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CAPITOLO III

3.1 INTRODUZIONE

Gli strumenti digitali possono essere considerati combinazioni di porte logiche che
variano stato a velocità molto elevata. Sono utilizzati in diversi settori quali quelli delle
misure, dei sistemi di controllo, delle telecomunicazioni, dell'informatica, per citarne solo
alcuni. Essi si stanno diffondendo in modo estensivo e tendono nella maggior parte delle
applicazioni a sostituire quelli di natura analogica. Presentano infatti rispetto a questi
diversi vantaggi molto attrattivi che saranno di seguito sintetizzati, ma la loro diffusione è
dovuta essenzialmente al costo. Si può affermare che a parità di costo l'accuratezza e la
risoluzione risultano di un ordine di grandezza superiori a quelle di uno strumento
analogico che svolga le stesse funzioni.
I pregi della strumentazione digitale sono: la facilità di lettura e quindi l'attendibilità
dei risultati, dovute alla presentazione dei dati su un visualizzatore numerico; gli alti livelli
di accuratezza e risoluzione, dovuti alla disponibilità oggi sul mercato di componenti veloci
ad elevato numero di bit; gli alti valori di velocità sia di campionamento sia di conversione,
che rendono possibile il processo in tempo reale; l'elevata immunità al rumore e ai
processi di deriva tipici dei componenti elettronici, il che insieme con la facilità di
trasmissione dei dati numerici ha favorito lo sviluppo degli strumenti digitali nel campo
delle telecomunicazioni; la facile realizzabilità dell'isolamento galvanico, specie con il
ricorso agli optoisolatori; la possibilità e la facilità di ulteriore elaborazione dei dati acquisiti;
la sempre più diffusa intelligenza interna agli strumenti cosiddetti esperti; la
sovraccaricabilità; l'indicazione della polarità; la scelta automatica del campo; le possibilità
sempre più utilizzate di auto test, ovvero di autoregolazione della curva di taratura, di
autoriconfigurazione, di facilità nell'indicazioni di situazioni anomale; l'inclusione in sistemi
ATE (Automatic Test Equipment); la possibilità di essere programmati in ambito CAT
(Computer Aided Testing); l'ottimizzazione nell'interazione uomo-strumento. Naturalmente
esistono anche alcuni limiti dipendenti principalmente da: dipendenza delle prestazioni
dalla temperatura; sensibilità ai campi elettromagnetici; presenza di errori di aliasing, di
troncamento e di quantizzazione; necessità di particolari algoritmi di interpolazione per
valutare i valori intermedi tra un campione e quello successivo; mancanza di esperienza
consolidata nella progettazione e realizzazione.
Gli strumenti digitali sono estremamente flessibili e questo ha determinato una loro
proliferazione e differenziazione. Inoltre l'avvento dei sensori intelligenti ha notevolmente e
ulteriormente espanso il loro campo di applicazione. In Fig.3.1 è mostrato uno schema a
blocchi semplificato di un generico strumento digitale singolo.
Molto più diffusi sono sistemi che prevedono ingressi analogici e digitali multipli. I
sistemi di acquisizione dati hanno la peculiarità di facilità di adattamento al processo
industriale da controllare.
Da quanto esposto in precedenza si evince quanto risulti difficile fornire indicazioni
sui prototipi più diffusi di strumenti digitali. Nel seguito si esamineranno alcuni fra i
dispositivi più impiegati nel campo delle misure, fornendo alcune specifiche.
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Fig.3.1 Schema semplificato di uno strumento digitale singolo

3.2 ERRORI DI CAMPIONAMENTO E TRONCAMENTO

Il processo di campionamento di un segnale analogico, variabile nel tempo, riveste


una notevolissima importanza nella maggior parte dei sistemi elettronici di misura e di
controllo. Esso infatti consente il passaggio dal dominio del continuo a quello del discreto,
operazione che facilita la conversione dei segnali da analogico in digitale. È bene
precisare che non tutti gli strumenti digitali richiedono il campionamento del segnale di
misura. Si pensi ai frequenzimetri, ai voltmetri in c.c., o ad alcuni in c.a. che forniscono
semplicemente la misura del valore efficace, per accennare a dispositivi che non sempre
richiedono la presenza di un campionatore. Esiste d'altra parte una serie consistente di
strumenti, in cui il campionamento o la discretizzazione del segnale è la prima operazione
di un processo, che può risultare più o meno complesso. Solo l'esecuzione corretta del
campionamento può evitare errori che vanificherebbero il ricorso alla strumentazione
digitale. Si ritiene quindi importante soffermarsi sul teorema del campionamento.
Le conversioni digitale-analogico e analogico-digitale consentono il collegamento
fondamentale tra il mondo delle quantità analogiche e quello dei segnali numerici o digitali.
Lo sviluppo dei DAC (acronimo di "Digital Analog Converter") è stato reso possibile
dall'avvento degli interruttori elettronici ad alta velocità. Questi convertitori hanno lo scopo
di ricostruire un segnale analogico in uscita a un dispositivo digitale dopo per esempio una
elaborazione o l'immagazzinamento in una memoria numerica o semplicemente una
trasmissione di segnali in forma digitale. Gli ADC (acronimo di "Analog Digital Converter")
hanno il compito di convertire il segnale analogico in ingresso a un dispositivo nella sua
equivalente forma digitale. Essi sono disponibili sul mercato in diverse forme realizzative
utili per una vasta serie di applicazioni.
Nei moderni sistemi digitali è spesso necessario collegare componenti o parti che
possono essere lontane tra loro. Questa tendenza è favorita dal fatto che i segnali digitali
sono meno soggetti di quelli analogici all'influenza dei disturbi e del rumore. Ciò
nonostante è importante utilizzare linee di trasmissione progettate ad hoc per evitare una
degradazione del contenuto informativo dei segnali digitali. È infatti importante sottolineare
che i segnali digitali hanno frequentemente tempi di transizione dell'ordine dei
nanosecondi, per cui richiedono linee in grado di trasmettere segnali a elevata frequenza
La fase iniziale e spesso la più critica dell'elaborazione digitale di un segnale
analogico è quella del campionamento. Se questa operazione non è eseguita
correttamente, tenendo presenti le caratteristiche spettrali del segnale in esame, si
ottengono dei risultati errati anche se apparentemente attendibili, in quanto il contenuto
delle informazioni del segnale campionato risulta diverso da quello del segnale di
partenza.
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Fig.3.2 Esempio di segnale campionato

L'operazione di campionamento consiste nel prodotto fra il segnale continuo e una


serie di impulsi unitari e periodici, di periodo Tc, che prende anche il nome di intevallo di
campionamento o tempo fra campioni. In Fig.3.2 è mostrato questo processo che porta
come risultato finale a una sequenza di campioni rappresentativi della forma d'onda di
partenza. È bene precisare subito, che un numero finito di campioni può rappresentare in
modo accurato un segnale analogico solo se questo è a banda limitata ed è rispettato il
teorema del campionamento. Si ricorda che un segnale a banda limitata ha uno spettro in
frequenza con ampiezza nulla in tutto il campo eccetto una banda ben definita. Segnali ad
ampiezza di banda limitata possono derivare da un processo di filtraggio o dalle limitazioni
in banda imposte da sensori, amplificatori o altri componenti del sistema.
Si definisce fc, frequenza o velocità di campionamento, il reciproco di Tc. Un altro
parametro importante è la durata del campionamento o finestra di osservazione, data dal
tempo totale del campionamento.
Il campionamento può portare a incorrere in due errori, uno di "aliasing", come è
ormai invalso dire anche in lingua italiana per la difficoltà di traduzione e l'altro di
troncamento (o "truncation").
Perché il segnale campionato contenga le stesse informazioni di quello originale
non è possibile scegliere in modo casuale la frequenza di campionamento, ma deve
essere rispettato il teorema del campionamento o di Shannon. Questo afferma che:
"un segnale analogico il cui spettro si estenda dalla frequenza nulla a quella fM può essere
completamente rappresentato da una sequenza di campioni regolarmente spaziati,
ottenuti con una frequenza di campionamento non inferiore a 2fM , ovvero quando sia
verificata la condizione fc ≥ 2fM ".
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La frequenza critica fc/2 prende il nome di frequenza di "folding", mentre la frequenza


minima di campionamento richiesta per prevenire l'aliasing, ovvero due volte la frequenza
più elevata contenuta nel segnale prima del campionamento, prende il nome di "Nyquist
rate". La metà della "Nyquist rate", ovvero la massima frequenza della componente
armonica contenuta nello spettro, prende il nome di "Nyquist frequency". Il non rispetto del
teorema del campionamento comporta l'insorgere dell'errore dell'aliasing. Per interpretare
il campionamento si può considerare il segnale analogico x(t) a banda limitata, modulato
mediante un treno periodico di impulsi s(t) aventi durata infinitesima rispetto al periodo di
campionamento Tc:

s(t) = ∑ δ(t − kTc )
k= −∞

dove δ è la funzione impulso unitario, in modo da fornire un segnale modulato in ampiezza


o PAM:

x c (kTc ) = ∑ x(t)δ(t − kTc )
k= −∞

Poiché alla moltiplicazione nel dominio del tempo corrisponde la convoluzione nel dominio
della frequenza la trasformata di Fourier di xc(nTc) è data da:

X c (ω) = X(ω)∗ S(ω)


2π ∞ 2πk ∞
S(ω) = ∑ δ(ω − T ) = ω c ∑ δ(ω − kω c )
Tc k =−∞ c −∞

X c (ω) = ω c ∑ X(kω c )δ(ω − kω c )
k =−∞

dove X(ω) e S(ω) sono le trasformate di Fourier del segnale di ingresso e del treno
d'impulsi e inoltre si è posto ωc=2πfc=2π/Tc.
Il segnale campionato ha quindi come spettro quello del segnale analogico ripetuto
periodicamente a frequenze multiple di quelle di campionamento. In Fig.3.3 sono riportati
sia un singolo possibile spettro di un segnale analogico a banda limitata (a), la sua replica
traslata di multipli interi della fc nel caso di assenza di aliasing (b) e le repliche
sovrapposte nel caso di non rispetto del teorema del campionamento (c).
La Fig.3.3 (c) mostra che nel caso in cui la frequenza di "folding" sia inferiore alla
frequenza fM si ha la sovrapposizione, anche se parziale, delle ripetizioni periodiche dello
spettro del segnale, ovvero si ha l'aliasing delle frequenze più elevate (comprese tra la
"Nyquist rate" e la frequenza fM) con frequenze inferiori alla frequenza fc/2. In particolare si
ha una rotazione di 180° delle frequenze superiori a quella di "folding" intorno a questa. I
nuovi valori delle frequenze false dovute all'aliasing si ottengono facilmente dalla
differenza fra la frequenza di campionamento e quelle comprese tra la frequenza di
"folding" e la fM. Nel caso in cui queste nuove frequenze si sovrappongano a frequenze già
esistenti nello spettro del segnale analogico, si ha il fenomeno dell'interferenza armonica.
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Fig.3.3 Spettri in frequenza del segnale campionato

Una più facile comprensione dell'errore di aliasing si ha se si considerano segnali o


con una sola armonica o con uno spettro discreto costituito da poche armoniche. Per
esempio in Fig.3.4 (a) e (b) sono mostrati un segnale sinusoidale a 50 Hz campionato a
75 Hz con la ricostruzione del segnale campionato, che presenta una frequenza falsa di
25 Hz (Fig.3.4a), e gli spettri di un segnale con componenti armoniche a 50 Hz, 100 Hz e
150 Hz, e di quello campionato con una frequenza di campionamento pari a 180 Hz
(Fig.3.4b). In Fig.3.4(b) è quindi mostrato come un campionamento a 180 Hz di un
segnale contenente componenti a 50 Hz, 100 Hz e 150 Hz dà luogo a un segnale
campionato che presenta frequenze spurie a 30 Hz e 80 Hz. Si è avuta cioè una
traslazione delle frequenze più elevate verso le basse frequenze, anche se la componente
fondamentale a 50 Hz non ha subito interferenze, cosa che sarebbe accaduta se si fosse
campionato a 150 Hz o a 200 Hz.
Un'estensione del teorema del campionamento è relativa a segnali con banda non
comprendente la frequenza nulla. Per essi è possibile ricostruire il segnale senza perdita
d'informazione campionando con una frequenza doppia dell'ampiezza di banda del
segnale. Questa estensione permette di ridurre considerevolmente la frequenza di
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campionamento nel caso di segnali a banda stretta. Così per esempio se lo spettro di un
segnale ha un'ampiezza di banda di 500 Hz, una frequenza di campionamento di 1 kHz
dovrebbe essere sufficiente a ricostruire il segnale, quale che sia la localizzazione della
suddetta ampiezza di banda nel campo delle frequenze. Un semplice ribaltamento dello
spettro del segnale campionato intorno alla frequenza di "folding" consente la ricostruzione
dello spettro del segnale originario. Per esempio un segnale il cui spettro abbia frequenze
comprese tra 1 kHz e 1,5 kHz, se campionato a 2 kHz, presenterà lo spettro del segnale
campionato con ampiezza di banda compresa tra 500 Hz e 1 kHz. Lo spettro del segnale
originario si otterrà ribaltando lo spettro del segnale campionato intorno alla frequenza di
"folding", in questo caso pari a 1 kHz. È bene però sottolineare che la eventuale presenza
di componenti al di fuori della banda di frequenza considerata potrebbe determinare
fenomeni di interferenza armonica, rendendo difficile la ricostruzione accurata del segnale
originario.

