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Problema economico dopo la rivoluzione – si aspetta ad attuare il comunismo vero per permettere al Paese
di riprendersi
Nuova Politica Economica (NEP): liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli
(reintroduzione della gestione privata per i piccoli commercianti)
1929 prevale Stalin – attua la sua linea politica: comunismo in un solo paese VS Trotzklij
1929-1932 piani quinquennali – eliminazione dei kulaki (aziende agricole arricchite): purghe (1936-1938)
Simbolismo (Block)
Acmeismo
Futurismo (Majakovskij)
CMQ secondo gli scrittori proletari la scrittura deve aiutare a liberarsi dall’ideologia del passato e maturare
una coscienza socialista (mondo in cui l’unica classe è proletaria)
Negli anni ’30 il potere degli scrittori proletari si impone su tutte le altre correnti
MA escono (non URSS) romanzi lontani dai dettami stilistici socialisti es Bulgakov, Il maestro e Margherita
Si avverte sempre più la necessità di superare l’eroismo individualistico e dare un carattere collettivo:
romanzo epico-collettivista – modello: Guerra e pace
Titolo: il fiume è simbolo del movimento rivoluzionario, per il suo carattere inarrestabile.
Inizialmente i cosacchi del romanzo sono legati ai loro vecchi valori, poi, pian piano vengono
coinvolti dal cambiamento che sopraffà tutta la nazione.
Ob: avvicinare il lettore sovietico al nuovo processo lavorativo (non solo coscienza politica): far
capire l’importanza dell’industrializzazione
Nel 1917 l’editoria privata era l’80%. Dal 1920 i libri del
realismo socialista vengono distribuiti gratuitamente.
1930 l’Unione degli Scrittori Proletari (RAP) abolisce gli altri gruppi letterari e stabilisce l’unico modo per
essere scrittori – unico indirizzo estetico: realismo socialista.
Anni ’30: creazione dei gulag – acronimo: direzione centrale dei lager
In Occidente si dava la responsabilità al Ministro degli Interni Ezhov, ma compiva solo il volere di Stalin.
Spiegato come pericolo militare: la Germania nazista è pericolosa, Stalin cerca dei traditori per evitare un
attacco.
Le epurazioni iniziano con le alte gerarchie dello Stato e del Partito MA rimangono i giovani che non
avevano partecipato alla guerra civile – quando l’URSS entra in guerra nel ’41 è allo sbando
POI si passa alla popolazione civile – il sospetto è contagioso: su tutti i non collaboratori (kulaki, minoranze
Deportazione: sospettati venivano arrestati e si fa firmare una
religiose e nazionali)
confessione scritta (a volte falsificata). Molti interrogatori violenti
(torture, strangolamenti). Accusati lasciati per giorni in piedi senza
mangiare e dormire. Spesso obbligati ad accusare altre persone.
Sui gulag per molto tempo non ci sono state notizie chiare: negli anni ’40 vi sono manoscritti, ma i
collaboratori parlano di campi correttivi che garantiscono una condizione di grande umanità.
Giovani che non avevano vissuto la collettivizzazione e le purghe: lo Stato può compiere
grandi imprese
Vecchi scettici convinti che le sofferenze di prima siano irripetibili
Popolo convinto che l’artefice della vittoria fosse Stalin > idolo vivente, giustificato di tutto
MA la guerra porta persone fuori dai confini: si accorgono che l’URSS non era il paese del benessere
Stalin decide che la ricostruzione deve basarsi sul binomio industria pesante-sistema kolchoziano
DISGELO (1956-1964)
MA parola usata per la prima volta come termine politico dal poeta Tjutcev nel 1855 (Nicola I è morto,
sconfitta nella guerra di Crimea): aspettative dell’elite intellettuale
Il disgelo di Erenburg
Romanzo sovietico che promuove valori sovietici MA non fa parte del realismo socialista (eroi né
positivi né negativi)
Romanzo sulle relazioni amorose: nella prima parte i personaggi si amano ma non riescono a
confessare le loro passioni (ostacoli paragonati al freddo); nella seconda parte con la primavera la
situazione cambia.
Nel romanzo si descrive lo spirito del tempo: sul Volga, i personaggi lavorano in una fabbrica di
metallurgia pesante. Divisione tra buoni e cattivi, ma anche tra i rappresentati del Partito: i cattivi
sono i conservatori che rispettano le regole al di là del contesto, i buoni puntano al rinnovamento
che si realizza in nuovi progetti di impianti metallurgici. Il nuovo è superiore al vecchio.
Caratteristiche dell’epoca poststaliniana
Es. un personaggio torna dai lager e viene apprezzato per aver saputo conservare la sua umanità a
dispetto delle condizioni disumane; aperura verso l’estero: i personaggi viaggiano a Parigi e
ammirano le bellezze straniere e l’URSS non è più un paese isolato.
La felicità personale viene associata con la violazione delle regole, con l’idea di nuovo come
positivo, con l’apertura verso l’Occidente
MA situazione storica:
Dopo il XX Congresso del Partito (1956) riabilita le minoranze nazionali deportate e un certo
numero di dirigenti del Partito
Demolisce il mito di Stalin come continuatore di Lenin + propone il ritorno al vero comunismo:
Verità: sul passato di Stalin. 1962 viene pubblicato su Novyj mir Una giornata di Ivan Denisovic –
shock per il pubblico russo.
Sincerità che si richiedeva al potere dal cittadino dopo anni di menzogne
Giovinezza: quella che porta il cambiamento – desiderosi di costruire un socialismo dal volto umano
Si punta sullo sviluppo economico, agricolo e scientifico – obiettivo: superare gli USA
1961 Jurij Gagarin in orbita attorno alla terra > mito vivente
Politica estera:
1955 l’URSS accetta di ritirare le truppe dall’Austria + relazioni diplomatiche con la Germania ovest
– 1956 Ungheria chiede il ritiro dei sovietici MA occupazione di Budapest – indebolimento di Khruschev
Ondata di cultura occidentale (Monet, Kafka, Picasso, Sartre) e riscoperta dell’Occidente CMQ sospetto
No intenzione di creare un movimento politico, no ideologia precisa – Ob: rendere il socialismo umano
Giovani artisti, poeti che discutevano su ciò che non funzionava – moda della protesta giovanile MA
estetica
Komsomol stigmatizza alcuni tipi giovanili: alcolizzati, siljagi (ossessionati dallo stile) e chuligany
Campagna propagandistica contro i pantaloni > segno di una valenza sociale e politica
Il potere osserva e cerca di intervenire con delicatezza (schedavano) – all’inizio decide di tollerare
MA 1961 la polizia interviene contro i giovani lettori-poeti attorno a Majakovskij
AKSENOV
1932 nasce a Kazan. Il padre era amministratore comunale, la madre era un’ebrea storica
Aksenov ritorta a Kazan per iscriversi all’università alla facoltà di medicina (più facile vivere nel gulag da
medico).
1960 sulla Junost’ viene pubblicato Colleghi – ispirato alle sue esperienza come studente e medico
1961 su Junost’ esce Il biglietto stellato – il primo best-seller letterario del disgelo
+ trasposizione cinematografica
Si avvicina ai dissidenti – prende parte a movimenti di protesta + scrive opere teatrali satiriche
1968 invasione della Cecoslovacchia per porre fine alle riforme liberali di Dubcek
Fine delle speranze di un socialismo dal volto umano – unica possibilità: emigrazione
Partecipa al Metropol’
Gli viene tolta la cittadinanza: emigra in USA > professore di letteratura russa
Titolo evocativo: concetto di viaggio e di cosmo (referente: “quadratino di stelle” nella camera di Vitja)
nella prima (Testa o croce?) e nella terza (Il sistema a ‘vu doppio’) la voce narrante sembra quella di
Viktor. Narratore sia autodiegetico sia omodiegetico, con focalizzazione interna (Vitja)
nella seconda parte c’è un narratore eterodiegetico e una focalizzazione esterna anche se spesso si
avvicina al punto di vista dei personaggi. Il narratore è spesso ironico
nella quarta parte (I kolchosiani) il narratore autodiegetico è Dimka – si nota la differenza di
generazione con Vitja
Personaggi: N.B. soprattutto descrizione dell’aspetto fisico, il carattere emerge nei dialoghi
Spazio:
Cortile della Barcellona – condominio pre-rivoluzionario che presto sarà soppiantato da nuovi
edifici a tanti piani (chrushoby)
Abitanti socialmente molto diversi (autisti, commesse, operai, intellettuali, trafficanti, principessa…)
– la Rivoluzione d’ottobre ha portato tante persone di origine diverse a convivere
Cortile come microcosmo
Polifonia – impressionismo acustico del romanzo (chiacchiere intervallate da intermezzi musicali,
grida degli inquilini…)
La spiaggia vicino a Tallin – significato culturale della spiaggia: esotismo, caldo
Estonia, Tallin – città pittoresca, medievale, germanica con molti monumenti e leggende
Kolchoz dei marinai e il mare
Ritorno a casa
Stile: neo-realismo – leggerezza, ironia, spontaneità MA autenticità e realismo delle emozioni e situazioni
Focalizzazione mobile
Azione rapida: si alternano momenti di azione intensa a pause riflessive, flash back e ellissi
Centralità del dialogo: botta e risposta o ampi dialoghi corali
Uso massiccio di slang e gergo giovanile
Romanzo di iniziazione alla vita adulta
Romanzo sulla libertà: scoperta e esperienza di spazi di libertà (movimento, sentimento, scelte) nel mondo
sovietico + anche la forma narrativa stessa
BITOV
1937 nasce da una vecchia famiglia dell’intelligencija leningradese – spazio denso di cultura
Famiglia con un legame stretto con la cultura prerivoluzionaria. Figura della madre presente, a differenza
del padre (figura importante, ma con un conto aperto).
Colpito da La strada di Fellini – capisce che l’arte deve entrare in relazione con l’esperienza del presente
Primi racconti sono complessi studi psicologici di un comportamento quotidiano di un eroe, spesso ragazzi
che si osservano incapaci di agire – riprende Lermonotov, Turgenev e Dostoevskij
Tre raccolte:
Il grande pallone
Il distretto delle dacie
L’isola del farmacista
Composizione progressiva: accanto a nuovi racconti ce ne sono di vecchi – rielabora + dà un ordine nuovo
Ogni nuovo volume riflette la nuova percezione di tutto il suo lavoro precedente
La casa di Puskin
Attenzione sul modo in cui lo stalinismo entra nella storia della famiglia dell’eroe
Critica al regime sovietico
Stile inconciliabile con il canone del realismo socialista
Titolo:
La vita dell’eroe sembra essere influenzata dal cammino di altri eroi letterari ottocenteschi.
Le tre parti del romanzo (tre tappe della vita) sono ispirate a grandi capolavori:
Padri e figli di Turgenev, storia dello scontro generazionale tra i due figli Arkadij Kirsanov e
Bazarov e due padri Nikolaj Petrovic e zio Pavel Petrovic Kirsanov e i genitori Bazarov.
Un eroe del nostro tempo di Lermontov, storia tragica e frammentaria di un eroe disilluso.
Pecorin inganna la principessina Mary di cui era innamorato un suo amico, rifiuta una sua
vecchia fiamma (Vera), che poi cerca di riconquistare troppo tardi
Il cavaliere povero di Puskin, storia di un cavaliere che ha la visione della Madonna e combatte
e vive pensando sempre al suo ideale
Spazio: vecchie case pietrobrughesi – Pietroburgo è capriccio dello zar, città costruita dal nulla
Similitudine tra vento e aereo da guerra guidato da un celebre pilota – visione dall’alto
Movimento fluido del vento che sfiora il corpo dell’eroe senza soffermarsi: la storia dell’individuo
non è la cosa fondamentale, la città e la natura sembrano avere rilievo maggiore
– si serve di romanzi non suoi per mostrare la moderna non esistenza dell’eroe
Appello alla collaborazione tra lettore e autore – romanzo per lettori di letteratura
Narratore eterodiegetico, inizialmente sembra onnisciente con focalizzazione esterna POI passaggio
a una focalizzazione interna – alternanza tra queste modalità narrative
Narratore parla non di come è il bambino, ma di come percepisce il mondo (impressionismo
letterario) – immagine confusa e infantile degli anni staliniani
Prime letture sono opere classiche, non pubblicistica sovietica
N.B. maestria nel rappresentare i silenzi di famiglia – censure e autocensure su ciò che non può essere
detto
TRAMA:
I parte
L’inizio è vago, il 7 novembre... ma tutti sanno che è l’anniversario della Rivoluzione. Siamo in una
Pietroburgo che normalmente è piovosa, grigia, mentre oggi è limpida, è una bella giornata quasi ad
indicare un presagio, che tale limpidezza “non è gratuita”. Si passa poi all’ 8 novembre 196... (già più
specifico) e inizia una lunga descrizione della cita come se lo sguardo fosse del vento che viene paragonato
a due grandi piloti della storia russa: Gastello (che si fece esplodere sull’aereo durante la spedizione dei 100
giorni, 1941) e Nesterov, il primo che fece il giro della morte e che morì nel 1911 – già da qui intuiamo
come il libro sia diretto a un lettore russo, che debba avere una certa cultura. Dopo il “volo d’uccello” ci
ritroviamo al secondo piano della casa di puskin dove immediatamente veniamo a sapere che il
protagonista giace a terra morto, con una pistola antica di fianco a lui. Ma quello che si nota è il fatto che se
alla descrizione paesaggistica è dedicato un grande spazio, meno invece c’è n è per l’eroe, quasi ad indicarci
che il senso della storia non ha il cuore nell’individuo. Nella nota, l’autore ci dice che il suo è un non eroe
del post-moderno e che l’opera, da una parte, starà di fronte al mistero dell’infinita piccolezza della
materia, a quell’etere che in un certo senso sarà sempre incoglibile dall’uomo, dall’altra si presenterà come
un romanzo-museo in cui anche un pezzo di giornale può starci. Già emerge l’alternanza dei punti di vista
su cui si fonderà tutto il romanzo: da un lato un narratore demiurgo, eterodiegetico; dall’altro, sempre una
narrazione in terza persona che però fa emergere le impressioni del protagonista (si può parlare qui di
impressionismo letterario).
