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L'avventura del pensiero.

Intervista a Silvano Tagliagambe


Una bellissima nostra intervista a Silvano Tagliagambe. Offriamo ai lettori un a
utentico saggio di alto valore culturale, fra i pi degni della rubrica 'Pensieri
Lunghi'
Redazione
domenica 11 ottobre 2015 22:41
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Silvano Tagliagambe
Silvano Tagliagambe
Intervista al Prof. Silvano Tagliagambe a cura di Paolo Bartolini.
Prof. Tagliagambe, nei suoi studi, a cavallo tra filosofia, scienza e psicoanali
si, ha guardato al mistero della psiche da una prospettiva estesa e transindivid
uale. Pu descrivere, oltre alle implicazioni teoriche della questione, gli effett
i pratici ed etici di un approccio siffatto alla vita della mente?
Il modello della "mente estesa" stato proposto ed efficacemente descritto da Gre
gory Bateson in una conferenza dal titolo Forma, sostanza, differenza, tenuta il
9 gennaio 1970 per il diciannovesimo Annual Korzybski Memorial, nella quale egl
i dava la seguente risposta alla domanda: "Che cosa intendo per 'mia' mente?": La
mente individuale immanente, ma non solo nel corpo; essa immanente anche in can
ali e messaggi esterni al corpo; e vi una pi vasta mente di cui la mente individu
ale solo un sottosistema. [.] La psicologia freudiana ha dilatato il concetto di
mente verso l'interno, fino a includervi l'intero sistema di comunicazione all'
interno del corpo (la componente neurovegetativa, quella dell'abitudine, e la va
sta gamma dei processi inconsci). Ci che sto dicendo dilata la mente verso l'este
rno [1]. In estrema sintesi questo modello afferma che i processi mentali sono es
empi di elaborazione cognitiva incorporata e distribuita. Il che significa:
a) Che non solo il cervello, ma anche il corpo e l'ambiente cooperano al raggi
ungimento dei nostri fini cognitivi;
b) Che ci ottenuto in un modo cos fluido e interconnesso da originare un unico f
lusso causale integrato, nel cui ambito (e per gli scopi scientifici dell'analis
i del comportamento) le usuali distinzioni di interno ed esterno perdono ogni ut
ilit ed efficacia.
Possiamo quindi dire che la mente si estende al di l dei confini del cranio, e pe
rmea la struttura fisica del corpo e quella fisica e culturale dell'ambiente est
erno.
Questa prospettiva radicalmente alternativa agli approcci tradizionali della fil
osofia della mente la quale, nelle sue molteplici versioni, riduce come si detto
la questione della relazione mente-corpo alla relazione mente-cervello, identif
icando l'intero corpo con una sua parte, sia pure di importanza primaria, e la p
siche con la mente. Il senso di questo mutamento di prospettiva stato ben colto
ed espresso da Gargani, che sottolinea la necessit di cominciare a pensare il ment
ale in termini di una diversa disposizione, di una disposizione sintonica, di un
a disposizione solidaristica, relazionale. Paragonare la mente non tanto a un pr
ocesso occulto che avviene dentro la scatola cranica di ciascuno e pensare invec
e il mentale come un'atmosfera che ci circonda che possiamo anche toccare, cos co
me nelle varie fasi di una giornata si provano momenti di pesantezza e poi di so
llievo. Questa la mente, questo il mentale, un contesto e uno spazio che condivi
diamo [2].
Da questo punto di vista, dunque, la mente non concepita come qualcosa chesta ne
lla sola testa, chiusa all'interno della nostra scatola cranica, ma viene invece
considerata un'istanza che si manifesta nella relazione tra ambiente esterno e
mondo interiore, relazione che si estrinseca in primo luogo sotto forma di immag
ini del corpo che risponde alla realt che lo circonda e in cui immerso e alle mod
ificazioni che essa provoca nella sua organizzazione interna e che, nell'ambito
di quest'ultima, regola lo stato delle componenti in cui si articola. Da queste

immagini primordiali trae origine la parola che assume poi un ruolo cos descritto
da Pavel Florenskij: come prima del temporale: la parola il lampo che straccia i
l cielo da est a ovest e rivela in senso incarnato: nella parola vengono compens
ate e unite le energie accumulate. La parola un lampo, non l'una o l'altra energ
ia, ma un nuovo fenomeno energetico, costituito da due unit, una nuova realt nel m
ondo: un canale di collegamento tra ci che finora era separato. La geometria inse
gna che per quanto breve sia la distanza tra due punti nello spazio, pu essere st
abilito un collegamento in cui la distanza equivale a zero. La linea di tale col
legamento il cosiddetto istropo, Stabilendo un rapporto isotropico tra due punti,
questi vengono direttamente in contatto l'uno con l'altro. Il pronunciare la pa
rola pu essere cos paragonato a un contatto del conoscente con ci che dev'essere co
nosciuto nell'istropo: seppur separati l'uno dall'altro nello spazio, si rivelano
uniti. La parola un istropo ontologico [3].
In quanto istropo ontologico essa conferisce concretezza alla linea, a un tempo d
i separazione e di collegamento, tra mondo interno e mondo esterno, le d sostanza
e corposit, la trasforma via via in spazio intermedio tra i due protagonisti del
la relazione. Emerge cos e si sviluppa un paesaggio interno, simbolico e cultural
e, che ovviamente risente dell'impronta del paesaggio esterno, a cui si devono l
e alterazioni della rappresentazioni primordiali del corpo, proprio perch le imma
gini, le rappresentazioni interne e quelle di se stesso che il cervello costruis
ce nel momento in cui intento a tracciare le mappe del suo paesaggio interiore s
ono basate sui cambiamenti che hanno luogo nel corpo e nel cervello medesimo dur
ante l'interazione fisica con il contesto ambientale. Le conseguenze etiche e gl
i effetti pratici di questo mutamento di prospettiva sono evidenti. Lo "sguardo
dal di fuori" dello spazio esterno ridotto alla sola visione, percezione, interp
retazione, rappresentazione si trasforma, a questo livello pi elevato di consapev
olezza, in simbiosi, in partecipazione, in coevoluzione, in quell'assunzione di
responsabilit che deriva dalla piena coscienza che non possibile tirarsi fuori da
quello che facciamo accadere con la nostra presenza e le nostre azioni nell'amb
iente in cui viviamo.
L'incontro con il pensiero di Carl Gustav Jung quanto ha contribuito a ridefinir
e le coordinate della sua avventura intellettuale?
Molto e per diversi aspetti. Il primo che anche per Jung la riduzione del proble
ma della psiche al problema della mente di un singolo individuo arbitraria e fon
te di pericolosi fraintendimenti.
Egli categorico su questo punto: nel suo approccio al problema la coscienza assu
me il ruolo e la funzione di caso speciale dell'inconscio collettivo, vale a dir
e di una dimensione la quale, pur non essendo direttamente conoscibile, affiora,
palesando le sue strutture, attraverso i simboli e le immagini archetipiche, sp
erimentate come significative dalla coscienza medesima. Quest'ultima assume dunq
ue nell'universo una posizione cruciale che le deriva dalla capacit di riconoscer
e e attribuire un significato alle immagini archetipiche. Grazie a tali risultati,
scrive Jung, ci siamo accostati un poco di pi alla comprensione del misterioso pa
rallelismo psicofisico, poich ora sappiamo che esiste un fattore che colma l'appa
rente incommensurabilit di corpo e psiche, attribuendo alla materia un certo patr
imonio psichico e alla psiche una certa materialit, grazie a cui esse possono agi
re l'una sull'altra [.]. Se noi per teniamo conto con la dovuta attenzione dei fa
tti parapsicologici, allora l'ipotesi dell'aspetto psichico deve essere estesa,
oltre l'ambito dei processi biochimici, alla materia in generale. In tal caso l'
essere si fonderebbe su un sostrato finora sconosciuto, che possiede natura mate
riale e al tempo stesso psichica[4].
Secondo Jung, dunque, l'inconscio collettivo non deve la propria esistenza a un'
esperienza personale: una sorta di psico-sfera, in cui ci che possiamo chiamare a
buon diritto "psiche", proprio per rimarcare la differenza rispetto alla mente
della singola persona, si palesa in forma translucida, vale a dire in quella mod
alit nella quale gli oggetti della conoscenza sono non gi qualcosa di totalmente v
isibile e trasparente, bens sono tali anche per il mistero in cui necessariamente

