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Bonsai
& Suiseki
magazine

Febbraio 2009
Anno I - n.2
Bonsai&Suiseki magazine

2

Bonsai & Suiseki
magazine
Febbraio
©
editoriale
2009 2
DIRETTO DA
Antonio Ricchiari
IDEATO DA L’anno che verrà…
Luca Bragazzi
Antonio Ricchiari Una famosa canzone di Lucio Dalla parla di buoni propositi per l’anno nuovo. Po-
tremmo adattare il testo della canzone al bonsai ed al suiseki. Per quel che riguarda
Carlo Scafuri il Forum, credo che il 2009 sia nato sotto i migliori auspici proprio per la nascita del
magazine che è già alla sua seconda uscita, al numero due di Febbraio.
REDATTORE Noi speriamo di dimostrare che con la passione e la buona volontà si può andare lon-
Carlo Scafuri tano. Il primo numero del magazine ha ricevuto una accoglienza lusinghiera e questo
ci spinge a fare di più e meglio. Miglioreremo numero dopo numero, dateci tempo. In
REVISORE DI BOZZE fin dei conti ci sentiamo degli artigiani che cercano di fare manualmente ciò che altri
Dario Rubertelli fanno con mezzi ben diversi e più potenti. Ma è proprio questa sfida che ci esalta e ci
Pietro Strada corrobora. Le cose semplici e a portata di mano non ci hanno mai interessato.
Il vostro consenso ed il vostro seguito saranno l’input e la forza necessaria per con-
CORRETTORE DI BOZZE tinuare questa scommessa con noi stessi. Ci piacerebbe ricevere consigli e suggeri-
menti: questo magazine è tutto vostro ed è aperto ad ogni forma di collaborazione.
Giuseppe Monteleone
E’ un prodotto tutto nostrano e noi siamo un popolo con infinite risorse, non dimenti-
cate che siamo abituati ed allenati a gestire la difficoltà.
PROGETTAZIONE GRAFICA Noi speriamo che il 2009 sia un anno che veda il piccolo meraviglioso mondo del
Salvatore De Cicco bonsai e del suiseki:

IMPAGINAZIONE tutti … uniti e coesi


Salvatore De Cicco tutti … lanciati verso una collaborazione più proficua
Carlo Scafuri tutti … con un solo interesse comune
tutti … con meno interessi personali
tutti … un po’ più modesti
FOTO DI COPERTINA tutti … più tolleranti
Antonio Acampora tutti … più generosi
Antonio Defina tutti ... più bonsaisti e suisekisti!
Luciana Queirolo
In fondo il bonsai ci aiuta a vivere meglio e ci evita assunzione di ansiolitici, non è
HANNO COLLABORATO una sfida all’ultimo… albero, non è una pole position perché non vi è un primo ed un
ultimo, non è una guerra di trincea perché non vi sono schieramenti (???), non è una
Antonio Acampora competizione permanente perché la competitività spesso viene vissuta con livore,
Sergio Bassi non è un business perché se qualcuno ha frainteso la possibilità di fare quattrini… è
Sergio Biagi completamente fuori strada! Il bonsai non è un sublime modello formale o un coe-
Antonio Defina rente canone metodologico: rientra invece in una sana concezione del mondo, in un
Luciana Del Fico sistema di valori che oggi è diventato sempre di più un miraggio. Appaga l’ansia di
certezza, il bisogno di assoluto, la ricerca di verità permanenti. Colma alcuni vuoti che
Gian Luigi Enny il baratro incolmabile della società postmoderna ha provocato all’uomo.
Giovanni Genotti Il futuro del bonsai italiano è tutto contenuto nel passato.
Francesco La Rosa
Giuseppe La Susa Antonio Ricchiari
Luciana Queirolo
Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro mate-
riale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva
proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in
via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai
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ce di procedura Penale che ne regolano la materia.
Sommario ニ
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
pag. 01 “Giardini giapponesi” - G. L. Enny

pag. 04 “E sopra le nuvole... un mondo” - S. Bassi

Mostre ed eventi
pag. 06 “Coordinamento Bonsaisti Siciliani”
- F. La Rosa
pag. 07 “I° trofeo per principianti NBC” - L. Del Fico

In libreria
pag. 09 “Wabi-Sabi” - A. Ricchiari

pag. 09 “Bon-Sai” - A. Ricchiari

Olivo

Bonsai ‘cult’
coll. Antonio Ricchiari

L’essenza del mese pag. 10 “Gli stili bonsai” - G. Genotti

pag. 21 “Olivo” - A. Ricchiari

La mia esperienza
Note di coltivazione
pag. 11 “Ricottura del filo di rame” - S. Guerra
pag. 24 “I concimi organici” - L. Bragazzi
pag. 12 ”Cipresso toscano inclinato” - S. Biagi

Tecniche bonsai A lezione di Suiseki


pag. 25 “I terricci” - A. Acampora, P. Strada pag. 14 “Introduzione al suiseki” - L. Queirolo

Vita da club
A scuola di estetica
pag. 30 “Bonsaisieme” - A. Defina
pag. 18 “Note sull’estetica dei bonsai - A. Ricchiari

Che insetto è?
pag. 31 “Patologia vegetale - II parte” -
L. Bragazzi
1 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
E SOPRA LE NUVOLE... UN MONDO - Sergio Bassi

Chi, come me, ama “andar per sassi” non è mai sicuro di trovarli, però… ci spera sempre.
E sopra le nuvole... Se poi trovo un buon pezzo (non ho detto eccezionale) ogni volta che esco, sono al settimo
cielo.
un mondo A chi come me ama “andar per sassi”, sarà sicuramente successo di girare, girare e girare (sia
nel senso di sassi sia nel senso di camminare) e non trovare niente.
Ricordo bene quella mattina di quattro anni fa, quando con l’amico Claudio Nuti “ruzzolavo
sassi” sul monte Amiata in Maremma ormai da un paio d’ore ed avevo il sacco ancora vuoto.
Una vera eccezione perché, in verità, una pietra qualsiasi ce la metto appena si arriva. Sia per
conquistarmi il primato della mattinata, sia per fare invidia al mio amico.

Comincio col dire che l’ho trovata bellissima, senza fargliela vedere; piuttosto, mi invento una scusa e cerco di farlo arrabbiare; poi, alla prima
occasione, la sostituisco con una buona.
Se però non ho trovato neppure la buona, mi porto a casa la ciofeca che ho messo nel sacco: lui non saprà MAI della sua bruttezza (della pietra!
).
Credo però che sospetti qualcosa, perché si allontana, rimanendo a contatto di voce, e comincia a dire: ooohhhhh bella questa, eccezionale......
vedessi com’è......... ha delle guglie meravigliose... perfette; e si allontana, in modo che, anche avvicinandomi, non possa vedere niente...
Così inizia il nostro divertente rituale - gli chiedo di farmela vedere e lui mi risponde che prima vuol vedere la mia... e così scherzando passiamo
delle ore spensierate e piacevoli.
Siamo dell’idea che il primo obbiettivo sia quello di divertirsi - poi, se troviamo qualcosa è meglio, altrimenti va bene ugualmente.
Stavo dicendo: avevo il sacco ancora vuoto, quando, rivoltando l’ormai ennesimo ciottolo, vidi comparire una punta...
Era il momento mio!
Intanto, potevo buttare lo scorfano (che comunque pesava) per metterci qualcosa di buono; ma soprattutto, fui sinceramente convinto di aver
trovato il “pezzo della mattinata”.

Non vi dico se quel giorno trovai ancora qualcosa, anche voi come Claudio...

Ho avuto la fortuna di “andare per sassi” con la Luciana, è incredibile, appena ha per le mani una pietra, ti spiega
immediatamente quale è il suo lato migliore, come deve essere il daiza, come si espone (tavolino compreso)...
insomma è in grado di “leggerla” immediatamente sotto tutti i punti di vista.
Io mi reputo un amatore di livello standard (… fermi! ora stiamo parlando di sassi)… ed ho bisogno di tempo per
realizzare tutte queste cose: preferisco affrontare un problema alla volta.

Nonostante questo, sospettavo da subito che la realizzazione del supporto sarebbe stata complicata, non im-
maginando però quanto. La pietra presenta una parte sottostante molto profonda, avrei potuto tagliarla.

Non l’ho fatto per due semplici motivi:primo, non ho mai tagliato una pietra alla quale tengo;
secondo, il fronte basso volevo che si vedesse bene. Quindi il problema non era eliminare la parte
sotto, ma come costruire un daiza che potesse contenerla tutta, evidenziando anche il sotto, ma
soprattutto NON ESSERE INVADENTE.

Mi rendevo conto che sarebbe servita una tavola piuttosto alta. Ne trovai una di cedro; è risaputo
che il legno di conifera è sconsigliato, perché è possibile che all’improvviso si verifichino fuorius-
cite di resina, ma sul momento era l’unico che avevo del giusto spessore e grandezza, inoltre ho
ritenuto che fosse sufficientemente stagionato.
Pietra vista da dietro, in posizione capovolta.

Aggiungo che il legno di cedro durante la lavorazione spri-


giona un profumo molto piacevole.
Per cominciare, mi dedicai solo alle profondità; poi, aiutandomi con la carta carbone, cercai anche la preci-
sione.

