Sei sulla pagina 1di 9

Seminario:

“Chernobyl: conseguenze a breve e medio termine”

Ing. Borio
CeSNEF aula NU1
30 Novembre 1999

264
Questo seminario nasce dall’esperienza diretta e da una visita alla centrale nucleare bielorussa di Chernobyl (al confine
con l’Ucraina); visite di questo tipo, durante le quali è possibile incontrare e scambiare impressioni con gli operatori
della centrale, raccogliere informazione e documentazione che non sempre è reperibile in occidente, sono abbastanza
rare. Molte delle informazioni riportate in questo seminario sono state tratte dal rapporto finale di sicurezza del
sarcofago che è stato pubblicato nel 1998 a cura del ministero per la protezione dell’ambiente e per la protezione dalle
radiazioni della repubblica dell’Ucraina.
Questo seminario didattico è diviso in due parti: la prima parte, storica, è una descrizione abbastanza generale di quello
che si è verificato a Chernobyl (l’incidente e le conseguenze che fino ad oggi sono state rilevate), mentre la seconda
parte riguarda più propriamente la situazione attuale (il sarcofago e gli studi in corso relativi a prossimi interventi
futuri).
Premettiamo delle brevissime definizioni che permettono una migliore comprensione di quello che verrà nel seguito:
• DOSE ASSORBITA: si tratta di un’energia per unità di massa (quindi espressa in J/kg) ed è l’energia ceduta dalla
radiazione in un determinato volume relativa alla massa di quel volume. Si può dunque parlare di dose assorbita
dalla massa che entra in contatto con la radiazione.
• EQUIVALENTE DI DOSE: detta anche semplicemente DOSE, si tratta della dose assorbita pesata (tramite un
fattore di qualità) per il tipo di radiazione. E’ una grandezza importante perché a parità di dose si riscontrano danni
differenti, per via del diverso trasferimento lineare, a seconda, appunto, del tipo di radiazione.
• DOSE EFFICACE: è una grandezza che tiene conto del fatto che a parità di energia ceduta all’unità di massa da
una medesima radiazione, la probabilità di incorrere in svariate patologie è differente a seconda del tipo di tessuto
irraggiato.
• DOSE IMPEGNATA: è l’integrale su un certo periodo di tempo di tutte le dosi subite da un organo.
• A.L.I.: è il quantitativo di radiazione che introduce nel corpo umano una certa dose.
• D.A.C.: è la concentrazione in aria di un certo radionuclide tale per cui viene in un certo tempo incorporata
un’attività pari ad 1 A.L.I.
Prima di concentrarci sull’incidente diamo qualche caratteristica della centrale di Chernobyl. La centrale nucleare di
Chernobyl fa parte della filiera RBMK caratterizzata da avere un moderatore in grafite e acqua naturale bollente come
termovettore. La potenza complessiva prevista era di 6000 MW elettrici, pari a sei unità da 3200 MW termici (ognuna
equivalente a 1000 MW elettrici). Al momento dell’incidente erano state costruite quattro unità mentre le rimanenti due
erano ancora in fase di costruzione. L’unità 3 è l’unica attualmente funzionante (la prima e la seconda sono state spente
definitivamente in quanto hanno esaurito la loro vita programmata) ed è analoga all’unità 4.

I noccioli delle centrali a grafite sono sempre molto grossi: in questo caso si tratta di noccioli di 12 metri di diametro e 7
metri d’altezza. Il combustibile utilizzato è Uranio arricchito al 2% inguainato in leghe di Zirconio. Ogni unità era
composta da due circuiti di raffreddamento identici collegati ad 840 canali ciascuno, ogni circuito era dotato di quattro
pompe di ricircolo di cui una era di riserva. In ciascun canale è contenuto l’elemento di combustibile: l’acqua entra dal
bassa, scambia calore con l’elemento e si riscalda fino al punto di saturazione per poi creare vapore con un certo titolo.
Il vapore viene prelevato, separato dall’acqua (che riscende nel circuito viene messa in ricircolo attraverso le pompe di

265
ricircolo ) e inviato con una pressione di 70 bar direttamente nelle due turbine da 500 MW ciascuna (si ricordi che ogni
unità era da 1000 MW elettrici). Il nocciolo è avvolto da un cilindro laterale e da due grosse piastre schermanti.

