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Indice
• Abstract.
• Conclusioni.
• Bibliografia.
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Abstract
«Oggi, primo giorno dell’era della pensione, di quei ricordi non so bene cosa
farmene». Difficile guardarsi alle spalle, per il protagonista dell’episodio 7 de “Le
Aziende In-Visibili”, redatto da Federico Platania. Difficile scorgere un senso in un
qualcosa - per citare Vasco Rossi - che forse un senso non ce l’ha. E difficile, senza
dubbio, accettare il fatto che in fondo per scovare l’unico colpevole di tale amarezza
sia sufficiente affacciarsi a uno specchio. Il modello rigoroso dello scientific
management pare sempre più scricchiolare, smosso nelle fondamenta da quella
concezione umanistica che pur non disconoscendo ciò che di positivo è presente nel
paradigma scientifico offre chiavi di lettura per la formazione di un nuovo discorso.
Si cercherà quindi in queste poche pagine di analizzare i valori insiti nello humanistic
management, valori che possono essere riscontrati anche oltre l’universo manageriale
e che si perdono nella storia stessa dell’uomo. Perché a ben guardare già un principe
asiatico, circa sei secoli prima di Cristo, aveva indicato la via. Percorrerla, insomma,
dipenderà solamente da noi stessi.
Al termine dell’introduzione del tema seguirà nel primo capitolo - dal titolo
“Scientific management, se l’uomo rappresenta solo un ingranaggio” - lo studio delle
caratteristiche principali del modello scientifico, con la valutazione delle più evidenti
crepe di tale approccio, quindi (nelle sezioni denominate “Un sogno terribilmente
reale” e “Quella com-passione da riscoprire”) si cercherà di trasferire il focus alle
figure dei singoli lavoratori, mossi da sogni, speranze, ricerca di un’identità. E per
concludere si tireranno le fila del discorso, lasciando tuttavia aperte alcune questioni
ancora non del tutto risolte.
«Cerco di figurarmi i volti e i caratteri dei colleghi che non ho mai avuto. Sarà il mio
pessimismo, o magari l’esperienza, ma mi sembrano tutti migliori di quelli che ho
conosciuto davvero». Poche parole, a chiusura della lettera diretta al Direttore delle
Risorse Umane, che in qualche modo racchiudono l’essenza di un’intera esistenza. Il
Marco Polo di Italo Calvino lo aveva compreso (e di riflesso lo stesso Deckard
nell’episodio 128, quello conclusivo, de “Le Aziende In-Visibili”): per non soffrire
dell’inferno che tutti noi abitiamo, il modo più agevole è accettarlo, «e diventarne
parte fino al punto di non vederlo più». Ma forse la vita è un cammino, una strada a
senso unico, nella quale ogni incrocio diviene una scelta le cui conseguenze si
ripercuoteranno per sempre. Forse. Così, certamente, è stato per il protagonista
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dell’episodio 7 sopra citato. La gestione scientifica dell’azienda prevede d’altronde
una standardizzazione del pensiero che prende corpo nel momento stesso in cui il
lavoratore poggia piede in azienda. È esattamente ciò che accade al novello
pensionato: un primo giorno in ufficio passato a sognare possibili sviluppi futuri
(«Avevamo grandi ambizioni dirigenziali, allora» sottolinea in apertura) e quindi,
quattro decenni più tardi, la ricerca drammatica di scenari alternativi comunque,
innegabilmente, ormai irrealizzabili. È forse questa l’essenza dello scientific
management: una marcia senza sosta, con tanto di paraocchi, fino al termine dei
propri giorni. Giorni lavorativi, certo, ma anche di un Io che non tornerà più. E che
forse non ha mai avuto la possibilità di esistere realmente.
Scoprire il perché di tutto ciò è impresa che a definire ardua senza dubbio non si
sbaglia: la fragilità della vita spesso sfugge a un primissimo sguardo. La possibilità di
intervenire personalmente sul domani pare una chimera, e porta a sopperire a
profonde mancanze attraverso distrazioni (fare shopping non appena si riceve lo
stipendio, spostarsi oltreoceano durante le feste natalizie, comprare la spider che
abbiamo sempre desiderato) che paiono molto simili al sonaglio col quale le madri
distraggono i propri bambini, similitudine questa che giunge dal lama bhutanese
Khyentse Norbu. Se qualcosa è spiacevole, insomma, lo si nega. E ogni mattina ci si
sveglia consapevoli che in fondo si sta per materializzare un giorno come tanti:
l’obiettivo è giungere sani e salvi a sera, in attesa di riprendere il ciclo non appena
risorgerà il sole. Si è parte di una catena di montaggio - in questo caso non di un
prodotto definito, ma di un sé - pesantemente condizionata da un’impostazione
rigorosa della quotidianità.
