città e nei
villaggi, assegnando ad esse dei sacerdoti e assicurando a costoro uno
stipendio [prelevato] dalle proprie sostanze. Ordinò loro di istruire la
popolazione e di andare frequentemente in chiesa; poiché spetta ai
sacerdoti istruire il popolo, come è prescritto da Dio. E il numero dei
sacerdoti e dei cristiani aumentava. Jaroslav si rallegrava vedendo molte
chiese e molti cristiani, e il demone si afflisse vedendosi sconfitto dai nuovi
cristiani.
Nell’anno 6546 [1038], Jaroslav marciò contro gli Jatvighi.
Nell’anno 6547 [1039], la chiesa alla Santa Deipara che aveva costruito
Vladimir, padre di Jaroslav, fu consacrata dal metropolita Feopempt.
Nell’anno 6548 [1040], Jaroslav marciò contro la Lituania.
Nell’anno 6549 [1041] Jaroslav mosse con le navi contro i Masoviani.
Nell’anno 6550 [1042], Vladimir, figlio di Jaroslav, marciò contro gli Emi e li
vinse e i cavalli dell’esercito di Vladimir rovinarono in terra. I cavalli
respiravano ancora mentre la pelle si lacerava: c’era la peste fra i cavalli.
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terra dei vostri padri e dei vostri avi, con tante pene da essi conquistata.
Vivete dunque in pace, fratello a fratello obbedendo. Ecco, in vece mia
affido il mio scranno di Kiev a Izjaslav, il maggiore dei miei figli e vostro
fratello. Obbedite a lui come avete obbedito a me, ed egli farà per voi le mie
veci. Černigov la affido a Svjatoslav, Perejaslavl’ a Vsevolod, Vladimir a
Igor’, e Smolensk a Vjačeslav». E così divise fra loro le città, e ordinò loro di
non oltrepassare i confini dei fratelli, di scacciare alcuno, mentre a Izjaslav
disse: «Se qualcuno dovesse oltraggiare suo fratello, allora tu aiuta
l’offeso». È così raccomandava ai suoi figli di vivere in pace. Era già malato
e raggiunta la città di Vyšgorod si aggravò molto. Izjaslav era allora a .....
[nome mancante, alcuni manoscritti indicano Novgorod], e Svjatoslav a
Vladimir, Vsevolod era presso il padre, poiché suo padre l’amava più di tutti
i suoi fratelli e l’aveva sempre presso di sé. Jaroslav terminò la sua vita e
rese la sua anima nel mese di febbraio, il primo sabato di Quaresima, giorno
di Santa Feodora [o: San Feodosij]. Vsevolod prese il corpo di suo padre, lo
pose su una slitta e i sacerdoti lo trasportarono a Kiev, intonando i canti
rituali. E il popolo tutto lo pianse. Lo si chiuse in un sepolcro di marmo, nella
chiesa di Santa Sofia. Vsevolod e tutto il popolo lo piansero. Visse
complessivamente settantasei anni.
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questi pagani, nemici empi; il loro principe si chiamava Sokal [o: Iskal].
Anno 6570 [1062].
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una coda di pesce crebbe; mentre un cane nacque con sei zampe; In Africa
nacquero due bambini: uno con quattro gambe, l’altro con due teste. Dopo,
sotto Costantino l’Iconoclasta, figlio di Leone, vi fu un fluire di stelle dal
cielo che precipitavano in terra; quanti le videro pensavano alla fine del
mondo. Allora si scatenarono forti correnti d’aria. In Siria vi fu una forte
scossa, e dalla terra, spalancatasi per tre poprišča [circa 2100 metri]
miracolosamente fuoriuscì un mulo, che parlava con voce umana e
annunciava l’invasione dei pagani, cosa che accadde» [dalla Cronaca di
Giorgio Amartolo], perché i Saraceni invasero la Palestina. I segni del cielo o
delle stelle o del sole o degli uccelli o altra cosa, nulla di buono
presagiscono; questi segni invece sciagure appalesano: lo scoppio di una
guerra, oppure una carestia, oppure preannunciano la morte.
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Quando Izjaslav arrivò in città, la popolazione gli uscì incontro per riverirlo e
i Kieviani accolsero il loro principe. Izjaslav si assise sul suo trono il secondo
giorno del mese di maggio. E lasciò andare i Ljachi nei loro accampamenti,
e segretamente li si uccideva; e Boleslav ritornò con i Ljachi nella sua terra.
Izjaslav spostò il mercato sulla collina, scacciò Vseslav da Polock e stabilì
suo figlio Mstislav a Polock, ma morto poco dopo mise al suo posto il di lui
fratello Svjatopolk, per essere fuggiasco Vseslav.
Nell’anno 6578 [1070] un figlio nacque a Vsevolod e lo chiamarono
Rostislav. Questo anno fu fondata la chiesa di San Michail nel monastero di
Vsevolod a Vydobič.
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degli altri.
Un mago si mostrò anche al tempo di Gleb nella città di Novgorod; parlando
con le persone si spacciava per Dio e tanti ingannò e per poco la città intera.
Diceva: «Tutto prevedo» e ingiuriando la fede cristiana diceva:
«Attraverserò il Volchov alla presenza di tutti». E vi fu una sommossa in
città e tutti gli credettero e volevano uccidere il vescovo. Il vescovo, prese
la croce e indossati i paramenti, si erse dicendo: «Coloro che credono al
mago vadano pure vicino a lui. Coloro che hanno la fede vengano vicino alla
croce». E si divisero in due gruppi. Il principe Gleb con la sua družina
rimase presso il vescovo, intanto che tutto il popolo seguì il mago. E ci
furono grandi disordini fra loro. Gleb, nascondendo una scure sotto il
mantello, si avvicinò al mago e gli disse: «Sai che cosa avverrà domani
oppure prima di questa sera?». Egli rispose: «Io prevedo tutto». E Gleb
disse «Prevedi dunque quello che ti accadrà oggi?». Egli disse: «Farò grandi
miracoli». Gleb trasse fuori la sua scure e lo dimezzò, e cadde stecchito, e la
gente si sparpagliò. Perì egli col corpo, consegnandosi con l’anima al
demonio.
