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DIARIO DELLA VITA MILITARE E DEL PERIODO DI GUERRA

DELLALPINO MOCELLIN DOMENICO

2 APRILE 1939 - 1 GIORNO

Il 2 aprile 1939 fu il primo giorno di chiamata alle armi per adempiere il mio dovere
di soldato Italiano.
Mi presentai a Vicenza; era un giorno di festa, la Domenica delle Palme, ed il mio
desiderio sarebbe stato di trascorrerlo a casa in compagnia dei miei familiari e degli amici
pi cari.
Fui destinato al Corpo degli Alpini e, con lorgoglio di un baldo Alpino, scrissi a casa
Sono un Alpino del Battaglione Bassano.
Lo stesso giorno ci trasferirono al Centro di Mobilitazione di Bassano del Grappa
dove trovammo gli anziani che ci aspettavano con ansia e cos, fra un salto a questo ed
uno a quello, cominci la cosiddetta naia.

1 PERIODO DA RECLUTA

Bassano del Grappa


La prima notte, dentro un capannone, su un giaciglio di paglia, cercai di dormire
senza riuscirvi.
Alle ore 6.00 del 3 aprile fu data la sveglia e dopo fummo inquadrati in cortile dove
ci distribuirono le uniformi.
Prima di indossarla per fummo costretti a passare sotto le forbici del barbiere dove
rimasero i miei capelli, che io curavo non senza un p di vanit; e cos, dopo un buon
bagno, mi ritrovai vestito da Alpino.
Ora non ricordo bene, ma in quel giorno a me sembrava di aver incominciato
unaltra vita e fu proprio cos. Gli anziani infatti, prendendoci in giro, ce lo dissero ora
non dovete pi pensare alla ragazza, bens alla ramazza, alla guardia, al piantone e alle
marce; tutto questo a noi metteva paura.
Nel pomeriggio di quello stesso giorno fummo assegnati alle varie Compagnie ed io
capitai alla 62; in un primo momento non fui contento in quanto mi fu detto che la 62
doveva andare in distaccamento, invece non fu cos perch rimanemmo a Bassano nei
successivi 15 giorni e ci mi permise la sera di andare a casa in permesso.
Il marted 4 aprile cominciarono le istruzioni e laddestramento; io mi sentivo pieno
di tristezza e malinconia, mi sembrava di essere abbandonato in un mondo sconosciuto.
Il sabato 8 aprile mi concessero il permesso di passare la Santa Pasqua in famiglia.
Quando fui a casa il primo impulso fu di mettermi in borghese, ma poi subito rinunciai per
via dei capelli rasati. Indossando la divisa, infatti, ero costretto a tenere il cappello in testa.
Ricordo bene quel giorno di pace, tutto sembrava bello intorno a me, eppure io mi
sentivo triste e non riuscivo a distogliere il pensiero che il giorno dopo avrei dovuto
presentarmi in caserma.
A Bassano rimanemmo tutta la settimana, ma il sabato 15 partimmo per Villabassa,
nostra nuova destinazione; passammo per il mio paese (un paesino della Valsugana:
Primolano) e potrete ben capire il mio desiderio di fermarmi, invece proseguii con il mio
contingente.
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Il viaggio non fu malvagio, anzi, erano tutte localit che gia conoscevo ma, quando
imboccammo la Val Pusteria, la vista delle cime ricoperte di neve mi fece pensare che il
nostro destino era quello di percorrerle anche dinverno con la neve.
Villabassa
La stazione di Villabassa brulicava di alpini in ordine sparso e di plotoni inquadrati
che marciavano, mentre i sottufficiali gridavano gli ordini.
Spaesati e pieni di paura scendemmo dal treno, fummo inquadrati e subito portati in
caserma dove trovammo altre reclute ed altri anziani che per il momento sembravano
ben disposti verso i nuovi arrivati.
In un primo momento, mentre assegnavano a ciascuno la propria branda, gli
anziani ci lasciarono tranquilli, ma in seguito si rifecero ampiamente tanto che la notte
pass senza quasi poter dormire.
Il giorno successivo, domenica 16 aprile, dopo la messa ci ordinarono la pulizia del
fucile e poi ci condussero al rancio, ma guai a quella recluta che durante il pasto si
metteva a sedere. Con queste aspettative passammo anche la sera ed i giorni successivi.
Il 17 di aprile ci sottoposero alla prima iniezione al petto, dopo due giorni alla
seconda e successivamente alla terza; provocavano gonfiore e in qualche soggetto anche
la febbre, ma non ci fecero male.
Nei giorni a seguire proseguirono le istruzioni e le esercitazioni e, il giorno 26 aprile,
la prima marcia in montagna; essendo la prima volta ci risparmiarono lo zaino
affardellato per cui si indossava soltanto lo zainetto tattico; la marcia non fu tanto lunga,
ma abbastanza faticosa.
Sulla sommit osservammo unora di sosta, durante la quale passarono a poca
distanza da noi dei caprioli inseguiti da cani. Alcuni alpini lanciarono le loro baionette per
colpire queste povere bestiole; ne nacque una gran confusione tanto che alla fine due
rimasero uccisi.
Il comandante della Compagnia intervenne subito, fece ladunata e ci fece rientrare
immediatamente, lasciando nascoste le due bestie uccise perch si trattava di due
femmine per cui, se scoperti, i responsabili ed il comandante stesso avrebbero passato dei
guai.
In seguito a quella marcia ne facemmo delle altre, poi ci furono le esercitazioni di
tiro e venne il 9 di maggio, giorno del giuramento a Brunico, dove trovai alcuni miei
paesani.
La prima notte dopo il giuramento, sorvegliati dagli alpini anziani, fummo costretti
a coricarci con il fucile dentro la branda, per cui la mattina seguente mi svegliai tutto
ammaccato, abbracciato al fucile.
Ormai, agli scherzi degli anziani eravamo abituati, quello invece che ci rendeva
sgomenti e impauriti erano tutti quei mesi di naia ancora da fare; il primo era gia
trascorso, ma ne restavano altri diciassette.
Il secondo ed il terzo mese passarono fra istruzioni, esercitazioni, marce e tiri;
venne cos la partenza per il campo estivo (3 luglio), ma io fui trattenuto con tutta la mia
squadra per garantire i turni di guardia alla polveriera, che si trovava nelle vicinanze di
Villabassa.
Presso la polveriera non si facevano istruzioni, marce, turni di guardia, come a
Villabassa, ma tutto era pi noioso, le ore non passavano mai.
Il giorno 4 agosto ricevemmo il cambio alla polveriera e lo stesso giorno
raggiungemmo la nostra Compagnia al campo estivo di Campo Tures dove rimanemmo
tutto il mese di agosto.

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Intanto nubi minacciose si addensavano sul cielo della politica Italiana avvalorate
dal fatto che proprio ai primi di settembre cominciarono a giungere i primi richiamati; il 12
settembre arriv anche mio fratello Gino, proprio nella mia stessa caserma.
Io mi sentivo da una parte dispiaciuto per il suo richiamo e daltra parte ero pure
contento che egli fosse stato assegnato a Villabassa, almeno nelle ore di libert potevamo
essere vicini luno allaltro.
Verso la fine di settembre le voci che circolavano erano che si doveva partire al pi
presto, non era conosciuta la destinazione e tutti noi eravamo allerta; poi tutto si spense e
cos continuammo la solita vita di caserma fino alla fine di ottobre.

Brunico/Vipiteno
Il 27 di ottobre mi destinarono al Quartiere Generale di Brunico; da una parte ero
contento perch le istruzioni erano terminate, dallaltro ero un po dispiaciuto perch
lasciavo i compagni del primo periodo di vita militare. Quando partii nevicava alla grande,
in poco tempo il manto nevoso raggiunse i 30/40 centimetri di neve.
A Brunico rimasi otto giorni, fino al 4 novembre; la mia nuova destinazione fu
Vipiteno, aggregato al 33 Reparto Salmerie.
Trascorsi a Vipiteno un periodo abbastanza monotono, addetto per lo pi ai vari
servizi: guardia, servizio mensa, ramazza, addetto ai muli, ecc., qualche libera uscita e
niente pi.
La settimana prima di Natale la vita in caserma cominci ad elettrizzarsi, si
approssimava la licenza e anchio fui tra quelli del 1 scaglione.
La partenza avvenne il 23 dicembre e si trattava di una licenza breve (3+2), ma
tanta era la mia felicit di tornare a casa che la notte precedente non riuscii a dormire.
Purtroppo, quei pochi giorni passarono in un baleno e cos il 28 dicembre,
malinconico e triste, tornai a Vipiteno.

ANNO 1940

Il 26 gennaio partimmo per il campo invernale della durata di 15 giorni; nei primi
giorni le marce non furono particolarmente faticose, ma successivamente si fecero molto
pi pesanti. Durante queste escursioni passammo per il Brennero, per il passo di Giovo,
attraversammo il monte Cavallo e altre localit, tutte per abbondantemente innevate.
Al settimo giorno di marcia, eravamo a Colle Isarco, mi sentii male e subito accorse
il tenente medico, il quale mi fece trasportare presso linfermeria di Vipiteno, distante circa
10 chilometri, a dorso di mulo.
Si trattava di un attacco di appendicite e cos rimasi un periodo a riposo presso
linfermeria. Successivamente venni inviato, era il 26 febbraio, presso lospedale di
Bolzano per essere operato.
Mi operarono il 12 di marzo e durante i primi giorni dopo loperazione provavo dei
dolori atroci allinguine, che poco alla volta passarono. Allospedale trascorsi anche il
periodo della Santa Pasqua e fui dimesso il 25 di marzo.
Mi presentai alla mia Compagnia con la prescrizione medica di 40 giorni di
convalescenza, per cui il giorno successivo partii, con la gioia nel cuore, per la licenza di
convalescenza.
Durante questo periodo passato a casa la caserma e la naia mi sembravano
lontani, ma senza che me ne accorgessi, venne il 5 di maggio, giorno del rientro.

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In mezzo ai miei compagni la tristezza del rientro pass ben presto ed i giorni
ripresero a trascorrere monotoni fra un servizio e laltro.

FRONTE FRANCESE (1^ campagna di guerra)

Alla fine di maggio improvvisamente la vita in caserma si anim; le voci di corridoio


davano per certa una partenza imminente. Infatti ai primi di giugno ci armarono e ci
equipaggiarono di tutto punto ed il giorno 3 giugno partimmo per il confine Francese.
Viaggiammo tutto il giorno e, a notte inoltrata, arrivammo nel paese di Ormea. Scesi
dal treno si incominci subito una marcia di avvicinamento al confine.
Per qualche giorno ci limitammo a presidiare il tratto di confine che ci era stato
assegnato. Poi, improvvisamente, cominci la sparatoria fra i due fronti contrapposti (era il
giorno 10 giugno). Nei giorni successivi al mio Battaglione venne assegnato il presidio di
un tratto di confine presso Argentera e cos ci spostammo.
Qualche giorno pi tardi mi ammalai e fui ricoverato allospedale di Savigliano; dopo
tre giorni mi trasportarono allospedale di Alba dove rimasi venticinque giorni e pian piano
guarii.
Durante questo periodo mi annoiai tremendamente, avrei voluto andare in libera
uscita ma era revocata, non mi rimandavano alla mia Compagnia perch non sapevano di
preciso dove si trovava, in licenza neanche a parlarne.
Alla fine mi rispedirono al centro di mobilitazione di Bassano del Grappa per un
periodo di riposo di dieci giorni; io quei dieci giorni li passai tutti a casa.
Il 19 luglio raggiunsi il mio Battaglione in Piemonte, presso Chiusa di Pesio, l
ritrovai anche mio fratello, il quale dopo qualche giorno part per una licenza di dieci giorni.
In Piemonte rimanemmo ancora qualche tempo in attesa degli eventi e poi
facemmo ritorno a Brunico dove si ripresero le attivit di sempre e cio i vari servizi e
laddestramento.
Il 12 settembre passai alla 304^ Sessione Sanit sempre di stanza a Brunico;
vennero a trovarmi in quel periodo una delle mie sorelle con il marito e qualche tempo
dopo anche mia madre accompagnata da unaltra mia sorella.
Il primo ottobre partii con una licenza di 9 giorni (7+2), ma mi ripresentai con un
giorno di ritardo; temevo di essere punito, invece tutto and bene, nessuno parl di
punizioni.

