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Quaderni di Sociologia
26/27 | 2001 :
La società italiana
Lavoro, dirigenti, sindacati
Note dell'autore
Per informazioni, commenti e critiche ho un debito nei confronti di Luciano Gallino,
Diego Gambetta, Alberto Marradi, Angelo Pichierri, Luca Ricolfi e Pietro Rossi.
Testo integrale
I dati qui riportati sono tratti da due ricerche – promosse dal Cespe,
dall’Istituto Gramsci di Torino e dalla Federazione del Pci di Torino e dirette da
chi scrive – sugli atteggiamenti politici e industriali di due ampi campioni di
lavoratori manuali e non, occupati in diversi stabilimenti della Fiat. Ringrazio
l’Istituto di scienze economiche e sociali «Antonio Gramsci» di Torino – ente
proprietario dei dati – per avermi consentito l’accesso ai dati e per aver
sostenuto i costi di elaborazione.
L’Italia, dicevamo, digerisce tutto, la sua forza sta nella mollezza degli apparati,
nella pieghevolezza degli uomini politici, nelle capacità di adattamento degli
italiani. È un materasso, il sistema italiano, Pasolini avrebbe detto una ricotta.
O, se preferisce, flectar non frangar.
E noi, torinesi, ci siamo sempre sentiti un po’ stranieri in patria proprio per
questo: siamo una gente montanara, Torino ricorda le antiche città di
guarnigione, i doveri stanno prima dei diritti, il cattolicesimo conserva
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1. Oggetto e scopi
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2. I problemi
8 La marcia dei quarantamila pone una serie di interrogativi tra loro connessi,
ai quali sono state sinora fornite risposte contrastanti o insoddisfacenti. La
prima controversia riguarda la stima più attendibile del numero dei
partecipanti al corteo. Un servizio giornalistico trasmesso dalla radio parlò di
quarantamila persone; quello televisivo di ventimila; il quotidiano «La
Stampa», a cui si deve il più ampio servizio giornalistico sull’evento, stimò in
trentamila i partecipanti al corteo. È probabile che una stima attendibile sarà
disponibile solo agli storici futuri, quando potranno avere accesso ai rapporti
della polizia. È tuttavia significativo che, per designare la manifestazione, si sia
imposta l’etichetta più favorevole agli interessi dei suoi organizzatori. È un
sintomo del riconoscimento, anche da parte degli oppositori, dell’importanza
dell’avvenimento e delle sue conseguenze.
9 Un secondo interrogativo riguarda la composizione del corteo. I partecipanti
furono solo o prevalentemente lavoratori occupati alla Fiat o anche persone
esterne all’azienda?4 Anche ammettendo che la prima risposta sia la più
attendibile, quale fu la composizione professionale del corteo? Il cronista de
«La Stampa» indica «capi, impiegati, operai»; quello de «l’Unità» afferma:
«Non sono (solo) i capi-squadra, i capi-reparto o i dirigenti, magari
accompagnati da mogli e figli: ci sono anche gli impiegati..., i tecnici; ci sono
anche molti operai».
10 Su questa eterogeneità professionale dei partecipanti al corteo esiste un
consenso pressoché unanime da parte di tutti gli osservatori. Nessuno di loro
ha tuttavia azzardato una stima del contributo percentuale assicurato al corteo
da ciascun gruppo occupazionale5. Lo stesso si può dire a proposito della
composizione etnica (o, se si preferisce, linguistica) dei partecipanti. Si trattò,
come sostenne qualche osservatore, di un corteo formato prevalentemente da
torinesi o vi parteciparono anche persone originarie di altre regioni italiane?