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fratelli Nikolaj e Ignat, nominate pure colui che volete; di fra gli altri, uno
anziano o giovane che sia, scegliete secondo volontà». Essi gli ubbidirono e
si allontanarono verso la chiesa e, dopo essersi consultati, inviarono due
fratelli per dire così: «Sia colui che vogliano Dio e la sua onorata preghiera,
nomina pure il preferito da te». Feodosij disse loro: «Se volete che io
designi il vostro igumeno, allora farò questo per voi, non di mia volontà,
bensì per desiderio di Dio». E nominò per loro il presbitero Jakov. Ciò non fu
gradito ai fratelli che dicevano: «Non ha ricevuto qui la tonsura». Infatti
Jakov era venuto da Al’ta insieme al fratello suo, Paolo. E i fratelli si misero
a chiedere Stefan, discepolo di Feodosij che all’epoca era il domestico
[cantore], dicendo: «Questi è cresciuto sotto la tua guida, e presso di te ha
servito, dacci costui». Feodosij disse loro: «Ecco, io ho designato Jakov
secondo l’ordine divino, voi invece insistete secondo il volere vostro». E
cedendo all’insistenza assegnò loro Stefan, perché diventasse il loro
igumeno. E benedisse Stefan e gli disse: «Figlio, ecco, ti affido il monastero,
custodiscilo con cura e attieniti a quanto ho stabilito nei servizi: non mutare
le tradizioni monastiche e la regola, ma ogni cosa esegui secondo la legge e
l’ordinamento monastico». Quindi i fratelli lo prelevarono e, trasportatolo in
cella, lo adagiarono sul letto. Al sesto giorno, poiché egli era molto grave,
venne a lui Svjatoslav, con suo figlio Gleb. E mentre erano presso di lui,
Feodosij gli disse: «Ecco, lascio questo mondo, e quindi ti affido la custodia
del monastero, nel caso accadesse in esso qualche turbolenza. A te
raccomando anche l’igumeno Stefan: non permettere che lo si offenda». Il
principe lo baciò e, promessogli che avrebbe avuto cura del monastero, si
accomiatò da lui. Giunto il settimo giorno, Feodosij, oramai stremato,
convocò Stefan e i fratelli e prese a dire loro così: «Alla mia dipartita da
questo mondo, se avrò compiaciuto Dio e se Dio mi vorrà accogliere, allora,
dopo il mio trapasso, il monastero comincerà ad ingrandirsi e a popolarsi di
più: sappiate allora che Dio mi ha accolto. Se invece, dopo la mia morte, il
monastero comincerà a impoverirsi di monaci e a scarseggiare di provviste
conventuali, sappiate allora che non ho soddisfatto Dio». Quando egli ebbe
proferito ciò, i fratelli piansero a dirotto: «O padre, prega Dio per noi,
perché sappiamo, invero, che Dio non disdegnerà le tue fatiche». E tutta la
notte si trattennero accanto a lui. E allorché giunse l’ottavo giorno, che era
il secondo sabato dopo la Pasqua, alla seconda ora del giorno, rese l’anima
nelle mani di Dio, il terzo giorno del mese di maggio. E piansero per lui i
fratelli. Feodosij aveva ordinato di essere deposto nella grotta, dove a tante
gesta aveva atteso. «Seppellite il mio corpo di notte», aveva detto. Così
fecero. Giunta la sera, i fratelli presero il suo corpo, e lo deposero
onorevolmente nella grotta, accompagnandolo con canti e ceri, lodando
nostro Signore Gesù Cristo.
E Stefan governava il monastero e i monaci del beato gregge adunato da
Feodosij. Tali monaci risplendevano nella Rus’ come torce, alcuni erano
formidabili nel digiunare, altri nella veglia, altri nell’adorazione in ginocchio,
altri nell’astinenza a giorni alterni o ogni due giorni, altri nel consumare
soltanto pane e acqua, altri solo verdure crude o cucinate; i più giovani
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permaneva questi saldo nel canto fino al termine del Mattutino e solo allora
si ritirava nella cella. Veduto ciò, il vegliardo lo raccontò ai suoi confratelli.
Sempre quel vegliardo vide anche questo. Di solito egli, dopo il Mattutino, si
tratteneva in chiesa intanto che tutti i fratelli, terminato il canto prima
dell’alba, raggiungevano le loro celle; egli abbandonava per ultimo la chiesa.
Una volta, mentre andava s’assise sotto il battaglio per tirare il fiato, ché la
sua cella era distante dalla chiesa, ed ecco scorse una gran turba muovere
provenendo dalla porta. Alzò gli occhi e vide uno che stava a cavalcioni di
un maiale, mentre gli altri correvano intorno. E chiese loro il vegliardo:
«Dove andate?». Rispose il demonio che cavalcava il porco: «A prelevare
Michal Tol’bekovič». L’anziano si segnò col segno della croce e rientrò nella
sua cella. Fattosi giorno e compreso il vecchio di cosa si trattava, disse al
cellario: «Vai a controllare se Michal è in cella». Gli risposero: «Poc’anzi,
dopo il Mattutino, ha saltato il muro». E l’anziano raccontò quella visione
all’igumeno e ai confratelli. Al tempo di questo vegliardo morì Feodosij e
divenne igumeno Stefan, e dopo Stefan Nikon ed egli era ancora in vita.
Una volta, mentre assisteva al Mattutino, nel desiderio di vedere l’igumeno
Nikon, sollevò gli occhi e scorse un asino che stava al posto dell’igumeno.
Comprese che l’igumeno ancora non si era alzato. Alla medesima maniera
molte altre visioni ebbe questo vegliardo e si spense nello stesso monastero
in ragguardevole vecchiezza.
C’era anche un altro monaco, di nome Isakij. Era stato ricco quando
apparteneva ancora al mondo secolare: nativo della città di Toropec, aveva
fatto il mercante. Poi pensò di farsi monaco e dopo aver distribuito i suoi
averi fra i bisognosi e i monasteri, si recò dal grande Antonij nella grotta con
la preghiera di dargli la tonsura monastica. L’accolse Antonij e lo rivestì della
tonaca monastica, conferendogli il nome di Isakij, in luogo di Čern, il suo
nome secolare. Questo Isakij intraprese una vita di rigori e indossò il cilicio.