FRONTE GRECO/ALBANESE (2^ campagna di guerra)

Al rientro non trovai novit di rilievo, ma qualche giorno dopo le voci di caserma
erano quelle che si doveva partire per la Grecia. Il 15 ottobre, infatti, alcuni Battaglioni
(compreso quello di mio fratello) partirono; noi invece partimmo il 29 ottobre.
Poco prima della partenza di Gino venne a trovarci nostro padre e cos passammo
alcune ore di libera uscita in sua compagnia; egli si sforzava di mostrarsi sereno e
tranquillo, ma io mi accorsi che soffriva per la nostra partenza. Lui sapeva meglio di noi
che cosa era la guerra, aveva combattuto durante la prima guerra mondiale e ne era
rimasto invalido.

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Noi invece, con la noncuranza della giovent, non ci si pensava e al pi si faceva
riferimento alle poche scaramucce e ai brevi disagi subiti durante il periodo del fronte
Francese.
Il giorno della partenza nevicava e faceva freddo; alla stazione di Brunico, prima di
salire sulla tradotta, il comandante fece inquadrare le varie compagnie e ci tenne un breve
discorso. In poche parole ci spieg che era giunto il momento di andare a combattere per
la grandezza della Patria.
La tradotta part e, per passare il tempo senza pensare a quello che ci aspettava,
mi concentrai sui paesaggi, quasi tutti, noti che si susseguivano. A Trento alcune mie
sorelle erano venute al treno per salutarmi.
Quando i paesaggi cominciarono ad essere meno noti, mi torn in mente il discorso
del comandante prima della partenza, a cui al momento non avevo badato molto e le sue
parole mi provocarono una grande tristezza per quella situazione tanto che, per non
pensarci, mi misi a bere.
Dopo tre giorni di viaggio arrivammo a Brindisi ed il giorno dopo la nostra
compagnia si imbarc con le altre e part verso la Grecia.
Io assieme ad altri, ero stato nel frattempo destinato alle salmerie; tutti fummo
aggregati al 33 Reparto Salmerie e rimanemmo in attesa di completare
lapprovvigionamento. Intanto eravamo sistemati provvisoriamente a Mesagne, una
localit vicina a Brindisi.

ANNO 1941

La nostra partenza avvenne la sera del 12 febbraio; ci imbarcammo a Brindisi ed il


giorno successivo arrivammo a Valona (Vlor), da dove proseguimmo subito a piedi verso
il fronte.
Il primo giorno marciammo fino al pomeriggio inoltrato e poi riprendemmo la marcia
verso sera e, da quel momento in poi, marciammo solo di notte. Sembrava che anche il
tempo fosse contro di noi, pioveva tutte le notti. Il 18 di febbraio eravamo gi al fronte,
naturalmente in montagna.
L in cima a quelle montagne, cosparse di sangue dellitaliana giovent, arrivai
anchio. La neve era tanta e continuava a nevicare. Noi, bagnati e con quel freddo, ci
riparammo dietro ai sassi per non essere individuati dal nemico.
Mi ritrovai dietro una roccia in compagnia di un mio amico, il quale dopo un po si
mise a piangere, pregandomi di chiamare il tenente medico perch si sentiva male. Lavrei
anche esaudito ma i colpi di mortaio che cadevano intorno a noi erano talmente numerosi
che mi sconsigliarono di correre rischi. Passato il primo momento di disperazione questo
mio amico si calm; pi tardi, nel cuore della notte, ci spostammo e andammo a dare il
cambio a quelli che si trovavano in postazione, nonch alle sentinelle e vedette, nei loro
posti strategici.
Il freddo era terribile e i nostri vestiti bagnati si ghiacciavano addosso e cos,
marciando sul posto e sfregandoci le mani, passammo la notte.
Il giorno successivo (19 febbraio) i Greci ci attaccarono, il combattimento non dur
molto, ma fu duro e sanguinoso con morti e feriti.
Il 20 febbraio nevicava ancora e il freddo si faceva sentire ancora di pi. Noi
eravamo in attesa che arrivasse qualcosa per rifocillarci (la spesa), prevista di solito verso
le nove del mattino, ma passarono le nove, le dieci, le undici, venne anche il pomeriggio e

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non arrivava niente. Verso sera la spesa arriv e venne finalmente distribuita. Per fortuna
la giornata pass senza combattimenti, si registrarono solo sporadici colpi di mortaio.
Durante la notte successiva, improvvisamente, esplosero vicino a noi raffiche di
mitragliatrice e si udirono colpi di fucile e di bombe a mano; in pochi minuti facemmo
ladunata del plotone e partecipammo al combattimento. Scoprimmo pi tardi che
trattatavasi di una pattuglia di Greci in esplorazione; di dodici, quattro vennero uccisi, tre
vennero feriti e fatti prigionieri, gli altri cinque riuscirono momentaneamente a scappare,
ma successivamente vennero fatti prigionieri da una nostra pattuglia di ritorno da una
esplorazione.
Il 21 di febbraio era una giornata bellissima, piena di sole, tutto era calmo intorno a
noi tanto che ci fidammo a stendere per asciugare al sole le coperte e altri indumenti
bagnati. Il nemico, per, non ci dette tregua e poco dopo incominciarono a bombardarci
con colpi di mortaio.
La notte seguente la passammo senza sparare, ma il giorno successivo, verso le
nove del mattino, venne dato lordine di attaccare. Avanzammo sparando e arrivammo ad
occupare le posizioni precedentemente occupate dal nemico, infliggendo allo stesso molte
perdite, catturando una decina di prigionieri e recuperando una buona quantit di armi
automatiche. Le nostre perdite furono di sei morti e cinque feriti.
Il giorno appresso si notarono movimenti di pattuglie e ogni tanto si verificava
qualche piccola sparatoria, ma in complesso fu una giornata tranquilla.
La notte fra il 23 ed il 24 febbraio ricevemmo lordine di assaltare una compagnia
nemica che si trovava sulla nostra destra; si doveva ad ogni costo conquistare la quota
occupata dai Greci. A mezzanotte eseguimmo di sorpresa lassalto, le vedette nemiche
furono fatte prigioniere ed entrammo nellaccampamento avversario con il nemico ancora
addormentato. In pochi minuti scoppi un violento combattimento, si sentivano ordini,
grida e spari da tutte le parti. Dopo circa unora, improvvisamente, il combattimento cess
e ci ritrovammo padroni dellaccampamento avversario.
Al chiaro del giorno il terreno ghiaioso circostante si presentava ricoperto di sangue
e di cadaveri. Avevamo conquistato la famosa quota, ma quante perdite anche tra noi, dei
nostri cinque ufficiali solo uno rimase in vita gli altri giacevano morti in mezzo a tanti
compagni e a moltissimi nemici. Al vedere tanto sfacelo intorno a noi io ringraziai Dio di
essere ancora vivo.
Si fece ladunata dei due plotoni che parteciparono allassalto, venne eseguito un
rastrellamento tutto in torno alla quota occupata e ci mettemmo in postazione attendendo
con impazienza che ci venisse dato il cambio. Arriv, infatti, a sera inoltrata da un pezzo.
Vennero a darci il cambio le camicie nere e noi tornammo nelle immediate
retrovie, dove avevamo lasciato i nostri zaini, in quel luogo vi passammo la notte e tutto il
giorno successivo. La notte appresso ci spostammo nelle vicinanze di un paesetto
albanese, dove subentrammo ad una compagnia di bersaglieri.
Rimanemmo a presidiare quel luogo fino al primo marzo; durante quei giorni si
verificarono di tanto in tanto degli attacchi di breve durata ai quali noi si rispondeva
prontamente, senza per subire conseguenze di sorta.
Alla sera del primo marzo ci inviarono in soccorso di una compagnia di camicie nere
che nel frattempo aveva perso la propria posizione. Il combattimento era ancora in corso e
noi entrammo subito in azione secondo le direttive dei nostri ufficiali. Si riusc ad arrestare
lavanzamento del nemico, ma anche in quelloccasione subimmo molte perdite e ancora
una volta mi ritrovai a ringraziare mentalmente Dio di essere vivo.

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A darci il cambio questa volta tocc ad una compagnia di bersaglieri e noi
ritornammo nei pressi di quel paesino albanese (Mezzi Corani), precedentemente
occupato, dove rimanemmo fino al giorno sei marzo.
Alla sera di quello stesso giorno arriv lordine di prepararsi per un nuovo assalto.
Prima di partire per il colonnello comandante ci radun per spiegarci lazione e le
condizioni del terreno; secondo lui doveva trattarsi di una missione non tanto difficile.
Venne la partenza e, dopo un breve tratto che percorremmo camminando, cominciammo
ad avanzare strisciando cautamente per terra, guardinghi, in silenzio ed evitando di far il
pur minimo rumore.
Dopo circa quattro ore di questo duro spostamento, ci trovavamo gi nelle vicinanze
delle linee Greche, ad un tratto un cane si mise ad abbaiare e le loro sentinelle diedero
lallarme. In pochi minuti scoppi una terribile sparatoria e vi fu un fuggi fuggi tra di noi per
trovare un riparo.
Io mi riparai lesto dietro ad un sasso, ma subito mi accorsi che molto vicina una
mitragliatrice greca falciava quanti si paravano davanti. Essendo sprovvisto di bombe a
mano, fui costretto a rimanere al coperto per non farmi crivellare di colpi.
Dopo circa unora, fortunatamente, il greco si spost con la sua mitragliatrice e
allora riuscii a guadagnare una postazione pi favorevole e a partecipare alla difesa delle
posizioni conquistate.
Pass dellaltro tempo e poco a poco la sparatoria diminu di intensit; durante
quella tregua, strisciando e saltellando, rimanendo sempre al coperto, il tenente che
comandava la compagnia pass in perlustrazione delle posizioni, annunciando un
prossimo nostro assalto. Lordine era di stare allerta.
Io mi trovavo vicino al mio capo squadra e di quando in quando gli parlavo a bassa
voce chiedendo notizie sullora del prossimo assalto, sulla dislocazione dei nostri avversari
e sulla disposizione degli altri nostri compagni. Quella notte non passava mai.
Alle prime luci dellalba incominciai a guardarmi attorno, ma non vidi altro che il mio
capo squadra; evidentemente gli altri nostri compagni si erano spostati senza che noi ce
ne accorgessimo ed ora noi due eravamo proprio nei guai in quanto si vedevano in
lontananza i Greci che procedevano al rastrellamento della zona che era stata il campo di
battaglia durante la notte.
Li vedevamo che avanzavano lenti esaminando il terreno palmo a palmo e
guardando dietro ogni sasso. Trovarono un nostro ferito e lo portarono via. Per noi era
finita, eravamo circondati e bene che ci fosse andata saremmo stati fatti prigionieri. Ad un
tratto, per, la nostra artiglieria cominci a martellare a colpi di cannone la zona della
battaglia notturna e cos i Greci sospesero il rastrellamento e rientrarono nelle loro
postazioni.
Noi due, essendo in una radura allo scoperto e vicini alle postazioni nemiche,
dovemmo rimanere sdraiati dietro ai sassi per tutto il giorno, in balia dei colpi delle nostre
artiglierie. Era una giornata di pioggia e noi eravamo fradici, affamati, costretti a non
muoverci per non segnalare la nostra presenza; provate un po a immaginarvi il nostro
stato danimo.
Al sopraggiungere della notte cominciammo a strisciare verso le nostre linee. Di
quando in quando a causa del buio facevamo rotolare qualche sasso, il cui rumore
provocava la reazione dei Greci, i quali cercavano di colpirci con raffiche di mitragliatrice.
Fortunatamente potemmo rientrare indenni; a distanza dalle nostre linee fummo
fermati da una nostra pattuglia in esplorazione, ci facemmo riconoscere e cos ci

