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CELEBRAZIONI LITURGICHE IN SOCIET SECOLARIZZATE1

Luigi Gioia

Spesso, soprattutto in campo agiografico, si verificata una tendenza a considerare la fuga mundi,
lallontanamento dal mondo, dal secolo, come una delle caratteristiche fondamentali del
monachesimo. Tale allontanamento sarebbe necessario per potersi dedicare liberamente e
prioritariamente allopus Dei, vale a dire alla celebrazione comune della liturgia. Il presupposto di
un tale approccio quello che secolo e opus Dei, secolarit e liturgia, si escluderebbero
vicendevolmente, obbedirebbero a logiche opposte, non di rado espresse in termini di profano e di
sacro.
In risposta a questa caricatura e per esporre la tesi fondamentale del presente contributo, occorre
formulare questa relazione in modo diverso: il monaco prende una certa distanza rispetto ad alcuni
aspetti del mondo (che potremmo chiamare in questo caso mondanit) per entrare in una
relazione pi profonda con esso.
Il mondo non qualcosa che si lascia. Ovunque si vada lo si porta con s. Lopus Dei, non uno
spazio che noi circoscriviamo, che consacriamo per Dio, ma il risultato di una convocazione di Dio
stesso per inaugurare non fuori dal mondo, ma nel mondo, nello spazio secolare, una relazione che
certo ne contesta alcune dinamiche, ma ne sposa pienamente la storicit e la fragilit e ne fa il teatro
della venuta del Regno di Dio.
Mi sono riferito al monachesimo in apertura perch esso non pretende di essere niente altro se
non un paradigma della vita cristiana una versione cio nella quale gli equilibri che ho appena
abbozzato si stagliano pi marcatamente e per questo possono essere colti con pi chiarezza.
Riflettere sulla relazione tra liturgia e secolarit, ossia tra la forma che assume la relazione
comunitaria dei cristiani con Dio e la loro appartenenza ad una societ pluralista, di fondamentale
importanza nel quadro della riflessione sul rapporto del cristianesimo con le altre religioni. Tale
riflessione permette infatti di percepire fino a che punto lo spazio secolare, lungi dallessere un
ostacolo per il cristianesimo, ne uno dei frutti che forse stato tra i pi tardivi a maturare, forse
stato uno dei pi sofferti, ma proprio per questo n anche uno dei pi rappresentativi.
In questa riflessione dunque cominceremo con una breve chiarificazione riguardo a cosa
intenderemo per secolarit, poi cercheremo di indicarne uno dei fondamenti teologici pi importanti
e infine vedremo come la liturgia pur essendone una sorta di trasgressione, anzi proprio perch n

1 Conferenza del 20 gennaio 2016 in dialogo con il rabbino Yuval Cherlow della Bar Ilan University (Gerusalemme) al
Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici, Pontificia Universit Gregoriana (Roma), nel quadro del ciclo di conferenze
In memoria e celebrazione: 50 anni con Nostra Aetate.
1
una sorta di trasgressione, ne onora profondamente i presupposti e ne protegge lintegrit. In una
parola, difenderemo lidea che una liturgia autentica promuove una secolarit pi libera e pi
solidale.