E’ importante sottolineare che il coefficiente globale di potenza di questo tipo di centrale è positivo per potenze inferiori
ai 700 MW termici. Per meglio comprendere quest’ultima affermazione è opportuno ricordare che il comportamento di
un reattore nucleare è influenzato dalla potenza e dalla temperatura; quando infatti si aumenta la potenza, si aumenta di
conseguenza anche la temperatura del nocciolo e questo comporta una variazione della popolazione neutronica e quindi
nuovamente della potenza in quanto in un reattore a grafite come quello di Chernobyl l’acqua rappresenta un veleno
neutronico in quanto assorbe neutroni; se però la temperatura sale e l’acqua diminuisce la sua densità (al limite fino a
diventare vapore) la capacità di assorbire neutroni diminuisce e quindi si tende alla divergenza del reattore. Oltre ad un
effetto di temperatura che tende a far divergere il reattore, però, c’è anche un effetto di temperatura che si oppone a tale
divergenza: aumentando infatti la potenza e quindi la temperatura del combustibile, in seno a questo si verifica l’effetto
Doppler che consiste nell’allargamento delle risonanze dell’238U; ciò comporta una maggior probabilità di cattura dei
neutroni da parte di questo isotopo e quindi una diminuzione della popolazione neutronica all’interno del nocciolo. Il
punto di equilibrio tra questi due contrastanti effetti, nel reattore di Chernobyl, era di 700 MW termici; questo significa
che lavorando al di sopra di questa soglia, un aumento di potenza e temperatura viene in qualche modo contrastato, al di
sotto della potenza limite, invece, un aumento della potenza viene a dare in conseguenza un ulteriore aumento della
popolazione e quindi un ulteriore aumento della potenza. In questa situazione il reattore è fortemente instabile.
Concentriamoci ora sull’incidente. Il 26 Aprile il nocciolo conteneva più di 1600 elementi di combustibile e il reattore
doveva essere spento per una sessione di manutenzione programmata. Durante lo spegnimento del reattore si voleva
effettuare una prova sul turbogeneratore numero 8 per sperimentare la possibilità di sfruttare l’inerzia meccanica del
rotore, in assenza di alimentazione di vapore e di energia elettrica di rete, per generare la potenza elettrica necessaria a
far funzionare le pompe veloci del sistema di emergenza ECCS (Emergency Core Cooling System) per circa 40 o 50
secondi prima dell’intervento dei diesel di emergenza per rialimentare la centrale. Questo programma di prove non era
stato adeguatamente preparato, in particolare a proposito della sicurezza dell’impianto. L’inizio della riduzione di
potenza è iniziato il 25 Aprile alle 13.00. Il programma prevedeva che il reattore si fermasse a una potenza di circa 700
–1000 MW termici, proprio per evitare di accedere al comportamento instabile del reattore del quale si è accennato in
precedenza. Per vari motivi questo non fu possibile e il reattore arrivò ad una potenza di 30 MW termici. Vennero
esclusi i sistemi che avrebbero portato allo spegnimento automatico del reattore e manualmente gli operatori riuscirono
a stabilizzare il reattore attorno ai 600 MW termici. La prova iniziò quindi con il reattore in condizioni di non
equilibrio. All’1.23 del 26 Aprile ci fu un leggero incremento di potenza che, lavorando il reattore in quella condizione
di instabilità, tutti sapevano avrebbe portato il reattore a divergere. Venne quindi deciso lo spegnimento rapido del
reattore e fu dato l’ordine di inserzione rapida nel nocciolo delle barre di controllo. Tale procedura purtroppo non si
concluse con successo perché le barre non si inserirono completamente. A quel punto si decise di inerire le barre di
controllo attraverso la sospensione di alimentazione dei magneti degli organi di movimentazione delle barre di controllo
ma ormai era troppo tardi e in 20 secondi il reattore raggiunse una potenza pari a circa 100 volte la sua potenza
nominale. Si registrarono due esplosioni in sequenza: venne completamente distrutta la sala del reattore, frammenti del
core, del nocciolo e del reattore vennero sparati ovunque sul sito e raggiunsero il tetto della sala macchine delle turbine
provocando un incendio nella sala macchine.
Da un’analisi anche superficiale della dinamica dell’incidente, appare dunque evidente che l’incidente di Chernobyl non
è avvenuto durante l’ordinario funzionamento della centrale, è invece avvenuto in condizioni straordinarie, cioè durante
una prova realizzata in modo non conforme a quanto prevedevano le specifiche tecniche di prova dell’impianto.
Vennero infatti commesse 6 violazioni deliberate delle procedure per l’esercizio dell’impianto fra le quali l’esclusione
di diversi sistemi di sicurezza del reattore che avrebbero, in condizioni di normale funzionamento, portato allo
spegnimento automatico del reattore. L’incidente di Chernobyl non è dunque un incidente tecnico dovuto al cattivo
funzionamento di uno o più sistemi o di componenti di sistemi ma è un incidente di tipo organizzativo (Organizational