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accompagnarono presso il comando della nostra unit dove il colonnello ci interrog circa
la dislocazione del nemico e successivamente rientrammo al plotone.
Appena mi vide il mio amico Silvano Campagnaro mi abbracci di gioia e volle
sapere cosa ci era successo. Gli feci un breve riassunto e poi stanco morto mi
addormentai.
Alle ore 6.00 del giorno 7 marzo, i Greci sferrarono una violenta offensiva.
Incominciarono con lartiglieria: cannoni e mortai di ogni calibro riversarono sulle nostre
linee una gran quantit di proiettili e bombe. Contemporaneamente sferrarono un violento
assalto alle unit sulla nostra destra, dove, lo sapemmo pi tardi, riuscirono a sfondare e,
in poco tempo, ci circondarono.
Il cannoneggiamento non era ancora finito che divamp un violento combattimento
con armi leggere e bombe a mano; quella situazione di combattimento contrapposto dur
delle ore; a momenti di grande intensit di sparo seguivano momenti di stasi.
Alle 3.00 circa del pomeriggio, ricevuto lordine di ripiegamento, incominciammo la
manovra e potemmo ripiegare per circa 300 metri, ma poi dovemmo arrestarci a causa
dellintensit del combattimento.
Durante questo ripiegamento si vedevano morti e feriti da tutte le parti e io pensai
che in quel momento si stava verificando la distruzione del nostro Battaglione. Alcuni
gridavano di dolore, altri chiamavano la mamma, altri ancora invocavano il Signore.
Qualcuno chiamava per nome i propri cari, qualcun altro chiedeva aiuto ed io mi sentivo
impotente, anzi se ci si fermava si andava incontro a morte certa.
Ad un certo momento io mi trovai dentro ad una buca assieme ad altri; si aspettava
il calare della sera per trarci da quella sacca. Nellattesa mi sistemai lo zainetto,
preoccupandomi di non dimenticare le scatolette di cibo ed il pane, anche se raffermo.
Avevo appena finito questa operazione quando mi accorsi di essere rimasto solo.
Improvvisamente mi trovai di fronte un soldato Greco con fucile e baionetta innestata; il
mio fucile era discosto, non sarei mai stato capace di recuperarlo in tempo. In quel
frangente la mia reazione fu di chiudere gli occhi, aspettando di sentirmi trafiggere da
quella baionetta, ma non fu cos.
Il Greco, invece, parl: buono soldato taliano disse con tono distorto di chi non
conosce bene la lingua. Riaprii allora gli occhi, fui disarmato e vidi che mi faceva segno di
mettermi in cammino. Mi misi in colonna con altri miei compagni prigionieri e ci
accompagnarono allinterno, lontano dal fronte.
Durante il percorso, ancora in prossimit del fronte, eravamo sotto la minaccia della
nostra Artiglieria; mentre si camminava ci rendemmo conto che il nostro Battaglione era
stato decimato e i sopravissuti fatti prigionieri.
Verso la mezzanotte arrivammo in un paesetto, credo che si chiamasse Chiusura
(Klimati), dove alcuni prigionieri furono invano interrogati sulla situazione e sulla
dislocazione delle forze italiane.
Eravamo sfiniti con i piedi gonfi e mezzi congelati, pur di riposarci ci saremmo
sdraiati anche sul posto, invece ci fecero riprendere la marcia. Fu in quelloccasione che
ritrovai il mio amico Campagnaro Silvano; fui molto felice nel vedere che anche lui laveva
scampata. Riprendemmo la marcia vicini luno allaltro, facendoci coraggio a vicenda.
Il giorno 8 marzo, alle cinque di mattina, arrivammo in localit Ponte di Perati dove
ci fermammo a riposare. Fu in quelloccasione che il mio amico Campagnaro baratt la
penna stilografica per un pezzo di pane, poich erano pi di due giorni che non si
mangiava.

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Il giorno successivo ci caricarono su dei camion, viaggiammo fino a sera e
arrivammo a Gianina (Jonina) dove passammo la notte. Proseguimmo poi con i camion e
giungemmo nel paese di Prevesa (Prveza) dove ci fermammo due giorni.
In tutti i posti dove incontravamo altri prigionieri io chiedevo informazioni su mio
fratello, anche lui alpino richiamato nella Divisione Julia; venni a sapere che anche lui era
prigioniero dal 20 di gennaio e probabilmente si trovava ad Atene o Sparta.
Il giorno 12 marzo cimbarcarono su una nave cisterna e navigammo tutto il giorno e
la notte successiva; eravamo al chiuso e talmente stipati che quasi non si poteva
respirare; eravamo inoltre infestati dai pidocchi.
Arrivammo ad Atene il 13 marzo di mattina e sbarcammo al porto del Pireo; lo
sbarco fu un sollievo, almeno si poteva respirare. Passammo tutto il giorno a ripulirci un
po: taglio di capelli e barba (io in quel periodo la portavo, ma dovetti rinunciarvi),
disinfestazione della divisa, bagno, schedatura (mi consegnarono un bigliettino con scritto
un numero con la raccomandazione di conservarlo. lo conservo ancora adesso per
ricordo), ed infine ci portarono nelle vicinanze dove sorgevano delle baracche, nelle quali
alloggiammo per alcuni giorni.
Alla sera del 18 marzo ci riportarono al porto del Pireo, ci imbarcammo e
navigammo tutta la notte ed il giorno successivo. Verso sera arrivammo a Creta,
sbarcammo e ci sistemarono in una grande casa ancora in costruzione, dove rimanemmo
tre giorni. Il letto era il pavimento ed il nostro materasso era un po di sabbia.
Durante questi tre giorni di continuo suonava lallarme ed ogni volta eravamo
bombardati, fortunatamente gli obiettivi erano il campo daviazione ed il deposito di
munizioni che si trovavano nelle vicinanze.
Il giorno 23 marzo, dopo la distribuzione di un chilogrammo di pane a ciascun
prigioniero, razione per quattro giorni, partimmo e camminammo per quattro giorni pieni.
La notte ci si fermava per dormire alladdiaccio, dove capitava allo scendere della sera.
La sera del 27 marzo arrivammo in un paesetto pittoresco di nome Arcalamosi dove
ci fermammo venti giorni. Gli abitanti di questo paese sembravano ben disposti verso di
noi, anzi chi voleva poteva andare a giornata presso qualche famiglia di contadini. Ci
andai anchio per diversi giorni finch le forze mi assistettero; guadagnai 40 dracme, che
mi consentirono di comprarmi un po di pane.
Il 16 aprile ci trasferirono in un altro campo, denominato Campo B, dove trovai altri
prigionieri che conoscevo e da loro ebbi la conferma che mio fratello faceva parte del
gruppo rimasto a Sparta.
Al Campo B rimanemmo fino al 2 giugno; durante questo tempo soffrimmo tanto la
fame, dormivamo in un letto di foglie secche e durante il giorno loccupazione principale
era quella di spidocchiarsi. Ogni tanto si prendeva qualche legnata dai guardiani ed
eravamo sempre alla ricerca di cibo: erbe, foglie di gelso e anche radici. Ho visto dei
prigionieri morire di fame.
Durante questo tempo con la nostra fantasia si faceva ritorno a casa e questi
pensieri aumentavano per cos dire la nostalgia e le nostre tribolazioni.
Il 27 maggio fummo bombardati da aerei Tedeschi che ci scambiarono per un
accampamento inglese; in quelloccasione ci furono tre morti e venti feriti, i quali furono
trasportati il giorno successivo allospedale di Atene.
Il 2 giugno fummo liberati dai Tedeschi che nel frattempo avevano prevalso sui
Greci e sugli Inglesi ed avevano riconquistato lisola. Ripercorremmo a piedi i quattro
giorni di marcia e arrivammo la sera del 6 giugno nel paese di S. Nicol, dove rimanemmo
20 giorni.

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Quei 20 giorni servirono a ritemprarci un po, ci cambiammo di vestiti, cominciammo
a mangiare con regolarit e poco a poco ritornarono anche le forze e soprattutto il morale.
Durante questo periodo scrissi pi volte a casa, tranquillizzando la famiglia circa le mie
condizioni.
Il 25 giugno ci imbarcammo per raggiungere lItalia; il viaggio dur otto giorni pieni
di ansia, passammo per Atene, attraccammo al Pireo per i rifornimenti, attraversammo il
canale di Corinto, ci fermammo ancora a Patrasso ed il giorno 3 luglio sbarcammo a
Brindisi.
La felicit che provai in quel giorno era cos grande che mi sembrava di essere
ritornato alla vita.
Scrissi subito a casa, inviando loro il nuovo indirizzo e con ansia attesi una risposta
giacch erano passati gi cinque mesi dalle ultime notizie che avevo ricevuto ed ero pure
preoccupato per la situazione di mio fratello, pure lui in Grecia.

Vercelli
Il giorno 11 luglio partimmo per Vercelli; il colonnello prima di partire, nel corso di un
breve discorso, cinform che nella nuova destinazione ci saremmo trattenuti solo pochi
giorni, durante i quali ci dovevano sottoporre ad un interrogatorio e poi ci avrebbero inviati
in licenza.
Contenti per la prossima licenza affrontammo il viaggio e ci sistemammo a Vercelli,
ma i giorni passavano e non si parlava n di interrogatorio n di licenza. Anche da Vercelli
avevo scritto a casa e avevo pure annunciata la mia prossima licenza.
Dopo una decina di giorni, rientrando dalla libera uscita trovai ad attendermi un
paesano, il mio amico Secondo, il quale rientrava dalla licenza; poich aveva saputo dai
miei che anchio mi trovavo a Vercelli, venne a farmi visita per portarmi notizie della mia
famiglia, che mi attendeva con ansia, e per consegnarmi dei soldi da parte dei miei
genitori.
Pass tutto il mese di luglio e anche la prima decina di agosto senza alcun
avvenimento, ma improvvisamente cominciarono gli interrogatori annunciati e, finalmente,
il giorno 15 partii per lagognata licenza di dodici giorni (10+2).
Dopo tante tribolazioni e tanti pericoli scampati, il fatto di essere a casa tra i miei
famigliari, fra i miei amici e conoscenti, mi riempiva di gioia tanto che mi sentivo pieno
deuforia e mi pareva che il mio cuore volasse.
Purtroppo per le cose belle passano in fretta e la licenza pass in un baleno,
perci il due di settembre dovetti presentarmi a Gorizia, presso il deposito del mio
Reggimento. Il giorno successivo mi inviarono al mio centro di mobilitazione cio a
Bassano del Grappa, dove giunsi verso le otto di mattina del 4 settembre.
Sarebbe stato mio dovere presentarmi subito in caserma, invece in quelloccasione
mi prese una improvvisa ripugnanza nei confronti della disciplina militare per cui tardai il
rientro; feci una passeggiata per Bassano, andai a mangiare un boccone e mi presentai al
centro di mobilitazione solo verso le ore 14.00.
Quel ritardo al rientro mi valse di rimanere a Bassano ancora per qualche tempo,
poich, proprio durante le ore in cui avevo ritardato, gli altri erano gi partiti per la nuova
destinazione.

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A fine di settimana mi fu concessa una nuova licenza di nove giorni (7+2) e cos
tornai a casa e vi trovai pure Gino pure lui in licenza. Dal suo richiamo nel settembre del
1939 ci eravamo visti poche volte e sempre di sfuggita.
Passata questa licenza, il 15 settembre mi presentai a Bassano e la sera stessa ci
inviarono a Pergine dove stavano formando un nuovo Battaglione di reduci. Dopo qualche
giorno arriv anche mio fratello e fu assegnato proprio nella mia medesima Compagnia.