Cresce in un ambito accademico e già da piccolo sogna la sua carriera di studioso (avrebbe voluto studiare
biologia, una scienza per lui più pura). Fin da piccolo riconosce valori quali la fermezza e la solidità—- qui
sembra simile a Viktor de “il biglietto stellato”. Parla del disagio che inizia a provare nei confronti del padre
e di come un giorno, mentre puliva le finestre con la madre lo vide sicuro di se e di come cerca sempre di
immaginarlo com’era allora. Sorge l’intuizione che c’è qualcosa che non va nel padre. Spiacere perché da
quando appare per la madre lui, figlio, non c’è più. Il disprezzo per il padre arriva a un tal punto che Ljova
cerca di autoconvincersi di essergli differente sia fisicamente che mentalmente. Arriva addirittura a pensare
che quello non sia il suo vero padre, fino però a dover ammettere che qualche somiglianza c’è piangendo
(“anche nel sentimentalismo erano simili”).
Compare la figura dello zio Dickens d cui il protagonista è fin da subito affascinato. È una figura semplice,
schizzinosa è ossessionata dalla pulizia (probabilmente perché appena tornato dal gulag è quindi vede la
pulizia come un dovere etico, non solo estetico). Ossessionato dai mobili liberty in una casa troppo piccola
per ospitarli, una figura che non parla molto ma che comunica tanto. Per un po’ Lev finge che sia suo padre.
“Paradossalmente era lo zio Mitja che non aveva famiglia, a dare una famiglia agli Ovoedzev”—i difetti dello
zio, tra cui regalare cose e poi riprendersele “temporaneamente” sono il motivo per amarlo
paradossalmente. Definisce l’ambiente accademico (un punto fisso dello stalinismo) una “merda”.
Ljova viene a sapere che il nonno, che riteneva morto, in realtà è ancora vivo. Fino a quel momento il
nonno era solo una fotografia, un nome in un elenco di un articolo dell’istituto universitario, tanto che,
come già aveva fatto con il padre, Llova tenta di sostituirlo con lo zio Mitja.
—- terza immagine che Ljova si ricorderà del padre. Entra nel suo studio per avere chiarimenti sul nonno.
Inaspettatamente il padre non gli tira il collo cacciandolo via, ma gli stringe la mano e il protagonista prova
una compassione per il padre.
—- allo stesso modo, prova compassione per lo zio Mitja. Dopo che va da lui per chiedergli del nonno, lo zio
cerca di trovare delle scuse per non rispondere e per la prima volta Ljova vede la propria esistenza staccata
dalla sua. Ma subito si impone di “difendere le deboli spallucce dello zio”.
— viene detto che il padre è stato presentato in due modi: o insicuro e incapace perfino di giocare con il
figlio, o sicuro di sé, minuzioso nel sistemare la propria casa. Tale ambivalenza rappresenta
metaforicamente la contraddittorietà presente nella vita. Il fatto è che Ljova potrebbe essere figlio davvero
del padre o dello zio Mitja. Non lo sappiamo. Bitov insiste sul fatto che l’uomo è il risultato delle circostanze
della vita, che non dipendono da noi. La figura del padre rappresenta però anche il tempo. In questo senso
il padre potrebbe essere Stalin (che infatti veniva chiamato piccolo padre dal popolo).
— legge gli articoli del nonno, che era un linguista e in parte uno scienziato. Si convince che è un Grande
uomo e prova orgoglio per esserne il nipote. Così inizia ad immaginare scenari su come sarà il loro incontro
(anche se lo rimanda sempre più tardi finché un giorno il nonno non telefona e ascolta le implorazioni della
madre che gli chiede di perdonarli e di andarli a trovare ora. Dice che prima non poteva dire certe cose -
Grandi Purghe?-)
Mentre Ljova va dal nonno, la scena descritta è di un tramonto sereno che il protagonista ritiene “un
sogno”—- riferimento al presagio del prologo? Anche durante il primo incontro vediamo Ljova che si
immagina che l’inquilino, che assomiglia allo zio Mitja, del nonno sia effettivamente il nonno, così da avere
una nuova scusa per dire che Mitja è suo padre. In realtà il nonno è un ubriacone.
Nella nota dell’autore questi sembra fare un’accusa alla narrazione di tipo obiettivo della corrente
realistica. Dice che i narratori di questo genere solo pretendono di sapere cosa sia la verità è che questa sia
assolutamente inalterabile una volta che la Si racconti obiettivamente. Ma solo Dio conosce la realtà
obiettiva e molte esperienze ci dimostrano che non si può essere obiettivi. Non possiamo capire fino in
fondo i bambini, o non possiamo raccontare oggettivamente dell’esperienza dell’ebbrezza ad esempio,
perché una volta che ci siamo dentro non ne siamo in grado, una volta che ne siamo fuori (si tratti di me
stesso i di un terzo) è impossibile descrivere cosa effettivamente si sia vissuto durante l’esperienza
dell’ebbrezza——- confronta con Erofeev. Questo è anche il motivo per cui la scena con il nonno viene
interrotta: perché nessuno dei presenti, ubriachi, avrebbe potuto continuare la narrazione in quello stato.
Il nonno mezzo ubriaco all’inizio gli parla di come l’uomo stia rovinando la natura, l’ambiente che lo
circonda in modo irreversibile, di come le diseguaglianze siano fondamentali per avere la cultura (come nel
Rinascimento), di come nel sistema sovietico il potere si impone in modo pervasivo ed anche chi prova a
resistere ne è condizionato, e alla fine fa una lunga tirata su come egli abbia tentato di preservare la sua
dignità, di non rinnegare i suoi valori, e questo gli sia costato 27 anni di lavori forzati: uscito è una persona
diversa, niente a che fare con quello che lui, Leva, incatenato al suo dolciastro romanticismo consolatorio e
conciliatore, aveva sognato, sperato di incontrare. La riabilitazione, dopo 27 anni, è l’umiliazione peggiore,
ora è un morto vivente, ha avuto un colpo apoplettico, perde la memoria: e allora per orgoglio beve,
preferisce autodistruggersi piuttosto che essere distrutto. Il progresso sarebbe ciò che rovinerà il mondo
perché la sua essenza consiste nello sfruttamento e nella rovina, da parte dell’uomo, della natura. Il nonno
parla della guerra tra la ragione (Dio) e il progresso (diavolo): il compito della ragione consisterebbe
nell’accorgersi dell’imminente irreversibilità e di stoppare il progresso per riuscire ad essere in grado di
avvicinarsi al Mistero. Sarebbe la rivoluzione della coscienza. È comunque un’utopia perché ragione e
progresso correranno fianco a fianco e arriveranno contemporaneamente alla linea del traguardo
(irreversibilità). Libertà anelata impossibile da raggiungere da quando vige il regime sovietico, per il nonno.
—- raccontando di due episodi (quando viene portato via da una guardia da un bar e quando chiede a uno
che sta aspettando l’autobus se arriverà sul serio) accusa l’indifferenza del mondo. Questo ritiene che tutto
sia naturale e ha perso la capacità di stupirsi e di meravigliarsi.
—- odio per il regime non solo perché lo ha internato nei campi, ma anche perché ora, che perde la
memoria, vorrebbe ”risciacquarlo” ed eliminare trenta anni della sua vita. Per fuggire all’umiliazione,
preferisce rovinarsi da solo e per questo beve. L’ipocrisia della riabilitazione di chi è stato internato: la loro
vita se ne è andata, è passata, questa è la realtà. La riabilitazione va bene solo per calmare la coscienza di
chi non ha vissuto la repressione. Se l’hanno liberato vuol dire che non vale più niente, è uno scarto.
Dalla durezza del nonno Ljova ritiene che in realtà lui abbia un cuore tenero e che sia stata la sua
esperienza a renderlo così gelido. Seguire una risposta del nonno che gli chiede come faccia ad essere certo
di una cosa, come ad esempio che se il nonno una volta ha amato allora amerà ancora... dice che in questo
atteggiamento non si incontrerà mai la realtà è che il vero intelligente non è chi sa parlare molto, ma al
contrario chi parla poco perché trova sempre inadeguatezze alla realtà. Ljova sarà costretto ad andarsene
per l’umiliazione quando in un attimo di disattenzione parla al nonno di suo figlio anziché di come lui, Ljova,
vede suo padre. C sciò dell’errore ancora una volta cerca di allontanare l’immagine del padre da se. Tornato
a casa si rende conto che suo padre è contento che lo venga a trovare lo zio Mitja perché viene “un po’ al
posto del nonno”. Si avverte una forte influenza sia di idee tolstojane (sulla importanza di un rapporto
armonico dell’uomo con la natura, l’ambiente; sull’intelligenza che deve essere negazione dell’io ed
accettazione della realtà) ma anche idee dostoevskiane (sulla volontà di affermare la propria libertà
individuale a dispetto di ciò che ci è imposto: ricorda l’uomo del sottosuolo, ma anche a volte nella sua
ubriacatura Marmeladov). Il valore della coerenza, della dignità e dell’indipendenza (valori puskiniani)
rappresentati dal nonno. E allora forse una soluzione è in quell’atto di eroica rivendicazione di
indipendenza che il nonno stesso, Modest Platonovic, lascia all’eroe in un manoscritto (anche questo
un’appendice): nel suo rifiuto di mentire alle autorità prima del suo arresto. Nell’opporsi al mentire per
salvarsi, nel rimanere fedele alla sua verità, egli compie un atto di auto-liberazione: se non avesse detto la
verità, scrive, non sarebbe più stato capace di guardare in alto, il cielo e sapere che era libero. Disprezzo per
il mondo sovietico che aveva rovinato non solo un paese, la sua cultura, ma anche un certo modo di essere,
che era il suo, quello di un sognatore, indeciso, colto, che ama la cultura e la raffinatezza e che vive in un
mondo che rifiuta tutto ciò: ambiguità, incertezza, bellezza, cultura. Il sistema sovietico aveva distrutto i
rapporti fra padre e figli, li aveva inquinati per sempre: come il padre di Leva aveva tradito e rinnegato suo
padre, il nonno, allo stesso modo Leva quando vede il nonno tradisce e rinnega suo padre.
La vicenda di Leva: è uno studioso, appassionato di scienza, amante della tranquillità, che adora la
madre, poi partecipa timidamente ai movimenti giovanili, condivide negli anni Cinquanta la moda
degli stiljagi, si fa dei pantaloni alla moda e arrivano anche le ragazze; infine diventa un filologo di
professione, come il padre, studioso di letteratura dell’Ottocento: tutto in lui, dal temperamento
agli interessi rappresenta la cultura nobiliare colta e pre-rivoluzionaria. Ma vi è in lui anche una
certa tendenza al conformismo, a non esporsi, a non lottare con il sistema sovietico, a fuggire nel
mondo della letteratura. Rapporto ambiguo e duplice verso la cultura prerivoluzionaria: la ama ma
lo fa sentire un diverso, genera in lui un senso di esclusione Eppure anche verso di questa ha un
atteggiamento ambiguo, irrisolto. La rivoluzione e il terrore staliniano hanno interrotto il legame
vitale della nazione con il suo passato e la sua cultura. Leva non trova più un posto preciso sicuro
nel mondo aristocratico pre-rivoluzionario né un posto nella nuova realtà sovietica.
Questo si manifesta anche negli articoli che l’eroe scrive che sono in appendice al romanzo: in uno
Leva compara il lavoro di tre poeti, Pushkin, Lermontov e Tjutchev e in questo lavoro tradisce un
atteggiamento ambivalente verso di loro e verso una letteratura che lo intrappola e lo esclude dalla
vita. Nella protesta poetica di Lermontov, arrivato troppo tardi sulla scena letteraria, quando già
Pushkin era morto (così inizia la sua opera poetica) egli vede la sua immagine di uno studioso
arrivato troppo tardi, e anche nel lavoro di Tjutcev egli ritrova una nascosta ostilità e invidia nei
confronti di Puskin, un’invidia in cui egli si identifica.
L’eroe vive in una dimensione di sospensione fra letteratura e sogno, è questo il suo spazio
esistenziale. Quanto alla realtà sovietica, egli cerca di evitarla, ma non la affronta di petto, è un
conformista, evita lo scontro. In questo senso Leva Odevcev è un antieroe tipico della letteratura
occidentale del secondo Ottocento, una figura volontariamente de-eroizzata, abbassata, un uomo
qualunque, l’anonimo punto di congiunzione delle forze anonime e irrazionali della società. E’ una
figura profondamente anti-eroica, in opposizione agli eroi sovietici, ma anche è la figura alla quale
l’autore affida il proprio punto di vista.