Chiese che gli comperassero un caprone e scuoiatolo indossò la pelle sopra
il cilicio; la pelle umida si essiccò su di lui. E si rinchiuse nella grotta, in una
dei corridoi, una piccola celletta di quattro braccia, e là, senza sosta,
pregava Dio tra le lacrime. Il suo cibo era il solo pane eucaristico e anche
questo a giorni alterni; persino l’acqua beveva con moderazione. Glieli
portava il grande Antonij che glieli passava dalla finestrella attraverso la
quale a stento s’infilava la mano; in questo modo riceveva il cibo. Così
trascorse sette anni senza uscire mai alla luce, né sulle costole giacere, ma
seduto si assopiva un po’. E, come d’abitudine, calata la sera si metteva in
ginocchio a cantare i salmi fino alla mezzanotte e se si affaticava si sedeva
sul suo sedile. Una volta, mentre, come uso, rimaneva seduto dopo aver
spento la candela, all’improvviso una luce che accecava la vista come fosse
il sole, risplendette nella grotta. E vennero a lui due giovani bellissimi dai
volti fulgenti come il sole e gli dissero: «Isakij, noi siamo due angeli;
guarda, Cristo viene con gli angeli». E alzatosi Isakij vide una folla e i loro
volti simili al sole e fra di loro uno, il cui volto risplendeva sopra tutti gli
altri. E gli dissero: «Isakij, ecco a te Cristo; cadi, prosternati a lui!». Egli
non comprese l’opera demoniaca, né pensò a segnarsi con il segno della
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vincerò bensì vivendo nel monastero». E indossò il cilicio e sul cilicio una
tonaca ruvida e assunse un comportamento da folle. E prese ad aiutare i
cuochi cucinando per i confratelli. E al Mattutino presentandosi prima di tutti
rimaneva solo ed immobile. Al sopraggiungere dell’inverno e dei terribili
rigori calzava scarpe dalle suole logore, talché i piedi suoi si congelavano
sulla pietra, ma egli non muoveva le gambe fino alla fine dei canti mattutini.
E dopo il Mattutino si recava in cucina per preparare il fuoco, l’acqua e la
legna prima che giungessero gli altri cuochi. Uno dei cuochi, che portava
quel medesimo nome Isakij, disse scherzando a Isakij: «Là fuori c’è un
corvo nero, vai e prendilo». Egli si inchinò dinanzi a lui fino a terra, prese il
corvo e lo portò davanti a tutti i cuochi. Ed essi orripilarono e raccontarono
all’igumeno e ai confratelli; e da allora i confratelli lo rispettarono. Egli,
disdegnando la gloria umana, si diede alle follie, provocando dei danni ora
all’igumeno, ora ai confratelli, ora ai secolari, tanto che alcuni lo
castigarono. E prese ad uscire per il mondo, anche colà commettendo
stravaganze. E si insediò nella grotta dov’era vissuto prima; Antonij era già
morto ed egli radunò intorno a sé dei giovani e li rivestì di abiti monacali,
per la qual cosa subì i castighi corporali dell’igumeno Nikon, come dei
genitori di questi ragazzi. Egli tutto sopportava, accettando le bastonate e la
nudità e il freddo giorno e notte. Una notte egli attizzò la stufa della piccola
izba presso la grotta. Infiammata, attraverso le sue crepe, perché era
piuttosto vecchia la stufa, presero a fuoriuscire delle lingue di fuoco. Egli
nulla aveva con cui otturare le fessure e, salito sopra con i piedi scalzi stette
sulle fiamme fino a che il fuoco non si spense. E molte cose raccontavano di
lui, mentre di altre fui anche testimone. E così colse la vittoria sui demoni,
ché in nulla li temeva e al par delle mosche considerava le sue visioni.
Diceva loro: «Voi mi avete sedotto una prima volta nella grotta perché
ignoravo le vostre insidie e le vostre perfidie, ma ora sono fiducioso: in
nome del Signore Gesù Cristo e del mio Dio, e con la preghiera del padre
mio Feodosij, avrò la vittoria». Molte volte i demoni gli arrecavano danni e
dicevano: «Sei nostro, ti sei inchinato al nostro capo e a noi» ed egli
ribatteva: «Il vostro capo è l’anticristo, mentre voi siete dei demoni» e
segnava sul suo volto il segno della croce e così essi scomparivano. Una
volta di nuovo vennero a lui di notte, spaventandolo con una visione, perché
erano in molti, armati di zappe e picconi, e dicevano: «Facciamo crollare
questa grotta e seppelliamolo qui»; altri dicevano: «Fuggi, Isakij, ti vogliono
seppellire». Egli rispondeva loro: «Se foste stati degli uomini, sareste venuti
di giorno, mentre voi siete tenebra, nella tenebra vivete e la tenebra vi
porterà via». E li segnò con la croce ed essi scomparvero. Altre volte lo
spaventavano in sembianze di orso, oppure di fiera feroce o di bove, oppure
di serpenti che strisciavano verso di lui, o di rospi, o di topi o di ogni sorta di
animali. E non riuscirono a fargli nulla e gli dissero: «Isakij, tu ci hai vinti».
Egli rispose: «La prima volta mi avete vinto, poiché celati sotto le
sembianze di Gesù Cristo e sotto quelle degli angeli, spoglie delle quali siete
indegni; ma ecco ora apparite in sembianze di fiere e di animali, di serpenti
e di rettili, come in realtà voi siete, cattivi e ripugnanti alla vista». E
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ché di ciò il giorno prima gli era stata data notizia; dispiaciuto che lo si
stesse compiendo senza di lui, saltò in groppa al cavallo e partì
precipitosamente, prendendo con sé Kliment, che lasciò igumeno dopo di
sé. E mentre erano per via, scorsero un fulgore grande. Approssimandosi,
individuarono molte candele sopra la grotta: avvicinati alla grotta non
videro più nulla e penetrarono nel fondo della grotta, dove noi si stava
accanto ai suoi resti. Terminato lo scavo, avevo mandato a dire all’igumeno:
«Vieni, così lo preleviamo». L’igumeno giunse con due confratelli. Io allargai
lo scavo; entrammo e scorgemmo i suoi resti che giacevano; le giunture,
però, non s’erano staccate e i capelli erano attaccati alla testa. E depostolo
su un mantello, lo si trasportò fuori della grotta. L’indomani confluirono i
vescovi: Efrem di Perejaslavl’, Stefan di Vladimir, Ioann di Černigov, Marin di
Jur’ev e gli igumeni di tutti i monasteri. Vennero anche degli uomini pii e
furono sollevati i resti di Feodosij fra profumo d’incenso e ceri ardenti. E lo
trasportarono nell’atrio della sua chiesa, nel lato destro lo tumularono, il
giorno quattordici del mese di agosto, di giovedì, all’una antimeridiana,
indizione quattordicesima, anno... e quel giorno fu celebrato con solennità.