ci immettono, e che costituisce una sfida continua per la nostra capacit di comp
rensione,pu influenzare, cambiandolo, il sistema cerebrale da cui emerge.
interessante notare che proprio questo uno dei punti che lo accomuna a Wolfgang
Pauli, premio Nobel per la fisica nel 1945 per la formulazione del principio di
esclusione che porta il suo nome, e stimola e d concretezza e continuit al loro di
alogo, protrattosi con un fitto carteggio dal 1932 al 1958. A testimoniarlo lo s
tesso Pauli che parla del comune interesse per gli archetipi e per "un inconscio
dotato di una vasta realt oggettiva", per richiamare un'espressione da lui stess
o usata in un pensiero ripreso e riportato da Jung in una nota delle Riflessioni
teoriche sul problema della psiche, del 1947 [5]. Questo interesse da parte del
grande fisico si spiega con il fatto che, a suo giudizio, proprio il riferiment
o a questi aspetti che consente alla psicologia di superare la dimensione purame
nte soggettiva e di acquisire una forma e sostanza non solo intersoggettive, ma
oggettive in senso pieno, che la legittimano a confrontarsi e a interagire con l
e scienze della natura, contribuendo ad affrontare, in modo pi adeguato di quanto
non si fosse potuto fare sino a quel momento, la questione del rapporto tra int
eriore (psichico) ed esteriore (fisico).
Un secondo aspetto che mi ha spinto a guardare con interesse al pensiero di Jung
questa sua lucida previsione di Jung: Passer ancora molto tempo prima che la fisi
ologia e la patologia del cervello da un lato e la psicologia dell'inconscio dal
l'altro possano darsi la mano. Anche se alla nostra conoscenza attuale non conce
sso di trovare quei ponti che uniscono le due sponde - la visibilit e tangibilit d
el cervello da un lato, dall'altro l'apparente immaterialit delle strutture della
psiche - esiste tuttavia la sicura certezza della loro presenza. Questa certezz
a dovr trattenere i ricercatori dal trascurare precipitosamente e impazientemente
l'una in favore dell'altra o, peggio ancora, dal voler sostituire l'una con l'a
ltra. La natura non esisterebbe senza sostanza, ma non esisterebbe neppure se no
n fosse riflessa nella psiche [6].
Questa previsione sta trovando conferme importanti. La prima il fatto che, come
aveva intuito proprio Jung, la sincronicit sembra costituire il principio base di
funzionamento del cervello le cui attivit, pur avendo dei nodi fondamentali, che
potremmo chiamare hub, normalmente coinvolgono gruppi di neuroni anche molto di
stanti tra loro e collocati in aree diverse (corticali e sottocorticali). Essi v
engono reclutati nel circuito entrando in risonanza, e cio "scaricando" (attivand
osi) alle medesime frequenze elettriche e nel medesimo tempo. Di fronte a un eve
nto questa modalit consente di produrre un circuito che, per esempio, coinvolge a
ree corticali (esecutive prefrontali), aree emozionali sottocorticali (amigdala)
, aree limbiche legate alla memoria (ippocampo) e allo stress (ipotalamo). un su
peramento della mente modulare che per non annulla la specificit delle diverse are
e cerebrali. A sostegno di questo modo di considerare i processi cerebrali e la
loro organizzazione interna vi sono anche le ricerche che sono valse il conferim
ento del premio Nobel per la medicina 2014 a John O'Keefe e ai coniugi MayBritt
ed Edvard Moser per la scoperta del sistema di cellule nervose che costituisce
una rete, grazie alla quale il cervello dispone costantemente delle coordinate s
paziali del luogo in cui si trova e si pu quindi orientare. La struttura di rifer
imento di questa rete l'ippocampo, che nei roditori, animali in cui esso stato s
tudiato in maniera approfondita, ha all'incirca la forma di una piccolissima ban
ana che srotola vari chilometri di connessioni con una potenza di una decina di
miliardi di contatti.
proprio grazie a questi contatti che la memoria diventa"nostra" (Io sono quello
che sono) e che i significati neutri sono personalizzati e orientati dentro la n
ostra "forma di vita" e il nostro mondo. Il cuore del sistema cerebrale sembra d
unque essere costituito da una struttura di limitatissima estensione ma con un'e
levatissima capacit sia di interconnessioni, sia di sensibilit e di reazione anche
alle stimolazioni pi insignificanti.
Va a questo proposito ricordato che proprio analizzando il concetto di sincronic
it, Jung ha sottolineato la natura acausale della relazione tra stati psichici in
terni ed eventi esterni, evidente nei casi in cui gli eventi non sono sperimenta
ti come pure coincidenze. Non intendeva con questo affermare che gli eventi inte
rni causassero quelli esterni, o viceversa; riteneva piuttosto che gli eventi ve

