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Comunicazione ed educazione: “interferenze”.

Linee per l’analisi di un incontro possibile


Pier Cesare Rivoltella, Università Cattolica del S.Cuore

Frequentemente la pedagogia di scuola, ma anche la riflessione dei media educators,


imposta oggi la questione dei rapporti tra la cultura dei media e la cultura della
comunicazione in termini conflittuali. Le immagini cui si ricorre per restituire questa
idea sono molte e tutte efficaci: lo «choc delle culture» (Jacquinot), la «differenza
ambientale» (Meyrowitz), la dialettica attualità/inattualità (Gonnet). L’idea che sta alla
base di tutte queste prospettive è che la scuola e i media costituiscano due setting
formativi radicalmente diversi: istituzionale, progressivo e “faticoso” il primo; sociale,
parallelo e divertente il secondo. A scuola si va in orari fissi, si apprende attraverso un
impegno serio e costante, si realizza apprendimento per gradi, in un processo
sequenziale che decide la sua efficacia formativa sul lungo periodo; i media, al
contrario, si adattano ai ritmi di attenzione del loro utente, promuovono un
apprendimento libero, non richiedono fatica, anzi, comportano sempre una buona dose
di divertimento.
Da questo modo di presentare le due culture consegue, poi, il tentativo di mediare le
polarità, di limare le differenze ed è questo, spesso, il compito che i media educators si
assegnano, quello della mediazione tra l’insegnante e il mondo dei media.
Evidentemente una simile impostazione del problema non solo è legittima, ma reale:
infatti la differenza di funzionamento pedagogico tra le due istanze è innegabile. Di
conseguenza, qui non si intende negarla. Quel che si pensa di fare è di provare a pensare
dentro questa differenza, con la finalità di reperire delle due culture piuttosto il comune,
o quanto meno ciò che si predispone a prepararne un incontro. Riflettere, in sostanza,
sulla possibilità, oggi, che l’educazione e la comunicazione divengano protagoniste di
un incontro proficuo, a partire proprio da ciò che le orienta verso questo incontro1.

Questa scelta, attenta alle linee di convergenza più che agli indicatori di differenza,
richiede l’assunzione di un punto di vista che si colloca in uno spazio intermedio tra
l’analisi dell’esistente e l’indicazione progettuale e che si traduce sostanzialmente in
due operazioni: sul piano fenomenologico, l’indicazione delle aree di ricerca e dei temi
condivisibili da parte delle due culture; sul piano metodologico, l’individuazione delle
strategie e delle attenzioni esportabili da uno specifico all’altro.
Nel concreto, il risultato di questo tipo di indagine sarà la prospettazione di tre piste di
lavoro che corrispondono anche ai passaggi attraverso cui verrà strutturandosi il nostro
discorso. Si possono definire sotto la forma di altrettanti interrogativi:
1. quali indicatori, suggeriscono, oggi, la necessità che la comunicazione e
l’educazione si incontrino?
2. Quale contributo può offrire la comunicazione all’educazione?
3. E quale contributo, invece, l’educazione può offrire alla comunicazione?

Dalla risposta a queste domande dipenderà la conclusione dell’intero percorso.

1
Questo contributo riprende ampliandola la relazione tenuta dall’autore al Convegno di studio su
Comunicazione e educazione: l’incontro delle due culture, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa,
Napoli 26-27 marzo 1999.
L’educazione incontra i media

Muoviamo, nella nostra analisi, dal piano che abbiamo definito fenomenologico. In che
senso si può dire che l’esistente, la nostra realtà socio-culturale, suggerisca la necessità
di pensare l’interferenza, dialogante e produttiva, tra la comunicazione e l’educazione?
La risposta passa attraverso il rilievo di una curiosa contraddizione tra le logiche socio-
culturali presenti e la situazione della ricerca al riguardo. Proviamo a indicarne i
termini.