Non è stato facile capire quando fermarmi.


L’esperienza fatta in questi anni, mi ha insegnato che è meglio scendere qualche millimetro in più rispetto
a quello che serve. Vi spiego il perché di questa scelta: usando la carta
carbone per fare lo scavo interno, è possibile che i bordi alti risultino in-
volontariamente segnati di nero. Quando si ha poca esperienza, si tende
a togliere quella parte di legno macchiata ritenendola una operazione
necessaria, accorgendosi dell’errore quando è ormai tardi. Acquisendo
un poco di esperienza in più, questo errore è meno frequente, ma una
disattenzione può sempre egualmente capitare. Se invece scendiamo di
qualche millimetro in più, in fase di rifinitura, avremo ancora la possibilità
di togliere il legno sopra a confine con la pietra fino a ritrovare il punto di contatto migliore possibile.
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
E SOPRA LE NUVOLE... UN MONDO - Sergio Bassi 2
Se nella lavorazione staremo molto accorti, il risultato sarà sicuramente buono.
Decisi che era il momento di fermarmi, quando la parte sinistra fu incassata a sufficienza.
Ma non poteva essere lo stesso anche per il lato destro; come è facile notare, esso presenta una protuberanza sot-
tile e lunga. Incassare anche questo lato mi avrebbe creato il problema di come rifinire la parte sottostante, inoltre
era inutile ai fini del mio progetto
Ricercando la discrezione nel daiza, eseguii un taglio molto aderente, senza dare importanza al fatto che la pietra
debordava da tutti i lati fuorché sul fronte.

A questo punto mi cimentai nella realizzazione dei


piedini, ed a rifinirla.

Decisamente non mi piaceva.

Confesso che sul momento fui deluso del mio lavoro.


L’aspetto d’insieme era decisamente troppo “pesante”
3 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
E SOPRA LE NUVOLE... UN MONDO - Sergio Bassi

Quando inizio una base, non sempre ho chiaro


in mente, come la realizzerò nei particolari;
nella mia testa ho chiare le proporzioni ma
spesso decido sul momento come procedere.
Via via che il legno diminuisce, la paura di sba-
gliare aumenta; i margini per rimediare ad un
errore od a una distrazione, sono sempre mi-
nori; immaginate cosa vuol dire buttare via il
lavoro di molte ore, per un piede che salta...
Guardando attentamente la base, decisi di al-
leggerirla più che potevo e delicatamente co-
minciai a levare.

Ho parlato di progetto, ma non ve l’ho spiegato:


sicuramente conoscerete la favola di Giacomino
e dei fagioli magici... quando arrivò in cima alla
pianta, sopra le nuvole, trovò un mondo nuovo
con un castello... io vedo quel mondo sopra le
nuvole.

Ma per rendere questa idea, era necessario che io togliessi molto legno…

…non poteva essere “semplicemente” una


pietra montagna, il mio obiettivo era di elevarla
a qualcosa di fantastico, irreale; evitando di
ottenere un aspetto pacchiano.

Credo che questa pietra, pur non essendo


niente di eccezionale, rappresenti un tassello
importante nel mio bagaglio tecnico nella
costruzione dei daiza; un passaggio che mi ha
insegnato molto.
Non ho mai detto che sia perfetta, in-
fatti nell’ottobre 2006, quando ho chiesto
un’opinione a Felix Rivera, mi ha consigliato di
togliere ancora sotto il lato destro.

Con l’esperienza di oggi credo che il suo con-


siglio sia stato bonario nei miei confronti,
probabilmente dovrei togliere ancora da tutte
le parti.

Pur sentendo la necessità di modificare una base che a suo tempo considerammo “finita”, non si trova mai il momento, il coraggio o (forse) la
voglia di modificarla: tendiamo sempre a rimandare; chi sa, forse un giorno...

Mi piace finire con una frase non mia: “non è difficile realizzare lavori di scultura, basta togliere tutto quello che c’è in più.”




Sergio Bassi
4
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny

Storia del
moderno
Giardino Giapponese
Il
Giappone odierno
prova una incantata
meraviglia di fronte alle proprie
passate opere, e vuole mantenere
l’arte acquisita, pur reinterpretandola
per le esigenze della realtà presente.
Su tali basi si colloca l’amore per il giardino
privato, che anche nelle soffocanti e tentacolari
metropoli odierne sopravvive come spazio
irrinunciabile, fosse anche per la sola funzione
di allargare metafisicamente gli angusti spazi
fisici ma anche psicologici dell’uomo affannato
continuamente dal logorio della vita moderna.
5 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny

Questo piccolo angolo verde offre ai suoi ospiti l’occasione del distacco dal caos
urbano a favore di una nuova comunione con la natura. L’importanza del giardino
situato nel cortile delle case, detto Tsuboniwa, ha origini antiche, come testimoniano
le descrizioni riportate nel romanzo del principe Genji, datato intorno all’anno 1000.
Le abitazioni in stile Shinden, infatti possedevano tra una costruzione e l’altra, dei
piccoli cortili di separazione tenuti a giardino dagli abitanti delle stanze adiacenti.
Esempio classico è il giardino della Lespedeza nel palazzo imperiale di Kyoto. La tradizione dello
Tsuboniwa sopravvisse anche nell’età feudale, come attestano i giardini interni alle residenze
dei monaci buddisti; dai siti religiosi i piccoli giardini si diffusero anche in città, situandosi
generalmente sul retro dell’abitazione, in uno spazio cinto da un muro di argilla su tre lati e dalla
Muro di cinta (foto: Enny) veranda della casa sul quarto lato.
Particolare riferimento va fatto per l’arredo dello Tsuboniwa, che riflette il gusto individuale espresso dagli abitanti della casa, non soggetto
alle regole indicate nei manuali del tempo. A partire dal periodo Momoyama lo Tsuboniwa risente fortemente della cultura del tè che ne
provoca il cambiamento morfologico in base al rinnovato gusto. La pratica di bere il tè trova luogo nella E’ sufficiente un ramo di
stanza affacciata sul giardino, avvalendosi del verde per ottenere un ambiente riposante e al contempo
prunus fiorito per vivere in
meditativo. Questo genere di giardino fa propri gli elementi tipici , ovvero lanterne, pietre da passo e
soprattutto le basse vasche in pietra contenenti l’acqua purificatrice.
comunione con la natura.

L’estensione, talvolta assai esigua, non gli permette di emulare al meglio il giardino del tè da cui
si differenzia in quanto viene contemplato staticamente, in posizione seduta dall’interno della
casa. Al giorno d’oggi la superficie riservata al giardino urbano è altamente limitata.
Tuttavia nello spazio concessogli si compie ogni sforzo possibile per ricreare un ambiente quanto
più piacevole, che dia l’illusione della vastità grazie ad abili effetti prospettici: ad esempio non si
disporrà il gruppo roccioso addossandolo al muro di cinta, ma ponendolo verso il centro in modo
da aumentare le visuali. Un altro trucco è quello di piantare gli alberi a foglia grande e chiara in
primo piano mentre quelli a foglia piccola e scura andranno posati sullo sfondo con vialetti che
si restringono e scompaiono tra gli arbusti, in questo modo il giardino assumerà otticamente
una profondità maggiore, dando al visitatore l’impressione di essere più grande. Ciò che è Giardino visto dal piano alto dell’abitazione, una visione insolita
ma dall’effetto stupefacente
fondamentale è il risultato globale, l’equilibrio ottenuto attraverso l’eliminazione degli eccessi di
vegetazione, garantendo invece la varietà di linee e tessiture, in modo da non stancare mai lo sguardo. La perfezione è poi raggiunta quando
il giardino soddisfa non solo lo spettatore situato al pianterreno, ma anche, quando ne occorra il caso, chi è sito al secondo piano.

Il giardino moderno trova quindi svariate possibilità espressive derivandole dalle precedenti tradizioni. Si nota
ancora fortissima l’influenza del giardino del tè, che maggiormente realizza la dimensione di tanto ricercata
tranquillità. Se il privato deve accontentarsi dello sgocciolio della fontanella di bambù e del piccolo specchio
d’acqua che il poco spazio gli consente, negli ambienti destinati al grande pubblico è ancora possibile creare
uno stagno sinuoso dove guizzano grosse carpe bianche e rosse, e dove lo scroscio di una cascata rallegri il
cuore e la vista, mentre tutto attorno fanno da cornice alti alberi dalle varie forme e colori.
Parco pubblico in una cittadina giapponese
(Consolato generale del Giappone)

Pertanto la storia del giardino, fatta di continue evoluzioni, concatenate in una


linea ininterrotta, dimostra l’esigenza dello spirito giapponese di non interrompere
il rapporto con la natura, a tale scopo può bastare una striscia di terra accanto
all’uscio di casa, una pianta ben accudita, una miniatura di giardino un paesaggio
su un vassoio (Bonkei, fig.1), un albero in un vaso (Bonsai, fig.2), dei fiori dentro una
ciotola (Ikebana, fig.3), una pietra paesaggio (Suiseki, fig.4) poiché è sufficiente un
piccolo accenno per ricordare e talvolta enfatizzare una componente essenziale
per l’umana felicità.