11 Interrogativi riguardano anche il linguaggio della mobilitazione e, in
particolare, i rituali adottati dai partecipanti. Le cronache ci riferiscono che il
corteo si svolse in silenzio, rotto solo dalla lettura al megafono del testo del
documento che gli organizzatori consegnarono al prefetto e ai responsabili
degli enti di governo locale. Questo rituale collettivo, in netto contrasto con la
concitazione e l’effervescenza che caratterizzarono l’assemblea precedente,
venne mantenuto dai partecipanti anche quando furono esposti alle
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i. la più semplice, assai diffusa tra i militanti di base della Flm e del Pci,
afferma che capi e quadri intermedi si sarebbero «venduti» alla
direzione aziendale e avrebbero agito come docili strumenti nelle sue
mani6.
ii. Più sofisticata è invece l’interpretazione secondo la quale i
partecipanti al corteo avrebbero «avuto come un ruolo che non si
prefiggevano». Essi sarebbero stati «protagonisti inconsapevoli» di una
manovra di cui ignoravano i fini. Non sarebbero quindi «usciti per
rivendicare un ruolo autonomo», ma si sarebbero «semplicemente
limitati a schierarsi con la Fiat».
iii. Altri infine, pur riconoscendo che l’azione collettiva era – almeno in
parte – il frutto degli sforzi organizzativi dell’associazione dei quadri e
dei capi intermedi, hanno energicamente sottolineato il ruolo della
direzione aziendale come «regista» della stessa7.
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gli) scioperi operai – a partire dall’inizio del Novecento e, in Italia, almeno sino
alla fine degli anni ’508.
21 Il fatto che esso sia stato così prontamente adottato dalle organizzazioni del
movimento operaio a Torino potrebbe essere considerato come una conferma
empirica dell’indipendenza e dell’autonomia dell’ideologia dal substrato di
relazioni sociali strutturali. Altri potrebbero invece scorgervi l’influenza
egemonica delle ideologie della classe dominante (in questo caso, d’antan)sulle
rappresentazioni del proletariato. La prontezza con la quale interpretazioni di
questo tipo furono criticate e abbandonate dai rappresentanti del movimento
operaio a Torino non dovrebbe tuttavia far ritenere che loro residui siano ancor
oggi del tutto assenti nel senso comune di militanti politici e sindacali, a Torino
e altrove. D’altro canto, questo arsenale analitico non sembra essere del tutto
incongruente, come vedremo, con la costellazione di credenze e
rappresentazioni del mondo sociale che hanno orientato l’azione di gran parte
del movimento operaio a Torino negli anni ’70.
22 Un elemento verosimile di questo insieme di interpretazioni è la possibilità
che la direzione della Fiat abbia rafforzato le reti di comunicazione a
disposizione degli organizzatori, facilitando in questo modo la partecipazione al
corteo9.
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30 Un’analisi sommaria del «gioco» tra Flm e Fiat dell’autunno 1980 mostrava
con chiarezza che:
i.
◦ Verso la fine del mese di settembre la Fiat cambiò radicalmente
la sua decisione iniziale, presa probabilmente per stimolare una
risposta altrettanto radicale da parte della Flm. In quel periodo,
infatti, la direzione aziendale decise di sospendere i 14.000
licenziamenti annunciati.
◦ Al posto di una decisione temibile, appunto perché generica, la
Fiat rese nota un’altra decisione, questa volta specifica
(contenente cioè l’indicazione dei nomi) ma più «morbida» della
precedente: quella di mettere in Cassa integrazione guadagni
poco meno di 23.000 dipendenti. La forma in cui questa
decisione unilaterale venne presa e comunicata agli interessati
suscitò una forte reazione da parte della Flm, che parlò tra l’altro
di «lista di proscrizione».
◦ La discussione all’interno della Flm (e più in generale del
movimento operaio torinese) sulla risposta da dare alla decisione
della direzione della Fiat fu accesa e accanita. Alla fine prevalse la
decisione della segreteria locale e nazionale della Flm: «dare una
spallata» alla vertenza, costringere la direzione aziendale a
ritirare la decisione presa e adottare forme di rotazione
nell’applicazione dei provvedimenti di Cassa integrazione. Fu così
deciso di confermare le forme di conflitto adottate in occasione
dell’annuncio dei licenziamenti: picchetti alle porte degli
stabilimenti, blocco delle merci e delle attività ecc.
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Va ricordato che l’associazione dei capi e dei quadri intermedi della Fiat fu
fondata nel 1974. A partire da quella data, numerosi furono i sintomi di un
progressivo rafforzamento dell’organizzazione di rappresentanza, nonché quelli
di una sua crescente autonomia dalla direzione aziendale.