1. Sul piano delle grandi logiche che contraddistinguono la nostra realtà socio-culturale
si possono riconoscere almeno tre importanti fenomeni che funzionano da descrittori di
campo.
A livello tecnologico, anzitutto, va registrato l’effetto rivoluzionario della «convergenza
digitale» di telefonia, sistema televisivo e computer. Conseguenza della sostituzione
della codifica analogica dei segnali con la loro traduzione numerica (evento centrale,
questo, dello sviluppo della telematica durante gli anni Ottanta), la «convergenza
digitale» determina uno scarto netto all’interno della vicenda evolutiva dei sistemi di
comunicazione moderni. Questo scarto – come sottolineano Olivi e Somalvico –
segnala il superamento delle barriere esistenti «fra settori tradizionalmente distinti nella
comunicazione: editoria, radio e televisione, informatica, telefonia e telecomunicazioni.
La nuova comunicazione a integrazione di servizi su reti a banda larga che ne deriva è
quindi destinata ad avere un ruolo centrale nell’economia dell’informazione del terzo
millennio, caratterizzata da processi di progressiva mondializzazione del mercato»2.
La tecnologia, pensata nel modo che abbiamo appena visto, insieme alla struttura
sociale, concorre alla configurazione e allo sviluppo di un nuovo sistema integrato
riconducibile sotto la categoria della network society. Con questo termine (come con
quelli ad esso equivalenti di knowledge society, o di learning society) si indica un tipo
specifico di organizzazione sociale in cui il potere e la produttività si basano
sostanzialmente sulla produzione, il trattamento e la trasmissione dell’informazione.
Questo non significa semplicemente riconoscere alla società in cui viviamo la
specificità di prevedere un ruolo importante per l’informazione e le tecnologie
dell’informazione (information society), ma sostenere che questa società presenta una
struttura sociale e un modo di gestire le conoscenze completamente nuovi
(informational society)3.
A questi elementi, sul piano epistemologico, si deve aggiungere la riconfigurazione
sempre più evidente della conoscenza nei termini di un apprendimento di tipo
costruttivo (il sapere si produce, non si acquisisce) e collaborativo (è collettiva, non
individuale). Questa doppia istanza fa riferimento, da una parte, al fatto che la
conoscenza oggi è sempre più il risultato di pratiche sociali che comportano la sua
riconcettualizzazione in termini di dialogo e negoziazione; dall’altra, al fatto che essa
viene intesa sempre più di frequente come un’attività di rete in cui lo scambio, il
confronto e il prodotto delle intelligenze divengono gli ingredienti di base del lavoro
cognitivo.

2
B.Olivi, B.Somalvico, La fine della comunicazione di massa. Dal villaggio globale alla nuova Babele
elettronica, Il Mulino, Bologna 1998, p.22.
3
Per un approfondimento su questi temi, cfr.: M.Castells, The Rise of the Network Society, Blackwell
Publishers Inc. Malden, Massachussets 1996; H.van Aalst, Driving Forces behind Schooling for
Tomorrow, in OECD/CERI, Learning and Schooling in the Knowledge Society. Report of the
Scheveningen Seminar, CERI/SFT 8, 1998, OECD, Paris 1998.
2. È facile notare come ciascuno degli elementi che abbiamo individuato – la
convergenza digitale, la network society, la nuova idea collaborativa della conoscenza –
abbia una base di tipo comunicativo e implichi importanti conseguenze in ambito
educativo.
Quanto alla comunicazione, essa interseca lo scenario descritto sul piano strumentale,
teorico e metateorico.
Il telefono, la televisione e il computer, protagonisti del nuovo contesto tecnologico,
sono, infatti, strumenti di comunicazione; pensare alla conoscenza come a un’attività di
tipo cooperativo richiede che alla base di questo tipo di attività si postuli lo scambio, la
circolazione, la comunicazione, cioè che si faccia riferimento a una teoria della
conoscenza nella cui ottica già il trasferimento e lo scambio delle conoscenze sono parte
integrante del sapere; l’idea, infine, di una società in rete (o di rete) rinvia all’immagine
di una realtà che, come teorizzato da Wiener, è fatta di relazioni più che di cose e,
quindi, porta in gioco la comunicazione, questa volta come quadro metateorico entro il
quale collocare l’intera struttura sociale.
Quanto all’educazione, poi, i fenomeni descritti la interpellano in vario modo.
Anzitutto, l’impatto della convergenza digitale sull’apprendimento è determinante. Lo si
può registrare in almeno due direzioni. In primo luogo nel senso di un influsso mediato,
che si verifica nella misura in cui attraverso le tecnologie dell’intelligenza l’uomo
lavora alla trasformazione del mondo in cui vive: è il «cosa» del nostro apprendere cui
facciamo qui riferimento, cioè il dato di una realtà mediatizzata, costruita grazie
all’apporto del computer, della televisione, della telematica4. D’altra parte, questi stessi
media contribuiscono anche direttamente alla trasformazione del nostro modo di fare
educazione: in questo caso è il «come» del nostro apprendere ad essere portato in gioco
e piegato ad assumere caratteristiche completamente nuove – si tratta, infatti, nel caso
dei media, di un apprendimento per scoperta, multicanale, multimediale, non legato a
schemi sequenziali di presentazione dei contenuti, a forte valenza ludica, ecc.
La necessità di una ridefinizione dell’idea stessa dell’apprendimento risulta confermata
anche da quella che abbiamo definito network society. In essa l’apprendimento non può
più essere pensato solo come un’attività intenzionale e limitata al contesto scolastico,
ma, come osserva Van Aalst5, nei termini di un’attività di micro-scelta (in cui, istante
per istante, chi apprende sceglie i mezzi e le fonti per farlo), distribuita (perché avviene
in una molteplicità di luoghi – la casa, l’ufficio) e tale da includere le routines socio-
culturali (tra di esse, soprattutto i media).
Da ultimo, la ridefinizione della conoscenza in termini cooperativi costituisce un invito
a ripensare alla didattica nei termini di una attività di tipo complesso che mette in
circolo osservazione, riflessione critica ed esperienza. In questo modo vengono poste le
condizioni per estendere e potenziare i valori tradizionalmente riconosciuti dalla ricerca
cognitiva all’operare in gruppo. La tecnologia, in questa prospettiva, si propone come
«un fattore di sostegno e di arricchimento nei processi di apprendimento collaborativo.
Essa va ad incidere direttamente sulle possibilità concrete di esistenza del gruppo che