Gian Luigi Enny


Bonkei - Fig.1

Foto pagina precedente:


- Wang Mien del XIV sec.
- Giardino moderno con laghetto
( foto Nippon Bonsai)
Bonsai- Fig.2 Ikebana - Fig.3 Suiseki - Fig.4
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Mostre ed eventi
COORDINAMENTO BONSAISTI SICILIANI - Francesco La Rosa

Nasce il Coordinamento Bonsaisti Siciliani


Testo di Francesco La Rosa
Foto di Michele Impero

L’idea della creazione di un coordinamento siciliano risale al 1997


quando, in occasione della mostra organizzata dall’”Aretusa Bonsai
Club”, i rappresentanti dei club partecipanti proposero la fondazione di
un coordinamento. Purtroppo la riunione si chiuse con un nulla di fatto a
causa di diverse opinioni esposte da alcuni bonsaisti presenti.
Nel 2008, durante una manifestazione organizzata dal Bonsai Club
Palermo, a seguito di una proposta dei soci del club palermitano, i
Presidenti delle associazioni partecipanti hanno dato mandato alla
Associazione del capoluogo siciliano di riproporre l’istituzione del
“Coordinamento Bonsaisti Siciliani“. Grazie alla collaborazione ed alla
solerzia di alcuni soci, hanno aderito undici club siciliani e alcuni singoli
bonsaisti quali i fratelli Paolo e Francesco Miano, Paolo Licari, Francesco
Barbagallo, Francesco Giammona che con le loro piante si sono distinti
in vari concorsi.
Il 14 dicembre 2008 presso la Biblioteca Scarabelli di Caltanissetta si è così costituita l’Associazione denominata
“ Coordinamento Bonsaisti Siciliani “ con sede a Palermo e che non interferisce nell’attività dei club associati che
operano secondo il loro statuto. Lo statuto del coordinamento ha lo scopo di promuovere e coordinare l’attività dei
club regionali, migliorare la formazione dei propri iscritti attraverso workshop e dimostrazioni di esperti riconosciuti
in ambito nazionale ed internazionale ; favorire seminari ed agevolare la conoscenza delle tecniche bonsaistiche
promuovendo gemellaggi con altri club italiani ed europei.
Inoltre l’Associazione ha come obiettivo la promozione dei talenti siciliani emergenti e la istituzionalizzazione di una
mostra regionale itinerante. Un altro fine del Coordinamento è quello di favorire lo scambio di esperienze tra i vari club
e lo scambio degli esperti presenti all’interno di essi.

Fanno parte del Coordinamento:

Bonsai Club Contea di Modica (RG)


Bonsai Club Messina
Drago Verde Bonsai Club (ME)
Bonsai Club 5 Torri (TP)
Ibla Bonsai Club Avola (SR)
Bonsai Club Ragusa
Bonsai Club Palermo
Bonsai Club Favara (AG)
Bonsai Club Catania
Bonsai Club Caltanissetta
Bonsai Club Vittoria (RG)

Il Consiglio Direttivo è così costituito:

Presidente, Francesco La Rosa


Vice Presidente, Paolo Nastasi
Segretario, Vincenzo Tralongo
Tesoriere, Nicola La Pica

Francesco La Rosa

La redazione ringrazia il Sig. Giuseppe La Susa per aver reso possibile il reperimento di questo articolo
7 Mostre ed eventi
I° TROFEO NBC - Luciana Del Fico

I° Trofeo per Principianti


Napoli Bonsai Club
di Luciana del Fico

Un Club è, generalmente, un luogo dove persone con gli stessi


interessi decidono di riunirsi per fare un percorso insieme, un
percorso condiviso nel rispetto reciproco e con l’intenzione di
scambiare esperienze e conoscenze. Il Napoli Bonsai Club è
tutto questo… e anche di più.

E’ un luogo dove si viene innanzitutto accolti. E dicendo questo intendo dire veramente accolti, sentendosi da subito uno del gruppo, con sem-
plice benevolenza e cordialità. Dal Giugno dello scorso anno è cominciata la mia esperienza nel Club: pochi mesi ma già tanto ho ricevuto, in
insegnamenti, amicizia, simpatia e…conoscenza dei bonsai, naturalmente.

Oggi vorrei raccontarvi il I° Trofeo del Napoli Bonsai Club.

Nel corso dell’anno viene organizzato un corso gratuito per principianti di avvicinamento al bonsai. Il docente è il Presidente del Club Dr.
Antonio Acampora ed è grazie alla sua abilità nell’insegnare agli aspiranti “bonsaisti” la storia, gli stili, la tecnica e l’estetica dei bonsai, che i
principianti si affezionano a quest’arte e si adoperano nel mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti.
Al termine del percorso di insegnamento del 2008 è stato organizzato il I° Trofeo per i prin-
cipianti. Naturalmente c’è stato un grande entusiasmo da parte di noi allievi, ci siamo iscritti in
molti e abbiamo atteso con ansia, che arrivasse il fatidico giorno.
La mattina di sabato 6 dicembre eravamo in dieci partecipanti, la sala del Club è stata predis-
posta con tavolino e sedia per ogni postazione di lavoro e si è proceduto all’estrazione a sorte
(per equità fra tutti) dei bellissimi Juniperus Procumbens pronti per essere lavorati.
Così, ognuno con la sua piantina, i propri attrezzi e tanta voglia di fare, è iniziata la “gara”!
Che bella giornata! Con un sottofondo di musica classica abbiamo esaminato le piante per
decidere innanzitutto lo stile più adatto alla struttura naturale della pianta che ci era capitata.
Dopodichè si è potuto passare alla potatura e poi alla filatura.
L’ambiente, sempre amicale, si è andato via via affiatando: qualche battuta, uno scambio di
idee e suggerimenti scambievoli, la pausa per una colazione veloce a base di pizza, la ripresa
del lavoro e il tempo è volato.
Sotto lo sguardo attento dei Soci “anziani”
componenti il Direttivo,i principianti hanno
impostato i gineprini in vari stili, kengai, han-
kengai, bunjin. Solo nelle ultime fasi ci è stato
concesso di ricevere qualche consiglio dagli
“esperti” o qualche piccolo intervento manu-
ale per dare maggiore enfasi alla impostazione
messa in atto.
8
Mostre ed eventi
I° TROFEO NBC - Luciana Del Fico

All’ora X cioè dopo circa 5 ore di lavoro, ab-


biamo consegnato le nostre “creaturine” e
abbiamo lasciato la sala per dare modo alla
giuria, composta dal Direttivo del Club, di
scegliere il vincitore.
Una breve attesa e … tutti dentro ad ascol-
tare la proclamazione.

Con una “platea” attenta e interessata il


Presidente Acampora ha esposto ad ogni
partecipante il giudizio della giuria sul lavoro
eseguito, con i relativi pregi e difetti, dando
consigli su come migliorare in futuro.
Il Vincitore è stato Antonio Matrullo. A lui è
andata la bella targa ricordo con inciso la data
e il nome del Club e un attrezzo da lavoro.
La motivazione del primo premio è stata
quella che con l’impostazione data dall’allievo,
lo stile era subito riconoscibile, il filo ben mes-
so e buono anche il rapporto tra il tronco e la
chioma.
Si sono poi classificati secondo Emiliano Neri e terzo Gennaro Terlizzi.
A chiusura della giornata il tempo di scattare una foto ricordo del gruppo con la soddisfazione
sui volti di tutti e l’arrivederci al prossimo incontro. Dimenticavo: portando via ognuno il pro-
prio ginepro, offertoci dal Club, per continuare a coltivarlo, con pazienza ed umiltà, con pas-
sione e cura fino a farlo diventare un amore di bonsai. Grazie, Napoli Bonsai Club!

Luciana Del Fico


9 In libreria
WABI-SABI / BON-SAI - Antonio Ricchiari

Titolo: WABI-SABI per artisti, designer, poeti e filosofi


Autore: Leonard Koren
Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 92
ISBN: 8879285858
Prezzo: € 10,00

Wabi-Sabi: uno stile di vita, un modello filosofico, un


ideale estetico, un cammino spirituale, ma soprattutto
un’esperienza interiore che cambia il nostro modo di
vedere gli oggetti (bonsai e suiseki compresi!), di abitare
la natura, che esalta la nostra capacità di trovare l’armonia
anche nelle cose apparentemente più dimesse, più
semplici. Un modo di pensare degli orientali che investe
tutti gli ambiti della vita e che porta la bellezza, l’eleganza
e l’essenzialità del quotidiano. Arriva dal Giappone, ma
è un concetto universale, prezioso e seducente, che
può arricchire e completare la nostra cultura, capace di
restituire all’arte del vivere saggezza ed equilibrio.