Pergine/Levico
A Pergine stavamo abbastanza bene, i giorni trascorrevano tranquilli, nel frattempo
ci stavamo equipaggiando e di tanto in tanto ci toccava la guardia. Saltuariamente,
durante i brevi permessi, facevo una capatina a casa, data la modesta distanza.
Il 18 ottobre mi fu concessa una licenza di un mese (30+2); a casa riuscii a passare
quel periodo senza pensare alla vita militare e alla guerra; tutti quei giorni per passarono
molto in fretta e ben presto arriv il giorno del rientro in caserma.
Il giorno 20 novembre presi il primo treno (quello delle 5) e mi presentai al mio
nuovo Battaglione, a Levico, dove nel frattempo si era trasferito. Arrivato in caserma salii
allultimo piano, come mi era stato indicato, e vi trovai la mia Compagnia.
Dormivano ancora e per questo, senza far rumore, passai branda per branda
finch, nella seconda camerata, non trovai quella di mio fratello, rientrato pure lui dalla
licenza gi da una decina di giorni. Lo svegliai e pur parlando piano non evitammo di
svegliare anche altri compagni, sicch in un baleno tutta la camerata fu sveglia.
A Levico si stava proprio bene, il servizio non era eccessivo, il paese era bello e la
gente ci trattava con gentilezza. A tutto questo, se si considera che quasi tutti erano pi o
meno vicini a casa, ne consegue che era da augurarsi di rimanerci per lungo tempo.
Durante questa permanenza, assieme a mio fratello, si faceva una capatina a casa
quasi tutte le sere, tanto che mia madre ci preparava la cena sistematicamente. Le prime
volte ero un po titubante soprattutto nel viaggiare in treno senza biglietto, ma poi la
situazione mi venne tanto naturale che sembravo il padrone del treno.
Quella che, per noi, era una situazione quasi ideale dur solo quaranta giorni e poi
la caserma fu sommersa dai preparativi per una nuova partenza. Sceglievano un centinaio
di alpini per ogni Compagnia allo scopo di formare un Battaglione da inviare al fronte.
Questa volta si trattava del Monte Nero.
Nel nuovo contingente oltre al sottoscritto inclusero anche mio fratello per questo
presentammo istanza affinch uno dei due fosse lasciato a casa. Quando accolsero la
nostra richiesta, Gino avrebbe avuto la precedenza nel rimanere a casa in quanto fratello
maggiore, ma lui volle partire quindi io rimasi. La loro partenza per Trento avvenne negli
ultimi giorni di dicembre del 1941.
Proprio gli ultimi giorni dellanno io ebbi una licenza di sei giorni (4+2) e sul treno
trovai proprio mio fratello che da Trento senza permesso veniva a casa per salutare prima
della sua partenza con destinazione Monte Nero.
ANNO 1942

Il giorno 5 gennaio mi presentai regolarmente a Levico, ma trovai la caserma quasi


vuota; cera solo il personale di guardia ai magazzini. Verso le ore 9.30 mi chiamarono
proprio in magazzino, dove mi cambiarono la divisa, mi consegnarono indumenti di lana e
mi sostituirono lequipaggiamento mancante. Io pensai subito che la consegna del nuovo
corredo non presagiva nulla di buono.

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Poco pi tardi assieme ad altri alpini mi spedirono in stazione per raggiungere in
treno la nostra Compagnia, in quei giorni di stanza a Pergine.
Poich il giorno successivo era la festa dellEpifania, nel breve tragitto da Levico a
Caldonazzo, proposi ad un amico di andarla a passare a casa. In un primo momento lui
non accolse la proposta, ma poi, dopo alcune insistenze da parte mia, accett il mio invito
e cos nella stazione di Caldonazzo smontammo dal nostro treno e salimmo su quello
incrociante per arrivare a Primolano, il nostro paese.
Il giorno sette, arrivai a Pergine con il primo treno e giunsi appena a tempo per
rispondere presente allappello che era in corso proprio in quel momento. Allappello del
giorno prima, per, ero risultato mancante quindi fui punito con cinque giorni di rigore.
Pass tutta la settimana senza che nessuno parlasse di partenza; il sabato chiesi il
permesso ma mi fu negato per via dellassenza durante la settimana precedente. Quella
sera in ogni modo senza permesso e senza biglietto del treno scappai nuovamente a casa
e vi passai la domenica. Al luned mi presentai e nessuno mi fece alcuna osservazione.
La sera del 16 gennaio, ricordo che era venerd, con altri amici ci trovammo in
unosteria a mangiare la polenta e verso le ore 20,00, finito di mangiare, mi venne il
desiderio di andare a casa. Lo comunicai agli altri e uno di loro di rimando mi fece notare
che avrei fatto a tempo a prendere lultimo treno. Un altro cerc di dissuadermi
proponendomi di farlo assieme il giorno successivo. Io per, che mi sentivo molto deciso,
salutai i miei compagni e raggiunsi la stazione appena in tempo per prendere lultimo treno
e cos quella notte dormii nel mio letto invece che sulla paglia.
Il giorno successivo (sabato), come daccordo andai in stazione per salutare i miei
amici e per concordare il rientro. Dopo larrivo del treno, mentre si stava parlando tra noi,
mi sentii chiamare e cos mi accorsi che quello che mi chiamava era il mio tenente, il quale
dal finestrino del treno mi faceva segno di avvicinarmi.
Quando gli fui vicino mi chiese spiegazioni giacch io ero gi in borghese e perch
non si ricordava del mio permesso e volle sapere quando avevo lasciato la caserma. Io
risposi che ero scappato quella mattina e che avevo preso il primo treno, ma lui non
convinto si rivolse ad un altro ufficiale, suo compagno di viaggio dicendo guarda un p
questi non si accontentano pi di scappare di sabato, ora scappano pure di venerd e poi
si mise a ridere. Allora io salutai, raggiunsi i miei amici e con loro andammo in unosteria a
bere qualcosa in compagnia e ad accordarci per il rientro del luned.
Il luned successivo, come daccordo, ci ritrovammo in stazione per il rientro. Saliti
in treno ci accorgemmo che era pieno di gente, soprattutto di alpini che rientravano dopo
la loro fuga e quasi tutti erano sprovvisti di biglietto. I controllori non sapevano pi cosa
fare e cos and a finire che rinunciarono ad eseguire il controllo e noi viaggiammo gratis.
Il 19 gennaio, non si sapeva ancora nulla circa la partenza e cos il nostro capitano
ci impose una marcia in montagna con lo scopo di raccogliere della legna da ardere.
Quella sera con degli amici, fra i quali cerano due suonatori di armonica a bocca, ci
recammo in paesetto vicino presso una famiglia, la quale ci ospit fornendoci da mangiare
e da bere.
Era quasi ora di rientrare quando giunsero due alpini della mia compagnia, uno dei
quali era il furiere. Ci comunic che era giunto lordine di partenza. In un primo momento si
pens ad uno scherzo, ma poi ci accorgemmo che la notizia era vera.
Non era la partenza che mi faceva paura, pi di tutto mi dispiaceva per i genitori
perch due giorni prima era partito mio fratello e ora con la mia partenza avrei inflitto loro
un dolore ancora pi grande.

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Il mio primo impulso fu di andare in fuga quella sera stessa; il mio desiderio era di
andare ad avvertire personalmente i genitori circa la partenza imminente e possibilmente
di rincuorarli. Poi per, data lora, scoraggiato pure dai miei compagni lasciai correre per il
momento, ma mi accordai con uno di loro per fare un salto a casa il giorno successivo.
Il 20 gennaio, come daccordo, ci svegliammo presto con lintenzione di andare in
fuga, ma a sorpresa trovammo un servizio di guardia rinforzato e per questo era molto
difficile sgattaiolare di soppiatto. Non erano tanto le guardie che ci impensierivano, perch
se avessero potuto sarebbero scappate pure loro, ma il sergente che stazionava quasi
ininterrottamente sulla porta.
Dopo aver adocchiato a lungo luscita, approfittammo di un breve spostamento del
sergente nel locale attiguo alla porta della caserma per disperderci nel buio fuori della
recinzione. Egli si accorse, cerc di richiamarci e intim lalt, ma tutto fu vano, noi ci
eravamo gi dileguati.
Per fare pi presto il mio compagno ed io scavalcammo la rete di recinzione
dellarea ferroviaria, ma giungemmo ugualmente alla stazione in ritardo in quanto il treno
era gi passato. In sala dattesa trovammo anche altri alpini e cos, dopo una breve
consultazione, decidemmo di andare a casa in ogni caso e ci avviammo a piedi verso
Caldonazzo, che distava circa otto chilometri da Pergine.
Durante il percorso ci fermammo in unosteria per rifocillarci e anche per perdere un
po di tempo in quanto il treno successivo era alle 11.00. Giunsi a casa a mezzogiorno e
trovai la mia famiglia a tavola e cos mi sistemai anchio in mezzo a loro.
A tavola mi chiesero notizie circa la partenza per il fronte ed io avrei voluto non
rispondere e risparmiare loro altro dolore, ma in seguito alle loro insistenze dovetti
ammettere che la mia visita a casa era per salutarli.

FRONTE JUGOSLAVO (3^ campagna di guerra)

Il giorno successivo (21 gennaio) sapendo che era quello fissato per la partenza,
presi il primo treno e mi presentai a Pergine in tempo. Non eravamo sicuri circa la
destinazione, ma tutti pensavano che si dovesse andare in Croazia.
Poco dopo, infatti, ci portarono in stazione e alle 10.00 ci fecero salire sulla tradotta,
che part alle 10.40 percorrendo la linea della Valsugana.
Passai cos da Primolano e alla stazione trovai tutta la mia famiglia e molti amici
venuti apposta per salutarmi. Ebbi appena il tempo di salutare tutti e di ritirare un pacco da
parte di mia madre. Il treno ripart ma si ferm quasi subito per un guasto a circa 500 metri
dalla stazione. Io avrei voluto che il treno non potesse pi ripartire invece, dopo pochi
minuti di accudienza, ripartimmo definitivamente.
Mi sentivo la tristezza nel cuore soprattutto perch lasciavo tante persone care ben
sapendo di andare incontro allignoto. Per stordirmi cominciai a bere e cos, in poco
tempo, fui brillo.
A Bassano del Grappa ci fermammo unora e poi ripartimmo per Padova, dove
cambiammo tradotta. La nuova tradotta era formata da carrozze di terza classe e cos
viaggiammo in modo pi confortevole, tanto pi che con altri due amici avevamo occupato
un intero compartimento.
Per smaltire la malinconia della partenza ciascuno dei tre cercava di non pensarci e
cos and a finire che passammo quasi tutta la sera e parte della notte mangiando,
bevendo e cantando. Alla fine il sonno ci prese e ci svegliammo a mattina inoltrata mentre

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il treno correva veloce lungo la linea Adriatica. Sul tardo pomeriggio arrivammo a Brindisi e
ci sistemammo alla meno peggio in una caserma dove passammo la notte.
Il giorno 23 gennaio cimbarcammo su una bella nave che quella stessa sera salp
alla volta di Ragusa (Dubrovnik). Passammo a bordo tutta la notte e la mattina successiva,
ma alle tre del pomeriggio giungemmo nel porto di destinazione.
Dopo lo sbarco ci mettemmo subito in marcia e a mezzanotte eravamo gi a
destinazione. Il posto in cui ci accampammo si trovava a ridosso del paese di Tebreno
(Trebinje), una ridente localit in riva al mare, dove noi sostammo un paio di settimane.
Durante questo periodo, la nostra attivit consisteva nello svolgere il servizio di
scorta alle colonne di passaggio nei punti pi pericolosi o in quelli che pi si prestavano
alle imboscate da parte dei partigiani residenti.
Il giorno 7 febbraio tutto il mio Battaglione fu impiegato di scorta ad una lunga
colonna di uomini e muli. La mia Compagnia svolgeva il servizio sulla parte destra nel
senso di marcia, proprio davanti al comando di Battaglione. In prossimit di un paesetto
tutta la colonna si ferm e noi fummo impiegati alla perquisizione casa per casa.
Era un paese di donne, bambini e vecchi; gli uomini erano tutti fra i partigiani.
Quando riprendemmo la marcia, fuori paese, fummo attaccati dai partigiani, i quali ci
impegnarono in un duro scontro a fuoco. Noi rispondemmo prontamente, ma ci trovavamo
in zona scoperta per questo in poco tempo subimmo diversi feriti e dovemmo ripiegare.
Mentre ripercorrevamo in senso inverso il paesetto poco prima perquisito, dalle case ci
sparavano addosso anche le donne perci le pallottole arrivavano da tutte le parti.
Tutti cercavano un riparo ed io, sfinito da una grande corsa, mi riparai dietro un
piccolo sasso, che pochi minuti pi tardi mi salv la vita. Infatti, venni preso di mira e fui
oggetto di una raffica di mitragliatrice, ma la mitragliata frantum quel piccolo sasso dietro
al quale mi ero riparato e cos me la cavai solo con una ferita leggera.
Dopo questo attacco fu ordinata ladunata della nostra Compagnia, si fece lappello
e risultarono quattro persone ferite e due alpini mancanti, rimasti in mano ai partigiani.
Il giorno 8 febbraio fummo impiegati per una scorta ad un treno carico di vettovaglie
e mezzi, ma tutto and liscio.
Il 9 febbraio partimmo per raggiungere il porto di Ragusa ed imbarcarsi alla volta di
Spalato (Split). Giunti a Ragusa sostammo un paio di giorni e la mia Compagnia si
imbarc solo il 12 febbraio, alle cinque di mattina su un piccolo battello. Il giorno
successivo facemmo tappa in un piccolo porticciolo dellisola di Corsola per fare
rifornimento di cibo e acqua e poi si riprese la rotta alla volta di Spalato.
Verso sera giungemmo a destinazione, sbarcammo e subito raggiungemmo le
caserme a noi destinate. I giorni successivi ebbi modo di percorrere diverse vie della citt
che, come stile urbanistico, mi ricordava le nostre citt italiane.
Il mio Plotone fu aggregato provvisoriamente ad unaltra Compagnia per svolgere
un servizio di rastrellamento su unisola di fronte a Spalato. Si trattava dellisola di Lissa
(Vis). Questo nome lavevo gi sentito e, pensandoci, mi ricordai che era scritto sul mio
sussidiario di storia, relativa allo scontro navale, durante la 3^ guerra dindipendenza, tra
la flotta italiana e quella austriaca.
Il giorno 22 alle 3.00 del mattino cimbarcammo e alle 4.00 partimmo. Durante il
viaggio avvistammo una mina, anzi, la evitammo appena in tempo per non urtarla. Dopo
averla fatta brillare proseguimmo la navigazione e giungemmo sullisola verso
mezzogiorno.
Appena sbarcati inizi subito il rastrellamento, sotto la pioggia, per tutto il
pomeriggio e parte della sera, senza alcun risultato. Rientrammo che era gi notte, fradici

