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trimestrale dellassociazione Diabolus in Musica

transatlantico

VENTURINI danza GIOVANNI PASETTI opinioni CARLO SERRA arte PIERGIORGIO ODIFREDDI intervista

numero _ Primavera 2008

SANDRO CAPPELLETTO omaggio a messiaen SANDRO GENNARI E UBALDO ZUNICA suono LEONARDO
ZUNICA pianoforte MICOL FERRETTI incontro CRISTIANO TASSINARI sacre du printemps GIOVANNA

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trimestrale dellassociazione Diabolus in Musica

transatlantico

numero _ Primavera 2008

editoriale

omaggio a messiaen

Questa musica ci riscatta tutti;


non ci riporta dove siamo, ma a
quello che siamo.

Giunti al quinto anno di attivit con Diabolus in Musica abbiamo il piacere di presentare un nuovo importante
progetto, un organo di approfondimenti e riessioni attorno al mondo della musica e dei linguaggi performativi
che le nascono attorno: danza, teatro e tutte quelle discipline che dalla musica stessa traggono punto di
partenza, soprattutto nell ambito di quello che potremmo, e forse troppo semplicemente, denire il
contemporaneo. Proprio nellascolto di quello che per noi signica essere ed indagare il e nel nostro tempo,
ci siamo immediatamente e tranquillamente sentiti vicini ad un sentimento di passaggio, una inclinazione,
una propensione - come direbbe Karl Popper - verso lattraversamento. Nomadi ed emigranti ad un tempo.
Transatlantico deriva da questo movimento. Ma anche la visione di un approdo verso un territorio di conne
in cui operare e stare certo non troppo comodamente, attivando aperture, intrecci, modulazioni, fermate.
Come primo editoriale ci pare ora sufciente ringraziare tutti quelli che hanno partecipato alla compilazione
effervescente di questo numero zero, innescando ipotesi e soluzioni. Ringraziamo quindi Sandro Cappelletto,
musicologo di rara ed eccezionale profondit e disponibilit; ringraziamo Piergiorgio Odifreddi che ci ha
permesso di pubblicare la sua intervista a Karlheinz Stockhausen, il grande compositore tedesco recentemente
scomparso; ringraziamo Carlo Serra, che ci fornisce sempre preziose letture angolari; ringraziamo la casa
editrice Spirali che ci ha concesso la pubblicazione di un articolo di Sandro Gennari e Ubaldo Zunica; ringraziamo
Fernando Lafelli, Roberto Piccinini, Rocco Osgnach che ci hanno fornito il materiale fotograco; ringraziamo
le istituzioni locali e gli sponsor che ci permettono di continuare il non facile lavoro che abbiamo scelto;
ringraziamo il Notturno, che continua a giocare con noi.

redazione
Leonardo Zunica

La redazione di transatlantico

Giovanna Venturini
Micol Ferretti
graca Paola Pradella

Langelo del Tempo

hanno collaborato
Sandro Cappelletto
Piergiorgio Odifreddi
Carlo Serra

di Sandro Cappelletto

Cristiano Tassinari
Giovanni Pasetti
si ringraziano
Spirali-the second renaissance
Societas Raffaello Sanzio
Circolo Culturale Il Notturno
Afro Somenzari

Questa musica ci riscatta tutti; non ci riporta dove siamo, ma a


quello che siamo. Quella sera, alla ne del concerto, un prigioniero, uno
dei cinquemila che nella baracca VIII C dello Stalag di Goerlitz, in Slesia,
avevano ascoltato la prima esecuzione del Quartetto per la ne del Tempo
si avvicin a Olivier Messiaen e sent il bisogno di dirgli queste parole.

Roberto Piccinini
Rocco Osgnach
Roberta Gottardi
stampa FDA Eurostampa

CRETA ENGINEERING

EDILIZIA RESIDENZIALE CHIAVI IN MANO

di Borgosatollo BS
in copertina
foto di Fernando Lafelli
info transatlantico@gmail.com
Associazione Culturale
Diabolus in Musica
Via Eremo, 37/A
Curtatone Mantova
www.diabolusinmusica.org

Service

sas

MALAVASI
DEMOS

Era il 15 gennaio 1941, la temperatura oscillava attorno ai quindici


gradi sotto zero. Scritto nelle latrine di quel campo di concentramento
per prigionieri di guerra, e per i musicisti e gli strumenti che avevo, per
cos dire, sotto mano, era nato un brano pi forte della disperazione.
Capace di sovvertire lumiliazione e le privazioni cui quei prigionieri erano
sottoposti ogni giorno, di restituire, sia pure soltanto per il tempo della
sua esecuzione, lorizzonte della speranza.
La ne del Tempo signica per me la ne delle nozioni stesse di passato
e di avvenire, dir Messiaen, che si ispira ai primi versi del Capitolo X
del Libro dellApocalisse, alla gura dellAngelo che annuncia la ne del
Tempo e linizio del tempo senza tempo delleternit.

ALLESTIMENTI FIERISTICI IN ITALIA E ALLESTERO

SCALE-PORTE-SERRAMENTI

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Il cattolico Messiaen, che non accettava lirrevocabilit della morte,


avrebbe scritto questo Quartetto se non fosse stato catturato dallesercito

tedesco invasore della Francia e rinchiuso per otto mesi in quello Stalag
dove il freddo, la fame, le malattie, le durissime condizioni disciplinari
imposte dagli ufciali nazisti, rendevano la sopravvivenza dei prigionieri
una quotidiana scommessa? E se non avesse avuto la fede?
Lui al pianoforte, Henri Akoka, che era di religione ebraica, al
clarinetto; Etienne Pasquier, il violoncellista, era agnostico, ma credeva
nella divinit: La musica di Schubert divina, diceva. Jean Le Boulaire,
il violinista, si dichiarava ateo. Anche le opinioni politiche di quei quattro
soldati, e musicisti, e prigionieri, erano piuttosto differenti. Ognuno si
impegn al massimo delle proprie possibilit per consentire a quella musica
nuova di nascere. Il Quartetto per la ne del Tempo ha otto movimenti:
i sei giorni della creazione si prolungano nel sette dello shabat, del
riposo, che diventa lotto della luce indefettibile, della pace che non si
pu pi profanare.
Olivier Messien (1908-1992), che le alterne vicende del gusto e
delle censure hanno fatto troppo poco conoscere al pubblico italiano,
ripropone con il Quartetto lo scandalo di una musica che salva. Figlia del
proprio tempo, e capace di oltrepassarlo.
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suono

Libera la voce
di Sandro Gennari e Ubaldo Zunica
a colmare il vuoto, a mostrare qualcosa in luogo dellassenza da
cui sorge la voce. Nellisterico sforzo di mantenermi entro la linea
espressiva del bel canto, dimentico chi si deve rammentare dell
emissione e cos la voce uisce liberamente, calda e vellutata.
Dimentico la tecnica, ci che serviva a liberare una voce che non
era mai stata prigioniera. Era sconosciuta, allora, e adesso la voce
stessa che la trova. Ora io sono la voce, ora la voce me..

Se non canto la voce


cessa di esistere
per sempre, senza
che io ne abbia
lintenzione n il
minimo sospetto.

Se ho paura, se esito, se mi preoccupo posso perdermi;


se la voce vacillasse con lomeostasi non ne rimarrebbe traccia,
sarebbe letteralmente annichilita: che cosa, chi mi trattiene dunque
dal forzare, dal tentare almeno quellequilibrio da funambolo che
sempre meno regge le coordinazioni? Lunica soluzione sarebbe
quel fare scarsamente denibile che si chiama e sembra ora un
lasciarsi andare, ora un gettarsi a capotto nella risposta somatica,
sempre imprevedibile, noiosa e spaventosa a un tempo, a seconda
dei momenti. Ma allora, secondo la parabola Zen, se non si fa
qualcosa daltro, del tipo mangiare una fragola, solo perch si
convinti di essere l. Quasi sempre, ci si crede. Ma il cantante, se
non sorretto, alitato da quel nulla perfetto che la voce solo
un tizio qualsiasi in preda a una crisi psicomotoria, che pu essere
dilettevole e remunerativa o dolorosa e spaventosa a seconda del suo
ordine cerimoniale. Lo dimostra il cantante, specialmente quando
espressivo e gigione, che canta sulla propria voce in play-back.
Lorchestra, la scena e il pubblico congurano il tempo reale
della rappresentazione come un qualcosa di rispettabile. La durata
mimpedisce di riprendere dallinizio e magari dimpiegare la mia
vita a recuperare loccasione perduta. Il suono ideale cui tendo
compromesso dacch lideale vocale s allontanato come un
satellite che ha perduto la propria orbita.