Titolo: Bon-sai. Storia, arte e filosofia


Autore: Antonio Ricchiari
Editore: Fabio Orlando Editore
Pagine: 145
ISBN: ...
Prezzo: € 19,00

Senza comprenderne il significato filosofico da cui scaturisce


e le implicazioni religiose, capire il Bonsai rimarrebbe un
tentativo privo di successo. Credo che chi voglia iniziare a fare
Bonsai con impegno e serietà debba risalire alle sue origini,
dato che il Bonsai non è un semplice hobby, come qualcuno
ha tentato superficialmente di definirlo. L’interpretazione
storico-artistica-filosofica ne rende chiaro il significato.
Questo libro è il risultato di uno studio approfondito su testi
stranieri, alcuni dei quali rari e introvabili e su Autori del
secolo precedente.
Il vasto pubblico di bonsaisti è ormai maturo per impegnarsi
in una lettura più profonda che non sia la già vasta letteratura
che parla soltanto di tecniche. Era necessario fare il cammino
a ritroso: un impatto iniziale con la cultura del Bonsai - prima
dell’approccio pratico - avrebbe forse spaventato il lettore
facendolo allontanare da questo meraviglioso mondo.
L’Autore ha scoperto una serie di notizie storiche attraverso
Autori latini e greci che danno una diversa interpretazione
sulla paternità del bonsai.
10
Bonsai ‘cult’
GLI STILI BONSAI - Giovanni Genotti

Gli stili bonsai. A cosa servono?


Testo di Giovanni Genotti

Gli stili sono stati codificati dalle scuole giapponesi di bonsai, deriva-
no dall’osservazione delle piante più rappresentative cresciute in luoghi e climi diversi.
E’ da notare che ogni pianta in natura, nella sua lunga vita, elimina cio’ che non le serve,
con la maturità resta quella vegetazione che le è indispensabile; l’equilibrio vegetativo
vitale si riflette in ogni sua parte. Si giunge con una pianta quasi astratta e sofisticata,
inquadrata in un’armonia ed estetica che comunica una profonda sensazione. Gli stili
sono nati come esempio al bonsaista che segue per non creare cose banali e per raggi-
ungere con gli interventi, simili a quelli naturali, un risultato in tempi brevi. Sono quindi
schemi da conoscere e seguire nella tecnica bonsaistica, per tutti. Schemi che si devono
adottare sulle piante, conoscendone  il loro comportamento, ed eventualmente supe-
rarne la loro rigidità. Questo superamento di essi però dev’essere ben valutato e sempre
a favore di un’armonia d’insieme della pianta. Armonia giustificata anche da precedenti
inconvenienti e particolari sviluppi di crescita. La conoscenza dei diversi stili è perciò
fondamentale poiché poggiandosi sulla storia di vita del materiale di partenza lo si può
esaltare e migliorare nel raggiungere la maturità come bonsai. Gli stili dicono non sol-
tanto dove un’essenza cresce (una latifoglia a scopa rovesciata difficilmente cresce in
un terreno roccioso o di montagna), ma ricordano anche l’andamento stagionale e cli-
matico. Le curve del tronco nell’eretto causale o la cima arrotondata ,ricordano le ne-
vicate abbondanti sopportate nei primi anni o negli ultimi di vita. Lo stile inclinato sug-
gerisce uno smottamento su un ripido pendiosu cui è cresciuta la pianta, suggerisce il
protendersi di essa verso la luce, e quindi superare l’impedimento dovuto a rocce o altre
piante. Ogni singolo stile si adatta quasi esclusivamente ad un tipo d’essenza; abeti o
leggere caducifoglie per i boschi, ulmacee per la scopa rovesciata. Educare un acero a
forma di scopa è innaturale perchè esso cresce in luoghi con substrati poco profondi.
Una cascata o un prostrato saranno adatti a ginepri. L’eretto causale sarà lo stile a cui si
adattano quasi tutte le piante che crescono in zone a clima temperato. E’ però uno stile
difficile da creare nelle giuste proporzioni, come l’ampiezza delle curve del tronco nello
spazio, posizione e angolazioni dei rami. Proprio perché  offre molte possibilità interpre-
tative è molto sfruttato ma è facile incorrere in errori grossolani. Una grossa chioma a
semisfera, giovane e precisa, su di un tronco contorto, che presenta innumerevoli e pe-
santi shari, jin e parti morte è un grosso errore che spesso si vede. Oppure la creazione di
curve regolari simmetriche poste su un piano. Col seguire pedestremente le regole degli
stili si educheranno bonsai piacevoli ma non eccezionali. La conoscenza di esse però è
indubbiamente indispensabile; applicarle al giusto materiale e superarle nell’equilibrio
ed armonia propria della vita stessa in oggetto, si possono creare capolavori. E’ da con-
siderare anche che pochissimi bonsaisti sono artisti (nel senso di rispetto della natura
risaltandone l’aspetto nella strutturazione di un bonsai). I capolavori perciò si possono
contare sulle dita, come si suol dire, spesso le dita di una mano sono sin troppe. Non
accetto assolutamente le forme disegnate al computer (virtual) basate sull’estetica det-
tata dalle nostre regole su ciò che osserviamo ed in particolare sulle cose inanimate ed
il tutto questo senza conoscere lo stile a cui meglio si adattano i materiali di partenza e
le sue reattività alla tecnica bonsaistica. Dopo aver giustamente educato in diversi stili
molte e ripeto molte piante, delle quali si conosce il comportamento, si potrà o si dovrà
scegliere  per il  materiale di partenza un compromesso alle regole. Compromesso vo-
luto e accettato dall’essenza che potrà rendere il bonsai non solamente unico ma espres-
sivo e forse con il tempo un capolavoro; un tangibile risultato che lega l’uomo alla vita
vegetale della natura. Un compromesso (non frutto del caso) che unito alle tecniche
e alla sensibilità del bonsaista ne può per esso giustificare l’appellativo di maestro. La
conoscenza profonda degli stili è quindi indispensabile per chi intraprende un qualsiasi
lavoro bonsaistico ma dev’essere piu’ che mai approfondita per colui che vuole dedicarsi
all’insegnamento delle tecniche bonsai.

Giovanni Genotti
11 La mia esperienza
RICOTTURA DEL FILO DI RAME - Sergio Guerra

La mia esperienza
Ricottura del filo di rame
di Sergio Guerra

All’inizio della mia avventura nel mondo dei bonsai non ho mai avuto problemi nel trovare
il rame per le legature. Questo perchè ricevetti l’aiuto da parte di un amico di mio padre,
anch’esso interessato ai bonsai.
Questo signore recuperava, dalla rottamazione di grossi trasformatori elettrici dismessi, i fili
dal diametro 1,5 mm./4 mm., mentre i diametri inferiori li reperiva da artigiani addetti al
ripristino degli avvolgimenti dei motori elettrici.
Stiamo parlando del 1990, anni in cui il rame d’importazione giapponese costava come l’oro
ed era reperibile solo in pochissimi centri specializzati...
Purtroppo nel 1999 questo caro amico è mancato, lasciandomi come ricordo parecchio
rame, ma soprattutto le informazioni utili per una corretta ricottura.
Il filo di rame utilizzato dai bonsaisti per le legature deve essere molto malleabile nella fase
di avvolgimento e dopo questa fase deve irrigidirsi per mantenere in piega il ramo. Queste
caratteristiche si ottengono solo dopo la ricottura.
La ricottura può essere fatta in svariati modi, con cannello da saldatore, forgia e altre fonti
di calore capaci di far sì che il filo raggiunga una temperatura variabile da 350° a 600° cen-
tigradi.
L’estate scorsa andai in visita a dei conoscenti, stavano cucinando e usavano un fornello a
gas...osservando la fiamma mi tornò in mente il filo di rame.
Ad Ottobre recuperai 3 kg. circa di filo suddiviso in 3 misure 0.8-1,5 e 2 mm, mi feci prestare
il fornello (Fig. 1) e cominciai il lavoro.
Facendo inizialmente delle matasse, iniziai a riscaldarle, una matassa alla volta (Fig. 2)
Fig. 1 - Fornello
ribaltandole su se stesse un paio di volte fino a portarle a temperatura. Il filo deve assumere
un colore arancio-giallo (Fig. 3), un colore simile al sole quando tramonta (frase rubata ad un
amico). La fase di riscaldamento dura all’incirca 5-7 minuti. A questo punto, una volta tolte
dalle fiamme, le matasse vanno fatte raffreddare all’aria sopra una tavoletta di legno (Fig.
Fig. 2 - Matassa di rame 4), in quanto più si allunga il tempo di raffreddamento, più il filo rimane morbido. Il risultato
è ottimo ed ecco come si presenta il filo dopo il trattamento (Fig. 5).
Subito dopo sono sceso in giardino, ho tagliato due rametti dal faggio pendulo e ho fat-
to la prova di avvolgimento, il risultato?….più che ottimo direi eccellente, molto morbido
nell’avvolgimento e rigidità elevata dopo la piega (Fig. 6).
Riassumendo il tutto in poche parole, con il FAI DA TE si possono risparmiare diversi soldini
da impiegare in altre spese indispensabili.
Fig. 3 - Colore dopo la cottura

Buon lavoro a tutti.

Fig. 4 -Matasse lasciate a raffreddare

Sergio Guerra

Fig. 5 - Rame dopo il


raffreddamento

Fig. 6 - Rami di faggio avvolti col rame


La mia esperienza
CIPRESSO TOSCANO INCLINATO - Sergio Biagi 12

La mia esperienza
Cipresso toscano inclinato
di Sergio Biagi

Questa è una storia forse come tante, in un momento in cui il bonsai italiano comincia ad
assomigliare sempre più a quello Giapponese per il passare di mano in mano di alcune piante
che vengono via via esposte alle manifestazioni e poi cedute, per essere di nuovo presentate
alla manifestazione successiva da un altro proprietario.