4
Costituisce una curiosa conferma di questo dato l’esperienza di una giornalista americana, Lorrie Grant,
reporter del quotidiano «USA Today», che ha provato a vivere per un mese on line, cioè a soddisfare le
proprie esigenze quotidiane facendo riferimento solo al supporto del Web. Così ha intrattenuto il rapporto
professionale con il suo giornale grazie alla posta elettronica, ha fatto regolarmente la spesa presso
supermarket virtuali (www.netgrocer.com, www.omahasteaks.com), ha partecipato a un’asta cibernetica,
comprato un biglietto aereo, investito in azioni della Disney, tutto rigorosamente in rete. Un esperimento
giornalistico, si dirà, ma sicuramente rivelatore di come oggi il confine tra realtà reale e digitale non sia
poi così demarcato (cfr. l’articolo di U.Venturini, «Così ho vissuto di internet», «CorrierEconomia»,
lunedì 26 aprile 1999).
5
H. van Aalst, Learning in the knowledge society, Paper per il Seminario Internazionale sulle nuove
tecnologie nella scuola, Brescia, Università Cattolica, 18-20 marzo 1999, p.12, mimeo.
collabora, sulle modalità della collaborazione e quindi sui livelli di efficacia e di
motivazione, e infine sull’oggetto della cooperazione che può essere a sua volta legato
alla tecnologia (testi elettronici, ipermedia, pagine web…)»6.

Tutto questo si può utilmente sintetizzare in una tabella.

Piano di analisi Logica culturale Indicatore comunicativo Indicatore educativo


Tecnologico Convergenza digitale Presenza dei media Nuova idea di apprend.
Sociologico Network society Realtà come relazione Apprend. Extra-scol.
Epistemologico Costruzionismo Cooperazione Innovaz. d. didattica