Secolarit programmatica e secolarit procedurale

Nel suo discorso del 23 novembre 2006 allAccademia Pontificale delle Scienze Sociali su
Secolarismo, fede e libert, lallora Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams stabil una
distinzione luminosa tra un secolarismo programmatico ed un secolarismo procedurale2.
Il secolarismo programmatico d per scontato che qualunque sistema religioso o ideologico che
faccia udire la propria voce nella sfera pubblica ambisca ad imporre il proprio punto di vista;
considera che ogni opinione riguardo al bene delle persone che vada oltre la sicurezza materiale ed
una relativa stabilit sociale sia da relegare alla sfera privata; d infine per scontato che lespressione
pubblica di convinzioni religiose o ideologiche sia potenzialmente offensiva.
Con il secolarismo procedurale invece il presupposto quello di una societ liberale consapevole
di non possedere le risorse per produrre e sostenere la coesione sociale indipendentemente dalle
convinzioni morali e spirituali dei propri membri e che quindi sollecita attivamente lespressione
pubblica di tali convinzioni. Questa forma di secolarismo considera che possibile e anzi necessario
promuovere un confronto leale ed aperto riguardo al bene comune al quale tutti hanno il diritto e il
dovere di contribuire, nel quale tutti hanno il diritto di essere ascoltati e il dovere di ascoltare. Le
differenze non sono sminuite, non sono considerate come potenzialmente pericolose, ma sono
protette e nello stesso tempo educate e quando necessario moderate secondo le logiche di una
societ pluralista. Tale atteggiamento resta secolare perch non attribuisce a nessuna di queste
convinzioni un ruolo privilegiato; lascia che un consenso emerga grazie ad un confronto robusto e
magari non sempre agevole, ma che rispecchi effettivamente le energie morali che compongono ed
animano il tessuto sociale.
Rowan Williams giustamente nota quanto questa seconda forma di secolarismo che egli chiama
procedurale sia nata proprio quando il cristianesimo apparso nella sfera pubblica nellimpero
Romano ed ha contestato il potere assoluto dello Stato nella sfera delle convinzioni religiose e morali
dei propri cittadini: i cristiani reclamarono allora dei limiti alla loro sottomissione allo Stato, non
perch non avessero a cuore il bene comune, ma come espressione di una lealt pi profonda verso
quello che in coscienza credevano essere il bene autentico della societ di cui facevano parte. Non si
pu tuttavia rivendicare per s tale libert religiosa senza riconoscerla anche alle altre religioni e alle
altre convinzioni morali o spirituali non religiose o agnostiche.

2 Rowan Williams. "Secularism, Faith and Freedom," The Archbishop of Canterbury (23 November 2006), http://www.
archbishopofcanterbury. org/654 (Accesso 19 gennaio 2016).
2
Questa nozione di secolarit e di libert religiosa presupposta nellauspicio di Nostra Aetate3
che il pluralismo (religioso in questo caso) non sia un ostacolo alla convivenza pacifica,
allarricchimento reciproco e al contributo nelledificazione della societ civile:

I vari popoli costituiscono una sola comunit.

Nel suo dovere di promuovere l'unit e la carit tra gli uomini, ed anzi tra i popoli,
[la Chiesa] esamina tutto ci che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere
insieme il loro comune destino.

La Chiesa perci esorta i suoi figli affinch, con prudenza e carit, per mezzo del
dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo
testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano
progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi.

Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e
uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ci che riguarda la dignit umana e i
diritti che ne promanano.

Tra i fondamenti teologici di questo legame di causa ed effetto tra cristianesimo e secolarit vorrei
sottolinearne soprattutto uno legato al carattere storico ed escatologico della rivelazione. In questo
ambito, trovo particolarmente feconda la prospettiva offerta da Pannenberg4 il quale considera il
pluralismo, la libert religiosa e la legittimit di uno spazio comune secolare come una conseguenza
della seriet con la quale Dio prende la storia e conseguentemente della seriet con la quale siamo
invitati anche noi a sposarne la progressivit e le complessit.
Lo Yahvismo pu essere espresso come lesperienza di un Dio che prende la storia sul serio:
lapparente rifiuto di Yahv di dare il suo nome quando risponde a Mos Sono colui che sono5
rimanda in realt al solo modo nel quale possibile conoscerlo realmente, vale a dire nel quadro di
una relazione che si dispiega nel tempo; cos Sono colui che sono6 vuol dire Sono colui che agisce
come agisce, Sono colui la cui identit si manifesta nel suo agire: solo vivendo concretamente e
fino in fondo una storia con Dio impariamo realmente a conoscerlo (principio del resto valido anche
per le relazioni umane). E di fatto Yahv prima stabilisce la relazione, cio l'alleanza ed entra nella
nostra storia prendendoci l dove siamo; poi ci conduce nel deserto per parlare al nostro cuore7 e solo

