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SALMO 13

Disse lo stolto nel suo cuore: Dio non c'è, ecc.

1. Istruendoci in molte cose, l'Apostolo ci insegna anche questo,


che cioè dobbiamo trattare con ogni rispetto la parola di Dio,
quando dice: <<Colui che parla, [lo faccia] come con parole
di Dio>>. Occorre che in questo non ci sia una confusa
faciloneria, secondo la consuetudine del nostro linguaggio;
ma parlando di cose imparate o lette, dobbiamo rendere onore
all'Autore facendo attenzione alla maniera di esprimerci. Un
esempio per l'insegnamento celeste ci è offerto dal modo in
cui di solito si esegue un compito umano. Se chi interpreta le
parole di un re e riporta alle orecchie del popolo i precetti di
lui si preoccupa con ogni attenzione di essere all'altezza della
dignità del re, mostrando rispetto per l'ufficio, in modo che
tutto sia recepito e ascoltato con stima e venerazione, quanto
più è giusto che noi, trattando della parola di Dio per farla
conoscere agli uomini, ci mostriamo degni di tale incarico!
Siamo infatti una sorta di strumento dello Spirito Santo, per
mezzo del quale devono risuonare la varietà delle voci e la
diversità degli insegnamenti. Dobbiamo fare attenzione e
preoccuparci di non dire nulla di ignobile, temendo la norma
fissata in questa sentenza: <<Maledetto chiunque compie con
negligenza le opere di Dio!>>. Al contrario, è offerto il
premio per la sollecitudine e la diligenza a quanti con rispetto
e timore accolgono in se stessi le Sacre Scritture come parola
di Dio e le introducono con il debito onore nelle menti degli
ascoltatori, secondo ciò che dice il Signore:<<E su chi
volgerò lo sguardo, se non su chi è umile, mite e teme le mie
parole?>>. E' necessario dunque da un lato che i predicatori
non pensino di rivolgersi a uomini [nel modo comune], e
dall'altro che gli ascoltatori sappiano che non sono presentate
loro parole di uomini, ma parole di Dio, decreti di Dio, leggi
di Dio, e che gli uni e gli altri usino il massimo rispetto nel
proprio ruolo. E' infatti di grandissimo pericolo, trattandosi
dei tesori di Dio, dei misteri nascosti, del testamento eterno, o
dire qualcosa di troppo oppure ascoltare senza attenzione.
Ogni cosa è da consegnare alla mente, ogni cosa è da affidare
al cuore, poiché non c'è nulla nelle parole di Dio che non sia
destinato a realizzarsi; quanto è stato detto ho ormai come
una necessità di tradursi in atto, poiché le parole di Dio sono
decreti.
2. Il salmo che è stato letto porta il titolo per la fine. Se tutti i
salmi si intitolassero così, non ci sarebbe alcuna difficoltà; il
titolo generalizzato escluderebbe ogni dubbio. Ma
presentando uno un titolo, uno un altro, è pur necessario che
titoli differenti traggano origine da motivi differenti. Un
duplice significato bisogna vedere in questi salmi che recano
il titolo “alla fine”: o essi contengono le realtà che si
verificheranno al compimento dei tempi, oppure la
conclusione del salmo darà una spiegazione chiara alle cose
che saranno dette lungo l'intero testo. In questo salmo tutto è
duro, orrendo, tormentato, pieno di bestemmie, colmo di
scelleratezze, appesantito dai lamenti. Non c'è alcuna
confessione di fede in Dio, alcuna espressione di gioia, alcun
cantico da parte del coro; al contrario, accuse per gli empi,
lamenti per gli arroganti, dolore per gli afflitti. Dice infatti:
Disse lo stolto nel suo cuore: Dio non c'è. Sono corrotti, sono
diventati abominevoli nei loro desideri; non c'è chi faccia il
bene, neppure uno, ecc. Alla fine segue: Chi darà da Sion la
salvezza a Israele? Mentre il Signore toglie la prigionia del
suo popolo, si rallegri Giacobbe, esulti Israele.
3. Mettiamoci nei panni di uno che, entrando in una città
appestata, osservi che tutti gli abitanti sono indistintamente
consunti dalla malattia, arsi dalla febbre, sfiniti da malesseri
di vario genere, e non trovando in quel luogo alcun medico,
si addolori e si lamenti che non vi sia alcun aiuto, alcun
rimedio per mali così grandi. Senta poi che la peste ogni
giorno infierisce sempre di più nelle membra, e sappia che
lontano si trova un medico che potrebbe curare, se fosse
presente – l'unica cosa che rimane – e, cambiando ogni
preoccupazione in desiderio, esclami nel dolore della
disperazione: Chi potrebbe renderlo presente e procurare così
la salvezza? Lo Spirito Santo, trasformando in desideri ogni
preoccupazione, si comporta allo stesso modo, quando
osserva l'errare del genere umano, i mali che affliggono il
nostro mondo, la malattia che devasta con una morte senza
rimedio. E ciò avviene, quando Dio è negato dallo stolto,
quando tutti sono corrotti dall'inganno detestabile dei piaceri,
quando non c'è nessuno che voglia il bene, quando le loro
gole sono sepolcri per gli innocenti, quando tutti si servono
della lingua per dire menzogne, quando un veleno d'aspide è
soffuso sulle loro labbra e nelle loro parole, quando la bocca
è piena di amarezza e maledizione, quando il loro piede si è
mosso veloce per versare il sangue. E tra questi malanni, su
quanti non riconoscono la via della pace, sovrasta l'infelicità
in tutte le vie della loro vita, quando non c'è alcun rispetto per
Dio, quando la rovina del popolo di Dio è come l'alimento
del pane per i persecutori, mentre la morte, i mali, i castighi
degli innocenti diventano soddisfazione per gli ingiusti;