Una visione scientifica del mondo manageriale, si diceva, poggia per quanto concerne
il modello cognitivo su alcuni punti essenziali: la riduzione di ogni possibile varianza,
la massimizzazione dei risultati in tempi sempre più brevi, la deresponsabilizzazione
sul risultato finale. Uno sguardo veloce a quest’ultimo punto, la cui evoluzione nel
tempo ha portato addirittura a un deficit di informazione di quelli che sono realmente
gli esiti del proprio operato. Il lavoratore, dalla più semplice catena di montaggio del
periodo fordista per arrivare oggi a chi siede dietro una scrivania all’interno magari di
una grande multinazionale, sviluppa per certi versi una coscienza limitata alle quattro
mura entro le quali avviene l’atto lavorativo stesso. Eppure, «se un uomo fosse
responsabile solo di ciò di cui è cosciente - precisa il primario dell’ospedale nel quale
si svolge l’episodio “Il Simposio” dell’opera “Amori Ridicoli” del boemo Milan
Kundera - gli idioti sarebbero assolti in anticipo da qualsiasi colpa. E invece, caro
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Flajsman, l’uomo ha dovere di sapere. L’uomo risponde della propria ignoranza.
L’ignoranza è una colpa». Risulta quindi chiara la contrapposizione con quel nuovo
mondo definito humanistic management, incentrato su caratteristiche quali la
combinazione tra emotività e razionalità, il dialogo, il sensemaking. Modello che,
ampliando il raggio d’azione, si perde nei millenni ed esula da contesti prettamente
manageriali. Concetti come compassione, apertura agli altri, impermanenza, divenire,
ricerca di senso, equilibrio (inteso come “via di mezzo”, che quindi non prevede una
partecipazione a priori a questo o quell’indirizzo) scoprono vigore nel lontanissimo
sesto secolo avanti Cristo. Fu la figura di Siddhartha Gautama, poi divenuto il (o un,
a seconda del lignaggio spirituale perseguito) Buddha, il risvegliato, a sposare e
quindi diffondere pensieri che giungeranno intatti sino ad oggi, pensieri che
riaffiorano, e mai forse in quella lontana India avrebbero potuto immaginarlo, al
giorno d’oggi con la crescente necessità di proporre nuovi modelli manageriali.
Modelli che possano salvarci da quell’inferno che anche Deckard, pur di fronte a un
poco convinto Fordgates, prevede nelle righe conclusive de Le Aziende In-Visibili:
«Non serve scatenare rivoluzioni, ma portare avanti il minuscolo, quotidiano, lavoro
di cura verso noi stessi e gli altri. Raccogliersi su qualcosa in apparenza non così
importante, ma che è nostro, e farlo durare. […] Non credere al potere dei sogni ha
un’unica conseguenza: lasciare che le cose restino l’inferno che sono». Si torna
quindi al sogno, possibile ancora di salvezza, unica arma per sfuggire dalle ideali
quattro mura dell’approccio scientifico. Perché guardare il mondo, imprenditoriale e
non, con un occhio diverso è possibile. Anzi, necessario.
Impermanenza e convivialità.
Siddhartha lo espose chiaramente: senza impermanenza non vi è tensione verso il
meglio. Se il piccolo Dumbo, elefante Disney, si fosse limitato a seguire il
tradizionale scorrere delle cose, non avrebbe mai compreso che quella stessa
deformità che lo aveva messo ai margini della comunità era in verità un dono unico.
Che non esistano certezze reali, ma che ogni cosa possa essere potenzialmente in
grado di offrire infinite interpretazioni, lo ricorda a più riprese Wislawa Szymborska,
attraverso ad esempio “Vista con granello di sabbia” ma anche con “Le tre parole più
strane”, rimarcando quanto il linguaggio, per essere compreso, richieda precise
costruzioni di significato. Se tutto ha insomma necessità di significazione, la
convivialità si pone quale modus operandi principale, al fine di sviluppare un
qualcosa di condiviso. « È l'ora di scegliere - ammoniva lo scrittore austriaco Ivan
Illich nel 1973 - tra la costituzione di una società iper-industriale, elettronica e
cibernetica, o viceversa una società realmente postindustriale che riunisca un largo
ventaglio di strumenti moderni e conviviali. […] Chiamo società conviviale una
società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la
collettività, e non riservato a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio
controllo. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo
strumento per realizzare le proprie intenzioni». Lo strumento, quindi anche la
sviluppatissima tecnologia contemporanea, torni ad essere un mezzo e non un fine. Si
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torni alla sua vera natura, come sottolineato dalla sesta variazione impermanente de
“Le nuove frontiere della cultura d’impresa”.
