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Di Giorgio Meletti

Quasi un anno fa, l’11 giugno 2008, Giuseppe Zaccaria, perito industriale di 47 anni, è
morto insieme a cinque colleghi in uno sconvolgente incidente durante un intervento di
manutenzione al depuratore di Mineo, in provincia di Catania. All’indomani della
tragedia il presidente del Senato Renato Schifani (Pdl) ha preso un solenne impegno:
“Dobbiamo porci il problema delle misure necessarie per far in modo che i
familiari, gli eredi delle vittime, ed in particolare i minorenni, possano avere un futuro
così come sarebbe stato loro assicurato se il loro genitore fosse rimasto in vita”. Anna
Finocchiaro, capo dei senatori Pd, non è rimasta indietro: “Il mio appello è che lo Stato
eroghi a quelle famiglie i sostegni che deve con la massima premura”. Lo scorso 1
maggio, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha conferito a Zaccaria e
alle altre vittime la “Stella al Merito del Lavoro” alla memoria. Circostanza
sicuramente di conforto per le famiglie, ma non idonea a dare proporzioni dignitose
alla pensione ottenuta dalla moglie di Zaccaria e dal figlio di dieci anni: 762,93 euro al
mese. Un trattamento perfino sontuoso in confronto a quello concesso alla vedova di
Giuseppe Palermo, un’altra vittima di Mineo: non avendo più figli a carico, la signora
deve farsi bastare 544,95 euro al mese.
La storia delle pensioni Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) ha
una peculiarità: fa vergogna vista, per così dire, dal basso, ma ha un aspetto dubbio
anche “dall’alto”. Infatti i soldi per pagare pensioni più decenti alle vittime del lavoro
ci sarebbero: le imprese versano all’Inail molto più di quanto l’istituto paghi agli
assicurati. La differenza, circa un miliardo e mezzo di euro all’anno, finisce nel
calderone della Tesoreria dello Stato, sostanzialmente incamerata per abbattere il
deficit e il debito pubblico. Un miliardo e mezzo è un bel pezzo della Finanziaria di
ogni anno. E per questo non pochi imprenditori lamentano che buona parte dei loro
versamenti all’Inail sono di fatto una tassazione aggiuntiva, che azzoppa soprattutto
le piccole aziende facendo crescere il costo del lavoro. Mentre, in un quadro caotico
della finanza statale, non manca chi a mezza bocca giustifica il mezzo improprio e
“fantasioso” con il fine nobile di recuperare parte dell’evasione fiscale.
Negli ultimi anni in Tesoreria, cioè nelle casse dello Stato, si è così accumulato un
tesoretto di 14,2 miliardi di euro proveniente dagli avanzi di gestione dell’Inail. Una
cifra che non produce neppure interessi, “un capitale straordinario, che si potrebbe
investire per la sicurezza e per i lavoratori”, ha detto il commissario straordinario
dell’Inail, Marco Fabio Sartori, quarantaseienne ex combattivo deputato leghista, che
ha promesso: “Mi impegnerò per risolvere la situazione e non dispero di avere risultati
concreti”.
Crede poco all’ottimismo di Sartori il presidente della Confartigianato, Giorgio
Guerrini, cinquantenne imprenditore di Arezzo, anche lui combattivo, che sta
studiando con i suoi collaboratori un ricorso alla giustizia europea per far cessare
quello che nei suoi uffici giudicano un vero e proprio scippo. Le imprese artigiane
(tutte quelle fino a 22 dipendenti che non siano società per azioni) assicurano 3,8
milioni di lavoratori, e versano ogni anno all’Inail circa 2,3 miliardi, pagando un premio
medio attorno al 4,6 per cento della retribuzione lorda. Dal momento che gli incidenti
sul lavoro, nonostante tutto, stanno costantemente diminuendo, il settore potrebbe
pagare all’Inail molto meno, abbassando il costo del lavoro di un buon 2 per cento.
Infatti l’Inail paga alle imprese artigiane prestazioni per circa 1,3 miliardi, versando
allo Stato un avanzo di un miliardo. Analoga la situazione per la gestione del settore
terziario, mentre i conti dell’industria sono in sostanziale equilibrio e quelli
dell’agricoltura sono in netto deficit.
La voglia di giustizia europea per Guerrini aumenta ogni volta che rilegge il decreto
legislativo n. 38 del 2000, che stabilisce in sostanza l’obbligo per l’Inail di adeguare le
tariffe ai suoi bilanci, cioè di abbassarle quando i soldi avanzano, oppure aumentare le
rendite. Ma questo prelievo dalle imprese è ormai irrinunciabile per i conti pubblici, e
quella legge viene ignorata da nove anni. Adesso la partita si gioca sulla Finanziaria
2010, per la quale i propositi degli artigiani sono bellicosi: si abbassino le tariffe, si
aumentino le prestazioni, discutiamo in che proporzioni, ma la stagione degli
“sconticini” è finita. Adesso le imprese chiedono che sia completamente azzerato
l’avanzo di gestione dell’Inail, come legge comanda. “La revisione delle tariffe Inail
dovrà essere fatta”, conferma il sottosegretario all’Economia Luigi Casero, “si tratta
di una partita complicata, non è semplice decidere la misura e i modi del
riallineamento. Se ne occuperà il ministero del Welfare”. La divisione del lavoro di
governo prevede in sostanza che il dicastero retto da Maurizio Sacconi studi con le
parti sociali le ipotesi tecniche di revisione, mentre sarà l’Economia a valutare quale
“colpo” i conti pubblici siano in grado di sopportare.
L’unica cosa certa è che nessuna pensa più al recupero degli oltre 14 miliardi
inghiottiti finora: soldi che non torneranno più indietro, e che lo Stato, a torto o a
ragione, considera suoi. Come hanno dimostrato i recenti provvedimenti per il
terremoto in Abruzzo, con i quali si è chiesto all’Inail di investire 830 milioni di euro in
nuovi edifici pubblici all’Aquila. E prima ancora l’uso di soldi Inail per costruire le
piscine per i prossimi mondiali di nuoto di Roma.

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