Il nonno gli dice quando lo incontra per la prima volta, trentenne, rimproverandolo: “Per te non esistono né
cause né effetti, né realtà, ma solo la loro rappresentazione. Tu non sospetti nemmeno che esista la vita!”.
Il nonno lo accusa di stupidità per la sua inadeguatezza nel vedere la realtà, per quella che è, senza
idealismi, senza idee preconcette, culturali, ecc.: l’intelligenza è capacità di pensare la realtà in sincronia
con la realtà stessa, è capire la realtà sul piano della coscienza (serve soltanto alla vita viva), alla base
dell’intelligenza c’è il non sapere.
La casa di Puskin è anche un atto di dissacrazione della letteratura russa: da una parte denuncia
l’orrore di cosa succede quando si dimenticano certi valori culturali che appartengono ad una lunga
tradizione culturale (l’esempio del nonno), dall’altro denuncia anche la solitudine e l’isolamento di
chi vive, come l’eroe, fuori dal mondo, straniero a tutto e a tutti, in un mondo fatto solo di
letteratura e filologia, e di come questo isolamento sia distruttivo, renda incapaci di vivere
normalmente. Il romanzo, con le vicende dell’eroe, denuncia dunque i risultati tragici nella vita di
un individuo che nascono dal sacralizzare la letteratura e dimenticare la vita. Bitov denuncia una
sorta di squilibrio fra una letteratura, come quella russa, che è andata troppo avanti, è diventata
troppo bella e sofisticata, e una cultura, quella della gente, della massa, del socialismo sovietico,
che è rimasta troppo indietro, si è sviluppata troppo poco: una sorta di squilibrio fra livello della
letteratura e livello di civiltà della gente, fra intelligencija e popolo.
Un altro esempio di “idealizzare” il reale e di non guardarlo davvero è subito dopo quando il nonno muore
e assistiamo a tante persone al funerale che però sono lì non per lui in quanto uomo deportati è liberato
che ha perso 30 anni di vita, ma come autore di articoli dell’istituto. È sembra che piangano quasi più
perché non ci saranno articoli piuttosto che per la morte del nonno. Con la morte del nonno, che diviene un
culto, Ljova si avvicina al mondo accademico e con molto aiuto del padre ottiene il ruolo di assistente
all’istituto letterario. Mentre il padre è ora molto orgoglioso del figlio, quest’ultimo lo tratta con
indulgenza.
Morte dello zio Dickens. Prima vera perdita per Ljova, perché quella del nonno in realtà si era trasformata
in un mito. Quella dello zio è solo perdita di un caro. Lo zio e il nonno vengono descritti come due rami,
differenti tra loro, che però provengono dallo stesso tronco: “entrambi avevano cercato di mantenere la
propria dignità...lo zio è il nonno rappresentavano il fanatismo è il fervore del kulak”
—-excursus sull’aristocrazia. Prima caratteristica: gli aristocratici avevano solo la loro classe, non avevano
idee. Seconda caratteristica: capacità di adattamento. Per questo di fatto furono i traditori di se stessi
perché non si opposero alle novità che stavano arrivando e vi si adattarono tentando di mantenere quelle
caratteristiche (dignità, lealtà, orgoglio) che sono l’essenza dell’aristocrazia.
Nella variante Ljova proviene da una famiglia aristocratica. Quello che emerge è un’educazione culturale,
civile che si pone distaccata dal reale, tanto che in alcuni casi il Ljova bambino viene deriso dagli altri
coetanei, in altri il Ljova adolescente comincia a ritenersi eccezionale. Da questo però il protagonista si
rende conto di avere dentro di se altro oltre questo tipo di educazione, di avere un’anima e che tutto
quanto ha ricevuto non è sufficiente. In questa variante nessuno ha tradito il nonno. È stato rinchiuso solo
15 anni, ha ancora un aspetto giovanile e ha avuto un figlio da una ragazza. Va a trovare la famiglia.
L’autore preferisce la prima variante perché gli sembra “più sincera” è attaccata al reale.
Dopo il riassunto della vita adolescenziale di Ljova, con una sorta di composizione ad anello, torniamo
all’inizio del libro è ci viene detto che a questo punto era così la vita del protagonista: uno che nei dibattiti
non prende posizione o che comunque ne abbraccia una che non si può contestare perché non attualmente
ricorrente; protagonista di un trittico di amore, “supplicare una, non avere l’altra, avere la terza”;
dottorando in letteratura e scrittore di articoli sulla letteratura russa.
Nella nota dell’autore vediamo una riflessione. La seconda parte (quella sull’amore) e vista da Bitov come
una continuazione della prima, probabilmente perché uno dei temi che verranno ad essere trattati è la
distinzione tra reale e idea. Il giudizio di Bitov è che la prima parte è più vera, ma meno reale; la seconda è
più reale, ma meno vera. In questa seconda in particolare, vediamo il protagonista incontrare Faina, e in
questo incontro, far coincidere l’ideale con il reale (qui sembra esserci una conferma di quanto disse il
nonno).
—riflessione sulla letteratura. Nel momento in cui leggiamo il testo di un autore ecco che ci ritroviamo
innanzi all’esistenza pura senza di noi. Il mistero dell’assoluta oggettività che però in qualche modo ci è
comunque celata. La tesi fondamentale è che la scrittura è un manifesto dell’anima dell’autore, ma
dell’autore “si sa tutto e niente”. Siccome è un libro-museo alla fine della prima parte troviamo a confronto
delle novelle dello zio Mitja è un pezzo di saggio “che Ljova avrebbe copiato” del nonno è ancora una volta
si teorizza come la scrittura possa dire molto del suo autore.
II parte
La vicenda con Faina ha inizio il 5 marzo 1953. Data della morte di Stalin. Assistiamo alla scena in istituto di
lutto. Tutti piangono addolorati, Ljova si sente un mostro ma non prova nulla e cerca di celarlo
nell’indifferenza. La storia con Faina viene descritta come un triangolo i cui vertici sono lei, Ljova e
Mitis’aev. L’incipit è infatti l’ultimo giorno di scuola quando quest’ultimo porta il protagonista a conoscere
tre ragazze francesi dopo avergli offerto la prima sigaretta. Le tre appaiono a Ljova indifferenti finché non
appare Faina, l’unica sposata. Già quando Mitis’aev la invita ballare sembra l’inizio della faida implicita.
— emerge lo Ljova idealista, autoconvincente di certe teorie. D’altra parte sembra che Faina lo cercherebbe
per quello che lui non è, forte. Ljova si fa dare soldi dallo zio Dickens e poi da Al’bina e pian piano “comincio
a comprare l’amore”.
—- ha un atteggiamento tale nei confronti di Faina che la si potrebbe chiamare “proprietà di Ljova”. “La
buona salute di Faina gli sembrava innaturale, bugiarda, maligna, falsa...il non stare bene era qualcosa di
naturale, di dolce. Quando non stava bene gli sembrava che Faina fosse se stesse, quando stava bene gli
appariva un’estranea”.
“La vera Faina, Ljova non L aveva vista neanche una volta” —idealismo di cui parlava il nonno!
—- festa in cui continua la faida tra Mitisat’ev e Ljova. Faina è seduta di fianco al primo ed è distaccata dal
secondo che comincia a fare esperienza di gelosia. Allo stesso tempo non si rende conto che lui stesso fa
impensierire Faina quando parla con la sua vicina di tavolo. Durante la serata Faina e Mitisat’ev scompaiono
più volte scatenando la gelosia di Ljova che ruba l’anello di lei (che aveva nascosto a inizio serata). Dopo
aver visto l’infelicità di Faina per aver perso l’anello, Ljova le promette di procuragliene un altro per poi
rendersi conto di non avere abbastanza soldi e che lo zio Mitja non gli concede prestiti. Così decide di non
vendere l’anello, ne di buttarlo, ma di far finta di averlo comprato e ridarlo a lei. Dopo un iniziale diniego di
Faina “che non vuole indossare anelli già indossati da altri”, quando il protagonista lo sta per buttare dalla
finestra, lo prende e non se lo toglie più. Da qui la loro relazione ebbe il momento più bello è pacifico è
proprio qui è da collocarsi probabilmente la visita al nonno. Data questa situazione nel rapporto con Faina,
abbiamo che il protagonista comincia una sorta di mezza relazione con Al’bina, la ragazza di cui si
vergognava a mostrarsi in pubblico. Dal suo personaggio capiamo come Ljova sia profondamente
influenzato dal giudizio dell’altro in quanto comincia a considerarla solo “in proiezione” della stima che lo
zio Mitja ha nei confronti di lei. Per questo Ljova comincia a tentare di auto convincersi. Appuntamento con
Al’bina: brutto tempo (richiamo al prologo? È un “buon auspicio” a sottolineare la differenza di sguardo di
Al’bina e Faina su Ljova?). Ad ogni modo, si tradiscono a vicenda e si arrivato a un punto in cui Ljova e Faina
discutono su chi sia stato il primo.
—- confronto vero e proprio tra le due donne. Faina non racconta mai del suo passato; Al’bina lo fa quasi
subito. “Lui non l’aveva mai vista, mai capita, ne con la ragione ne coi sentimenti, Faina non era un essere
umano, ma uno strumento di passione... soltanto vicino ad Al’bina cominciava a vedere, a capire.... Al’bina
era ... reale. Faina assolutamente ideale”
— successioni di ambiguità. “Non c’è donna più brutta di quella che non si ama”, ossia è l’amore che rende
bella la donna (si perde la superficiale differenza estetica tra Faina e Al’bina).
“Tutto è inganno, tutto è verità”— Ljova che ogni volta che prova dolore va a “possedere” Albina è una
volta che ha ritrovato la sicurezza se ne va. Ma forse “la ama a modo suo”. Così come Faina ama Ljova “a
modo suo”. Ljova pensa di amare Faina ma in realtà questo sembra ancora una sua decisione ideale.
Quando Ljova lascia Al’bina e questa sé va “capì finalmente quanto era bella. Vide quel collo sottile che
poteva essere desiderato, amato... per la prima e ultima volta gli apparve l’immagine dell’amore eterno che
aveva cercato di personificare nella prima donna che aveva amato. Era lei. La lasciò per sempre e non sognò
più ciò che non esiste nella vita”.
Terza donna: Ljubasa (prostituta?). Descritta come una sorta di distrazione dai problemi e dalle sofferenze,
ma viene sottolineato che lo stato d’animo non cambia dopo l’incontro con lei, ma già prima, come se ci
fosse una scarica di adrenalina.
(Pag 258)—- impressionismo letterario. Distinzione tra le persone che agiscono su di noi è la loro influenza
su di noi, “cioè noi stessi”. Faina, Mitisat’ev sono necessari all’eroe, sono la sua anima. Ci interessava infatti
vedere la loro influenza su Ljova. Ma noi li analizziamo dal punto di vista del nostro “eroe semitrasparente”.
—-nessuno di loro è l’eroe... L’eroe è diventato un fenomeno, e neanche un fenomeno, ma una categoria
astratta che è un fenomeno. Una rete di relazione che permea tutti i personaggi.
Ljova vede faina accompagnata dal nuovo compagno. Differentemente dalla giovinezza, ora Ljova non fa
alcun paragone con lui, non si chiede con chi lei abbia effettivamente avuto qualcosa, ma anzi ha una sorta
di rispetto per quest’uomo è, cosa più importante, “questa fu la prima volta in cui vide Faina”. Emerge
come la donna non sia più idealizzata ma appaia per come realmente è.
—- rivalutazione del rapporto con Faina. Lo sguardo di Ljova appare del tutto diverso. Se prima Faina era
“proprietà” di Ljova, adesso quest’ultimo li inviterebbe entrambi. Prova rimorso per aver rubato l’anello e si
convince che non ha mai permesso a lei di amarlo. Si ricorda che la scena che sta osservando dalla finestra
è quello che Faina ha sempre voluto e per la prima volta, il pensiero che fosse stato solo il brivido del
tradimento a tenerli insieme così a lungo, gli appare esso stesso un tradimento.
Articolo di Ljova.
III parte
Nota dell’autore ci dice che nella casa di Puskin non si può vivere, un uomo ci ha provato. Interessante
come ci sia quasi un dialogo implicito tra autore e lettore in cui quest’ultimo lo accusa di eccessivo
allegorismo, e il secondo rivendica il suo diritto di rispondere. Anche questa parte inizia il 7 novembre 196...
(come il prologo). Questa parte si apre con Ljova, single separato, a cui viene incaricato di lavorare
all’istituto per la tesi di dottorato e di non lasciarlo se non per motivi fondamentali. Preso dallo sconforto
ha due telefonate con Faina che sembra allegra, ma che poi finiscono male e con la madre “che da tempo
tentava di riallacciare i rapporti tra lui e il padre”. Poi Ljova si mette a lavorare e a rileggere gli articoli da lui
scritti—- sembra una sorta di introduzione all’opera che Bitov avrebbe scritto successivamente (cioè quella
degli articoli del protagonista).
— sogna un fiume che si disgela è una folla che tenta di attraversarlo a nuoto per eseguire gli ordini del
GTO. Solo Ljova con altri due si nasconde.
Successivamente viene a trovarlo Mitisat’ev con un membro dell’istituto Gottich che considera Ljova il
“quarto profeta”. Mentre Ljova si sta ubriacando con Mitisat’ev, al telefono giunge Blank, un responsabile
dell’istituto. Palesemente viene notato lo sdoppiamento di Ljova che col primo si comporta in un modo e
con il secondo in un altro. Viene sottolineato come Mitisat’ev immediatamente capisca la natura di Ljova.