nissero sperimentati in maniera diversa a seconda del significato attribuito lor


o dalla coscienza.
Dopo questa prima proposta del fondatore della psicologia analitica, condivisa d
a Pauli, il quale metteva l'accento pi sulle coincidenze come relazioni non causa
li verificabili scientificamente, e per questo mostrava di preferire il termine
Sinnkorrispondenzen (corrispondenze significative), ci sono voluti anni di discu
ssioni per approdare, anche nell'ambito delle neuroscienze, a un concetto di sin
cronicit come "coincidenza nel tempo di due o pi eventi non correlati causalmente,
coincidenti nel tempo e che presentano gli stessi significati o significati sim
ili".
La soluzione al problema delle operazioni di comunicazione e di interscambio in
questo caso rappresentata dalla sincronizzazione attraverso oscillazioni rappres
entate, nel normale elettroencefalogramma, dalla composizione armonica delle fre
quenze di vario ordine e grado.
Di particolare interesse, in questo contesto, l'articolo pubblicato nel 2009 su N
ature da un gruppo di ricercatori norvegesi e olandesi - prima firmataria Laura L
. Colgin, allora ricercatrice dell'Istituto di neuroscienza dei sistemi e il Cen
tro per la biologia della memoria dell'Universit norvegese per la scienza e la te
cnologia, ora professore di neuroscienze all'Universit del Texas ad Austin [7] che fa riferimento a un meccanismo che permette al cervello di differenziare i d
iversi tipi di informazioni. In questo loro contributo gli autori descrivono il
modo in cui le onde gamma - onde cerebrali specifiche che si ritiene contribuisc
ano alla percezione cosciente - operano a diverse frequenze, a seconda del tipo
di informazione che trasportano.
I ricercatori hanno misurato le onde cerebrali dei topi, concentrando l'attenzio
ne su tre diverse parti dell'ippocampo, l'area del cervello ampiamente responsab
ile, come si visto, della memoria a lungo termine e della navigazione spaziale.
L'esito stato la scoperta di onde gamma lente e onde gamma veloci provenienti da
diverse aree del cervello, proprio come le stazioni radio trasmettono su freque
nze diverse.
Il meccanismo di connessione l'una all'altra delle cellule cerebrali quindi basa
to, come si diceva, sulla sincronizzazione della loro attivit. Esse si sintonizz
ano - letteralmente - l'una sulla lunghezza d'onda dell'altra. Sono in particola
re le onde gamma a risultare coinvolte nella comunicazione tra gruppi di cellule
nell'ippocampo. Le frequenze pi basse sono utilizzate per trasmettere memorie di
esperienze passate e le frequenze pi alte sono usate per convogliare gli eventi
del luogo dove ci si trova in quel momento.
Questo meccanismo facilita la comunicazione con gruppi di cellule distribuiti ch
e elaborano le informazioni correlate, evitando cos la possibile confusione tra l
e varie tipologie di informazioni.
Mentre le cellule sembrano in condizione di modificarsi rapidamente e sintonizza
rsi sulle onde lente o veloci, gli autori dell'articolo ritengono che esse non s
iano in grado di elaborare contemporaneamente le due diverse tipologie di onde.
Lo stesso avviene quando si ascolta la radio e ci si sintonizza su una frequenza
che a met tra due stazioni radio: impossibile distinguere qualcosa, si sente sol
o rumore. Analogamente, nel caso del cervello, la percezione che si ha di un luo
go si confonderebbe con le memorie passate di quello stesso luogo.
Durante le oscillazioni dei vari ritmi cerebrali le alternanze dei diversi agglo
merati neurali possono sincronizzarsi in cicli successivi attraverso un meccanis
mo di "Time Division Multiflexing" (TDM, Accesso multiplo a ripartizione nel tem
po), una tecnica di multiplazione, ovvero di condivisione di un canale di comuni
cazione, che elabora informazioni di diversi trasmettitori successivamente in se
gmenti di tempo definito per la trasmissione sul canale in questione, in modo ch
e quest'ultimo possa essere usato a turno in esclusiva da ogni dispositivo ricet
rasmittente per il breve lasso di tempo che gli stato assegnato. Vi sono due tip
i di multiplazione a divisione di tempo: a divisione di tempo sincrono, o quanti
zzato, che prevede che ogni dispositivo abbia a disposizione un'identica porzion
e di tempo, e il multiplexing statistico, che si differenzia dal precedente per
il fatto che ai dispositivi che non devono trasmettere dati non viene assegnato
il controllo del canale di trasmissione. La prima procedura sarebbe in grado di

disambiguare immagini sovrapposte contro sfondi.


Se si confondono diversi tipi di onde gamma, possibile soffrire di disordini e a
normalit mentali. Non si ancora in grado di dire con certezza se sia questo passa
ggio di frequenza a non funzionare, ma quello che si sa senza ombra di dubbio ch
e le onde gamma sono anormali nei soggetti schizofrenici. La percezione che lo s
chizofrenico ha del mondo che lo circonda confusa, come una radio bloccata tra d
ue stazioni.
Il presupposto assunto precedentemente dai ricercatori era che la gestione delle
informazioni nel cervello seguisse strade predefinite. Lo studio della Colgin e
dei suoi colleghi sembra suggerire una maggiore flessibilit del cervello. Tra i
migliaia di stimoli in arrivo a una singola cellula cerebrale, la cellula pu sceg
liere di ascoltarne alcuni e ignorare il resto, e la scelta degli input in costa
nte cambiamento. In questo modo il passaggio delle onde gamma viene assunto come
un principio generale di funzionamento, utilizzato in tutto il cervello per aum
entare la comunicazione interregionale. Esso appare dunque cruciale per capire i
l legame delle attivit integrative orchestrate dal cervello: questo passaggio, ch
e emerge in piccole parti di corteccia come un'attivit localizzata in varie "isol
e" di tessuto, occasionalmente sincronizza in ampie aree corticali.
Gli hub del cervello, cio i nodi fondamentali che normalmente coinvolgono gruppi
di neuroni anche molto distanti tra loro e collocati in aree diverse (corticali
e sottocorticali), vengono reclutati nel circuito entrando in risonanza, e cio "s
caricando" (attivandosi) alle medesime frequenze elettriche.
L'elevata integrazione del sistema, garantita da questa specifica struttura, ci
fa capire perch settori un tempo ritenuti "bassi", in quanto rientranti nel confi
ne strettamente motorio, possano diventare sorprendentemente parti di attivit "su
periori" e di strategie che, nate per la sopravvivenza, si sono poi sviluppate i
n altro modo o mostrano un aspetto "dormiente". Spesso la fMRI (Risonanza Magnet
ica Funzionale) ha permesso di svelare certi aspetti di queste strutture.
Altrettanto fondamentali e lungimiranti appaiono le considerazioni di Jung sull'
immaginazione - si potrebbe anche dire creativit - come risultato della tenacia "
reattiva" con cui l'inconscio rivendica il suo diritto a manifestarsi, nonostant
e le "ragioni" della coscienza. L'immaginazione e i suoi prodotti sono pertanto,
a suo giudizio, il luogo privilegiato del rapporto con l'inconscio, che si modu
la, si coniuga, si declina soprattutto attraverso un pensiero che impara e riesc
e a farsi figurativo, a drammatizzarsi, a mettersi in scena e rappresentarsi, pr
oducendo concetti, come i grandi archetipi di cui abbiamo parlato - Puer, Senex,
Animus, Ombra e il S - capaci di essere "visti" nella mente, oltre che compresi
nella loro forza di potenti astrazioni. Proprio questo tipo di pensiero immagina
nte lo strumento pi efficace del dialogo e della comunicazione tra le funzioni su
periori e quelle inferiori della psiche e di mediazione tra la coscienza e l'inc
onscio. L'integrazione tra questi opposti pu darsi solo sul piano psichico che si
manifesta come attivit immaginativa creatrice. Proprio per questo le immagini e
i simboli frutto di questa attivit costituiscono gli strumenti insostituibili di
quell'autentica conoscenza di s che scaturisce dalla tendenza al superamento dell
'inconscio inteso come territorio esterno ed estraneo, come non-conscio.
In che modo il pensiero scientifico del nostro tempo pu stabilire delle relazioni
rispettose con altri modi di conoscenza/esperienza quali, ad esempio, l'arte, l
a religione, il sogno?
Anche in questo caso vorrei partire da Jung e dalla "scandalosa" analogia che eg
li traccia tra la psicologia e la religione, cos evidente nel modo in cui tratta
il problema del sacrificio, che rimanda costantemente all'una e all'altra di que
ste due dimensioni. A mio modo di vedere questa analogia nell'opera di Jung ha u
n significato che la depura da ogni irriverenza nei confronti della ricerca scie
ntifica o della dimensione religiosa, a seconda dei punti di vista. Con questo p
arallelismo egli vuole infatti sottolineare che, nell'uno e nell'altro caso, abb
iamo a che fare con la relazione tra il visibile e l'invisibile e con la consape
volezza della profonda incidenza di quest'ultimo sul primo. Quando le religioni