SOCIETAS RAFFAELLO SANZIO

Torno a casa una sera e non c pi nessuno. A quel punto


non mi resta che pregare il buon senso, secondo il quale nulla si
distrugge, ritrovando al tempo stesso intatte antiche evocazioni
rituali e cerimonie propiziatorie. Resta il fatto che quando
nalmente torner dovr credere ancora una volta in un miracolo:
non milluder pi di possederla o di poter scansare la dolorosa
altalena dellestasi e della disperazione. Lunica mia speranza sar a
quel punto di potermi abituare a sopportare questo dolore, come
in certi romanzi ove si compiono fatiche a prima vista impossibili
eppure perfettamente verosimili, come si arguisce dal tono della
descrizione.
Solo se bevete al ume del silenzio voi canterete veramente
(Gibran). C chi ha preso alla lettera le parole del poeta, come il
cane azzanna il dito che gli indica la luna, e cos ha rinunciato a
parlare, ha giocato ad ammalarsi perch una voce gli bisbigliasse
alloccorrenza che non era pi vero, che era guarito, che non era
ancora nato.
Uno di costoro, famoso tenore degli anni cinquanta e
sessanta, parlava a gesti e inviava circolari domestiche come un
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ministro della real casa. opinione diffusa che poi cantasse come
avrebbe contato comunque, ma tutto stava in quel gioco, perch
il ume del silenzio non un ume, il silenzio non il silenzio ed
entrambi sono qualcosa che sorprende dopo che ume e silenzio
sono stati dimenticati altrove come cose inutili. Quando invece
invocato, il silenzio riconduce alla perdita completa di quei ricordi
che equivalgono a un passato cos prossimo, cos vicino da aforare
alle mie labbra come un canto...
***
Allora non mi resta che il cantare, una cosa davvero poco
incoraggiante: riuniti i pezzi cerco di starmene raccolto nellattimo
che immobile percorre la durata dell emissione, attimo perch
il medesimo in ogni punto di essa. Perch paradossalmente vivo
il continuum dell emissione nello spazio di un istante, come dal
centro vuoto di una ruota, e non come una serie di istanti sia pure
uguali: le qualit sono allora fatti, cio fantasmi pi che possibilit,
come un quadro interamente dipinto al primo tocco del pennello.
E da questo luogo, convinto di un assoluta trascendenza penso
al signicato espressivo che meglio si adatta a riempire la cavit,

Il tenore Pavarotti ha detto in unintervista che lacuto lurlo


controllato dellanimale, ma pi preciso dire che si tratta di un urlo
umano trasceso, perch per poterlo produrre avr dovuto situarmi
in anticipo nel luogo della sua emissione, luogo che conosciamo
solo io cantante e la mia voce imitando latteggiamento della
preghiera.
Se si perde la geometria del controllo vocale non so cosa
pu succedere. Potrei smaniare, urlare, dimenarmi per rendere
verosimile lemissione del suono, comunque non ci sar canta. Mi
riterr fortunato se riuscir a evitare dincrinare il suono steccando.
***
Limpasse mi suggerisce che sta dominando una ricerca
ancora acerba, o un malessere provvisorio, e non so come darle
torto: non sempre lo stato di grazia, cos evidente nel cantante,
lo solleva con la letizia che solo il cantare pu mostrare in atto
trasformandolo in una specie di effervescenza, anche se si tratta
in fondo di quel che di stupido si pu rintracciare dopo una buona
esecuzione. Non sempre si manifesta annunciandosi con leterna,
improvvisa sensazione che la voce abbia atteso no ad allora per
venire alla luce. Qualcosa pu ottundere, ostruire, interporsi. Si pu
cercare di identicare questo qualcosa, ma ovviamente dannoso,
perch si nisce il pi delle volte per dare credibilit a una causa, che
acquisisce cos il diritto di arrestare lemissione. Uninammazione,
una tensione, uno spasmo, una debolezza, un qualsiasi sintomo
o ipocondria (cose che il cantante produce sempre in eccesso, nel
numero e nel nome), tutto viene allora a iniggere persecutoriamente

alla voce turbata le torture della prigionia. E si cerca di uscirne per


potervi rientrare.
Devo riprovare, cantando, attendere qualche attimo,
rimanere in ascolto, dislocarmi con prudenza nei punti cardinali
dellimposto vocale sciogliendo i nodi e le esitazioni di una voce
muta. Posso richiamarmi a qualche vecchia formula demissione
che ha gi funzionato (Tieni il suono sopra! Distendi il respiro
ecc...) o a qualche schema gurato delle sinergie (Pensa a
quellarcata...). Meglio ancora se riesco a svuotarmi, mentre lAltro
- che non dimentica come si canta - mi suggerisce il fonema, la
tonalit, lespressione cantata che trasciner fuori il suono reticente
- il solo reticente responsabile di questo mutismo che mi richiama
allimpotenza, che minaccia di trascinarmi inconsapevole nellinferno
dellineluttabile e delleterno, nella maledizione dove la voce si perde
e viene perduta, nello scacco della dialettica dellimbecillit (Che
far senza Euridice).
Arrivare incolume signica esser prossimo a perdere ogni
nozione del reale: impossibile esitare ulteriormente. Eppure,
proprio ora che lacuto devessere scagliato, paradossalmente
devo attendere: aspetto che qualcosa salga alla supercie, che
qualcosa prenda ato in mia vece e che sinsinui aderente sotto
gli zigomi cominciando a zampillare dalla fronte. In quel momento
sento quella sua vita che non posso comandare, che posso soltanto
chiamare, o incantare per farla uscire da una cesta entro cui
giace avvolta, perch abita il mio albero respiratorio e ora germoglia
proprio tra i miei occhi. La sento e la vedo come se quella cavit
potesse contenermi interamente e da quel luogo potessi assistere
allo svolgersi dellevento vocale.
Devo scagliarla, ma con delicatezza, senza lo strappo della
catapulta anche se la sua dinamica di leva ne rafgura efcacemente
il movimento ascensionale a capriola. Devo accompagnala con
decisione, sollevandola insieme allarcata del velo palatino che
come un sipario si apre nello sbadiglio, leggermente, come riesso
del repentino contrarsi del diaframma. Lacuto deve staccarsi da
me come un gabbiano che decolli accompagnato e sostenuto dalla
provvidenziale folata di vento.
Se la trattengo la soffoco, se la lascio mi sfugge. Sembra che
la mascella compia il movimento opposto a quello della mandibola,
che venga sollevata da una forza estranea che si deve imparare
a conoscere, e che lintera maschera facciale si stacchi per essere
proiettata lontano, come se la testa perdesse il coperchio rivelando
improvvisamente un interno vuoto. Qui, ogni nozione ortodossa del
corpo lascia il posto a ogni logica singolare, alle impressioni che
competono al soggetto, pi o meno inquietanti o sentite.
Il suono si cos liberato, sinalbera con intenso e morbido
fragore nellaria come un fusto tenuto no allora prigioniero. Vibra
intorno a me come un alone di luce, chiaramente percepibile bench
n ludito n la vista possano suggerirne la forma. il rovescio di
una pressione, una forza centripeta che alleggerisce, fresca e meno
densa dellaria. Cos, docile, il suono si presta a essere cesellato:
posso dischiuderlo, allargarlo, farlo orire, riempirlo, smussarlo,
dargli un colore, abbandonarlo. Emana bagliori, raccoglie presso di
s tutti gli armonici che riesce a disperdere nellaria e avvolge nella
trasparenza tutti gli spazi di risonanza che gli sono concessi.
da Spirali, N 35 Novembre 1981
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pianoforte