Tabella 1 – Comunicazione e educazione nella realtà socio-culturale attuale

3. Questo tipo di quadro indica non soltanto il dato di una attualità straordinaria della
comunicazione e della sua capacità di produrre il cambiamento nell’educazione, ma
anche l’urgenza di prendere atto di ciò e di tradurlo in strategia operativa ai diversi
livelli (di politica culturale, di cultura organizzativa, di consapevolezza didattica).
La questione è che di tale auspicabile consapevolezza non si trova quasi traccia
(pensiamo qui in particolare al contesto italiano; per gli altri paesi la situazione è
abbastanza diversa) o, se la si trova, essa non si mantiene entro i termini di un approccio
corretto. Almeno due indicazioni sono facilmente osservabili in questa direzione.
La prima è relativa alla separazione ancora esistente a livello accademico tra la cultura
dell’educazione e della comunicazione. Nell’università italiana, nonostante gli sforzi
recenti documentabili in questa direzione7, manca ancora il riconoscimento disciplinare
di un campo di ricerca e di un tipo di competenza che non possono essere né
semplicemente “comunicativi”, né esclusivamente “pedagogici”. Questo, è vero, si può
addebitare in parte a un sistema universitario come il nostro tradizionalmente costruito
su identità disciplinari forti e in genere poco aperto a discorsi comparatistici e
“trasversali”, ma indubbiamente rispecchia anche la incapacità delle scienze
dell’educazione, e soprattutto di quelle della comunicazione, di riconoscere
l’importanza e la specificità di questo spazio di ricerca. Non capirlo significherà
continuare a leggere contributi pedagogici incapaci di superare il facile catastrofismo (i
media deformano, l’educazione forma) e studi di comunicazione che non riescono a
inquadrare l’importanza di interrogare i media nell’ottica dell’educazione: per i primi i
media resteranno solo una provincia periferica dell’educazione o un terreno per fare del
moralismo; per i secondi, invece, l’educazione non diventerà mai un’attenzione da
assumersi in proprio, ma da delegare ad altri, per incompetenza o, forse, per scarso
interesse.
Il secondo elemento su cui merita di soffermarsi è l’atteggiamento della scuola di fronte
ai media e alle tecnologie. Si tratta di un atteggiamento oscillante tra due estremi: il
6
G.Olimpo, Le componenti concettuali dei nuovi percorsi formativi, in V.Midoro, a cura di, Argomenti di
Tecnologie Didattiche, Menabò, Ortona 1998, p.52.
7
Si pensi, in particolare, ad alcune esperienze significative degli ultimi anni: la nascita a Firenze, grazie a
Giovanni Bechelloni, di una “Scuola fiorentina della comunicazione” attenta al rapporto tra i media e
l’educazione sia nel senso della ricerca (sviluppata soprattutto mediante la partnership con i paesi di
lingua tedesca) che della formazione (il Master in comunicazione e media); l’apertura a Roma (con Mario
Morcellini, Enrico Menduni, Roberto Giannatelli) di corsi accademici e iniziative di ricerca attorno ai
temi della Media Education; l’avvio, presso l’Università Cattolica di Milano (e in collaborazione con il
MED. Associazione italiana di educazione ai media e alla comunicazione) del primo corso di
perfezionamento in Italia in Media Education. Cultura e professione per la comunicazione multi-mediale;
infine, il convegno napoletano del marzo 1999 che, con il coordinamento di Agata Piromallo
Gambardella, ha dato origine ai contributi raccolti in questo volume.
primo, che consiste nella tentazione di evitare i media o di combatterli, cioè di assumere
atteggiamenti svalutanti o apocalittici che finiscono per configurare il lavoro educativo
in una resistenza ai media o, addirittura, in una lotta contro i media; il secondo, invece,
si traduce in posizioni “integrate” di entusiasmo tecnologico spesso incapace di pensare
la tecnologia e i media stessi in una prospettiva culturale al di là della loro funzione di
strumenti.
Ritroviamo così la contraddizione di cui si parlava in apertura, quella di una realtà
sempre più mediatizzata e sempre più capace di interpellare l’educazione che però non
trova adeguata attenzione né da parte della ricerca, né da parte della scuola.

Media e educazione: intersezioni

Proviamo a superare questa contraddizione o, quanto meno, a indicare alcune


prospettive a partire dalle quali predisporre il suo superamento nel senso di una
integrazione dei due orizzonti.
La convergenza dei media e dell’educazione può essere considerata secondo due punti
di vista che prendono corpo in altrettante domande: quale contributo può fornire
all’educazione la cultura della comunicazione? E quale contributo, invece, l’educazione
può fornire alla comunicazione?