Ecco, ora racconterò come si avverò una profezia di Feodosij. Mentre
Feodosij era in vita e da igumeno governava il gregge affidatogli da Dio, non
solo dei monaci, ma anche dei secolari si prendeva cura, delle loro anime, di
come potevano salvarsi; si preoccupava di loro, più che dei suoi figli
spirituali, consolando e istruendo chi veniva a lui. Altre volte si recava anche
nelle loro case per impartire loro la benedizione. Una volta, giunto alla casa
di Jan, presso Jan e la sua compagna Maria – Feodosij aveva un debole per
loro, giacché vivevano nei precetti del Signore e in amore fra di loro
convivevano –, recatosi da loro li istruiva sulla carità verso i poveri e sul
regno dei cieli, su dove viene accolto il giusto, sulla sofferenza per il
peccatore e sull’ora del trapasso. Ed ecco che, mentre parlava loro della
deposizione dei corpi nella tomba, la moglie di Jan gli disse: «Chi lo sa dove
mai mi seppelliranno». Feodosij le rispose: «In verità, laddove io giacerò,
anche tu sarai seppellita». Così infatti accadde. Essendo trapassato prima
l’igumeno, ciò avvenne diciotto anni più tardi: in quell’anno [ovvero diciotto
anni dopo la morte di Feodosij] morì la moglie di Jan, di nome Maria, il
giorno sedici del mese di agosto; e venuti i monaci intonarono i canti d’uso
e trasportatala, la posero nella chiesa della Santa Deipara, sul lato sinistro,
di fronte alla tomba di Feodosij. Feodosij fu seppellito il giorno quattordici,
lei invece il sedici. Così si compì quanto predetto dal beato padre nostro
Feodosij, dal buon pastore che pascolava le pecore loquaci con fedeltà,
mitezza e dedizione, custodendole e vegliando su di esse, pregando per il
gregge affidatogli e per le genti cristiani e per la terra di Rus’. E anche dopo
la sua dipartita da questa vita prega per gli uomini di fede e per i tuoi
discepoli, i quali guardando il tuo sepolcro rimembrino l’insegnamento tuo e
la tua temperanza e rendono gloria a Dio. Io peccatore, servo tuo e
discepolo, non saprei come lodare la tua esistenza esemplare e la tua
astinenza. Tuttavia, dirò qualche cosa: «Esulta, padre nostro e precettore,
ché, rinnegato il rumore del secolo, hai prediletto la quiete. Dio hai servito
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in silenzio; nella vita monastica di ogni dono divino ti sei reso portatore,
elevandoti col digiuno, sprezzando le passioni della carne e i godimenti, e la
bellezza del mondo e rinnegando i desideri del secolo, seguendo le orme dei
padri sapienti, divenendo emulo loro, distinguendoti nel silenzio, d’umiltà
adornato e nelle parole della Scrittura gioendo. Esulta, ché ti sei fortificato
nella speranza dei beni imperituri, dopo aver annientato la bramosia della
carne, fonte di arbitri e di ribellioni, tu, o venerabile, agli inganni del
demonio sei sfuggito e alle sue reti. O padre, con i giusti ti sei
addormentato, hai ricevuto la ricompensa commisurata alle tue fatiche,
giacché dei padri sei stato erede, continuatore del loro insegnamento, del
loro costume e della loro ascesi, la loro regola hai osservato. Più che a
quelle d’altri, alle abitudini e alla vita del Grande Teodosio [Teodosio il
Grande] ti sei assimilato; la sua esistenza hai emulato, la sua ascesi hai
perseguito, ripercorrendo le sue abitudini, e da un’opera buona a un’altra
migliore passando, le usuali preci a Dio elevando, in luogo dell’olezzo
profumato offrendo il turibolo di preghiere, fragrante incenso. Sconfitta la
lascivia del mondo e il principe sovrano di questo secolo, sopraffatto
l’avversario diavolo e i suoi inganni, uscisti vincitore, contrastando le sue
frecce e insorgendo contro i suoi malvagi disegni, dopo esserti fortificato
con l’arma della croce, con la fede invitta e con l’aiuto di Dio. Prega per me,
o padre onorato, perché mi salvi dalle reti del malevolo; salvami con le tue
preghiere dal nemico avverso».
Quell’anno vi fu un segno nel sole, pareva che stesse scomparendo e ne
avanzò ben poco, tanto che alle due antimeridiane del giorno ventuno del
mese di maggio divenne simile ad una luna [eclisse solare].
Lo stesso anno Vsevolod, era a caccia di animali presso Vyšgorod e, mentre
si stavano tendendo le reti e i banditori presero a gridare, un serpente
smisurato cadde dal cielo [meteorite] e le genti tutte inorridirono; in quel
mentre la terra emise un boato, che in molti udirono. In quell’anno apparve
a Rostov un mago che presto perì.
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E una grande guerra mossa dai Polovcy si dispiegò per ogni dove; tre città
conquistarono: Pesočen, Perevoloka e Priluk, e di molti villaggi su entrambe
le rive del Dnepr s’impossessarono.
In quell’anno, i Polovcy, guidati da Vasil’ko, figlio di Rostislav, combatterono
contro i Ljachi. Lo stesso anno morì Rjurik, figlio di Rostislav. In quei tempi
tanti uomini morivano per diversi malanni, tanto che i venditori di bare [o:
croci] dicevano: «Fra San Filippo e l’inizio di Quaresima abbiamo venduto
settemila bare [o: croci da apporre sulle bare]». Ciò si verificò per i nostri
peccati, perché i nostri peccati e la nostra iniquità si erano moltiplicati.
Questo Dio ci inflisse per indurci al pentimento e a desistere dal peccato e
dall’invidia e dalle altre cattiverie e opere del maligno.
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la vita imperitura e il proprio sangue versò per noi. Quando ci scorse viventi
non secondo giustizia, ci investì di questa guerra e lutto, affinché volenti o
nolenti tutti nel secolo futuro si riceva la grazia. L’anima infatti che qui è
stata punita, ogni misericordia incontrerà nel secolo futuro. Il Signore non
punisce due volte per la medesima colpa. O indicibile amore di Dio per gli
uomini, che scorse la nostra reticenza di volgerci a lui! O amore
incommensurabile, che egli nutre per noi, ché volutamente ci siamo
allontanati dai suoi comandamenti. Ora, non più volenti, sopportiamo, ora,
per necessità, giacché nolenti, di già desiderosi. Dove era allora la nostra
tenerezza, mentre ora tutti sono colmi di lacrime? Dove allora era il nostro
sospiro, ora invero tutte le vie sono invase dal pianto per gli uccisi,
massacrati dagli iniqui Polovcy?
E molto combatterono, e ritornarono a Torčesk, e gli abitanti della città,
stremati, morivano di fame e si arrendevano agli assalitori. I Polocvy,
espugnata la città, le diedero fuoco, e spartitisi gli abitanti, agli
accampamenti, presso i propri parenti e familiari, condussero una
moltitudine di Cristiani: sofferenti, affranti, estenuati, dal gelo irrigiditi,
affamati, assetati e vinti dalla sciagura, con i volti scavati, le carni annerite,
in terra straniera, con la lingua riarsa, andavano ignudi e scalzi, con i piedi
devastati dai rovi; lacrimando si facevano eco l’un l’altro, dicendo: «Ero io di
tale città» e l’altro: «Invece di tal paese ero io»; e così, fra le lacrime,
s’interrogavano, raccontavano della propria famiglia e nel sospirare gli occhi
al cielo volgevano, all’Altissimo, cui ogni mistero è riservato.