ritagliano e circoscrivono l'area del sacro, il divino, e perci il numinosum, e l


o circondano da una robusta cintura "protettiva" di sipari e di schermi, inducen
do i fedeli ad abbassare lo sguardo e a genuflettersi di fronte a esso, non fann
o qualcosa di diverso dall'atteggiamento che la filosofia e la psicologia, ma an
che la stessa scienza della natura, assumono nei confronti del problema della "
cosa in s", in tutte le diverse forme e modalit in cui viene posta, e della sua re
lazione con l'"oggetto della conoscenza". A partire da Platone il quale, nella R
epubblica, dice che non si pu guardare a lungo il sole che illumina tutto, passan
do perPlotino, che segnala l'ineffabilit dell'Uno, per giungere a Kant, che parla
del necessario rispetto del soggetto per la ragione maestosa e sublime, dal mom
ento che senza la debita distanza rispetto a essa egli giungerebbe ad accecarsi.
In tempi pi recenti stato Bion a sottolineare la necessit di gettare un raggio di
intensa oscurit all'interno, in modo che qualcosa sinora passato inosservato alla
luce abbagliante dell'illuminazione possa luccicare ancor pi in quella oscurit [8]
. Ed stato ancora Bion a ricordare che Freud disse di doversi accecare artificial
mente per poter concentrare tutta la luce su un punto oscuro[9].
La presenza originaria e condizionante, rispetto alla coscienza e alla razionali
t, degli archetipi dell'immaginazione mentale, che ne costituiscono lo sfondo e l
a sorgente di alimentazione, ci costringe a un autentico rovesciamento di prospe
ttiva per quanto riguarda la genesi delle teorie scientifiche, ad esempio. A dir
celo, valorizzando anche in questo caso la prospettiva junghiana, Pauli sulla ba
se dell'attenta esplorazione, da lui compiuta, della vicenda, per tanti aspetti
esemplare, di Keplero" [10].
Com' noto il procedimento di quest'ultimo consistito nell'aver trasportato la fig
ura dell'ellisse dal campo geometrico e astratto delle coniche allo spazio concr
eto dell'astronomia, dove un modello radicato (il cerchio, figura di perfezione)
impediva di pensare il movimento dei pianeti secondo orbite diverse da quella c
ircolare. Keplero aveva notato che passando per determinati punti, da lui accura
tamente registrati, l'orbita di Marte non poteva in alcun caso descrivere un cer
chio. Cos prov a scartare il cerchio per l'ellisse, e i calcoli confermarono la nu
ova ipotesi. Keplero invent la soluzione portando nel sistema astronomico un nuov
o oggetto, che port a ridefinire quel sistema stesso. Il suo atto inventivo fu qu
ello di pensare al di l del campo delle conoscenze disponibili, vincendo la resis
tenza delle concezioni radicate (il cerchio come unica possibilit) e ridefinendo
cos il corpus delle leggi applicabili.
Per arrivare a questo risultato per, come sottoline appunto Pauli, egli dovette ri
muovere i contenuti inconsci e gli automatismi che fungevano da ostacolo al corr
etto inquadramento del problema di fronte al quale si trovavae alla soluzione da
reperire. Ad attestarlo lo stesso Keplero, che nella sua Astronomia nova ricord
a come in questo suo percorso di ricerca fosse stato a lungo frenato dalla tend
enza a cadere in sempre nuovi labirinti in seguito alla forza trascinante di que
llo che egli chiam poi "un ladro del mio tempo", e cio la credenza, appoggiata dal
l'autorit di molti filosofi, nei privilegi della circolarit, che lo spinse per mol
to tempo a condividere la convinzione di Brahe secondo la quale i pianeti si muo
vono in cerchi perfetti. Questa credenza funziona tra le cose come un selettore l
a cui carica di verit fuori discussione. Essa guida Keplero nel labirinto e Galil
eo nei territori piani e illuminati. Essa sembra destinata a sopravvivere per l'
eternit [11]. La sua azione ostacola il libero dispiegarsi delle strategie raziona
li, che vengono imprigionate e costrette in una sorta di "camicia di forza", di
"letto di Procuste": e tuttavia essa funge da selettore che, collocato all'iniz
io dei calcoli, fondamentale affinch quei calcoli possano avere inizio [12].
Possiamo dunque dire, a giudizio di Pauli, che nel caso di Keplero al processo b
ottom-up, dal basso verso l'alto, dal particolare al generale, dai singoli dati
osservativi alle enunciazioni astratte, come tradizionalmente viene concepito e
presentato il percorso della ricerca scientifica, vincolandolo allo sviluppo att
raverso il procedimento induttivo, subentra un andamento top-down, dall'alto ver
so il basso, dall'astratto al concreto, dal senso della possibilit al senso della
realt e all'effettualit attraverso l'introduzione di vincoli sempre pi stringenti
e un continuo rastremarsi dei contenuti verso il basso. Considerati in s gli arch
etipi sono l'invisibile: nessuna cosa, nessun ente, nessun individuo, nessuna pr

