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Questa scelta, attenta alle linee di convergenza più che agli indicatori di differenza,
richiede l’assunzione di un punto di vista che si colloca in uno spazio intermedio tra
l’analisi dell’esistente e l’indicazione progettuale e che si traduce sostanzialmente in
due operazioni: sul piano fenomenologico, l’indicazione delle aree di ricerca e dei temi
condivisibili da parte delle due culture; sul piano metodologico, l’individuazione delle
strategie e delle attenzioni esportabili da uno specifico all’altro.
Nel concreto, il risultato di questo tipo di indagine sarà la prospettazione di tre piste di
lavoro che corrispondono anche ai passaggi attraverso cui verrà strutturandosi il nostro
discorso. Si possono definire sotto la forma di altrettanti interrogativi:
1. quali indicatori, suggeriscono, oggi, la necessità che la comunicazione e
l’educazione si incontrino?
2. Quale contributo può offrire la comunicazione all’educazione?
3. E quale contributo, invece, l’educazione può offrire alla comunicazione?
1
Questo contributo riprende ampliandola la relazione tenuta dall’autore al Convegno di studio su
Comunicazione e educazione: l’incontro delle due culture, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa,
Napoli 26-27 marzo 1999.
L’educazione incontra i media
Muoviamo, nella nostra analisi, dal piano che abbiamo definito fenomenologico. In che
senso si può dire che l’esistente, la nostra realtà socio-culturale, suggerisca la necessità
di pensare l’interferenza, dialogante e produttiva, tra la comunicazione e l’educazione?
La risposta passa attraverso il rilievo di una curiosa contraddizione tra le logiche socio-
culturali presenti e la situazione della ricerca al riguardo. Proviamo a indicarne i
termini.
1. Sul piano delle grandi logiche che contraddistinguono la nostra realtà socio-culturale
si possono riconoscere almeno tre importanti fenomeni che funzionano da descrittori di
campo.
A livello tecnologico, anzitutto, va registrato l’effetto rivoluzionario della «convergenza
digitale» di telefonia, sistema televisivo e computer. Conseguenza della sostituzione
della codifica analogica dei segnali con la loro traduzione numerica (evento centrale,
questo, dello sviluppo della telematica durante gli anni Ottanta), la «convergenza
digitale» determina uno scarto netto all’interno della vicenda evolutiva dei sistemi di
comunicazione moderni. Questo scarto – come sottolineano Olivi e Somalvico –
segnala il superamento delle barriere esistenti «fra settori tradizionalmente distinti nella
comunicazione: editoria, radio e televisione, informatica, telefonia e telecomunicazioni.
La nuova comunicazione a integrazione di servizi su reti a banda larga che ne deriva è
quindi destinata ad avere un ruolo centrale nell’economia dell’informazione del terzo
millennio, caratterizzata da processi di progressiva mondializzazione del mercato»2.
La tecnologia, pensata nel modo che abbiamo appena visto, insieme alla struttura
sociale, concorre alla configurazione e allo sviluppo di un nuovo sistema integrato
riconducibile sotto la categoria della network society. Con questo termine (come con
quelli ad esso equivalenti di knowledge society, o di learning society) si indica un tipo
specifico di organizzazione sociale in cui il potere e la produttività si basano
sostanzialmente sulla produzione, il trattamento e la trasmissione dell’informazione.
Questo non significa semplicemente riconoscere alla società in cui viviamo la
specificità di prevedere un ruolo importante per l’informazione e le tecnologie
dell’informazione (information society), ma sostenere che questa società presenta una
struttura sociale e un modo di gestire le conoscenze completamente nuovi
(informational society)3.
A questi elementi, sul piano epistemologico, si deve aggiungere la riconfigurazione
sempre più evidente della conoscenza nei termini di un apprendimento di tipo
costruttivo (il sapere si produce, non si acquisisce) e collaborativo (è collettiva, non
individuale). Questa doppia istanza fa riferimento, da una parte, al fatto che la
conoscenza oggi è sempre più il risultato di pratiche sociali che comportano la sua
riconcettualizzazione in termini di dialogo e negoziazione; dall’altra, al fatto che essa
viene intesa sempre più di frequente come un’attività di rete in cui lo scambio, il
confronto e il prodotto delle intelligenze divengono gli ingredienti di base del lavoro
cognitivo.
2
B.Olivi, B.Somalvico, La fine della comunicazione di massa. Dal villaggio globale alla nuova Babele
elettronica, Il Mulino, Bologna 1998, p.22.
3
Per un approfondimento su questi temi, cfr.: M.Castells, The Rise of the Network Society, Blackwell
Publishers Inc. Malden, Massachussets 1996; H.van Aalst, Driving Forces behind Schooling for
Tomorrow, in OECD/CERI, Learning and Schooling in the Knowledge Society. Report of the
Scheveningen Seminar, CERI/SFT 8, 1998, OECD, Paris 1998.