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di pioggia. Con due amici entrai in una casa abbandonata del piccolo villaggio portuale,
dove potemmo rifocillarci con quanto avevamo al seguito, pian piano ci asciugammo e poi
in quella casa passammo anche il resto della notte.
Il giorno successivo ci mettemmo in marcia di buonora per completare il lavoro
iniziato il giorno prima. Durante la marcia per io mi sentii male per questo feci ritorno al
paesetto in cui eravamo accampati. Dopo circa unora giunse anche il mio amico Silvano,
che pure lui non si sentiva bene e un altro amico incaricato di accompagnarlo. Quel giorno
fu un giorno di riposo per tutti e tre.
Il giorno 24, rientrati a Spalato, raggiungemmo subito la nostra Compagnia che si
trovava a circa dieci chilometri, vicino ad un paesetto di nome Salona (Solin). In quella
localit, rimanemmo accampati fino al 6 marzo e in quel periodo ci limitammo al servizio di
guardia e a qualche marcia di perlustrazione.
La partenza venne fissata, come detto, il 6 marzo e la destinazione era al momento
sconosciuta. Tutti parlavano, ma nessuno sapeva niente di preciso. Alla sera
raggiungemmo il paese di Knin, dove passammo la notte. Il giorno dopo partimmo in treno
lasciando gli zaini e portando appresso solamente armi, munizioni, tende e una coperta.
Durante il trasferimento sapemmo che si andava in soccorso ad un Battaglione di
Camicie Nere, rimaste circondate dai partigiani. Il nostro Tenente aveva passato la voce
avvisandoci della pericolosit delloperazione, per questo ci lasciava carta bianca. Ad un
certo punto il treno rimase bloccato dalla grande quantit di neve esistente, per cui
dovemmo scendere e proseguire a piedi.
Verso sera arrivammo in un paesetto di nome Zermania, dove cera un presidio
italiano. Prima di notte ci apprestammo a montare le tende, dopo aver spalato la neve. Ci
sistemammo poi allinterno per passare la notte, ma in quelle condizioni cera poco da
stare allegri. Il terreno era bagnato, il freddo intenso e lo stomaco vuoto oltre al pericolo
incombente data la vicinanza con il nemico.
Alle tre dopo mezzanotte venne la sveglia e alle 4.00 la partenza. Man mano che
salivamo la montagna la neve si faceva sempre pi alta e continuava a nevicare. In
qualche punto superava i due metri. Ci inoltrammo in un bosco tanto fitto che trovavamo
difficolt anche ad individuare dei sentieri percorribili. Il mio Plotone era allavanguardia e
cos si faticava pi degli altri in quanto pestavamo la neve anche per quelli che ci
seguivano.
La marcia continu senza sosta per tutta la mattinata e verso mezzogiorno
individuammo il valico. Lo superammo e incominciammo la discesa lungo un nevaio.
Verso le ore 14.00, individuammo dallalto un paesino sul fondovalle e si notavano delle
persone che scappavano alla spicciolata verso il versante opposto per nascondersi nel
bosco.
Quando fummo a mezza costa i partigiani ci attaccarono e noi rispondemmo a
nostra volta. Il combattimento si fece sempre pi cruento e, dopo circa unora di quella
situazione, venne lordine per il nostro Battaglione di scendere in valle e bruciare il paese.
La nostra Compagnia si trovava sempre in testa e fummo affiancati da un Plotone di
Lanciafiamme. Mentre si scendeva cercavamo di coprirci e aprirci la strada con raffiche di
mitragliatrice e fucileria, poi nel combattimento pi stretto usammo le bombe a mano.
Dopo circa mezzora eravamo giunti al limitare del paese. Si vedevano gli abitanti
rimasti che fuggivano alla disperata; erano uomini, donne e anche qualche bambino e la
maggior parte di loro caddero sotto i colpi di mitragliatrice. I lanciafiamme cominciarono la
loro opera di distruzione e cos in poco tempo tutto il paese era in fiamme.

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Verso sera ripiegammo verso il valico che avevamo superato durante il giorno,
convinti di avere la strada libera, per riprender la marcia verso il nostro obiettivo. A
sorpresa invece fummo impegnati in combattimento con il nemico a monte rispetto a noi,
in posizioni pi vantaggiose e con forze superiori alle nostre. Pi volte tentammo, invano,
di forzare quel blocco e tornare a valle non si poteva data la presenza dei partigiani che si
erano rifugiati nei boschi sul versante opposto.
Ormai era chiaro, eravamo allinterno di una tenaglia. Pass unora, ne passarono
due, poi tre e noi sfiniti, in mezzo alla neve cercavamo di riposarci aspettando la luce del
giorno. Il freddo per era intenso quindi, per non congelare, dovevamo tenerci in
movimento. Diversi della mia Compagnia morirono congelati e prima di morire si
lamentavano e ci spezzavano il cuore. Invocavano la mamma, il pap, la famiglia, Dio e
anche noi l vicino che potevamo fare ben poco.
Venne la mezzanotte e noi eravamo ancora l, accovacciati attorno agli alberi,
cercando di farsi coraggio lun laltro. La situazione era disperata. Ad un certo punto io,
stanco di quella condizione e con il presagio che il giorno successivo la nostra condizione
sarebbe peggiorata, decisi di muovermi. Dietro a me si mossero anche altri alpini e cos,
dopo aver percorso circa 200 metri mi accorsi che alcuni avevano seguito le mie
intenzioni.
Dopo un breve conciliabolo decidemmo di tentare la sorte e di trarci da quella sacca
o morire. Fortunatamente il nostro tentativo ebbe esito favorevole e potemmo superare
senza danni il punto pi pericoloso, per poi infiltrarci nel bosco, seguendo la direzione da
cui eravamo partiti il giorno prima
Camminammo per tutto il resto della notte. Venuto giorno decidemmo di salire su
unaltura per cercare di orientarci e cos trovammo la direzione per rientrare nelle nostre
linee. Proseguivamo con molta cautela perch ci trovavamo in posti sconosciuti, senza
alcuna carta topografica e con tanta paura perch eravamo solamente in dieci e in caso di
attacco avremmo dovuto senzaltro soccombere.
Le forze per ci abbandonavano, sfiniti avanzavamo come degli automi; nonostante
tutto, procedendo molto lentamente, arrivammo verso le 10.00 al posto di presidio da dove
eravamo partiti il giorno precedente.
Dopo quattro ore di sonno fummo svegliati in stato dallarme; sembrava che il
nemico ci stesse per attaccare. Si trattava invece del rientro del grosso della spedizione.
Ma non tutti rientrarono, allappello ne mancavano una trentina. Quelli rimasti in mano
nemica furono oggetto di torture e mutilazioni. Per contro i nostri alpini nel corso del loro
ripiegamento avevano catturato una ventina di partigiani che, seduta stante, furono messi
al muro e fucilati.
Dopo questa operazione, assieme a qualche ferito, pi di met Battaglione fu
inviato nelle retrovie presso lospedale da campo per congelamento agli arti, soprattutto
quelli inferiori. Anchio subii il congelamento, ma fortunatamente solo di primo grado perci
riuscii a curarmi svolgendo il mio servizio.
I servizi presso quel presidio non erano affatto piacevoli non solo per la continua
minaccia di attacchi da parte dei partigiani, ma soprattutto per il freddo intenso. Per fortuna
in quella localit rimanemmo solamente quattro giorni quindi il 13 marzo facemmo ritorno a
Knin.
Dopo un paio di giorni di riposo riprendemmo il servizio di scorta a colonne di mezzi
che trasportavano al fronte munizioni e viveri. In questo modo eravamo di continuo sotto la
minaccia di essere attaccati e, data la presenza di materiale esplosivo, di essere fatti
saltare in aria.

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Nonostante tutto, i giorni passavano, grazie a Dio, senza alcun attacco da parte dei
partigiani. Quando non si era di servizio eravamo impiegati per i lavori necessari a rendere
pi sicuri i nostri alloggiamenti: si realizzavano postazioni, si scavavano camminamenti al
coperto, si riparavano o si fortificavano i punti pi deboli dei luoghi dove vivevamo.
A Knin passammo anche la Santa Pasqua. Per l'occasione venne distribuita una
abbondante quantit di cognac e cos, vuoi per la tristezza della nostra condizione attuale,
vuoi per la nostalgia di casa, vuoi per stordirsi e non pensare pi a niente, mi ubriacai. Non
fui per il solo, anche molti altri commilitoni si ritrovarono ben presto nelle mie stesse
condizioni.
Il giorno 14 aprile, unitamente ad altri 11 alpini, fui scelto per far parte di una
squadra da inviarsi a presidiare un tratto di ferrovia distante circa cinque chilometri. La
durata del servizio non era specificata, ma si pensava per un paio di settimane e nel
frattempo si alloggiava in un casello a ridosso di una montagna rocciosa. Quando
giungemmo sul posto demmo il cambio ad una squadra di fanteria territoriale.
La prima notte la passammo alla meno peggio senza sorprese da parte del nemico.
Il giorno successivo e quelli seguenti lavorammo di buona lena per realizzare delle
postazioni di difesa attorno al casello, dei ripari sui punti pi pericolosi e dei posti per il
servizio di guardia riparati.
Alla sera del terzo giorno dalle case pi vicine al casello venne a trovarci un
ragazzo di circa 10-12 anni, il quale evidentemente non era intimorito dalla nostra
presenza. Ci assicur che durante la notte successiva noi saremmo stati attaccati. L per l
non demmo eccessivo peso alle sue parole, ma due alpini furono subito inviati presso il
Comando di Battaglione per assumere informazioni.
Infatti,anche presso il Comando circolavano voci di un attacco imminente tanto che
avevano gi predisposto l'invio di rinforzi per noi.
Mentre ancora attendevamo le novit dal Comando di Battaglione, improvvisamente
fummo attaccati con raffiche di mitragliatrice e scariche di fucili. Noi ci difendemmo e la
sparatoria si fece sempre pi intensa fino verso mezzanotte; a quellora infatti arrivarono
gli aiuti promessi ed i partigiani, prendendo atto della nuova situazione, si ritirarono. In
quell'occasione noi subimmo solo un ferito.
Durante il giorno, il nostro tempo era dedicato esclusivamente ai lavori di scavo di
trincee e postazioni o alla sistemazione di quelle danneggiate, mentre la notte si passava
di solito nelle postazioni, poich i partigiani ci attaccavano quasi tutte le notti. Armati fino
ai denti, capitava anche di fare qualche giretto fra le poche case del luogo pi che altro per
percepire l'umore delle persone (per lo pi donne, bambini e qualche vecchio).
Intanto, si sparse la voce che saremmo ben presto rientrati in Italia e si asseriva
anche che lo scopo era di preparare un Corpo d'Armata da inviare in Russia. Quelle voci e
quei presentimenti poi si avverarono.
Il 23 maggio a mezzogiorno avremmo dovuto avere il cambio, ma la nuova squadra
arriv solamente alle 10 di sera di quello stesso giorno mentre io ero di guardia. Era una
bella sera e tutto sembrava tranquillo. Io pensai che forse per l'ultima notte in quel luogo ci
avrebbero lasciati in pace, ma non fu cos.
Alle quattro di mattina ci attaccarono e in breve si svilupp un fuoco terribile, sia
perch eravamo in due squadre, sia perch noi non badavamo a sprecare munizioni visto
che dovevamo rientrare. Sul far del giorno i partigiani si ritirarono come al solito e allora il
fuoco cess.