3 Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane Nostra Aetate,
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decl_19651028_nostra-
aetate_it.html (Accesso 19 gennaio 2016).
4 Wolfhart Pannenberg, "Tesi Dogmatiche Sulla Dottrina Della Rivelazione,", Rivelazione Come Storia, Trad. Bonifacio
Giacomo Baroffio, EDB, Bologna 1969, 161-95.
5 Es 3,14.
6 Es 3,14.
7 Os 2,14.
3
nella dinamica di questa hesed, di questo amore, di questa pazienza, portando il peso della nostra
lentezza e della nostra resistenza a lui, ci introduce, per mezzo del suo Spirito, nella verit tutta
intera8.
Se tale maniera di agire presentata dalla Scrittura come il nome stesso di Dio, Yahweh, perch
prendere la storia e la nostra umanit sul serio non semplicemente lespressione della
condiscendenza di Dio, ma appartiene alla sua identit. A maggior ragione dunque tale relazione con
la storia struttura lidentit del suo popolo, della sua Chiesa.
Questa verit di fede ha delle conseguenze importanti rispetto allevidenza con la quale il
messaggio evangelico si diffonde nel mondo e conseguentemente rispetto al rapporto dei cristiani
nei confronti di tutti gli altri interlocutori nello spazio secolare, siano essi le altre religioni o chiunque
abbia diverse o anche opposte convinzioni morali e spirituali.
La Rivelazione intesa in questo senso infatti non pu essere separata dai fatti storici attraverso i
quali essa si dispiega. La sua evidenza appare solo nella misura nella quale essa effettivamente
mediata attraverso i fatti storici. Ci comporta tre conseguenze: (1) fatti e interpretazione non
possono essere separati: il senso dell'evento intrinseco all'evento stesso solo vivendo
concretamente l'evento, sperimentandolo, fino in fondo, capisco quello che l'evento significa; (2) la
rivelazione completa solo quando l'evento o la serie di eventi storici si sono svolti fino alla fine,
completamente; (3) non possibile stabilire distinzioni negli eventi storici concreti tra una "storia
della salvezza" e una "storia universale": c' una sola storia, perch c' un solo Dio.
La rivelazione dunque non viene mediata solo attraverso parole o proposizioni (anche se queste
fanno parte degli eventi), ma va sperimentata storicamente vivendo l'evento fino alla fine. E siccome
c' una sola storia e che il vero senso di un evento svelato dagli eventi successivi, solo alla fine
della storia universale che la rivelazione sar completa, che si avr accesso al significato completo
degli eventi salvifici; insomma levidenza della rivelazione escatologica.
Quindi nel tempo presente c' spazio per diversit di opinioni, per interpretazioni provvisorie,
non perch non esista un senso oggettivo e unico dell'evento, ma perch, a causa della nostra
storicit, avremo accesso a questo senso profondo dell'evento solo alla fine della storia.
Questo spiega perch la secolarit (nel senso procedurale evocato pi in alto) risulti come
conseguenza della natura stessa della fede cristiana. Ecco perch, pur proclamando gioiosamente e
fiduciosamente la propria speranza, il cristiano non turbato dalla non-evidenza del proprio credo
e accetta che esso debba confrontarsi con altre interpretazioni e di doverne rendere ragione. Nessuna
di queste interpretazioni, compresa quella cristiana, pu pretendere di imporsi sulle altre perch tale
evidenza non ancora emersa; non vi differenza, sotto questo punto di vista, tra tra la pretesa del
cristianesimo e quella dell'Islam di essere la rivelazione del vero Dio; in tutti questi casi,

8 Gv 16,13.
4
cristianesimo compreso, la conferma non pu essere cercata in una rivelazione diretta preliminare,
ma solo alla fine dei tempi quando gli eventi avranno completamente dispiegato il loro senso.
Certo, in Ges abbiamo la pienezza della rivelazione; non si tratta di negare che egli la verit e
che abbiamo ricevuto da lui lo Spirito che ci introduce in questa verit. Ma proprio perch la verit
prima di tutto una persona, Cristo, ed una relazione, lo Spirito Santo, essa si manifesta solo
attraverso il dispiegamento di questa stessa relazione e sar piena solo quando Dio sar tutto in
tutti.9 Insomma, il cristiano e dimora esposto come ogni altra persona alla non-evidenza di Dio.
Ges disse a Tommaso: Perch mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e
hanno creduto!10: il non-vedere, la non-evidenza sono alla base della beatitudine della fede, fanno
parte della povert in spirito del credente.
Sulla base di queste premesse si percepisce meglio quanto articolare correttamente spazio
liturgico e spazio secolare sia unoperazione delicata. Non possibile infatti ridurre tale relazione ad
una opposizione tra sacro e profano, tra luogo nel quale la presenza di Dio sarebbe evidente e luogo
nel quale non lo sarebbe, dando del resto per scontato che il sacro sia la categoria adeguata per
esprimere quanto avviene nellesperienza liturgica. Lo spazio che chiamiamo secolare non profano
ma risulta direttamente dalla condiscendenza, dalla misericordia, dalla pazienza, dalla relazione
attraverso le quali Yahv entra nella storia; insomma lo spazio che chiamiamo secolare uno dei
modi della presenza di Dio. E se vi un carattere di questa presenza che spazio secolare e spazio
liturgico condividono proprio quello della sua non-evidenza.