Presentazione di Blank. Pensionato che però torna spesso a far visita all’istituto. È un uomo che in generale
non accoglie i giudizi “collettivo” ma fa molta attenzione, invece a quelli dei singoli individui. Ljova ha un
certo accorgimento nei suoi confronti da quando il vecchio lo prese in considerazione anche se dopo un
episodio che gli era costata la faccia, tutti gli altri membri dell’istituto non lo consideravano più. Ciò che
pone angoscia in questo momento è che “Blank uccideva Ljova agli occhi di Mitisat’ev e Mitisat’ev uccideva
Ljova agli occhi di Blank” e ora stavano per incontrarsi. Il trittico Blank-Mitisat’ev-Gottich parla di
pettegolezzi riguardanti i protagonisti della letteratura russa. Dopo un lungo excursus Ljova non sente più
l’angoscia per la compresenza di questi personaggi, quanto per lo spreco delle parole. Durante la serata ad
un certo punto, dopo che Ljova compiange la sua natura di uomo per avere avuto ancora l’intento di
telefonare a Faina (dopo aver analizzato il suo trio di donne). Mitisat’ev torna con “due Natashe”. Quando
questo se ne vanno via poi, vediamo uno Ljova ubriaco e accudito dall’amico in una piazza Rossa. Ljova
ubriaco corre nell’istituto per sfuggire a un poliziotto. Dopo questo abbiamo un lungo monologo interiore il
cui punto centrale è proprio la domanda del perché è fuggito— emblema anti eroe realismo socialista.
Scontro tra Mitisat’ev e Ljova. Mitisat’ev vuole mettere alla prova Ljova, che però si sottrae sempre ai
tentativi, riuscendo a trovare una sua logica accomodante: “se un tale è uno stronzo, lo fa apposta, per
qualche ragione psicologica con un fondamento storico-sociale”, mentre in realtà “è solo uno stronzo”.
Riconosce soltanto la fedeltà verso lui stesso, non vuole vedere il tradimento. Non ha coscienza di sé e della
realtà. Mitisat’ev sta dichiarando di odiare l’appartenenza allo spirito aristocratico di Ljova: la sua
superiorità non l’ha guadagnata con la sua intelligenza, ma è una questione di sangue, di appartenenza e
Mitisat’ev se ne sente escluso. “Quel che esiste per te, nel tuo mondo, deve essere la norma”; “rifiuterete
tutto quello che non è vostro e prenderete ciò che vi appartiene senza gratitudine perché vi è dovuto. Non
siete voi a ritenervi più elevati, siamo noi a riconoscerne la differenza”. Mitisat’ev accusava lo spirito
aristocratico delle stesse colpe che il nonno attribuiva ai tempi: adattabilità. Mitisat’ev dice di essere però
schiavo di lui, consiste nei trionfi su di lui. Per Ljova Mitisat’ev è straordinario (ma sembrano più delle frasi
vuote, non sue: “qualcuno gli aveva già detto quelle cose”. Gli risponde esaltato, come se stesse scrivendo
un articolo: parla di Gesù e le tentazioni “Non affermare la tentazione, ecco il solo modo di vincerla!”.
Mitisat’ev ritorna al tema della superiorità: “...tu soffrirai e ti disgusterai della realtà mentre io godrò i
piccoli trionfi su di te, ma sarò schiavo della tua realtà... sai cosa vogliamo noi? Che tu esista per noi, dato
che ti abbiamo riconosciuto la superiorità”. Ljova gli dice di averlo sempre ammirato per la sua capacità di
farsi da solo, ma Mitisat’ev risponde che in realtà i forti sono gli aristocratici, che sono stati in grado di aver
ceduto “privandoci della possibilità di riconoscervi”, cercando “di indovinare le nostre idee e avete fatto
finta di averle date voi a noi”. Così pian piano svelavano ognuno la propria anima è più si avvicinava la
possibilità di conoscersi a vicenda, più si allontanavano perché “Ljova rimaneva un Ovoedzev è un
Mitisat’ev è un Mitisat’ev”. Mitisat’ev accusa ancora Ljova di pretendere che il mondo sia come lo vede lui
(con i suoi pensieri dubita della realtà dei fatti) e che non ammettendo nemmeno la propria vigliaccheria,
quando ad esempio prima c’era Blank e lui smise di parlare ma cominciò ad annuire e basta, tradisce le sue
origini aristocratiche, cioè non vuole riconoscere che la sua natura è di adattamento alla situazione (non c’è
un io consistente: altrimenti si comporterebbe allo stesso modo con Mitisat’ev e con Blank). Ma Mitisat’ev
lo informa che ha rivelato tutto a Blank e che ora quest’ultimo vede Ljova con gli occhi del primo. “Hai
lasciato che loro ti coinvolgessero, diventi la persona meno sincera, più bugiarda quando ti attacchi a loro...
vedono la tua falsità ma gli è necessaria”. “Sei un vile, ecco il punto... ti sei sistemato sulle orme di tuo
padre, non ammetteresti mai che tu e lui state divorando il nonnino. Tu non scrivi cose tue da un pezzo!...
non puoi ribellarti, sei diventato uno schiavo, come me, ma uno schiavo positivista, tu non lavori per il
padrone per paura, ma per tranquillizzarti la coscienza. Io invece sono sempre stato schiavo, sono nato
schiavo quindi capisco.... ecco io odio le viltà legalizzate”. Si picchiano, per Faina in realtà. Decidono di fare
un duello: “un duello presuppone una cosa sola: la totale impossibilità per due persone di vivere sulla
stessa terra”— metafora? Mitisat’ev rappresenterebbe la rivoluzione proletaria, mentre Ljova la classe
aristocratica (?). L’impossibile coesistenza consisterebbe nel fatto che la seconda, per la sua natura di
adattamento alle circostanze, renderebbe vana e insensata la rivoluzione.
Ljova eroe mori, Ljova uomo si svegliò—- frase che svela la differenza tra letteratura e realtà: la prima
descrive un’immagine, che, appena descritta, si raggela. La seconda è continuamente mobile,
contraddittoria e ambigua (forse per questo Ljova si sveglia). Problema in qualche modo ripreso in “Achille
e la tartaruga”: l’eroe letterario non può opporsi all’autore, porta su di se doveri morali, etici, giuridici e
magari anche le disgrazie e le sofferenze dell’autore. L’eroe desta compassione, ma non la riceve.
LA DISSIDENZA
Periodo della “stagnazione” (1965-1985) – immobilità economica e politica MA segnali di attivismo politico
Dissidenti sono una piccola parte della società MA tenuti sotto controllo:
1957 viene impedita la pubblicazione del Dottor Zivago. Pasternak lo manda in Italia e scuscita
clamore internazionale – Pasternak escluso dall’Unione degli scrittori
1961 il KGB sequestra Vita e destino di Grossman, dedicato alla Seconda guerra mondiale
CMQ fenomeno vero e proprio della dissidenza inizia con una serie di processi agli scrittori:
1963 processo a Sinjavskij e Daniel’ – spartiacque: non negano o si giustificano, ma contestano il principio
per cui vengono arrestati (la letteratura deve essere politicamente orientata)
Numero maggiore di intellettuali contestano le forme più oppressive – arresti e emigrazioni
1968 in piazza Rossa di Mosca un gruppo di dissidenti guidati dalla Gorbanevskaja protesta contro
l’invasione delle truppe sovietiche in Cecoslovacchia – iniziano i “lunghi anni Settanta”
URSS teme che i cechi dessero esempio agli altri stati del patto di Varsavia
Alcuni intellettuali pensano che fossero entrate nel paese le truppe della NATO
7 persone protestano sulla Piazza Rossa – arrestati subito MA gesto simbolicamente importate:
l’opinione pubblica indipendente esiste e si esprime
Samizdat
Azioni di protesta
Cercare di far conoscere all’Occidente
-articolo 190: qualsiasi affermazione politica non concorde con il governo può far mandare in gulag
Dissidenti NO gruppo compatto – tutti quelli che pensano che l’URSS vada contro i diritti umani
fondamentali
- Liberali filo-occidentali
- Socialisti e comunisti che pensavano che l’ideologia non fosse davvero realizzata
- Nazionalisti che pensavano che l’URSS non privilegiasse la componente etnica russa
- Ortodossi, protestanti e battisti
1973 guerra Israele VS Egitto e Siria – paesi arabi che sostengono l’Egitto dichiarano l’embargo sul petrolio
URSS ci guadagna – firma grossi contratti di fornitura in Occidente e pone le basi per un’economia interna
che si regge sull’esportazione
Economia si trasforma NO grandi piani industriali, innovazioni sociali, mobilitazione delle masse
Gente inizia ad occuparsi più del proprio benessere – idea di una felicità privata e non più collettiva
La presenza del tempo libero fa soffrire di più per la mancanza di merce – borsa nera (accesso a merci)
1970 legge che prevede che alcuni villaggi potevano essere dichiarati “privi di prospettive di
sviluppo” – tagliati tutti i finanziamenti
Artisti decidono di creare opere con indirizzi estetici non conformisti mostrandoli a un piccolo gruppo scelto
POI iniziano a venire allo scoperto es. mostra dei bulldozer – opere che non hanno nulla di politico
MA risonanza enorme sui giornali stranieri – il governo permette le prime mostre non conformiste
DOVLATOV
1941 nasce ad Ufa (nord Kazakhistan) – origini metà ebree e metà armene
1945 torna a Leningrado e si iscrive alla facoltà di lettere MA cacciato perché non dava esami
Amico di Brodskij
Costretto a fare il servizio militare – guardia presso un gulag nella Repubblica sovietica di Komi
Si iscrive alla facoltà di giornalistica – collabora con un giornale di istituto e inizia a scrivere racconti
Non prende una posizione da dissidente puro – il regime è oppressivo, ma ci sono difetti in sé e negli altri
(non dipendono necessariamente dal regime)
Dovlatov scrive soprattutto racconti quasi mai pubblicati – circolano solo in samizdat + sul Kontinent
Emigra a New York – partecipa alla creazione del quotidiano Novyj Amerikanets
Non si sente inserito nella tradizione dei grandi scrittori russi – si sente un narratore, che non vuole
spiegare al lettore come si deve vivere, ma mostrare come la gente vive normalmente
Considera lo scrivere un’esigenza intima – fare i conti con se stessi, alleviare il senso della tragicità
Brodskij: tratto fondamentale dello stile è laconismo, ricerca di un’espressione concisa e semplice, lapidaria
MA in contrasto con la prolissità tipica dei russi CMQ più vicino a Cechov
+ tonalità distaccata nonostante la mancanza di senso della realtà che descrive – visione cinica
In Russia conosciuto solo per le opere in samizdat, in USA ottiene grande successo – sintonia con l’America
CMQ individualismo tipico della sua generazione – tipico della cultura pietroburghese
Realtà sovietica pretende di mantenere una coerenza ideologica quando nessuno ci crede più
Il suo fisico lo porta a sottolineare i tratti assurdi della sua natura: grande e forte, ma debole e pigro
La valigia
Esce nel 1986 – racconta vari episodi della vita sovietica dall’infanzia al 1978 a partire da oggetti
MA emergono frammenti della personalità es. cosa portare nella “nuova vita”?