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non. Finché nella memoria collettiva di questi ultimi resterà traccia della
marcia dei quarantamila, a Torino e altrove, nessuna forma di solidarietà potrà
essere richiesta dalle rappresentanze dei quadri intermedi a quelle dei
lavoratori esecutivi, né queste ultime potranno far proprie (se non a scopi
tattici) rivendicazioni o pretese espresse dalle prime.
41 Gli explananda a cui fanno riferimento questi argomenti sono almeno due:
lo svolgimento della marcia dei quarantamila e la scarsa partecipazione operaia
agli scioperi e alle assemblee, per lo meno a partire da uno specifico momento
della vertenza. Solo il primo e il terzo argomento riguardano l’oggetto di questo
lavoro. Per quanto attiene al secondo, singolarmente antileninista, mi limiterò
qui a sottolinearne la timidezza. Esso fa riferimento a un fenomeno noto – la
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Situazione di lavoro
Note: (1) impiegati esecutivi, compresi tra il II e V livello; (2) impiegati tecnici e professionali, di V
livello super e VI; (3) capi ufficio o laboratorio, di VI e VII livello; (4) funzionari di VII livello.
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53 Questa stima dev’essere accolta con prudenza, dato che una dichiarazione di
preferenza di azione e di rappresentanza collettive non equivale affatto alla
partecipazione effettiva a una manifestazione, svoltasi tra l’altro sei mesi dopo
la rilevazione dei dati qui considerati. Non esistono tuttavia altri elementi che
limitino l’attendibilità della stima presentata. Possiamo quindi, sulla sua base,
avanzare qualche ragionevole congettura.
54 La prima considerazione è che l’espressione di «corteo dei capi» riferita alla
manifestazione del 14 ottobre 1980 può forse essere vera a proposito dei capi
intermedi delle officine; non lo è invece in relazione agli impiegati degli uffici.
Da quest’ultimo punto di vista l’espressione ricordata dovrebbe trasformarsi in
quella, più appropriata, di «corteo di capi e di aspiranti capi»17. Si fa, in
secondo luogo, apprezzare ancora una volta la razionalità (e, in parte,
l’opportunismo) dei comportamenti della leadership dell’associazione
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Torino in cui si è svolto il sondaggio riguardante gli operai risulta che erano
nati in Piemonte (tra parentesi, la percentuale dei nati a Torino e il numero dei
casi):
i.
◦ il 25,5% degli operai comuni (71,3%; n=4177);
◦ il 37% degli operai semiqualificati (25,8%; n=1898);
◦ il 56,1% degli operai qualificati (37,3%; n= 1149);
◦ il 52,3% degli operatori e degli intermedi (37,2%; n=255);
◦ il 52,6% dei capi squadra di officina (32,2%; n =110);
◦ il 76% dei capi reparto e dei vice-capi di officina (57,2%;
n=142).
59 Le percentuali dei piemontesi e dei torinesi sono ancora superiori tra gli
impiegati delle 14 unità produttive campionate in provincia di Torino. Erano
nati in Piemonte o a Torino:
i.
◦ il 69% degli impiegati esecutivi (55,2%; n= 462);
◦ il 70,9% degli impiegati tecnici o professionali (55,7%; n=378);
◦ l’80,3% dei capi degli uffici o dei laboratori (58,9%; n=154);
◦ l’80,1% dei funzionari e degli ispettori (69,1%; n=59);
◦ il 78,3% dei dirigenti (73%; n=21).
60 Sulla base di questi dati si può ragionevolmente escludere che nel corteo dei
quarantamila vi fosse una percentuale rilevante di capi e quadri intermedi nati
in regioni italiane diverse dal Piemonte. Lo slogan con cui un giornale di
sinistra intitolò, il giorno successivo alla manifestazione, l’articolo relativo
(Arrivano i piemontesi!) sintetizza con efficacia uno dei principali caratteri
dell’azione collettiva. Uno dei più importanti, perché difficilmente la
manifestazione si sarebbe svolta, e svolta nei modi descritti, se non fosse
esistito il cemento della comunanza culturale e linguistica. E se esso non avesse
favorito la formazione di una solidarietà di ceto, e dei relativi onori e rituali, tra
i capi e i quadri intermedi della Fiat.