Il cipresso che vi presento prima di essere presentato a Fermo UBI 2007 era di mia proprietà e
fu raccolto da me nel lontano 1997.
La pianta presentava come motivo di interesse un movimento del tronco abbastanza marcato
considerata l’essenza e una corteccia che più avanti fu definita corticosa, tipica di quella zona.
La vegetazione era scarsa e andava costruita passo dopo passo durante la coltivazione.
In quel periodo scrivevo qualche articolo su di una rivista che ora non esiste più (BonsaItaliano)
per cui alcune delle foto che seguiranno si riferiscono a quel periodo. (Fig. 1 e Fig. 2 - 1998)
Il cipresso ben attecchito è pronto per la prima impostazione, lo possiamo vedere nel fronte e
nel retro. (Figg. 3, 4, 5, 6, 7 e 8 ) Il lavoro principale si è focalizzato nel dissimulare il taglio del Fig. 1
tronco, cercando di renderlo il più naturale possibile - e ad avvolgere la poca vegetazione pre-
sente in quel momento. Verso la fine degli anni ‘90 le tecniche e le attrezzature evolute per la Fig. 2

lavorazione della legna secca, quali la sabbiatura, la bruciatura ecc. non erano diffuse ed evo-
lute come ai giorni odierni. In quel momento esisteva la fresatrice per cui il lavoro fu eseguito
per mezzo di questo utensile e poi, successivamente, una volta asciugato il legno, sulla pianta
venivano passate varie spazzole abrasive in modo da sfibrare i tessuti più morbidi. In Fig. 6 si
vede la pianta impostata, il primo ramo posizionato sulla destra. Nell’autunno ’99 la pianta
(Fig. 9), nonostante il rinvaso dimostrava di aver reagito positivamente. E nella primavera del
2001 la vegetazione appariva abbastanza matura (Fig. 10).

Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 9

Fig. 7

Fig. 10 Fig. 8
13 CIPRESSO TOSCANO INCLINATO - Sergio Biagi
La mia esperienza

Dopo un’ulteriore rifinitura e un intenso programma di concimazioni nel 2002 fu esposta alla
mostra del Coordinamento Regionale Toscano (Fig. 12).
Nel 2004 decisi di eliminare il grosso jin apicale, dato che era in contrasto con la vegetazione
ormai matura. Tagliai inoltre il primo ramo di destra, a sinistra quello che era un piccolo ger-
moglio era ormai diventato un ramo (Figg. 11, 12). Intanto il cipresso aveva fiorito, sintomo
che cominciava a dare segni di sofferenza, l’anno successivo si rese necessario il rinvaso, colsi
l’occasione per ruotarlo di quel tanto che mi consentiva l’apparato radicale per poter mettere
in risalto ancora di più il movimento del tronco (Fig. 13).
Nel 2006 la pianta passò di proprietà di Stefano Frisoni, che la preparò al meglio per presen-
tarla a Fermo UBI 2007. Ecco invece come si presentava in occasione di Arco 2007 (Figg. 14, 15).
Da allora Stefano ha lasciato riposare il cipresso, libero dal filo, ed ora è diventato di proprietà
di un appassionato Versiliese aderente al club Associazione Versilia Bonsai dove anch’io
insieme ad altri amici coltivo il mio hobby. In primavera quando la temperatura si farà mite
verrà preparato per essere esposto di nuovo, ma onestamente non so dirvi dove e quando.
Fig. 11

Come si può vedere anche in Italia le piante passano di mano in mano, quello che mi fa più
piacere è che questa pianta sia tornata in Versilia, e avere di nuovo la possibilità di seguire e
toccare questa pianta che in qualche modo sento sempre un po’ ancora mia.

Sergio Biagi

Fig. 12

Fig. 13

Fig. 14 Fig. 15
A lezione di suiseki
INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo 14

Introduzione
al Suiseki...
di Luciana Queirolo

Tenterò di seguire un filo condut-


tore…Ma già so che fallirò…Mi ri-
esce sempre così difficile…
La colpa non è solo mia, ma è che,
nel fantastico mondo del Suiseki, Bacheca al Congresso AIAS - Museo geopaleontologico – Lerici - anno 2000
troppi sono i richiami incantatori.
Troppi i ricordi e gli aneddoti; troppe le cose che vorrei raccontare, per catturare tra voi anche gli ultimi scettici: … c’è questo!
Ma sarebbe bene dire anche quest’altro!...i pensieri si affastellano…. Potrei iniziare con qualcosa di leggero; accaduto in un giorno qualunque
di “tranquilla e ordinaria follia”… “Affinità”: parola grossa, dirai, se associata al legame tra l’anima mia a quella di una … pietra.

Bene! A favore di chi inizia ora con me, proviamo a recuperare…

...brani e note scritte nel tempo


Dato a SUISEKIONLINE, Agosto 2004

Feeling: quando è la pietra che ti sceglie.


Scendiamo al fiume, un fiume vergine, per noi. La zona intorno è buona, perciò il greto
non può deludere. Fatti 20 metri… un sasso; poi un altro. “Guarda questo; cosa ti sembra
quest’altro?”
Ci allontaniamo per discrezione, uno di qui, uno di là, per non soffiarci le cose di sotto il naso:
è sempre imbarazzante… Ti rimane, comunque, la sottile smania dell’arraffo: quasi corressi il
rischio che ti venga tolto il pane di bocca. Riempi veloce la cassetta, come se tutto quel ben di
Dio dovesse svanire. Non ti fermi a valutare: la macchina la vedi, tanto è vicina; a casa avrai
tempo.
A casa, il giorno dopo, ti chiedi cosa ti sei portato dietro. Cosa mai ci avrai
visto.

Un Dan-seki sì ma l’altipiano è uno solamente e quello


piccolo sul fondo, non fa testo. Per non dire che i più
smaliziati ti diranno: che te ne fai di quella pietra rot-
ta? Perché poi l’avrò presa… Me la giro tra le mani…
Ma cosa è nato, lì dietro?

Eccola lì, la mia deliziosa famigliola di funghetti; è lì la mia fattoria: sul fronte, davanti alla
casa padronale c’è la stalla per le mucche; più indietro, il ricovero per maiale e galline.
Angelo dice: “non l’avrei vista neanche io”. E questo, per me, è una bella consolazione: ciechi
entrambi, fortunata io.

*******
15 INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo
A lezione di suiseki

Ho cercato già sul Forum di approfondire il tema della pulitura di una pietra delle nostre, ma credo di aver sorvolato un pochino sopra la sua
fase iniziale, di base. Vi ripropongo, allora, alcune semplici considerazioni, postate…

Per un forum francese, anno 2003


… in queste foto c’è tutto ciò che mi occorre; le spazzole immortalate dimostrano di aver
ANCHE lavorato … :-) … la polvere, poi, ne è la riprova.

La dimensione delle pietre, che risulta agevole pulire con il trapano a colonna, dipende dalla
forza dei nostri polsi; da quanto possa essere bloccante e per quanto tempo.
Questo metodo è oltremodo pratico e per più di una ragione:

1)Il numero di giri del motore è regolabile e comunque minore che nei trapani a mano: questo
rallenta il lavoro, ma crea anche minor rischio di rottura. La velocità del motore è determi-
nata dalla maggiore o minore tensione delle cinghie: premendo con forza contro la spazzola,
potrete infatti notare un equivalente rallentamento del motore stesso.

2)La spazzola è bloccata nella posizione orizzontale e noi avremo a disposizione entrambe le mani, libere di ruotare la pietra a seconda della direzione della piega
in cui intendiamo penetrare.

3) Con il trapano a mano, naturalmente, hai in mano anche il peso del motore, mentre la pietra deve essere bloccata. Le braccia sono in tensione per tenere sal-
damente l’attrezzo; gli occhi e la mente sono concentrati su ciò che stai scoprendo… Spesso accade di scoprire ... che le tue mani sono avvinghiate sopra le prese
dell’aria del trapano. :-(

Risultato? Vuoi perché si surriscaldano (i trapani), vuoi perché aspirano quasi tutta la polvere che fai....il mio fanatico spirito del “non si butta niente” ha raccolto in
cantina un cimitero di trapani che finisco per non far aggiustare, seguendo la logica che comperarne uno nuovo costi meno. :-( :-(
Difficilmente riesci a bruciare un trapano a colonna; dopo un uso prolungato puoi avere problemi di sfibramento delle cinghie; le ricerca di “quel tipo” di cinghia e di
“quella esatta misura”, è una storia infinita evitabile, se ti informi dal venditore prima dell’acquisto.

4) L’esperienza porta a formulare una infinità di banali consigli, forse utili a chi comincia.