Che nessuno si azzardi a dire: Siamo invisi a Dio! Ciò non sia! Chi mai Dio
ha amato come amò noi? Chi mai onorò come ha glorificato e innalzato noi?
Nessuno. È per questo che l’ira sua maggiormente contro noi scagliò, che
per essere stati più degli altri onorati, al di sopra di tutti peccammo; che per
essere più di tutti istruiti e a conoscenza della volontà del Signore, e averla
disprezzata, un castigo superiore a quello degli altri meritammo. Ecco,
anche io peccatore, molto e spesso provoco la collera di Dio, e di frequente
pecco tutti i giorni. Signore, salviamoci nella tua misericordia.
Quest’anno morì Rotislav, figlio di Mstislav, nipote di Izjaslav, il primo giorno
del mese di ottobre, mentre fu seppellito il sedici del mese di novembre,
nella chiesa della Santa Madre di Dio, della Decima.
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giuntovi stipulò la pace con gli abitanti di Rjazan’ e liberò la gente sua
confinata da Oleg. E mandò a dire a Oleg: «Non fuggire da nessuna parte,
ma affidati ai fratelli tuoi con la preghiera perché non ti privino della terra di
Rus’, e anch’io manderò al padre mio intercedendo per te». Oleg promise di
fare ciò. Mstislav, ritornato di nuovo a Suzdal’, da qui raggiunse Novgorod,
la sua città, accompagnato dalle preghiere del venerabile vescovo Nikita.
Succedeva ciò nell’anno 6604 [1096], a metà della quarta indizione.
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denunciarla anche dinanzi a noi e, solo dopo averla provata potevi infliggere
la punizione che meglio credevi; ora, invece, palesa la colpa per la quale gli
hai ciò comminato». Svjatopolk rispose: «Davyd Igor’evič mi disse: “Vasil’ko
ha assassinato tuo fratello Jaropolk e brama di assassinare te e usurpare la
tua terra, Turov e Pinsk e Berest’e e Pogorina, mentre a Vladimir ha giurato
che Vladimir si siederà a Kiev, invece Vasil’ko nella città di Vladimir”. Anche
se malvolentieri dovevo pur salvaguardare il capo mio. E non io l’accecai,
ma Davyd, e fu lui a condurlo da sé». E dissero gli uomini di Vladimir e di
Davyd e di Oleg: «Non ti assolve il fatto che sia stato Davyd ad accecarlo,
non nella città di Davyd fu preso e accecato, ma nella tua città fu
imprigionato e accecato». E, dopo aver detto queste cose, si separarono.
Il giorno seguente, mentre che Vladimir e Davyd e Oleg si apprestavano a
guadare il Dnepr, per muovere contro Svjatopolk, Svjatopolk pensò di
fuggire da Kiev, ma glielo impedirono i Kieviani, che inviarono, invece,
Vsevolod e il metropolita Nikolaj a Vladimir per dirgli: «Principe, preghiamo
te e i tuoi fratelli, non potete perdere la terra di Rus’. Se cominciate una
guerra fra voi, i pagani esulteranno e si approprieranno delle nostre terre,
che i vostri padri e gli avi vostri con grandi fatiche e ardimento hanno
unificato, e per la terra di Rus’ hanno combattuto e altre terre hanno
incorporato, mentre voi volete distruggere la terra di Rus’».
La vedova di Vsevolod e il metropolita [di Kiev] raggiunsero Vladimir e lo
pregarono e gli esposero la supplica dei Kieviani di concludere la pace e di
difendere la terra di Rus’ e di guerreggiare contro i pagani. All’udire ciò
proruppe in lacrime Vladimir e disse: «In verità, i padri nostri e i nostri avi
difesero la terra di Rus’, noi invece la vogliamo perdere». E alla supplica
della principessa, che aveva in stima di madre, si piegò e anche dinanzi alla
memoria del proprio padre, perché egli aveva molto amato il padre suo sia
in vita che dopo la sua morte, e in nulla mai gli avrebbe disobbedito. Per
questo obbedì anche a lei come se fosse stata sua madre. Rispettava egli
anche il metropolita per il suo grado di santità e non eluse la preghiera.
Vladimir è colmo di affetto: ama il metropolita e i vescovi e gli igumeni,
ancor più l’ordine monastico predilige, e sfama e disseta i religiosi che da lui
si recano come una madre il figlio suo. Se scorge qualcuno in schiamazzi,
oppure in sospetto di azioni riprovevoli, non condanna, ma tutti con affetto
corregge e consola. Ma noi al nostro racconto ritorniamo.
La principessa, dopo essere stata da Vladimir, tornò a Kiev e riferì a
Svjatopolk e ai Kieviani quanto si era deciso, e che vi sarebbe stata la pace.
Iniziarono a inviarsi scambievolmente degli uomini e si accordarono per dire
a Svjatopolk così: «Questo disordine è opera di Davyd, quindi recati tu,
Svjatopolk, da Davyd e fallo prigioniero, oppure scaccialo». Svjatopolk si
impegnò e baciarono la croce fra loro e conclusero la pace.
Vasil’ko soggiornava intanto a Vladimir, nella località summenzionata e
quando si avvicinò, e anche io mi trovavo là, a Vladimir, mandò una notte il
principe Davyd a chiamarmi. E io andai da lui e la družina gli stava seduta
attorno e, fattomi accomodare, mi disse: «Ecco, la notte scorsa, mentre
parlava con Ulan e Kolčko, Vasil’ko così diceva: “Mi giunge voce che Vladimir
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avevano detto «Se vengono i principi russi, noi verremo in tuo aiuto». Ed
essi lo avevano ingannato, avendo ricevuto dell’oro da Davyd e da
Svjatopolk. Svjatopolk circondò la città e vi rimase davanti sette settimane.
Davyd cominciò a supplicarlo: «Lasciami uscire dalla città», e Svjatopolk
acconsentì ed essi baciarono la croce. Davyd uscì dalla città e andò a
Červen e Svjatopolk entro in città il sabato santo, e Davyd fuggì presso i
Ljachi.
Avendo spinto Davyd alla fuga, Svjatopolk meditò sui progetti contro
Volodar’ e Vasil’ko dicendosi: «È per il bene di mio padre e di mio fratello».