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100 100
N. (8.006) (1.010)
63 La comparazione dei dati riportati nelle colonne della tab. 3 mostra, in
apparenza, come sia onorato – negli stabilimenti torinesi della Fiat – il
concetto sociologico di ascrizione. Si tratta tuttavia di un’impressione
superficiale. In realtà, i nati nella provincia di Torino dispongono – a parità di
livello di inquadramento o di posizione nella gerarchia aziendale – di livelli di
istruzione formale (misurata in anni di frequenza scolastica) e di tempi di
apprendimento delle mansioni superiori a quelli detenuti da operai nati in altre
regioni italiane e, in particolare, a quelli nati nelle regioni meridionali. In altri
termini, questi ultimi occupano le posizioni meno pregiate in quanto
dispongono di un saper-fare inferiore rispetto ai loro colleghi torinesi o
piemontesi (v. tab. 4).
64 Il problema è tuttavia più complesso di quanto non sembri in apparenza. Il
fatto che negli stabilimenti torinesi della Fiat vengano utilizzati criteri di
allocazione delle mansioni basati su attributi acquisiti e non ascritti può
trasformarsi di fatto, data la minor qualificazione e istruzione degli operai
meridionali, in una forma di esclusione comunitaria. La condizione di questi
lavoratori sarebbe così analoga a quella dei lavoratori industriali del secolo
scorso in Europa, i quali non erano ammessi al voto per difetto di istruzione o
di altre risorse23. Il singolo operaio istruito o possidente aveva allora il diritto
di votare, così come un operaio meridionale qualificato può ragionevolmente
aspirare a svolgere mansioni non esecutive alla Fiat. Il problema è che la
maggior parte del proletariato industriale era allora analfabeta o quasi né
disponeva di qualche tipo di patrimonio, così come la maggior parte degli
operai meridionali occupati negli stabilimenti Fiat negli anni 1960-80 era
scarsamente istruita e qualificata. Le probabilità di poter un giorno partecipare
a pieno titolo alla vita politica e quelle di poter migliorare la propria posizione
sono, per la stragrande maggioranza dei membri di questi due gruppi sociali,
ridotte o ridottissime.
Tab. 4. Valori medi del livello di istruzione (istruz, misurata in anni di frequenza
scolastica) e del tempo di apprendimento della mansione (tam, Misurato in giorni)
secondo la posizione nella gerarchia aziendale e il livello di inquadramento
formale e la zona geografica di nascita. I valori indicati con asterisco riguardano
un numero di casi inferiore a 40 (al minimo 8). Lavoratori occupati in 21 unità
produttive della Fiat nella provincia di Torino.
Piemonte
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Altre regioni
del Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud
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68 In ogni caso, i membri di una comunità esclusa sono titolari di uno «status
negativo onnicomprensivo», in cui «la subordinazione viene esperita attraverso
una miriade di degradazioni personali e dirette, nonché di affronti alla dignità
umana»24. Essi formano tendenzialmente una classe sociale di riproduzione,
che offre ai suoi membri scarse possibilità di scappatoie individuali. Le uniche
vie d’uscita disponibili sono collettive. La prima è l’isolamento difensivo verso
l’ambiente esterno, fonte incessante di frustrazioni e di affronti. Esso viene in
genere realizzato mediante l’elaborazione di un modello di partecipazione
politica subculturale, inteso a fornire gli strumenti simbolici di acquisizione
dell’identità e di forme di solidarietà, nonché di qualche forma di protezione
dei membri nei confronti della società globale. La seconda è la partecipazione
politica a fini universalistici o, meglio, il tentativo di trasformare un conflitto
comunitario in un conflitto di classe, la subcultura in un movimento politico e
sociale. Quest’ultimo sembra essere appunto il caso degli operai meridionali
immigrati a Torino e occupati alla Fiat e in altri stabilimenti industriali della
città.