Si è parlato di cinghie… Fortuna è, ad esempio ....avere un posto, dove spazzolare le pietre all’aperto. Una bella giornata di sole...c’è anche un discreto venticello
a spazzare via polvere e calore; il lavoro rende e la giornata passa…c’è un ombrellone aperto sopra il carrello e ripara dal sole non la mia testa, ma quella del tra-
pano!
Circa il mio cervello, non nutro speranze di recupero, mentre temo molto di più il surriscaldamento ed il conseguente spappolamento della gomma delle due cin-
ghie…

È bene usare il teflon ove occorra delicatezza. In questo caso, una pietra strana, complessa perchè costituita da vari corpi collegati
tra loro da esili porzioni di quarzo. Il teflon è necessario per pulire colori chiari ( a volte, è bene non usare neppure quello!). Non
dobbiamo, però, insistere a lungo, perchè la fibra si surriscalda, rimanendo “spalmata” sulla pietra.

C’è ancora qualche cosa da notare, nella solita inquadratura: le spazzole vec-
chie.
Ebbene sì: sono di Genova: di quella stirpe che insegnò l’avarizia agli scozzesi.
Vendono spazzole di misure diverse: diverso spessore e diversa lunghezza di
fili.

A fili lunghi, ci sono due spessori, come pure a fili più corti. Poi ci sono le spazzoline di diametro inferiore.
Non vi è eccessiva differenza di prezzo, tra fili lunghi e fili corti, ragion per cui,
COMPRO SPAZZOLE A FILI LUNGHI, le utilizzo per lavori di fino e per entrare in profondità poco accessibili
diversamente, UTILIZZANDOLE POI, una volta consumate, per sgrossare parti dure o pianeggianti, per la pulizia
del fondo della pietra (quando occorre) etc... (che pigna secca!!!)

Ci sono poi le spazzole a tazza, che


consiglio per le spazzolature più
Bene! Fatta un po’ di pratica con trapani e spazzole, per ottenere risultati ottimali,
toste.
Vi sono in commercio spazzole di ac- spero possano valere i consigli che vi ho dato nei post del Forum Suiseki, sulla
ciaio di diversa durezza; quelle dai pulitura.
fili di acciaio tenero costano meno Abbiamo lasciato indietro l’argomento forse più importante, anche se apparente-
ma le lascio a chi le vende. :-) mente meno visibile, di una pietra Palombino: il suo fondo.

Venti anni fa, quel poco di estetica che masticavamo, ci imponeva il


“pulito è bello!” e noi lo si intendeva in modo totalitario.

… E giù di spazzola, punteruolo e punte al diamante, allorquando la pietra si fosse ribellata, opponendo resistenza.
Ci si fermava solamente davanti al suo fondo - schiena perfettamente lustro, un vero dorso di “tartaruga”, come i pettorali di un palestrato.
Devo mettere anche qui una delle mie “zampate acide”. Lo stesso effetto naturale può essere infatti riprodotto, dopo aver tagliato una pietra
per migliorarne l’aspetto estetico (o per eliminare rotture), con una sosta del taglio in un velo di acido, per un tempo che vada dai 10 ai 15
minuti, a seconda della resistenza del materiale che, soprattutto in prossimità delle basi, contiene un maggior apporto di silice.
Pietre sottoposte a questo trattamento sono state vendute per naturali, ma è purtroppo riscontrabile che, a volte, contraffazioni simili si
possano trovare anche in mostra.
A lezione di suiseki
INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo 16
Una piccola dimostrazione:
Lasciare intonso il fondo di un palombino, aiu-
ta il compratore ad apprezzare maggiormente
il pedigree della sua pietra.
Al di là comunque del concetto “mi hanno….
frodato”, c’è un valore estetico, che fummo in
grado di conoscere ed apprezzare in seguito,
con la diffu-
sione di materiale illustrativo.
Scoprimmo così che in Giappone non vi erano solamente pietre storiche da Furuya con basi pulite, bensì
anche pietre dove lo zoccolo era stato preservato. Dire “preservato”non è neppure esatto. Molto meglio è
dire che lo zoccolo non viene tolto quando raggiunge una durezza quantomeno atta a soddisfare il
concetto di durezza sufficiente per un suiseki.
Tra l’altro, se la zona degradata è troppo morbida, pretendere di circoscriverla dentro una base di legno è
impresa assai ardua: nelle frequenti prove durante la costruzione, si staccheranno piccole schegge,
mutando continuamente la linea del perimetro di base.

Nel caso qui sotto riportato, pulire il


fondo della pietra è d’obbligo:

Ora, alcuni esempi di pietre giapponesi con il degrado


marrone conservato e spesso ritoccato allo scopo di to-
gliere parte degli spigoli. Il primo esempio è una pietra
di Arishige Matsuura.
Un altro meiseki storico:

Alcune immagini tratte da numeri del 2008 di Juseki, rivista giapponese facilmente reperibile.
E’ veramente interessante come si possa facilmente distinguere a quale livello estetico siano
giunti i proprietari delle pietre.
Pietre di esperti collezionisti, vengono affiancate ai saggi di nuovi appassionati:
proprio come da noi…
Noi che spesso ci troviamo a trasgredire alle regole ma che, in certi casi, siamo legati al dogma
giapponese che ci fu insegnato, più di quanto lo siano i giapponesi stessi.
17 INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo
A lezione di suiseki

Anche questa arenaria non è da meno (i nostri giudici la bollerebbero


perché arenaria e perché sporca, qualcuno di mia conoscenza ne ha
fatto le spese…..)

Mentre qualcun altro avrebbe qualche cosa da dire su questo daiza


(vero, Sergino?)

Nell’immagine qui sotto, abbiamo una pietra in primo piano, con base naturale non pulita
ed una sul retro, saldata su quarzo, come pietre mie che già vi postai: un genere di bianco a
“banco di nuvole o foschia” molto apprezzato e di cui vi parlerò, ma un’altra volta.

Questa mia aggres-


siva “testa di gallo”
attende una altret- Un altro piccolo
tanto aggressiva pu- mame, nascosto
litura, ma ipotizzo la in un pugno di
mia resa, di fronte terra:
alla durezza della
sua cresta e dei suoi
bargigli.

“domata dal tempo” Il fondo invece è intatto, in grado di dimostrare a chiunque ed


ha tutta l’aria di una pi- all’occorrenza, la sua integrità.
etra trovata anch’essa,
fasciata da morbido
fango.

Uno spesso strato non elimina-


bile, se non usandogli violenza:

Se poi abbiamo pietà di ciò che


una sabbiatrice ha risparmiato…..

Per nostro diletto e per godere al meglio la suggestione di questa curiosità, ho voluto
essere indulgente ed andare leggera:
… ma la costruzione del daiza (da ultimare) sta
richiedendo una pazienza ed una attenzione a
livello quasi… “chirurgico”

Ci sarebbe altro da dire, ma…. Basta!


Ed alla prossima.

Luciana Queirolo
A scuola di estetica
NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari 18

Note sull’estetica del Bonsai II parte


Testo di Antonio Ricchiari

L’estetica è stata definita tradizionalmente come lo studio del bello.


Alcuni studiosi la hanno definita lo studio delle arti. Altri hanno prefe-
rito trattare sia il bello sia l’arte, separando i due campi dell’estetica,
ma analizzandoli entrambi. Ognuno di questi due concetti – il bello e
l’arte – appartiene senza dubbio ad una sfera diversa. Il bello non è
limitato all’arte, mentre l’arte non è esclusivamente ricerca del bello.

Nel caso del bonsai l’estetica è una ricerca del bello; l’estetica spiega l’azione del bello. Cicerone descrive la bellezza quale ordine e conveni-
entia partium, cioè accordo fra le parti. Hegel dice che quanto poco definibile è il bello, altrettanto non si può rinunciare al suo concetto. Così
l’esperienza estetica della natura e quindi del bonsai è una esperienza di immagini.
Il bonsai non è un mezzo per suscitare nel discente uno stupore. Nel contesto di una natura silente, pagina dopo pagina viene plasmata la
visione del bonsai che si fonde in un vortice in divenire con la natura che ognuno si immagina e che è diversa dalla natura che ci circonda in una
condizione metropolitana.
Ecco allora che il bonsai prende forma, una forma a volte incerta ma che, giorno dopo giorno, è pronta a rinascere, a trasformarsi in mano a
chi è riuscito infine a manifestare l’essenza assoluta dell’albero.
Dalle mie interminabili discussioni con chi ha voglia di apprendere emergono sempre quanta attenzione e quanto interesse in realtà si celano
per il bonsai. La realtà visibile della natura, percepita nelle tre dimensioni dell’ottica naturale, non si deve limitare all’osservazione dell’albero,
ma alla possibilità di indagarlo negli anfratti più intimi. I medesimi principi di estetica che sono retaggio dello Zen si applicano al bonsai.
Asimmetria, che impedisce l’impressione di staticità e mette in moto quella di movimento.
Armonia, tra i diversi elementi, in modo che nessuno risulti esagerato ed esasperato rispetto agli altri.
Ritmo, che viene fuori dall’armonia costruita con l’asimmetria.
Questi tre elementi sono realizzabili nel bonsai con l’uso calibrato del vuoto visto come condizione essenziale nell’evidenziazione dei rapporti
tra i singoli elementi della pianta. Questo processo che, mediante il vuoto, pone in risalto elementi e le loro relazioni appare ancora più esplicito
nell’impalcatura del bonsai.
Semplicità, condizione essenziale nel bonsai perché valorizza ed esalta la forma stessa della pianta e ne agevola la percezione visiva.
Naturalezza, la quale dovrebbe essere il risultato finale apprezzabile dall’osservatore quando sono stati applicati a regola tutti i i principi che
condizionano un albero. Solo allora si potrà parlare di bonsai.
È importante tenere presente che ogni parte dell’albero che si deve impostare serve per comunicare una immagine coerente e “veritiera” del
bonsai. Soprattutto, nessun elemento deve disturbare l’immagine della pianta che si sta educando.
Tutto ciò significa che la progettazione non deve essere unidimensionale né tanto meno risultare monotona. La tensione è molto importante
per il disegno, ma la coerenza dell’insieme deve essere la regola che governa la fase progettuale.
In fase progettuale, una maniera semplice per verificarne la validità è quella di porsi alcuni interrogativi su tutti quegli elementi che sono fat-
tori di una particolare efficacia estetica:
- Come è la linea del tronco?
- Qual è il suo movimento corretto?
- Il diametro e l’altezza sono realmente proporzionati?
- La sua collocazione nel vaso è azzeccata?
- I rami hanno la giusta disposizione?
- La parte apicale è ben strutturata?
- L’apparato radicale di superficie è sviluppato in maniera proporzionata al nebari?
- La varietà di albero cosa vuole comunicare all’osservatore?