The times machine


Il Makrokosmos I di George Crumb

di Leonardo Zunica

Da bambino mi piacevano i libri che parlavano


della preistoria. Le gure dei fossili, sassi con
le immagini brune ed immobili di una pianta o
di un insetto corazzato, mi rappresentavano la
testimonianza del tempo, un tempo prima di
me, immenso e profondo. Un tempo spesso,
incastonato nella pietra, che potevo in qualche
occasione toccare con le dita, appiattendolo.
Il tempo la sostanza di cui son fatto, dice
Borges.
Guardavo spesso, come molti altri bambini,
anche i libri che descrivevano la civilt egizia,
maya, aztecha, ipnotizzato dalle scritture
acuminate, segni impressi nella roccia e
nellargilla. Scritture-fossile.
Quei sassi e quei libri erano macchine del tempo.
Macchina del tempo il Makrokosmos di George
Crumb, monumentale raccolta di 48 fantasypieces per pianoforte, composta fra il 1972 e
il 1979 - curiosamente mi riscopro ossessionato
dal tempo anche nellascolto di altro: Vortex
Temporum (1995) di Grard Grisey, una
caleidoscopica immersione nella pura durata del
suono, e poi una composizione dellamericano
Paul Moravec, The Times Gallery (2000), che
mi ricorda in qualche modo i Pink Floyd.
La lettura del Makrokosmos mi rimanda
indietro, a visitare luoghi che si contraggono,
e si spandono, al contatto con la tassonomia
che compongo leggendo i titoli dei 12 pezzi
del primo volume: suono primordiale (primeval
sound), genesi, abisso, galassia (non posso non
pensare banalmente al monolite, sasso sinistro,
e al viaggio spazio-temporale di 2001 Odissea
nello Spazio). E ancora: atlantide, fantasma
(phantom), crocixus, proteus.
Il Makrosmos I mi rimanda indietro anche in un
altro senso. Rivolta il mio corpo di esecutore, lo
riporta a qualcosa, forse, di pi essenziale. Il mio
corpo ridiventa corpo toccando e pizzicando le
corde, percuotendo la tavola armonica o il telaio
di ghisa del pianoforte, come mi richiesto
dalla partitura. Ridivento corpo intonando o
schiando, allinizio quasi imbarazzato, sillabe

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rituali e magiche degli Indiani dAmerica (anche


qui un lm mi torna alla memoria: Stati di
allucinazione di Ken Russell). Ma liniziale
imbarazzo non era, inne, cha una spia: riscopro
una sicit lontana, sepolta nella tecnica. Il
pianoforte diventa un oggetto totale, una cosa,
e lo scopro come fanno le mie nipoti che hanno
poco pi di sei anni in due, percuotendolo.
Il Makrokosmos pare la traduzione acustica dei
libri di Marius Schneider. Composta ora di grida
o di sillabe magiche, ora di gemiti o di rumori
articolati (Schneider), la musica di Crumb
riporta il cosmo alla propria natura sonora,
come fosse un immenso strumento musicale,
un gigantesco diapason dalle cui vibrazioni la
materia si accorpa di volta in volta:
In origine vi erano soltanto dei suoni, che a
poco a poco si trasformarono in materia. Ma,
grazie alle opere e ai viaggi circolari degli di,
questa materializzazione si comp in epoche e
su piani differenti. Il suono emesso da est, per
creare lo spazio e la primavera, era gioioso. Sul
piano stellare, esso fece sorgere il sole, sul piano
del tempo, la luna e laurora, sul piano della
terra, il suolo umido (da Marius Schneider, La
musica primitiva).
Il Makrokomos, alla ne, un tentativo di
scandagliare la storia, e con essa la storia della
musica, e ricostruire entrambe in percorso non
pi lineare, ma circolare. L emersione improvvisa
di melodie popolari americane, di brani tratti
da Chopin o da Bach, come fossero archetipi
musicali, gli permettono di creare un universo
sonoro originale ed originario, in un organismo
di pura materia acustica. La storia della musica
diventa allora, in questa specie di anamnesi,
sistema comprensivo di ogni suono e ogni
memoria, un vertiginoso d abissale paesaggio
sonoro.
Crumb ci dice che i suoi modelli pianistici di
riferimento sono i Preludes di Claude Debussy e
il Mikrokosmos di Bela Bartk. Dal primo cattura

linteresse per il timbro, per il suono in s. Del


secondo segue, mi pare, la volont di esplorare
ogni campo sonoro, partendo da un interesse
fondamentale per i repertori musicali etnograci,
no a varcare le soglie dei fenomeni sonori pi
inudibili - il tutto mi ricorda, del compositore
ungherese, i misteriosi gracidii del pianoforte in
Klange der Nacht (Musica della notte), forse il
primo esempio di rumore di fondo nella storia
della musica.
Ma mi trovo anche invischiato in un che di
sinistro, allascolto e nellesecuzione di questo
lavoro. Suppongo sia la presenza dispiegata
della morte. Una morte che non pi giusticata
o puricata, ma solamente elencata, detta.
Nominata o invocata. Se in alcuni Preludes di
Debussy la morte sempre in qualche modo
percepibile ma mai udibile, ancora piegata
dentro il suono, nel Makrokosmos essa sinscrive
nello spartito, sia nel suo valore simbolico e
trascendentale, come nella partitura a forma
di crocisso, sia nei momenti in cui devo
pronunciare, quasi fossi un sacerdote del bene
o del male, il suo nome.
Crumb non pu non accennare, nella nota
introduttiva del Makrokosmos, ad un verso di
Rilke, che rimbalza come una sillaba sacra detta
in un tempio:
E, la notte, la terra pesante si separa da tutte le
stelle e piomba nella solitudine. Noi precipitiamo
tutti. E tuttavia esiste Qualcuno che tiene
delicatamente e innitamente questa morte fra
le mani.

George Crumb nato nel 1929 negli Stati Uniti.


Nel 1968 gli viene attribuito il Premio Pulizer per
la musica. Vive negli Stati Uniti.

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sacre du printemps

sacre du printemps

appunti
scenografici

Cronaca di una Prima Vera


di Micol Ferretti

...questa sala di lusso il simbolo dellerrore


commesso nel dare in pasto unopera di forza
e giovinezza a un pubblico decadente. Pubblico
esausto, adagiato nelle ghirlande Luigi XVI,[...],
nei cuscini di un orientalismo di cui dovremmo
serbare rancore al balletto russo. In siffatto
regime si digerisce distesi lungo unamaca, si
caccia via il vero nuovo quasi fosse una mosca.
Esso infatti disturba.

Parigi, Thtre des ChampsElyses. 29 maggio 1913.


Diaghilev,
limpresario
teatrale artece dei balletti
russi, nonch amante
padrone del suo pupillo
Nijinsky, ha stabilito per
scaramanzia che la prima de
Le Sacre du printemps deve
tenersi nellanniversario del
Faune. Il pubblico parigino
adora Diaghilev.
La mondanit dei frac e
delle piume di struzzo, delle
scollature ornate di perle,
ha decretato in anticipo il
successo della Sacre perch
non pu pi fare a meno
delle atmosfere languide e
sensuali offerte da quella
che reputano avanguardia.
Nulla prelude allo scandalo,
sarebbe
un
affronto
imperdonabile. E poi una
prima che unisce in stretta
collaborazione Stravinsky,
Nijinsky e Roerich, un
boccone troppo prelibato per
paventare unindigestione.
Il bar nel foyer zeppo
di mani che arraffano
stuzzichini, cocktail, mani
che gesticolano amabilmente indicando le star del
momento: Debussy, Ravl, Casella, Malipiero. Alle prove
generali artisti e letterati hanno applaudito facendo
cenni dintesa, battezzando con i migliori auspici il
grande debutto.
Eppure, qualcosa non v. Locchio attento di Cocteau
nota che al anco di turbanti e pantaloni a sbuffo scivola
una folla indistinta di abiti da passeggio, accompagnata
dai cenci sbrindellati degli esteti che acclamano il
nuovo per il solo motivo che detestano chi siede nei
palchi. Questo certo non basta, ma Parigi quella sera
non sa di fare storia, di essere in uno di quei punti dove
il destino si diverte ad avvicinare gli opposti per farli
esplodere. A sipario ancora chiuso Pierre Monteux d
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il via alle prime battute, e questo basta. Cento elementi