266
Accident) cioè dovuto al fatto che in sistemi complessi vi è una componente poco controllabile: la componente umana.
Tale componente è in questi sistemi complessi messa in condizioni di operare delle perturbazioni del sistema tali da
provocare incidenti di grave entità. Chernobyl, che non era sicuramente un sistema intrinsecamente sicuro dal punto di
vista della componente umana, è stato uno degli eventi che ha contribuito a sviluppare una nuova coscienza nella
progettazione dei sistemi complessi (di tutti i tipi: nucleari, aeronautici, ospedalieri, etc…) che vengono ora progettati
con l’idea di essere intrinsecamente sicuri rispetto alla componente umana.
Torniamo ora all’incidente e, in particolare, alle sue conseguenze. Come si vede dalle immagini seguenti l’esplosione ha
portato la distruzione completa del nocciolo del reattore, la distruzione completa della sala reattore, la distruzione
completa della sala turbine.

La distruzione delle strutture ha comportato rilasci radioattivi che avvennero, a fasi alterne legate alle fasi della
combustione della grafite, quasi integralmente nel periodo tra il 26 Aprile e il 6 Maggio; complessivamente vennero
rilasciati il 100% dei gas nobili, dal 20% al 60% dei composti volatili (in particolare dal 30% al 40% di Cesio) e, stando
alle ultime stime, il 3,5% +/– 0,5 del particolato, pari a circa 6 ton con un’attività totale rilasciata di 2⋅1018 Bequerel pari
a circa 60 Mci. Per avere un raffronto immediato basti pensare che le sorgenti radioattive normalmente usate negli
esperimenti sono dell’ordine dei mCi. Nella zona di raggio pari a 30 km dalla centrale, nota come zona rossa, ricaddero
130 kCi di 137Cs, pari all’1,7% di quello contenuto nel nocciolo, 100 kCi di 90Sr e 900 Ci di 239Pu e 240Pu. Se la
maggior parte del particolato ricadde nella zona intorno alla centrale, buona parte dei prodotti più volatili andò invece in
atmosfera e venne trasportata dai venti dando origine alla famosa nube radioattiva.
Uno dei primi interventi deciso per affrontare l’emergenza consistette nella ricopertura di quello che restava del reattore
con composti di Br, dolomite, sabbia e argilla. Questi materiali fatti ricadere dagli elicotteri servivano a contrastare
eventuali masse critiche e per limitare il rilascio di materiali volatili nell’ambiente. Complessivamente, tra il 27 Aprile e
il 10 Maggio, furono scaricate all’interno della sala reattore circa 5000 tonnellate di materiale friabile che la ricoprirono
completamente. Tutto questo materiale friabile è tutt’oggi uno dei grossi problemi che si stanno tentando di gestire
perché tale materiale ha dato origine ad aerosol radioattivi all’interno del sarcofago che sono difficilmente isolabili. Per
ridurre la temperatura del combustibile, il contenuto di Ossigeno e per cercare di ridurre o comunque di confinare la
combustione della grafite venne usato l’Azoto e venne realizzato un sistema di asportazione del calore dagli ambienti
sottostanti.
Dal punto di vista del costo in vite umane dell’incidente, le cifre sono ben diverse da quelle che solitamente vengono
proposte dai media. Le persone che vennero coinvolte nelle operazioni di pronto intervento (i famosi eroici pompieri e i
piloti degli elicotteri) furono esposti a dosi elevatissime di radiazioni con conseguente sviluppo di una sindrome acuta
da radiazione che portò a 2 decessi entro le prime 24 ore 28 entro i primi tre mesi. Un’ultima persona morì di infarto
(evento non era collegabile al danno da radiazione ma allo stato emotivo che si era creato a seguito dell’incidente). Vi

267
furono nel complesso 31 decessi nel primo anno e 9 negli anni successivi. Gli operatori della sala di controllo, a 14 anni
di distanza, sono tutt’oggi assolutamente sani.