2. È facile notare come ciascuno degli elementi che abbiamo individuato – la
convergenza digitale, la network society, la nuova idea collaborativa della conoscenza –
abbia una base di tipo comunicativo e implichi importanti conseguenze in ambito
educativo.
Quanto alla comunicazione, essa interseca lo scenario descritto sul piano strumentale,
teorico e metateorico.
Il telefono, la televisione e il computer, protagonisti del nuovo contesto tecnologico,
sono, infatti, strumenti di comunicazione; pensare alla conoscenza come a un’attività di
tipo cooperativo richiede che alla base di questo tipo di attività si postuli lo scambio, la
circolazione, la comunicazione, cioè che si faccia riferimento a una teoria della
conoscenza nella cui ottica già il trasferimento e lo scambio delle conoscenze sono parte
integrante del sapere; l’idea, infine, di una società in rete (o di rete) rinvia all’immagine
di una realtà che, come teorizzato da Wiener, è fatta di relazioni più che di cose e,
quindi, porta in gioco la comunicazione, questa volta come quadro metateorico entro il
quale collocare l’intera struttura sociale.
Quanto all’educazione, poi, i fenomeni descritti la interpellano in vario modo.
Anzitutto, l’impatto della convergenza digitale sull’apprendimento è determinante. Lo si
può registrare in almeno due direzioni. In primo luogo nel senso di un influsso mediato,
che si verifica nella misura in cui attraverso le tecnologie dell’intelligenza l’uomo
lavora alla trasformazione del mondo in cui vive: è il «cosa» del nostro apprendere cui
facciamo qui riferimento, cioè il dato di una realtà mediatizzata, costruita grazie
all’apporto del computer, della televisione, della telematica4. D’altra parte, questi stessi
media contribuiscono anche direttamente alla trasformazione del nostro modo di fare
educazione: in questo caso è il «come» del nostro apprendere ad essere portato in gioco
e piegato ad assumere caratteristiche completamente nuove – si tratta, infatti, nel caso
dei media, di un apprendimento per scoperta, multicanale, multimediale, non legato a
schemi sequenziali di presentazione dei contenuti, a forte valenza ludica, ecc.
La necessità di una ridefinizione dell’idea stessa dell’apprendimento risulta confermata
anche da quella che abbiamo definito network society. In essa l’apprendimento non può
più essere pensato solo come un’attività intenzionale e limitata al contesto scolastico,
ma, come osserva Van Aalst5, nei termini di un’attività di micro-scelta (in cui, istante
per istante, chi apprende sceglie i mezzi e le fonti per farlo), distribuita (perché avviene
in una molteplicità di luoghi – la casa, l’ufficio) e tale da includere le routines socio-
culturali (tra di esse, soprattutto i media).
Da ultimo, la ridefinizione della conoscenza in termini cooperativi costituisce un invito
a ripensare alla didattica nei termini di una attività di tipo complesso che mette in
circolo osservazione, riflessione critica ed esperienza. In questo modo vengono poste le
condizioni per estendere e potenziare i valori tradizionalmente riconosciuti dalla ricerca
cognitiva all’operare in gruppo. La tecnologia, in questa prospettiva, si propone come
«un fattore di sostegno e di arricchimento nei processi di apprendimento collaborativo.
Essa va ad incidere direttamente sulle possibilità concrete di esistenza del gruppo che
4
Costituisce una curiosa conferma di questo dato l’esperienza di una giornalista americana, Lorrie Grant,
reporter del quotidiano «USA Today», che ha provato a vivere per un mese on line, cioè a soddisfare le
proprie esigenze quotidiane facendo riferimento solo al supporto del Web. Così ha intrattenuto il rapporto
professionale con il suo giornale grazie alla posta elettronica, ha fatto regolarmente la spesa presso
supermarket virtuali (www.netgrocer.com, www.omahasteaks.com), ha partecipato a un’asta cibernetica,
comprato un biglietto aereo, investito in azioni della Disney, tutto rigorosamente in rete. Un esperimento
giornalistico, si dirà, ma sicuramente rivelatore di come oggi il confine tra realtà reale e digitale non sia
poi così demarcato (cfr. l’articolo di U.Venturini, «Così ho vissuto di internet», «CorrierEconomia»,
lunedì 26 aprile 1999).
5
H. van Aalst, Learning in the knowledge society, Paper per il Seminario Internazionale sulle nuove
tecnologie nella scuola, Brescia, Università Cattolica, 18-20 marzo 1999, p.12, mimeo.
collabora, sulle modalità della collaborazione e quindi sui livelli di efficacia e di
motivazione, e infine sull’oggetto della cooperazione che può essere a sua volta legato
alla tecnologia (testi elettronici, ipermedia, pagine web…)»6.