intonano in pochi istanti una primavera che viene dalla
terra spossata, gli accenni melodici sono frammentati da
suoni assordanti o striduli, perch se una nuova vita deve
nascere, deve anche lottare contro il ricordo dellinverno.
Quella di Stravinsky un interpretazione biologica,
molecolare, del risveglio naturale. Lavanguardia stimata
dei balletti russi sommersa in un caos intollerabile. Chi
sta sbagliando? I palchettisti ne sono certi, e riprendono
al volo il testimone del gusto che avevano incautamente
lasciato a Diaghilev e compagnia. Qualcuno deve pagare.
Quando il palcoscenico si apre, mentre Stravinsky
sincupisce di fronte alle incalzanti offese a suo nome,
qualcuno zittisce Ravel, entusiasta della composizione,

con uno sporco ebreo!. Le bordate di schi riempiono


la sala. Il mostro ha spalancato le fauci ed affamato.
Trova tuttavia pane per i suoi denti negli applausi
contrapposti di chi ha capito la portata dellevento,
musicisti, intellettuali, o di quei giovani studenti in piedi
che semplicemente non sopportano la boria della classe
dirigente. Gabriele DAnnunzio ironizza sugli stupidi
incivili. Debussy tace. Sui palchi, mentre la contessa
Ren de Pourtals giura che in sessantanni per la prima
volta qualcuno si preso gioco di lei, una dama non si
trattiene dal far risuonare un ceffone sul volto paonazzo
di un giovane musicista francese. Qualcuno si sda a
duello. Ma la musica continua, il direttore dorchestra
guarda con un occhio i violini e con laltro il direttore del

teatro, che a sua volta si sgola per chetare il pubblico.


Terminata la prima parte nessuno riuscito a seguire una
nota o un solo passo della coreograa di Nijinsky. I pi
riottosi sono cortesemente accompagnati dalla polizia
fuori dal teatro. Quando la macchina teatrale riparte un
nuovo uragano si scaglia sul corpo di ballo, che nella
scena del Sacricio fa cerchio intorno allEletta e non
permette di individuare il solista, la parte virtuosistica
di cui la borghesia va ghiotta. La centralit del gruppo,
della pesantezza dei corpi vincolati al terreno il
fulcro dellidea di Nijinsky, perch lumanit che vuole
rappresentare glia della gravit. La dimensione
verticale propria della danza accademica negata da
un orizzonte di carne pesante. Era prevedibile questo
dal glio dellaria, colui
che della leggerezza era il
primo discendente?Anche
i ballerini continuano
imperterriti
nei
loro
movimenti, tra le grida e
gli sghignazzi, ma il volume
talmente assordante
che riescono a mala pena
a sentire lorchestra. in
quel momento che dietro le
quinte si consuma una verit
preclusa agli spettatori,
unimmagine che testimonia
forse il primo e ultimo vero
incontro tra il compositore
russo naturalizzato francese
e il ballerino ucraino di
origine polacca. Stravinsky,
che aveva abbandonato le
prime le dopo pochissimi
minuti dallinizio, si dirige
dietro il palcoscenico e
trova Nijinsky in piedi su
una sedia, in calzamaglia,
che marca ogni singola
battuta prendendo a pugni
le quinte. Gli si avvicina, e lo
sostiene no alla ne dello
spettacolo, in un abbraccio
scomposto e commuovente
come solo pu darsi tra due
colossi feriti. Lo spettacolo
nisce. La massa di gente, scandalizzata, si dirige come
ogni sera dopo teatro al ristorante di lusso Larue. Vuole
dimenticare in gran fretta laccaduto. Ci che rimane di
quella sera anche una frase di Diaghilev, pronunciata
poco prima della mezzanotte, leco nale capace di
rovesciare la storia: proprio quello che volevo.

Progetto Sacre du Printemps


per la rassegna Eterotopie altri luoghi 2008
di Cristiano Tassinari
Lautore lillusione dun cretino.
Perch lopera, se tale , senza autore.
Carmelo Bene
Presentare le sacre du printemps signica
confrontarsi con unopera epocale, un
avvenimento fondamentale per la storia della
musica e della danza che ha marcato linizio
della ricerca contemporanea. Allepoca, infatti,
apparvero destabilizzanti sia la violenza della
partitura di Stravinskij che il lessico espressivo
concepito da Nijinskij il quale aveva messo a punto
un linguaggio che la danza moderna avrebbe
fatto sua solo qualche decennio pi tardi.
Ci che vorrei offrire unopera sottratta
che non mira a disporsi in un ordine. Questa
scenograa vuole riscrivere e ricontestualizzare
radicalmente lopera di Stravinskij, portarla
alla perdita irreversibile, al depistaggio
deliberato. Idealmente vorrei aprire il lavoro alla
contaminazione, alla citazione, al dialogo fra i
testi, permettendo di scovare la profondit nella
supercie in modo da creare uno svolgimento
formale contratto, capace di unanalisi verticale.
Il senso profondo de le sacre du printemps
si annida nella bellezza drammaticamente
anarchica della natura umana e nei suoi aspetti
misteriosamente irrisolti. Unopera dove il
basso e lalto sono indissolubilmente uniti ad
un senso di sessualit feroce primigenia come le
interpretazioni che nel corso degli anni si sono
eseguite come quelle di Preljocaj o Pina Bausch.
Questultima, ad esempio, coglie una direzione
innovativa, riscoprendo la capacit dei corpi di
parlare di temi universali, attraverso lessenzialit
e lutilizzo critico del gesto quotidiano. La
mia sar una versione tecnologica dove la
gabbia di cristallo lmica sar il corpo divenuto
(s)oggetto.
Provenendo dalle arti visive, ho maturato un
rapporto con limmagine lmico-fotograca
diverso, come qualcosa che offra una nuova
prospettiva, pura, senza condizionamenti,
un paradosso che interferisce anche con il
suo naturale e duplice ruolo, di erosione e
prelievo della realt. La sda della ripresa video
sar riuscire a conservare il suo fascino come
immediato sguardo sulla realt e, al tempo stesso,
mostrare la natura sconcertante del suo essere
veicolo per comprenderla (penso allutilizzo che
ne fanno i media). Voglio dunque costringere
linterlocutore a distogliere lo sguardo da quanto
appare scontato, per guardare gli angoli della
nostra esperienza.

nelle foto
Stravinsky, Nijinsky, Diaghilev, Malipiero
Debussy, Ravel, Roerich, Monteux
Casella, Cocteau, DAnnunzio, Poulenc
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opinioni

danza

Sonorika IV

Progetto Stabile di Diabolus in Musica

Larte ci perseguita. Specialmente in Italia, specialmente qui. Ha

di Giovanna Venturini

camminato lungo millenni e storie, ha imposto la sua presenza nella


quotidianit, ha cercato di parlare, di ingannare.
Si dimostrata autonoma rispetto al pensiero razionale, ambigua in
relazione ai sentimenti, costosa, inefciente, sovrabbondante,
fastidiosa, importuna, logorroica. Ha scelto le tecniche, ed
sfuggita di mano a coloro che delle tecniche si credevano
maestri. rimasta un fantasma per gli alunni del sapere,
che cercavano nei dizionari il modo pi semplice per
rammentare gli artisti. Ha sdato - nel secolo
scorso - la riproducibilit dellimmagine, del
suono, del romanzo. Si introdotta nelle
multisale, colorando di brandelli demozione
inquadrature sfuggenti di fronte ad un
pubblico amorfo. Ha sgambettato la
marcia rettilinea dei pianicatori
di idee. morta nei dattiloscritti,
ha sorato la supercie opaca di
copertine sessiste.