La nube radioattiva che si è formata fu dovuta fondamentalmente alla combustione della grafite che creò una colonna ad
elica che, salendo in atmosfera, trascinò con se i radionuclidi prodotti dalla fissione. La colonna arrivò ad una quota
molto elevata (circa 3 km dal suolo) e venne quindi a contatto con i venti in quota che la trasportarono facilmente in
tutta l’Europa. Da misure fatte sul campo e da ulteriori simulazioni è stato valutato che circa il 15% dei radionuclidi sia
ricaduto sulla centrale, il 50% nella zona rossa e il 35% fuori (in particolare gli elementi più pesanti). La nube si diffuse
in diverse direzioni: in una prima fase salì verso il nord Europa e poi in una seconda fase venne invece trasportata verso
il centro Europa. I primi ad accorgersi dell’incidente furono gli Svedesi che un paio di giorni dopo l’incidente videro
impazzire le centraline di rilevazione della radioattività ambientale delle loro centrali nucleari e, dopo aver escluso che
si trattasse delle loro centrali nucleari, costrinsero gli allora sovietici ad dichiarare che era successo un incidente di tale
gravità a Chernobyl. Dopo qualche giorno la nube si spostò e coinvolse anche Italia, Svizzera etc. Un dato interessante
è il rapporto tra Cs e Sr che si attestava attorno ad 1,6 per quanto riguarda le ricadute dovute agli esperimenti con
bombe nucleari, mentre in seguito all’incidente di Chernobyl il rapporto è 20 ( il dato è comprensibile pensando che i
prodotti leggeri come il Cs sono caduti oltre la zona rossa mentre quelli pesanti, come appunto Sr e Pu, sono ricaduti in
buona parte all’interno della zona rossa). La nube ha determinato una contaminazione delle zone circostanti; le zone
contaminate si estendono a macchia di leopardo per 3000 chilometri quadrati, ovvero per un raggio di circa 50 km dalla
centrale; in questa zona è stata imposta l’evacuazione obbligatoria (all’interno della zona di evacuazione obbligatoria è
presente la zona rossa, detta zona di alienazione ,o di interdizione assoluta, alla quale non si può ancora oggi accedere
senza particolari permessi). L’evacuazione obbligatoria ha riguardato circa 135000 persone da diverse città (la più
importante contava 20000 persone) oggi raggiungibili solo da mezzi che non escono mai dalla zona di evacuazione.
Anche la città è contaminata a spot ci sono dunque zone in cui non ci sono elevate dosi (inferiori al limite di sensibilità
di un normale dosimetro) e zone con dosi fino a 100 volte superiori a livelli di guardia. La popolazione coinvolta
complessivamente (ovvero la popolazione residente in zone caratterizzate da livelli con contaminazione sensibile) si
aggira sui 5000000 di persone.
Soffermiamoci ora sui danni all’ambiente. A seguito dell’incidente, nei dintorni della centrale ci furono esposizioni che
comportarono dosi letali per piccoli mammiferi e conifere entro una decina di chilometri dalla centrale per alcune
settimane. Naturalmente è in corso un processo di autoriparazione dell’ambiente visibile ad occhio nudo; il terreno
attorno alla centrale presenta un colore rossiccio che è però comune ad altre zone in bielorussia non necessariamente
vicine alla centrale. Le ultima analisi fatte sui prodotti che provengono dalle zone contaminate dimostrano che non ci
sono contaminazione di alcun tipo eccetto forse nel caso di quegli animali che vengono ancora oggi, ogni tanto,
alimentati con delle riserve di foraggio contaminato. In generale i prodotti che oggi provengono da quella zona non
risultano più contaminati.
Il danno alla popolazione è invece molto più evidente. L’ultimo rapporto ufficiale dell’organizzazione mondiale della
sanità (c’è comunque una letteratura continua che mantiene comunque lo stesso trend) che è stato pubblicato a 10 anni
dall’incidente, afferma che dal punto di vista dei danni subiti dalla popolazione non vi è nessun incremento