E marciò contro di loro. Quando Volodar’ e Vasil’ko lo seppero, avanzarono
contro di lui, e prendendo la croce che lui aveva baciato con loro ripeterono:
«Io sono venuto contro Davyd e voglio avere pace e amicizia con voi». Ma
Svjatopolk violò quel giuramento e contò sul numero delle sue truppe. Si
scontrarono nella pianura di Rožen e Vasil’ko alzò la croce dicendo «Ecco la
croce che hai baciato. Tu mi hai già strappato gli occhi, ora vuoi strapparmi
la vita, che questa croce sia tra noi!». E il combattimento cominciò, i soldati
vennero alle mani e molti uomini pii videro una croce che si alzava sopra
l’esercito di Vasil’ko. Il combattimento fu terribile e molti uomini caddero sui
due fronti.
Svjatopolk, vedendosi sconfitto, fuggì a Vladimir. I vincitori Volodar’ e
Vasil’ko si fermarono dicendo: «Ci è sufficiente restare entro le nostre
frontiere» E si allontanarono.
Svjatopolk fuggì dunque a Vladimir portando con sé i suoi due figli, Mstislav
e Jaroslav, e i due figli di Jaropolk e il figlio di Davyd Svjatoslavič, e il resto
della sua družina. Svjatopolk stabilì suo figlio Mstislav, che aveva avuto da
una concubina, a Vladimir, e mandò Jaroslav dagli Ugri allo scopo di
ottenere un aiuto contro Volodar’, e lui andò a Kiev.
Jaroslav, figlio di Svjatopolk, andò dagli Ugri, con lui era il re Koloman e due
vescovi e si stabilirono intorno a Premyšl’ lungo il fiume, e Volodar’ si fermò
nella città. In quel tempo, Davyd arrivò dai Ljachi, lasciò la sua donna
presso Volodar’ e andò lui stesso dai Polovcy e si incontrò con Bonjak.
Davyd ritornò e andarono insieme contro gli Ugri. Durante la loro strada si
fermarono per passare la notte. A mezzanotte Bonjak si alzò, lasciò
l’esercito e si mise a urlare come un lupo. Un lupo gli rispose e molti lupi si
misero a urlare. Bonjak ritornò allora da Davyd e disse «Domani noi
vinceremo gli Ugri». Il giorno dopo Bonjak sistemò il suo esercito in
battaglia. Davyd aveva cento soldati, Bonjak trecento e li divise in tre
colonne e andò contro gli Ugri. Egli mise all’avanguardia Altunopa con
cinquanta uomini, affidò lo stendardo a Davyd che divise il suo esercito in
due parti, mettendo cinquanta uomini per ala. Anche gli Ugri si schierarono
in battaglia dividendosi in diversi corpi, essi erano in numero di ottomila.
Altunopa attaccò il primo corpo, e dopo aver caricato arretrò dinanzi agli
Ugri. Gli Ugri lo inseguirono e nella loro corsa superarono Bonjak. Boniak
allora attaccò gli Ugri da dietro. Altunopa si girò ed essi non permisero agli
Ugri di battere in ritirata. Così ne uccisero un grande numero. Bonjak divise
la sua truppa in tre corpi ed essi batterono gli Ugri come un falcone che
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insegue i corvi. Gli Ugri fuggirono, molti annegarono nel Vjagr’, altri nel San.
Fuggendo lungo il San essi vi cadevano uno dopo l’altro e per due giorni il
vincitore li inseguì massacrandoli. Là fu ucciso il loro vescovo Kupan e molti
dei loro bojari. Si dice che perirono in quattromila.
Jaroslav fuggì dai Ljachi e arrivò a Berest’e; Davyd, avendo preso Suteisk e
Červen, arrivò all’improvviso e fece prigionieri gli abitanti di Vladimir.
Mstislav si chiuse in città con una guarnigione perché aveva con sé gli
abitanti di Pinsk, di Berest’e, di Vygošev. Davyd circondò la città e fece
frequenti assalti. Una volta, avanzò fin sotto le torri della città, ma gli
abitanti lanciarono le frecce che caddero più fitte della pioggia.
Mstislav, nel momento in cui, montato sulla palizzata, stava per scoccare
una freccia, fu raggiunto da una freccia che lo colpì sotto l’ascella per un
difetto dell’armatura. Lo si portò via ed egli morì quella stessa notte. Si
nascose la sua morte per tre giorni e il quarto fu annunciata all’assemblea.
Il popolo disse: «Ecco che il principe è morto, se noi ci arrendiamo
Svjatopolk ci farà tutti morire». E mandarono a dire a Svjatopolk: «Tuo
figlio è morto e noi siamo pressati dalla carestia. Se tu non vieni, il popolo si
arrenderà, non potendo sopportare la fame». Svjatopolk inviò il suo
generale Putjata. Arrivato con l’esercito a Loučesk, presso Svjatoš, figlio di
Davyd. Anche gli uomini di Davyd erano da Svjatoš perché questi aveva
giurato a Davyd: «Se Svjatopolk viene contro di te, te lo farò sapere».
Svjatoš non fece ciò ma fece arrestare gli uomini di Davyd e andò egli
stesso contro Davyd. Svjatoš e Putjata arrivarono il cinque di agosto.
Mentre l’esercito di Davyd assediava la città e Davyd faceva la siesta, essi si
lanciarono sul suo esercito e presero a massacrarlo. Gli assediati uscirono
dalla città e si misero a sgozzare i soldati di Davyd; e Davyd fuggì così come
Mstislav, suo nipote. Svjatoš e Putjata presero la città e vi stabilirono Vasilij
come posadnik di Sviatopolk. E Svjatoš andò a Loučesk e Putjata a Kiev.
Davyd fuggì dai Polovcy e Bonjak lo ricevette. Davyd e Bonjak marciarono
contro Svjatoš a Loučesk, assediarono Svjatoš nella sua città e conclusero la
pace. Svjatoš abbandonò la città e andò da suo padre a Černigov. Davyd
s’impossessò di Loučesk e da lì andò a Vladimir. Là il posadnik Vasilij fuggì
dalla città e Davyd prese Vladimir e vi si stabilì.
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mese di ottobre. Alla fine dello stesso mese, Jaroslav Svjatopolčič trasse in
inganno Jaroslav Jaropolčič e catturatolo sulla Nura lo condusse da suo
padre, Svjatopolk, dove lo misero in catene. Lo stesso mese, il giorno venti,
venne [a Kiev] Mstislav, figlio di Vladimir, con i Novgorodiani; Svjatopolk
s’era accordato con Vladimir, che Novgorod sarebbe stata di Svjatopolk, il
quale avrebbe là insediato il proprio figlio, mentre Vladimir avrebbe
insediato suo figlio a Vladimir. E venuto Mstislav a Kiev sedettero nell’izba e
dissero gli uomini di Vladimir: «Ecco, Vladimir ha inviato suo figlio e intanto
sono qui i Novgorodiani in attesa di prelevare tuo figlio e tornare a
Novgorod, mentre Mstislav andrà a Vladimir». E dissero i Novgorodiani a
Sviatopolk: «Ecco, principe, noi siamo inviati a te con questo messaggio:
“Non vogliamo Sviatopolk, né suo figlio. Se tuo figlio ha due teste, allora
mandacelo. Invece costui ci è stato dato da Vsevolod, ci siamo allevati il
principe da soli, mentre tu ti sei allontanato da noi”». Sviatopolk a lungo
discusse con loro, ma essi, ostinati, presero Mstislav e partirono per
Novgorod.