Fig.3.4 Due esempi di aliasing

Il rispetto del teorema del campionamento consente di evitare gli errori di aliasing.
Purtroppo sorgono diverse difficoltà quando si deve operare concretamente. Infatti la
finestra di osservazione determina una limitazione nel tempo del segnale analogico da
analizzare, dando luogo a un segnale teoricamente con spettro infinito, il che causerebbe
inevitabilmente una sovrapposizione delle repliche traslate dello spettro del segnale. In
altri termini l'errore di aliasing è teoricamente sempre presente. L'unico modo per evitare
la sovrapposizione delle repliche traslate dello spettro del segnale è quello di limitarlo in
banda prima di campionarlo, il che può avvenire con opportuni filtri. Solo un preventivo
filtraggio del segnale analogico permette la successiva corretta discretizzazione.
Naturalmente il filtro dovrebbe sopprimere solo le componenti spettrali che abbiano
contenuto energetico minimo, in modo da limitare le distorsioni del segnale filtrato. Il filtro
analogico in ingresso al sistema digitale sarà del tipo passabasso nel caso in cui la
potenza del segnale sia concentrata alle basse frequenze, decadendo rapidamente a
valori d'ampiezza trascurabile oltre una certa frequenza, e un passabanda in caso
contrario, per esempio quando si tratti di segnali modulati.
Si è detto che oltre all'errore di aliasing il campionamento comporta anche l'errore di
troncamento, legato al numero di campioni necessariamente finito per le limitazioni sia
della memoria sia del tempo di esecuzione della misura. Ciò determina spesso una perdita
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di informazioni, contenute nella parte troncata del segnale. Mentre per segnali transitori
l'errore è di scarsa rilevanza se si è in presenza di un rapido decadimento, come per
esempio negli esponenziali e nei segnali gaussiani, per segnali sinusoidali o
multifrequenziali o transitori con valore a regime non nullo l'errore di troncamento può
essere notevole. In Fig.3.5 sono riportati alcuni esempi di segnali troncati dove si è
indicato con Tw la durata della finestra di osservazione.

Fig.3.5 Esempi di troncamento di segnali con una finestra rettangolare

Gli spettri dei segnali finestrati sono in genere differenti da quelli dei segnali analogici
originari, a causa sia della fase iniziale del campionamento sia dell'interruzione più o meno
brusca del segnale al termine della finestra di osservazione. Vengono infatti introdotte
delle false discontinuità al segnale analogico che causano l'insorgere di frequenze spurie
nello spettro.
Da un punto di vista matematico l'operazione di finestratura equivale a limitare ad
un numero pari ad N i campioni e a moltiplicare ogni campione del segnale per una
funzione peso wrett(t), con t compreso per esempio tra -Tw/2 e Tw/2, dove Tw=NTc. La
finestra è inoltre di durata limitata definita dalla relazione:

k ≤N / 2
w rett (kT c ) = {10 k>N /2
il che equivale a dover considerare un nuovo segnale campionato e finestrato dato da:


x cw (kTc ) = ∑ x(t)wrett (kTc )δ(t − kTc )
k =−∞
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Lo spettro del nuovo segnale è ottenuto dalla convoluzione di tre segnali:

X cw (ω) = X(ω) ∗ Wrett (ω)∗ S(ω)


che è la convoluzione tra lo spettro del segnale, quello della funzione finestra campionata
W(ω) e quello del treno d'impulsi. Tale convoluzione può essere eseguita sequenzialmente
in quanto la convoluzione nel dominio della frequenza è un'operazione lineare. Si può
verificare che quest'ultimo spettro risulta continuo e periodico. In particolare nel caso si
tratti di finestra rettangolare si ha:
sen(ωNTc / 2)
Wrett (ω) = NTc
ωNTc / 2
che è la nota funzione sincx=(senx)/x. In definitiva risulta che lo spettro del segnale
originario è alterato dalla presenza della Wrett(ω), ovvero è impossibile determinarlo
esattamente dallo spettro del segnale finestrato, ma attraverso questo si può
semplicemente fornire una stima dello spettro del segnale originario. La stima sarà tanto
più attendibile quanto meno peserà l'influenza di Wrett(ω) sulla X(ω). La Wrett(ω) causa una
dispersione spettrale (o "leakage") delle righe dello spettro originario. La dispersione
spettrale interessa tutte le componenti armoniche del segnale e può dar luogo
all'interferenza armonica, ovvero alla sovrapposizione delle righe spettrali relative a
diverse componenti, il che può causare il mascheramento di quelle più deboli. Un'altra
conseguenza del troncamento è che si può presentare l'errore di aliasing anche se la
frequenza di campionamento è stata scelta nel rispetto del teorema di Shannon. Infatti può
capitare che la componente di più elevata frequenza nello spettro del segnale originario si
venga a trovare oltre la frequenza di "folding", fc/2.
Vi sono diverse tecniche per ridurre gli effetti della dispersione. Quella più utilizzata
consiste nel cercare di attenuare le discontinuità che vengono introdotte nel segnale
originario, sostituendo la finestra rettangolare con una funzione peso che presenti derivate
nulle agli estremi dell'intervallo di osservazione, con equazione nel tempo e con la sua
trasformata del tipo:

M −1

w (t ) = ∑ ( − 1 )m A k cos
Tw
mt
m =0
M −1 ⎛ ω m ⎞⎟
W (ω ) = ∑ ( − 1 ) m A k W rett ⎜⎜ −
⎝ 2π

Tw ⎠
m =0

Nella tabella che segue sono riportate le funzioni finestra più note con i rispettivi
coefficienti Ak si ricordano quelle di Hanning, di Hamming, di Harris, di Blackman, di
Kaiser. Esse presentano rispetto alla finestra rettangolare uno spettro con dei lobi laterali
la cui ampiezza decade più rapidamente, il che consente di limitare gli effetti sia della
dispersione spettrale sia dell'interferenza armonica. Esiste anche la possibilità di
ottimizzare le finestre al particolare segnale da analizzare. Tra le finestre ottime si
annovera una particolare classe di finestre dette "flat-top", caratterizzate da un lobo
principale praticamente piatto, che permette di non avere alcuna attenuazione di ampiezza
nelle righe spettrali interne al lobo.
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FINESTRA COEFFICIENTI AMPIEZZA DEL AMPIEZZA BANDA ERRORE IN


LOBO PRINCIPALE DI RUMORE AMPIEZZA
dB %
rettangolare A0=1 -13,3 1 -36,3
Hanning A0=A1=0,5 -31,5 1,5 -15,1
Hamming A0=0,54 -43,1 1,37 -18,1
A1=0,46
Blackman A0=0,42 -71,5 1,7 -12,2
A1=0,5
A2=0,08
Blackman-Harris A0=0,42323 -98,1 1,98 -9,32
A1=0,49755
A2=0,07922

È interessante sottolineare che per segnali sinusoidali il fenomeno della dispersione


spettrale dovuta al troncamento è evitato nel caso in cui si riesca a campionare un numero
intero di periodi, ovvero sia verificata la relazione: Tw=NTc=mTs, dove si è indicato con m
il numero di periodi campionati e con Ts il periodo del segnale sinusoidale. In base al tipo
di segnale troncato è necessario studiare particolari tecniche di compensazione per ridurre
l'errore di troncamento ovvero per stimare nel miglior modo possibile lo spettro del segnale
originario.
Come indicazione conclusiva si può affermare che prima di eseguire un
campionamento è necessario conoscere, almeno in modo indicativo, il tipo di segnale da
analizzare e il suo spettro. Quindi in base a queste informazioni si deve operare per la
migliore scelta sia della frequenza di campionamento sia della finestra di osservazione.

3.3 QUANTIZZAZIONE E CONVERSIONE ANALOGICO-DIGITALE

La quantizzazione è il processo di trasformazione di un segnale analogico in un


insieme di stati discreti. Essa rappresenta una delle due fasi della conversione di un
segnale da analogico a digitale. L'altra fase è costituita dalla codifica, che è il processo di
assegnazione di un codice numerico a ciascuno degli stati discreti di una parola. La
quantizzazione quindi è il tramite tra il mondo dei segnali analogici e quello delle quantità
numeriche o digitali.
La quantizzazione di un segnale analogico campionato è basata sull'assegnazione
a ciascun campione analogico di un numero finito di livelli o di canali di uguale ampiezza,
q, detti anche quanti (da cui la parola quantizzazione). Il risultato di una misura ottenuta
con strumentazione digitale può essere considerato teoricamente come un multiplo intero
di questa quantità elementare q, che costituisce anche la risoluzione del dispositivo di
misura. Il multiplo più grande della quantità q rappresenta anche la portata dello
strumento.
La quantizzazione e la codifica sono eseguite da appositi convertitori analogico-
digitali (ADC). Ogni campione analogico deve essere quantizzato a uno dei livelli
permessi. Infatti ogni convertitore ha un numero massimo di quanti, in cui può suddividere
il segnale analogico in ingresso, in dipendenza del suo numero di bit. Nonostante vi siano
diverse strategie sviluppate per il processo di quantizzazione, l'approccio più comune è
quello di assegnare a ogni campione analogico l'insieme di quanti che meglio lo
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approssimi. Il confronto tra il campione analogico e l'insieme dei quanti permette di definire
lo scostamento tra le due grandezze. Quando questo scostamento risulti nullo o inferiore a
un minimo, dipendente dalla risoluzione dell'ADC, si avrà che il processo di quantizzazione
è terminato. Se si indica con X l'ampiezza del campione analogico, la portata o valore di
fondo scala, XFS, del convertitore e la risoluzione o valore minimo, Xmin, sono dati da:

n XFS
X FS = qM = q2 X min = q =
2n
dove M è il modulo del convertitore. per esempio convertitori da 3, 8 o 12 bit hanno
rispettivamente risoluzioni pari a 0,125 XFS, 0,0039 XFS, 0,000244 XFS. Inoltre si ha:

n−1
Ai
X = XFS ∑ n− i
i= 0 2

dove le cifre A possono assumere valori 0 e 1; nella codificazione alla risoluzione


corrisponderà l'LSB, ovvero il bit meno significativo del dato digitale.
Nel rappresentare in un diagramma cartesiano una grandezza quantizzata si
pongono sull'asse delle ascisse i valori del segnale analogico in ingresso e sull'asse delle
ordinate il segnale digitale in codice. Con riferimento a un ADC a 3 bit, in Fig.3.6 è
riportata la funzione a scalinata che meglio approssima la caratteristica di trasferimento
ideale di un convertitore, rappresentata dalla linea retta che congiunge l'origine con il
punto che ha come ascissa la massima tensione applicabile in ingresso all'ADC e in
ordinata il più elevato stato di uscita digitale. In figura agli otto stati possibili in uscita sono
assegnate le sequenze di numeri binari da 000 a 111. Sono inoltre mostrati due tipi di
convertitori, uno unipolare, in Fig.3.6(a), in cui il valor minimo raggiungibile è zero, l'altro
bipolare, in Fig.3.6(b), con un campo di valori simmetrico rispetto allo zero, utile quando la
grandezza analogica possa assumere anche valori negativi. Nel caso di convertitore
unipolare l'escursione del segnale analogico è compresa tra 0 e XFS, nel caso di
convertitore bipolare tra -XFS/2 e XFS/2.
È interessante notare che a fronte di 2n possibili stati di uscita vi siano solo 2n-1
livelli di decisione analogica o livelli di soglia nella funzione di trasferimento, per cui il valor
massimo che può assumere la funzione analogica risulta:

Xmax=XFS – q

Inoltre la particolare caratteristica tracciata in Fig.3.6, dove si è avuta una traslazione di


q/2, allo scopo di ridurre l'errore di quantizzazione, comporta che le equazioni precedenti
devono essere corrette come segue:
n- 1 n- 1

∑ ∑
A A
X=X i
- q =X ( i
- 1 ) X = X - q - q = X - 3q
FS n- i 2 F S n - i n +1 max FS 2 FS 2
i =1 2 i =1 2 2

Questa differenza tra valor massimo e valore di fondo scala non crea particolari problemi,
in quanto di essa si tiene conto nel corso della taratura del convertitore.
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In Fig.3.6 si è indicato con FS il valore di fondo scala, per semplicità di scrittura,


inoltre si è scelto come primo livello di soglia analogica FS/16, mentre i successivi
risultano: 3FS/16; 5FS/16; 7FS/16; 9FS/16;11FS/16; 13FS/16. La funzione di
trasferimento ideale è quella che passa per i punti di ascisse FS/8, FS/4, 3FS/8, FS/2,
5FS/8, 3FS/4, 7FS/8, ai quali corrispondono i 7 stati digitali tra gli otto possibili, in quanto il
primo è assegnato al livello nullo di tensione in ingresso.