3. Questo tipo di quadro indica non soltanto il dato di una attualità straordinaria della
comunicazione e della sua capacità di produrre il cambiamento nell’educazione, ma
anche l’urgenza di prendere atto di ciò e di tradurlo in strategia operativa ai diversi
livelli (di politica culturale, di cultura organizzativa, di consapevolezza didattica).
La questione è che di tale auspicabile consapevolezza non si trova quasi traccia
(pensiamo qui in particolare al contesto italiano; per gli altri paesi la situazione è
abbastanza diversa) o, se la si trova, essa non si mantiene entro i termini di un approccio
corretto. Almeno due indicazioni sono facilmente osservabili in questa direzione.
La prima è relativa alla separazione ancora esistente a livello accademico tra la cultura
dell’educazione e della comunicazione. Nell’università italiana, nonostante gli sforzi
recenti documentabili in questa direzione7, manca ancora il riconoscimento disciplinare
di un campo di ricerca e di un tipo di competenza che non possono essere né
semplicemente “comunicativi”, né esclusivamente “pedagogici”. Questo, è vero, si può
addebitare in parte a un sistema universitario come il nostro tradizionalmente costruito
su identità disciplinari forti e in genere poco aperto a discorsi comparatistici e
“trasversali”, ma indubbiamente rispecchia anche la incapacità delle scienze
dell’educazione, e soprattutto di quelle della comunicazione, di riconoscere
l’importanza e la specificità di questo spazio di ricerca. Non capirlo significherà
continuare a leggere contributi pedagogici incapaci di superare il facile catastrofismo (i
media deformano, l’educazione forma) e studi di comunicazione che non riescono a
inquadrare l’importanza di interrogare i media nell’ottica dell’educazione: per i primi i
media resteranno solo una provincia periferica dell’educazione o un terreno per fare del
moralismo; per i secondi, invece, l’educazione non diventerà mai un’attenzione da
assumersi in proprio, ma da delegare ad altri, per incompetenza o, forse, per scarso
interesse.
Il secondo elemento su cui merita di soffermarsi è l’atteggiamento della scuola di fronte
ai media e alle tecnologie. Si tratta di un atteggiamento oscillante tra due estremi: il
6
G.Olimpo, Le componenti concettuali dei nuovi percorsi formativi, in V.Midoro, a cura di, Argomenti di
Tecnologie Didattiche, Menabò, Ortona 1998, p.52.
7
Si pensi, in particolare, ad alcune esperienze significative degli ultimi anni: la nascita a Firenze, grazie a
Giovanni Bechelloni, di una “Scuola fiorentina della comunicazione” attenta al rapporto tra i media e
l’educazione sia nel senso della ricerca (sviluppata soprattutto mediante la partnership con i paesi di
lingua tedesca) che della formazione (il Master in comunicazione e media); l’apertura a Roma (con Mario
Morcellini, Enrico Menduni, Roberto Giannatelli) di corsi accademici e iniziative di ricerca attorno ai
temi della Media Education; l’avvio, presso l’Università Cattolica di Milano (e in collaborazione con il
MED. Associazione italiana di educazione ai media e alla comunicazione) del primo corso di
perfezionamento in Italia in Media Education. Cultura e professione per la comunicazione multi-mediale;
infine, il convegno napoletano del marzo 1999 che, con il coordinamento di Agata Piromallo
Gambardella, ha dato origine ai contributi raccolti in questo volume.
primo, che consiste nella tentazione di evitare i media o di combatterli, cioè di assumere
atteggiamenti svalutanti o apocalittici che finiscono per configurare il lavoro educativo
in una resistenza ai media o, addirittura, in una lotta contro i media; il secondo, invece,
si traduce in posizioni “integrate” di entusiasmo tecnologico spesso incapace di pensare
la tecnologia e i media stessi in una prospettiva culturale al di là della loro funzione di
strumenti.
Ritroviamo così la contraddizione di cui si parlava in apertura, quella di una realtà
sempre più mediatizzata e sempre più capace di interpellare l’educazione che però non
trova adeguata attenzione né da parte della ricerca, né da parte della scuola.
2. Se spostiamo la nostra attenzione dai media come agenti capaci di produrre significati
ai media come apparati, è facile individuare almeno altri tre apporti significativi che essi
possono garantire all’educazione rispettivamente dal punto di vista tecnologico,
professionale e metodologico.