Nello stesso anno, si manifestò in segno in cielo: il ventinove del mese di
dicembre [o: gennaio] e per tre giorni, come un’aurora di fuoco da oriente e
da mezzogiorno, da occidente e da settentrione, e per tutta la notte vi fu
una luce intensa, come fosse il brillio della luna piena. In quell’anno vi fu un
segno nella luna, il giorno cinque del mese di febbraio. Il medesimo mese, il
giorno sette, si manifestò un segno nel sole: il sole fu cerchiato da tre archi
e v’erano altri tre archi concatenati fra loro. Nello scorgere tale segno gli
uomini di fede con sospiri e lacrime invocarono Dio, perché Dio volgesse al
bene questi segni: i segni presagiscono a volte sciagure, altre volte cose
buone, ma presaghi di bene erano questi segni. L’anno seguente infatti Dio
suscitò pensieri buoni nei principi della Rus’: decisero di affrontare i Polovcy
e marciare nella loro terra, cosa che si verificò, come diremo di seguito,
all’anno successivo.
In questo anno morì Vladislav, principe dei Ljachi. Lo stesso anno morì
Jaroslav Jaropolčič, il giorno undici del mese di agosto. Il medesimo anno fu
accompagnata la figlia di Svjatopolk, Sbyslava, presso i Polacchi, in moglie a
Boleslav, il giorno sedici del mese di novembre.
Questo anno nacque a Vladimir un figlio che fu chiamato Andrej.
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e i figli suoi e ogni altra cosa? Avete forse pietà del cavallo suo, ma non
avete pietà di lui medesimo?». Nulla poté rispondere la družina di
Svjatopolk. E Svjatopolk disse: «Fratello, eccomi, io sono già pronto». E si
alzò Svjatopolk mentre Vladimir gli disse: «Ecco, tu, fratello, un gran bene
farai alla terra di Rus’». E mandarono loro due a Davyd e a Oleg per dire:
«Venite contro i Polovcy e che si viva, o si muoia». Davyd ascoltò il loro
appello, mentre Oleg non l’accolse, adducendo la scusa: «Non sto bene».
Vladimir, accomiatandosi dal fratello suo, partì per Perejaslavl’, mentre gli
tennero dietro Sviatopolk e Davyd Svjatoslavič, Mstislav nipote di Igor’,
Vjačeslav Jaropolčič, Jaropolk Vladimirovič. Partirono a cavallo e in barca;
giunsero sotto le cateratte nell’isola di Chortica. E montarono a cavallo e i
fanti, sbarcati dalle navi, camminarono per quattro giorni nei campi e
raggiunsero Suten’. I Polovcy alla notizia che i Russi s’avvicinavano, si
adunarono senza numero e iniziarono a consultarsi. E disse Urusoba:
«Chiediamo la pace ai Russi, altrimenti essi ci combatteranno con
ardimento: infatti, molto male abbiamo arrecato alla terra di Rus’». I più
giovani dissero a Urusoba: «Se tu hai paura dei Russi, noi invece non li
temiamo; sterminati costoro andremo nelle loro terre e prenderemo le loro
città e chi potrà salvarli da noi?». I principi russi e i soldati tutti pregavano
Dio e offrivano voti a Dio e alla purissima sua Madre: chi la kut’jà [riso cotto
con uva passa, usato nei banchetti funebri], chi elemosina ai poveri, altri dei
doni ai monasteri. Intanto che essi così pregavano mossero i Polovcy e
mandarono dinanzi a loro in avanscoperta Altunopa, famoso fra di loro per il
suo coraggio; anche i principi russi mandarono le loro avanguardie. E le
avanguardie russe individuarono Altunopa e quanti erano insieme con lui; e
neanche uno si salvò, ma tutti sterminarono. Avanzarono le schiere dei
Polovcy simili a un bosco ed era impossibile abbracciarli con lo sguardo; e i
Russi andarono contro loro. E Dio grande instillò un terribile terrore nei
Polovcy, che s’empirono di paura e di tremore e alla vista dei guerrieri russi
impietrirono, mentre i loro cavalli mancavano di scatto nelle zampe. I nostri,
baldanzosi a cavallo come a piedi, si lanciarono contro di loro. I Polovcy,
scorgendo l’impeto con cui i Russi si slanciavano contro di loro, ancor prima
di essere raggiunti, voltarono la schiena alle schiere russe. I nostri li
inseguirono falcidiandoli; era il quarto giorno del mese di aprile. Grande
salvezza concesse Dio in quel giorno ai devoti principi russi e a tutti i
Cristiani, permettendo una sfolgorante vittoria sui nostri nemici. E qui nella
mischia uccisero venti principi – Urusoba, Kčij, Arslanapa, Kitanopa, Kuman,
Asup, Kurtok, Čenegrepa, Sur’bar’ e altri principi loro – e catturarono
Beldjuz’. Al termine, i fratelli sedettero in consiglio dopo aver sopraffatto i
loro nemici e condussero Beldjuz’ da Svjatopolk e Beldjuz’ si affannò ad
offrire per sé [per la sua libertà] oro e argento e cavalli e bestiame.
Svjatopolk lo mandò da Vladimir. Quando vi giunse, Vladimir cominciò a
interrogarlo: «Ecco, lo vedi dove ti ha condotto il giuramento? Tante volte,
pur avendo giurato, avete devastato la terra di Rus’. Perché non hai detto ai
tuoi figli e alla tua gente di non infrangere il giuramento, ma avete invece
versato sangue cristiano? Ricada il sangue tuo sulla tua testa». E ordinò di
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primi uomini giusti. Da lui io udii molti racconti che ho trascritto in questa
cronaca. Era uomo buono e mite e sottomesso, fuggiva ogni male, la sua
tomba si trova nel monastero Pečerskij, nell’atrio, dove giace il suo corpo,
sepolto nel mese di giugno, giorno ventiquattro. In quell’anno prese i voti
[si fece monaca] Evpraksija, figlia di Vsevolod, il sesto giorno del mese di
dicembre. Nello stesso anno fuggì Izbygnev presso Svjatopolk. Lo stesso
anno Svjatopolk [o: Svjatoslav], figlio di Davyd, nipote di Sviatoslav, prese i
voti il giorno diciassette del mese di febbraio. In quell’anno gli Zimegola
vinsero i figli di Vseslav, e uccisero la družina, novemila uomini.