1. Vi sono anzitutto due ragioni “socio-culturali” che possono rendere proficuo


l’apporto della comunicazione all’educazione. Esse hanno a che fare con il media
climate in cui viviamo e la sua capacità di influenzare, trasformandolo, il
comportamento degli individui e delle istituzioni.
In questa prospettiva la comunicazione costituisce, anzitutto, per la scuola una
straordinaria opportunità, oltre che un’urgenza come già si è evidenziato, perché
attraverso i media (la carta stampata e l’informazione televisiva, in particolare) la
scuola ha la possibilità di incontrare l’attualità. Si tratta di un grande tema, oltre che di
un ben preciso modo di pensare la Media Education che si può riconoscere nella linea
tenuta dal CLEMI (Centre de Liaison de l’Enseignement et des Moyens d’Information)
e dal suo direttore, Jacques Gonnet. L’idea è che «formare i giovani all’attualità sia una
necessità delle nostre società» e una «questione di servizio pubblico», perché significa
sottrarre le informazioni da cui quotidianamente siamo circondati al senso comune e al
giudizio emotivo. Inoltre, una scuola spesso troppo arroccata nella difesa dei curricoli
classici, potrebbe ritrovare, grazie all’incontro con l’attualità, la consapevolezza del
proprio ruolo. «Lavorare sull’attualità è una scuola del dubbio. Un apprendimento del
giudizio critico, una presa di distanza rispetto alla realtà (…) si deve imparare a
verificare le fonti, a controllarle, a confrontarle. E subito lo studente si accorge che non
può lavorare da solo. Certo, l’insegnante è lì, ma orienta le ricerche verso altre figure: i
genitori, i giornalisti, un giudice, un artigiano, un medico, la municipalità, un’azienda…
fonti d’informazione diverse per comprendere la realtà, echi diversi per cercare di
strutturare i discorsi espliciti dell’informazione, per costruire dei punti di approccio»8.
Si può comprendere l’importanza di questo rilievo e di questa linea didattica (insegnare
l’attualità) se si pensa a come oggi i media funzionino da veri e propri agenti di
mediazione delle nostre pratiche sociali, in particolare di quelle pratiche di tipo
simbolico attraverso le quali andiamo costruendo i significati della nostra realtà.
I media, infatti, si possono considerare, da una parte, come i nuovi protagonisti della
socializzazione – un modello di socializzazione più “leggera” e proprio per questo
8
J.Gonnet, Médias, savoirs et morale, Paper per il Seminario Internazionale sulle nuove tecnologie nella
scuola, Brescia, Università Cattolica, 18-20 marzo 1999, p.3, mimeo.
anche più efficace di quella tradizionale9 - trovandosi a giocare questo ruolo soprattutto
in corrispondenza con la crisi che contemporaneamente stanno vivendo gli agenti
tradizionali della socializzazione, dalla famiglia alla scuola; dall’altra, i media stanno
anche contribuendo all’affermarsi di un nuovo tipo di socialità, sempre meno
dipendente dalla identità di tempo e di luogo e, invece, sempre più legata agli spazi di
identificazione collettiva offerti dallo schermo, della televisione come del computer:
come osserva Thompson, «quanto più il nostro senso del passato dipende da forme
simboliche mediate, e il nostro senso del mondo e del posto che in esso occupiamo è
alimentato dai prodotti dei media, tanto più si modifica anche il nostro senso dei gruppi
e delle comunità con cui condividiamo un sentiero comune nello spazio e nel tempo, la
stessa origine e lo stesso destino»10.
Un nuovo tipo di socializzazione (leggera), dunque, e un nuovo tipo di socialità
(mediata), entrambe caratterizzate dalla presenza dei media come spazio di
negoziazione dei significati e dei valori. Questo significa che i discorsi, i valori, i
modelli di identificazione dei soggetti in età evolutiva si alimentano in maniera sempre
più consistente delle produzioni discorsive e rappresentative offerte dai media,
implicando un cambio di prospettiva da parte dell’educazione il cui compito non può
più limitarsi all’indicazione programmatica dei valori, ma deve mettere in conto che sui
valori si debba rendere disponibile a un lento lavoro di negoziazione. I media
costituiscono il terreno più adatto su cui cercare questo confronto, perché è soprattutto
su quel terreno che il processo di valorizzazione oggi nelle nostre società di verifica.

2. Se spostiamo la nostra attenzione dai media come agenti capaci di produrre significati
ai media come apparati, è facile individuare almeno altri tre apporti significativi che essi
possono garantire all’educazione rispettivamente dal punto di vista tecnologico,
professionale e metodologico.
Anzitutto, dal punto di vista tecnologico, i media hanno dimostrato e dimostrano la
capacità di contaminare i sistemi didattici. Di questa capacità di contaminazione è prova
oggi il riconoscimento di un’area di ricerca e applicazione educativa come l’ICT
(Information Communication Technology) in cui l’idea tradizionale dei media come
supporti per la didattica è stata affiancata, se non sostituita, da una nuova
concettualizzazione del loro contributo nei termini della costruzione di un nuovo
ambiente didattico multimediale. In esso, le NTC (New Technologies of
Communication) aprono alla comunicazione formativa almeno tre scenari di
cambiamento: indicano nella direzione di una nuova flessibilità dei percorsi formativi
(autonomia e personalizzazione dell’apprendimento, facilità di accesso al sapere, libertà
di spostamento all’interno delle conoscenze); spingono lo sviluppo della dimensione
collaborativa dell’apprendimento; sostengono un nuovo approccio alle idee
ripensandole più che come momento teorico che precede la realtà, come «strumenti di
pensiero e di azione, di rappresentazione di un problema e di soluzione di quello stesso
problema»11 (qualcosa con cui lavorare, mattoni per la costruzione).
In seconda istanza, i media possono mettere al servizio della scuola e dell’educazione in
generale le loro professionalità. Questa è una dimensione che in Italia forse non
conosciamo a sufficienza, ma che potrebbe essere proficuamente sviluppata: lavorare
perché i giornalisti entrino nella scuola e aiutino i ragazzi a leggere criticamente la
stampa, perché i pubblicitari spieghino loro le proprie strategie comunicative, ecc.