fuggita, sparita.
Ed riapparsa.
Raccontare un lavoro di danza, tradurre
in parole un linguaggio sico, rileggere il percorso
compiuto, spiegare la genesi di uno spettacolo, di un
progetto creativo, prendere il distacco sufciente e
necessario, senza indulgere ad una n troppo scontata
autoreferenzialit, non cosa facile.
Se c poi qualcosa di complesso da afferrare e denire
verbalmente, questa la danza. Se c qualcosa di cui
difcile parlare questo uno spettacolo, che vive solo
per il tempo del suo farsi, del suo avvenire momentaneo,
portando con s il carattere peculiare della non
durevolezza e realizzandosi sul lo di molteplici variabili
e particolarissime alchimie.
Tuttavia, dopo aver accolto linvito che mi stato
rivolto, mi accingo a svolgere larduo compito con lucida
sensibilit, augurandomi di esserne allaltezza.
Sonorika IV, come molti dei progetti realizzati in questi
anni da Diabolus in Musica, nata nel segno di una
fertile mescolanza di differenti linguaggi espressivi e si
realizzata attraverso collaborazioni e incontri folgoranti,
che hanno portato ognuna delle personalit coinvolte
nel progetto ad un profondo e reale investimento di s,
delle proprie energie creative, delle proprie e personali
idee artistiche.
Pi che di uno spettacolo inteso in senso tradizionale si
trattato di un evento performativo, di unesperienza visiva
e uditiva, di un piccolo viaggio nelle diverse dimensioni
della forma, di unesplorazione della complessit dei
linguaggi contemporanei.
Un primo elemento che vorrei sottolineare la duplicit
della performance, considerando sia il punto di vista
del pubblico che quello degli interpreti. Il pubblico
era infatti invitato a compiere un percorso, a spostarsi
quindi sicamente allinterno della suggestiva cornice
delle Fruttiere di Palazzo Te, osservando il lavoro da
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unangolatura particolare e continuamente variabile,


che solo un punto di vista ravvicinato pu offrire,
suggerendo particolari e dettagli che il palcoscenico, per
sua stessa conformazione, tende a proteggere. Daltra
parte gli interpreti lavoravano in spazi ristretti, angusti,
sagomati dalla luce e delimitati dalla presenza stessa
del pubblico, il cui sguardo veniva necessariamente
percepito come molto presente e incalzante. Inoltre, la
musica permeava interamente lo spazio, invadendolo
di suoni che provenivano da molteplici fonti sonore
collocate lungo tutto il perimetro delle Fruttiere.
Il lavoro stato ideato, concepito e costruito attraverso
lincontro tra la ricerca musicale di tre giovani
compositori italiani gi noti nellambiente della musica
contemporanea e lopera di un pittore mantovano, che
ha fatto della ricerca sul colore lessenza stessa del suo
percorso artistico. Il movimento, lazione sica, la danza
erano il ponte sottile tra la musica e la tela, diventando
corpo del suono e del colore.
Posso affermare con assoluta certezza che stato molto
difcile per le danzatrici creare una partitura sica
adatta al lavoro compositivo di Stefano Trevisi, Luigi
Manfrin e Corrado Malavasi, i cui suoni apparivano
ruvidi, scomodi, faticosamente strappati al silenzio,
con durezza, con asprezza e che, nello stesso tempo, si
mantenesse fedele al signicato potentemente simbolico
contenuto nelle tele del pittore Marco Culpo, senza
dimenticare la dimensione coreograca, lespressione
di una qualit sica, la coerenza strutturale e la ricerca
di segni precisi, anche nellassenza di un signicato
univoco e certo.
C poi un altro aspetto che mi preme sottolineare
e che riguarda la modalit stessa in cui il progetto
stato realizzato. Durante tutta la fase di montaggio si
lavorato nella ricerca di un dialogo costante, senza

che mai nessuna delle discipline artistiche coinvolte


prevalesse sulle altre, ma obbligando necessariamente
ciascuno degli interpreti a mettere il proprio lavoro al
servizio del progetto, non rimanendo soltanto fedeli
alla propria personale necessit creativa ed espressiva.
In questa grande generosit, in questo spirito
collaborativo, in questo faticoso obbligarsi a tenere
costantemente conto del lavoro degli altri, ugualmente
importante, ugualmente fondamentale e irrinunciabile,
ciascuno ha forse scoperto qualcosa che per Eterotopie
importantissimo: una dimensione dellascolto aperta,
attenta e curiosa.
Non so dire in tutta onest se il progetto abbia
funzionato, per altro il compito di esprimere giudizi
va lasciato al pubblico e non afdato a chi stato
direttamente coinvolto nella realizzazione di un lavoro,
ma posso affermare con un certo margine di certezza
quale potesse essere lo scopo di Sonorika. Portare la
danza fuori dai luoghi tradizionali, sperimentando come
il corpo trasforma lo spazio che lo accoglie, cos come la
percezione dello spazio muta se attraversato da azioni e
suoni. Creare atmosfere ricche di molteplici suggestioni
in cui ciascuno dei linguaggi artistici coinvolti continuasse
a rispettare una sua autonomia, ma allo stesso tempo
contribuisse a creare una realt altra, unatmosfera
in cui ogni elemento fosse necessario alla percezione
dellintero lavoro.
Non so se abbiamo colto nel segno, se abbiamo
raggiunto lo scopo, se abbiamo davvero creato la
possibilit di compiere un viaggio nella complessit che
la contemporaneit porta con s, ma so che ciascuno
ha tenuto fede al proprio ruolo di interprete, capace di
contattare domande, interrogativi, suggerire percorsi,
aprire nestre, misurarsi con il limite e la difcolt,
rischiare, entrare in territori nuovi, senza riposta alcuna,
senza certezza.

Se di qualcosa ci possiamo
vantare, infatti, in questi anni
dominati da un vago senso di
nausea, di esserci liberati dalle
costrizioni estetiche, ovvero dalla
pretesa di imporre lanalisi del testo
ad un Testo multiforme che reclama
innanzitutto la propria libert.
Merito di una generazione nata negli
anni del boom, abbastanza furba da
nascondere la propria pervasiva inuenza
e, pur nello sfrenato individualismo che la
contraddistingue, dalla Nutella a Internet,
in sostanza solidale e mossa da un impeto
comune.

I Caroselli seminati nelle nostre menti ci

Metafora della situazione ad esempio la parassitaria vita dei vampiri celebrata nei
libri e nelle pellicole popolari da autori diversi e spesso notevoli; o la germinazione dei
telelm - singoli acquari desistenza debordanti nellattesa collettiva; o il rigoroso e
ossessivo perdurare di musiche seriali che spostano il ritmo dalla parte vuota, l dove
pu emergere il silenzio.

di Giovanni Pasetti

I linguaggi
dellarte,
qui e ora

hanno insegnato a distinguere la rappresentazione


dalloggetto, il piacere dal desiderio, linvenzione dalla
sofferenza.
Se questo non si tradotto immediatamente nella presa del potere inventivo - come
i nostri fratelli maggiori reclamavano - si deve in special modo ad un rapporto con la
realt trasversale, divertito, sarcastico. Un atteggiamento di tranquilla sda consentito
da un ventennio di vacanza politica, una ri-creazione in cui persino gli spettri del terrore
cedevano davanti allinutilit di ogni meccanismo totalizzante.
Come sempre avvenuto negli albori e nel declino delle civilt, dunque, larte ha perso
la rma, divenuta anonima e per questo terribile, ha invaso la vita di chi artece
non , producendo, tra milioni di processi di download, il suo effetto singolare. Per
caso o per sorte, tale posizione di privilegio viene ancor pi accentuata dallimperante
conformismo, sfondo grigio che lo sguardo attento interpreta come lavagna scura su
cui vengono tracciate - anche sopra i corpi pulsanti - righe di commento, frammenti
poetici, gesti, intenzioni.