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Verso le otto eseguimmo una perlustrazione del campo di battaglia e non trovammo
alcun morto, ma notammo in pi punti tracce di sangue. Per quanto riguarda noi non
subimmo ne morti ne feriti.
A mezzogiorno del 24 arriv la tradotta a prenderci e noi, tutti contenti di lasciare
quel posto, salimmo in treno. Verso sera arrivammo a Gracias (Graac) dove ci riunimmo
con tutto il Battaglione.
La mattina del 25 partimmo sempre in tradotta verso l'Italia. Dopo circa cinque ore
di treno arrivammo in una stazione dove fummo avvisati che poco oltre (tre chilometri pi
avanti) i partigiani avevano fatto saltare la linea ferroviaria e cos dovemmo sostare in
attesa del ripristino.
Il comandante di Battaglione (un Maggiore), che desiderava quanto noi di rientrare
in Italia al pi presto, si offr di impegnare i suoi soldati per la riparazione della linea e cos
fu fatto. Ci recammo tutti sul posto e furono divisi i compiti fra le varie Compagnie. Alla mia
Compagnia tocc il servizio di protezione del tratto di linea dove gli altri stavano lavorando.
Verso le cinque di sera la linea fu ripristinata e noi ci accingevamo a salire in
tradotta quando fummo attaccati e cos in un batter d'occhio si svilupp un violento
combattimento. Noi sparavamo dal treno in movimento mentre i partigiani ci inseguivano.
Eravamo talmente arrabbiati che non si badava a risparmiare munizioni. Dopo un percorso
di circa dieci chilometri poich i partigiani erano rimasti indietro, per cui avevano rinunciato
all'impresa, il Comandante fece fermare il treno per fare il punto della situazione.
Questo combattimento comport la morte di un soldato e due furono i feriti da parte
nostra, ma le perdite dalla parte dei partigiani furono assai di pi, anche se non potemmo
saperlo con precisione.
Quella notte la passammo in una stazione pi avanti di quella dove si era verificato
il combattimento, di cui non ricordo il nome. La mattina successiva, 26 maggio,
riprendemmo il viaggio che dur due giorni, fortunatamente senza incidenti.
Il 28 maggio arrivammo a Postumia dove passammo un periodo di contumacia di
15 giorni. Per prima cosa si fece il bagno, ci disinfettarono la divisa e poi andammo ad
accamparci proprio sopra le famose grotte. In quel luogo i giorni passavano abbastanza
bene, senza guardie, n servizi di alcun genere. Passavamo il tempo passeggiando e
curando la nostra persona.
Quello che desideravamo pi di ogni altra cosa, e cio la partenza verso casa,
avvenne il 12 giugno e impiegammo un giorno ed una notte di viaggio ininterrotto di
tradotta per arrivare a Trento.
Levico
Il 13 giugno di mattina a Trento credevo di incontrare qualcuno dei miei famigliari,
ma non c'era nessuno. Proseguimmo subito verso Levico dove arrivammo verso
mezzogiorno. Scesi dalla tradotta, prendemmo posto nel nostro accantonamento che si
trovava nelle vicinanze della stazione.
Alle tre del pomeriggio venne a trovarmi un mio nipote, il quale mi port notizie su
tutti i miei famigliari. Con lui lasciai Levico senza permesso e mi recai a Trento dove
presso una delle mie sorelle trovai pure mia madre. Con loro passai la notte ed il giorno
successivo mi ripresentai a Levico.
Poich era il fine settimana mi concessero un permesso per cui andai a casa e mi
ripresentai il luned con la speranza di avere anche una licenza, come si vociferava fra
commilitoni.

18
Infatti, il 20 giugno mi fu concessa una licenza di sedici giorni (15+1); a casa questi
giorni passarono sereni ma in un batter d'occhio mi ritrovai all'ultimo giorno, pieno di
tristezza.
Rientrando in caserma, era di luned alle ore 10.00, mi presentai in fureria e il
furiere si meravigli che fossi rientrato con un giorno danticipo secondo lui. Alla mia
sorpresa minform che sul registro erano segnati 15+2 giorni e cos in tutta fretta feci
dietrofront e tornai a casa ancora per un giorno.
Dopo questa licenza, approfittando che eravamo di stanza vicini a casa, quasi tutte
le sere senza permesso andavo a casa e mi presentavo alla mattina presto. Questa
pacchia dur circa quaranta giorni.

Cividale/Tarcento/Tricesimo
Il 21 luglio cinviarono a Cividale dove si stava formando un nuovo Reggimento
Alpini. Io fui assegnato all'ottavo Battaglione di complemento, 647 Compagnia. Intanto i
giorni passavano senza avvenimenti particolari.
Il giorno 8 agosto con altri alpini mi assegnarono al Battaglione Gemona di stanza
a Tarcento. Giunti nella nuova sede come reduci chiedemmo di essere sottoposti a visita
medica. Passammo la visita nel pomeriggio dello stesso giorno. Io risultai meno atto per
cui ritornai a Cividale.
Dopo alcuni giorni a Cividale ci spostarono a Tricesimo dove i giorni si
susseguivano senza particolari avvenimenti.
Il 28 agosto con altri fui sottoposto ad una nuova visita da parte di un'apposita
commissione medica. Dopo alcuni giorni di osservazione mi dichiararono idoneo quindi
feci ritorno nella mia Compagnia con la quale partii il 1 settembre per il campo. Dopo
alcuni giorni a Musi ci spostammo a Venzone e successivamente a Gemona del Friuli.

Gorizia
Il 12 settembre, finita l'esercitazione, ritornammo a Tricesimo dove si pensava di
rimanere. Invece il 15 cinviarono a Canale d'Isonzo (Kanal) e in particolare la mia
Compagnia fu sistemata in una localit di nome Aurina.
Si trattava di un paese piccolo e non tanto bello ma noi ci trovammo bene
ugualmente, perch gli Alpini fanno gruppo e poi trovano sempre il modo di arrangiarsi; in
quel paesino infatti c'erano molti alberi da frutta e noi ne approfittammo.
Il 20 settembre partii per una licenza di sei giorni (4+2); a casa passai dei giorni
sereni, senza pensare alla naia. Purtroppo passarono in un baleno e giunse in fretta il 26
settembre giorno in cui dovetti rientrare ad Aurina.
Al mio rientro trovai la novit che verso la fine di ottobre saremmo partiti per la
Russia. La notizia mi piomb addosso come un grosso macigno e mi sentii una stretta in
gola. Per vincere quelle emozioni cercai di non pensarci e quando mi si ripresentavano
quei pensieri mi ripetevo che se quello era il mio destino bisognava seguirlo. Qualche
giorno dopo arriv la notizia che la partenza era sospesa e tutti ne fummo contenti.
Il 20 novembre mi concessero un permesso di 48 ore limitato alla citt di
Pordenone. Io invece andai subito a casa e rientrai con un giorno di ritardo. Mi aspettavo
di essere punito, ma non mi fecero alcuna osservazione.
La nostra permanenza ad Aurina dur fino al 12 dicembre poi cinviarono a Gorizia,
dove, fin dal giorno successivo, fummo impiegati in operazioni di pattuglia e di
rastrellamento nelle zone circostanti.

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Per le feste di Natale pensavo di andare in licenza, ma non fu cos; il 26 dicembre,
rientrando da un servizio di rastrellamento, trovammo la notizia che saremmo partiti al pi
presto per la Russia.
Il 27 dicembre, infatti, passammo la visita medica e poi ci rinnovarono il corredo; ci
assegnarono due nuove coperte, biancheria nuova e un paio di scarponi nuovi. Il mattino
successivo partimmo che era ancora buio con una tradotta verso Tarvisio. Avevo il cuore
gonfio di tristezza soprattutto per non aver avuto il tempo di passare da casa a salutare i
genitori. Mi ripromisi di scrivere loro alla prima fermata del treno.
Pi la tradotta procedeva verso il confine pi io mi sentivo male e mi pareva di
avere la febbre. Un mio compagno avvis il tenente medico il quale venne e mi riscontr la
febbre a 40 per cui alla prima fermata della tradotta, Tarvisio, mi fecero scendere con
tutto il mio equipaggiamento e mi riaccompagnarono con un altro treno a Udine presso
linfermeria del Comando di Presidio e deposito dell'8 Reggimento Alpini. Penso che
quella febbre fu veramente la mia salvezza.

ANNO 1943

Udine
A Udine dal giorno 3 gennaio fummo impiegati nei vari servizi di Compagnia.
Qualche giorno pi tardi (12 gennaio), di ritorno da un servizio a Plesso, trovai i miei
compagni che si stavano preparando per essere trasferiti alla Compagnia di Presidio e
cos anch'io dovetti adeguarmi. Non fui scontento, anzi, laver scampato la Russia mi
sembrava gia una gratifica per cui potevo accettare qualsiasi destinazione, tanto pi che i
servizi da svolgere erano sempre gli stessi.
Dopo qualche giorno, sapendo che ci aspettava la licenza straordinaria, unitamente
ad altri alpini, ne feci richiesta per cui la fureria inizi la laboriosa pratica delle
autorizzazioni. Si trattava di ottenere l'autorizzazione da parte di diverse sedi competenti:
Comando di Reggimento, Ufficio Matricola, ecc..
Dopo circa quindici giorni, giunte tutte le autorizzazioni, si pensava di partire subito,
invece dovemmo aspettare la tradotta del 27 gennaio. Di sera alle ore 21.40 partimmo da
Udine con una licenza di diciassette giorni (15+2).
A casa i giorni volarono; io, che avrei dovuto presentarmi a Udine il giorno 13, mi
presentai invece il 14 di sera. In fureria trovai solo il furiere, consegnai quindi la licenza e
quando uscii trovai un amico appena rientrato anche lui dalla licenza straordinaria.
Egli mi propose di passare la notte fuori della caserma ed io subito rimasi titubante,
ma poi accettai. Quella notte la passammo dunque fuori caserma; io dormii poco, i miei
pensieri vagavano costantemente alla mia vita da borghese.
Alla mattina successiva, come d'accordo, ci si doveva svegliare presto per rientrare,
invece ci svegliammo verso le otto. In fretta ci vestimmo e rientrammo in caserma, ma in
portineria trovammo l'Ufficiale di Picchetto, il quale ci ferm e ci chiese il permesso. Noi lo
guardammo incerti se raccontare una bugia qualsiasi o dire subito come stavano le cose.
Optammo subito per la seconda soluzione e quando seppe che eravamo della sua stessa
Compagnia and su tutte le furie. Poi per ci fece rientrare.
Quello stesso giorno io fui impiegato per un servizio fuori sede, mentre il mio
compagno, rimasto in caserma, venne convocato dal Capitano e dovette sorbirsi un bel
cicchetto; io invece lo risparmiai.