9
S.Martelli, a cura di, Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media, Angeli, Milano 1996.
10
J.B.Thompson, The Media and Modernity. A Social Theory of the Media, Polity Press, Cambridge
1995; tr.it. Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna 1998,
p.55.
11
G.Olimpo, Le componenti…, cit., p.53.
Masterman, nel rapporto del 1994 sulla Media Education in Europa, sottolinea il ruolo
decisivo del rapporto tra la scuola e i professionisti dei media: «Gli insegnanti e i
professionisti sono impegnati in una delle funzioni più delicate della società
contemporanea: la produzione, circolazione, distribuzione e, soprattutto, legittimazione
delle informazioni e delle idee. Entrambi sono potenti creatori e mediatori della
coscienza pubblica e della conoscenza sociale. Entrambi svolgono un importante ruolo
ideologico nelle società che servono (…) Se l’integrità giornalistica è vitale per la
libertà dei media, così pure lo è l’esistenza di un pubblico informato e critico. Le due
cose sono strettamente interdipendenti. Senza l’esistenza dell’una, l’altra è destinata a
morire. Ecco perché i buoni giornalisti ed insegnanti di media sono pronti a sostenersi a
vicenda, Non solo essi condividono obiettivi comuni, ma gli uni sono responsabili della
creazione delle condizioni nelle quali gli altri possono lavorare. Una delle massime
priorità della Media Education negli anni ’90 è quella di instaurare efficaci linee di
comunicazione tra insegnanti di media e professionisti».12
C’è, infine, un ultimo contributo che il mondo della comunicazione fornisce
all’educazione: esso riguarda i metodi di ricerca per accostarsi ai media. Si pensi in
particolare agli strumenti etnografici (intervista in profondità, osservazione partecipante,
focus group) e alle strategie semiotiche di analisi del testo che alimentano i due grandi
versanti della ricerca e dell’intervento educativo nella Media Education: il consumo e la
lettura critica.

Punto di vista Descrittore Tipo di apporto


Media come agenti sociali Attualità Ripensamento del lavoro scolastico
Socializzazione/socialità Nuovo terreno di negoziazione dei valori
Media come apparati Tipologia didattica Flessibilità, dimensione collaborativa,
nuova idea del pensiero
Professionalità Apertura della didattica
Metodologia Analisi del consumo e del testo

Tabella 2 - Il contributo della comunicazione all’educazione

4. Se ci collochiamo ora dal punto di vista dell’educazione possiamo chiederci in cosa


possa consistere la specificità del suo approccio alla comunicazione. La risposta passa
attraverso due indicazioni che costituiscono altrettanti temi portanti della Media
Education.
Anzitutto l’educazione fornisce alla comunicazione un quadro d’uso, sia sul versante
produttivo che su quello ricettivo, e cioè la possibilità di maturare una consapevolezza
etica e critica. Certo, si sta pensando qui a un’educazione che non deve dare contenuti,
ma le metodologie, la capacità di mettere in prospettiva le conoscenze, la
rappresentazione della realtà.
Oggi, la ricerca educativa intorno ai media si è definitivamente affrancata dall’idea,
affermatasi lungo gli anni Settanta e Ottanta, che fosse suo compito di demistificare i
messaggi dei media. Le ragioni di questo fatto, come indica David Buckingham13, sono
due: il superamento della «visione dei bambini come vittime passive degli effetti dei
media è stata rapidamente modificata e superata» in favore di una nuova prospettiva
secondo la quale «i bambini sono un’audience molto più sofisticata e critica di quanto
12
L.Masterman, A Rationale for Media Education, Councile of Europe Press, Strasbourg 1994; tr.it., A
scuola di media, Educazione, media e democrazia nell’Europa degli anni ’90, La Scuola, Brescia 1997,
p.105-107.
13
D.Buckingham, Media Education in the U.K.: Moving Beyond Protectionism, «Journal of
communication», 48, 1, 1998, pp.37-38.
tradizionalmente non si pensi, persino da parte di molti media educators»14;
parallelamente è stata anche superata la concezione salvifica dell’insegnante come colui
che «rivela la verità cosicché i suoi studenti, dopo esserne stati testimoni,
automaticamente gli garantiscono il loro assenso»15.
Il compito della Media Education diviene, così, quello di fornire un orizzonte
concettuale da applicare all’intero sistema dei media per sviluppare un nuovo senso del
vivere sociale. È il grande tema dell’educazione alla cittadinanza: abbracciare i media,
impegnarsi responsabilmente in essi e con essi, significa portare avanti una ricerca
senza fine del modo di dare senso al mondo e di come gli altri danno senso al mondo
per noi. L’obiettivo di questo tragitto è l’autonomia critica raggiunta attraverso un
lavoro di collaborazione.
Dall’altra parte, e proprio in ragione di questa componente valoriale, l’educazione può
garantire alla comunicazione anche uno spazio di confronto e riflessione attraverso un
lavoro di rete facilitando la condivisione delle esperienze tra le singole scuole, a livello
locale e nazionale, e la circolazione di risorse, idee e persone a livello internazionale.
Il MED. Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione è nata
assegnandosi, per l’Italia, esattamente questo compito, cioè di «proporsi come
laboratorio di idee e formazione degli operatori dell’educazione e della formazione»
(Statuto, art.3) scegliendo come metodologia di intervento sul territorio proprio quella
del networking: «La propositività culturale ed educativa, la valorizzazione delle risorse
nel territorio e l’incontro tra le persone, sono elementi che caratterizzano l’operatività
dell’Associazione» (Statuto, art.4). Questo tratto diviene anche stile di presenza a livello
internazionale nella misura in cui il MED ha saputo proporsi come referente italiano per
le associazioni e i gruppi che operano a livello internazionale nello stesso settore: sia
sufficiente indicare, come esempio, le due realtà del CLEMI a Parigi e del British Film
Institute a Londra16.

