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La Marina imperiale giapponese (kyūjitai: 大日本帝國海軍?

, shinjitai: 大日本帝国海軍
?
, rōmaji: Dai-Nippon Teikoku Kaigun?, ascolta[?·info], o 日本海軍 Nippon Kaigun?, letteralmente
"Marina dell'impero del Grande Giappone") fu l'apparato militare navale dell'Impero
giapponese dal 1869 fino al 1947, quando venne disciolta formalmente in seguito alla rinuncia
del Giappone all'uso della forza come mezzo per la risoluzione di dispute internazionali[1].
Negli anni venti fu la terza più grande marina militare del mondo dopo la statunitense U.S. Navy e
la britannica Royal Navy. A causa della natura insulare del Giappone, fu anche la più importante e
significativa arma delle sue forze militari, tenendo anche presente che l'aviazione non esisteva come
forza armata indipendente, ma esercito e marina avevano ognuno una propria aviazione; la sua
importanza derivava dal fatto che dal mare doveva necessariamente provenire ogni offesa al
territorio nazionale, così come ogni materia prima per l'industria considerata la scarsità di risorse
naturali sul territorio[2]; anche dal punto di vista alimentare il Giappone dipende dal mare e la pesca
è una risorsa importante che la marina ha dovuto sempre tutelare.
Le origini della Marina imperiale giapponese risalgono alle prime interazioni con le nazioni del
continente asiatico a partire dall'inizio del periodo feudale fino a raggiungere un picco di attività tra
il XVI e il XVII secolo, in un'epoca di scambi culturali con le potenze europee. Nel 1854, dopo due
secoli di stagnazione in seguito al periodo di isolazionismo imposto dagli shōgun del periodo Edo,
la marina giapponese era relativamente arretrata quando il paese venne forzatamente aperto al
commercio dall'intervento statunitense. Questo condusse infine al rinnovamento Meiji, un periodo
frenetico di modernizzazione e industrializzazione accompagnato dalla reintegrazione del potere
centrale dell'imperatore del Giappone dopo decenni di decentramento a favore degli shōgun. Dopo
una serie di successi, in alcuni casi contro nemici molto più potenti, come nella prima guerra sino-
giapponese (1894-1895) e nella guerra russo-giapponese (1904-1905), la Marina imperiale
giapponese fu quasi completamente annientata al termine della seconda guerra mondiale.
Dal termine della guerra le sue funzioni sono assolte dalla Forza marittima di autodifesa
giapponese.

Origini[modifica | modifica wikitesto]


La marina come mezzo di trasporto e rifornimento[modifica | modifica
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La battaglia di Dan-no-ura, 1185.


Il Giappone ha alle spalle una lunga storia di rapporti navali col continente asiatico, che iniziano dai
primi trasporti di truppe tra Corea e Giappone, all'inizio del periodo Kofun, nel III secolo. Un episodio
saliente dei rapporti tra Giappone e Corea fu la battaglia di Baekgang del 663, nel periodo Yamato,
durante la quale il regno coreano Sillaalleato della dinastia cinese Tang sconfisse pesantemente l'altro
regno Baekje e i suoi alleati giapponesi, ponendo fine all'influenza nipponica sulla Corea fino al XVI
secolo[3]. La marina fu vista dalla casta militare nipponica come un mezzo di trasporto o di
combattimento individuale alla ricerca di gloria, piuttosto che come uno strumento di potere e controllo
del mare; nessuna strategia o tattica di combattimento venne sviluppata, al contrario della guerra
terrestre, vista come l'unico approccio possibile per affrontare una guerra offensiva o difensiva. La
sconfitta di Baekgang, costata alla marina nipponica 400 navi sulle 1 000 schierate, fu causata
prevalentemente dal fuoco appiccato dagli arcieri coreani e dalle tattiche di combattimento di gruppo,
con manovre a tenaglia e l'uso di formazioni serrate contro le spesso isolate navi nipponiche; per
l'occasione la flotta coreana contava circa 170 navi, anche se più robuste e meglio armate[4].
Successivamente ai tentativi di Kublai Khan di invadere il Giappone del 1281, lungo le coste dell'impero
cinese divennero molto attivi i pirati giapponesi Wakō. Durante i tentativi di invasione mongola
comunque l'opzione di attaccare in mare gli invasori non venne presa in considerazione, lasciando alle
forze di terra coadiuvate da opere fortificate il compito di respingere la minaccia; gli attacchi in mare
furono piuttosto iniziative individuali e le stesse unità navali operavano sotto il comando indipendente
delle provincie e non rispondevano a un comando unificato[4].