Ateismo e paganesimo

Qui abbiamo bisogno di fare una piccola parentesi per prendere coscienza del vantaggio di riferirsi
non vagamente allesperienza di fede ma specificatamente alla celebrazione liturgica per cogliere la
relazione tra cristianesimo e societ secolarizzata.
Siamo certamente tutti profondamente debitori nei confronti della svolta antropologica
Rahneriana e del suo tentativo di superare lestrinsecismo di matrice scolastica. Sfidando
lantropologia sul suo stesso terreno, egli ha affermato lesistenza di una dimensione trascendentale
dellesperienza che costituisce un confronto pre-tematico con lAssoluto (Dio) mostrando cos come
nellagire delluomo, nella sua coscienza e nel suo pensiero, Dio si mostrasse in modo non antitetico11.
La riflessione liturgica tuttavia trova tale approccio troppo astratto perch non stato in grado di
integrare una riflessione sul corpo, e quindi sul luogo, non riuscendo cos adeguatamente a rendere
conto della complessit delluomo e della sua struttura mediata e quindi dellesperienza liturgica.12

9 1 Co 15,28.
10 Gv 20,29.
11 Cf. Karl Rahner, Uditori Della Parola, Borla, Roma 2006.
12 Cf. Andrea Grillo, Il rinnovamento liturgico tra prima e seconda svolta antropologica: il presupposto rituale
nell'epoca del postmoderno, Roma 2004, 37.
5
E stata cos auspicata in ambito liturgico una seconda svolta antropologica basata sulla
consapevolezza sempre pi sentita di una forma di dipendenza del pensiero dal linguaggio, della
esperienza dalla espressione.13 Ci esige che si recuperi il valore dellesteriorit in un percorso
interiore, esperienziale14, che si affermi la corporeit della fede, che si accetti di percorrere la via
lunga della fenomenologia del sacro e della antropologia del rito per superare lestrinsecismo.15
Il vantaggio dunque di riferirsi alla celebrazione liturgica per cogliere la relazione tra
cristianesimo e societ secolarizzata quello di dover tener conto del corpo e quindi di dover
prendere sul serio il suo condizionamento locale e storico specialmente sotto la forma dellateismo e
del paganesimo. Per tratteggiare questo condizionamento mi ispirer ampiamente (seppur dovendo
semplificarlo notevolmente) al pensiero del fenomenologo e teologo francese J. Y. Lacoste.16
Se riconosco che il corpo mi definisce tanto quanto gli altri aspetti di quello che sono, allora la
domanda chi sono inseparabile da unaltra: dove sono, in che rapporto sono rispetto a quello
che mi circonda. Ora, da un punto di vista trascendentale, ci scopriamo, prendiamo coscienza di noi
stessi allinterno di un mondo, cio di un orizzonte che sfugge ad ogni presa, ad ogni misura, che
lintrascendibile per eccellenza. Nei confronti del luogo percepito come mondo abbiamo una
relazione che, tra altri aspetti che tralascio (inerenza e apertura), caratterizzato Heidegerianamente
da una relazione di estraneit (Umzuhause, Unheimlichkeit) e provvisoriet (morte e angoscia).
Apparteniamo al mondo, ma il mondo non ci appartiene e non concorriamo alla sua costituzione;
possiamo solo piegarci al suo dominio vi siamo messi a confino come su una terra straniera
(apatridi), vi siamo gettati, Dasein (gettati-l), in esso siamo provvisori, biologicamente siamo
assemblati e dis-assemblati in particelle elementari; come capacit di misurarci a questo orizzonte,
cesseremo di esistere, moriremo. Questo mondo senza Dio. Noi, Gettati-l (Dasein), siamo senza
Dio nel mondo. Vale a dire che rispetto al luogo percepito come mondo siamo esposti fatalmente alla
non-evidenza di Dio e allangoscia.
Sempre dal punto di vista trascendentale tuttavia il luogo si offre a noi non solo come mondo ma
anche come terra, cio, secondo lHeidegger pi tardivo (nella ricostruzione di J.Y. Lacoste), ci
appare come spazio da abitare ed in cui edificare e costruire, come spazio di gestazione e di crescita
secondo 4 coordinate: terra, cielo, mortali, dei. Tutto ci che vuole crescere (luomo) ha bisogno della
protezione di una terra che lo porti e di aprirsi al cielo. Cos alla logica di una esistenza secolare si
sostituisce quella di un commercio delluomo con il sacro e allangoscia pu succedere la serenit.
Resta lorizzonte della morte, resta la finitezza, ma queste cessano di essere tragiche e la relazione
con il luogo pu produrre una felicit di esistere; la serenit garantita dalla prossimit con gli dei,