Anzitutto, dal punto di vista tecnologico, i media hanno dimostrato e dimostrano la
capacità di contaminare i sistemi didattici. Di questa capacità di contaminazione è prova
oggi il riconoscimento di un’area di ricerca e applicazione educativa come l’ICT
(Information Communication Technology) in cui l’idea tradizionale dei media come
supporti per la didattica è stata affiancata, se non sostituita, da una nuova
concettualizzazione del loro contributo nei termini della costruzione di un nuovo
ambiente didattico multimediale. In esso, le NTC (New Technologies of
Communication) aprono alla comunicazione formativa almeno tre scenari di
cambiamento: indicano nella direzione di una nuova flessibilità dei percorsi formativi
(autonomia e personalizzazione dell’apprendimento, facilità di accesso al sapere, libertà
di spostamento all’interno delle conoscenze); spingono lo sviluppo della dimensione
collaborativa dell’apprendimento; sostengono un nuovo approccio alle idee
ripensandole più che come momento teorico che precede la realtà, come «strumenti di
pensiero e di azione, di rappresentazione di un problema e di soluzione di quello stesso
problema»11 (qualcosa con cui lavorare, mattoni per la costruzione).
In seconda istanza, i media possono mettere al servizio della scuola e dell’educazione in
generale le loro professionalità. Questa è una dimensione che in Italia forse non
conosciamo a sufficienza, ma che potrebbe essere proficuamente sviluppata: lavorare
perché i giornalisti entrino nella scuola e aiutino i ragazzi a leggere criticamente la
stampa, perché i pubblicitari spieghino loro le proprie strategie comunicative, ecc.
9
S.Martelli, a cura di, Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media, Angeli, Milano 1996.
10
J.B.Thompson, The Media and Modernity. A Social Theory of the Media, Polity Press, Cambridge
1995; tr.it. Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna 1998,
p.55.
11
G.Olimpo, Le componenti…, cit., p.53.
Masterman, nel rapporto del 1994 sulla Media Education in Europa, sottolinea il ruolo
decisivo del rapporto tra la scuola e i professionisti dei media: «Gli insegnanti e i
professionisti sono impegnati in una delle funzioni più delicate della società
contemporanea: la produzione, circolazione, distribuzione e, soprattutto, legittimazione
delle informazioni e delle idee. Entrambi sono potenti creatori e mediatori della
coscienza pubblica e della conoscenza sociale. Entrambi svolgono un importante ruolo
ideologico nelle società che servono (…) Se l’integrità giornalistica è vitale per la
libertà dei media, così pure lo è l’esistenza di un pubblico informato e critico. Le due
cose sono strettamente interdipendenti. Senza l’esistenza dell’una, l’altra è destinata a
morire. Ecco perché i buoni giornalisti ed insegnanti di media sono pronti a sostenersi a
vicenda, Non solo essi condividono obiettivi comuni, ma gli uni sono responsabili della
creazione delle condizioni nelle quali gli altri possono lavorare. Una delle massime
priorità della Media Education negli anni ’90 è quella di instaurare efficaci linee di
comunicazione tra insegnanti di media e professionisti».12
C’è, infine, un ultimo contributo che il mondo della comunicazione fornisce
all’educazione: esso riguarda i metodi di ricerca per accostarsi ai media. Si pensi in
particolare agli strumenti etnografici (intervista in profondità, osservazione partecipante,
focus group) e alle strategie semiotiche di analisi del testo che alimentano i due grandi
versanti della ricerca e dell’intervento educativo nella Media Education: il consumo e la
lettura critica.
Vico diceva che la metafisica senza la filologia è vuota, la filologia senza la metafisica è
cieca. Circa il rapporto tra la comunicazione e l’educazione si può fare lo stesso tipo di
rilievo: un’educazione che non si preoccupi di incontrare la comunicazione, oggi,
rischia di essere vuota; d’altra parte, se la comunicazione non prova a ricomprendersi
dal punto di vista educativo probabilmente resterà cieca. Si tratta di verificare come
questo sia possibile.
Il problema, prima ancora che di individuare una nuova figura professionale o una
nuova area disciplinare, è di promuovere una consapevolezza del momento culturale
attuale. Questo significa capire e progettare un modo diverso di fare società e,
14
Ibi., p.37.
15
Ibi., p.38.
16
Sul lavoro di rete in Media Education cfr.: R.Giannatelli, Networking ed esperienze di Media education
in Italia, Paper per il Congresso Internazionale sulla Media Education di São Paolo del Brasile, maggio
1998, mimeo.
soprattutto, di fare scuola, in cui i media siano finalmente considerati una questione
rilevante e non solo per i loro possibili effetti negativi.
L’autonomia didattica della scuola e dell’università potrebbero indubbiamente favorire
questa nuova consapevolezza.
17
P.Levy, L’intelligence collective, La Découverte, Paris 1994; L’intelligenza collettiva. Per
un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996, p.53.