(a) (b)
Fig.3.6 Caratteristiche di trasferimento e errore di quantizzazione in ADC a 3 bit con
codifica BCD relative a convertitori unipolari (a) e bipolari (b)

Dall'esame della Fig.3.6 si evince che la conversione analogico digitale comporta


sempre una perdita d'informazione tra i livelli di soglia analogici e quindi una distorsione in
uscita del segnale analogico d'ingresso. L'errore di quantizzazione è intrinseco alla natura
del processo di conversione e non è eliminabile in alcun modo. Esso può considerarsi un
rumore dinamico o di quantizzazione che si somma al segnale utile.
Il rumore di quantizzazione ha un andamento tipico a dente di sega con ampiezza
variabile tra 0 e ±q/2 per la particolare scelta del primo livello di soglia analogica, operata
in Fig.3.6. Poichè l'ampiezza dell'errore di quantizzazione è inversamente proporzionale
alla potenza 2n, l'unico modo per ridurre il rumore di quantizzazione è quello di aumentare
il numero di bit, ovvero di migliorare la sua risoluzione.
Il valor medio del rumore di quantizzazione è nullo, mentre la sua deviazione
standard e la varianza risultano, come è facile verificare in base all'andamento di tale
rumore riportato in Fig.3.6 rispettivamente:
2
q XFS 2 q2 X
σq = = σq = = 2 n+FS2
2 3 2n +1 3 12 2 3

da cui è possibile esprimere il numero di bit del convertitore in funzione della varianza del
rumore di quantizzazione, ovvero del rapporto segnale rumore del convertitore:
1 1 X2FS 1
n = log2 2 = log2 SNR c
2 σ q 12 2
12

dove si è definito rapporto segnale rumore del convertitore la seguente quantità:

XFS 1
SNR c =
12 σ 2q

che è il rapporto tra la varianza di un segnale in ingresso a media nulla con valori
equiprobabili nell'intervallo (-XFS/2, XFS/2) e la varianza del rumore di quantizzazione. Il
segnale in ingresso potrà avere in realtà un valore quadratico medio, ovvero una varianza,
differente da quello riportato nell'equazione precedente. Indicata con σx2 la varianza del
segnale in ingresso al convertitore si ha un SNR dato dal rapporto tra questa varianza e
quella del rumore di quantizzazione, che dà luogo a quello che prende il nome di
espressione dei bit effettivi o equivalenti del convertitore:

1 1 σ 2x
n e = log 2 SNR = log 2 2
2 2 σq

E' anche facile verificare che, nel caso in cui si fosse scelto come primo livello di
soglia analogica FS/8 invece di FS/16, si sarebbe avuta una traslazione della scalinata e
del dente di sega di q/2 lungo le ascisse e un'ulteriore traslazione del dente di sega verso
l'alto sempre di q/2. Ovvero il rumore di quantizzazione non avrebbe più valor medio nullo,
ma pari a q/2, e inoltre la deviazione standard e la varianza assumerebbero valori più
elevati pari a q/√3 e q2/3.
Il convertitore analogico digitale ha il compito di codificare il segnale mediante un
codice appropriato. Si ricorda che in una parola codificata i bit sono numerati da sinistra
verso destra. Il bit all'estrema sinistra e l'MSB, mentre quello più a destra è l'LSB e ha il
peso minore 2-n.
Un altro parametro che caratterizza un ADC è il campo dinamico, DR (dall'acronimo
inglese "Dynamic Range"), definito normalmente come il rapporto tra i livelli massimo e
minimo del segnale che possono essere misurati con una accuratezza specificata. Per un
ADC si ha:
n
DR = 20log 2 2 = 20nlog 2 2 = 6,02n (dB)

così per esempio convertitori a 8 bit e 12 bit presentano campi dinamici pari
rispettivamente a 48,2 dB e 72,2 dB. Il convertitore analogico digitale non è detto che sia
preceduto da un campionatore, in tal caso assume particolare importanza il suo tempo di
apertura, ta, definito come il tempo in cui è eseguita la conversione. In questo tempo, se il
segnale analogico in ingresso è variabile, si avrà una variazione in ampiezza pari a:

dV(t)
ΔV = t a
dt
dove dV(t)/dt è la variazione con il tempo del segnale in ingresso, mentre ΔV coincide con
l'errore che si commette considerando costante il segnale nel tempo ta. Se questo errore
non è elevato o risulta comparabile con q/2 si può evitare l'uso del campionatore. In
particolare si può anche dire che il tempo di apertura definisce la massima frequenza di un
segnale sinusoidale convertibile senza l'uso di un campionatore. Infatti per un segnale
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sinusoidale la derivata massima del segnale si ha in corrispondenza dello zero ed è pari a


ωVM, quindi sostituendo al posto di V nell'equazione precedente q/2 dove si ricorda che:

X max 2VM
q= =
2n − 1 2n − 1
si ha :
1
fmax =
2πt a (2 n − 1)

così per esempio un convertitore a 12 bit con frequenza di campionamento di 1 MHz può
convertire senza l'uso di un opportuno campionatore segnali sinusoidali con una frequenza
massima di appena una quarantina di hertz. Un S/H (acronimo di "Sample-Hold")
consente di estendere considerevolmente il tempo di conversione in quanto il campione è
mantenuto inalterato per un tempo prestabilito in dipendenza del tempo di conversione.
E' bene infine sottolineare che il numero di bit effettivi, indicatore di merito di un
sistema digitale, aumenta al diminuire del rumore di quantizzazione. Questa riduzione si
ha o con l'aumento del numero di bit dell'ADC o con l'utilizzazione di opportuni filtri digitali.

3.4 CONVERSIONE DIGITALE-ANALOGICA

Spesso è necessario convertire dei dati disponibili in codice numerico, per esempio
binario o BCD, in un segnale analogico. Esempi sono quelli della visualizzazione di segnali
elaborati in digitale su un oscilloscopio o su un registratore analogico e ancora quelli di
uno strumento digitale inserito in un sistema di controllo. Infatti oscilloscopi, registratori,
sensori, attuatori, servomeccanismi dispongono prevalentemente solo di ingressi per
grandezze analogiche. Inoltre alcuni convertitori digitale-analogici (DAC) sono utilizzati in
alcuni convertitori analogico-digitali (ADC). Poiché il segnale in uscita analogico è in
genere una tensione, o una corrente, o una carica elettrica e la quantità in ingresso è un
numero, la base di tutte le tecniche di conversione è quella di convertire il numero in tante
unità base del segnale in uscita e quindi di sommarle mediante un circuito analogico
sommatore.
Si ipotizzi che il segnale in uscita al DAC sia una tensione elettrica e l'unità base di
riferimento sia k, espressa in volt. Questa quantità rappresenta anche il minimo valore in
uscita al DAC, ovvero la sua risoluzione, in corrispondenza di essa si ha in digitale l'LSB.
Inoltre il DAC abbia modulo M=2n, con n numero di bit. È facile verificare che per un DAC
unipolare, ovvero con in ingresso solo numeri positivi, la tensione in uscita assume la
seguente espressione:

V = k ( An −1 2n −1 + An − 2 2n − 2 + ..... + A1 21 + A0 20 )
n −1
V = k ∑ Ai 2i
i =0

dove le cifre A possono assumere valori 0 e 1. Il valor massimo di questa tensione si ha


quando tutti i bit sono pari a 1:
14

n−1
Vmax = kN 2 max = k ∑ 2i = k ( M − 1) = kM − k = VFS − k
i =0

dove si è posto per definizione il prodotto tra l'unità base di tensione e il modulo pari al
valore di fondo scala del DAC, VFS. Dall'equazione precedente risulta che la tensione
massima in uscita sarà sempre inferiore al valore di fondo scala e tale scarto sarà tanto
minore quanto migliore è la risoluzione.
In Fig.3.7 è riportata in un diagramma cartesiano la corrispondenza tra i numeri
binari in ingresso al DAC e le tensioni in uscita, con riferimento a un DAC a 3 bit, M=8, in
cui si nota che al massimo numero binario (111) corrisponde la tensione massima e non
quella di fondo scala.

Fig.3.7 Corrispondenza fra numeri binari e tensioni in un DAC unipolare

È chiaro che quanto più è elevato il numero di bit del convertitore tanto più è spinta
la risoluzione e tanto più si riduce lo scarto non solo tra due valori di tensione contigui, ma
anche tra il valor massimo e quello di fondo scala.
La caratteristica tracciata in Fig.3.7 è ideale, diverse sono le cause che
determinano uno scostamento da essa della caratteristica reale, in quanto si presentano
soprattutto errori di deriva dallo zero, di guadagno o taratura e di non linearità. Errori
comuni, come si vedrà in seguito, anche agli ADC. La retta di interpolazione che fa
corrispondere a un valore numerico un solo valore analogico, pari all'unità base di
riferimento o a un suo multiplo, può essere traslata verso l'alto o avere una pendenza
diversa da quella teorica o discostarsi dall'andamento rettilineo, come sinteticamente
mostrato in Fig.3.8.
È bene precisare, in merito agli errori indicati nella figura, in particolare per quanto attiene
all'errore di linearità, che può essere riferito a diverse caratteristiche. Si distinguono due
tipi di errori di linearità: uno integrale, rappresentato dal massimo scarto tra la
15

caratteristica reale e quella ideale, in genere ottenuta ricorrendo al metodo dei minimi
quadrati; uno differenziale definito come la massima deviazione dall'unità base k della
differenza tra due valori contigui della tensione analogica. L'errore di non linearità
differenziale è in genere espresso in termini dell'equivalente numerico del k, ovvero in
termini di LSB. E' inoltre importante che risulti inferiore a 1 LSB, infatti solo in questo caso
non si ha omissione di codice nella conversione digitale-analogica e il convertitore si dice
monotone. La monotonicità è una caratteristica fondamentale in un DAC perché si abbia
una buona conversione, per esempio la non monotonicità di un DAC inserito in un sistema
di controllo può comportare uno sfasamento del segnale di 180° con l'insorgere di
problemi di stabilità.

Fig.3.8 Alcuni errori tipici nei convertitori digitale-analogici

Nei DAC vi è inoltre la possibilità che insorgano errori dinamici, in quanto la


conversione avviene servendosi di interruttori elettronici. Per esempio con riferimento alla
Fig.3.7, nel passaggio tra 011 a 100 tutti i bit cambiano di stato. In questa commutazione
può risultare che alcuni interruttori siano più veloci di altri, per cui nel transitorio si può
avere che il segnale di uscita assuma un valore maggiore o minore di quello di regime,
come si dice in gergo si può presentare un "glitch" positivo o negativo. Per evitare questi
errori dinamici si può ricorrere a un SHA che mantenga costante il segnale di uscita finché
tutti gli interruttori non abbiano raggiunto uno stato di equilibrio. E' evidente che per
assicurare una risposta rapida il DAC deve avere un buon tempo di assestamento, definito
al solito come il tempo necessario al DAC per portarsi, in seguito a una variazione a
gradino del numero in codice, entro la fascia d'incertezza comprensiva del valore di
regime.

