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Emilio Baccarini
1. Il problema
2. La thia mana e lo stupore della ragione
3. Precategorialit e trascendenza: il naufragio del pensiero come automanifestazione
dell'originario
1. Il problema
Com' noto, l'espressione to pthos tou philosphou posta a titolo di queste note, di
Platone, che vede questa passione nella meraviglia, nello stupore, nel thaumzein.
La filosofia occidentale ha variamente ripetuto questo tema, che qui vogliamo ancora
una volta riprendere per correlarlo alla questione dell'originario.
legittima la domanda che cos' l'originario? In altri termini, legittimo porre la
questione categoriale intorno a un tema che per definizione si pone al di l dell'uso
possibile delle categorie, sia della categorialit ontologica aristotelica, che di quella
gnoseologica kantiana? Di questo particolare oggetto non possibile dire alcunch
e, tuttavia, non nulla, ma non rientra neanche nel qualcosa. L'originario non
qualcosa e non nulla, ad esso non pu applicarsi il principio del fondamento, e
quindi neppure la correlata logica del principio di ragione. Sembrerebbe un al di l
dell'essere. Non neppure semplicemente meta-fisico. La sua presenza-assenza
stata e continua ad essere per il filosofo appunto la sua passione.
In termini descrittivi o fenomenologici possiamo tentare un approccio a questa
assenza che tuttavia si manifesta e si annuncia rompendo con gli schemi della
rappresentazione. Mettendo insieme il linguaggio kantiano e quello husserliano,
possiamo dire che di fronte all'originario la coscienza perennemente modalizzata,
impossibilitata all'esercizio dell'apophansis e quindi della logica che per essenza
discorso apofantico. pre-dato insieme ad ogni datit, ma sempre al di fuori di
qualsiasi prensione intenzionale. Nel pre detta una preliminarit che colloca
l'originario fuori, oltre il limite, unico spazio di applicazione e di esercizio della
categorialit apofantica, ma insieme lo annuncia come condizione del limite e quindi
non dato, bens inizio. L'inizio non origine, e quindi fuori della presa della logica
dell'essenza.
Senza la mania non si d neppure vera poesia: Ma chi giunge alle porte della poesia
senza la mania delle Muse, pensando che potr essere buon poeta in conseguenza
dell'arte (ex tchnes), resta incompleto, e la poesia di chi rimane in senno viene
oscurata da quella di coloro che sono posseduti da mania (245a).
Socrate, com' noto, distingue due forme di mania, una che deriva da malattie
umane, l'altra, invece, che deriva da un divino mutamento radicale delle comuni
consuetudini (265a, corsivo mio). La svolta teoretica che propone poi Socrate, ci
conduce direttamente alla definizione del dialettico come colui che capace di
dividere e unificare per essere capace di parlare e di pensare (266b, cfr. Repubblica
VII, 534 b3-d1), cio colui che capace di guardare all'Uno ma anche ai Molti, cio di
guardare ai molti perch sa guardare all'Uno, ma proprio questa non opera della sola
ragione. Com' noto, infatti, per Platone, la contemplazione dell'Uno corrisponde a
una sorta di ritorno memorativo alla dimensione originaria. L'originario non pu
essere totalmente ri-presentificato, la condizione dell'unificazione, ma in quanto tale
estraneo alla stessa operazione di unificazione. L'originario non pu essere attinto per
via esclusivamente tecnica, la ragione calcolante, la ragione che rende conto, non
possiede gli strumenti adeguati per questo approccio. Il suo compito, in questo
particolare ambito, quello di saper cogliere i luoghi del phinesthai.