Punto di vista Descrittore Tipo di apporto


Ed. come metariflessione Sviluppo del senso Fornitura di un quadro d’uso,
critico costruzione della cittadinanza
Ed. come inter-azione Lavoro di rete Circolazione delle idee, scambio e
confronto delle esperienze

Tabella 3 – Il contributo dell’educazione alla comunicazione

Educazione e comunicazione: verso una cultura integrata

Vico diceva che la metafisica senza la filologia è vuota, la filologia senza la metafisica è
cieca. Circa il rapporto tra la comunicazione e l’educazione si può fare lo stesso tipo di
rilievo: un’educazione che non si preoccupi di incontrare la comunicazione, oggi,
rischia di essere vuota; d’altra parte, se la comunicazione non prova a ricomprendersi
dal punto di vista educativo probabilmente resterà cieca. Si tratta di verificare come
questo sia possibile.
Il problema, prima ancora che di individuare una nuova figura professionale o una
nuova area disciplinare, è di promuovere una consapevolezza del momento culturale
attuale. Questo significa capire e progettare un modo diverso di fare società e,
14
Ibi., p.37.
15
Ibi., p.38.
16
Sul lavoro di rete in Media Education cfr.: R.Giannatelli, Networking ed esperienze di Media education
in Italia, Paper per il Congresso Internazionale sulla Media Education di São Paolo del Brasile, maggio
1998, mimeo.
soprattutto, di fare scuola, in cui i media siano finalmente considerati una questione
rilevante e non solo per i loro possibili effetti negativi.
L’autonomia didattica della scuola e dell’università potrebbero indubbiamente favorire
questa nuova consapevolezza.