Zona di nascita
Situazione di lavoro
Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole
Zona di nascita
Situazione di lavoro
Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole
e professionali
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7. Considerazioni conclusive
71 La marcia dei quarantamila rafforza un insieme di tendenze, già evidenti
nella società italiana alla fine degli anni ’70, verso una diversa distribuzione del
potere e del vantaggio sociale. Essa segna la fine della politica dell’uguaglianza
degli anni ’70, l’arresto di un processo di redistribuzione delle risorse a favore
delle classi subordinate e di delegittimazione delle tradizionali gerarchie di
status. Vista da questa prospettiva, la marcia dei quarantamila potrebbe essere
interpretata come un contributo offerto alle forze che operavano (e tuttora
operano) in direzione di un riequilibrio del sistema di stratificazione. Se si tiene
conto della storia delle disuguaglianze nel nostro paese e del peso che questa
tradizione ha nell’orientare decisioni, aspettative, credenze di singoli e di
gruppi sociali, l’esistenza di queste forze non può meravigliare26.
72 Il contributo specifico della manifestazione di Torino al successo di una
nuova politica della disuguaglianza fu quello di mostrare pubblicamente, per la
prima volta dopo dodici anni, l’entità delle forze disponibili a sostenerla e la
loro determinazione nel negare qualsiasi valore all’esperienza storica
precedente. Dando voce, identità e dignità a queste forze la marcia dei
quarantamila ha fortemente contribuito a legittimare le pretese di larghi strati
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Avvertenza metodologica
75 I dati presentati in questo lavoro sono tratti da due ricerche, svolte nel 1980,
in diverse unità produttive della Fiat – situate in Piemonte e in altre regioni
italiane. In ciascuna unità produttiva considerata (36 per gli operai; 17 per gli
impiegati) è stato estratto casualmente un campione (di squadre per gli operai,
di uffici per gli impiegati) a grappolo, stratificato per officina o per direzione e,
per gli operai, anche per turno. La percentuale di squadre campionata
corrisponde a circa il 20% degli occupati nelle unità produttive che contavano
più di 3000 dipendenti e al 30% nelle unità produttive di dimensioni inferiori.
Nelle unità produttive di medie o piccole dimensioni (sotto i 300 dipendenti) la
percentuale del campione è stata intorno al 50% dell’universo. In alcuni casi di
unità produttive assai piccole, il questionario è stato somministrato
all’universo. Questa decisione di variare le dimensioni dei campioni è stata
presa i) in relazione al tipo di oggetto campionato e ii) all’opportunità di
consentire analisi adeguate (cioè con un numero sufficiente di casi) anche nei
casi di unità produttive piccole o piccolissime.
76 I dati presentati in questo lavoro sono stati ponderati tenendo conto del
rapporto tra campione e universo, in relazione a ciascuna unità produttiva
considerata. Ciò per evitare errori dovuti al sovra- o sottocampionamento.
77 I dati percentuali ponderati differiscono tuttavia assai poco (al massimo 2
punti percentuali) da quelli non ponderati. Il numero dei casi riportato nel
testo e nelle tabelle corrisponde sempre a quello dei rispondenti.
78 Data la presenza di dati tratti da più campioni, nelle tavole di contingenza ho
preferito non indicare i valori del chi quadrato. Ho invece indicato i valori del
coefficiente di incertezza asimmetrico, che sono interpretabili in modo analogo
a quello di R2, ovvero come un rapporto tra varianza spiegata e da spiegare.
Note
1 Cfr. E. Scalfari, La cura Agnelli per l’Italia, «la Repubblica», 25 novembre 1982. La
frase è tratta dall’intervista all’avv. Giovanni Agnelli.
2 Qualcuno ha anzi affermato che gli oppositori ottennero, seppur di stretta misura, la
maggioranza tra i partecipanti alle assemblee. Accertare la verità sembra oggi pressoché
impossibile. Non risulta che sia stato effettuato un conteggio sistematico dei voti nelle
singole assemblee né che sia stata effettuata la somma dei voti, secondo le preferenze, in
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relazione a tutte le assemblee che allora si svolsero. In ogni caso, se esistono, questi dati
non sono mai stati resi pubblici. Sono invece disponibili, in relazione a molte assemblee,
le percentuali dei voti favorevoli e contrari. Manca tuttavia sovente l’indicazione del
numero dei partecipanti.