Ecco alcune risposte che vi aiuteranno nella valutazione:

Il tronco comunica: Potere, mascolinità, età


Le radici di superficie comunicano: Forza, età, mascolinità, movimento direzionale
I rami comunicano: Delicatezza, femminilità, immaturità, tranquillità
Il tronco comunica: Condizioni che alterano la linea del tronco, la femminilità
I rami comunicano: Forza, mascolinità, stabilità, rigidità
19 A scuola di estetica
NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari

Iniziamo da un’attenta analisi dei cinque stili-base canonizzati dai giapponesi perché è nos-
Gli stili di base tro convincimento parlare di critica estetica che riguarda il bonsai contemporaneo che rimane
ancorato, in fondo, alla elaborazione degli stili. Non ricordo chi disse: “è assurdo imparare le
regole per poi non saperle infrangere!”.
Chi parla di bonsai d’avanguardia ignora che le avanguardie, le eterne avanguardie hanno
sempre alimentato la cecità delle masse nei confronti dell’arte, e il giudizio estetico ha finito
per lasciare il posto alla rivoluzione artistica.
In un bonsai la bellezza è intuitiva, non deriva da nessun ragionamento: lontana dalla ra-
gione e dai concetti sul bello. Il bonsai esiste in tre dimensioni e il tempo è legato alla forma
della pianta. La differenza sostanziale fra gli stili giapponese e cinese sottendono la difficoltà
per gli occidentali nel creare uno stile particolare. Lo stile cinese predilige la forma del tronco e
dei rami mentre in quello giapponese e altrove è preferito il fogliame.

CHOKKAN, lo stile eretto formale Il bonsai con il tronco rigidamente verticale si può ottenere seguendo alcune semplici
regole. In natura si trovano alberi con portamento simile in soggetti vetusti; nel costruire un
bonsai con questo stile bisogna idealizzarne quelle che sono le caratteristiche fondamentali.
Un buon Eretto formale ha il tronco perpendicolare al suolo, che si dirige verso l’alto e che nel
quinto superiore si divide in piccoli rami. In natura si trova del materiale di partenza con il quale
si può realizzare un soggetto non troppo rigidamente, con ampia chioma e un nebari robusto.
La costruzione prevede il tipico tronco verticale che si va sempre più assottigliando, i rami oriz-
zontali, alternati, lungo un percorso a spirale che si snoda verso l’apice. Nella parte anteriore si
pretende la visibilità del tronco e dei rami bassi. Particolare importanza per il bonsai in questo
stile riveste il primo ramo.
Bisogna fare attenzione che il diametro del tronco sia proporzionato alla larghezza della
chioma. I bonsai con chioma larga hanno bisogno di un tronco robusto, soggetti con tronco più
esile vogliono una chioma rarefatta e il diametro del tronco deve essere il 10% della larghezza
del bonsai.
L’impostazione dei rami richiede molta attenzione della definizione del progetto; il primo
ramo, quello inferiore posto più in basso, deve avere un aspetto robusto, marcato perché de-
linea la personalità del bonsai. Il secondo va posto nella parte opposta al precedente e deve es-
sere pur’esso robusto. Gli altri vanno assottigliando e si alternano via via verso l’apice, disposti
tutt’intorno al tronco e su esso distribuiti. Nel tratto di tronco esistente fra i palchi conservati,
non deve essere lasciato nessun altro ramo.
Un buon “piede” con un apparato radicale di superficie disposto a raggiera, ben equilibrato
costituiscono un’ottima premessa per avere un bonsai ben costruito. Nella disposizione dei
palchi bisogna fare in modo che gli spazi fra ramo e ramo diventino più brevi man mano che si
arriva alla zona apicale.
I vasi adatti a questo stile possono essere rettangolari od ovali. La grandezza del vaso
dipende dalla larghezza del bonsai e dal diametro del tronco.

MOYOGI, lo stile eretto casuale Questo è forse lo stile più comune sia in natura che nel bonsai e si adatta alla maggior parte
delle specie. A causa delle condizioni ambientali - vento, ombra e competizione con altri alberi
nella ricerca di luce e acqua - il tronco si inclina, si piega e cambia direzione. La pianta presenta
un portamento tendenzialmente eretto - verticale o con angolazioni entro i 15° dalla verticale
- e di profilo ben equilibrato. L’inclinazione o una curva piuttosto marcata del fusto devono
trovarsi sul piano orizzontale del fronte e non in direzione dell’osservatore. Si ha un tronco ro-
busto e sofferto, con forti radici di superficie, che si erge inclinato dal terreno. I rami principali
più bassi sono robusti e disposti nelle parti laterali del tronco.
La disposizione del primo ramo è posta all’esterno di una curva, è robusto e dà carattere
al bonsai. I rami successivi vanno posti sempre all’esterno delle successive curve del tronco e
questo mette in rilievo la forma del fusto. All’apice della pianta i rametti si collocano a raggiera
in tutte le direzioni. Gli interspazi fra i rami diminuiscono via via verso l’apice assieme al diamet-
ro del fusto e dei rami principali. Il tronco e la corona apicale si inclinano verso l’osservatore:
visto lateralmente il bonsai è proteso in avanti.
A scuola di estetica
NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari 20

Stile prostrato Spesso assumono questo portamento gli alberi che crescono sopra o accanto a pareti verti-
cali di roccia o lungo fiumi e laghi dove l’acqua, riflettendo la luce sulla parte inferiore dei palchi
fogliari, invita i rami più bassi ad estendersi al di sopra della superfici luminosa. Come principio
generale, la linea di un tronco è prostrata quando è compresa tra i 45° sopra e appena sotto
l’orizzonte, e termina all’altezza del bordo del contenitore, o poco più in basso. Questa regola
non è assoluta e molto dipende dall’impatto d’insieme: un andamento marcatamente orizzon-
tale sarà definito prostrato anche se termina al di sotto del bordo dei vaso. La presenza di radici
esposte funge da contrappeso all’angolazione del tronco, come avviene nello stile inclinato.

Stile inclinato Un albero esposto a forti venti tende a crescere nella direzione del vento più costante, men-
tre alberi che crescono all’ombra di edifici, rupi o altri alberi mutano l’inclinazione del tron-
co per cercare la luce. Caratteristica di questo stile è l’angolo costante del tronco dalla base
all’apice, un’apertura massima di 45 gradi dalla verticale; il tronco in sé può essere diritto o
curvo. Le specie botaniche adatte sono numerose. Le radici visibili assumono una connota-
zione di ancoraggio e sono generalmente compresse sul lato con angolo acuto e distese dalla
parte opposta, per reggere il peso squilibrato della pianta.

Stile a cascata Rappresenta un albero che cresce sporgendosi da un dirupo. La direzione del tronco verso
il basso è dovuta al peso della pianta, della neve e persino di eventuali valanghe o slavine. Ge-
neralmente la linea del tronco, in questi bonsai, cade al di sotto dell’orizzonte e termina sotto il
livello del fondo del vaso. Quest’ultima tuttavia non è una regola assoluta, poiché se l’impatto
visivo è fortemente direzionale verso il basso, il bonsai può venire definito a cascata anche se
l’apice non giunge a livello della base del vaso. Come per il prostrato, questo stile non si adatta
ad alberi con un marcato portamento verticale.

Stile a ceppo comune Avviene quando più tronchi crescono dallo stesso apparato radicale in formazione com-
patta e si dipartono dal piede a cercare il proprio spazio vitale. Ne esistono numerosi esempi
naturali in certi boschi dove, un tempo, si eseguiva la ceduazione: una pratica in disuso per la
produzione di legname in cui gli alberi venivano capitozzati e i nuovi getti, diritti e vigorosi,
costituivano ottimo materiale per recinzioni e altri lavori di costruzione. Vi sono alcune specie
con una naturale tendenza a sviluppare tronchi in questo modo.