268
statisticamente significativo nei casi di leucemia o di altre forme tumorali maligne al di fuori di carcinomi alla tiroide
nei bambini che, al momento dell’incidente, avevano un’età compresa tra tre mesi in utero e sei anni. Solitamente
l’informazione dei mass media tende ad indicare dei dati molto diversi: tali dati derivano da una scorretta applicazione
di un criterio, la teoria lineare senza soglia, che è una teoria sviluppata per motivi normativi ma che da un punto di vista
scientifico non è assolutamente provata. Applicando tale teoria e valutando le dosi impartite alla popolazione si arriva ai
risultati catastrofici a volte riportati sui giornali. Da un punto di vista epidemiologico, ovvero di indagini fatte in
maniera scientifica nei territori contaminati e sulle persone esposte a seguito dell’incidente di Chernobyl, sono state
rilevate una serie di patologie di base come patologie cardiache, diabete, etc… che non erano presenti in letterature in
precedenza non perché non ci fossero ma perché non venivano fatti gli esami per rilevarle. Non sono state dunque
rilevate patologie collegabili all’esposizione alle radiazione, escluso il caso dei carcinomi alla tiroide nei bambini
(concentrati nella specificata finestra temporale) per i quali, però, l’incidenza è stata ben superiore rispetto a quella
attesa (l’incremento rilevato è stato molto superiore rispetto a quello atteso). Il numero totale è di circa 900 bambini (in
Bielorussia, Russia e Ucraina) e il fattore rispetto all’incidenza naturale è di circa 50. Purtroppo questi tipi di carcinomi
sono molto aggressivi (c’è una vasta tipologia di carcinomi alla tiroide e l’incremento ha riguardato le tipologie più
aggressive) per i quali la percentuale di guarigione si stima attorno al 90%, si può dunque stimare una quota del 10% di
casi letali (circa 100).
Torniamo ora alla centrale a seguito dell’incidente e vediamo quali sono stati gli interventi successivi alla prima
emergenza. L’operazione senza dubbio più evidente è la costruzione del sarcofago (o shelter).

Come si intravede dallo schema del sarcofago mostrato nella figura della pagina seguente, sono state poste due grosse
travi sulle quali è stato costruito il tetto del sarcofago. Le due grosse travi sono uno dei punti più pericolosi del
sarcofago perché supportano un carico molto elevato per il quale le travi stesse sono state adeguatamente progettate ma
non i muri sui quali le due travi poggiano. I muri sono stati rinforzati con gettate di cemento e calcestruzzo ma rimane il
fatto che non sono stati progettati per sopportare un tale carico. Uno dei pericoli maggiori (uno degli incidenti più gravi
che potrebbero accadere nonostante la zona non sia per niente sismica) è infatti il collasso del sarcofago a seguito del
cedimento di questi muri di sostegno del tetto del sarcofago. La realizzazione del sarcofago ha comportato un enorme
turnover perchè un numero enorme di persone è stato coinvolto nella costruzione (tutte adeguatamente monitorate);
sono state usate delle gigantesche gru (da cantiere navale). Il sarcofago è stato costruito in poco più di sei mesi, è stato
progettato da un pool di esperti provenienti da tutte le università dell’allora Unione Sovietica. A causa del brevissimo
tempo nel quale è stato realizzato, il sarcofago non poteva essere esente da difetti o da problemi. Il difetto principale è la
mancanza di tenuta perché ci sono numerose crepe: è stato valutato che queste crepe hanno una superficie totale di 1000
metri quadri. Le crepe si sono create nel momento della costruzione del sarcofago (durante la gettata del calcestruzzo) e
non sono dovute all’usura e all’invecchiamento (nonostante l’esposizione ad un irraggiamento molto consistente) ma
sono dovute al ritiro del calcestruzzo al quale non è stato dato il tempo per stabilizzarsi. Le crepe comportano una fuga
di aerosol radioattivi e l’ingresso dell’acqua.
I pericoli connessi con il sarcofago, ricoprendo questo la sala reattore esplosa, sono sostanzialmente legati alla
dispersione di aerosol radioattivi, la migrazione di radionuclidi nella falda acquifera trasportati dall’acqua filtra nel
sarcofago e l’esposizione personale. Si configurano soprattutto problemi legati situazioni di emergenza. Per fronteggiare
questi pericoli si è deciso che il sarcofago deve assolutamente soddisfare tre requisiti:

269
• deve garantire un livello di sicurezza, sia dal punto di vista nucleare che dal punto di vista convenzionale, che sia
soddisfacente nella configurazione attuale;
• deve garantire un livello di sicurezza, sia nucleare che convenzionale, soddisfacente nel medio periodo, ovvero
deve essere una struttura stabile;
• il sarcofago, o qualcosa di simile, deve infine configurarsi nel lungo periodo come un sistema di stoccaggio di
combustibile irraggiato ecologicamente sicuro.

Uno dei punti principali per poter procedere alla realizzazione dei tre punti appena citati è la comprensione di cosa ci sia
attualmente all’interno del sarcofago. Qualche anno è stato un robot per vedere come era distribuito il combustibile
nella sala reattore: il robot visse 30 minuti dopodiché si fermò a seguito di una sovresposizione alle radiazioni
ionizzanti. Vedere cosa c’è all’interno del sarcofago non è dunque banale. Al momento si sta realizzando un secondo
robot, facendo tesoro delle informazioni ricevute dal primo, che si spera viva un po’ di più. Oltre al combustibile e al
materiale irradiato presente nella sala reattore e ricoperto dal materiale refrattario gettato dagli elicotteri, materiale
radioattivo si trova anche al di sotto della sala reattore, dove vi è arrivato a causa della colata di parte della grafite e dei
materiali strutturali che componevano il nocciolo. Il combustibile è quindi presente all’interno del sarcofago sottoforma
di varie matrici: residui, areosol, amalgama lavalike come quelli mostrati nella foto della pagina seguente. Si può
affermare che più del 95% del combustibile irraggiato è ancora contenuto all’interno del sarcofago, circa 600 kg sono
sepolti nel terreno circostante la centrale e metà delle 6 tonnellate perse in atmosfera sono ricadute nella zona rosse (tale
ricaduta ha comportato una attività di decontaminazione molto pesante perché hanno dovuto ricoprire buona parte del
terreno nell’intorno della centrale, sotterrando o asportando certe zone e concentrando in deposito o sovrapponendo
altro terreno in altre). L’attività del combustibile attualmente all’interno del sarcofago (tenendo conto dei decadimenti
etc) è di circa 20 Mci. Un dato interessante è il calore rilasciato dal combustibile oggi: il calore specifico è di circa 0,3
kW/ton e quindi all’interno del sarcofago c’è l’equivalente di circa 60 kW (come 60 stufette elettriche); è dunque
evidente che ci siano problemi di condizionamento del sarcofago. La massima temperatura oggi registrata all’interno
del sarcofago è quella degli agglomerati lavalike che presentano una settantina di gradi in superficie e circa 100 gradi
all’interno. Per quanto riguarda i problemi di radiprotezione è stato stabilito che i frammenti del nocciolo del reattore
hanno un’intensità di dose a contatto pari a circa qualche decina di Sv/h(la dose emiletale che uccide entro qualche
settimana il 50% delle persone esposte è di 4 Sv). A contatto degli agglomerati lavalike c’è invece un’intensità di dose a
contatto tra qualche unità e qualche decina di Sv/h. Gas e aerosol sono rimasti chiusi in zone sigillate sotto la volta del
reattore oppure sono stati dispersi in tutto l’ambiente e contaminano tutti gli ambienti del reattore. L’acqua: quella che è
rimasta dalla piscina di stoccaggio del combustibile (quella che non è evaporata) ma soprattutto quella che è penetrata
durante le azioni di spegnimento degli incendi e durante le infiltrazioni e che si è a sua volta si è contaminata a contatto
con gli aereosol, è diventata una sorgente mobile di radiazione. Il calcestruzzo, infine, sia quello che era già presente
che quello che è stato usato per costruire il sarcofago, una volta venuto a contatto con l’acqua contaminata si è
contaminato a sua volta. Il calcestruzzo non ha una intensità di dose superficiale molto elevata ma le quantità sono
ingenti. Per quanto riguarda le dosi ambientali attualmente presenti nelle vicinanze del sarcofago si ha che la dose
media in molti ambienti all’interno della centrale (per esempio negli ambienti lavorativi dell’unità 3) è di circa 300