Osservatori privilegiati riferiscono che in molti casi furono effettuati errori nel
conteggio, a sfavore degli oppositori. «Fu una votazione analoga a quella del referendum
del 1946, quando si scelse tra monarchia e repubblica» – ha commentato recentemente
uno di essi.
3 Per la ricostruzione della cronaca dei cosiddetti «35 giorni», ho consultato i quotidiani
«Avanti!», «il manifesto», «il Sole - 24 Ore», «la Repubblica», «La Stampa», «l’Unità».
Resoconti successivi sono contenuti in Fiat: storia di una lotta, «Bollettino mensile di
documentazione della Federazione piemontese Cgil, Cisl, Uil», n. 36, monografico,
1980; P. Kemeny, Sindacato e lavoratori nella vertenza Fiat dell’ottobre 1980, Cesos,
Roma 1982; E. Mattina, Fiat e sindacati negli anni ’80, Rizzoli, Milano 1981; M. Bianchi
e L. Scheggi (con la collaborazione di P. Artemi), Un sindacato per i quadri, Editoriale
del Corriere della Sera, Milano 1982 (supplemento al n. 42, 1982, de «Il Mondo»); A.
Dina, Fiat: i «35 giorni» e dopo, «Classe», vol. XII, 1981, n. 19, pp. 5-36.
4 È molto probabile che l’opinione espressa da un operaio nel corso della discussione
dell’accordo tra Fiat e Flm, ovvero che i partecipanti fossero in prevalenza «gente venuta
dal di fuori, pagata dall’azienda con i nostri soldi», abbia goduto di un certo consenso
tra i partecipanti alle assemblee svoltesi a Torino alcuni giorni dopo la manifestazione.
La dichiarazione è riportata nel fascicolo citato di «Controinformazione», p. 82. Altri
osservatori affermano che al corteo si aggregarono lavoratori occupati in aziende del
cosiddetto «indotto Fiat», ovvero fornitrici dell’azienda torinese. Qualcuno, infine,
ritiene che al corteo parteciparono spontaneamente anche semplici cittadini, che
manifestarono così il loro consenso.
5 Un dirigente dell’Unionquadri, Corrado Rossitto, ha ammesso che la maggior parte dei
partecipanti al corteo non era costituita da capi o quadri intermedi: «Il 14 ottobre a
Torino agli ottomila quadri della Fiat si sono uniti trentaduemila operai, impiegati,
commercianti, cittadini in generale».
6 Un disegno comparso il giorno dopo davanti alle porte dello stabilimento di Mirafiori
raffigurava i capi come delle marionette o robots, il cui comportamento era regolato a
distanza dall’avvocato Agnelli.
7 Cfr. R. Gianotti, La risposta a quel corteo, «l’Unità», 15 ottobre 1980.
8 Questi antecedenti storici, teorici e ideologici, delle teorie sociologiche moderne
dell’azione collettiva sono stati ricostruiti ed esposti in A. Melucci, Classe dominante e
industrializzazione. Ideologie e pratiche padronali nello sviluppo capitalistico della
Francia, Angeli, Milano 1974.
9 Un giornalista di solito ben informato ha affermato: «Non che l’iniziativa mancasse di
mezzi e di appoggi autorevoli. Al contrario: dai piani alti di corso Marconi, dove ha sede
il quartier generale della holding, erano arrivati non solo incoraggiamenti verbali, ma
anche indirizzari per l’invio di 18 mila lettere ad altrettanti capi intermedi e telefonate a
tappeto dell’ufficio personale per rinnovare l’invito a essere presenti» (R. Chiaberge,
L’ora dei capi, «Il Mondo», vol. XXXI, 1980, n. 44).
10 L’ipotesi dell’«assemblea retribuita», dei «capi che avevano timbrato il cartellino»
prima di partecipare alla manifestazione è stata fatta propria da quasi tutte le reazioni
immediate degli esponenti sindacali e del Pci.