quando Dio non è invocato, e si teme per cose inesistenti da
parte di coloro che, eliminando il Creatore, venerano la
creatura negli idoli; quando si perde la speranza che Dio abiti
presso la generazione dei giusti, si confonde l'intelligenza del
povero ed è derisa la speranza legata alla sua pazienza.
Allora, in mezzo a tali disgrazie che imperversano e
dominano dappertutto, lo Spirito Santo, ben conoscendo colui
che solo può portare aiuto, esclama: Chi darà da Sion la
salvezza a Israele? Non l'aveva data Mosè, non Elia, non
Isaia, non i profeti; tutte le opere della legge erano risultate
inefficaci contro il contagio così diffuso delle malattie. C'era
bisogno di un medico, che curasse tutti i malanni con un solo
e medesimo intervento soccorritore, guarisse tante e così
varie malattie presenti in tutto il mondo, non con artifici o
invenzioni – quando mai la destrezza e gli espedienti,
applicati ai singoli, sarebbero stati di aiuto? –, bensì con la
potenza della Parola. E' Lui che lo Spirito invoca, è Lui che
attende, perché al suo arrivo si calmi la febbre, cessi la cecità,
scompaia la paralisi, non colpisca la morte. E' Lui che lo
Spirito aspetta, Lui proclama, Lui invoca: Chi darà da Sion
la salvezza a Israele? Ma occorre spiegare i significati dei
termini uno per uno.
4. A che cosa corrisponda Sion, lo insegna l'Apostolo quando
dice: <<Accostiamoci al monte Sion e alla Santa città di
Gerusalemme>>. Tutti infatti corriamo per conquistare ciò in
cui siamo stati conquistati da Cristo, essere trovati cioè in
quel corpo che egli ha assunto da noi, nel quale siamo stati
scelti dal Padre prima della creazione del mondo, nel quale
da nemici siamo stati riconciliati e da perduti reintegrati; nel
quale l'Apostolo, perdendo ogni cosa, desidera essere trovato,
quando dice: <<E tutto io reputo una spazzatura, per
guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui>>. Perciò, visto
che le malattie del nostro corpo non sarebbero state eliminate
se non per l'assunzione della nostra carne – e per l'assunzione
della carne ogni nostra salvezza si trova in Dio –, per questo
dice: Chi darà da Sion la salvezza a Israele?
5. Ma la potenza del nome sta nel fatto che Egli è la salvezza.
Noi non adattiamo e non simuliamo, ma dai libri dell'Antico
Testamento apprendiamo che il Signore nostro Dio è
chiamato salvezza, e giustamente questo nome è stato sempre
concesso alle genti mediante promessa. Dice infatti Isaia:
<<E il Signore ha snudato il suo braccio Santo davanti a tutte
le genti, e tutti i confini della terra conosceranno la salvezza
del nostro Dio>>. A tutti popoli dunque è stato rivelato e da
tutti è stato conosciuto. E nuovamente lo Spirito Santo
esclama nei Salmi: <<Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha fatto cose mirabili. Il Signore ha manifestato la sua
salvezza, davanti alle genti ha rivelato la sua giustizia>>; e
ancora: << In mezzo alle genti annunciate la sua gloria e tra
tutti i popoli la sua salvezza>>; così pure: <<Mostraci,
Signore, la tua misericordia, e donaci la tua salvezza>>. Il
Signore ha mostrato nel Vangelo il desiderio di tale speranza,
quando ha detto: <<Molti profeti e giusti desiderarono vedere
ciò che voi vedete, ascoltare ciò che voi ascoltate>>. Questa
è la salvezza che Simeone prima attese a lungo e poi
riconobbe, dopo averla accolta tra le braccia; tra i vagiti
dell'infanzia, egli attraverso la fede vide Dio nella povertà
disonorevole di una culla. Riconoscendolo in tali condizioni,
lo adorò dicendo: <<Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola, poiché i miei occhi hanno
visto la tua salvezza, che hai preparata davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti>>. Questa è dunque la salvezza
annunciata alle genti, non all'Israele carnale che attese
carnale che attese, vide e ascoltò sul monte il Signore della
maestà, l'Israele che nei profeti lo lapidò, lo percosse, lo
straziò e lo uccise. Ma tutta questa parola è rivolta alle genti,
e reca loro la salvezza.
6. Dice poi: Mentre il Signore toglie la prigionia del suo
popolo. La prigionia propriamente è delle genti che avevano
detto nel loro cuore: Dio non c'è. Esse avevano tremato dove
non c'era da temere, avevano confuso e deriso la speranza del
misero – perché il Signore è speranza per lui –, avevano
negato che il Signore avrebbe dimorato presso la generazione
dei giusti, irretiti com'erano nel culto dei demoni, nelle
superstizioni del tempo e nel servizio alle creature. Questa
prigionia è eliminata, questa schiavitù è abolita. Ma sarà
Israele colui che crede, sarà Israele colui che vedrà Dio con
gli occhi del cuore. Israele significa infatti “colui che vede
Dio”, colui che riconosce tale salvezza di Dio dopo la
scomparsa della prigionia. Si allieta Giacobbe, si allieta
anche Israele per la fine della schiavitù, per il dono della
libertà, per la contemplazione di Dio, una volta che Abramo,
Isacco e Giacobbe hanno ricevuto il nome di padri per la
famiglia adottiva. Perciò, rallegriamoci in essi, esultiamo in
essi, sapendo che, per la nostra redenzione, in cielo ci sarà
gioia negli angeli a motivo della salvezza di un solo
peccatore che si pente. Essendo preparato per noi il gaudio
celeste, occorre che ci rallegriamo eternamente in Cristo,
benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

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