Non so quando la collana di creazioni disperse trover un archeologo del futuro pronto
ad archiviarla, componendo i dettagli di un progetto mai intrapreso, una statua di cui
sar proclamata la bellezza e che sser i nostri posteri primitivi con occhi inammati.
Per fortuna, inniti momenti cadranno nella dimenticanza completa e potranno cos
essere straticati nellesperienza collettiva.
Ma di un punto non potremo mai fare a meno, artisti volontari o involontari. Del rigore,
del brivido del rigore, ovvero dellatteggiamento che per un attimo ci spinge a credere
dessere parte del destino. Lasciandoci stanchi e delusi, talvolta affranti e spossati.
Come il genio ripeteva, scrollando la sua grossa testa: Cos deve essere.
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incontro

Fidarsi

bene
non sdarsi meglio

il suono
come
evento
di Carlo Serra

I n t e r v i s t a

a d

A f r o

S o m e n z a r i

d i

M i c o l

F e r r e t t i

Da dove iniziare questo breve cammino


biograco? Mi hai appena svelato il tuo
splendido motto per il nuovo anno: darsi
bene, non sdarsi meglio. Propongo
unintervista a gambero che parta dalla ne, da
questo momento, allinfanzia di Afro Somenzari.
Daccordo. Non facile, capita che le cose diventano
punti fermi di unesistenza solo perch si ricordano
meglio. Innanzitutto ho fatto moltissimi lavori. Mi
sempre piaciuto creare le cose dal niente, e mi sempre
capitata la fortuna di lavorare in questo modo. Quello
che svolgo oggi come direttore al MUVI di Viadana credo
sia sino ad ora il pi affascinante. Faccio un primo salto
indietro. Durante i primi anni 90 ero stato chiamato a
dirigere la galleria civica Bedoli un pittore minore
del 500, nato a Viadana, cugino del Parmigianino.
Fondata la galleria, dopo otto anni me ne sono andato.
Ho fatto il venditore di libri, subagente di una casa
editrice. Nel 2001, inne, mi stato chiesto di creare
da una vecchia scuola elementare completamente vuota
quello che oggi il MUVI. Dunque faccio il gallerista,
organizzo eventi, mostre,... ma non posso tacere del
mio secondo lavoro. Il mattino, a Guastalla, in un R.S.A.,
ovvero una Residenza Sanitaria Assistenziale. Mi occupo
da dieci anni di anziani che hanno problemi di memoria,
di motricit e di linguaggio. Quella memoria sica che
permette di ritrovare gli oggetti nei cassetti o lutilizzo
del telefono. Cerco di far recuperare i movimenti basilari
delle mani, del braccio, per renderli il pi possibile
autonomi, attraverso esercizi molto semplici e lutilizzo
di materiali poveri, pezzi di legno, carta, spago. Sono
due lavori che adoro e che non vedo cos distanti.

depositario della patasica. Baj, mio carissimo amico,


stato il promotore della patasica italiana. Ha scritto uno
splendido tomo edito da Bompiani intitolato Patasica,
didattico ma non pedagogico, patasicamente parlando.
Ha inoltre inaugurato listituto mediolanense. Dopo
qualche anno Nespolo ha istituito quello di Torino. Io mi
sono detto: perch non farlo anche a Viadana?
Baj il Satrapo, massima carica patasica, come i vari
Dario Fo, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, mi ha
presentato ai francesi, i quali mi hanno nominato
Reggente per la promulgazione della patasica in Italia.
Come Istituto Patasico, fondato nel 1994 a Viadana,
abbiamo organizzato due incontri: una kermesse di un
giorno nel 1998 a Pomponesco, e nel 2001 due giorni a
Casalmaggiore, manifestazione in cui abbiamo coinvolto
una compagnia parigina di teatro che ha rappresentato
una prima mondiale, assurda e grottesca, di Alfred Jarry
intitolata Parlataille.

scoperto Jarry, la patasica, un terreno da cui pescavano


a piene mani surrealisti e dadaisti. Insieme ad un amico
abbiamo provato a creare quello che no ad allora era
stato qualcosa di passivo. Un piccolo sodalizio per cui io
disegnavo, e il mio amico faceva le fotograe. Invece di
andare al bar o ballare ci chiudevamo in camera oscura.
Da l in poi non ho mai smesso di dipingere, scrivere
poesie,... Mi hanno pure pubblicato, senza pagare
ovviamente, due libretti. Direi di concludere questa
conversazione con una poesia serissima:

LIstituto ha sede a Viadana e hai dei collaboratori,


o organizzi personalmente tutto quanto?
No, anche la sede patasica. Era casa mia, questufcio,
o da questo momento anche casa tua. Sai che la patasica
si propaga per contagio. Il principio anarchico alla base
di tutto. Per esempio un satrapo francese, intorno al 50,
aveva stabilito di non mangiar pi pane patasico per
cinquantanni. Ha boicottato lIstituto francese no al
2000. E cos stato. Disoccultato lIstituto, hanno fatto
una grande festa nella cattedrale di Chartres, a cui sono
stato invitato come rappresentante in seconda battuta
dopo Baj. Ricordo con emozione la spirale sul pavimento
della cattedrale, simbolo per eccellenza della patasica.

Incerta e smarrita
paura la paura
Incerta elasmarrita

La sabbia della clessidra risale i coni di vetro.


Facciamo un ulteriore salto, ai tuoi primi contatti
con il mondo della patasica, la scienza
delle soluzioni immaginarie, che accorda
simbolicamente ai lineamenti le propriet
degli oggetti descritti per la loro virtualit,
denizione tratta da Gesta e Opinioni del Dottor
Faustroll, Patasico, romanzo neo-scientico di
Alfred Jarry.
Ho ben tre diplomi. Sono stato ordinato dal grande
Enrico Baj, Trascendente Satrapo e Imperatore Analogico
della patasica milanese, da Ugo Nespolo, la parte
torinese, e dai francesi, il titolo che forse ha una marcia
in pi. La Francia ha dato i natali ad Alfred Jarry, paese

Da dove parte il subbuglio di emozioni che ti ha


fatto appassionare allarte?
Ho studiato ragioneria, e non ho mai fatto il ragioniere.
Mi piacerebbe sottolinearlo. Non ho nemmeno fatto
il militare. Ma torniamo ancora pi indietro, agli inizi.
Durante la mia infanzia ho avuto una fortuna e una
sfortuna. La fortuna di avere un padre pittore, la sfortuna
di perderlo troppo presto. Un anno prima della sua
morte, a trentasette anni, quando io ne avevo appena
dodici, ha completamente cambiato modo di dipingere,
una tendenza che denirei surrealista. Lo guardavo
sempre mentre dipingeva, sfogliavo i libri darte, un
gioco che mi entusiasmava. Da subito, direi dai miei
quindici anni, mi sono appassionato al dada. L ho

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per questa notte per questa notte


Che resiste affaticata
Che resiste affaticata

Della cifraDella
checifra
ungeche
e divora
unge e divora
Il velato occhio

Il velato occhio

Come il cuore
nomade
Comediil un
cuore
di un nomade
Che conosce
conosce del
del tempo
tempo lala penombra
penombra
Che
Tutto sembraTutto
farsisembra
corpo farsi corpo
Tutto appartiene
vento al vento
Tuttoalappartiene

Cosa si rappresenta nel Concerto (attestato dal


1618) di Bartolomeo Manfredi? La domanda sembra
fuor di luogo, perch evidente che in esso si coglie
un gruppo di musicisti presi nellesecuzione di un brano
musicale, mentre si ascoltano: si sono incontrati attorno
ad unantica ara, per far musica assieme, ed i loro volti
sono rapiti nella pratica di un ascolto reciproco. Una
misteriosa polifonia di sguardi sembra abbracciare
i protagonisti del quadro: il liutista guarda lontano,
inseguendo lintonazione del proprio strumento, mentre
il suonatore di cornetto legge la propria parte, o forse,
va approntando una qualche variazione alla linea
melodica del tema. Il cantante sta atteggiando la bocca,
come se stesse preparandosi al canto, e, mentre guarda,
esplicitamente, verso il pubblico, il suo sguardo taglia la
prospettiva del quadro, rivolgendosi direttamente verso
di noi, che stiamo guardando la scena. Siamo dietro al
pubblico o dentro al quadro?
Siamo stati collocati dietro la linea dellorizzonte,
tracciata dal taglio prospettico, guardando dalla stessa
direzione del pubblico, ma leggermente arretrati, quasi
di sghembo, rispetto al punto di visione degli ascoltatori,
come se ci avvicinassimo, da lontano, alla scena che si
va delineando, un poco come se entrassimo in un teatro,
dove si sta svolgendo una rappresentazione, in ritardo,
e guardassimo al palcoscenico, mentre cerchiamo la
nostra poltrona. Siamo cos dentro e fuori la scena, in
qualche modo viviamo una trasversalit, che deve avere
un proprio peso. Cosa vuole suggerirci il dipinto, con
questa dialettica interna fra centri? Guardiamo ancora:
gli altri musicisti stanno emergendo dalla penombra,
come accade per lo strumentista ad arco che vive in
una penombra, rischiarata dalla candela, che anche
lorizzonte di provenienza del suono. Cogliamo qualche
allusione nella distribuzione chiaroscurale della luce,
come se, anchessa fosse, in qualche modo, in diretta
polifonia con il suono e il volto dei musicisti: essa
prende forza proprio sulla prima fascia del quadro, e va
spegnendosi sullo sfondo, consegnando tutte le gure
alla penombra. Una luce che illumina, e che si spegne, un
punto luminoso che fa emergere i personaggi dal buio,
una rappresentazione dellaccendersi e dello spegnersi
del suono. Lidea di una allusione alla dimensione
della profondit, legata allilluminazione frontale, cos
contrastata, che si attenua sullo sfondo, sembra quasi
rimandare il quadro ad un valore metaforico, come
se limmagine avesse voluto alludere allaprirsi del