3.5 VOLTMETRI DIGITALI

L'ADC è il componente principale contenuto in un voltmetro digitale, noto anche


come DVM (acronimo di "Digital Volt Meter"), che è strumento versatile e può risultare
molto accurato. Il suo costo diventa sempre più competitivo con quelli analogici a parità di
prestazioni. I DVM sono in genere classificati in accordo con il tipo di convertitore
analogico-digitale utilizzato all'interno. L'ADC converte un campione continuo, proveniente
o direttamente dall'ingresso in continua o da un SHA o da un convertitore c.a./c.c. e invia
la parola digitale in codice in ingresso o a un visualizzatore numerico o a un sistema di
elaborazione dati. Infatti gli ADC sono in grado di convertire solo livelli di tensione continua
o lentamente variabile. Se si predispone un SHA prima del convertitore si avranno
maggiori informazioni sull'andamento nel tempo del segnale in ingresso. In tal caso
16

bisognerà porre molta attenzione per evitare gli errori di aliasing e di troncamento. Inoltre i
dati andranno elaborati e presentati su un visualizzatore con una velocità in genere
diversa da quella di acquisizione. Quando si abbia interesse solo alla misura del valore
efficace di una grandezza alternata si può far precedere l'ADC semplicemente da un
convertitore alternata-continua.
Uno dei maggiori vantaggi dei DVM è la loro facilità di utilizzazione, infatti quasi tutti
i voltmetri digitali disponibili sul mercato hanno l'indicazione automatica della polarità, la
scelta automatica della portata, l'indicazione del sovraccarico. Si va sempre più
diffondendo inoltre la pratica di aggiungere sul visualizzatore numerico una indicazione
analogica, ottenuta in genere mediante una catena di segmentini che si accendono o
spengono in progressione"up-down" scorrendo su una scala graduata lineare. In tal modo
si aggiungono ai vantaggi di una lettura numerica quelli d'insieme offerti dalla lettura
analogica.
Uno schema di massima di un DVM è mostrato in Fig.3.9. Valori tipici di risoluzione
di questi voltmetri sono 1 mV per funzionamento in c.a. e 100 μV per funzionamento in
c.c., valori inferiori sono ottenibili negli strumenti di maggior pregio.

Fig.3.9 Diagramma a blocchi di un DVM

Di maggior pregio sono i DVM che utilizzano al loro interno un microprocessore. I DVM
con analisi dei dati nel dominio del tempo si basano sulla seguente approssimazione del
valore efficace valida per segnali campionati:

N−1
1 T 2 1
Veff =
T ∫0 i
V dt = ∑V (t )V (t )
N k=0 i k i k

dove N è il numero di campioni memorizzati della forma d'onda Vi in ingresso. Uno


schema di un DVM di questo tipo è riportato in Fig.3.8. Esso utilizza un microprocessore
per eseguire le operazioni richieste dall'equazione precedente.
Per rendere più veloce il processo il DVM mostrato in Fig.3.10 dispone di un
accumulatore che esegue le operazioni di prodotto e di somma, mentre
contemporaneamente un contatore valuta il numero di periodi considerato. Infatti è bene
17

ricordare che per evitare errori di troncamento il numero di campioni N e il periodo di


campionamento devono essere tali che si processi un numero intero di periodi del segnale
in esame.

Fig.3.10 DVM operante nel dominio del tempo

3.6 MULTIMETRI DIGITALI

Un DVM è l'elemento base di un multimetro digitale noto anche come DMM


(acronimo di "Digital Multi Meter"), strumento in grado di misurare non solo tensioni, ma
anche correnti sia continue sia alternate, oltre che resistenze e a volte anche impedenze. I
DMM sono dotati di un partitore di tensione per la variazione automatica della portata. Per
la misura delle grandezze alternate si utilizza un opportuno convertitore c.a./c.c. Un
convertitore resistenza tensione permette la misura di resistenze. Alcuni DMM dispongono
anche di un convertitore da alta a bassa frequenza per l'estensione del campo di misura ai
megahertz.
Diodi utilizzati correntemente nei DMM sono quelli zener, i PIN e i tunnel. I diodi
zener consentono la regolazione della tensione continua e l'ottenimento di stabili
riferimenti. Essi lavorano in condizioni di scarica e permettono di mantenere costante la
tensione ai morsetti del carico al valore VB (con riferimento alla caratteristica inversa), al
variare della corrente, purché questa non superi il valore nominale. In Fig.3.11 è mostrato
il simbolo del diodo zener e due possibili applicazioni con alimentazioni in continua e in
alternata.

(a) (b)

Fig.3.11 Alcune applicazioni del diodo zener


18

Nella Fig.3.11(a) il diodo zener consente di rendere ininfluenti le variazioni di


tensione della sorgente di alimentazione E e quindi ideale la batteria stessa con tensione
costante pari a VB. E' evidente che la tensione E e la resistenza R devono essere
progettate in modo tale che il diodo operi nella zona di scarica. La Fig.3.11(b) mostra
come sia possibile "squadrare" un'onda sinusoidale che presenti valori di picco eccedenti
la tensione di scarica di due diodi zener uguali tra loro e in serie. A titolo esemplificativo si
riportano le caratteristiche salienti di un diodo zener commerciale: tensione di riferimento
nominale VB=18 V; tolleranza 5% (VB compresa tra 17,1 e 18,9 V); massima dissipazione
di potenza a 25 °C 50 W; corrente di prova 700 mA; impedenza dinamica alla corrente di
prova 2 Ω; corrente di dispersione 5 mA; massima temperatura della giunzione 150 °C;
coefficiente di temperatura (ΔVB/VB)100/ΔT = 0,075%/°C.
I diodi utilizzati nei calcolatori ("computer diode") devono presentare un breve
tempo di commutazione dalla condizione di polarizzazione diretta a quella inversa. Questo
tempo è dell'ordine di pochi nanosecondi nei componenti di maggior pregio.
I diodi PIN sono di tipo particolare in quanto presentano una stretta regione isolante
tra la parte p e quella n. La regione isolante è molto stretta in modo da non alterare
sensibilmente le caratteristiche di raddrizzamento del diodo. Essi possono essere
impiegati in campi di frequenze fino a 1 GHz, con impedenze variabili tra 10 kΩ e 1 Ω, il
che ne ha permesso la diffusione nel campo degli attenuatori per alte frequenze. I diodi
possono essere utilizzati come condensatori variabili alle alte frequenze, agendo
opportunamente sullo stato di svuotamento della giunzione pn. La capacità varia con la
tensione di polarizzazione inversa tra 50 pF e 100 pF nei tipi commerciali di maggiore
diffusione.
Per la misura di una corrente elettrica è necessario collegare un amperometro in
serie con il carico elettrico, in cui circola la corrente. Questa dà luogo negli strumenti
analogici a una coppia di deflessione che fa ruotare l'equipaggio mobile dell'amperometro
e quindi l'indice sulla scala graduata e negli strumenti digitali a un'indicazione numerica.
Qualsiasi strumento di misura non dovrebbe alterare i parametri o le condizioni del circuito
al quale è collegato, per cui la resistenza interna dell'amperometro dovrebbe essere molto
più piccola di quella del carico. In ogni caso, a parità di tensione di alimentazione, la
corrente che circolerà nel carico sarà più piccola di quella che sarebbe circolata in
assenza dell'amperometro. Questo è il cosiddetto effetto di carico dell'amperometro e dà
luogo a un errore sistematico.
Un amperometro non deve mai essere collegato in parallelo a una f.e.m. o a un
carico in tensione, in quanto, a causa del basso valore della sua resistenza interna, la
circolazione di correnti elevate lo danneggerebbe. Inoltre un amperometro va sempre
collegato in serie a un carico che assorba una corrente inferiore alla portata massima
dell'amperometro.
Nel caso di amperometri in corrente continua di tipo analogico a zero laterale
bisogna porre attenzione al corretto collegamento delle polarità dello strumento, per
evitare che la coppia motrice tenda a far premere l'indice contro il fermo meccanico,
causando danneggiamenti. I morsetti esterni dell'amperometro in c.c. sono contrassegnati
in genere da un + e un -.
Quando l'amperometro deve misurare correnti elettriche di intensità superiori a
quelle sopportabili dal circuito interno, è necessario ricorrere a resistori posti in parallelo al
circuito stesso, detti derivatori o "shunt", come mostrato in fig.3.12.
19

Fig.3.12 Disposizione di un derivatore in parallelo a un amperometro

Nella figura si è indicato con IFS la corrente di fondo scala dell'amperometro privo di
derivatore, con RS la sua resistenza interna e con RS e IS resistenza e corrente relative al
derivatore. Dall'esame della figura è facile verificare l'esistenza della seguente relazione:

Rm IFS = RS (I- IFS )


da cui si ricava
I FS
Rs = Rm
I − I FS
La resistenza RS, costituita da un resistore di materiale conduttore con resistenza poco
influenzata dalle variazioni termiche, può essere o già predisposta all'interno dello
strumento o posta all'esterno dello stesso. In genere gli "shunt" esterni si utilizzano
quando si abbiano da misurare correnti elevate.

Fig.3.14 Schema di un amperometro a portate multiple.

In Fig.3.14 è indicata una delle possibili configurazioni di uno strumento a portate


multiple in cui sono presenti diversi derivatori commutabili con lo scopo di elevare il
numero di portate dello strumento. Il commutatore consente il passaggio da una portata
all'altra senza che vi sia l'interruzione del circuito elettrico a evitare danneggiamenti
all'equipaggio mobile. In alternativa alla configurazione dei derivatori, mostrata in Fig.3.14,
gli amperometri a portate multiple possono utilizzare un altro tipo di derivatore detto
universale o di Ayrton, il cui schema a tre portate è mostrato in Fig.3.15.
Il derivatore universale ha il vantaggio di consentire una protezione
dell'amperometro per la presenza costante di una resistenza ad esso in parallelo, anche
se questa presenza ne limita la sensibilità. Il derivatore di Ayrton può essere utilizzato con
diversi tipi di amperometri elevandone il campo di misura. Esistono derivatori che
consentono misure che vanno dai milliampere alle centinaia di ampere.
20

Fig.3.15 Derivatore di Ayrton a tre portate

A differenza di un amperometro un voltmetro misura la d.d.p. fra due punti e quindi


deve essere collegato in parallelo alla sorgente di f.e.m. o a un componente del circuito.
Nel caso di voltmetri in c.c. di tipo analogico occorre al solito rispettare le polarità
della sorgente, per cui i terminali dello strumento sono contrassegnati in genere con il + e
il -. Resistori addizionali sono montati all'interno dello strumento e consentono di ottenere
portate multiple, in genere fino ai 500 V. Per tensioni più elevate si può ricorrere a divisori
esterni.
Un voltmetro quando è collegato in parallelo su un carico percorso da corrente o su
una sorgente di f.e.m. deriva una certa quantità di corrente, per cui dà luogo a una misura
di tensione inferiore a quella effettivamente esistente prima del suo collegamento. Questo
è il cosiddetto effetto di carico del voltmetro che determina un errore sistematico. Quanto
maggiore è la resistenza interna del voltmetro rispetto a quella del carico o della sorgente
di f.e.m., tanto minore sarà la corrente assorbita dal voltmetro e quindi l'effetto di carico. I
DMM sono dotati di un partitore di tensione per la variazione automatica della portata. Per
la misura delle grandezze alternate si utilizza un opportuno convertitore c.a./c.c.
Il progetto di un multimetro è direttamente correlato al grado voluto di accuratezza dello
strumento, per cui non si può che fornire indicazioni di massima sui componenti e sui
circuiti impiegati. I voltmetri termici a vero valore efficace possono essere a termocoppia o
a transistor. In Fig.3.16 è mostrato uno schema a blocchi di un voltmetro termico a
termocoppie. Dopo opportuno condizionamento la tensione in ingresso consente la
circolazione di una corrente nel riscaldatore R della prima termocoppia, in modo che in
uscita a questa si abbia una tensione continua proporzionale al valore efficace della
tensione da misurare. Allo scopo di ridurre notevolmente gli errori dovuti alla non linearità
delle termocoppie la tensione in uscita alla prima è bilanciata da quella di una termocoppia
identica con un riscaldatore percorso dalla corrente di retroazione, opportunamente
amplificata. Quanto maggiore è la differenza tra le due tensioni ai morsetti delle
termocoppie, maggiore risulterà il riscaldamento della termocoppia di bilanciamento, il che
comporterà un aumento di v2, finchè questa non risulterà uguale alla tensione v1. In
queste condizioni si avrà l'uguaglianza, a meno del fattore di condizionamento, tra la
tensione continua misurata dal voltmetro e il valore efficace della tensione applicata allo
strumento.
21

Fig.3.16 Voltmetro a vero valore efficace con termocoppie

Poichè l'effetto termico sulla termocoppia in ingresso dipende dal quadrato del valore
efficace della tensione applicata, il voltmetro misurerà il valore efficace quale che sia la
forma d'onda della tensione da misurare. Voltmetri a termocoppie del tipo descritto hanno
un ampio campo di frequenza e sono in grado di misurare anche i microvolt. Altri voltmetri
termici a vero valore efficace sfruttano l'influenza della temperatura sul funzionamento dei
componenti elettronici allo stato solido. Un esempio di questo voltmetro è riportato in
Fig.3.17.