270
msV/h; la dose massima a contatto con la superficie esterna è inferiore ai 100 mSv/h (in particolare è stata registrata una
massima di circa 70 mSv/h). Ci sono delle emissioni di aerosol ma sono attualmente contenute e la loro attività si
mantiene sotto i livelli di misura. Non sono ancora stati valutati a tutt’oggi gli effetti dosimetrici dell’acqua infiltrata nel
terreno e del dilavamento del terreno contaminato nell’intorno del sarcofago.

Il sarcofago è ovviamente dotato di sistemi di monitoraggio: ci sono due sistemi attualmente in funzione per il
monitoraggio del campo neutronico, del campo gamma e del gradiente di temperatura. Il primo (S.T.A.R.T.) venne
costruito contemporaneamente alla realizzazione del sarcofago ed utilizza una decina di sonde, il secondo (F.I.N.I.S.H.),
il più sofisticato, è stato costruito nel seguito ed usa circa 40 sonde distribuite sul sarcofago. I parametri che vengono
periodicamente misurati sono: la concentrazione di radionuclidi in aria e in acqua e la loro eventuale mappatura, il
rilascio di radionuclidi dalle crepe (soprattutto dalla parte superiore del sarcofago sulla quale si ha la maggior densità di
tali crepe), le intensità della dose sul sito. Non esiste invece un sistema di monitoraggio dedicato esclusivamente alla
rivelazione di un eventuale instaurarsi di condizioni di criticità all’interno del sarcofago.
Soffermiamoci, infine, sulla sicurezza del sarcofago: dal punto di vista della sicurezza nucleare le misure che sono state
svolte nel corso degli anni indicano che tutti i complessi sono sottocritici e non vi è nessuna attività di criticità
all’interno del sarcofago. Un solo evento, che non è ancora stato definito con certezza come un evento di criticità,
avvenne nel 1990 nella stanza 304 che era una stanza sotto il pavimento della sala reattore, nella quale è colata la massa
lavica e parte della grafite: a partire da tale stanza fu misurato un aumento di un fattore circa 60 del flusso neutronico
per qualche giorno. L’inserirono del Gadolinio ebbe come conseguenza il ritorno del flusso a livelli normali.
Anche se tutti i complessi sono sottocritici esiste una probabilità molto piccola ma comunque significativa che a seguito
di eventi eccezionali ma credibili alcuni complessi possano raggiungere i livello di criticità. Per contrastare una
eventualità di questo tipo vi è un sistema di soppressione ad umido degli aerosol che viene utilizzato anche per
l’inserzione di veleni neutronici nella sala reattore. Questo sistema ha dei vincoli molto forti: prima di tutto non copre
tutte le superfici che potrebbero essere coinvolte (soprattutto le superfici friabili), in secondo luogo è un sistema che
funziona manualmente e non può essere utilizzato come un sistema di emergenza: da quando viene deciso il suo utilizzo
a quando si osserva una effettiva inserzione di veleni neutronici passano circa 10 minuti; non è dunque un intervento
pronto. Tale sistema è infine vincolato al tetto del sarcofago e quindi, in caso di collasso del sarcofago, verrebbe del
tutto distrutto.
Il sarcofago pone dei problemi anche dal punto di vista della sicurezza convenzionale: il primo di questi è il problema
degli incendi perché da quando è stato costruito ad oggi si sono sviluppati 4 incendi e c’è il rischio che gli incendi
possano provocare gravi conseguenze dal punto di vista biologico (sia per gli addetti ai lavori che per la popolazione). Il
carico di fuoco è molto alto: ci sono infatti 2000 tonnellate di materiale infiammabile. La risoluzione di questo
problema non è però banale in quanto non si può pensare di inserire troppa acqua per il pericolo del percolamento nel