esenza; sono l'espressione e l'esperienza della nostra incolmabile distanza risp


etto a quelle che sono soltanto le sue immagini.
Porsi in una prospettiva di questo genere significa reinventare il sacro, per ripr
endere il titolo di un libro di Stuart Kauffman [13]; vuol dire sforzarsi di ved
erlo con occhi nuovi; rinunciare a farne una realt a s stante; cimentarsi con una
visione del mondo e del nostro inserimento in esso in cui alla spiritualit, intes
a nella sua accezione pi vasta, sia riconosciuta una incidenza rispetto non solo
alla vita dell'uomo, ma anche al destino dell'ambiente naturale e sociale in cu
i egli vive. Vuol dire rendersi conto che il massimo grado d'intensit e di effica
cia dell'azione quello grazie a cui risulta possibile appaiare conoscenza e volo
nt, razionalit e libert, mirando non solo al singolo individuo, ma all'intera speci
e umana, nel rispetto e in coerenza con il concetto di "coevoluzione" tra organi
smo e ambiente in senso lato. Tutto i contrario di quanto sembri accadere oggi.
Reinventare il sacro significa comprendere come la specie umana appartenga a un
universo incessantemente creativo, dal quale sono emersi la vita, l'agency, il si
gnificato, il valore, la coscienza e l'intero patrimonio dell'azione umana [14].
E altres comprendere che il divenire persistente del sapere, del fare e dell'inven
tare il risultato in continua costruzione di noi stessi nella nostra pienezza um
ana [15]: un processo emergente e non predicibile.
Reinventare il sacro equivale pertanto a collocarsi in uno spazio intermedio tra
ragione ed emozioni, tra conoscenza e volont, tra gnoseologia, epistemologia ed
etica, all'interno del quale il criterio guida di base non pu essere soltanto l'i
nteresse individuale per la propria sopravvivenza, il proprio benessere o il pro
prio piacere. Lo deve essere anche l'idea del dono disinteressato, della gratuit
intesa e spinta fino ad assumere, come proprio interesse personale, lo stimolo a
fare in modo che a rafforzarsi e a rigenerarsi sia non soltanto la singola esis
tenza vissuta, ma anche la pienezza della vita che si espande. Di nuovo, tutto i
l contrario di quanto sembri accadere oggi.
Il nesso tra corpo e psiche uno dei temi che sembra starle pi a cuore. Le domando
: come agisce la societ (intesa come collettivit storicamente radicata in una cult
ura determinata), sullo sviluppo psicofisico della persona? Non crede che per co
mprendere le traiettorie individuali di vita sia necessario allargare il campo d
i indagine uscendo dalla gabbia ristretta (ma non per questo trascurabile) del r
omanzo familiare?
Si,, proprio cos, come aveva intuito a suo tempo Lev Semnovi Vygotskij, il quale ne
lla sua opera My?lenie i re (Pensiero e linguaggio) 1, pubblicata nel dicembre 19
34, qualche mese dopo la morte dell'autore, avvenuta nel giugno dello stesso ann
o, propone l'idea che le funzioni mentali pi alte appaiono sul piano interpsicolog
ico prima ancora di apparire su quello intrapsicologico[16].
Questo punto di vista fu ripreso e approfondito da Bachtin, il quale presuppone
che l'io sia un fenomeno di confine, che gode di uno status extraterritoriale, v
isto che, analizzandone ad esempio il linguaggio, non possiamo fare a meno di co
ncludere che all'interno di ci che consideriamo un organismo individuale penetri
sempre e in modo imprescindibile un'entit sociale. Infatti: Ogni enunciazione, se
la si esamina in modo pi approfondito, tenendo conto delle condizioni concrete de
lla comunicazione verbale, contiene tutta una serie di parola altrui seminascost
e e nascoste, dotate di un vario grado di altruit. Perci un'enunciazione tutta sol
cata, per cos dire, dagli echi lontani e appena avvertibili dell'alternarsi dei s
oggetti del discorso e dalle armoniche dialogiche, dai confini estremamente atte
nuati delle enunciazioni e totalmente permeabili all'espressivit dell'autore. [..
.] Ogni singola enunciazione un anello nella catena della comunicazione verbale.
Essa ha confini netti, determinati dall'alternanza dei soggetti del discorso (p
arlanti), ma all'interno di questi confini l'enunciazione, come la monade di Lei
bniz, riflette il processo verbale, le altri enunciazioni, e, prima di tutto, gl
i anelli anteriori della catena (a volte vicinissimi, a volte - nei campi della
comunicazione culturale - anche molto lontani). [...] Un'enunciazione, tuttavia,
legata non soltanto agli anelli che la precedono, ma anche a quelli che la segu

ono nella comunicazione verbale. Quando l'enunciazione viene elaborata dal parla
nte, gli anelli successivi, naturalmente, non esistono ancora. Ma l'enunciazione
, fin dal principio, elaborata in funzione delle eventuali reazioni responsive,
per le quali, in sostanza, essa elaborata. Il ruolo degli altri, per i quali si
elabora l'enunciazione, molto grande. [...] Essi non sono ascoltatori passivi, m
a attivi partecipanti della comunicazione verbale. Fin dal principio il parlante
aspetta da loro una risposta, un'attiva comprensione responsiva. Ogni enunciazi
one si elabora, direi, per andare incontro a questa risposta [17].
Vygotskij cerc di sviluppare il suo principio ipotizzando la presenza, all'intern
o del cervello, di "zone di sviluppo prossimale", o potenziale come oggi si pref
erisce dire, formate dai concetti di livello superiore rispetto alla fase di svi
luppo nella quale l'individuo si trova e che egli riesce ad acquisire anticipata
mente grazie a un meccanismo di cui lo stesso Vygotskij cerca di fornire un prim
o abbozzo di spiegazione.
A tal scopo egli parte dal presupposto che lo sviluppo delle funzioni mentali su
periori, quali la coscienza, il pensiero verbale, la memoria ecc., sia indipende
nte da quelle inferiori e interamente d'origine sociale. I suoi studi sullo svil
uppo infantile sono proprio diretti a indagare l'opposizione tra questi due tipi
di funzioni e tra le rappresentazioni "individuali" e quelle "collettive". Per
questo egli comincia col proporre una revisione delle concezioni troppo individu
alistiche su cui si basano le usuali misurazioni dell'intelligenza: Un principio
incrollabile della psicologia classica che il livello di sviluppo mentale del ba
mbino indicato solo dalla sua attivit indipendente e non da quella imitativa. Que
sto principio trova espressione in tutti i sistemi di misurazione in uso: nel va
lutare lo sviluppo mentale si prendono in considerazione solo quelle soluzioni d
ei problemi proposti alle quali il bambino perviene senza l'aiuto di altri, senz
a dimostrazioni e senza domande-guida [18].
Contemporaneamente a Piaget e in modo ancora pi netto e deciso di quest'ultimo, V
ygotskij ha messo in risalto la genesi sociale delle funzioni psicologiche super
iori: Un processo interpersonale si trasforma in un processo intrapersonale. Nell
o sviluppo culturale del bambino ogni funzione appare due volte: prima a livello
sociale e poi a livello individuale; prima nei rapporti interpersonali (livello
interpsicologico) e poi all'interno del bambino (livello intrapsicologico). Ci v
ale per l'attenzione volontaria, per la memoria logica e per la formazione dei c
oncetti. Tutte le funzioni superiori nascono come relazioni concrete tra individ
ui [19].
Questo tipo di processo, che enfatizza l'importanza delle relazioni interpersona
li diventa fondamentale nel caso di conoscenze, come quelle scientifiche, che, d
ata la loro natura intersoggettiva, non riproducono affatto il cammino attravers
o il quale si formano le conoscenze individuali del quotidiano, ma si sviluppano
in altro modo. Cos, in una serie ingegnosa di studi da lui ispirati, i concetti
quotidiani e quelli scientifici sono opposti gli uni agli altri, al fine di stab
ilire in quale misura gli uni si "socializzino" e i secondi si "individualizzino
".
Vygotskij esclude pertanto che lo sviluppo autonomo dei concetti spontanei, e qu
indi individuali, possa condurre ai concetti scientifici, aventi invece valore c
ollettivo. Ma egli non neppure disposto ad ammettere che il processo di passaggi
o dagli uni agli altri sia il risultato d'una istruzione fornita dall'esterno. I
l punto su cui apporta un contributo nuovo nell'analisi di tale questione propri
o la sua idea di zone di sviluppo prossimale, che rende conto del modo in cui l'
autorit dell'adulto pi competente pu aiutare il giovane a raggiungere il terreno in
tellettuale superiore, a partire dal quale egli pu riflettere in maniera pi impers
onale sulla natura delle cose.
A suo modo di vedere, quindi, i concetti scientifici, via via che vengono acquis
iti, ristrutturano i concetti spontanei e li innalzano a un livello superiore, f
ormando appunto una zona di sviluppo prossimale, che diviene una parte integran
te della vita mentale di ogni soggetto. Ci che il fanciullo capace di fare oggi i
n collaborazione con gli adulti e grazie all'acquisizione di rappresentazioni st
oricamente istituzionalizzate attraverso il linguaggio, le fiabe o i racconti po