Regna il cinismo – il valore di una persona si misura in base a quanto riesci a guadagnare
+ aveva accumulato un ‘capitale’ che non poteva portare con sé: libri e manoscritti
Valigia ha sopra immagini dei suoi valori e sogni – solo lui e la valigia, che parla del suo passato e del futuro
“La mia unica, inestimabile, irripetibile esistenza” – distacco e ironia, ma anche intuizione che ogni vita è
davvero inestimabile e irripetibile proprio nei suoi fallimenti
I calzini finlandesi
Frasi brevissime e semplici – distruzione della sintassi + forza di sintesi (concentrazione temporale)
Asja presentata in due parole: capiamo che è magra, sportiva, appartenente all’intelligencija
Intonazione comica
Abitudine al furto inutile – con oggetti di questi furti si costruivano oggetti con funzione diversa
dall’originaria
Deride i meccanismi della propaganda comunista (giornalismo di partito) con alcuni degli indirizzi dominanti
della propaganda:
Comicità raggiunta attraverso una continua delusione delle attese, con buffa contraddittorietà
Madre-eroina
Svuotamento della propaganda – richiesta di lavori di risonanza al posto di un vestito da cerimonia
“Normale madre eroina” – come se le tanti madri che mandavano avanti le famiglie da sole potesse
essere un fatto normale
Incontra casi diversi – di vero comunismo ce n’è poco
La cintura da ufficiale
Periodo di servizio militare a guardia di un campo: deve accompagnare un detenuto impazzito in un altro
campo, ma ne succedono di tutti i colori
Inversione simmetrica delle parti (causa alcool): il pazzo è l’uomo più lucido, la guardia è il delinquente
Mette in luce l’assenza di un vero comunismo in URSS – “questo capitolo è la storia del principe e del
povero”
Rievoca la storia di un’amicizia d’infanzia con Sergej e Andrej Cherkasov (figli dell’attore importantissimo)
Tratteggia con concisione le differenze nei rapporti di forza delle due famiglie – sempre concreto
Ironia nel parlare della relazione tra sua madre e suo padre – no cedimento all’emozione, no vittimismo
Due famiglie sono l’opposto: ricca e povera, talentuosa e mediocre – simmetrica contrapposizione
+ inconsistenza dei principi egualitari su cui era costruita la società, rimarcato con “teoricamente” ecc
La camicia di Popeline
Racconta la conoscenza e l’innamoramento per la moglie, nascita della prima figlia e decisione di emigrare
MA guarda i fatti con una grande distanza – come se si guardasse vivere, non partecipe
+ sembra ci sia qualcosa di ineluttabile nel corso della vita – automatismo del destino (molla del comico)
Emerge una realtà oppressiva MA con ampi spazi di manovra – occasioni di umorismo, ridicolo
Paese meno violento del tempo di Lenin e Stalin MA più cinico e disilluso
Comunismo ha solo coperto con una patina di ideologia una realtà già corrotta (alcolismo, soprusi,
corruzione, furto…)
Valigia rappresenta ciò che c’è di essenziale per tutti: i ricordi cari o casuali
– letteratura ci permette di metterci nella pelle altrui + possiamo chiederci cosa per noi è essenziale
SINJAVSKIJ
Entra all’IMLI, un istituto per lo studio della letteratura russa – pubblica articoli
Poi scrive Ljubimov – romanzo breve che racconta la storia di un paesino che fa la secessione con l’URSS e
decide di realizzare per davvero il comunismo
+ aver fatto circolare il pamphlet Che cosa è il realismo socialista – importanza di recuperare l’eredità
fantastica nel realismo socialista
Processo assume un rilievo mediatico importante – nega apertamente che quello che hanno fatto è reato
1973 emigra in Francia – insegna letteratura russa alla Sorbona + scrive romanzi sotto pseudonimo (Terz)
– è nella letteratura che trova la sua arma, non nella religione e nei valori
Pubblica:
Esce nel 1984 a Parigi – scritto tra il momento della sua reclusione
In prima persona racconta alcuni episodi della sua vita – al centro c’è soprattutto l’arresto e la reclusione
Struttura:
Ampia riflessione metanarrativa – libro > piega dell’esistenza in grado di liberare, salvezza
Breve periodo di felicità concesso ai reclusi – due o tre giorni da passare con la moglie
Rievoca la ricostruzione degli affetti domestici e la soddisfazione dei bisogni primari – ridanno dignità
Il padre – analessi sull’arresto del padre nel 1951, il ritorno nel 1955 e il manifestarsi della sua ossessione
Incontro tra padre e figlio + senso di colpa del figlio che forse aveva causato l’arresto – la supera con la scrittura
Concezione del testo letterario come foresta – rifugio da cui è difficile uscire
Sedute spiritiche di una medium (Alla) e incubi notturni – compare Stalin che si trasfigura nell’usurpatore Dimitrij
Samozvanec
Tutta la storia russa vista come oggetto estetico – trasformata in allegoria e in fiaba
Volgarità e fantastico si integrano – donna che si prostituiva con Stalin e narrazione evangelica
Epoca staliniana appare come periodo dominato da stregonerie, sortilegi
Nel ventre della balena – rapporti con un amico d’infanzia Sergej che l’aveva denunciato
Es. prigione > scena di teatro; interrogatorio > pantomina; stanzetta del lager > romantica alcova
Ispettore mandandolo ai lavori forzati dice: “Le auguro buona notte. E sogni tranquilli”:
possibilità del sogno durante la notte del totalitarismo – sogno che solo la letteratura permette
Eredità letteraria:
Dostoevskij: l’idea del fantastico come modo di esplorare una realtà sfuggente
Gogol’: capacitò di trasfigurazione della realtà col fantastico
Majakovskij: volto dissacratore e provocatore
Bugakov e Pasternak: capacità di unire storia, leggenda e fantastico, narrazione evangelica e realtà staliniana
Puskin: prestigiatore di parole
Diverso da altri scrittori del glulag – è una realtà allucinante a cui è possibile resistere solo con la letteratura
+ critica: usano la letteratura per denunciare, non per dare senso alle cose
EROFEEV
Venedikt Erofeev (da non confondere con un altro scrittore importante di questo periodo, Viktor Erofeev) è nato nella
provincia di Murmansk, sulla penisola di Kola (all’estremità nord-occidentale dell’Urss, ultimo lembo della penisola
scandinava), il 24 ottobre del 1938. Provenie da una famiglia povera. Il padre, vittima delle repressioni staliniane, è
condannato a cinque anni di reclusione e a tre di privazione dei diritti civili. La madre si trasferisce a Mosca e
abbandona i figlia Nina, Boris e Venedikt nell’orfanotrofio di Kirovsk. A Mosca si iscrive alla facoltà di filologia
dell'Università di Mosca. Espulso dopo breve tempo per inadempienza agli obblighi militari, Erofeev inizia a svolgere
lavori saltuari: lavora come muratore, fuochista, guardiano di depositi, scaricatore di merci o con altre modeste
mansioni. Si sposta in diverse città dell'Unione Sovietica, fino ad assumere un impiego un po’ piu' duraturo nel settore
di posa dei cavi telefonici della compagnia telefonica nazionale russa. Sin da giovane ha problemi di alcolismo e,
spesso ubriaco, perde di continuo il lavoro. Si sposa due volte e ha un figlio. Per lunghi periodi vive a Mosca senza
documenti e una fissa dimora del tutto ai margini del sistema sovietico. E’ quello che la popolazione chiamerebbe un
“bomzh”, acronimo sovietico per “cittadino senza fissa dimora,” (noi diremmo in modo colloquiale un barbone).
L’attività letteraria
La sua attività letteraria naturalmente risente di questo “stile” di vita. Eppure, paradossalmente, ha una sua
intensità ed evoluzione. Inizia nel 1956 con alcuni scritti autobiografici dintitolati "Appunti di uno psicopatico"
(Zametki psichopata, 1956-1958). Nel 1962 scrive Blagovestvovanie (1962, "La buona novella"). Nel 1969 scrive l'opera
maggiore, il romanzo Tra Mosca e Petuski (Moskva-Petuski) sottotitolato Poema.
Negli anni successivi, dopo la stesura del saggio "Vladimir Rozanov visto da un eccentrico (Vasilij Rozanov glazami
ekscentrika 1973), appassionata e libera riflessione sull'opera del grande ed eccentrico scrittore Vasilij Rozanov, ed
altri brevi scritti letterari, Erofeev scrive la tragedia in cinque atti Val'purgieva noc' (1985, "La notte di Valpurga"),
ambientata in un ospedale psichiatrico, in cui si accentuano i toni del suo pessimismo esistenziale. Anche qui, come in
Tra Mosca e Petuski, si riflette sull’umana difficoltà del protagonista ad adattarsi al sistema sociale che lo circonda:
CIT «Ma di che si stupisce, paziente? Ha a disposizione una sindrome bellissima. A dirle un segreto, è da un bel po’ che
ci siamo messi a ospedalizzare anche quelli che – a uno sguardo superficiale – non dispongono manco di un sintomo di
alterazione psichica. Ma non dobbiamo dimenticare le capacità di dissimulazione involontaria o consapevole di cui
sono dotati simili pazienti. Queste persone, di norma, non commettono fino al termine della propria vita nemmeno
un’azione antisociale, nemmeno un reato, e non fanno nemmeno sospettare il minimo disequilibrio nervoso. Ma è
proprio per questo che sono così pericolosi e devono essere sottoposti a cure. Non foss’altro che per la loro mancanza
di propensione interiore all’adattamento sociale» (“La notte di Valpurga”, in Tra Mosca e Petuski, Roma, Fanucci
2003)
La tragedia è pubblicata, insieme al romanzo, agli scritti letterari, ed a parte dei taccuini d'appunti nella raccolta
Ostav'te moju dusu v pokoe (1995, "Lasciate in pace la mia anima"). Colpito da cancro alla gola,
Erofeev muore a Mosca nel 1990 per un cancro alla gola, aveva 52 anni.
Scritto fra la fine del 1969 e marzo del 1970, il dattiloscritto si salva per miracolo. Come scrive Marco Ercolani, vi è in
Erofeev (come vi era in uno scrittore per certi aspetti simile, il grande futurista Chlebnikov), una tendenda a
“disperdere” la sua creazione letteraria:
CIT “La sistematica, rovinosa dispersività di Erofeev, che vende o perde i suoi dattiloscritti, è leggendaria. Il
dattiloscritto di Moskva-Petuski è venduto dall’autore per pochi rubli a un collezionista di samizdat, e solo per un caso
un amico, che ne intuisce il valore, lo fa trascrivere nel corso di una notte prima di restituirlo al proprietario. È
un’abitudine, per Erofeev, perdere i dattiloscritti, venderli per i pochi rubli di una sbornia o consentire che siano usati
come combustibile della stufa per riscaldarsi dal gelo polare delle notti russe. Sembra che, alla radice della sua opera,
ci sia la volontà, più o meno consapevole, di smarrirla e disperderla, dimostrando come l’inevitabilità della distruzione
sia parte integrante e costitutiva del processo creativo dell’autore.” (Marco Ercolani, “Ritratto di Venedikt Erofeev” in
Doppio zero)
Il dattiloscritto circola da subito in forma di samizdat e “tamizdat”. Ben presto l’opera diventa un mito, tutti la
vogliono leggere, perché riesce ad incarnare con precisione una gran quantità di tendenze, desideri e debolezze
dell’uomo nella tarda società sovietica della stagnazione. Alcuni lettori lo avevano addirittura memorizzato parola per
parola.
Viene pubblicato per la prima volta all’estero (in URSS sarebbe stato impossibile) in Israele nel 1973, e tradotto in
inglese, francese ed in italiano nel 1977 (la prima traduzione italiana di Pietro Zveteremich ha il titolo Mosca sulla
Vodka, 1977, seguono le traduzioni di Mario Caramitti Da Mosca a Petuski). In Russia, il romanzo esce per la prima
volta, in forma non integrale, paradossalmente per la rivistaTrezvost' i kul'tura (Sobrietà e cultura: una rivista contro
l’alcolismo) solo nel 1988-1989. La prima edizione completa in volume uscita in Russia è del 1990 (la mia edizione!)
E’ uno dei testi della cultura non ufficiale che ha avuto sin da subito la maggior attenzione dei lettori e dei critici. Fra i
lettori ha avuto una popolarità enorme, fra le opere letterarie è stato una di quelle che ha più girato in samizdat
(insieme ai libri di fantascienza degli Strugackie: vd il grafico della lezione sul Samizdat). I lettori lo conoscevano a
memoria. Circolavano versioni registrate su nastro fatte dall’autore. Lo stesso percorso descritto nel romanzo (da
Mosca al sobborgo moscovita di Petuski) diventa un viaggio di culto per i giovani, che nel giorno del compleanno
dell’autore ripercorrono lo stesso percorso e si fermano a bere a Petushki. Lo stesso autore si è molto sorpreso del
sucesso, come lui stesso disse
CIT “Era stato scritto senza alcuna pretessa” “per sette otto amici”, in modo che potessero “per una decina di pagine
farsi due risate e poi per otto pagine incupirsi, riflettere”
Moskva-Petushki. Poema: Mosca-Petushki in russo indica semplicemente un tragitto, dalla grande capitale ad un
sobborgo, è il tragitto di un treno locale, una delle tante tratte che percorrono i pendolari nei trenini regionali che
partono da Mosca (le famose elektrichki ovvero trenini elettrici locali). Il toponimo di Petushki evoca nel suo nome
qualcosa di periferico e campagnolo: petushok in russo vuol dire “gallo” o meglio “galletto, polletto” dunque la
traduzione letterale sarebbe come “Da Mosca a Galletti”.
Eppure questo titolo rievoca in qualche modo altre due opere fondamentali della letteratura russa di viaggio: da una
parte Il viaggio da Pietroburgo a Mosca, di Radiscev, un travelogue settecentesco che è anche una dura denuncia delle
ingiustizie e diseguaglianze della Russia sovietica (un’opera che in epoca zarista era stata per questo proibita). Al
tempo stesso, con il suo sottotitolo “Poema”, il romanzo rievoca un altro grande viaggio satirico, Le anime morte.
Poema, di Nikolaj Gogol’, un grande affresco satirico della Russia di provincia di metà Ottocento, e il suo genere,
quello del romanzo picaresco.
Come nel romanzo di Gogol’, dove il protagonista era un truffatore, anche qui troviamo un eroe marginale, sempre in
movimento, che si muove in zone di confine della società, un viaggio con continue interruzioni, molte disavventure,
episodi e digressioni interne, narrato in una forma quasi autobiografica: tutto farebbe pensare ad una versione
moderna del romanzo picaresco, ma non è esattamente così. A dispetto di una superficiale somiglianza con il genere
picaresco (un eroe ai margini della società in viaggio, una struttura d’intreccio volutamente flessibile, informe, una
struttura a episodi con racconti interpolati, ecc.) si capisce che tutto ciò è solo un livello molto superficiale dell’opera
CIT Come sottolinea il critico Beraha in Erofeev’s poem “the picaresque is evoked and erased” (Beraha, p. 23)
Struttura di genere ambivalente: un po’ commedia un po’ tragedia, un po’ poema e viaggio letterario, un po’
pellegrinaggio, un po’ sermone, è forse tutto questo insieme
Come scrive Aleksandr Genis CIT “Vedendo in Mosca-Petushki la tragedia, noi perdiamo la commedia, mascherando
Erofeev da martire uccidiamo in lui quel santo mezzo ubriaco, quel poeta e saggio” (A. Genis, Blagaja vest’, in Idem,
Ivan Petrovic umer, M. 1999p. 53)
L’avvertenza imposta subito il tono fortemente parodico dell’opera. Questa avvertenza è una parodia del genere delle
“avvertenze dell’autore” che accompagna di solito i libri sovietici: vi si dice che la prima “edizione” ha una tiratura di
una sola copia (allusione ironica all’inevitabile circolazione in forma samizdat); la “seconda edizione” è stata “riveduta”
dall’autore nel senso che ha tolto la sfilza di parolacce che componevano il capitolo Falce e martello / Karacharovo:
capitolo che infatti ora, nell’edizione attuale, è composto da una sola frase “E subito bevvi!”. Qui Erofeev ironizza sul
fatto che in un’edizione sovietica vi potessero essere: a) descrizione dell’ubriachezza, ovvero qualcosa di contrario alla
severa etica sovietica; b.) parolacce. L’avvertenza si chiude con una manifestazione di finta saggezza e buon senso
conclusivo.