13 Grillo 28.
14 Grillo 97.
15 Grillo 36.
16 Cf. J. Y. Lacoste, Esperienza e assoluto, Cittadella, Assisi 1994. Il seguito di questa sezione si ispira largamente a questa
monografia.
6
cio dalla gestione di un sacro che permette, in un certo senso, di addomesticare il mondo, di
appropriarselo come terra, di abitarlo.
Questi dei, questo sacro non sono Dio. Dio assente tanto nellateismo del mondo, quanto nel
paganesimo della terra; questultimo rappresenta solo il nostro tentativo di addomesticare le forze
oscure del mondo personificandole e instaurando una relazione sacrificale con esse. Da un punto di
vista trascendentale (e questa la cosa importante), siamo prigionieri di un circolo tra ateismo e
paganesimo esistenziali.
Infatti anche nella relazione al luogo come terra, non scompare mai del tutto la relazione al luogo
come mondo: il luogo pu investirci come mondo o come terra; vi certo una contraddizione tra
mondo e terra, ma entrambi restano possibilit attraverso le quali il luogo ci investe, modi di
sperimentare il nostro rapporto ad esso. Per questa ragione quindi continuiamo ad oscillare tra
ateismo e paganesimo, tra angoscia e serenit, tra non evidenza di Dio e tentativo di addomesticare
gli dei.
Laspetto pi suggestivo di questa analisi che fa dellateismo e del paganesimo aspetti
trascendentali, cio a-priori, ineliminabili, della nostra possibilit di accesso a qualsiasi altra
esperienza, non solo nello spazio secolare ma anche in quello liturgico. Abbiamo cos uno strumento
per valutare da una parte la continuit tra questi due spazi, ci che essi hanno in comune, e daltra
parte per cogliere meglio in cosa risieda la trasgressione eventuale della liturgia rispetto a tali
condizionamenti e ci che la renda possibile.