Il dialettico colui che posseduto dalla divina mania che in lui opera un
radicale mutamento delle comuni consuetudini. Questa la stranezza del
filosofo, abitare un luogo utopico, il luogo della memoria, che gli permette di riconoscere l'originario che si presenta. Forse per questo, nel termine verit, aletheia,
risuona la potente voce della non-dimenticanza. Il discorso vero quello che sa
ricondurre il molteplice all'unit paradigmatica della memoria di un passato ora
presente soltanto nella dimensione del pathos, dell'affezione pi radicale. Un
pathos divino, per, una thia mana. A partire da queste brevi annotazioni
sarebbe possibile ripensare la dialettica interna della temporalit propria del lgon
didnai, almeno come si poi strutturata nell'Occidente, l'esperienza filosofica come
passato, su cui tanto ha insistito per esempio Hegel.
Pure al passato, ma ora del tutto particolare in quanto fuori degli orizzonti della
temporalit in senso proprio, si riferisce la riflessione cartesiana quando cerca di
rendere conto dell'idea dell'infinito. Tuttavia in questo passato si esprime una
passivit che, in questo caso, non si tramuta neppure in passione, ma evidenzia, in
maniera esasperata, la logica del limite che, per, non meno luminosa nella sua
capacit rivelativa. L'idea di Dio, cos come la presenta Descartes, forse uno dei
luoghi in cui l'epifania dell'originario si prodotta con maggior forza, al di l dei limiti
della stessa ragione e, tuttavia, senza che la ragione ne resti umiliata, bens esaltata.
Com' noto, Descartes presenta l'idea di Dio partendo da una riflessione che
potremmo definire categoriale, cio l'origine delle idee. L'idea di Dio trascende
radicalmente le capacit logico-deduttive dell'uomo. Nell'idea di Dio
il faut considerer s'il y a quelque chose qui n'ait pu venir de moi mme. Par le nom de Dieu
j'entends une substance infinie, ternelle, immuable, indpendante, toute connaissante,
toute-puissante, et par laquelle moi-mme, et toutes les autres choses qui sont [...] ont t
cres et produites. Or ces avantages sont si grands et si minents, que plus attentivement je
les considre, et moins je me persuade que l'ide que j'en ai puisse tirer son origine de moi
seul. Et par consquent il faut ncessairement conclure de tout ce que j'ai dit auparavant, que
Dieu existe; car, encore que l'ide de la substance soit en moi, de cela mme que je suis une
substance, je n'aurais pas nanmoins l'ide d'une substance infinie, moi qui suis un tre fini,
si elle n'avait t mise en moi par quelque substance qui ft vritablement infinie.
La sequenza dei verbi proposta dal filosofo particolarmente illuminante, sono una
sorta di dichiarazione di resa di fronte al mistero che non si presenta
semplicemente come l'ignoto, bens come l'eccesso di luce che acceca. Il
razionalista Descartes non ha timore di usare il verbo adorare che esplicita
certamente il limite della forza dell'intelletto, ma che anche consapevolezza di
contenere un dato-dono (messa in me dice dell'idea dell'infinito Descartes) che
eccede le possibilit manifestative. Riflettendo su questi limiti e riportandoli a un
orizzonte fenomenologico, Levinas ha riproposto il testo cartesiano in un contesto
decisamente originale. Nel saggio Dio e la filosofia Levinas scrive:
L'idea di Dio, cogitatum di una cogitazione che di primo acchito la contiene -- [...] -oltrepassa ogni capacit; la sua realt oggettiva di cogitatum, fa saltare la realt formale
della cogitazione. Ci rovescia, ante litteram, la validit universale e il carattere originario
dell'intenzionalit. Diremo che l'idea di Dio fa saltare il pensiero che -- investimento, sinossi
e sintesi -- non fa altro che rinchiudere in una presenza, rap-presenta, riporta alla presenza o
lascia essere.