Fig.3.17 Schema di un voltmetro termico a transistor

Vi sono due circuiti integrati identici, costituiti da un resistore e un transistor,


realizzati sulla stessa basetta e montati sullo stesso supporto in modo da uguagliare
l'influenza della temperatura ambiente. Al solito la tensione da misurare determina il
riscaldamento del resistore R e quindi del transistor TR1. La corrente che in esso fluisce
aumenta e la tensione all'ingresso invertente dell'amplificatore diminuisce. La tensione di
sbilanciamento viene amplificata finchè, per il riscaldamento del resistore relativo al
transistor TR2, aumenta anche la corrente in TR2 e si riduce la tensione all'ingresso non
invertente dell'amplificatore portandosi al valore assunto dalla tensione al terminale
invertente. All'equilibrio la tensione continua misurata dal voltmetro in c.c. è uguale al
valore efficace della tensione in ingresso qualunque ne sia la forma d'onda. Un
convertitore resistenza tensione permette la misura di resistenze. In Fig.3.18 è invece
mostrato un circuito per la misura di resistenze, costituito da un generatore a corrente
22

costante e da un amplificatore. La portata dello strumento si varia mediante il resistore


variabile R.

Fig.6.40 Misuratore di resistenza

Con riferimento al circuito di Fig.3.18 è facile verificare che, ponendo R2>>R, sussiste la
seguente relazione:
ER2
Vu = Rx
RR1
Una scala del multimetro è tarata direttamente in ohm. Come si nota dall'Equazione
precedente il valore della resistenza incognita è direttamente proporzionale alla tensione
Vu, per cui al crescere della resistenza incognita l'indice del multimetro si sposterà da
sinistra verso destra, al contrario dei normali VOM. Gli ohmmetri sono strumenti molto
utilizzati per diverse applicazioni, quali a esempio il controllo di continuità di circuiti elettrici
e di funzionalità di diodi. Un filamento interrotto in una lampadina, un fusibile bruciato, un
contatto o una bobina aperti possono non essere evidenziati a vista dall'esterno, ma
richiedono la misura della resistenza con l'ohmmetro. Controlli dello stesso tipo possono
essere eseguiti sulla cavetteria, su terminali di prova a punta, su cavi coassiali, su cavi a
più conduttori e su molti altri dispositivi. Occorre solo tener conto che l'ohmmetro nel suo
funzionamento determina la circolazione di corrente nel dispositivo in prova. Questo deve
quindi essere in grado di non subire danneggiamenti per la corrente di circolazione, anche
se molto piccola. Per esempio è da escludere l'uso dell'ohmmetro per la misura della
resistenza interna di galvanometri e microamperometri.
La misura di resistenza si esegue congiungendo i puntali dell'ohmmetro ai terminali
della resistenza in prova, dopo aver scelto la scala più opportuna. Se l'indice
dell'ohmmetro si approssima allo zero (ovvero al fondo scala) è verificato il persistere della
continuità elettrica.
L'ohmmetro consente di stabilire in un diodo con i morsetti non contrassegnati
quale sia l'anodo e quale il catodo. Si colleghi il morsetto positivo dell'ohmmetro (in genere
di colore rosso) a quello che si presume sia l'anodo e il morsetto comune (in genere di
colore nero) al catodo. L'indicazione dello strumento dovrebbe essere di una piccola
resistenza. Invertendo i morsetti dell'ohmmetro si dovrebbe avere l'indicazione di una
resistenza di valore elevato. La misura delle due resistenze consente di valutare la bontà
del diodo, che dovrebbe presentare un rapporto elevato tra resistenze inversa e diretta.
I DVM e i DMM sono spesso classificati in base al numero di cifre piene Np
disponibili sul visualizzatore. In aggiunta alle Np cifre vi è in genere una mezza cifra o cifra
parziale, dovuta ai due soli possibili valori 0 e 1 che può assumere la prima cifra
all'estrema sinistra del visualizzatore. Nelle specifiche dello strumento è indicato il numero
23

"Np 1/2 digit". Tipicamente gli strumenti digitali hanno visualizzatori con numero di digit
variabile tra 3 1/2 e 8 1/2. Uno strumento da 3 1/2 ha una risoluzione di 1 parte su 2000,
mentre uno da 8 1/2 ha una risoluzione di una parte su 2 108.
L'errore percentuale nei DVM è variabile in dipendenza delle caratteristiche
costruttive, della tecnologia utilizzata e del costo. Valori tipici sono quelli compresi tra 0,1
% e 0,001 %. Maggiori accuratezze sono anche possibili, si arriva a incertezze più piccole
di parti per milione (ppm), ma in tal caso in genere non è assicurata la stabilità delle
prestazioni, se non per un tempo specificato. Dopo questo periodo di tempo è necessaria
una nuova taratura o di converso bisognerà accettare un più basso livello di accuratezza.
Un errore tipico degli strumenti digitali è quello di conteggio 1, dovuto alla mancanza di
sincronizzazione tra il treno di impulsi contato dall'unità di conteggio e la durata del
conteggio. L'esame di questo errore sarà ripreso a proposito del contatore universale. Nei
DVM e nei DMM sono forniti due valori di errori percentuali uno di lettura, eL%, e uno di
portata, eP%. Indicate con P la portata e con L la lettura, l'errore percentuale complessivo
si ottiene facilmente dalla seguente relazione:

P
e % = e L% + eP %
L
A volte è fornito il valore dell'errore assoluto di portata in digit con riferimento all'ultima
cifra sulla destra del visualizzatore. In tal caso per calcolare eP% occorre dividere il numero
di digit fornito per la massima indicazione del visualizzatore e moltiplicare per 100. Si
consideri il seguente esempio numerico. Si abbia un DVM a basso costo a 3 1/2 digit e
siano eL%=±0,2 % e eP%=±0,1 %, invece di eP% si può fornire il valore di ±2 digit, che
diviso per 1999 e moltiplicato per 100 dà proprio 0,1 %. Nel caso di indicazione a fondo
scala, in base all'equazione precedente, si ha un errore complessivo dello 0,3 %, che sale
allo 0,4 % a metà del fondo scala. E' bene quindi sottolineare che l'errore complessivo è
tanto più piccolo quanto più si va verso il fondo scala.
Come è noto l'accuratezza dello strumento è legata alle particolari condizioni
operative e alle grandezze d'influenza. Notevole rilievo assume la temperatura, per cui il
costruttore fornisce i valori di temperatura relativi al campo di normale funzionamento ed
anche l'errore percentuale di temperatura per quando si operi al di fuori del suddetto
campo, ma siano rispettati i limiti di sicurezza.
E' opportuno ricordare che i DMM presentano un'impedenza d'ingresso molto
elevata, in genere supera i 10 MΩ, il che rende in genere trascurabile l'errore di consumo.

3.7 CONTATORE UNIVERSALE

Il contatore universale è uno strumento che va sempre più diffondendosi per la sua
elevatissima accuratezza e per la capacità di misurare oltre al tempo e alla frequenza una
serie di altre grandezze convertite o riconducibili a misure di tempo. Esso è in grado di
fungere da contatore di eventi elettrici in ingresso, di misurare rapporti di frequenze,
differenze di fase, ritardi di un evento rispetto a un altro, tempi di salita e di caduta, cicli di
funzionamento di un dispositivo a intermittenza o di un'onda quadra, di tensioni, ampiezze
di impulsi e altre grandezze.
Un contatore universale è costituito essenzialmente da 5 blocchi: una sezione di
ingresso; una porta principale; un'unità di conteggio decimale (DCU), con accluso
24

visualizzatore; un circuito base dei tempi, con divisore a decadi; un microprocessore con
compiti di controllo e di selezione delle diverse funzioni, secondo quanto definito dal
pannello esterno da parte dell'operatore.
In Fig.3.9 è mostrato uno schema a blocchi di un contatore universale, in cui si sono
evidenziati i 5 blocchi principali costituenti lo strumento.
L'accuratezza nelle misure di tempo e frequenza raggiungibile con questi contatori
è elevatissima ed è legata al particolare tipo di orologio utilizzato. Si arriva a incertezze di
1 parte in 1014 con orologi atomici al cesio retroazionato. Livelli più bassi di accuratezza si
hanno con orologi al rubidio, controllati con un circuito risonante, o con cristalli al quarzo.
Valori medi di incertezza sono di una parte in 108.

Fig.3.9 Schema semplificato a blocchi di un contatore universale

La sezione d'ingresso del contatore è costituita in genere da due canali gemelli che
servono ad adattare i segnali da misurare agli stadi successivi e a convertirli in forme
compatibili con i circuiti logici a valle interni al microprocessore. Essa è costituita
essenzialmente dai seguenti componenti in cascata: un connettore d'ingresso con
l'opzione c.c. o c.a.; un attenuatore automatico; un limitatore di tensione per la protezione
dei circuiti elettronici; un amplificatore a guadagno variabile con adattatore d'impedenza;
un circuito di Schmitt con livello di trigger e pendenza dell'impulso in uscita variabile. A
volte è previsto anche un filtro passa basso con frequenza di taglio variabile.
Il segnale di ingresso può essere convertito o in una serie di impulsi contati poi dal
contatore decimale o in una finestra di osservazione per la definizione dei segnali di start e
stop al conteggio di un treno di impulsi provenienti dall'orologio principale.
Il segnale squadrato in uscita al trigger di Schmitt è inviato in ingresso al
microcontrollore, che in base alla funzione scelta, determina il tipo di segnale da inviare
alla porta principale. Nel caso di misura della frequenza il segnale in ingresso al contatore
dopo essere stato squadrato passa attraverso un derivatore e un "clipper" in modo da
avere una serie di impulsi di breve durata distanziati tra loro di un tempo pari al periodo del
segnale da misurare. Nel caso invece di misure di tempo in ingresso alla porta principale è
inviato un impulso di durata pari al periodo del segnale in ingresso o a un suo multiplo.
Il tempo finito di commutazione, necessario per passare da uno stato all'altro nel
circuito di Schmitt, pone dei limiti alla massima frequenza misurabile mediante il contatore.
La porta principale a due ingressi è una ordinaria porta AND che ha la funzione di lasciar
passare una serie di impulsi proveniente o dal canale d'ingresso o dall'orologio principale
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per un tempo stabilito dalla porta logica di controllo, che ne abilita l'apertura e la chiusura
con segnali di "start" e "stop". Per assicurare la massima velocità di passaggio degli
impulsi attraverso la porta principale, questa è realizzata ricorrendo alla famiglia logica
ECL. La massima frequenza misurabile mediante un contatore universale è intorno al
gigahertz.
Come si è detto l'accuratezza di tutto il contatore è legata prevalentemente alle
caratteristiche dell'orologio principale. Questo oltre alla elevata accuratezza deve
presentare ottima stabilità. Gli oscillatori più utilizzati sono quelli che utilizzano cristalli al
quarzo. La stabilità di questi oscillatori è minacciata dalla temperatura,
dall'invecchiamento, dalle variazioni nella tensione di alimentazione. In genere la
frequenza degli oscillatori al quarzo varia tra 1 e 10 MHz, campo nel quale questi
oscillatori forniscono le migliori prestazioni. Gli angoli di taglio rispetto agli assi
cristallografici sono scelti tra i 35° 18' e i 35° 20', in quanto questi assicurano la minima
influenza della temperatura sulla frequenza di oscillazione. Gli oscillatori al quarzo
possono essere del tipo compensato in temperatura (TCXO). La compensazione avviene
mediante un altro oscillatore al quarzo soggetto alle stesse variazioni di temperatura di
quello principale e agente sulla frequenza in senso opposto. Gli oscillatori non compensati
si utilizzano nei contatori da 4 a 6 cifre nei quali il campo di normale funzionamento per la
temperatura è molto limitato. I TCXO sono impiegati nei contatori da 6 a 7 cifre. Per
migliorare ulteriormente l'accuratezza si deve ricorrere a un sistema di controllo della
frequenza e di stabilizzazione della temperatura con l'aggiunta di un contenitore
termostatato. In tal modo si ottengono contatori universali da 7 a 9 cifre. L'oscillatore al
quarzo è seguito da una serie di divisori, costituiti da contatori a decade del tipo di quelli
utilizzati nell'unità di conteggio decimale. Ogni contatore permette di ridurre la frequenza di
un decimo. Si hanno così anche dei riferimenti temporali in un ampio campo di valori.
Valori tipici sono una frequenza di 10 MHz per l'oscillatore al quarzo e gradini temporali
variabili tra 100 ns a 10 s.
Il contatore universale può fungere da contatore di impulsi, i quali sono in genere
associati a una serie di eventi. In tal caso alla porta principale è applicato costantemente,
proveniente dalla porta di controllo, un livello alto di tensione. Sull'altro ingresso possono
quindi essere inviati gli impulsi da contare. Prima di essere inviati alla porta principale gli
impulsi possono passare attraverso divisori binari o a decade o di altro tipo in modo che gli
eventi siano contati a due a due o a dieci a dieci e così via. Le applicazioni del contatore di
eventi sono le più disparate. Si possono per esempio contare i colli che in movimento
interrompono il fascio luminoso di una cellula fotoelettrica. Un altro esempio è
rappresentato da un tachimetro digitale. Un disco con un certo numero di fori, equistanziati
lungo la corona circolare esterna (pari a 60 se si vuol misurare la velocità in giri/min), è
calettato solidalmente su un albero in rotazione. L'alternanza foro-pieno consente
mediante una cellula fotoelettrica la chiusura e l'apertura di un circuito elettrico con la
formazione di una serie di impulsi. Il conteggio di questi impulsi, in base al numero di fori
praticati sul disco, permette la misura del numero di giri al secondo o al minuto compiuti
dall'albero in rotazione. Per evitare che il conteggio ecceda il massimo numero contabile in
base alle cifre disponibili sulla DCU, esiste un sistema di "reset" che azzera il contatore
una volta raggiunto il massimo e lo riattiva per un successivo conteggio.
La misura di frequenza avviene mediante il conteggio del numero di cicli del
segnale in ingresso in un intervallo di tempo noto e controllato con grande accuratezza.
Mediante il circuito di Schmitt il segnale da misurare è convertito in una serie di impulsi
che si susseguono alla stessa frequenza della fondamentale. Gli impulsi sono inviati
tramite il microcontrollore alla porta principale, al secondo ingresso della quale è applicato
tramite la porta di controllo, proveniente dalla base dei tempi, un livello alto di tensione
26