arte

CONCERTO
di BARTOLOMEO MANFREDI

processo sonoro dal silenzio, ed al suo riconsegnarsi ad


esso. Esso irrompe, i musicisti, lo accompagnano, come
accade nello sguardo perso del liutista, si illumina, ed
inne va spegnendosi, come se buio e silenzio fossero
un orizzonte di provenienza e di arrivo, e mutassero di
consistenza guardiamo al processo nel tempo il buio sta
per essere tratto dalla luce, il silenzio sta per riempirsi
di suono e cos buio e luce, suono e silenzio, si sono
polarizzati in un processo, che ne rilegge le funzioni, che
li vede come ora come fasi in continua transizione. In
questo gioco, si rovesciano i rapporti rappresentativi:
mentre entriamo frontalmente nel quadro, il suono ci
si fa contro, in modo altrettanto frontale, ma in una
direzione opposta: lo sguardo accompagna il nostro
sbilanciarsi in avanti, verso la fonte sonora, che ci attrae,
mentre ci abbandona.
I musicisti sul proscenio, fra ombra e luce, sono il tramite
di un suono che arriva dalloscuro, collocato dietro e
davanti loro. La nostra posizione e quello dellarrivo
del suono sono cos in tensione speculare. I musicisti
sono gure sul proscenio, lo abitano, ma sono punti
di irradiazione di un evento che debbono inseguire,
ombre attraverso cui il gioco dei movimenti incrociati
pu prendere forma, e la musica , naturalmente, tutta
per loro, sono loro che la producono, ma, allo stesso
tempo, sono funzioni del suo modo di darsi, funzioni
che polarizzano laccadere del suono come evento: fa
forse parte di unestetica di tipo caravaggesco lidea
che il punto di fuga del quadro, il momento in cui la
rappresentazione comincia ad assumere profondit, sia
collocato a anco della testa del cantante, in quel punto
oscuro che sta tra la mano che tiene sospeso il foglio, e la
sua testa, ma certo questo gesto stilistico sembra porsi in
risonanza concettuale con queste piccole metafore. Quel
punto di fuga ha preso forma tra la mano e la testa, per
noi che guardiamo, come direbbe forse Paolo Spinicci,
che ci ha regalato studi profondi attorno al rapporto
tempo, gurazione, crea il proprio punto di risonanza
attorno ad un concetto, che drammatizza spazialmente
un processo temporale. Il pittore ha costruito limmagine,
per raccontarci la profondit del suono, la sua capacit
di occupare tutto lo spazio disponibile, per arrivare sino
a noi, che non potremo ascoltarlo, ma che ne vediamo
la forma diffusiva in immagine. Il suono un movimento
che ci abbandona, che dobbiamo inseguire.

Rispetto alla dialettica sviluppata da quel centro, si


inseguono ora due direzioni, al tempo stesso speculari,
ed opposte, che contrappongono la diffusione della luce
e del suono, rispetto alla posizione dello spettatore: il
suono arriva dal fondo del quadro, mentre la luce si
muove in senso opposto. Lo spettatore ingollato dal
centro del quadro, dal punto di scaturigine sica del
suono, che si va espandendo, come in un movimento
attrattivo, alla ricerca del punto di provenienza del suono
stesso, giocata dallespansione corporea del suono come
forza, come direzione che lo costringe ad inseguirlo.
Unimmagine ci ha parlato del suono come processo ed
illumina, per quanto pu, un concetto: viene spontaneo
chiedersi se sia possibile il contrario, se vi sia una forma
attraverso cui il suono ci parli di unimmagine. Il suono
non contiene immagini, un oggetto temporale, mentre
limmagine rimanda esplicitamente alla spazialit, alle
forme di rappresentazione della cosa nello spazio:
possibile mettere in contatto due dimensioni che
sembrano agli antipodi? In che modo un suono evoca
un oggetto, in che forme rimanda ad una cosa che
non sia solo lorizzonte sonoro della sua provenienza?
Molti problemi si intrecciano fra loro, eppure non
potremmo dire che si debba immediatamente escludere
la possibilit di un nesso, fra due piani cos lontani nel
mondo dellesperienza: un intero repertorio di strutture
simboliche viene attivato, ogni volta che evochiamo
questo rapporto. Inniti brani musicali hanno dei titoli,
e cos esiste un esercito di forme rappresentative, che
attraversano la dimensione del musicale, a cominciare
dalla pacica constatazione che la musica, da sempre,
accompagna dei testi, e quindi immagini, concetti, che,
attraverso il suono musicale, prendono un proprio colore,
articolano in modo pi plastico il proprio signicato.
Potremmo essere tentati di far cadere tutto il problema,
ma potremmo anche chiederci, ridimensionando
lorizzonte messo in movimento dalla prima domanda in
che modo le immagini vivano nel suono, su che terreno
pu prendere forma una correlazione fra oggetti tanto
diversi. Le rappresentazioni del processo sonoro, le
metafore che vorrebbero illuminarlo dallinterno, sono
moltissime. Proviamo ad osservarne qualcuna, cercando
di offrirne una gradazione discorsiva, di trovare una
regola che ne sostenga le forme rappresentative: in
questo caso, vorremmo contrapporre allimmagine del
suono, unimmagine del suono che resta, unimmagine
delleco.
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intervista

KARLHEINZ
STOCKHAUSEN
ROBERTA GOTTARDI
in Harlekin di Karlheinz Stockhausen.

di Piergiorgio Odifreddi

ma le sue esperienze corporee e mentali sono speciche, e non si possono ad esempio


paragonare a quelle di un animale o di una macchina: ecco, certi autori o interpreti
riescono a trasmettere la specicit dellesperienza umana.

Karlheinz Stockhausen stato, negli anni 50, lenfant prodige della musica elettronica, e ne ha composto i primi capolavori, a partire dal Canto della
giovent del 1956. In breve la sua inuenza si estesa dalla musica colta no a quella popolare, come testimonia la sua foto tra le celebrit canonizzate
dai Beatles sulla copertina del loro Sgt. Peppers.
Vulcanico autore di pi di 300 opere musicali e di oltre 3000 pagine di Testi sulla musica, gi nel 1970 aveva prodotto tanto da poter riempire da solo
il programma di sei mesi ininterrotti di concerti giornalieri della durata di cinque ore e mezza, eseguiti in uno speciale auditorium alla Fiera Mondiale di
Osaka, a benecio di un milione di spettatori.
A 76 anni, ormai uneminenza grigia della musica contemporanea, Stockhausen ha da poco nito di comporre il ciclo Luce o I sette giorni della settimana,
iniziato nel 1977 e della durata complessiva di 29 ore. Dal 6 al 13 novembre scorsi ne ha presentati larghi assaggi in una settimana di concerti a Bologna,
Modena e Reggio Emilia, durante la quale labbiamo intervistato.

Ma si riesce solo attraverso ludito, o anche con gli altri sensi?


Secondo me gli occhi sono estremamente limitati: vedono solamente la supercie del
mondo e dellesistenza, che non altro che unillusione. Sarebbe interessante vedere
dentro le cose e comprendere la verit della materia, ma non possiamo arrivarci neppure
coi microscopi. Le orecchie, invece, possono entrare in un mondo molto pi complicato
e molto pi ricco: la musica pu creare relazioni fra le pi ni vibrazioni delluomo, e
anche trasmetterle.