Forse proprio la dialettica tra non e in che giustifica il fatto che il filosofo, ma
direi ogni uomo che si interroga sul senso dell'esistenza, possiede la passione
dell'originario come quella nascosta, presente-assente, riserva di senso in cui
custodito il segreto e che proprio per questo attrae e sollecita e che continua quindi a
porre interrogativi, anzi che fa della vita e della riflessione un'interrogazione. per
questa domanda ultima che lo abita che l'uomo essenzialmente un interrogante. Con
un linguaggio paradossale possiamo dire che l'interrogativo umano intorno
all'originario ha la struttura di una risposta. un'autentica esperienza e, tuttavia,
senza giudizio, esperienza quindi meta-logica e meta-fisica, in cui lo stupore, origine di
ogni conoscenza, viene meno in quanto lascia il posto ad un'angoscia radicale.
Forse Kant, pur nella lucidit delle sue analisi, l'autore che pi ha percepito il senso
dell'angoscia confessato nella percezione del limite e, insieme, nella necessit della
posizione dell'incondizionato che un altro nome per ci che chiamiamo originario.
La lucidit, apparentemente fredda lucidit, della proposizione con cui Kant apre la
sua Critica della ragion pura una sconcertante confessione di quella situazione
originaria che si diceva, in cui cio l'interrogazione piuttosto un tentativo di risposta.
Credo la si possa definire uno dei luoghi pi veri dell'emergenza della coscienza
dell'originario. Rileggiamola in questa ottica:
Ho riportato per intero questo passo per la sua decisivit, anche se bisogna notare che
Kant qui parla ancora di ente riferendosi a Dio, prestando il fianco all'accusa che gli
verr mossa di situarsi ancora nell'onto-teologia. Ma allora la situazione dell'uomo
quella di permanere nell'oscillazione o, questa pu essere oltrepassata in qualche
modo? Che cosa possiamo sperare?, per dirla ancora con lo stesso Kant.
La domanda ultima della filosofia esige che questa venga abbandonata per trovare una
risposta. La passione per l'origine ci fa divenire increduli e infedeli di fronte al
sentiero del giorno.
L'impossibilit dell'esercizio della logica categoriale, della fenomenologia, per
l'approccio all'originario, ci costringono quindi, a cambiare radicalmente registro. La
passione del filosofo diviene essa stessa modalit di pensiero, ma di un pensiero
rivelativo, per utilizzare il linguaggio di Luigi Pareyson. Nel pensiero che pensa
nella verit, che ascolta l'originario, questo viene a manifestazione, sebbene sempre
nella forma del limite o della cifra. Il Novecento ha assunto questa consapevolezza
quando ha cominciato a pensare ermeneuticamente. L'ermeneutica per, non
soltanto interpretazione, bens una comprensione parlante che nel suo dire
rivelazione. Dall'esperienza alla rivelazione, o, anche dal logos al mistero. Infatti la
comprensione parlante che si fa rivelazione anche coscienza che ci che viene a
manifestazione stato semplicemente dato, o ascoltato. Se si riprendesse il nostro
discorso da questo punto dovremmo ripetere completamente in un'altra ottica tutta
l'argomentazione che ci costringerebbe a ripensare Heidegger e la sua prospettiva del
linguaggio dell'essere, ma anche a compiere una svolta che il pensiero contemporaneo
non ha ancora fatto completamente. L'originario viene a manifestazione perch parla,
e l'uomo parla perch ascolta. Ma allora il dire dell'uomo non suscitato soltanto da
un'esperienza, non ha un contenuto che si costituito a partire da s, bens
ripetizione di un ascolto, comunicazione e testimonianza di un dono ricevuto.
Risposta e responsabilit. Forse il luogo pi prossimo dove l'originario viene a
manifestazione l'esperienza religiosa. Il senso ultimo di queste affermazione
un'implicito riconoscimento del limite della filosofia stessa che, in fondo, presenta una
struttura che possiamo definire provocatoriamente atea, non potendo fare ricorso
che a se stessa per rendere ragione del mondo. Si tratta forse di una ricorsivit che
manifesta l'impossibilit di attingere il fondamento. L'essere , questo l'inizio della
filosofia, ma alla domanda perch l'essere , al mistero dell'essere, non in grado di
fornire una risposta. Il mistero precede e segue il sapere.
Copyright 1999 Emilio Baccarini