La trama in sintesi
Moskva-Petuski è l'incerto viaggio di un ubriacone, Venichka, attraverso la periferia ed i sobborghi di Mosca verso la
sua mèta - Petuski - un piccolo sobborgo fuori città. Scandito da solenni ubriacature ed incontri con occasionali
compagni di bevuta, il viaggio di Venichka si trasforma gradualmente, da irridente dissacrazione della realtà sovietica,
in un'intensa esperienza esistenziale, in un cammino di espiazione rotto da cadute e da sussulti dell'anima. E' un
romanzo dall'intima vena autobiografica, carico di lirismo e tragicità, in cui si avvertono a tratti un sottotesto
evangelico, a tratti consonanze e richiami ai romanzi di Dostoevskij e di Bulgakov.
“Tutti dicono: Il Cremlino… mai una volta che abbia visto il Cremlino”:
Sin dall’inizio il romanzo esordisce con un monologo interiore che è però assai attento e sensibile a ciò che gli altri
dicono alle voci e opinioni della gente. Erofeev rappresenvta il dialogo della coscienza del suo eroe, quella voce
interiore, o meglio quel soliloquio che si carica di tante voci, quelle della gente, degli amici di bevuta.
In generale tutta l’opera è pervasa dalla presenza di una molteplicità di voci: voci della coscienza, voci mistiche, voci
provenienti dal passato e da figure storiche, voci angeliche o sataniche, ecc. E’ “un monologo polifonico”,
internamente dialogizzato, come direbbe il critico Michail Bachtin, in questo non troppo diverso da quello di certe
opere di Dostoevskij (come in Memorie del sottosuolo), ma su una tonalità intonazionale completamente diversa:
l’intonazione ha un diapason che va dall’ingenuamente comico al misticamente tragico. La coscienza è un dialogo con
il mondo degli altri, un dialogo inesauribile, qui è soprattutto un dialogo ingenuamente tragico.
Le voci sono distinte anche graficamente all’interno del romanzo: a volte senza virgolette, a volte con le virgolette, a
volte, nel caso di fonti particolarmente autorevoli, con il corsivo. All’interno della narrazione in prima persone
coesistono dunque una grande varietà di voci, di intonazioni diverse, che rappresentano sia il mondo sociale basso e
degradato che circonda l’eroe, sia il mondo della sua cultura.
Come scrive Bachtin nel suo celebre saggio “La parola nel romanzo”:
Dietro all’apparente spontaneità e ingenuità del tessuto narrativo si nasconde una ricca rete di rimandi sia alla cultura
sovietica che all’antica cultura russa, profondamente permeata da
CIT “woven from a wide range of quotations and references, demonstrates his cultural erudition and even control over
a vast spectrum of layers and spheres of Russian and European culture” Svetlana Geisser-Schnittmann, p. 272:,
L’EROE
Un eroe autobiografico? Vi sono molti elementi che avvicinano l’eroe Venichka e l’autore Venedikt Erofeev:
1. lo stesso nome: Venichka è infatti il diminutivo di Venedikt ed è il nomignolo familiare con cui i suoi amici e
compagni di bevuta chiamavano l’autore;
3 precisi riferimento al lavoro dell’autore con la descrizione dettagliata della sua breve carriera nella squadra dei
tecnici-cablatori per la posa dei cavi della compagnia telefonica russa;
Eppure, i molti riferimenti culturali ed evangelici al personaggio ci spingono a interporre una distanza fra il piano
biografico e quello finzionale. Su uno strato narrativo superficiale, autobiografico, si sovrappone un ricco tessuto di
richiami intertestuali, culturali e simbolici che dà un rilievo maggiormente ampio e simbolico al piano biografico.
Un eroe-antieroe
L’eroe ha tutti i tratti contrari dell’eroe sovietico: non è un’entusiasta come gli eroi del romanzo staliniano, non ha
niente di eroico, non ha una volontà di ferro e non supera prove eroiche, vuole vivere in un mondo dove non c’è
spazio per gli eroi.
CIT p. 17 “Che bello se tutto il mondo fosse come sono io adesso, acquietato e intimidito, e come me privo di qualsiasi
certezza di sé o del proprio posto sotto il sole! Né entusiasti, né eroi, né invasati: una universale pochezza d’animo
(«всеобщее малодушие). Acconsentirei a vivere sulla terra per un’intera eternità se prima mi si mostrasse anche un
solo angoletto dove non c’è spazio per gli eroi. ‘Pochezza d’animo universale’: ma questa è la salvezza da ogni male, è
una panacea, i più alto indice di perfezione!”
In questa sua modestia, ingenuità, umiltà e antieroismo Venichka è molto vicino a quella stirpe di “malenkij celovek”
che va da Akakij Akakievic, a Evgenij de Il cavaliere di bronzo, fino a Makar Devushkin di Povera Gente.
Fragilità dell’eroe che è indifeso, che non tace e non nasconde e sue debolezze, ma le rivela come qualcosa che
costituisce la sua essenza profonda, umana
CIT, p. 25 (a metà) “Mi nuoce molto la mia delicatezza, è lei che mi ha rovinato la gioventù. E anche l’infanzia e
l’adolescenza… O meglio, ancora, non è tanto la delicatezza, ma solo un’illimitata espansione della sfera intima, e
quante volte mi è stata esiziale…”
Parla di questi suoi tratti come di una malattia dell’anima, in cui la pena e la paura si mischiano
CIT: “Sono malato nell’anima anche se non lo do a vedere. Perché da quando ho memoria di me stesso non faccio
altro che simulare la salute mentale, ogni istante della mia vita, e per farlo consumo dalla prima all’ultima tutte le mie
energie (…)” (p. 38)
Ma proprio per questa sua debolezza, delicatezza e sofferenza ha anche una forza di veggenza, di comprensione per
gli altri e per i sofferenti:
CIT “Non sostengo che la verità mi sia nota, o di essermici fatto considerevolmente sotto. Tutt’altro. Ma sono già a una
distanza da cui è più comodo osservarla” p. 39.
Riflettete su questa frase, che è davvero importante: la condizione di umile, di derelitto della società, non per questo
lo rende depositario della verità, ma certo lo pone in una condizione privilegiata rispetto ad essa. Iniziamo a sentire
echi evangelici. E’ una particolare condizione emotivo, una forte percezione della propria fragilità che segna in modo
costante il suo essere e gli permette di capire in profondità chi soffre:
CIT “E io guardo e vedo, e per questo mi dolgo. Né credo che qualcuno di voi si sia mai trascinato dentro un
così amaro intruglio. Cosa ci sia, faccio fatica a dirlo, ma più di tutto c’è ‘pena’ (skorb’) e ‘paura’ (strach). Sì, ‘pena’ e
‘paura’ prevalgono, come anche il mutismo. E il mio ‘cuore meraviglioso’ a ogni alba stilla questi liquori e vi si sciacqua
dentro fino a sera. Succede, lo so, anche ad altri. Quando a un tratto gli muore qualcuno, se perdono a un tratto
l’essere per loro più indispensabile al mondo. Ma per me è così in eterno: questo almeno capitelo!” (p. 39)
Notate come già da qui l’alcool non è solo l’elemento catalizzatore che lo rende debole, confuso, umile, ma è anche
metafora, allegoria della sostanza spirituale della vita (il mio cuore stilla questi liquori: pena e paura, come simboli
della fragile e indifes condizione umana.
Un eroe ambivalente
Nella sua umiltà e sofferenza Venichka è, anche rispetto al mondo sociale che lo circonda, un eroe ambivalente. Egli è
al tempo stesso uno del popolo e un intelligent, è un homo sovieticus e uno al di fuori del sistema sovietico (senza
essere un convinto dissidente); è un rozzo ubriacone preso solo dai bisogni corporei e dal bisogno del bere e, al tempo
stesso, una figura altamente spirituale, un asceta dall’afflato mistico (ma sempre in tono minore, con autoironia).
Come uno del popolo egli si sente parte della sua gente, del suo popolo, ne capisce i bisogni le esigenze. In questo non
vi è nulla in lui dello “sradicamento”, della lontananza dal popolo che vi è nell’aristocratico Leva della Casa di Puskin; è
forse più vicino all’ebreo odessita dal coltello facile scelto come alter-ego da Sinjavskij in Buona notte!; e sicuramente
ancora più vicino all’emigrato Serezha Dovlatov de La valigia, con la sua umiltà e il suo essere un disadattato ovunque.
Come la massa di cittadini sovietici Venichka ama bere, ama ubriacarsi, ne capisce profondamente l’esigenza, ha i suoi
sessi occhi rigonfi dall’alcool, è anche orgoglioso di appartenere a questa massa, né è in qualche modo il profeta, si
rivolge “al mio popolo”
CIT “Mi piace che il popolo del mio paese abbia occhi così vuoti e rigonfi. Induce in me un sentimento di legittimo
orgoglio… Ci si può figurare che occhi ci sono dall’altra parte. Là dove tutto si vende e tutto si compra… occhi
profondamente nascosti, occultati, rapaci e tremebondi…Svalutazione, disoccupazione, povertà…guardano in tralice
con ansia implacabile e pena. Ecco gli occhi del mondo del puro profitto…”
Il mondo “dall’altra parte”, “dove tutto si vende e tutto si compra”, dove domina la svalutazione e la disoccupazione è
chiaramente l’Occidente, gli Stati Uniti, i luoghi simbolo del capitalismo, il “mondo del puro profitto”. Qui avvertiamo
chiaramente nella voce di Venichka gli echi di tanta retorica e propaganda sovietica, che denunciava l’assenza di
valori, la vuotezza e la rapacità dell’Occidente capitalista (siamo in piena epoca di Guerra fredda e contrapposizione
fra Urss e Occidente).
Il “mio popolo” invece non ha gli occhi intimoriti dell’Occidente, ha occhi spalancati sul mondo, ha una sua particolare
forza spirituale, è pronto ad affrontare qualsiasi prova, qualsiasi calamità
CIT “Invece che occhi ha il mio popolo! Sempre spalancati, ma senza traccia alcuna di espressione. Totale assenza del
benché minimo senso: ma in compenso quale forza! (quale forza spirituale!) Qualsiasi cosa succeda nel mio paese, nei
giorni del dubbio, nei giorni dell’affannosa incertezza, quando gli si pareranno di fronte prove e calamità, questi occhi
non batteranno ciglio. Per loro è tutto acqua fresca…” (pp. 23-24)
Notate come qui da una parte avvertiamo gli echi e le formule di un ampio filone filosofico russo che ha insistito
sull’unicità spirituale del popolo russo, sul messianesimo del popolo russo rispetto all’Occidente corrotto: un filone
che va da Puskin della lirica “Il profeta” a Dostoevskij (ad esempio nel suo “Discorso su Puskin” (1880)) fino al poeta
simbolista Aleksandr Blok de “L’intelligencija e la Rivoluzione” (1918). Notate il linguaggio retorico e apocalittico
“quale forza spirituale”, “nei giorni dell’affannosa incertezza, quando si pareranno di fronte prove e calamità…” E
proprio in quanto profeta del suo popolo egli sembra porsi al di sopra di questo.
Al tempo stesso, però, rispetto alla posa e prosa “da profeta” che Venichka qui assume vi è anche ironia, con delle
tipiche “cadute” stilistiche in chiusura di frase: il suo popolo ha gli occhi spalancati, “ma senza nessuna espressione”,
totale assenza di senso; di fronte a “prove e calamità” gli occhi “non battono ciglio”.
Lui stesso, atteggiandosi a intelligent, guida i suoi compagni nelle loro letture: gli dà da leggere Puskin, Blok, A un certo
punto però quella stessa posa da profeta, con la sua cultura, gli viene rinfacciata dai suoi colleghi: viene riconosciuto
da molti come un intellettuale, uno dell’intelligencija, è accusato di “sovrumana” arroganza dai suoi compagni di
dormitorio che lo assimilano a Caino e Manfred (eroi tragici byroniani) per le sue conoscenze.
Vd. CIT p. 31
IL VIAGGIO DI VENICHKA
La struttura del viaggio di Venichka è solo apparentemente lineare (da Mosca a Petushki) in realtà è una struttura ad
anello: disorientato completamente dai fumi dell’alcool il viaggio di Venicka non arriva sino alla sua metà, ma in un
capovolgimento alcoolico delle coordinate spazio-temporali, il treno torna indietro. In questa struttura circolare alla
fine il protaogonista ritorna al punto di partenza, a Mosca, sulla piazza Rossa. I primi tre capitoli hanno una serie di
evidenti parallelismi e similitudini con gli ultimi tre: ad esempio le riflessioni sul Cremlino e la descrizione della
stazione di Kursk, che vi sono all’inizio del romanzo, si ritrovano distorte anche alla fine.