L’ipotesi delle possibili sanzioni aziendali è soprattutto presente nelle interpretazioni
sindacali. Si vedano le dichiarazioni di esponenti della V lega Flm di Mirafiori, riportate
nell’articolo di G. Compagna, A Torino 40 mila in corteo, «il Sole - 24 Ore», 15 ottobre
1980.
11 A. Pizzorno, Marché, démocratie, action collective, ms non pubblicato, Parigi 1975,
citato da Melucci, L’azione ribelle, cit.
12 La stima di 600 partecipanti è contenuta nell’articolo di G. Compagna, Silenzioso
corteo antisciopero davanti ai presidi di Rivalta, «Il Sole - 24 Ore», 10 ottobre 1980.
Quella di 800 nell’articolo di B. Ugolini, Intanto Torino vive nuove ore di tensione,
«l’Unità», 10 ottobre 1980. Il sottotitolo dell’articolo, in contrasto con il suo contenuto,
è il seguente: «La Fiat, facendo leva sul disagio dei capi, tenta di dividere e di
organizzare vere e proprie azioni squadristiche».
13 R. D. Luce e H. Raiffa, Games and Decisions, Wiley, New York 1957, p. 14.
14 Dello stesso parere è D. Gambetta in The FIAT-strike: Turin, September-October
1980, ms non pubblicato, Cambridge 1981.
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La rigidità decisionale del sindacato dovrebbe essere spiegata, secondo questo autore, in
riferimento a due variabili: i) l’inerzia: «una volta messa in moto la macchina dello
sciopero a oltranza è difficile fermarla» (l’affermazione è del segretario generale della
Cgil, Luciano Lama), e ii) l’influenza del Pci, diretta a radicalizzare la vertenza per trarne
vantaggio a livello politico generale. Va ricordato che nel corso della vertenza, il governo
Cossiga fu costretto a dimettersi.
Il primo argomento, come riconosce lo stesso Gambetta, non ha senso alcuno, a meno
che non sia possibile spiegare perché quella macchina sia inarrestabile. Il secondo è
contraddetto dall’evidenza raccolta da chi scrive nel corso di alcune interviste a
testimoni privilegiati nel Pci, nella Flm e nella Cgil torinesi. Secondo questi informatori,
furono gli organi nazionali e regionali della Flm a insistere sull’opportunità di «dare una
spallata» alla vertenza, ovvero a cercare di costringere la Fiat, attraverso lo sciopero a
oltranza, a ritirare l’elenco dei 23.000 «cassa-integrati» e ad adottare forme di rotazione
dei lavoratori da mettere in cassa integrazione. È probabile che il grado di conoscenza
disponibile alla leadership della Flm sulle motivazioni e sulle propensioni ad agire dei
lavoratori manuali occupati alla Fiat fosse alquanto rozzo e approssimato. Chi vuole
dare una «spallata» deve in genere stimare non solo la natura dell’ostacolo, ma anche
l’entità delle sue forze.
15 Il cartello recava questa scritta: «Non siamo picchiatori». Va osservato, in proposito,
il brusco mutamento di atteggiamento della leadership del Coordinamento quadri e capi
intermedi della Fiat, avvenuto nella seconda decade di ottobre. Ci furono infatti esplicite
ammissioni di responsabilità dell’associazione nell’organizzazione dei numerosi
tentativi di sfondamento dei presidi operai avvenuti nei primi giorni di ottobre. Un
dirigente dell’associazione giustificò così queste azioni: «I capi sono di origine operaia e,
magari un po’ in ritardo, hanno imparato che in certi momenti un po’ di grinta non
guasta. Se ci sono i picchetti, chi è fuori legge: io che voglio entrare o chi non mi vuole
fare entrare?» (G. Compagna, I quadri intermedi rivendicano la libertà di lavoro, «il
Sole - 24 Ore», 10 ottobre 1980). È molto probabile che il successo della manifestazione
di Rivalta abbia indotto l’associazione dei capi e dei quadri a rivedere la propria
strategia di azione e a decidere le forme organizzative della manifestazione del 14
ottobre.
16 Cfr. F. Parkin, Marxism and Class Theory: a Bourgeois Critique, Tavistock, Londra
1978, p. 111.