In quell’anno nel mese di agosto ci fu un oscuramento del sole.
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quell’anno le acque del Dnepr, della Desna e del Pripjat’ erano in piena. Dio
in quello stesso anno ispirò in cuore di Feoktist, igumeno del Pečerskij, il
quale prese a dire a Svjatopolk di iscrivere Feodosij nel Sinodik
[diversamente dal Synodicon greco, vi si elencavano, oltre ai santi, le
persone importanti]; egli promise di farlo. E diede ordine al metropolita di
iscriverlo nel Sinodik, per cui il metropolita diramò a tutti i vescovadi
l’ordine di iscriverlo. In quell’anno si spense Katerina, figlia di Vsevolod, il
ventiquattro del mese di luglio. In quell’anno terminarono la cupola della
Santa Deipara a Kiev, fondata da Stefan, igumeno del Pečerskij.
Nell’anno 6617 [1109], morì Evpraksija, figlia di Vsevolod, il nono giorno del
mese di luglio e fu seppellita nel monastero Pečerskij presso il portone volto
a mezzogiorno, e vi elevarono una cappella laddove giace il suo corpo in
stato di religiosa. In quell’anno, il mese di dicembre, giorno due, Dmitrij
Ivorovič conquistò l’accampamento dei Polovcy presso il Don e ne prese
mille. Fu Vladimir ad averlo inviato.
Questa non era una colonna di fuoco, ma un angelo che appariva così.
Poiché gli angeli si manifestano sotto la forma di una colonna di fuoco o di
una fiamma, come detto da Davide: « Egli fa i suoi angeli pari ai venti, e i
suoi ministri come fiamma di fuoco» [Eb 1,7, ripreso da Sal 105 (104),4].
Essi sono inviati per ordine di Dio là dove vuole il creatore di tutte le
creature angeliche e umane. Perché l’angelo viene nei luoghi benedetti,
nelle case di preghiera, e là mostra qualcosa della sua persona, sotto forma
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angelo? Non ha superato tutti i pagani e tutti i greci ammiratori degli idoli?
È così che questi pagani sono stati lanciati su di noi a causa dei nostri
peccati. Che si sappia dunque che presso i cristiani, egli non ha soltanto un
angelo, ma tanti angeli che egli dà agli uomini battezzati, soprattutto ai
nostri pii principi. Essi non possono opporsi alla volontà divina, ma pregano
Dio con fervore per i cristiani. È ciò che è arrivato, grazie alle preghiere
della santa Madre di Dio e dei santi angeli. Dio ebbe pietà di noi, e inviò i
suoi angeli in aiuto dei principi russi contro i pagani.
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Vladimir riunì i suoi figli e i suoi nipoti e insieme andarono sul Vyr,
riunendosi a Oleg, e i Polovcy fuggirono. Lo stesso anno stabilì suo figlio
Svjatoslav a Perejaslavl’ e Vjačeslav a Smolensk.
Quell’anno morì l’igumeno del monastero di Lazar’, dotato di grande santità,
il quattordici del mese di settembre. Aveva novantadue anni ed era vissuto
sessant’anni da religioso. Quell’anno Vladimir fece sposare a suo figlio
Roman la figlia di Volodar’, il giorno undici del mese di settembre. In
quell’anno Mstislav fondò la chiesa di pietra di San Nicola vicino al palazzo
del principe, nel mercato di Novgorod. In quell’anno stabilì suo figlio
Jaropolk a Perejaslavl’, e quello stesso anno stabilì Daniel come vescovo a
Jur’ev, e a Belogorod Nikita.
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Indice
pag.
2 Prefazione
2 Avvertenze
3 I. Spartizione delle terre dopo il diluvio
4 II. La Torre di Babele e la dispersione dei popoli
5 III. Elencazione dei popoli slavi
5 IV. Descrizione della via dalla Rus’ a Roma
5 V. Tradizione sull’apostolo sant’Andrea e descrizione dei bagni russi
6 VI. Fondazione di Kiev
7 VII. Elencazione dei popoli abitanti la Rus’
7 VIII. Invasione dei Bulgari, degli Ugri e degli Obri
7 IX. Altre migrazioni dei popoli
8 X. Spiegazione dei loro costumi
8 XI. Estratto di Georgios Hamartolos sui costumi dei differenti popoli
9 XII. Guerra tra Poljani e Chazari
10 XIII. Comparsa dei Rus’ e cronologia (852)
10 XIV. I Bulgari e i Varjaghi (853-858)
10 XV. Insediamento dei Varjaghi russi. Askol’d e Dir a Kiev (860-862)
11 XVI. Askol’d e Dir attaccano Car’grad (863-866)
12 XVII. Morte di Rjurik (879)
12 XVIII. Morte di Askol’d e Dir. Oleg si stabilisce a Kiev (882)
12 XIX. Guerre di Oleg contro i popoli vicini
13 XX. Cirillo e Metodio
14 XXI. Spedizione contro i Greci
16 XXII. Trattato con i Greci (912)
18 XXIII. Morte di Oleg (912)
19 XXIV. Digressione sui maghi
20 XXV. Principato di Igor’ e alcune guerre (913-940)
20 XXVI. Spedizione contro i Greci (941) e il fuoco greco
21 XXVII. Sottomissione dei Greci e nuovo trattato di pace (945)
25 XXVIII. Guerra contro i Drevliani e morte di Igor’ (945)
25 XXIX. Ol’ga, reggente di Svjatoslav, e gli ambasciatori drevljani
27 XXX. Guerra contro i Drevljani (946)
28 XXXI. Battesimo di Ol’ga (955)
30 XXXII. Principato di Svjatoslav e guerre (965-967)
30 XXXIII. I Peceneghi assediano Kiev (968)
31 XXXIV. Morte di Ol’ga (969)
32 XXXV. Guerre di Svjatoslav contro i Greci e trattato di pace (971)
34 XXXVI. Morte di Svjatoslav (972)
35 XXXVII. Principato di Jaropolk
36 XXXVIII. Ascesa e dissolutezza di Vladimir
39 XXXIX. Storia del varjago cristiano (983)
40 XL. Guerre di Vladimir e dispute religiose (984)
50 XLI. Ambasciate nelle comunità di fedeli (987)
51 XLII. Nozze di Vladimir ed esposizione della fede cristiana (988)
54 XLIII. Battesimo del popolo russo (988)
57 XLIV. Fondazione di Belgorod (991) e guerra contro i Peceneghi (993)
58 XLV. Liberalità di Vladimir
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