continua di durata ben definita, TW. Indicato con N il numero di impulsi contati nel tempo
TW, la frequenza f del segnale in ingresso è data dall'espressione f= N/TW. Generalmente
la scelta del tempo è automatica o può avvenire mediante la manopola sul pannello di
scelta manuale della scala e la frequenza è letta direttamente per esempio in hertz o
kilohertz o megahertz.
Il contatore universale può eseguire anche la misura del rapporto tra due frequenze.
In questo caso l'oscillatore principale è disattivato. I due segnali a differente frequenza
sono inviati in ingresso ai due canali A e B. Il segnale a più bassa frequenza, fB, è inviato
in ingresso al canale B ed è utilizzato per azionare la porta di controllo, sostituendo la
base dei tempi. Il segnale sul canale A è convertito in una serie di impulsi alla stessa
frequenza della fondamentale fA. Pertanto la DCU conterà il numero di cicli del segnale a
frequenza più elevata fA durante uno o un multiplo di dieci del periodo del segnale a
frequenza più bassa fB. Nel caso si consideri un solo periodo per azionare i comandi di
"start" e "stop" della porta di controllo, si avrà: fA=N/TB, ovvero N=fA/fB.
Un'altra delle funzioni svolte dal contatore universale è quella della misura di
periodi. Poichè il periodo è l'inverso della frequenza sarà sufficiente invertire le funzioni dei
due ingressi della porta principale rispetto al caso della misura di frequenza. In particolare
il segnale in ingresso al contatore fornisce, mediante la porta di controllo, i segnali di
"start" e di "stop" alla porta principale. Questi segnali sono distanziati tra loro di un
periodo, Ts, del segnale in ingresso al contatore. In questo tempo sull'altro ingresso della
porta principale sono inviati degli impulsi a una frequenza di ripetizione nota provenienti
dalla base dei tempi. Indicato con N il numero di impulsi a frequenza fc, contati nel periodo
Ts, si ha: Ts=N/fc.
Le misure di tempo non si limitano a quelle di periodo, sono infatti possibili misure
su uno stesso segnale o di ritardo tra due segnali. In base al tipo di misura da eseguire i
segnali applicati ai canali di ingresso svolgono funzioni differenti. Per esempio se si vuol
misurare il ritardo di un evento rispetto all'altro, i due eventi sono convertiti in segnali che
attraverso i canali A e B fungono da comandi di "start" e "stop" per la porta di controllo.
Dalla base dei tempi è inviato sull'altro ingresso della porta principale un treno di impulsi a
frequenza nota. Nel caso del ritardo tra due sinusoidi isofrequenziali, i comandi di "start" e
di "stop", sono in genere associati al primo passaggio per lo zero con la stessa pendenza
da parte dei due segnali. Per migliorare l'accuratezza si possono eseguire due misure
invertendo la pendenza del trigger e facendo la media dei due risultati ottenuti. Il ritardo tra
i due eventi è dato dal rapporto tra il numero di impulsi contati tra i due comandi di "start" e
"stop" e la frequenza degli impulsi. E' facile immaginare come, con opportuna variazione
della pendenza del trigger, si possano misurare sia la durata di un impulso sia il "duty-
cycle", definito come il rapporto tra la durata dell'impulso e il suo periodo.
L'accuratezza e la risoluzione possono essere migliorate mediante operazioni di
media. Generalmente i contatori elettronici hanno la funzione selezionabile di media. In tal
caso si utilizzano in modo opportuno il divisore a decade della base dei tempi o specifici
divisori, che consentono di aumentare il tempo di osservazione, in alternativa si può
eseguire più volte la stessa misura di cui si valuta poi il valor medio. Naturalmente in tal
modo il tempo impiegato per la misura aumenta.
Diverse sono le cause di errore nelle misure eseguibili tramite un contatore
universale. Esse si possono raggruppare nelle seguenti categorie: errore di porta o di
conteggio ±1; errore relativo alla base tempi; errore di scatto; errori sistematici.
L'errore di conteggio, come si è accennato a proposito degli errori nei DVM e DMM,
è quello presente in tutti gli strumenti digitali che si basino su un conteggio di impulsi. Esso
27

è dovuto alla mancanza di sincronizzazione tra i due segnali applicati alla porta principale.
In assenza di sincronizzazione, il numero di impulsi contato tra i due comandi di "start" e
"stop", provenienti dalla porta di controllo, può differire di 1, in dipendenza dell'istante di
avvio del comando di "start" e in particolare se esso avviene poco prima che il primo
impulso da contare giunga sulla porta principale o viceversa il ritardo tra i due eventi sia
quasi pari all'intervallo di tempo tra due impulsi. L'errore di conteggio determina quindi
un'ambiguità di ±1 nell'LSD. Trattandosi di un errore assoluto, è evidente che in valori
relativi la sua influenza diminuisce all'aumentare del numero N di impulsi contati nel tempo
prefissato dalla porta di controllo. Ne scaturisce immediata la considerazione che nel caso
di segnali a bassa frequenza è preferibile effettuare la misura del periodo, mentre per
segnali ad alta frequenza si dovrà ricorrere alla misura di frequenza. In alcuni contatori per
evitare la presenza dell'errore di conteggio si predispone un sistema di sincronizzazione
dei segnali applicati alla porta principale.
L'errore dovuto alle incertezze nella frequenza di ripetizione degli impulsi o nei
comandi di "start" e "stop" si ripercuote direttamente sulla misura. Questi errori sono legati
essenzialmente alle fluttuazioni della frequenza dell'oscillatore principale da quella di
taratura. Come già si è accennato sistemi di controllo di questa frequenza sono presenti
nei contatori di maggior pregio, in modo da ridurre notevolmente l'entità dell' errore relativo
alla base dei tempi.
Anche dell'errore di scatto si è accennato a proposito della finestra del trigger di
Schmitt. Oscillazioni indesiderate dell'ampiezza del segnale in ingresso, dovute alla
presenza di rumore, possono determinare l'insorgere di impulsi spuri. Agendo, spesso in
modo automatico, sull'UTP e sul LTP si può evitare l'insorgere di questo errore con
riferimento alla sezione di ingresso. Allo scopo di ridurre ulteriormente errori di scatto
dovuti a rumori esterni in alcuni contatori è prevista la possibilità di inserire prima del
circuito di Schmitt un filtro passa basso analogico che elimini le componenti alle frequenze
più elevate di rumore. Vi può essere anche l'insorgere di un rumore interno al contatore
che determini l'apertura indesiderata della porta principale. Nei contatori di maggiore
precisione si utilizzano componenti logici immuni da rumori, naturalmente con un aumento
del costo. Trattandosi di errori casuali un altro modo per aumentare la precisione è quello
di eseguire la media di diverse misure, che è una funzione quasi sempre presente nei
contatori universali.
Gli errori sistematici sono essenzialmente legati ai ritardi nei comandi di "start" e
"stop" della porta di controllo rispetto al verificarsi degli eventi che li determinano. Essi
sono addebitabili alla presenza di linee esterne di collegamento tra sensori e contatore,
oltre che dei canali di amplificazione interni al contatore e dei collegamenti tra trigger di
Schmitt, base tempi e porta di controllo. Si può migliorare l'accuratezza eliminando o
riducendo questi errori sistematici attraverso frequenti tarature del contatore. Gli errori
sistematici non eliminabili sono portati in conto dal costruttore in sede di definizione del
massimo numero di cifre sul visualizzatore del contatore.

3.9 OSCILLOSCOPI DIGITALI

Gli oscilloscopi digitali pur essendo la naturale evoluzione degli oscilloscopi


analogici a memoria se ne discostano considerevolmente come architettura e tendono a
svolgere una serie di funzioni che ha consentito di allargare notevolmente il campo
applicativo. E' bene precisare subito che un oscilloscopio digitale è in grado di misurare
indifferentemente fenomeni transitori o stazionari e ripetitivi, che vengono immagazzinati in
una memoria e quindi sono disponibili per visualizzazioni in tempi differenti. Un'altra
28

caratteristica da sottolineare è quella della possibilità di memorizzare dati da inviare al


controllore di un sistema ATE ("Automatic Test Equipment"). Gli oscilloscopi digitali
disponibili sul mercato vanno differenziandosi da casa a casa sia nell'architettura sia nelle
prestazioni. Uno degli elementi comuni è la presenza al loro interno di un
microprocessore, che consente allo strumento di operare in logica programmata e di
svolgere una serie ampia di misure, che rende oggi l'oscilloscopio digitale più versatile di
un multimetro.
La diffusione massiva degli oscilloscopi digitali è abbastanza recente. La
disponibilità oggi soprattutto di ADC e di memorie veloci ha reso possibile la realizzazione
di oscilloscopi digitali con elevate prestazioni. Nonostante non si sia probabilmente ancora
raggiunta la fase di piena maturità di tali oscilloscopi, alcune case costruttrici hanno abolito
dalle loro linee di produzione gli oscilloscopi analogici e commercializzano solo quelli
digitali.
Si impiegano normalmente memorie tipo FISO (acronimo delle parole inglesi "Fast
In Slow Out") le prestazioni in frequenza richieste al visualizzatore sono decisamente
inferiori a quelle degli oscilloscopi analogici, a parità di banda passante. I dati infatti sono
memorizzati alla stessa velocità con cui sono convertiti da analogici in digitali, ma possono
essere richiamati dalla memoria a velocità inferiore. Il tubo a raggi catodici CRT a bassa
frequenza è meno costoso, più affidabile, ha maggiore durata. Per questo motivo, in
particolare la memoria può trasmettere i dati a frequenze inferiori alle decine di kilohertz, è
possibile ricorrere non solo alla deflessione di tipo elettrostatico, ma anche a quella
magnetica, inoltre si possono impiegare CRT a colori. Il visualizzatore più utilizzato negli
oscilloscopi digitali è il tubo con scansione a copertura completa (in inglese "raster scan").
Tipici valori di frequenze di acquisizione dei dati in memoria sono di 100 MHz con
convertitori ADC a 8 bit. La velocità di campionamento è legata oltre che alle
caratteristiche dell'ADC e della memoria alla frequenza di oscillazione dell'orologio della
base dei tempi, che è in genere a cristallo, controllato in frequenza. Campi medi di velocità
vanno da 20 campioni al secondo con una risoluzione orizzontale di 5 s per divisione fino
a 100 megacampioni al secondo con una risoluzione di 1 μs per divisione.
In Fig.3.10 è mostrato uno schema semplificato di oscilloscopio digitale. Il CRT è
del tipo a scansione con copertura completa dello schermo, detto anche con terminologia
inglese "raster scan". Esso ha il vantaggio di poter essere sia alfanumerico sia grafico, in
modo da svolgere le funzioni sia di terminale di un calcolatore sia di televisore. La
funzione svolta è di convertire i caratteri o bit contenuti nella memoria in un segnale video.
Il sistema di deflessione orizzontale è interessato da un segnale a dente di sega, che
consente l'escursione del pennello elettronico dalla sinistra alla destra continuamente. Il
sistema di deflessione verticale è anch'esso eccitato con un segnale a dente di sega più
lento di quello presente sull'asse x, il rapporto di frequenze fra i due segnali determina il
numero di linee orizzontali sullo schermo. Il fascio di elettroni dopo aver tracciato la prima
linea da sinistra a destra dello schermo torna a sinistra in posizione diversa da quella di
partenza, proprio per la presenza della tensione a dente di sega sul sistema di deflessione
verticale, in modo che possa tracciare un'altra linea che non si sovrapponga alla
precedente. Durante la ritraccia il fascio è interdetto per evitare l'illuminazione dello
schermo. Il tempo necessario per la traccia di una linea è dell'ordine di alcune decine di
microsecondi, il 15% del quale è in genere necessario alla ritraccia. Il pennello elettronico
esegue periodicamente l'operazione di scansione di tutto lo schermo tracciando un certo
numero di righe uniformemente distribuite. Così per esempio se il tempo necessario per
tracciare una riga è 65 μs e vengono tracciate 256 righe, lo schermo sarà scandito 60 volte
al secondo. Anche quando termina la rampa relativa all'asse y si ha l'interdizione del fascio
per consentire senza illuminazione che esso possa passare dal fondo dello schermo alla
29