E’ un personaggio che non riesce mai a raggiungere la sua metà, è un personaggio passivo che non agisce, ma è agito,
come se non dipendesse da lui. A prima vista il motore della sua azione, ciò che muove il personaggio non è la sua
volontà, ma è l’alcool, che come una forza mistica, lo fa muovere
CIT p. 11, terzo capoverso “ E poi sulla via Kalaevskaja, un altro bicchiere, solo non più di vodka alle erbe, ma di vodka
al coriandolo. Un mio amico diceva che la vodka al coriandolo agisce contro la natura dell’uomo: rinvigorendo tutte le
membra, indebolisce l’anima, sulla Kalevskaja ci ho messo su due boccali di birra di Zhiguli e moscato moldavo a
garganella” (trad. Caramitti p. 11).
CIT p. 12 “Adesso ci sto così male che quasi mi viene da piangere. Non perché, sia chiaro, non sono arrivato neanche
alla stazione di Kursk”:
Qui il movimento non è tanto finalizzato ad arrivare alla mèta, quanto a bere qualcosa particolare, di cui si ricordi il
luogo della bevuta, il contenuto di ciò che è bevuto, la successione delle cose bevute, i brindisi fatti (ho bevuto per il
mio bene o a mio detrimento).
La logica e il piacere dell’ubriacone consiste nel rivivere attraverso la memoria il luogo della bevuta, la compagnia, le
cose bevute, l’ordine delle cose bevute. Il solo rievocarle fa piacere e fa rivenir voglia di bere…
Al movimento digressivo dei suoi spostamenti moscoviti corrisponde il moto assolutamente digressivo, non
consequenziale, dei suoi discorsi: come una chiacchiera nel treno, il discorso non segue una linea logica, un
ragionamento: si appiglia a dettagli visivi (due che si scolano l’ennesima bottiglia), un aneddoto su un posto dove ha
vissuto nel passato, o sul suo lavoro
CIT “L’alcool è il perno su cui è costruito l’intreccio di Erofeev. Il suo eroe attraversa tutti gli stadi di ubriacatura, dal
primo sorso salvifico alla tormentosa assenza dell’ultimo, dall’apertura mattutina del negozio fino alla chiusura serale,
dalla resurrezione dal pochmelie (hangover) alla morte da astinenza. In corrispondenza di questa evoluzione si
costruisce anche la struttura narrativa..” (Genis, pp. 51-52)
La dimensione duplice reale, concreta del moto dell’ubriacone, e mistico-religiosa del viaggio del sofferente: il dialogo
con gli angeli
In certi momenti il viaggio di Edichka diventa un viaggio mistico. Lo vediamo chiaramente nel secondo capitolo. Qui
non vi è più solo una voce della coscienza alta, che si eleva biblicamente, vi sono delle vere e proprie figure mistiche,
dei personaggi divini: gli angeli. Il protagonista parla con degli angeli che arpeggiano.
Anche qui accostamento comico fra voce soave, lieve degli angeli e argomento prosaico delle loro parole: fatti due
passi; tra mezz’ora apre il negozio e anche se la vodka arriva dopo puoi farti un po’ di vino rosso; nel bar della stazione
ieri c’era lo cherry, ecc.
Il mistero mistico e la chiusura comica: quando ho comprato i regali? Anche qui la comicità è raggiunta fra
l’accostamento di un registro letterario alto e una materia bassa.
CIT “Dio Misericordioso, quanti misteri ci sono al mondo! Un cortina impenetrabile di misteri! Prima della vodka al
coriandolo o tra la birra e il moscato moldavo!”
Il dialogo con Dio
Il concetto di mensa del Signore è un concetto biblico presente sia nel Salterio ma anche nelle lettere degli apostoli
CIT “Erofeev è un autore molto russo, (…) ovvero uno scrittore per cui la letteratura mondana è fortemente legata alla
tradizione cristiana della rivelazione, del passaggio spirituale dall’esistenza normale all’Essere (“iz byta v bytie”). Il
testo di Erofeev è sempre un’esperenzione di una intensa sofferenza religiosa. Tutta la sua visione del mondo è piena
di un pathos apocalittico” (A. Genis, Blagaja vest’, in Idem, Ivan Petrovic umer, M. 1999, p. 49)
16/4/2020
LEZ 24
CIT “Non è lo stesso l’essere inchiodato a una croce o al bancone di una bettola?” (cit. in Genis, p. 51)
Come notano Boris Gasparov e Irina Paperno ogni evento, ogni smaltita dell’ubriacature (pochmel’e) è come
un’esecuzione, una crocifissione e ogni nuova ubriacatore è come una resurrezione, il ritorno alla vita; e tutto questo
avviene in modo ciclico
CIT “Each event exists simultaneously in two dimensions. A hangover (pochmelie) is interpreted as an execution,
death, crucifixion. Getting a hair of the dog that bit you (opochmelenie)—that’s resurrection. After resurrection life
begins: the gradual intoxication (postepennoe op’janenie) that ultimately leads to a new execution. The hero speaks
openly about this at the end of the story: “For isn’t the life of man a momentary booziness of the soul (okosenie dushi
– ubriacatura dell’anima) as well?” However, such an interpretation of these everyday events in turn has the opposite
effect on the story’s biblical motifs. They often take on the tone of parody, jokes, and puns: the high and the tragic are
irrevocably tied together with the comic and the obscene. Moreover, this gives the biblical text a cyclical character:
the very same chain of events is repeated again and again.... (Gasparov and Paperno, 389–90).
L’immagine di Venichka come un Cristo che muore e risorge di continuo è confermata da una serie di espressioni, ad
esempio il continuo ripetere dell’espressione “Alzati e cammina”, dell’episodio della resurrezione di Lazzaro. A volte
Venichka è Cristo: quando è con i suoi compagni di dormitorio e cerca con chi condividere la bottiglia, egli dice: ‘basta
pescare nell’acqua torbida, devo diventare pescatore di uomini”
L’ubriachezza come esperienza creativa
Ci sono varie sezioni del romanzo (e parti del tragitto) che sottolineano la forte connessione, l’inseparabilità di
creatività e ubriachezza.
Si noti la metafora ricorrente con il motivo secondo cui bisogna “buttar la testa indietro come un pianista,
consapevole sia della grandezza del fatto che stava per iniziare che di ciò che è di fronte a lui”
Spesso il bere è presentato come una sorta di prova teatrale, di ripetizione di una parte di teatro.
and the recurring metaphor insist with an almost folkloristic persuasiveness that one should drink “throwing back
[one’s ] head like a pianist, conscious both of the grandeur of the fact that it was just beginning and of what lay
ahead” (1997:4415, see also 53, 78) shows us art and drunkenness as interrelate
Illogicità, fragilità, senso di vulnerabilità, di piccolezza, bisogno di fusione con il mondo, momenti di disperazione sono
tutti stati d’animo che avvicinano l’ubriachezza, la pazzia, l’ascesa mistica. Più che forme di degenerazione del senso
della realtà, sono presentati come possibili visioni, possibilità di accedere ad una comprensione diversa, a volte
superiore, della realtà.
CIT “Venedikt Erofeev è un grande studioso della metafisica dell’ubriacatura. L’alcool per lui è un concentrato di
trascendenza. L’ubriacatura è una possibilità di fuga verso la libertà, la possibilità di diventar parte di un altro mondo”
(Genis, p. 52)
Marmeladov e Venichka
(CONFRONTATE le bellissime descrizioni dell’ubriachezza in La casa di Pushkin: l’ubriachezza del nonno di Leva: il
discorso del nonno con l’ubriachezza di Venichka). L’ubriachezza sembra proporre un versione elevata, sublimata, di
quel mondo pietroburghese irreale, inafferrabile, in cui molti dei personaggi di Bitov vivono. Bitov ha scritto:
CIT “L’ubriachezza è sicuramente una metafora, o forse neanche quello: è un metodo, è un procedimento. Ma ciò che
posso dire è che, beh io ho una grande esperienza personale dell’ubriachezza, la maggior parte dei Russi la hanno, ma
per varie ragioni questo non era stato mai descritto molto nella letteratura russa, anche se ci ha portato il brillante
lavoro di Venedikt Erofeev Mosca-Petushki. Dunque non pretendo di essere un pioniere, ma ho impostato la mia
ricerca in modo indipendente” (Andrej Bitov, Intervista, in Voices of Russian Literature, p. 90)
Oltre ad essere un viaggio fisico è un viaggio dell’anima, un calvario. Questa particolare struttura dà al viaggio un
particolare carattere di testo religioso, lo riporta al genere del pellegrinaggio, e in particolare rende molto rilevante la
consonanza con il testo evangelico
Resoconto di viaggio ed esperienza mistica, pellegrinaggio verso un luogo santo e paradisiaco come Petushki
Piano spirituale e piano corporale del tutto uniti, fusi: basso carnevalesco e sublime insieme
Sin dalle primissime pagine vi è l’ntroduzione di opposizione corpo/anima in un contesto non adeguato con effetto
comico che nasce dalla sproporzione fra la descrizione (le sue bevute) e un’opposizione religiosa e filosofica
importante, enfatica (opposizione anima/corpo).
(Anche se in russo vi è molto più frequente in uso il termine “dusha” che non in italiano. Si sarebbe potuto tradurre
“rinvigorisce lo spirito” e sarebbe stato assai meno enfatico (e forse più giusto))
L’effetto comico è rafforzato dall’accostamento e la sproporzione comica fra il ‘mistero’ di ciò che lui ha bevuto e i
grandi misteri della storia russa: chi ha ammazzato lo zarevic Dimitrij? E il rinforzo dell’effetto comico nasce
dall’assurdità storica che dice: qualsiasi russo di media cultura sa che non poteva esser stato lo carevic Dimitrij ad
uccidere Boris Godunov, che era molto più grande di quel ragazzino ed era al potere.).
Il meccanismo comico primario di questa povest’ è proprio questo parlare di cose basse in un linguaggio alto, elevato
con intonazioni ora filosofeggianti, ora da sermone, ora da passo biblico ora evangelico.
Movimento costante verso l’umiltà: Alternanza di pochi momenti di esaltazione della potenza umana del
ragionamento (l’orgoglio per il suo popolo) a più frequenti momenti di accettazione della proprio piccolezza,
impotenza, sottomessa accettazione del destino (umilienie), umiltà, non sempre avvertita a livello individuale, da
Venichka, ma ampliata su un piano umano, dell’umanità, o nazionale, del popolo russo, con toni quasi profetico-
religiosi:
CIT p. 13, ultimo capoverso prima dell’inizio del paragrafo “O vanità! Quanto tutto è effimero: il momento più
impotente e umiliante dell’esistenza del mio popolo è quello che va dall’alba all’apertura dei negozi. Di quanta canizie
superflua ha costellato tutti quanti noi, malinconici, randagi castani! Vai, Venichka, cammina” (trad Caramitti p. 13)
L’effetto comico qui nasce dall’accostamento di un registro stilistico alto, qui biblico, a una materia bassa. Ciò che fa
ridere è il non adattarsi (l’irrigidirsi) del linguaggio rispetto alla sua materia
CIT “Similar oscillations between the “high” and the “low,” the bodily carnivalesque and the sublime characterize the
ambivalent positions of Venichka the hero and Venichka the narrator. In Erofeev’s narrative, the high and the low do
not negate or annihilate one another, but instead form an ambivalent unity of meaning. In fact, all of the most
stylistically vivid passages are built on the ambivalent conflation of high and low discourses and registers: from the
famous words about spitting on each step of the social ladder to the chapter on cocktails, (…), to the meditation on
the theological nature of the hiccup” (Lipoveckij).
Il treno su cui si ritrova Venichka è veramente uno spazio liminale, di soglia, dà accesso contemporaneamente a due
realtà, quella reale e quella immaginaria.
All’inizio sembra popolato da creature relativamente realistiche, come “la donna dal destino difficile”, baffo nero,
Mitrich e il nipote, il controllore Semnych. Più tardi, nel tragitto di ritorno da Petushki verso Mosca, la vettura
dell’Elektricka è popolata da una quantità di creature del tutto fantastiche: Satana, il re Mitridate, orde di Erinni,
Pietro (forse San Pietro?), la statua dell’operaio e del kolchosiano, e la Sfinge.
Tutti i suoi eroi sono dei disadattati, degli alcolizzati, degli jurodivy, dei pazzi. La loro miseria sociale è un punto di
partenza: il distacco dalla società come condizione necessaria per penetrare nella sostanza delle cose. I prototipi degli
ubriaconi di Erofeev sono gli asceti biblici che che fuggono dalle tentazioni del mondo corrotto nel deserto” (Genis, pp.
49-50)
CIT “creato una galleria di personaggi simili a quelli del romanzo, staccati dalla circostante ‘normale’ realtà dalle pareti
di un manicomio. I discorsi più significativi di questa pièce li pronunciano i pazzi. A loro solo appartiene il diritto di
giudicare del mondo. Mentre i dottori, il personale sanitario sono puri fantasmi, padroni apparenti della vita. Nelle
loro mani vi è il potere temporali, ma non sono capaci di elevarsi all’estasi spirituale di cui vivono i pazienti” (Genis, p.