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sia gli Eventi, con la maiuscola, sia gli accadimenti quotidiani, con la minuscola ma
liberati dal velo della loro apparente banalità». Perché - si sente spesso dire - i
dettagli sono tutto, donano quelle sfumature che rappresentano poi il vissuto stesso.
Ma chi risulta essere realmente aperto ad accogliere i dettagli?
La sviluppo di un’identità passa anche attraverso una visione soggettiva del mondo,
che non pare comunque cozzare con la necessità, espressa dalla humanistic
management, di instaurare reti di rapporti sempre più solide e al contempo aperte. E
l’azienda di oggi può divenire teatro privilegiato di tale osmosi, ponendosi quale
punto di riferimento per lo sviluppo di creatività nei singoli ma anche, proprio grazie
al rinnovato concetto di rete, nella collettività.
Conclusioni.
Ritornando in chiusura al punto di partenza, quindi agli episodi 7 e 128 de “Le
Aziende In-Visibili”, occorre cercare di fornire possibili nuove chiavi di lettura
riferite alle specifiche vicende. In “Pensionamento per limiti di età”, ed estendendo
ovviamente anche il discorso al cammelliere di Dorotea, ci troviamo di fronte a un
bilancio di fine carriera lavorativa sul quale pesa enormemente quella lettera, con
assenza di espressioni come “apprezzata collaborazione” e con poche semplici parole
per annunciare, con estrema freddezza, la risoluzione del rapporto di lavoro.
Amando personalmente la sintesi, ritengo che l’intera vicenda possa essere riassunte
attraverso le poche righe che presentano l’atto IV di “Nulla due volte”: «Le persone
di talento, nonostante la retorica aziendalistica di moda, vengono in genere
emarginate o esclude dalle aziende. Ciò accade perché le pratiche dello scientific
management favoriscono la sopravvivenza aziendale dei cloni, meri ripetitori di
compiti predeterminati». E soprattutto interscambiabili. Il tutto a discapito di
«mutanti, produttori di innovazione». Non c’è spazio perciò per lo sviluppo di un
“io”, ancora meno per quello di un “noi”. Lo comprende solamente dopo
quarant’anni di sacrifici, il neo pensionato, ma a questo punto verrebbe da chiedersi
se in ben quattro decenni di servizio quotidiano non sia stato possibile scovare i
sentori di questa amara conclusione del rapporto lavorativo, al fine di intervenire in
tempo. «Sagitta non era che un isola in un arcipelago». Vero, ma allora perché non
prenderne atto prima che sia troppo tardi? Ecco il labirinto unicursale, tipico del
taylorismo: un percorso unico e definito. Ma se non è possibile modificarne il
tracciato, forse, si potrebbe intervenire sul tempo di percorrenza dello stesso. Per
lasciare spazio a nuove, magari più (oppure meno, ma sarà stato pur sempre il
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risultato di una scelta ponderata) soddisfacenti, strade. Qui entra in gioco lo
humanistic management.
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Bibliografia
• Le Aziende In-Visibili, Marco Minghetti & The Living Mutants
Society. Libri Scheiwiller, 2008.
• Le città invisibili, Italo Calvino. Oscar Mondadori, 1993.
• Nulla due volte. Il management attraverso le poesie di Wislawa
Szymborska, Marco Minghetti-Fabiana Cutrano. Libri Scheiwiller,
2006.
• Le nuove frontiere della cultura d’impresa. Manifesto dello
humanistic management, Marco Minghetti-Fabiana Cutrano. Etas,
2004.
• Sei sicuro di non essere buddhista?, Khyentse Norbu. Feltrinelli,
2007.
• Amori ridicoli, Milan Kundera. Adephi Edizioni, 1994.
• Convivialità, Ivan Illich. Mondadori, 1993.
• Wikipedia, l’enciclopedia libera.
• Dispense del corso di Humanistic Management 2009/2010.