sommità e riprendere a scandire le diverse linee orizzontali. L'informazione grafica o


alfanumerica è convertita in un segnale modulato applicato al sistema di interdizione del
fascio di elettroni, ovvero in genere alla griglia di controllo del cannone elettronico.
L'informazione relativa a una riga è inviata in forma seriale, costituita in genere da una
serie di impulsi di durata variabile, al controllo del fascio di elettroni. Ovvero secondo
l'esempio precedente in 64 μs si susseguono tanti impulsi che consentono al fascio di
elettroni di illuminare la riga solo in alcuni punti. Il processo si ripete per tutte le righe
orizzontali. In definitiva l'immagine che si vuole ottenere risulterà composta da una serie di
punti, detti anche "pixel", illuminati sullo schermo. Il compito di decidere quali sono i pixel
da rendere luminosi per ottenere un'indicazione alfanumerica o un'immagine è svolto da
un apposito circuito integrato denominato generatore di forma o di carattere, costituito da
una ROM e da alcuni circuiti di controllo. Si crea un legame biunivoco tra i bit e i pixel dello
schermo. Così se un bit della memoria è 1 il pixel corrispondente sarà eccitato a ogni
scansione e diventerà luminoso sullo schermo. Su ogni linea sono previsti 1024 pixel.
Poichè sullo schermo dell'oscilloscopio digitale oltre alla traccia della forma d'onda
devono essere presenti altre informazioni, che restano costanti una volta fissate, quali il
reticolo e le sue scale, la funzione prescelta e così via, si predispone una memoria distinta
da quella in cui sono conservate le informazioni relative alle forme d'onda del segnale. In
questo modo si semplifica la gestione della memoria per la scansione dello schermo.

Fig.3.10 Schema di un oscilloscopio digitale con CRT a scansione

L'elevato costo dell'oscilloscopio mostrato in Fig.3.10 deriva dalla presenza dei filtri
antialiasing, necessaria per un corretto campionamento, e dei sistemi di controllo dei
diversi componenti. Valori tipici di banda di frequenza sono di 100 MHz con base dei tempi
da 2 ns/div a 5 s/div e sensibilità verticali variabili tra 2 mV/div fino a 5 V/div. Lo strumento
può eseguire anche misure di frequenza, di potenza e in alcune versioni può fungere
anche da analizzatore di spettro. Poichè la misura della frequenza in genere è eseguita
valutando il tempo tra due passaggi per lo zero, con la stessa pendenza, da parte della
forma d'onda in esame, il risultato è attendibile solo per segnali che presentino in un
periodo un solo passaggio per lo zero con una data pendenza. L'oscilloscopio digitale è
particolarmente adatto a misurare le caratteristiche di un segnale a onda quadra. Esiste
spesso un tasto apposito "RISE TIME" che quando è spinto consente la misura diretta del
30

tempo di salita. Un altro tasto "ALL" quando premuto fornisce sullo shermo i valori misurati
oltre che del tempo di salita anche della frequenza, della durata dell'impulso, di eventuali
sovraelongazioni, del valore efficace, dello scostamento dallo zero (o "offset"), del ritardo,
del tempo di caduta, del periodo e del "duty cycle". Un'altra misura possibile è quella del
tremolio (o "jitter") di un treno di impulsi causati dalle inevitabili anche se piccole
fluttuazioni in frequenza, nella tensione di alimentazione o da instabilità nel sistema di
controllo o da altre cause ancora. Si predispone l'oscilloscopio su "persistenza infinita" in
modo che sullo schermo si visualizzino tutti gli impulsi che giungono sul canale attivato e
si possano evidenziare gli scostamenti in successione di un impulso rispetto all'altro.
La forma d'onda visualizzata può derivare da due distinti tipi di campionamento, in
tempo reale o ripetitivo. Il campionamento in tempo reale comporta l'esame di una forma
d'onda in un singolo passaggio. Ovvero la forma d'onda è campionata sequenzialmente
quando si presenta per la prima volta. E' evidente che i risultati migliori si ottengono
quando la frequenza di campionamento-conversione-immagazzinamento è molto più
elevata di quella del segnale, in quanto in tal caso si avranno a disposizione molti "pixel"
per visualizzare l'onda. Nel caso di campionamento in tempo reale o a un solo passaggio,
si richiedono non solo ADC veloci, ma anche memorie in grado di immagazzinare i dati
alla stessa velocità. Si pensi che nel caso di una frequenza di campionamento di 200 MHz
la memoria deve essere in grado di immagazzinare un dato in un ciclo di 5 ns. Per questo
si ricorre a memorie del tipo FISO. La ricostruzione dell'immagine sullo schermo può
avvenire non solo per punti, ma anche per interpolazione sia lineare sia sinusoidale. Non
esite una regola fissa per stabilire quando sia conveniente ricorrere a un modo o a un altro
di ricostruzione dell'immagine. E' noto che in base al teorema di Shannon per avere
informazioni sufficienti a ricostruire la componente del segnale a frequenza massima sono
necessari più di due punti. Se il numero di punti è di poco superiore a due non è
comunque possibile una ricostruzione per punti né è sufficiente una interpolazione lineare,
ma si dovrà ricorrere a un'interpolazione sinusoidale.
Il campionamento ripetitivo è applicabile solo a segnali periodici che si ripresentino
uguali per un certo tempo, ovvero non è utilizzabile per eventi singoli. Il maggiore
vantaggio del campionamento ripetitivo è quello di poter utilizzare un ADC lento ma con
elevata risoluzione. Esso si suddivide in campionamento ripetitivo sequenziale o casuale.
Il campionamento sequenziale è molto simile a quello che si effettua in un
oscilloscopio analogico a campionamento. Ad ogni evento di trigger si preleva un
campione distanziato temporalmente dal precedente di uno stesso tempo di ritardo. La
forma d'onda è ricostruita utilizzando i punti immagazzinati nella memoria dopo che si
sono eseguiti diversi campionamenti. Se il segnale in ingresso è a frequenza molto elevata
si può prelevare ogni campione dopo un certo numero di periodi della forma d'onda cui va
sempre aggiunto il tempo di ritardo. E' importante sottolineare che con questo metodo si
ricostruisce il segnale che si verifica dopo l'evento di trigger.
Il campionamento casuale si differenzia dal precedente per l'assenza di legame tra
l'istante del campionamento e l'evento di trigger. Ovvero il campionamento viene eseguito
con continuità sulle forme d'onda del segnale che si ripetono nel tempo senza attendere
l'evento di trigger, da cui deriva il nome di casuale al campionamento. Per la ricostruzione
del segnale si valuta l'intervallo di tempo tra l'istante del campionamento e l'evento di
trigger, tempo che viene associato nella memoria al punto campionato sotto la gestione
del microprocessore. E' interessante sottolineare che il campionamento viene eseguito
non solo dopo che si sia verificato l'evento di trigger, come avviene nel campionamento
sequenziale, ma anche prima dell'evento di trigger. Ne deriva che a differenza di quanto
accade nei normali oscilloscopi, con il campionamento ripetitivo casuale si ricostruisce la
forma d'onda anche nella sua parte precedente l'evento di trigger. A questa caratteristica,
31

molto utile in diverse applicazioni, viene dato il nome di ricostruzione del segnale nel
"tempo negativo".
In alcuni oscilloscopi digitali si tende a conservare un pannello di comando analogo
a quello disponibile sugli oscilloscopi analogici, per permettere una facile comprensione
delle funzioni e quindi un uso agevole. Così è facile trovare tutte le funzioni di controllo
quali i fattori di deflessione ovvero la manopola dei "VOLT/div", quella della posizione della
traccia sullo schermo, la base dei tempi principale.
Negli oscilloscopi digitali più sofisticati, atti a svolgere un numero notevole di
funzioni e quindi di misure, è possibile programmare la sequenza di operazioni che si vuol
far svolgere all'oscilloscopio mediante una serie di selettori di funzione e una tastiera in
genere esadecimale. Una volta stabilita la successione delle operazioni questa è
memorizzata in modo da essere disponibile anche dopo che l'oscilloscopio sia stato
spento. Esiste un tasto inoltre che quando premuto evidenzia sullo schermo tutti i
parametri selezionati. Molto spesso esiste la possibilità di collegamento dell'oscilloscopio
digitale a un calcolatore per diversi scopi. Uno può essere quello di far svolgere
all'oscilloscopio la funzione di stazione remota di misura, con l'acquisizione di dati e la
successiva memorizzazione in altra parte del sistema. Un'altra funzione può essere quella
di visualizzatore di forme d'onda già immagazzinate in altra parte del sistema. Il
calcolatore può inoltre svolgere la funzione di programmatore automatico dell'oscilloscopio
digitale, nel senso che nel calcolatore esiste un programma di gestione con possibilità di
memorizzare "file" in cui sono contenute le funzioni che si vuol far svolgere
all'oscilloscopio. In tal modo è notevolmente semplificata la programmazione di tutte le
operazioni e misure che l'oscilloscopio può eseguire.
Negli oscilloscopi digitali, per la presenza di un microprocessore è notevolmente
semplificata la stampa su "plotter" o "hard-copy" esterni.