Lo spazio liturgico

Nella liturgia ci troviamo in uno spazio che pur non sottraendoci completamente allateismo del
mondo e al paganesimo della terra, ci fa gi sperimentare qualcosa della emancipazione escatologica
rispetto a questi condizionamenti.
Quando nellanamnesi proclamiamo Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua
resurrezione, nellattesa della tua venuta riconosciamo di essere definiti da quello che ci successo
(mistero pasquale, battesimo) e da quello che ci aspetta (glorificazione con il ritorno di Cristo e la
nostra resurrezione) e ne siamo sicuri perch queste cose ci sono promesse da colui che fedele.
Prima di essere costituito dalla nostra presenza, il tempo liturgico reso possibile dalla presenza di
Dio (una presenza che Lacoste chiama pi che simbolica cio reale ma escatologica).
Le dinamiche che caratterizzano il nostro rapporto al mondo e alla terra (cio la non evidenza di
Dio e la nostra modalit sacrale) pur restando presenti non fanno pi ostacolo alla relazione con Dio
poich ci che ci chiesto semplicemente di rispondere alla sua presenza riconoscendola e
unendoci ad essa attraverso la lode, lazione di grazie, leucaristia.
Per lo spazio di un intervallo invece di pre-occuparmi di me (qui occorrerebbe sviluppare la
relazione al tempo che per questioni di brevit possiamo solo menzionare brevemente) mi occupo di
Dio; la preoccupazione sospesa in favore di unabitazione serena e pacifica del presente, del sedersi
7
ai piedi di Ges. La scelta di vacare Deo resa possibile dalla fede: credo che Dio si occupa di me e
questo atto da fede mi dona la libert di occuparmi di lui, sospendendo per un intervallo di tempo
questa logica dellanticipazione, della preoccupazione, dellaffanno.17
Le ipoteche del mondo e della terra, la preoccupazione non cessano di regnare sullesperienza, ma
almeno sono spogliati della loro ossessivit, sono relativizzati (Marta, Marta). La liturgia non la
parusia, non la presenza definitiva, evidente di Dio; ma gi come presenza pre-escatologica (reale
e non solo simbolica) di Dio ha la propriet di neutralizzare tutto quello che tiene luomo lontano
dalla parusia. Il tempo liturgico un presente che, perch investito dalla presenza di Dio, saturo di
senso, permette gi di godere di una presenza. Le rivendicazioni escatologiche di Dio si sostituiscono
alle rivendicazioni storiche del mondo, permettendo una certa relativizzazione del nostro essere nel
mondo che non sia un divertimento. Scegliendo di liberarmi per (occuparmi solo di) Dio, malgrado
la sua non urgenza (Dio pu aspettare) e la sua non evidenza (mentre le cose da fare sono evidenti),
sconvolgo la preoccupazione (jaffole le souci), ma cos facendo rivendico la mia libert e la mia
vera umanit, la mia vera identit, il mio io liturgico.
Questo io liturgico un io empirico che in una relazione reale con Dio, ma resta in balia delle
determinazioni locali di mondo, terra e storia, in virt delle quali Dio non basta, in un mondo che
sempre si interpone tra esso e Dio. Ma gi un io escatologico, gi realmente inserito in una relazione
(reale anche se manifestata simbolicamente o sacramentalmente) con Dio che basta per definire
luomo e a farlo vivere. Ma soprattutto, lio escatologico pienamente autorizzato ad interpretare lio
empirico, non solamente come una possibilit, ma come una realt gi inaugurata, gi presente
(anche se ancora in attesa di compimento).

Liturgia e storia

Riguardo alla relazione tra celebrazione liturgica e spazio secolare dunque lanalisi condotta
finora ci ha permesso di verificare che esiste una reale continuit (entrambi sono esposti alla stessa
non-evidenza di Dio e devono fare i conti con gli stessi istinti pagani), e che la distinzione tra di essi
non va cercata nellopposizione tra sacro e profano, ma nel riconoscimento che in questo spazio
aperto dalla presenza pi che simbolica di Dio vi abbastanza perch sia possibile per un tempo di
sottrarsi alla preoccupazione del mondo per occuparsi di Dio e, si pu sperare, permettere al suo
Regno di avvenire un po di pi.
A questo riguardo, una immagine semplice ma molto suggestiva, esprime bene credo quanto
modesto e al tempo stesso quanto proprio per questo efficace possa essere linterazione tra spazio
liturgico e spazio secolare.
Sappiamo che concretamente nello spazio liturgico il signore e il servo (per prendere in prestito
da Hegel una delle figure pi emblematiche della sua dialettica della storia) si ritrovano a pregare