271
terreno e dell’innesco di criticità, l’utilizzo delle polveri ignifughe andrebbe invece ad incrementare il fenomeno degli
aerosol radioattivi.
Il rischio di esplosione è stato valutato non particolarmente grave (si stanno facendo ulteriori analisi ma non sono state
rilevate concentrazioni di idrogeno) mentre ci sono problemi relativi agli impianti elettrici (all’interno del sarcofago c’è
infatti un ambiente molto umido) che possono creare a loro volta degli incendi. Il problema del condizionamento
dell’aria è infine fondamentale.
A seguito della presa d’atto di tutti questi problemi relativi alla sicurezza nucleare e convenzionale, sono state prese in
considerazione le situazioni di emergenza più probabili e i loro effetti sul sarcofago e sull’ambiente. La situazione di
emergenza più grave è sicuramente quella connessa con il rilascio di aerosol a causa del collasso del tetto del sarcofago:
la probabilità del collasso del sarcofago è stata stimati pari 10% annuo. Se si verificasse un evento di questo tipo, le
simulazioni (relative a condizioni di vento debole) prevedono una concentrazione di elementi transuranici nei dintorni
del sarcofago circa 2 ordini di grandezza superiori ai limiti di laboratorio. A circa 10 km di distanza sarebbero dello
stesso ordine di grandezza per le persone del pubblico mentre a circa 20 km di distanza il problema sarebbe al limite
della normalità. Al di fuori della zona rossa non ci sarebbe alcun problema. In una eventualità come questa il forte
pericolo sarebbe dunque concentrato solo per gli operatori della centrale. A causa del fallout ci sarebbe una forte
ricaduta di Cesio e la permanenza massima dei lavoratori nell’intorno della centrale sarebbe di qualche giorno prima di
superare il limite di dose annuale.
Uragani e tornado sono stati valutati con probabilità basse, i sismi non sono nemmeno stati presi in considerazione.
Un secondo evento importante è un’improvvisa sommersione in acqua di materiale che contiene combustibile nucleare
con conseguente innesco di una reazione a catena; anche in questo caso il danno sarebbe limitato ai lavoratori della
centrale e l’equivalente di dose efficace per gli operatori sarebbe di qualche mSv.
Complessivamente si può dunque dire che lo stato di conservazione del sarcofago non può essere considerato
soddisfacente: il problema principale è la resistenza dei muri laterali e si sta lavorando a livello internazionale per
consolidare queste strutture. Il problema del monitoraggio della struttura del sarcofago è altrettanto insoddisfacente
perché non c’è un sistema di monitoraggio fisso (attualmente si sta costruendo un sistema di monitoraggio integrato
della struttura del sarcofago).
Attualmente, dunque, il sarcofago non riesce ancora a soddisfare nemmeno il primo step relativo alla sicurezza nucleare
e convenzionale. Gli studi tesi a risolvere il problema hanno individuato un passaggio obbligato per garantire sia la
sicurezza strutturale del sarcofago che anche gli altri due step relativi alla stabilità della struttura a medio termine e la
trasformazione del sarcofago in un sistema di stoccaggio del combustibile ecologicamente sicuro: la costruzione di un
secondo sarcofago, lo shelter 2.
Il nuovo sarcofago ha l’obbiettivo primario di garantire la tenuta dello shelter 1 e dunque evitare la fuoriuscita di
aerosol dal sarcofago primario e di impedire una penetrazione dell’acqua dall’esterno. Attualmente ci sono otto progetti
internazionale in fase di studio che prevedono diversi approcci: il primo è il progetto HILL che prevede l’interramento
completo del sarcofago, un secondo progetto prevede lo smantellamento completo del sarcofago; un terzo progetto
considera lo shelter 2 come un guscio per lo shelter 1.
Concludendo possiamo affermare che le conseguenze dell’incidente di Chernobyl dal punto di vista ambientale e dal
punto di vista dell’impatto sulla popolazione sono sicuramente inferiore rispetto a quello che si potesse attendere nel
senso che sia la natura che l’uomo stesso ha dimostrato di essere sistemi maggiormente elastici alla esposizione alle
radiazioni di quanto ci si potesse attendere. Per quanto riguarda la situazione attuale sul sito, è evidente che i problemi
sono grossi e non sono risolti in maniera soddisfacente, c’è però una presa d’atto che la situazione è tale e che questi
problemi ci sono e vanno risolti e c’è quindi la volontà di giocare questa partita per arrivare agli obbiettivi di sicurezza
prima citati.

272

Potrebbero piacerti anche