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I giorni, intanto, passavano e noi pi di qualche sera si andava al cinema e ci
capitava spesso di rientrare oltre lorario di libera uscita. Per questo motivo speravamo
sempre di non incontrare la ronda, la quale avrebbe segnalato la nostra presenza fuori
caserma, sprovvisti di permesso. Capitava anche di uscire prima dellorario di libera uscita;
sembrava quasi che il nostro comportamento mirasse a farci punire.
Una sera, infatti, rientrando verso mezzanotte, mentre si aspettava che il
Capoposto aprisse il cancello, arriv il Capitano dIspezione, il quale in un primo momento
non fece alcuna obiezione. Pi tardi, per, dopo che fummo entrati e chiuso il cancello alle
nostre spalle, ci fece allineare presso il corpo di guardia e ci intim di esibire i nostri
permessi. Poich nessuno di noi ne era provvisto, ci fece togliere le stellette, i lacci delle
scarpe, la cintura dei pantaloni e ci rinchiuse nel locale adibito a prigione dove passammo
la notte sdraiati su un tavolaccio di legno.
Il mattino successivo fummo convocati in fureria dove dovemmo subire una lavata
di capo dal nostro Capitano, il quale ci port pure dal Colonnello. Altra lavata di capo e alla
fine questi ci affibbi cinque giorni di C.P.S. (camera di punizione semplice) che, a
differenza di quella di rigore (C.P.R.), prevede durante il giorno di uscire dalla prigione e
svolgere i vari servizi comandati.
Passarono quei giorni e ne passarono anche degli altri e venne Pasqua. Qualche
giorno pi tardi il 29 di aprile mi inviarono a svolgere un servizio presso il Distretto di
giurisdizione. Si trattava di scortare uno slavo fino a Potenza. Partii quella sera stessa con
una tradotta alle ore 21.30.
Viaggiammo tutta la notte e tutto il giorno successivo, lungo la linea dellAdriatico,
che avevo percorso gi parecchie volte. A Foggia, approfittando del fatto che dovevamo
cambiare treno, in attesa della coincidenza, ci rifocillammo ed io spedii anche delle
cartoline.
Il primo di maggio, alle ore 12.00, arrivammo a Potenza; mi presentai subito presso
il comando del 38 Reggimento di Fanteria, dove lasciai lo slavo. Ritornai subito alla
stazione con lintenzione di prendere il primo treno per Napoli, ma non feci a tempo, il
treno che intendevo prendere era gi partito e il successivo partiva alle ore 18.00.
Avendo del tempo a disposizione, andai a mangiare qualcosa, ma la pastasciutta
era slavata e la verdura era immangiabile; me ne andai con pi fame di prima. Passeggiai
per la zona centrale di Potenza, guardando soprattutto le case ed i negozi, la gente che
passava per lo pi a piedi ed in bicicletta.
Quando mi parve lora, mi diressi verso la stazione per prendere il treno e, strada
facendo, mi comprai dei panini per il viaggio. Giunto in stazione, avendo ancora tempo,
scrissi e spedii delle cartoline, poi salii in treno.
Il treno part puntuale, ma il viaggio risult lungo e faticoso; si arriv a Napoli alluna
dopo mezzanotte e dovetti aspettare fino alle 7.10 per ripartire. Passai quelle ore in sala
daspetto; fortunatamente quella notte gli aerei nemici non si fecero sentire.
Alle 11.30 ero gi a Roma, aspettai solo mezzora e ripartii con un altro diretto verso
Venezia. Passai per Arezzo, Firenze, Bologna e arrivai a Padova alle ore 20.15, mezzora
dopo la partenza della coincidenza per la Valsugana.
Avevo fretta di arrivare a casa perch ero sprovvisto sia di licenza che di permesso,
ero in possesso solo del foglio di viaggio per un itinerario diverso da quello che stavo
percorrendo. Ma la voglia di fare una capatina a casa era tanta, perci passai tutta la notte
a Padova e partii verso Primolano con il primo treno utile.

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A Bassano, in attesa del treno coincidente da Venezia, incontrai mio fratello Gino
che rientrava in caserma dopo il permesso settimanale. Potemmo scambiarci solo poche
parole in fretta e poi ci salutammo.
Era la mattina del 3 maggio ed era mia intenzione di ripartire il giorno 6. Il giorno
fissato per la partenza, alla stazione, trovai un mio cugino (Dalla Costa Gino) che rientrava
pure lui al proprio reparto a Udine. La voglia, per, di prolungare la permanenza a casa
era cos tanta che per ben tre volte alla stazione ci accordammo di partire con il treno
successivo.
Alla fine partimmo alla sera del giorno 7 ed arrivammo a Udine alla mattina del
giorno 8, di sabato. Dovetti aspettare fino alle 10.00 per presentarmi al Distretto a
consegnare il foglio di viaggio e rilasciare un breve rapporto orale. Credevo di finire in
prigione per tutto quel tempo che mi ero concesso illecitamente, ma nessuno mi fece
alcuna obiezione ed io rientrai alla mia Compagnia pi sollevato.
Trascorsero altri giorni, tra un servizio e laltro si alternarono anche dei giorni di
riposo e alla sera la libera uscita. Il 21 maggio marcai visita perch un piede mi faceva
male; il medico mi disse che era uninfezione, per cui mi prescrisse otto giorni di riposo e
ogni giorno mi visitava e mi medicava. Quando fui guarito (era il 28 maggio) mi ritrovai
subito di servizio presso il magazzino foraggi.
Il 29 maggio era di sabato, smontato di servizio rientrai in caserma, mi lavai, mi
cambiai e uscii in libera uscita. Andai al cinema. Il giorno successivo (domenica 30
maggio), dopo la messa, la mattina la passai in caserma, nel pomeriggio invece andai in
libera uscita e con un amico passeggiammo per Udine. Alla sera invece rientrai perch ero
di servizio.
Anche il giorno successivo (luned) ero di servizio dalle ore 10.00 alle 14.00 e con
altri alpini ero comandato di presenziare lo scalo ferroviario della stazione di Udine, dove
arrivavano i treni dalla Russia. Durante questo lasso di tempo arriv proprio un treno di
reduci e noi avvicinammo quelli che si mostrarono pi disponibili a rispondere alle nostre
domande.
Volevamo conoscere la situazione del conflitto, lo stato ed il morale delle nostre
truppe, conoscere comera la gente di quei posti lontani; proprio a proposito scesero da un
vagone due ragazze russe e noi le fummo tutti intorno per vederle e per sentire le loro
impressioni.
Erano due ragazze giovani (di 17 e di 20 anni) e erano sorridenti. Una delle due
parlava un poco litaliano e cos manifestarono il loro gradimento di trovarsi in Italia perch
dichiararono gli italiani sono buoni. Il colonnello le interrog e poi le invi con una
macchina ad un posto di accoglienza, precedentemente allestito.
Alla sera, essendo libero da servizi, uscii in libera uscita e andai al cinema. Il giorno
successivo (1 giugno) mi ritrovai nuovamente di servizio al magazzino foraggi e anche
quella sera, dopo il servizio, mi presentai per la libera uscita ma, inaspettatamente, era
momentaneamente sospesa. Infatti, ci fu ladunata della Compagnia, scelsero alcuni
uomini per un servizio inaspettato e poi acconsentirono alla libera uscita. Ormai era troppo
tardi per andare al cinema e cos mi limitai a passeggiare per Udine.
Alle ore 10.00 del 3 giugno iniziai un altro servizio di quattro ore di presenziamento
allo scalo ferroviario e durante queste ore arriv una tradotta carica di soldati fra i quali
scesero anche 40 donne russe (quasi tutte giovani) e una decina di bambini. Anche loro
furono inviate, unitamente ai bambini, al campo di accoglienza.
Il giorno 4 giugno fu una giornata grigia e piovosa, essendo libero da servizi, mi
annoiai molto e cos alla sera uscii e andai al cinema. Il giorno successivo era il mio

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compleanno e, guarda caso, mi ritrovai di servizio al magazzino foraggi. Arrivato sul posto,
in attesa del mio turno di guardia, mi sdraiai su una branda e dormii fino a che non mi
svegliarono, poco prima delle 11.00, per il mio turno di sentinella.
Ero di servizio da circa dieci minuti quando si present il cambio. Alla mia richiesta
di spiegazioni per quel comportamento insolito il capoposto mi present un biglietto della
fureria dove cera scritto sostituire lalpino Mocellin Domenico e farlo rientrare in caserma
per trasferimento.

Tricesimo
In fureria mi fu detto che ero trasferito presso il distaccamento di Tricesimo con
decorrenza immediata. Preparai allora lo zaino con tutte le mie cose, versai le coperte e
poi verso sera mi fu consegnato il foglio di via. Quella sera per io rimasi per passarla con
i miei amici e partii il giorno successivo.
Al comando di Battaglione di Tricesimo mi registrarono e poi mi inviarono presso la
4^ Compagnia di stanza a Collalto. Presso la nuova Compagnia trovai amici e paesani e
tutti quelli che erano stati distaccati presso l8 Rg. Alpini pur facendo parte di un altro
contingente.
Il giorno successivo 7 giugno mi sembrava un po strano trovarmi nella nuova
destinazione ma, ben presto mi adeguai alla nuova situazione. Il servizio non era pesante,
ogni tanto capitava un turno di guardia e nei giorni liberi, per tenerci in esercizio, ci
imponevano una marcia alla mattina e una nel pomeriggio e poi libera uscita fin che si
voleva. In compagnia dei vecchi amici poi i giorni passavano pi velocemente.
Il 15 giugno, poich erano pronte le autorizzazioni per la licenza agricola, mi
presentai in fureria per compilarla. Il 16 era una giornata piovosa e fredda per cui le marce
furono sospese e noi, bighellonando in caserma, si attendeva che arrivasse
lautorizzazione di partire.
Trascorsero per anche i giorni successivi e di licenza neanche lombra. Il giorno
21, rientrando dalla marcia antimeridiana, si sent dire che la licenze erano pronte. Alla
sera, durante la libera uscita, lo comunicai a due mie sorelle che erano venute a trovarmi,
assicurando che sarei stato a casa, nel giro di un paio di giorni.
Il 22 giugno alcuni partirono per la licenza ma io non ero fra loro; chiesi allora
notizie al sergente maggiore di fureria, il quale mi promise che sarei partito il giorno dopo.
Il giorno successivo per non fui chiamato ed io mi sentivo pieno di rabbia per quella
ingiustizia; seppi infatti pi tardi che nellelenco di quello scaglione avevano cancellato il
mio nome per favorire un altro alpino.
Partii per la licenza (15+3) il 28 giugno e passai a casa diciannove giorni senza
pensare alla naja; rientrai il 18 luglio con due giorni di ritardo, tanto che mi aspettavo di
essere punito, ma nessuno mi disse niente. Gli amici che trovai al rientro in breve tempo
mi fecero passare la malinconia che avevo addosso.
Gia da un po di tempo circolava la voce che saremmo tornati a far parte dell11
Rg. Alpini e noi eravamo contenti perch la sede del Rg. era Bassano del Grappa.
Partimmo infatti il 29 luglio di sera e la notte la passammo a Treviso.
Il giorno successivo al Centro di Mobilitazione mi adeguarono il corredo personale e
poi venni inviato presso il distaccamento dei Pilastroni (un quartiere di Bassano). Quello
che desideravo di pi, data la vicinanza con Primolano, cio la libera uscita e qualche
permesso non si verific. Licenze, permessi e libera uscita erano abrogati, per contro
erano aumentati i servizi e tutto si svolgeva con la massima disciplina.

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Nel frattempo si venne a sapere che Mussolini aveva dato le dimissioni ed era stato
arrestato. A capo del Governo era stato nominato il maresciallo Pietro Badoglio. Per noi
non cambiava niente.

Brunico
Nel pomeriggio del 12 agosto arriv lordine di partire per Brunico e cos ci
preparammo. Quella sera scappai a casa e mi presentai per tempo la mattina successiva,
rispetto alla partenza.
Quando la tradotta pass per Primolano scesi e andai a casa e proseguii il viaggio il
giorno successivo assieme a due amici che pure loro si erano concessi un permesso
arbitrario. Fu un viaggio allegro e spensierato e ci presentammo in caserma verso le 11.00
di sera.
Il giorno dopo, 15 agosto, fummo convocati dal comandante, un Maggiore che si
mostr molto arrabbiato tanto che minacci di mandarci sotto processo. Alla fine per non
prese alcun provvedimento, per il momento.
Il 16 agosto mi assegnarono alla 5^ Compagnia e si cominci subito a lavorare per
preparare le camerate (brande, pagliericci, coperte) per le nuove reclute che cominciarono
ad arrivare quella sera stessa. I giorni successivi comunque ci rifacemmo facendo lavorare
le reclute.
Il 19 agosto mi assegnarono il servizio di attendente di un ufficiale e dopo qualche
giorno me ne assegnarono anche un secondo, ma tutto sommato stavo bene perch a
fronte di qualche servizio per i due ufficiali ero esentato da tutti gli altri servizi di caserma.
Passarono quei giorni di agosto senza novit di rilievo, alla sera andavo in libera
uscita e spesso rientravo tardi, dopo lorario previsto. Il 4 settembre mi pizzicarono in
ritardo al rientro assieme ad altri alpini e risparmiai la punizione di dieci giorni di C.P.S.
solo perch lUfficiale di Picchetto era uno dei due ufficiali a cui facevo da attendente.
Il 5 settembre era domenica e venne a trovarmi un paesano che si trovava a
Campo Tures per lavoro e cos passai il pomeriggio in sua compagnia, alla sera invece
andai al cinema.
Il giorno 8 settembre, rientrando dal mio solito servizio di attendente, mi dissero che
da Trento mi era arrivata la punizione per la bravata del 13 agosto quando, in fase di
trasferimento, avevo abbandonato la tradotta e mi ero presentato con un giorno di ritardo.
Alla sera feci comunque un tentativo per uscire, ma il mio nome era scritto sullordine del
giorno per cui dovetti rinunciare.
A malincuore tornai in camerata con la poco lusingante prospettiva di passare in
prigione le dieci notti successive. In attesa di entrare in guardina per passarvi la notte, mi
recai allo spaccio e notai che tutti erano in stato di eccitazione. Alcuni alpini, miei amici, mi
informarono allora che era stato firmato larmistizio e che la guerra era finita.
Poco dopo infatti, alcuni ufficiali fecero sgomberare lo spaccio e venne lordine di
eseguire ladunata di Compagnia. Il Capitano ci inform che il nuovo governo aveva
firmato larmistizio con il comando delle truppe alleate e che da quel momento i Tedeschi
erano contro di noi. A pensarci bene, pi che festeggiare la firma dellarmistizio era da
spaventarsi per la situazione di trovarsi in quella situazione con i tedeschi contro di noi, in
casa nostra.
Ci venne detto di preparare lo zaino e di tenersi pronti a qualunque chiamata.
Quella notte infatti dormimmo vestiti di tutto punto. Alla mattina del 9 settembre, radunati in
cortile, mentre si attendevano ordini superiori, nella strada fuori della caserma cera un