polari, la scienza e quant'altro, un domani egli lo potr fare in piena autonomia


e in modo del tutto indipendente.
Le zone di sviluppo prossimale sono dunque "il luogo", per cos dire, delle rappre
sentazioni collettive pi avanzate rispetto a quelle individuali, relative allo st
adio di sviluppo in cui l'individuo si trova. Esse costituiscono una sorta di "i
nterfaccia" tra il sociale e l'individuale, la zona di confine in cui le rappres
entazioni collettive e storicamente istituzionalizzate interagiscono concretamen
te con il mondo delle credenze individuali e influiscono su di esso, favorendo l
a crescita e l'innalzamento del livello dei suoi contenuti.
Sulla base di queste considerazioni possiamo allora avanzare la congettura che c
i che caratterizza la mente sia il suo ruolo di "mondo intermedio" tra l'ambiente
fisico e l'universo della conoscenza, cio la sua funzione di "operatore" che svo
lge una funzione "creativa" grazie alla quale produce "teorie del reale" che ris
ultano efficaci, cio hanno successo nell'interazione con esso e costituiscono un
formidabile strumento "essomatico" di adattamento.
Da questo punto di vista,pertanto, il soggetto individuale va considerato un sis
tema complesso, costituito e caratterizzato da quella che possiamo chiamare una
"matrice relazionale", cio da un fascio di relazioni che vanno gestite e governat
e attraverso opportune strategie. Ne consegue che gli aspetti salienti della per
sona umana, a partire da quelli cognitivi, i saperi acquisiti e le conoscenze di
sponibili, in tutta la loro gamma e variet, vanno considerati, prima di tutto, fu
nzionali a queste strategie. Sono infatti queste ultime che consentono all'io di
dare continuit alla propria azione, interfacciando e connettendo le varie fasi i
n cui essa si articola e "cucendo" la fitta rete d'interdipendenze e la variegat
a gamma dei rapporti interpersonali che vengono via via intessuti e sviluppati,
e di far emergere, attraverso questa continuit, una specifica identit. Il che sign
ifica che per ben operare certamente importante il sapere, indiscutibilmente fon
damentale il saper fare, ma entrambe queste forme di sapere acquistano il loro p
ieno valore e significato soltanto se vengono inquadrate e potenziate nell'ambit
o del sapere relazionale, della propensione e dell'attitudine non solo a dialoga
re con gli altri, ma anche a gestire in maniera appropriata ed efficace le relaz
ioni interne tra le varie fasi della propria vita, tra i diversi aspetti della p
ropria personalit e tra i differenti racconti che costituiscono l'espressione e i
l resoconto di questa variegato e complesso mondo interiore.
E infine, quale orizzonte dovrebbe darsi la politica per non soggiacere ai mecca
nismi automatici e privi di correzione del discorso tecnoscientifico messo al se
rvizio della logica del capitale?
Per rispondere a questa domanda mi sembra utile partire da un film di Fellini de
l 1972, Roma, che non certamente la migliore opera di questo grande regista, n qu
ella di maggior successo. Eppure, sparsi qua e l, vi sono momenti di una profondi
t tale da mettere a nudo, in modo straordinario, il carattere paradossale della n
ostra epoca. Il momento forse pi riuscito di questo esercizio di denuncia la scen
a della "Rassegna della moda ecclesiastica", dove si fotografa una situazione ne
lla quale la religione e la fede vengono assoggettate alla moda, alla rapida evo
luzione dei paramenti sacerdotali che li rende oggetto di consumo, e quindi li a
ttrae nella spirale dell'obsolescenza. Fino alla scena finale in cui tutti, laic
i, sacerdoti e cardinali, rimangono abbagliati di fronte allo sfarzo di una moda
talmente luccicante, autoreferenziale e quindi autosufficiente, da apparire div
inizzata e venire adorata, al punto che tutti si inginocchiano di fronte a essa.
Ecco il paradosso: lo schiacciamento sulla contemporaneit, sul presente che consu
ma se stesso, su un cambiamento che rende immediatamente demod tutto, anche ci che
dovrebbe durare, lo sottomette a un'erosione che lo priva di profondit, di legit
timit e di spessore. Nel momento in cui anche la religione e la fede vengono sott
omesse ai dettami della moda decretiamo la morte della durata, dei valori che do
vrebbero resistere all'usura del tempo, della verit che non a caso i greci chiama
vano Aletheia, combinazione di alfa privativo e riferimento al Lete, il fiume de
ll'oblio, che cancellava ogni traccia di memoria, proprio per sottolineare che "

vero" solo ci che capace di opporsi all'usura e al consumo del tempo.