1. Quali opportunità dovrebbe offrire la nuova legge sull’autonomia scolastica ai media


e alle tecnologie didattiche?
Il dettato della legge pare indicarle in due direzioni, che si ricavano dall’art.7 laddove si
dice che gli istituti scolastici «che abbiano conseguito personalità giuridica e autonomia
(…) hanno autonomia organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema
nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale»: dunque, l’organizzazione e
la didattica.
L’autonomia organizzativa può avere a che fare con la didattica della comunicazione e
della multimedialità nella misura in cui è finalizzata, tra l’altro, «all’introduzione di
tecnologie innovative» e al «superamento dei vincoli in materia di unità oraria della
lezione e dell’unitarietà del gruppo classe» (art.8).
Le logiche in gioco, a ben vedere, qui sono due: una logica di innovazione, che risponde
alla volontà di accettare e promuovere il cambiamento nell’educazione, riorganizzando i
saperi (che nella tradizione della scuola italiana sono costruiti su una rigida divisione
disciplinare) anche attraverso un ripensamento dei tempi e degli spazi dell’educazione;
una logica di flessibilità, che rompendo la corrispondenza rigida tra cattedra, orario e
gruppo-classe, può molto più facilmente creare gli spazi per una didattica “trasversale”
come è quella relativa ai media e alla comunicazione.
Per quanto riguarda l’autonomia didattica, poi, è facile intuire lo spazio della
comunicazione e della multimedialità nell’ambito di una «eventuale offerta di
insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi e nel rispetto delle esigenze formative
degli studenti» (art.9).
Incontriamo qui una terza logica, che potremmo definire come logica di specificità: essa
è caratterizzata dalla possibilità che ogni singola scuola proceda a un ampliamento della
propria offerta formativa, sia per favorire l’apprendimento dei suoi studenti, che per
promuoverne l’incontro con prospettive culturali differenti.
Queste tre logiche si possono, da ultimo, tradurre in una serie di ipotetiche nuove
opportunità (che autorizzano ad allestire altrettanti scenari possibili) della
comunicazione e della multimedialità nella scuola dell’autonomia.
Anzitutto, la logica dell’innovazione può far sì che comunicazione e multimedialità
trovino spazio nella programmazione libera delle singole scuole come disciplina
autonoma, dotata di un monte-ore settimanale, di un proprio programma, di contenuti,
obiettivi e metodologie proprie – accanto all’italiano, alla matematica, alla geografia,
come già accade in molti Paesi, potrebbero comparire le ore di Media Studies o di
Multimedialità. Addirittura si può ipotizzare – e non è fuori luogo, se si pensa agli sforzi
prodotti in questi ultimi anni dal MPI in ordine alla multimedialità – che esse vengano
istituzionalizzate in un futuro curricolo nazionale.
Un secondo scenario (nella prospettiva di quella che prima chiamavamo logica di
flessibilità) è che vengano integrate nei curricoli o nella forma di nuclei tematici
all’interno delle discipline tradizionali (vengano, cioè, inserite tra i contenuti e gli
obiettivi disciplinari delle diverse materie), o come un nuovo tipo di attenzione
“trasversale” ad esse richiesta – in ossequio alla richiesta da molti avanzata nella
comunità scientifica (Jacquinot) che l’insegnante diventi sempre più un insegnante-
comunicatore, cioè capace di fare lavoro di mediazione culturale nei confronti del
nuovo contesto mediatico.
Infine, nell’ottica della specificità, è possibile che comunicazione e multimedialità
divengano elementi distintivi della singola realtà scolastica o perché utilizzate come
strumento di amplificazione degli apprendimenti (nella didattica speciale, ma anche, più
semplicemente, ai fini di una maggiore personalizzazione dell’insegnamento), o perché
oggetto della attivazione di tutta una serie di iniziative paracurricolari con valore di
approfondimento culturale.

Tipo di autonomia Logiche operative Attività e interventi


Organizzativa Innovazione Configurazione disciplinare
Flessibilità Integrazione curricolare
Didattica Specificità Amplificazione dell’apprendimento

Tabella 4 – Comunicazione e multimedialità: prospettive praticabili in regime di autonomia

2. Anche la ristrutturazione della didattica accademica secondo la nuova prospettiva


dell’autonomia potrà creare, forse, nuove e più favorevoli condizioni per la Media
Education. Il dato più significativo al riguardo è l’orientamento della “nuova” università
a spostare il fuoco dalle facoltà – pensate oggi come contenitori rigidi di schemi
disciplinari e profili curricolari fissi - all’offerta formativa dei singoli corsi, consentendo
di valorizzare anche le nuove proposte.
Il corso di perfezionamento in Media education. Cultura e professione per l’educazione
multi-mediale che quest’anno l’Università Cattolica e l’associazione MED hanno deciso
di istituire, intende collocarsi in questa prospettiva, fornendo alla scuola e all’università
uno spazio di confronto in cui iniziare a pensare come costruire una casa comune per i
media e l’educazione.
Pierre Levy ha scritto in un suo libro: «Ecco i nuovi carbonari della società, gli oscuri
personaggi che producono le condizioni di ricchezza, lontano dalle luci della ribalta,
persone il cui lavoro è al contempo il più duro, il più necessario e il peggio retribuito: la
schiera degli insegnanti, istitutori, professori, maestri di ogni tipo. (…) Questi nuovi
proletari si fanno carico in prima linea delle relazioni di massa, del legame sociale
intensivo. Questi giusti si sforzano di inserire tutta una popolazione respinta. E a causa
della mobilità e dell’accelerazione dei flussi, tutti vivono al limite dell’esclusione,
rischiando di cadervi»17.
Si tratta di una frase straordinaria, capace di cogliere insieme l’urgenza dell’oggi,
l’importanza strategica, in essa, delle figure educative e la loro delicata situazione, «al
limite dell’esclusione».
È necessario proprio partire da qui, dagli uomini e dalle donne che sono impegnati nella
formazione per iniziare a promuovere una cultura della comunicazione formativa, ad
aprire (o allargare) lo spazio di dialogo tra le due istanze. E lo strumento per farlo è la
formazione: la formazione di educatori capaci di aggiornamento costante,
continuamente impegnati a specializzarsi, capaci di fare ricerca, capaci di un
atteggiamento riflessivo.
Sono loro, i nuovi carbonari della società, il ponte che la Media Education può gettare
tra la comunicazione e l’educazione.

17
P.Levy, L’intelligence collective, La Découverte, Paris 1994; L’intelligenza collettiva. Per
un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996, p.53.

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