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Vivere di Parola

Tre sono le figure che nella liturgia della parola si allacciano e che traspaiono la logica del
disegno di salvezza di Dio. Tutto questo lunghissimo itinerario riassunto, che però dura millenni
nella storia, infatti, porta al superamento della creazione stessa come tale, del rapporto tra il
Dio Creatore e l’umanità, porta, dicendolo con le parole di san Paolo, alla sovrabbondanza di
grazia che solo attraverso Cristo l’umanità intera piò ricevere, al rapporto d’intimità familiare
tra Dio Padre e l’umanità. È così che abbiamo Adamo ed Eva, Gesù Cristo, e, anche se implicito,
Israele, il figlio che Dio educò all’amore della sua parola nel deserto.
Sin dal primo momento la dignità dell’uomo si sottolinea in questi racconti attraverso l’uso della
libertà come principio del rapporto amorevole instaurato da Dio: un rapporto che mira a
mettere l’uomo all’amministrazione del creato che appartiene però a Dio, un affidamento
quindi, dell’opera più preziosa delle sue mani della quale l’uomo stesso fa parte, anzi è la parte
più ammirabile. Dunque l’uomo è chiamato ad essere amministratore della sua stessa dignità
donatagli da Dio. Ed è proprio qui che l’uomo fallisce (“fallimento” che però mira al
completamento dell’opera di Dio in cristo. Un fallimento quindi relativo, magari una svolta
decisiva che, come si vedrà, porterà ad un piano più alto che supererà la creatura per dare luogo
ai figli).
Da quel momento lo scopo di Dio è uno solo, riprendersi ciò che gli appartiene, la creazione
intera, e in particolare quell’opera più amata da lui: l’uomo. Così possiamo contemplare nella
sacra scrittura le molte tappe di una storia che svela in diversi modi e momenti l’agire di Dio
lungo il tempo, i suoi interventi, la sua premura di Padre. Egli, Dio, promette ad Abramo una
terra per coloro che saranno la sua discendenza, gli eredi della fede nel Dio di Abramo. Essi
saranno rieducati, preparati per essere di novo messi da Dio nella nuova terra della quale
saranno amministratori, laddove scorrono latte e miele. Così compaiono nuove figure tra le
quali la più grande è Mosè, il liberatore, la guida del popolo di Dio nel deserto e in fine Giosuè
che eroicamente portò a compimento la promessa facendo entrare il popolo al possesso della
terra.
Tuttavia lo scopo di Dio si realizza così solo in parte e ci vuole, come san Paolo ci racconta, una
figura che possa guarire la ferita aperta, ma non solo, vuole, attraverso questa nuova figura,
donarci il suo amore di Padre per porre il compimento definitivo alla sua creazione (che sarà
adozione/filiazione). Così Cristo, uomo come Adamo, ma Dio con il Padre (e lo spirito), appare
nella storia e in modo particolare nel vangelo di oggi come il nuovo Adamo, ma non solo, ma
anche come il nuovo Giosuè che dopo aver attraversato il giordano (cf Battesimo) è in grado di
far entrare l’Israele di Dio al possesso della terra, ma questa volta questo Israele è fortificato
dall’esempio di Cristo, dalla sua vita. “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce
dalla bocca di Dio” è infatti citazione di Dt 8,3 che, considerato nel suo insieme ci svela come in
questo passo del vangelo come Gesù, a differenza del popolo mentre era nel deserto, riesce a
compiere la volontà di Dio: essere messo alla prova nel deserto, non per cedere alle tentazioni
come fece il popolo di Dio durante i quarant’anni di prova, ma per essere fortificati dalla
presenza di Dio in mezzo alle prove, dalla manna che dimostrò loro che non solo di pane si vive.
Gesù ubbidendo al Padre abilita la discendenza di Adamo alla ubbidienza, qualificando le
creature di una nuova luce quella che è Cristo, una vita ben diversa da quella dei progenitori, ci
abilita ad essere opera della redenzione di Dio: figli nel Figlio Gesù Cristo.
In Cristo il camino verso il compimento della promessa diventa pieno, in lui entriamo alla
Gerusalemme promessa da Dio non più come creature sottomesse al peccato, ma come popolo
vincitore, come figli educati dalle prove all’ubbidienza, fortificati dallo stesso spirito che ci guida
al e nel deserto per essere in grado di affrontare il paradosso delle tentazioni, anzi, il tentare
stesso, Satana.
Questa I domenica di Quaresima si mette così sotto l’insegna della dignità della quale grazie a
Cristo siamo portatori, in lui infatti non ci sono più scuse, non c’è più uomo debole, ma figli resi
forti, vincitori in grado di superare ogni prova attraverso l’ascolto della parola, un ascolto che
si spiega in ogni sua dimensione (passiva e attiva) e che in noi vede il culmine nella
realizzazione della volontà di Dio. È questo passo del vangelo, infatti, che segna la forza con la
quale il ministero di Gesù si svolgerà, è l’inizio del suo itinerario coraggioso e decisivo verso la
croce e la risurrezione, verso la gloria di Dio stesso, verso la sua piena comprensione come
Figlio unigenito di Dio.
Per noi vincere le prove è proprio questo; una continua scoperta dell’amore di Dio padre in noi,
del mio essere figlio reso forte. È la scoperta delle qualità più profonde e grandi che ogni essere
umano ha, ma come ogni figlio c’è bisogno di essere educati alla scoperta di ciò che siamo ed è
questo il compito della parola.
Infatti, essendo aquile possiamo essere educati a vivere a terra come le galline desiderando
soltanto di volare con il solo blocco della sordità che c’impedisce di aprire gli occhi per capire
ciò che siamo.
È ora di aprire le nostre ali, prendere il volo e lasciare il pollaio, è ora di ascoltare la parola di
Dio per vivere da figli.

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