Vorrei cominciare da Studio I, la sua composizione del 1953 che viene


considerata il primo pezzo di musica elettronica mai scritto. A un matematico
il suo metodo di scrittura sembrerebbe ispirato allanalisi di Fourier e
Helmholtz dei suoni come combinazioni di note pure: corretto?
Effettivamente ho composto quel pezzo formando delle sequenze a partire da suoni
sinusoidali. Ho scelto sei intervalli naturali, descritti da rapporti di numeri interi, e ho
trasposto le loro frequenze in tutto il registro di ascolto, dilantandole e comprimendole
nel tempo. Alcune sezioni le ho anche trasformate mediante riverberi, utilizzando
una camera speciale per questi effetti che ho trovato nello studio radiofonico di
registrazione.
Erano suoni isolati, o scale?
In Studio I suoni isolati, ma in Studio II sono partito da una scala. E per evitare ogni
intervallo naturale, descritto da un numero razionale, ho suddiviso lottava in cinque
parti uguali: cos ogni tono era descritto da un numero irrazionale, la radice quinta di 2.
Ho registrato le cinque note della scala, individualmente, poi ne ho messe due insieme,
poi tre, e cos via: era il 1954, e fare queste cose era tecnicamente molto difcile. Poi ho
tagliato il nastro con le forbici, ho incollato gli estremi in un anello (loop), e ho passato
il tutto nella camera di riverberazione.
E il risultato qual stato?
I suoni sinusoidali di partenza sono diventati rumore, sibilanti come le consonanti ``c,
``s o ``sc. Poi ho ripetuto su questi rumori il procedimento precedente (taglio, incollo,
riverbero), dando a ognuno una curva dinamica: il risultato registrato in un disco, si
pu sentire.
Un altro dei suoi brani che interessano il matematico il Pezzo per piano IX,
nel quale lei ha usato una suddivisione delle durate basata sulla successione
di Fibonacci: 1, 2, 3, 5, 8, ...
E vero, lho usata, ma non soltanto in quel pezzo: anche in molti altri! E continuo a
usarla anche oggi, e non solo nelle proporzioni del tempo: anche per la densit della
massa del suono, ad esempio.
Cosa ci trova di speciale, in questi numeri?
Sono numeri molto naturali nella musica: 2 su 1 il rapporto di ottava, 3 su 2 la quinta,
5 su 3 la sesta maggiore, 8 su 5 la sesta minore, ...
Anche Bela Bartok sembra abbia usato la successione di Fibonacci.
Ma non in maniera cos esplicita come me, che la uso sistematicamente per le durate e
le frequenze della mia musica.
Tra le sue composizioni ci sono molti titoli che richiamano la matematica
in vari modi: Musica aleatoria, Musica statistica, Musica variabile, Musica
spaziale, ... Da dove le arriva, questo interesse?
Ho studiato informatica allUniversit di Bonn, dopo il conservatorio, mentre gi lavoravo
nello studio elettronico. Mi interessavano la teoria dellinformazione e la linguistica
computazionale, e ne ho usato i metodi per creare suoni ``vocali come quelli di cui
parlavo prima.
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Cosa pensa di Xenakis, a questo proposito?


So che ha utilizzato princpi matematici per la sua musica, ma non so esattamente
come.
Concetti stocastici: catene di Markov, ad esempio.
Ah, quello lho fatto anchio! Il lavoro di Markov fondamentale per lanalisi delle
qualit fonetiche del linguaggio, oltre che dei suoni in generali, e io mi sono sempre
interessato ai fenomeni statistici in astratto.
E ha subito iniziato a usare i computer a ni musicali?
No, perch in quegli anni non avevamo ancora computer in studio: sono arrivati solo
alla ne degli anni 70!
E quando li ha avuti, che uso ne ha fatto?
La prima macchina che ho comprato era un sintetizzatore CT100 costruito da un anglorusso, di nome Zinoviev: mi serviva per trasformare a vicenda sequenze, ritmi e timbri.
Come vede il rapporto tra uomo e macchina, nella musica?
Il computer uno strumento per generare suoni, come tutti gli altri. Da un lato molto
pi ricco, dallaltro meno efciente e pi difcile da usare, a causa della sua stupidit
di fondo.
Pensavo non tanto ai sintetizzatori acustici, quanto piuttosto alla
programmazione musicale.
Ho fatto qualche esperimento in questo campo, ma ho ottenuto solo cose molto
primitive e poco interessanti, sia per la qualit del suono che per la struttura della
musica. Tra il migliaio di allievi che ho avuto, tanti hanno lavorato con il computer,
soprattuto in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ma a me interessano soltanto i risultati, e
non il modo come si ottengono: solo quando sento qualcosa di eccezionale, domando
come hanno fatto per ottenerlo. E non mi praticamente mai successo che si trattasse
di qualcosa ottenuto programmando un computer.
Alan Turing diceva che solo una macchina pu apprezzare larte prodotta
da una macchina ...
Che dire? Io, comunque, ho prodotto pi di 300 partiture, e una sola utilizza il computer:
lho fatta allIrcam di Parigi, usando un programma per traslare in verticale pi di 700
frequenze, ciascuna con la sua ampiezza individuale. E la versione elettronica del Canto
di Katinka, e ha una partitura unicamente numerica

Lei aderisce ai motti di ispirazione pitagorica, dallArmonia del mondo alla


Musica delle sfere?
Quelle erano solo immagini metaforiche, che sono state utili agli inizi per comprendere
lacustica. Non c nessun suono letterale prodotto dal movimento dei pianeti, intorno
a se stessi e intorno al Sole, e se anche ci fosse non potremmo sentirlo, perch
distruggerebbe i nostri sensi. Ma si pu immaginare mentalmente questo suono: la
musica delle sfere un sogno delluomo che specula, dimentico della propria natura
corporea.
Cosa pensa dellopera di Hindemith Larmonia del mondo, costruita appunto
in base alla versione kepleriana di questo motto pitagorico?
Mi sembra molto ingenua: quasi la visione musicale di un agricoltore.
Tornando ai sensi, nel suo ciclo La luce lei aggiunge anche lolfatto, alludito
e alla vista.
Le sette opere di cui si compone il ciclo sono dedicate ai sette giorni della settimana,
e a ciascun giorno ho associato una fragranza. Ci sono sette solisti, e ognuno utilizza
durante un assolo o un duetto il profumo della giornata, associato a un paese: il
cuchulainn celtico, il kyphi egiziano, il mastix greco, la rosa mistica italo-tedesca, il tate
yunanaka messicano, il legno di Ud indiano, e lincenso africano.
A questo punto, manca ancora il gusto per ... completare lopera.
In un certo senso c gi, perch ho utilizzato certi frutti in certe scene.
Passando dai sensi alle arti, quale pittore sceglierebbe come controparte
visiva della sua musica?
Paul Klee, la cui opera mi ha accompagnato dai tempi del conservatorio a oggi. I suoi
lavori sono estremamente visionari, e hanno sempre un contenuto spirituale che
come una freccia verso laldil.
E interessante: anche Boulez mi ha fatto lo stesso nome.
Sono stato io, a fargli conoscere Klee! Molti anni fa gli ho regalato un libro con le
lezioni sulla composizione artistica tenute da Klee al Bauhaus, e su questo andiamo
perfettamente daccordo.
E se dovesse scegliere un letterato? Boulez mi ha detto Joyce.
Anchio lavrei detto qualche tempo fa, ma ora quel periodo della mia vita passato.
Oggi direi piuttosto Novalis, che molto pi spirituale.
Lei sembra molto interessato alla spiritualit, vero? Noi siamo degli spiriti.
Voi musicisti, o noi uomini? Noi uomini, tutti.

Allargando un po il discorso, cosa intendeva quando ha detto una volta


che gli strumenti sono estensioni dei sensi?
Che sono come microscopi molto potenti: ci permettono di entrare nel microcosmo
acustico, e articolare le vibrazioni in frequenze individuali. Il sintetizzatore, poi, quasi
come un microscopio atomico, anche se a me non interessa andare oltre un certo limite:
io voglio sempre sentire il suono, senza trascendere le possibilit percettive.
E quando ha detto che la musica trasmette lessenza delluomo?
Quando riesce a farlo, naturalmente! Certo, lessenza delluomo non analizzabile,

Per il Bauhaus era una corrente razionalista! Come si conciliano razionalit


e spiritualit?
Sono complementari e dovrebbero essere in equilibrio, anche se in genere lo spirito
dormiente e il corpo regna. Ma il corpo solo uno strumento, o una macchina: il pilota
lo spirito. E dopo la morte la scintilla dello spirito di ognuno si unisce al fuoco dello
spirito universale.
(copyright Piergiorgio Odifreddi novembre 2004)
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