50).
Se “baffo nero”, “il decabrista”, Mitrich e il nipote, “la donna con un destino difficile” e il controllore Semenych
sembrano creature reali, indipendenti dalla lucidità e consapevolezza di Venichka; altre figure della seconda parte del
viaggio-romanzo, come Satana, la Sfinge, La principessa da un dipinto di Ivan Kramskoj, Pietro e il re Mitridate sono
tutte indubbiamente delle allucinazioni di Venichka. Eppure egli stabilisce con loro un complesso dialogo, e facendo
ciò, ne è in qualche modo trasformato, e inizia a manifestare una coscienza di tipo diverso. Come è stato notato da
Paperno e Gasparov, in realtà quasi tutti i personaggi sono dei “doppi”, dei sosia del personaggio, sue proiezioni
mentali, spessissimo ripetono ciò che lui aveva detto nei suoi monologhi interiori iniziali, ripetono le sue stesse parole
a volte letteralmente.
Più ci si avvicina a Petushki più nel testo crescono i momenti di delirio, di assurdo. Il mondo inizia a vorticare, la realtà
si chiude sempre più nella coscienza malata dell’eroe.
SPAZIO 3 PETUSHKI
CIT “Petushki è il luogo dove gli uccelli non smettono mai di cantare, né di notte né di giorno, dove il gelsomino
d’inverno e d’estate non cessa mai di sbocciare. Forse esiste una cosa quale il peccato originale, ma nessuno se ne
sente aggravato a Petushki”
(CONFRONTA CON CIT La casa di Puskin, pp. 97-98 (Da “E allora che vita fa?...fino a Allora che vita fa)
Petushki rappresenta dunque la realtà ideale, il giardino dell’Eden, il paradiso a cui tendere: e anche il linguaggio per
descriverlo si carica di metafore di sapore biblico “il luogo dove gli uccelli non smettono mai di cantare”, “dove il
gelsomino d’inverno e d’estate non cessa di sbocciare”. L’eroe avvicinandosi alla sua mèta ha perso a tal punto il
contatto con la realtà, la coscienza della realtà sociale degradata rappresentata da Petushki, da vedervi solo una
proiezione dei suoi desideri, un suo personale paradiso.
L’alcool determina un
Eppure Venichka non riuscirà mai ad arrivare alla sua mèta. Il delirio alcolico da cui è preso sembra sconvolgere le
coordinate spazio-temporali per cui il treno sembra tornare (e di fatto torna!) indietro, a Mosca. È sempre il critico
Bachtin (nel famoso saggio “Il cronotopo nel romanzo”) che parla della specificità della dimensione spazio-temporale
di ogni romanzo, o come lui la definisce del “cronòtopo”.
Come ha notato il critico Lipovetskij il cronotopo del romanzo di Erofeev presenta continui elementi di liminalità: lo
spazio-tempo non è mai definito, ma è sempre uno spazio liminale, di soglia. Questa caratteristica si accentua nella
parte finale del romanzo, quando il protagonista perde del tutto la coscienza della dimensione spaziale e temporale e
si chiede: “A cosa ti serve il tempo Venichka?...”
CIT “The liminality of Venichka’s chronotope is especially apparent in the final section of the book, where time
disappears: “What do you need the time for, Venichka? . . . Once you had a heavenly paradise, you could have found
out the time last Friday, but now your heavenly paradise is no more, what do you need with the time?”, and the space
is constructed through oxymoronic fusions such as: “Petushki. Sadovy Circle” and “Petushki. The Kremlin.”
Il martirio di Cristo-Venichka
Rientrando a Mosca, il calvario di Venichka sul treno si trasforma in martirio. Qui viene perseguitato, torturato e
ucciso da quattro figuri.
CIT “Come posso spiegarvi che faccia avevano quei ceffi? No, non erano proprio dei ceffi criminali, piuttosto è vero il
contrario, c’era qualcosa di classico in loro…”
Come interpretare questo passaggio? Quel riferimento al loro aspetto “antico” e “classico”? La critica vi ha visto un
riferimento ai legionari romani che inchiodarono Cristo. Anche Venichka allude al fatto che “lo inchiodano”, e anche i
legionari che hanno ucciso Gesù Cristo erano quattro; e lo stesso Venichka, poco prima di morire ripete le parole di
Cristo prima della morte: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Al tempo stesso quel riferimento all’aspetto impeccabilente “classico”, irreprensibile dei suoi assassini può essere
anche associato ad un altro elemento tipico dell’eroe: la sua idiosincrasia per tutto ciò che è perfetto, irreprensibile,
senza macchia, come sottolinea bene la poetessa e critica Ol’ga Sedakova:
CIT: “In tutto ciò che vi è di perfetto e che tende alla perfezione egli vedeva qualcosa di inumano. Ciò che è umano per
lui era ciò che è imperfetto e verso l’imperfezione egli esigeva che ci si rivolgesse ‘col primo degli amori e l’ultima delle
dolcezze’, e più si era imperfetti e più forte doveva essere questo modo di porsi. Merita il massimo della dolcezza,
secondo lui, chi (cito) “di fronte a tutti si piscia sotto”.
I riferimenti, allusioni e citazioni del poema al Nuovo testamento sono intenzionalmente ambivalenti e ambigue:
possono essere interpretate sia come una forma di blasfemia che come una riattivizzazione del discorso evangelico,
una sua riattualizzazione. È importante notare che certi paralleli con il Nuovo testamento sono intenzionalmente
distorti.
Ad esempio, nel poema non è Gesù/Venichka che fa risorgere Lazzaro (“Alzati e cammina”) ma è lo stesso Venichka
che viene fatto risorgere dalla “donna cattiva”
CIT “Due settimane fa ero in una bara, ero rimasto in quella bara per 4 anni, tanto che avevo già smesso di puzzare. E
le dissero: ‘Guarda, è in una bara. Fallo risorgere, se puoi”
La cosa importante nel testo non né il destino dell’eroe, ma le parole, questo infinito, inarrestabile flusso di discorso
veramente libero, liberato dalla logica, dai legami logico-causali, dalla responsabilità del senso e del significato. In
questo spesso è parola profetica, che come ne Il profeta di Puskin, può bruciare il cuore della gente.
Abbiamo già sottolineato la varietà e differente colorazione stilistica della narrazione e la ricchezza di citazioni. Oltre
ad un evidente livello biblico vi si possono rintracciare diversi tradizioni stilistiche letterarie, tutte per lo più poste in
modo parodico: “falso romanticismo”, simbolismo, imitazioni pseudogogoliane; micro sermoni; discorsi pseudo-
filosofici; citazioni storiche; parodie di stampi e motti ideologici sovietici, espressioni folcloriche ed espressioni del
ricco bacino linguistico del “maternyj jazyk”: gergo carcerario che si è trasformato in linguaggio scurrile. A questo
vanno aggiunti un complessa serie di riferimenti intertestuali, ad altri testi letterari (che ha dato vita a ben due
commenti: Ju. Levin, Vlasov)
CIT osservate la traduzione italianda a p. 31 DA “gli ho dato da leggere il poema di Blok…” FINO A “aeroporto
internazionale di Sheremet’evo”
CIT «А потом (слушайте), а потом, когда они узнали, отчего умер Пушкин, я дал им почитать «Соловьиный сад»,
поэму Александра Блока. Там в центре поэмы, если, конечно, отбросить в сторону все эти благоуханные плечa
и неозаренные туманы и розовые башни в дымных ризах, там в центре поэмы лирический персонаж,
уволенный с работы за пьянку, блядки и прогулы. Я сказал им: «Очень своевременная книга, — сказал, — вы
прочтете ее с большой пользой для себя». Что ж? Они прочли. Но, вопреки всему, она сказалась на них
удручающе: во всех магазинах враз пропала вся «свежесть». Непонятно почему, но сика была забыта, вермут
был забыт, международный аэропорт Шереметьево был забыт, — и восторжествовала «Cвежесть», все пили
только « Cвежесть». О, беззаботность! О, птицы небесные, не собирающие в житницы! О, краше Cоломона
одетые полевые лилии! — они выпили всю «Cвежесть» от станции Долгопрудная до международного
аэропорта Шереметьево!» (1990: 33)
Ecco come il critico Lipovetskij individua numerosi livelli stilistici e linguistici di questo passaggio: vi coglie
dall’imitazione ironica dello stile dei poeti simbolisti, a un brusco abbassamenti del livello lessicale con il ricorso ad
espressioni decisamente volgari, alla citazione degli slogan leniniani, con un ritorno finale alla poeticità. Vi vede una
metamorfosi continua di registri stilistici e lessicali differenti:
CIT “This passage’s stylistic trajectory is best described as a downward parabola. The beginning features an ironic
imitation of Symbolist style (“the perfumed shoulders, the unilluminated mists, the rosy towers in smoky vestments”),
only to descend sharply, first into vulgarity (“for drunkenness, whoring, and absenteeism”) and then into the Lenin
quote (“It’s a very contemporary book”). But the final part of this passage is a provocative return to the poetic key.
Moreover, the name of the “Freshen-up” cologne is semantically associated with Alexander Blok’s “Nightingale
Garden” (“Freshen-up triumphed”) and placed within a stylistic context that is biblical (“Oh, the lilies of the field are
dressed more beautifully than Solomon...”).
Lipovetskij conclude:
CIT “The result is a metamorphosis of several stylistic and discursive registers. The collision of the parody of symbolist
style with vulgarity and ideological clichés produces an effect that is at once comically debasing and elevating: the
emotional impact of poetry finds expression in an increased consumption of the cologne “Freshen-up,” and the
circumstances are retold in the language of the biblical “Song of Songs.” (da Lipovetskii, p. 166-167)
Erofeev e l’underground tardo-sovietico
Mark Lipovetski vede nell’autore e nel romanzo la quintessenza di quell’ironica ambivalenza che ha caratterizzato
tanti autori dell’underground tardo-sovietico. Vede in particolare nel suo eroe un “tragico imbroglione” (“a tragic
trickster”) molti dei tratti di altri autori del posmodernismo tardo-sovietico, da Prigov ai Mit’ki: un continuo e
irriverente gioco con opposti linguaggi politici, quello ufficiale e quello della dissidenza, quello serio e quello comico.
Vi è in loro un rifiuto di accettare un confine netto fra serietà e comicità (come era nella cultura sovietica):
CIT “refusal to accept any boundary between seriousness and humor, support [for the regime] and opposition, sense
and nonsense” (Alexei Yurchak, Everything Was Forever Until It Was No More: The Last Soviet Generation 243)
L’artista-scrittore underground gioca con diversi registri linguistici senza mai identificarsi in nessuno di loro. Non vi è
mai una presa di posizione, vi è sempre un ritrarsi rispetto a posizioni manichee: di adesione al mondo sovietico (tipico
degli scrittori sovietici) o di ferma opposizione e di lotta contro di esso (tipico dei dissidenti). Questo atteggiamento è
tipico ad esempio del gruppo underground leningradese dei Mit’ki, il cui motto era “I Mit’ki non vogliono sconfiggere
nessuno” (“Mit’ki nikogo ne khotiat pobedit’”).
CIT “Attraverso un atteggiamento ironico verso la vita, essi hanno creato una zona fra l’interno e l’esterno dei confini
tracciati dal discorso autorevole sovietico… una zona che rifiutava i confini fra vita normale e vita politica e costituiva
un mondo oltre. I Mit’ki rifiutavano l’effetto sociopolitico di questi confini, si rifiutavano di adattarsi alle due posizioni
che quei confini creavano, la posizione di ‘attivista’ filosovietico o di ‘dissidente’ anti sistema” (Yurchak, ivi)
Una posizione simile occupa Erofeev che si rifiuta di rientrare negli schemi oppositivi di “sovietico” vs “dissidente”.
Venichka esclama programmaticamente una posizione di estraneità a quegli schemi, di umiltà e indifesa:
CIT p. 12 “Tutto al mondo deve aver luogo in modo lento e fallace, perché non possa inorgoglire l’uomo, perché
l’uomo sia triste e sbigottito” (p. 12)
Forse non è un caso che tutti le quattro opere più significativi di questo periodo, della “stagnazione”, ovvero La casa di
Puskin, La valigia, Buona notte! e Da Mosca a Petushki abbiano una forte componente autobiografica. L’esperienza
che questi autori e i loro alter-ego letterari stavano vivendo – l’isolamento culturale o “emigrazione interna” (Leva-
Bitov), l’emigrazione (Serezha-Dovlatov), l’arresto (Terc-Sinjavskij), la marginalità dovuta all’alcolismo (Venichka
Erofeev) – ha qualcosa in comune di eccezionale: offre loro una prospettiva privilegiata per osservare i meccanismi
della vita sovietica, perché offre loro una particolare distanza. Per ragioni diverse finiscono tutti al di fuori della
“normale vita sovietica” e questo permette loro di osservare il potere disgregatore della vita sovietica sulla loro pelle,
sulla loro esistenza. La realtà sovietica li allontana e li rifiuta, e grazie a questo rifiuto, e al dolore che questo rifiuto
comporta, la loro esperienza personale diventa in qualche modo significativa, degna di essere raffigurata in
letteratura. E ognuno di loro lo fa in un modo diverso e uno stile molto personale, utilizzando una particolare struttura
narrativa, un particolare timbro d’intonazione, una diversa distanza emotiva rispetto al proprio vissuto che si riflette in
una scrittura unica e particolare.