17 La scelta dell’azione collettiva è influenzata, oltre che dalla situazione del lavoro, dalle
valutazioni dei soggetti in relazione alle proprie prospettive di carriera. A parità di
posizione nella gerarchia aziendale, infatti, sono anzitutto coloro che affermano che «la
carriera non interessa» a manifestare la più forte propensione a una rappresentanza
comune con gli operai, seguiti da coloro che affermano di avere prospettive «cattive» o
«pessime» di carriera e, infine, da coloro che ritengono di avere possibilità «ottime»,
«molto buone» o «abbastanza buone» di carriera. L’inverso è vero per chi preferisce una
rappresentanza autonoma da quella degli operai. La considerazione della variabile
interveniente nel modello provoca un aumento notevole dei valori dei tests di
associazione tra le variabili indicate nella tabella 1.
18 Si ricordi la dichiarazione riportata nella nota 5 di questo lavoro.
19 Questa è un’espressione tipica del gergo diffuso tra i capi intermedi occupati alla Fiat.
20 Si vedano, ad esempio, le dichiarazioni di A. Lettieri riportate da Chiaberge, L’ora dei
capi, cit., nonché gli articoli pubblicati su «Nuova Società», vol. VIII, 1980, n. 182, pp.
9-13.
21 Cfr. D. Lockwood, Race, Conflict and Plural Society, in S. Zubaida (a cura di), Race
and Racialism, Tavistock, Londra 1970, pp. 57-72 e, per una discussione critica della
letteratura più recente, Parkin, Marxism and Class Theory, cit.
22 Oltre ai testi indicati nella nota precedente si veda A. Smith, The Ethnic Revival,
Cambridge University Press, Cambridge 1981.
23 Cfr. F. Parkin, Strategies of Social Closure in Class Formation, in F. Parkin (a cura
di), The Social Analysis of Class Structure, Tavistock, Londra 1974, pp. 7-8.
24 Si veda Parkin, Marxism and Class Theory, cit., p. 64.
25 Cfr. Lockwood, Race, Conflict and Plural Society, cit., p. 64.
26 Si veda ad esempio R. Romano, Una tipologia economica, in Storia d’Italia, I. I
caratteri originali, Einaudi, Torino 1972, pp. 256-308.
27 Poscritto (marzo 1984) La lunga marcia dei quadri e delle loro associazioni verso il
riconoscimento giuridico della loro distinzione rispetto agli impiegati esecutivi è
https://journals.openedition.org/qds/1608 05/07/2018
La marcia dei quarantamila (1984) Pagina 23 di 23
proseguita in Italia nel periodo che intercorre tra il dicembre 1982 (data in cui questo
lavoro venne ultimato) e oggi. La contrattazione con i partiti politici e il Parlamento è
ancora aperta; i suoi risultati non sono per ora visibili.
Per quanto riguarda le pubblicazioni che non ebbi modo di consultare, vorrei segnalarne
almeno due. Luc Boltanski ha sviluppato in un libro notevole (Les cadres: la formation
d’un groupe social, Les Edition de Minuit, Parigi 1982) le idee contenute nell’articolo
del 1979 qui citato. Non è difficile prevedere che questo libro costituirà uno dei punti di
partenza obbligati per chi intenda studiare in futuro i problemi dei quadri e delle classi
medie – in Europa e in altri paesi industriali.
Nicola Negri (I nuovi torinesi: immigrazione, mobilità, struttura sociale, in G.
Martinotti (a cura di), La città difficile, Angeli, Milano 1982) ha fornito evidenza
empirica comparata sulle difficoltà di mobilità ascendente intra- e inter-generazionale
dei meridionali a Torino. Questi dati, raccolti ed elaborati in modo del tutto
indipendente, rendono più plausibile l’ipotesi di un’esclusione comunitaria nei confronti
degli immigrati meridionali a Torino negli anni ’60 e ’70 presentata nel par. 6 di questo
lavoro.
Autore
Alberto Baldissera
Articoli dello stesso autore
Presentazione [Testo integrale]
Apparso in Quaderni di Sociologia, 74 | 2017
Diritti d'autore
https://journals.openedition.org/qds/1608 05/07/2018