17 Cf. Mt 6, 25-34.
8
insieme. I loro rispettivi ruoli nella storia e nella societ con tutta la problematicit e la violenza che
li caratterizzano non sono magicamente annullati. La liturgia per permette una sospensione delle
dialettiche che fanno la storia: colui che prega (e resta) padrone o servitore, ma per il fatto stesso
di pregare insieme la loro relazione cessa di essere la dialettica che conosciamo o diventa una
versione pi complessa di questa dialettica. Nella celebrazione liturgica, pur solo durante un
intervallo, sono simboleggiate e si verificano una pace e una fraternit che dal punto di vista della
storia dialettica appartengono allutopia o allescatologia.
E poich chi si sa convocato dalla presenza di Dio nello spazio liturgico consapevole del fatto che
in esso si manifesta lidentit pi autentica delluomo, tale partecipazione liturgica non lascer
intatte la violenza e lingiustizia della storia, e pi generalmente la partecipazione alla vita della citt.
Grazie alla celebrazione liturgica la pace escatologica non u-topica (senza luogo), ma ha gi qui
ed ora un luogo anche se provvisorio e fragile.
Cos capiamo meglio in che senso la logica della celebrazione liturgica sia pi che simbolica:
essa fa apparire la vera identit delluomo; anche se solo transitoriamente padrone e schiavo
appaiono come saranno alla fine: uguali, fratelli, sullo stesso livello. Cos la logica liturgica impedisce
che la violenza sola pretenda di governare il mondo, domini la sfera secolare.
Non solo teoricamente, ma pi che simbolicamente, dunque, la logica liturgica presuppone e
rinvia al compimento del proprio dovere morale nella storia e diventa ci che ci permette di scoprire
le responsabilit che pesano su di noi. Mai le esigenze del mondo e della storia si fanno sentire con
pi acuit di quando tentiamo di sfuggire al loro dominio. Aprendo una parentesi nella logica del
mondo (terra e storia), lesperienza liturgica ci rivela la nostra distanza esatta dalleschaton, da come
le cose dovrebbero essere. Dis-togliendoci (diverso da dis-traendoci) per un momento dal mondo,
ci permette di ritornare ad esso pi responsabili. Ritroviamo il principio con il quale avevamo
inaugurato questa riflessione: la liturgia ci fa prendere una certa distanza dal mondo per permetterci
di entrare in un rapporto pi autentico e pi profondo con esso.
Certo, molti, se non la maggioranza nella sfera secolare delle nostre societ contesterebbero
questa analisi e affermerebbero linutilit della liturgia. Essa caratterizzata da una presa di distanza
rispetto alla logica del fare, del produrre (Marta, Marta.!), in nome di una urgenza pi grande,
quella della relazione con Dio: Maria ha scelto la parte migliore, essere seduta ai piedi del Signore,
che Marta stessa trova se non inutile, come minimo pigra.
Lacoste ricorre suggestivamente al paradigma della veglia per capire il senso di questa inutilit,
di questa inoperosit: nella veglia luomo prende del tempo per fare attenzione a Dio e per attendere
Dio, ma lo fa spendendo per Dio del tempo che potrebbe dedicare al sonno e soprattutto lo fa dopo
aver onorato i suoi doveri etici (perch non ruba il tempo al giorno, ma alla notte) nello spazio
secolare.
Nella veglia dimostriamo di non essere prigionieri della vita, cio della nostra biologia o
piuttosto di non esserlo completamente. La veglia una forma di protesta dellesistenza nei confronti
9
della vita: lanimale pu restare sveglio per la ricerca del cibo o per paura (per soprav-vivere, questa
la vita); solo luomo capace di vegliare, cio di scegliere di restare sveglio per fare attenzione a
Dio, per attendere Dio (per esistere di pi, questa lesistenza).
Nella veglia e per estensione nella celebrazione liturgica in generale- scegliamo di esistere un
po pi a lungo, un tempo vinto sulla non-libert biologica, sulla non-coscienza del sonno, una
pura affermazione della nostra libert.

Conclusione

La prospettiva che abbiamo abbozzato dunque con laiuto di Pannenberg, Grillo e Lacoste evita la
tentazione estrinsecista nella relazione tra spazio liturgico e spazio secolare e tenta di cogliere la
continuit che esiste tra i due a partire da una parte nellunica azione di Dio nella storia e nel suo
carattere escatologico; dallaltra nel carattere mediato attraverso il quale tale azione salvifica ci
raggiunge e che prende sul serio non solo la storia, ma anche la nostra corporeit con le sue
determinazioni legate al mondo e alla terra.
Anche cristiani, anche credenti, abbiamo molto pi in comune con ogni altra persona, a qualsiasi
religione essa appartenga, quali che siano le sue convinzioni spirituali o morali, di quanto potrebbe
distinguerci da essa. Con ogni altra persona abbiamo soprattutto in comune il fatto di essere
ugualmente esposti alla non evidenza di Dio.
Lo spazio secolare allora non solo non un male minore, ma corrisponde in qualche modo allo
spazio liturgico come luogo ineliminabile e parallelo di una certa presenza di Dio, di una certa azione
di Dio nella storia. Tale presenza e tale azione restano per noi misteriose e lumilt nel
riconoscimento di questo mistero deve continuare ad ispirarci leale rispetto nel dialogo e nellascolto
reciproco, fino alla fine della storia, fino a quando non apparir il senso finale degli eventi, non come
il risultato finale e cumulativo delle nostre interpretazioni, ma perch lAgnello allora finalmente
prender il libro e ne aprir i sigilli.18

18 Ap 5,9.
10

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