3.10 COLLEGAMENTO A MASSA E SCHERMATURE

Nell'introdurre l'affidabilità si è detto che la qualità di uno strumento di misura o di


un dispositivo di controllo dipende dalla cura posta in sede di progetto e di realizzazione.
Uno dei problemi più ostici è quello di minimizzare gli effetti delle interferenze e dei rumori
interni ed esterni al sistema di misura. A questo scopo risultano di particolare importanza il
collegamento a massa e le schermature. Il collegamento a massa o al potenziale di terra è
spesso necessario per problemi di sicurezza e va fatto con molti accorgimenti e
precauzioni, in modo da evitare che correnti di dispersione influenzino le parti sensibili
dello strumento. Le schermature consistono nel porre il dispositivo o sue parti in
contenitori metallici per prevenire gli effetti di campi elettrici e magnetici sulle parti sensibili
del sistema di misura. Le tecniche per realizzare il collegamento a massa e le schermature
pur se consolidate richiedono molta attenzione ed esperienza da parte del progettista e
dell'operatore.
Le interferenze, che sono prevalentemente dovute a campi elettrostatici o
magnetici, e il rumore risultano particolarmente temibili quando i livelli dei segnali sono
molto bassi. Del rumore associato ai componenti elettronici si è trattato nel paragrafo
precedente. Poichè la maggior parte degli strumenti elettronici richiede un'alimentazione
dalla rete di potenza, in genere si ha quasi sempre un'interferenza alla frequenza di 50 o
60 Hz, dovuta alla presenza di accoppiamenti capacitivi tra il sistema di misura e le
sorgenti di alimentazione della rete di potenza. Le cause di interferenza in realtà sono
molteplici e in particolare si accenna a: f.e.m. di contatto tra metalli di diversa natura, dette
anche tensioni Seebeck (dell'ordine di 20-40 μV/K); tutte le sorgenti di segnali impulsivi,
legate alla diffusione dell'elettronica di potenza, con componenti in frequenza che arrivano
32

alle centinaia di megahertz; macchine elettriche in c.a.; effetto corona nei conduttori in alta
tensione; lampade con scarica in gas; tutti i generatori di segnali ad alta frequenza
utilizzati nei sistemi di comunicazione. Molti effetti di questi tipi di interferenza possono
essere ridotti mediante l'applicazione di un trasformatore di isolamento e l'uso combinato
di conduttori e componenti schermati.
Nel trattare il collegamento a massa bisogna distinguere tra il punto di riferimento
dei potenziali, detto anche comune, e l'impianto di terra, cui è necessario collegare per
motivi di sicurezza le parti metalliche della strumentazione normalmente non in tensione,
ma che per un guasto potrebbero accidentalmente portarsi a potenziali pericolosi per
l'uomo. In genere in un sistema di misura i punti comuni di tutti i componenti sono collegati
tra loro, in modo da fornire lo stesso riferimento per tutti i potenziali. Questo punto può o
meno essere collegato all'impianto di terra, in dipendenza del sistema di isolamento delle
parti in tensione interne allo strumento verso le parti metalliche esterne, come per esempio
quelle dell'involucro. Nel caso il punto comune non sia collegato a terra si dice che è
fluttuante. Molti componenti e strumenti elettronici di misura presentano tre terminali
marcati con le lettere H (dall'inglese High), L (dall'inglese Low) ed E (dall'inglese Earth) o
con simboli equivalenti. Il terminale marcato E è quello che va collegato all'impianto di
terra. Il morsetto L è quello che serve al collegamento al punto comune e può o meno
essere collegato ad E, nel caso non sia collegato il comune è a potenziale fluttuante.
Quando viene effettuato il collegamento a terra, è necessario assicurarsi che non si
formino anelli chiusi di terra che introdurrebbero disturbi nel sistema di misura. A titolo di
esempio si consideri un generatore di segnale, con impedenza interna Zg, collegato allo
strumento di misura mediante due cavi di impedenze Z1 e Z2. Si colleghino i comuni a
massa e questi all'impianto di terra, come indicato in Fig.6.17. Sia Vs la tensione in uscita
al generatore di segnale e Zi l'impedenza interna dello strumento di misura.

Fig.6.17 Formazione di un anello di terra nel collegamento tra due


dispositivi

Poichè nell'impianto di terra in genere circolano correnti di dispersione si verrà a formare


una sorgente di f.e.m., Vt, dovuta alla c.d.t. causata dalla circolazione delle suddette
correnti nella resistenza compresa tra i collegamenti a terra dei due dispositivi. La tensione
Vt darà origine alla circolazione di corrente nelle impedenze Z1 e Z2. La corrente in Z2 sarà
di entità maggiore di quella in Z1, in quanto nel primo anello di terra sono comprese la
impedenza interna, Zg, del generatore di segnale e soprattutto l'impedenza interna dello
strumento di misura, Zi, in genere elevata. Per cui quella che maggiormente preoccupa è
la caduta di tensione su Z2 che si sovrapporrà al segnale utile, determinando un
incremento nell'errore di misura. L'esempio di figura indica la necessità di evitare, nel
33

collegamento tra due o più dispositivi, la formazione di anelli di terra, il che si può ottenere
in diversi modi. Nel caso di dispositivi con alimentazione a bassissima tensione di
sicurezza (inferiore o uguale a 25 V) o con l'isolamento verso terra rinforzato, non è
necessario il collegamento all'impianto di terra, viceversa tale collegamento va fatto in un
solo punto, detto nodo equipotenziale, cui andranno connessi tutti gli involucri metallici e i
punti comuni dei componenti e della strumentazione. La connessione al nodo
equipotenziale può avvenire in modo serie, collegando tra loro i vari strumenti e quindi
l'ultimo al nodo equipotenziale, o in modo parallelo, collegando ogni singolo strumento al
nodo equipotenziale. Anche se la connessione serie è più semplice e richiede l'uso di
conduttori più corti, si preferisce quando possibile quella parallela, in quanto le correnti di
dispersione di ciascuno strumento non disturbano gli elementi sensibili degli altri,
riducendo le cause di rumore. La connessione parallela è sconsigliata solo quando i
segnali sono a elevata frequenza, superiore per esempio ai megahertz, a causa della
reattanza induttiva dei conduttori, che in questa configurazione risultano abbastanza
lunghi. Nei dispositivi ad alta frequenza, tra cui rientrano la maggior parte dei sistemi
digitali, si preferisce un collegamento con il comune dislocato in molti punti ed eseguito
con conduttori corti. Infine in alcune applicazioni di sistemi di misura e di controllo non è
possibile o praticabile realizzare un punto comune, in particolare quando la sorgente del
segnale è in posizione remota rispetto allo strumento di misura. In tali casi si può ovviare
all'inconveniente utilizzando come stadio iniziale dello strumento di misura un amplificatore
differenziale, che, come è noto e sarà anche discusso nei paragrafi successivi, consente
di avere i potenziali dei segnali in ingresso fluttuanti. Un altro mezzo per eliminare la
formazione di anelli di terra è quello di utilizzare sistemi di disaccoppiamento tra i diversi
componenti costituenti il sistema. Quando i segnali sono a frequenze inferiori ai megahertz
si possono utilizzare dei trasformatori, per frequenze più elevate si ricorre a isolatori ottici
costituiti per esempio da un LED (Light Emission Diode) e da un fototransistor o un
fotodiodo. Quest'ultimo mezzo di isolamento è particolarmente utile nei dispositivi digitali in
cui non è necessaria la linearità dell'accoppiamento. In Fig.6.18 sono mostrate due
soluzioni per evitare la formazione di anelli di terra, con riferimento allo schema di
Fig.6.17.

Fig.6.18 Collegamenti per evitare la formazione di anelli di terra

Tre prevalentemente sono le cause possibili di interferenza. Una è dovuta alla


circolazione di correnti negli anelli di terra e si è visto come ovviare a inconvenienti di
questo tipo. Le altre due sono attribuibili alla presenza di campi elettrici e magnetici
nell'ambiente dove è ubicato il sistema di misura. Normalmente si impiegano schermi
metallici sia per i cavi di connessione sia per i componenti costituenti il sistema allo scopo
di evitare che i campi esterni interferiscano con i componenti del sistema di misura. Le
34

Fig.6.19 e Fig.6.20 mostrano come sia possibile collegare gli schermi di cavi coassiali a
singolo terminale o di cavi bipolari per misure in modo differenziale, con chiaro significato
degli schemi.

Fig.6.19 Connessioni dello schermo di un cavo coassiale

Fig.6.20 Connessioni dello schermo di un cavo bipolare per misure


differenziali

I problemi maggiori si hanno per il collegamento tra loro degli schermi dei cavi e dei
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dispositivi, a causa della presenza di capacità parassite tra i componenti dei dispositivi e
gli schermi. Infatti se si considera un amplificatore schermato si possono individuare tre
capacità, come indicato in Fig.6.21.

Fig.6.21 Amplificatore schermato con schermo fluttuante (a) e collegato al


comune (b)

All'interno dell'involucro schermante, quando non è collegato a nessun punto di riferimento


dei potenziali, si possono distinguere tre capacità: C1; C2; C3. Le capacità C1 e C2
determinano un anello di retroazione, che come si è detto può portare l'amplificatore in
oscillazione. Se si collega lo schermo al comune la capacità C3 è in corto circuito e le altre
due non creano più un anello di retroazione. Pertanto si può concludere che la
schermatura di un dispositivo è efficiente quando lo schermo è collegato al comune, in
modo da evitare l'indesiderata via di retroazione. Quando il dispositivo schermato è
collegato ad altri dispositivi non sempre la soluzione proposta in Fig.6.21 (b) è
soddisfacente. Si consideri infatti, come indicato in Fig.6.22 (a), un generatore di segnale
collegato tramite un amplificatore a un dispositivo elettronico di misura (DEM). La
presenza di una capacità verso terra dello schermo determina l'insorgere di un anello di
terra e quindi di disturbi sul sistema di misura. Per evitare l'inconveniente è necessario
creare un unico nodo equipotenziale da collegare a terra come per esempio mostrato in
Fig.6.22 (b). Si possono sintetizzare pertanto alcuni punti. Uno schermo elettrostatico è
efficiente quando è collegato al punto comune dei potenziali. Quando in un sistema vi
sono più schermi, essi vanno collegati in serie e devono essere connessi a terra o al punto
comune solo in corrispondenza dell'ultimo dispositivo. In ogni caso è necessario
esaminare attentamente il circuito per evitare la formazione di anelli di terra, considerando
la presenza delle capacità dei componenti verso lo schermo e dello schermo verso terra.
Quando possibile è conveniente creare un nodo equipotenziale per il comune e collegare
solo quel nodo a terra. Gli schermi riescono a prevenire gli effetti sul dispositivo dei campi
elettrostatici, mentre l'interferenza dovuta ai campi magnetici è in genere più difficile da
eliminare, in quanto campi magnetici variabili penetrano attraverso lo schermo e inducono
nei materiali conduttori f.e.m. che determinano la circolazione di correnti indesiderate.
Poichè le f.e.m. indotte sono proporzionali all'area chiusa investita dal campo, i mezzi
migliori per ridurre gli effetti dei campi magnetici sono quelli di: allontanare il sistema di
misura dalla sorgente del campo; orientare a novanta gradi tra loro sorgente del campo e
sistema di misura; diminuire l'estensione delle aree del sistema di misura interessate dal
campo magnetico, mediante per esempio l'intreccio dei conduttori di collegamento dei
diversi dispositivi tra loro e minimizzando la lunghezza dei cavi quanto più possibile. In
presenza di campi magnetici a frequenze superiori ai megahertz, se possibile, risulta utile
ricoprire tutto il sistema di misura con un ulteriore schermo di materiale conduttore. Infatti
le correnti parassite, circolanti nello schermo per le f.e.m. indotte dal campo magnetico
esterno, creeranno un ulteriore campo magnetico alla stessa frequenza di quello esterno,
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che ne attenuerà fortemente gli effetti all'interno dello schermo. I materiali più utilizzati per
lo schermo sono essenzialmente alluminio, rame, acciaio e mumetal. La loro scelta
dipende dalla frequenza del campo magnetico interferente.

Fig.6.22 Anello di terra nel collegamento tra più dispositivi (a) e sua
eliminazione (b)

Si è visto che i circuiti elettronici attivi richiedono un'alimentazione in c.c., ottenuta in


genere attraverso il raddrizzamento e il condizionamento di un segnale proveniente dalla
rete di potenza a bassa frequenza. In genere vi è un trasformatore primario che riduce la
tensione prima che questa venga raddrizzata. Attraverso le capacità di accoppiamento tra
primario e secondario del trasformatore si trasmette un segnale di rumore o
un'interferenza che può trasmettersi da un circuito all'altro del sistema di alimentazione dei
circuiti elettronici. Allo scopo di minimizzare questa causa di disturbo si utilizzano
trasformatori schermati, costituiti con ciascuno dei due avvolgimenti dotato di uno
schermo, e si disaccoppiano i circuiti di alimentazione ponendo un condensatore in
parallelo su ogni linea di potenza. Quello di realizzare circuiti analogici di
disaccoppiamento è una buona pratica in quanto il rumore proveniente dalle linee di
alimentazione potrebbe, sommandosi al segnale, influenzare il guadagno degli
amplificatori e causare al limite delle oscillazioni in corrispondenza di alcune frequenze. I
valori di capacità dei condensatori di disaccoppiamento dipendono dalle frequenze
operative e dall'intensità delle correnti in gioco. Normalmente per condensatori di
disaccoppiamento ad elevata velocità si hanno valori di capacità compresi tra 0,001 μF e
0,1 μF. Per correnti elevate, come per esempio quelle nella sezione di ingresso in potenza
di un dispositivo, di una scheda o di un circuito integrato, in genere si fa ricorso a
condensatori elettrolitici con valori di capacità compresi tra 10 e 100 μF.
Se nonostante si adottino tutti i possibili accorgimenti, precedentemente esposti, si
tema l'insorgere di oscillazioni per alcuni amplificatori, con guadagno particolarmente
elevato, si può introdurre una resistenza o un'induttanza in serie all'impedenza di ingresso
dell'amplificatore. Questo resistore o induttore in combinazione con il condensatore di
disaccoppiamento costituisce un filtro passa basso in grado di attenuare l'effetto delle
correnti ad alta frequenza che potrebbero causare oscillazioni.

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