Questo vissuto tutto schiacciato sulla contemporaneit, di cui sono emblema la mod
a e la continua obsolescenza dei prodotti di cui costellata la nostra quotidiani
t ben colta da quella pubblicit che ci mostra nell'atto di liberarci nei modi e co
n le scuse pi assurde dal cellulare ormai demod che possediamo per sentirci autori
zzati all'acquisto dell'agognato ultimo modello. Questo ci d l'illusione che il n
ostro sia il mondo dell'innovazione gi realizzata e conquistata, ormai alla porta
ta di tutti.
Cos, tutti presi dall'efficienza e dalla super-performativit del nostro smartphone
, che ci mette in condizione di parlare con un nostro amico che si trova all'alt
ro capo del mondo e di essere raggiunti in ogni luogo e in ogni istante di tempo
da chiunque si voglia mettere in comunicazione con noi, tendiamo a dimenticare
che, mentre lo usiamo per provare l'ebbrezza della contemporaneit, magari passegg
iamo nel corso della nostra citt il cui asfalto pieno di buchi mal rappezzati ed
infestato da rifiuti non rimossi tempestivamente, segni inquietanti e inequivoca
bili della presenza incombente del non contemporaneo nel nostro contemporaneo, d
ella sovrapposizione di tempi storici diversi che tendiamo a rimuovere perch crea
imbarazzo.
questo il destino di un'innovazione che si nutre di esteriorit, di apparenza, anz
ich innervare le nostre vite e dare a esse opportunit davvero inedite, capaci di m
odificarle intimamente e in profondit. L'innovazione basata sull'esteriorit e sull
'apparenza si nutre di obsolescenza e a sua volta l'alimenta, condannandoci alla
precariet. l'innovazione che convive con lo stato desolante delle periferie dell
e nostre citt, con l'inarrestabile decadimento dei servizi, con le catene del sub
appalto private di qualsiasi diritto, con il precariato utilizzato come strument
o di pressione, con il declino e il degrado delle funzioni urbane pregiate, vale
a dire la cultura, la ricerca, l'istruzione e la formazione, i trasporti pubbli
ci e la logistica, tutto ci che trasforma davvero un agglomerato di case in un'ur
bs.
Per farla breve: il feticcio dell'innovazione, una contemporaneit continuamente p
unteggiata e costellata, come il formaggio con i buchi, di lacune, di pozze di n
on contemporaneit. Non innovazione e non ha nulla a che vedere con essa: una tecn
ica di accelerazione del tempo, e quindi di consunzione della vita, applicata a
oggetti, ambienti, persone, forme di vita e stili di pensiero.
L'innovazione, quella vera, di cui non c' traccia nelle nostre citt e tanto meno n
ei nostri paesi, quella dei processi lenti che generano un'accelerazione e una d
iffusione che poi retroagiscono sulla lentezza che le ha prodotte, radicandole e
dando loro consistenza e spessore, prima ancora e pi che velocit. quella delle re
azioni autocatalitiche, nelle quali uno dei prodotti della reazione stessa, in g
rado di aumentare la velocit del processo globale, comportandosi come un vero e p
roprio catalizzatore. Pensiamo alla conoscenza: di per s un processo lento, che e
sige meditazione, riflessione, e dunque tempo, senza i quali non potrebbe darsi,
e che non si consuma, ma anzi si consolida, che se autentica non passa mai di m
oda. Essa un prodotto dell'evoluzione naturale che retroagisce su quest'ultima,
cio sul processo che l'ha generata, incrementandone in modo spettacolare e sempre
di pi il ritmo di sviluppo.
Ecco che cos' l'innovazione autentica: una straordinaria combinazione di lentezza
e velocit (ricordate il "festine lente", il motto "affrettati lentamente" attrib
uito da Svetonio all'imperatore Augusto, che unisce in una efficace endiadi i du
e concetti, apparentemente divergenti, di velocit e lentezza?), di flemmatica cal
ma che produce velocit e ne viene accelerata, senza per trasformarsi per questo in
obsolescenza, in oggetto di consumo.
Questa l'innovazione come cultura e non come feticcio, l'innovazione che non viv
e di apparenza, ma di processi che non ammettono scorciatoie n lustrini, che esig
ono la capacit vera, autentica - questa s ormai demod - di prendersi davvero cura d
elle citt che si amministrano e dei cittadini che le abitano.
Questa innovazione - questo il punto e rispondo cos alla domanda che mi stata fat
ta- per essere realizzata, richiede una politica che incarni e sappia esprimer
e quell'ideale perenne cos ben espresso da Socrate nel Gorgia platonico: "Io cred
o di essere tra quei pochi Ateniesi, per non dire il solo, a capire che cosa sia

davvero la politica, e credo di essere il solo a fare davvero politica di quest


i tempi. Nel senso che tutto quello che dico, lo dico non per compiacere la gent
e o per rendermi gradito, ma per perseguire il bene" (Patone, Gorgia, 521 E).
Una politica che sia dunque l'esatto contrario di quella che, concentrando tutti
gli sforzi e gli interessi su un tipo di pianificazione che si sempre pi disinte
ressata del rapporto specifico con i luoghi come contesti determinanti di cultur
a, tradizioni, storia, costumi, abitudini, ha avuto il duplice effetto di trasfo
rmare le citt in non-luoghi e di smarrire ogni interesse per la plis come referent
e privilegiato della propria azione.
Il risultato a cui siamo giunti seguendo questa strada sotto gli occhi di tutti:
sul piano politico la crisi della civitas si traduce nella rinuncia a impegnars
i a raccogliere, dopo averlo coltivato, il consenso popolare attorno a una proge
ttualit (ormai inesistente), con conseguente concentrazione, in modo esclusivo, s
ulla soddisfazione delle rivendicazioni di una soggettivit irrelata, individualiz
zata e ripiegata su di s - ossia preoccupata di far valere, a seconda del contest
o, il proprio godimento, la propria egemonia, una richiesta di riparazione per l
e proprie frustrazioni.
Ne sono scaturiti due processi involutivi i cui effetti appaiono evidenti a chiu
nque eserciti un minimo di senso critico: la deriva demagogica della politica, c
ol risultato di limitarsi ad assecondare l'umore popolare del momento, e quella
speculativa dell'economia, con il disprezzo verso tutto quanto ostacoli la liber
a affermazione e il domino delle lites. Per un verso, l'arte di compiacere le asp
ettative del demos e, per l'altro, l'insofferenza verso norme e divieti. Il risu
ltato che si ottiene tuttavia paradossale. Cresce infatti via via la minaccia de
l disimpegno politico attraverso la politica stessa, che oggi si manifesta in mo
do eclatante attraverso la vistosa caduta d'interesse per la pratica del governo
, per gli affari pubblici e per la partecipazione, testimoniata dalla crescente
e ormai dilagante astensione dal voto.
La crisi delle forme tradizionali di mediazione sociale, che si esprime nella se
mpre pi palese insofferenza per il faticoso ma imprescindibile lavoro della negoz
iazione tra i diversi interessi in gioco, sposta il baricentro dell'interesse e
dell'azione politica dalle istituzioni, come il Parlamento, alla comunicazione m
ediatica, palcoscenico ideale per una recita a soggetto. Con la crisi della civi
tas e della mediazione tra psiche e communitas viene compromessa la mediazione n
ecessaria alla socializzazione. L'illusione tipica del modernismo si cos tradotta
sempre pi nell'abbaglio di far vivere un soggetto a pretese totalizzanti, privo
degli argini dettati dal vivere-in-comune Siamo tutti sempre pi soli e isolati, n
onostante la pletora e la potenza degli odierni mezzi comunicativi.
Occorre per questo invertire la rotta, attraverso una politica che si ponga come
obiettivo un recupero della fluidit sociale a partire dalle situazioni dove sono
presenti embrioni di civitas, cellule staminali di cittadinanza che si manifest
ano con pratiche sociali inedite. Queste situazioni sono gli spazi intermedi, ch
e si presentano in forme che associano urbs e civitas - spazi fisici e spazi di
possibile coesione sociale - in modi originali, attraverso pratiche sociali dell
o spazio non convenzionali, come avviene nelle periferie, nelle banlieue, in tut
ti quegli spazi abitati non ancora consolidati e definiti e che sono per questo
in attesa di altri significati.
In questo senso cruciale il ruolo dei soggetti senza voce o soggetti di confine,
che vivono appunto in questi spazi intermedi: soggetti considerati a torto marg
inali, che costituiscono ed esprimono le minoranze delle nostre citt e dei nostr
i paesi, che non hanno pi una maggioranza coesa e consolidata. Per riprogettare i
centri abitati, grandi e picoli, come civitas occorre dunque assumere il concet
to di minoranza come punto di vista esterno e alternativo a quelli tradizionali,
dando voce ai soggetti pi deboli e indifesi e prendendo le distanze da ogni tent
azione di imboccare la scorciatoia di un passaggio in qualche modo lineare della
politica dalla pianificazione astratta e a tavolino all'attuazione senza mediaz
ione e senza partecipazione.
Solo partendo da questo concetto la politica pu tornare ad assumere il compito di
far emergere valori condivisi e di generare nuove istituzioni, senza procedere
nella direzione di una sintesi politica nel senso usuale - del partito, del sind