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gran movimento di civili che scappavano e dietro a questi cerano pure dei militari di altre
caserme. Noi invece eravamo chiusi dentro in attesa di non so che cosa.
Si venne a sapere che il maggiore che comandava il nostro Battaglione aveva
deciso di aspettare larrivo dei Tedeschi. Fra la truppa improvvisamente cominci a
serpeggiare un gran malumore e qualcuno cominci a lamentarsi a voce alta. Alle 10.00
uno dei due ufficiali a cui facevo da attendente mi incaric di andare nella sua camera a
prendere il suo pastrano.
Per la citt vidi qualche squadra di soldati che scappavano. Incontrai anche due
paesani pure loro sbandati. In quel momento pensai di scappare anchio, ma poi pensai di
tornare in caserma a prendere lo zaino.
Rientrato in caserma vidi che in fretta stavano distribuendo il rancio. Distribuirono
poi pagnotte e scatolette a chi ne richiedeva ed io feci un po di rifornimento. Spalancarono
poi i portoni della caserma e ci lasciarono liberi di uscire con o senza il proprio corredo.
Erano appena uscite due Compagnie, una delle quali era la mia, quando
sopraggiunsero i Tedeschi. Io, assieme al mio capitano, mi trovavo in testa e proprio in
quel momento un ufficiale tedesco si avvicin a noi e intim al capitano di far rientrare tutti.
Lufficiale italiano rispose che doveva rivolgersi al comandante del Battaglione,
allinterno della caserma. Il tedesco allora si allontan per cercare il comandante della
caserma e nel frattempo tutti scappammo verso il bosco, prima che giungessero i carri
armati tedeschi.
Dopo pochi minuti udii gridare degli ordini; poich ero al limitare del bosco, mi
fermai ad osservare e capii che erano dei tentativi per far rientrare in caserma quelli che
stavano scappando; nessuno per rientr e allora ci spararono addosso.
Il bosco era disseminato di alpini che scappavano verso la sommit dei monti. Si
trattava delle montagne Plan de Corones a sud/est di Brunico. Quando arrivai sulla cima
con altri alpini fuggitivi formammo un gruppo di una trentina di unit. Cinque veterani: il
sottoscritto, uno di Cismon del Grappa, uno di Strigno e circa venticinque reclute, per la
maggior parte trentini e altoatesini.
Attraverso la sommit di quei monti camminammo tutto il giorno e verso sera
scendemmo sul versante opposto in Val Badia. Erano circa le ore 21.00 quando ci
fermammo e ci accampammo sotto i pini per passarvi la notte.
Alluna circa di notte (10 settembre) un borghese del posto si avvicin e ci avvis
che eravamo in pericolo. Durante il giorno infatti i tedeschi, sguinzagliati ovunque nei posti
strategici della valle, avevano rastrellato molti dei nostri compagni alla macchia come noi.
Discutemmo un po sul da farsi, ma il problema era quello che nessuno di noi
conosceva quelle montagne, nemmeno le reclute trentine e altoatesine del nostro gruppo.
Il borghese del posto allora, su nostra richiesta e dietro un compenso, accett di farci da
guida lungo i sentieri a lui noti. Ci mettemmo cos in marcia e camminammo tutta la notte.
Verso le cinque di mattina arrivammo in una radura ove sorgeva una baracca di
legno. La nostra guida ci fece entrare e, sdraiati per terra, riposammo per unora.
Riprendemmo poi la marcia e camminammo spediti fino a mattina inoltrata.
Ad un certo punto, giunti sulla sommit di un colle, da dove si godeva di un notevole
panorama, il borghese decise di tornare indietro. Prima per ci diede delle indicazioni
particolareggiate sul percorso da tenere.
Dopo circa mezzora che si camminava nella direzione che ci era stata indicata, mi
sentii chiamare per nome. Mi fermai e mi guardai intorno e fu allora che mi accorsi di due
alpini che ci stavano seguendo. Al loro avvicinarsi con gioia mi accorsi che si trattava di
due amici del mio paese pure loro sbandati sulla via di casa.

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Si trattava di Agostino Tonin e Angelo DellAgnolo che naturalmente si unirono al
nostro gruppo e cos riprendemmo la marcia decisi a tutto pur di non farci prendere.
Secondo litinerario di marcia che ci aveva consigliato la guida raggiungemmo il rifugio
Firenze, proseguimmo poi verso il rifugio Bologna. Dopo una breve sosta le reclute che
erano con noi, essendo trentini e altoatesini, proseguirono verso il Passo Pordoi e noi,
rimasti in cinque, scendemmo in Val Gardena.
Durante la discesa per io non mi sentivo tranquillo. Avevo come il presentimento di
andare incontro al pericolo e lo manifestai ai miei due paesani i quali si misero a ridere.
Poco pi avanti per i fatti mi diedero ragione. Fummo infatti avvistati da una pattuglia di
tedeschi che ci spararono con la mitragliatrice. Fortunatamente eravamo al coperto per cui
potemmo nasconderci e far perdere le nostre tracce.
Quando fummo al sicuro ci fermammo a riposare e anche per consultarci sul da
farsi. Io proposi di risalire il monte da cui eravamo scesi e di proseguire per unaltra strada.
I miei amici invece erano contrari per cui bisticciammo un po. Alla fine per si convinsero
sulla la mia proposta e cos, verso le quattro pomeridiane risalimmo il monte,
proseguimmo per unaltra strada in direzione sud e molto pi avanti ci decidemmo a
scendere in valle.
Eravamo quasi sul fondo valle della Val Gardena quando incontrammo un pastore.
Interrogato ci inform che i tedeschi presidiavano le strade pi frequentate della valle e
pochi minuti prima aveva assistito al fermo di un alpino. Infatti, dallalto vedemmo anche
noi la camionetta di tedeschi con lalpino che si allontanava verso il paese.
Ritornammo allora sui nostri passi e ci inoltrammo nel bosco da dove eravamo
venuti e sedemmo sotto i pini, sfiniti e demoralizzati. Nello zaino mi rimanevano tre
gallette, le presi, ne feci cinque parti e le distribuii ai miei compagni di sventura. Quel
pezzo di galletta non poteva certo sfamarci per cui le nostre condizioni erano assai critiche
e il nostro morale al livello pi basso.
Tenemmo un piccolo consiglio, ma non sapevamo proprio che fare. Qualcuno, pi
pessimista disse che prima o poi avremmo dovuto consegnarci ai tedeschi. Io invece ero
dellidea che bisognava continuare il percorso attraverso le cime dei monti, evitando di
scendere a valle. Pur con la pancia vuota, riuscii a convincere anche gli altri e
riprendemmo la marcia.
Scalammo una piccola roccia e giungemmo in una vallata dove cercammo un posto
riparato per passarvi la notte, poich non si poteva continuare il cammino. Trovammo una
sistemazione alla meno peggio sotto i pini ed io ero talmente stanco che riuscii pure a
dormire.
La mattina successiva (11 settembre) era ancora buio quando ci svegliammo per
mettersi in cammino. Con sorpresa constatammo che eravamo rimasti in tre, poich i due
compagni di Cismon e Strigno avevano proseguito da soli a nostra insaputa.
Riprendemmo dunque la marcia e ci portammo vicino al passo Sella. Giunti a quel
punto eravamo indecisi se continuare o meno perch sapevamo che il passo era
presidiato dai tedeschi. Dopo una piccola consultazione decidemmo di tentare la sorte e
proseguimmo.
Fummo fortunati perch dallalbergo del passo i tedeschi erano appena passati
durante il loro giro di perlustrazione. Loste ci offr da bere e cos sorseggiai un bicchiere
di vino, che, a stomaco vuoto, mi fece male.
Proseguimmo comunque la marcia e, passando vicino ad una malga, chiesi del
latte per vedere di stare un po meglio di stomaco e cos fu. Passato che mi fu il malessere
ripesi a camminare con pi lena.

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A pomeriggio inoltrato passammo vicino a Canazei e proseguimmo sempre nella
parte alta del versante della montagna per evitare brutti incontri. Verso sera giungemmo
presso una malga di brava gente dove potemmo mangiare e dormire.
Alla mattina del giorno 12 settembre scendemmo in valle perch dovevamo
attraversarla e risalimmo a mezza costa sul versante opposto. Camminammo
speditamente fino alle due pomeridiane e poi, presi dalla fame, ci fermammo a cucinare
delle patate che avevamo con noi.
Durante quella sosta si avvicinarono due donne e ci informarono che i tedeschi se
nerano andati e quindi avremmo potuto scendere in paese. Sembravano brave persone
per cui ci fidammo e scendemmo con loro nel paese di Moena.
Presso le loro famiglie potemmo ristorarci, mangiare e cambiarsi dabito,
dismettendo la divisa. In borghese infatti avevamo pi possibilit di passare inosservati.
Riprendemmo la marcia e verso sera arrivammo al passo Lusia.
Per passare la notte ci fermammo vicino ad un rifugio. Era domenica e dentro
suonavano e ballavano. Entrammo anche noi e nonostante la stanchezza riuscii a fare due
balli anchio. Quella notte dormimmo dentro al rifugio.
La mattina del 13 settembre riprendemmo il nostro cammino di buonora.
Superammo il col Bricon e passammo vicino a S. Martino di Castrozza, proseguimmo
verso Canal S. Bovo. Prima di scendere in valle, per, passammo la notte.
La mattina del 14 scendemmo in valle, salimmo verso il passo Brocon e alla sera
giungemmo a Castel Tesino. Passammo la notte nelle vicinanze del paese ed il giorno
successivo (15 settembre) salimmo verso Cima Campo, dove arrivammo verso
mezzogiorno.
Ci fermammo un paio dore per rifocillarci e riposare. Da quella posizione potevamo
vedere la Valsugana e il nostro paese. La nostra odissea stava per finire e i nostri cuori
erano pieni di gioia. Eravamo finalmente vicini a casa.
Scendemmo fino al Sorist e ci fermammo da Titon dove contavamo di aspettare la
sera per non scendere in paese in pieno giorno. Verso le quattro del pomeriggio, stanchi di
aspettare, ci decidemmo e attraverso il sentiero delle fontanelle, scendemmo vicino a
Martincelli. Man mano che si scendeva potevamo ancora scorgere la gente per i campi
intenta ai propri lavori.
Quando fummo in fondo valle, essendo ancora troppo chiaro, ci fermammo un po
perch avevamo ancora paura di essere visti dai tedeschi. Poco dopo, per, di nascosto
attraversammo la strada e la ferrovia e con precauzione superammo le case di via Ori. Pi
avanti ci fermammo presso labitazione del mio amico Secondo, il quale ci rassicur che
tutto era tranquillo.
Allora, senza perdere tempo, ciascuno di noi tre si diresse a casa propria.
Il giorno successivo riabbracciammo anche mio fratello Gino; il suo viaggio di ritorno
a casa avvenne per in treno e senza peripezie di sorta.

Domenico Mocellin

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