Samurai giapponesi abbordano delle navi mongole nel 1281


Il Giappone intraprese un grande sforzo costruttivo navale nel XVI secolo, durante l'Epoca Sengoku,
quando i signori feudali in lotta per la supremazia organizzarono vaste marine militari costiere
composte da centinaia di navi. Pare che in questo periodo, nel 1576, potrebbero essere state costruite
le prime navi da guerra "corazzate" della storia, quando il daimyō Oda Nobunaga fece costruire
sei Atakebune, grossi vascelli descritti come tessen ("navi di ferro")[5]: chiamate anche Tekkōsen (鉄甲
船? letteralmente "navi corazzate in ferro"), erano chiatte armate con cannoni e fucilidi grande calibro
per sconfiggere i più grandi, ma non corazzati, vascelli usati dal nemico. Nelle fonti occidentali le prime
navi corazzate giapponesi sono descritte in The Christian Century in Japan 1549-1650[6], che cita il
resoconto del viaggio in Giappone del padre gesuita italiano Gnecchi Soldi Organtino nel 1578, o anche
in A History of Japan, 1334-1615[7]. Queste erano però considerate più come fortezze galleggianti e
furono usate solo in azioni costiere; con esse nel 1578 Nobunaga sconfisse la marina del Clan Mōri alla
bocca del fiume Kizu a Osaka, durante un'operazione di blocco navale. Le navi corazzate di Nobunaga
precedettero di qualche anno la costruzione delle navi tartaruga (o Geobukson) coreane, inventate
dall'ammiraglio Yi Sun Sin e documentate per la prima volta nel 1592: le placche in ferro dei vascelli
coreani formavano una sorta di copertura superiore, atta a impedire intrusioni e abbordaggi, ma le
murate non avevano simili protezioni[8].
Durante tutta questa fase, i compiti della marina furono comunque il trasporto, il pattugliamento costiero
e la raccolta di informazioni, quest'ultimo un ruolo poco enfatizzato ma ben presente e perfettamente
assolvibile con il naviglio leggero a disposizione[9]; il compito di combattere in modo organizzato altre
forze navali o di proteggere le rotte di comunicazione non fu mai in questa fase una priorità o un
oggetto di interesse[10].
Una nave shuinsen del 1634, che combinava tecnologie navali orientali e occidentali
Nel corso dell'invasione giapponese della Corea articolata in diverse successive campagne (1592-
1598), Toyotomi Hideyoshiorganizzò una flotta di circa 700 navi e 9 200 marinai[11] per il trasporto e il
supporto di una forza terrestre di circa 160 000 uomini. Anche in questo caso la marina venne vista
solo come un supporto alla guerra terrestre e non come uno strumento di controllo del mare, e lo
sbarco iniziale riuscì solo per la mancanza di opposizione a terra; fu dunque accentuato il ruolo
appoggio alle operazioni terrestri della flotta, fino a che le navi da trasporto furono attaccate dalla
potente marina della dinastia Joseon: i combattimenti navali venivano gestiti con tattiche mutuate dalle
operazioni terrestri, con fuoco concentrato delle armi negli scontri individuali ma senza cooperazione
tra le navi[12]. L'ammiraglio Yi Sun Sin sconfisse più volte la marina giapponese utilizzando le navi
tartaruga, fino alla sua morte avvenuta nella vittoriosa battaglia di Noryang[13]. L'unica parentesi di
successo giapponese fu nella seconda campagna, che vide la marina nipponica distruggere circa 160
navi coreane negli scontri di Geojedo e Chilcheollyang, in un momento nel quale l'ammiraglio Yi era
caduto in disgrazia. Dopo aver riorganizzato la marina, il Giappone vinse una battaglia contro
l'ammiraglio coreano Won Kyun e diversi scontri minori contro gli ammiragli Yi Eok Ki e Choi Ho della
flotta cinese dei Ming; la rotta tra il Giappone e la costa meridionale della Corea venne protetta
dall'attività della marina per tutta la campagna, permettendo la circolazione di uomini e rifornimenti ed
ostacolando quella avversaria, conseguendo l'obbiettivo strategico di supportare la campagna terrestre
nonostante le forti perdite negli scontri precedenti; le strategie fallimentari negli scontri navali, mutuate
da quelle terrestri, determinarono comunque la sconfitta finale nella campagna, appunto nella battaglia
di Noryang, a dimostrazione dell'errato utilizzo della flotta in combattimento e della totale mancanza di
coordinamento nelle operazioni[14].
Il Giappone costruì le sue prime grandi navi oceaniche all'inizio del XVII secolo, in seguito all'apertura
delle relazioni con l'Occidente. Nel 1613 il daimyō di Sendai, d'accordo con il bakufu dello shogunato
Tokugawa, costruì la Date Maru, una nave simile a un galeone da 500 tonnellate che trasportò
l'ambasciata giapponese di Hasekura Tsunenaga nelle Americhe e successivamente in Europa. A
partire dal 1604 il bakufu commissionò circa 350 navi shuinsen, solitamente armate e dotate anche di
tecnologie occidentali, destinate principalmente al commercio con il Sud-est asiatico; la marina dello
shogunato aveva già inflitto una sconfitta alle forze di Toyotomi nella battaglia di Osaka del 1614.
Sebbene lo shogunato nel periodo Edo avesse imposto ai daimyō di non costruire navi oltre una certa
dimensione, riservando questa prerogativa alla sola marina imperiale, questa non ebbe mai dimensioni
imponenti e anche la Atakemaru, orgoglio della flotta e costruita nel 1630, venne superata e infine
demolita nel 1682. Da allora rimasero a disposizione solo le navi di minore tonnellaggio,
dette sekibune (unità di dimensione pari a 500 koku, con un koku pari a circa 180 litri) e kobaya (piccole
imbarcazioni)[15].

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