acato o di qualsivoglia altro soggetto collettivo tradizionale - per cominciare


invece a cogliere e a tessere un processo di diffusione a rete e di passaggio da
uno spazio, quale quello attuale, di reciproca estraneit a un processo di conver
genza e di intersezione di microstrutture politiche e sociali, che l'unico punto
di partenza oggi possibile per ricominciare a rimettere la storia in cammino.
Silvano Tagliagambe si laureato in filosofia con Ludovico Geymonat e si perfezio
nato in fisica all'universit Lomonosov di Mosca. stato professore di Filosofia de
lla Scienza presso le Universit di Cagliari, Pisa, Roma "La Sapienza" e Sassari.
Attualmente professore emerito del Dipartimento di Architettura, Design e Urban
istica dell'universit di Sassari, membro del Collegio dei docenti del Mster en Com
unicacin Social dell'Universidad Complutense de Madrid e del Consiglio Consultivo
Centro de Investigacion en Ciencia Politica, Seguridad y RelacionesInternaciona
les dell'UniversidadLusfona de Humanidades e Tecnologias, Lisboa e dell'Universid
adLusfona de Porto. direttore delle collane "Filosofia della scienza" dell'Aracne
editrice e "Didattica del progetto" dell'editore Franco Angeli.
Tra le sue oltre 250 pubblicazioni da segnalare: L'interpretazione materialistic
a della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS (Feltrinelli, 1972), S
cienza, filosofia e politica in Unione Sovietica. 1924-1939 (Feltrinelli, 1978),
La mediazione linguistica (Feltrinelli, 1980), L'impresa tra ipotesi, miti, rea
lt (con G. Usai, Isedi, 1994), Epistemologia del confine (Il Saggiatore, 1997), L
a citt possibile (con G. Maciocco, Dedalo, 1997), Epistemologia del cyberspazio (
Demos, 1997), Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico (con G.
Usai, Giuffr, 1999), L'albero flessibile. La cultura della progettualit (Masson,
1998), Il destino del marxismo in Russia: Dall'idolatria al rifiuto (con V. Miro
nov, Luiss-Rubbettino, 2001), Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal
cervello (Raffaello Cortina, 2002), Le due viedella percezione e l'epistemologia
del progetto (Franco Angeli, 2005), Come leggere Florenskij(Bompiani, 2006), Lo
spazio intermedio (Universit Bocconi Editore, 2008, ed. spagnola Elespacio inter
medio, EditorialFragua, 2009), Individui e imprese: centralit delle relazioni (co
n G. Usai, Giuffr 2008), Saper fare la scuola: il triangolo che non c' (con V. Cam
pione, Einaudi, 2008), Storia della filosofia, vol. XIV, Filosofi italiani del N
ovecento, (con D. Antiseri, Bompiani, 2008), People and Space. New Forms of inte
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uoghi della convergenza tra scientiae humanitasoggi, in R. Cirino. A. Givigliano
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cielo incarnato. L'epistemologia del simbolo di Pavel Florenskij, Aracne, Roma
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d Communication Industry, Media XXI, Porto, 2014, pp. 15-22; Il nodo Borromeo. C
orpo, mente, psiche, Aracne, Roma, 2015.

NOTE
[1] G. BATESON, Forma, struttura e differenza, in ID.: Verso un'ecologia della m
ente, Adelphi, Milano 1976, pp. 479-480.
[2] A. G. GARGANI, L'organizzazione condivisa. Comunicazione, invenzione, etica,
Guerini e Associati, Milano 1994, pp. 71-72 ( il corsivo mio).
[3] P.A. FLORENSKIJ, Imjaslaviekakfilosofskajapredposylka, tr. it. La venerazion
e del nome come presupposto filosofico, in D. FERRARI-BRAVO, E. TREU, La parola
nella cultura russa tra '800 e '900. Materiali per una ricognizione dello slovo,
Tipografia Editrice Pisana, Pisa 2010, p. 447.
[4] C.G. JUNG, Opere, vol. 10/2, Boringhieri, Torino 1986, pp. 266-267.
[5] C.G, JUNG, Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche, in ID.: Opere, vo
l. 8, Boringhieri, Torino 1996, p. 246.
[6] C.G. JUNG (1958), La schizofrenia, inID.: Opere, vol. 3, Torino, Bollati Bor
inghieri, 1999, 296.
[7] COLGIN, L.L., DENNINGER, T., FYHN, M., HAFTING, T., BONNEVIE, T., JENSEN, O.
, Frequency of gamma oscillations routes flow of information in the hippocampus,
Nature 462 (7271), 267-269, (2009).
[8] Citazione ricavata da J.S. Grotstein, Un raggio di intensa oscurit. L'eredit d
i Wlfred Bion, Raffaello Cortina, Milano, 2010, p. 324. In nota Grotstein scrive
: Si tratta della citazione esatta di Bion, durante la mia analisi con lui nel 19
76. Menzion di averla tratta da una delle lettere di Freud a Lou Andreas. Salom (F
reud, Andreas-Salom, 1966).
[9] Ibidem.
[10] W. PAULI, Psiche e natura, Adelphi, Milano, 2006.
[11] E. BELLONE, Il sogno di Galileo, il Mulino, Bologna 1980, p. 54.
[12] Ivi, p. 56.
[13] S. KAUFFMAN, Reinventare il sacro, tr. it., Codice Edizioni, Torino 2010.
[14] Ivi., pp. 4-7.
[15] Ivi. p. 254.
1 L.S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, tr. it. L. Mecacci, Laterza, Roma-Bari
1990.
[16] L.S. VYGOTSKIJ, Sobraniesoinenij (Raccolta delle opere), vol. I, Nauka, Mosk
va 1982, p. 87.
[17]M. BACHTIN, L'autore e l'eroe, Einaudi, Torino 1988, pp. 282-284.
[18] L. S. VYGOTSKIJ, Mind in society, Cambridge, Mass. 1978, pp. 87-88.
[19] Ivi, p. 56.

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