Stile a zattera Si ispira a quegli alberi che, in natura, sono caduti al suolo ma hanno continuato a svilup-
parsi e i loro rami sono cresciuti verticalmente diventando nuovi tronchi. Nel bonsai, questa
caratteristica offre l’opportunità di ricavare un progetto interessante da un misero alberello
con rami unilaterali, non altrimenti utilizzabile.

Stile sinuoso Questa conformazione si presenta, in natura, quando spuntano polloni da una radice su-
perficiale o quando un ramo molto basso sfiora il terreno ed emette radici dando vita a nuovi
tronchi. Le specie più adatte a questo stile sono quelle con tronchi e rami flessibili (come pino
e tasso) o con la tendenza a emettere polloni dalle radici affioranti (come olmo e cotogno);
le essenze che non presentano questa tendenza sono meno idonee. Il termine ‘sinuoso’ sta a
definire la sequenza dei tronchi sul terreno che segue una linea curva 0 contorta dovuta alla
crescita disordinata dei polloni, mentre nello stile a zattera la direzione del tronco caduto de-
termina la sequenza dei nuovi tronchi.

BOSCO O GRUPPO DI PIANTE Questo metodo di impianto crea l’effetto di un gruppo di alberi che crescono vicini, di un
bosco o di una foresta. L’effetto deve essere molto naturale e non artificioso, cosa più facile da
ottenere con un numero dispari di esemplari. I bonsai presentano un minimo di cinque alberi.
Il numero dispari, anche se raccomandato dai giapponesi, non è indispensabile per gruppi nu-
merosi, cioè quando sia necessaria una certa concentrazione per contare i singoli esemplari;
vale a dire che un gruppo non sarà mai formato da quattro alberi ma da cinque, mentre sedici
potranno dare già una buona impressione e trenta creeranno un effetto di vera foresta.

Antonio Ricchiari
21 L’essenza del mese
OLIVO - Antonio Ricchiari

Olivo
Famiglia: Oleaceae
Genere: Olea
Specie: Olea europaea

L’Olivo interpreta l’essenza e l’identità del bacino del Mediterraneo, la sua millenaria sto-
ria, di popoli antichi e mitici, dalle Città Stato Elleniche fino alla Spagna Saracena, passan-
do per l’Impero Romano. Nei secoli l’olivo ha rappresentato una fonte di ricchezza alimen-
tare e spirituale rendendosi aduso ai più svariati impieghi ed ancora oggi rappresenta, dal
punto di vista paesaggistico, il caratteristico complemento alle aree collinari ed a quelle
pianeggianti, inducendo nei viaggiatori quell’idea di casa cui fare riferimento.

Una visione maestosa Il fascino e l’attenzione stupefatta che si subisce osservando un possente e vecchissimo olivo,
la bellezza del disegno delle sue radici, del suo “legno”, dei suoi rami inducono l’immaginazione
a ripercorrere, dunque, preistoria e storia dell’uomo attraverso questo “materiale” fornito dalla
natura e assunto dallo stesso uomo sin dalla primitività.
La pianta dell’olivo ha origini antichissime: reperti archeologici del neolitico attestano l’uso
di olive come alimento e presenza di olivi già in quello terziario. La coltivazione dell’olivo af-
fonda le sue origini nel lontano Medio Oriente per poi svilupparsi in tutto il bacino del Mediter-
raneo. I primissimi frantoi, rinvenuti sia in Siria che in Palestina, risalgono intorno al 5000 a. C.
Circa 6000 anni fa, durante l’età del Rame, alcune comunità di agricoltori che abitavano nelle
regioni litoranee del Mediterraneo Orientale, ovvero sull’attuale costa siro-paestinese, inter-
vennero su alcuni olivi a frutti grandi e cominciarono a scegliere le varietà in modo sistema-
tico e non casuale. L’Olea Europaea è tra le specie arboree più antiche coltivate nel bacino del
Mediterraneo in cui ancora oggi si ottiene il 95% circa della produzione mondiale di olive.

Le caratteristiche botaniche L’Olivo ha un apparato radicale assai sviluppato, anche se superficiale, e caratterizzato da
particolari iperplasie dette ovoli, che mantengono la capacità di radicare, quando vengono
separate dal resto della pianta, e di emettere polloni. In condizioni di vegetazione spontanea
esso assume l’aspetto di un grosso cespuglio formato da numerosi fusti ravvicinati e coperti da
piccole branchie e da ramaglia. Per effetto della potatura di allevamento può però assumere
un portamento maestoso ed altezze variabili dai 5 ai 20 metri. Il fusto che in tal modo si forma
è sovente contorto e, nelle piante più vecchie, percorso all’esterno da corde e cavo all’interno.
Le foglie portate da rami di 1 - 3 anni sono persistenti e si rinnovano di solito ogni due anni,
il che conferisce alla pianta il carattere di sempreverde. Esse portano una gemma all’ascella
fra picciolo e fusto, sono di forma lanceolata, coriacee, di colore verde grigiastro nella pagina
superiore e verde argento in quella inferiore. Assieme al forte sviluppo dell’apparato ipogeo,
consentono alla pianta di crescere in ambienti siccitosi e aridi.
Le dimensioni dell’apparato radicale ne fanno inoltre una pianta sufficientemente rustica
per quanto riguarda le condizioni del terreno. L’olivo non tollera invece abbassamenti termici
sensibili e prolungati, restando danneggiato da temperature inferiori a -5, -6 C°. Per questo
motivo in Italia, il limite di coltivazione è costituito a Nord dalla dorsale appenninica, con latitu-
dine non superiore a 45°, fatta eccezione per alcuni ambienti limitati, esposti a Sud e ben pro-
tetti dai venti di Settentrione, in particolare per la zona del Garda. Tuttavia anche nelle regioni
meridionali dove la coltura dell’olivo si estende fino a 30° di latitudine, gli ambienti più adatti
sono prossimi al mare, freschi e miti, e raramente si hanno coltivazioni oltre i 1000 mt.
La fioritura ha inizio in aprile con la comparsa, sui rametti di un anno, dell’infiorescenza,
detta mignola, formata da una decina di fiori o poco più ma l’antesi vera e propria si verifica
verso la fine di maggio. Poiché la maggior parte delle cultivar sono autosterili, è innanzitutto
necessario, perché si abbia una regolare allegagione, che nell’oliveto siano presenti alberi di
altre varietà con funzioni di autoimpollinatori. Va inoltre segnalato che il trasporto del polline
è operato dalle brezze, mentre non hanno importanza gli insetti pronubi.
L’essenza del mese
OLIVO - Antonio Ricchiari 22

Olivastro in formazione
Coll. Leo Samarelli

Olivo Olivo Chuhin


Coll. Antonio Ricchiari Coll. Luca Bragazzi

Le cultivar La famiglia delle Oleacee, a cui appartiene l’olivo, comprende circa 30 generi e 600 specie
distribuite in vaste regioni a clima caldo e freddo. Al genere Olea, specie O. europaea L., appar-
tiene un numero imprecisato di varietà coltivate. E’ necessario chiarire che il termine “cultivar”
in olivicoltura è improprio perché ci troviamo di fronte anche a cultivar composte da individui
con fenotipo relativamente simile, e con genotipo differente; per queste cultivar si dovrebbe
usare il termine di “popolazione di cloni” o di “cultivar-popolazioni”; per uniformità con la let-
teratura utilizzeremo comunque il termine “cultivar”.
Le cultivar descritte o citate in Italia sono 476 con 1599 sinonimi, ciò ha portato nel passato
ed ancora oggi, ad una confusione tra i nomi delle cultivar e i loro sinonimi. Questa situazione
evidenzia una notevole variabilità dei caratteri morfologici, riscontrata nelle diverse zone di
coltivazioni, determinando probabilmente l’alto numero dei sinonimi conosciuti.

Interesse bonsaistico dell’olivo Possiamo affermare che, nel mondo del bonsaismo italiano, la “parte del leone” la fa
l’olivastro perché molto più diffuso dell’olivo fra gli amanti del genere e nella maggior parte
dei casi si tratta di esemplari presi in natura. Il periodo favorevole è la fine dell’inverno. Anche
qui il mio consueto invito è quello di non farvi prendere dal sacro fuoco… del disboscamento,
andando senza alcun criterio a sradicare piante come fanno taluni senza alcuna pietà.
Questa pianta è, bonsaisticamente parlando, abbastanza giovane risalendo la sua diffu-
sione in questo mondo attorno ai primi anni del 1970. Quindi, rispetto ad altre piante, è da
poco tempo che il bagaglio di esperienze comincia ad essere soddisfacente. Man mano che si
è proceduto con la sua coltivazione a bonsai si è capito come questa pianta si comportava e
rispondeva alle varie tecniche. Per esempio uno dei punti deboli è il ceppo, per l’emissione di
abbondanti radici di superficie laddove vi sia il pericolo di gelate che mettono in pericolo la vita
stessa del soggetto. Bisogna considerare che la vegetazione sopporta escursioni che vanno da
6 ad 8°C. Per le piante in formazione è consigliabile usare una miscela di terriccio molto porosa
e permeabile, che favorisca lo sviluppo dell’apparato radicale.
Dal punto di vista stilistico, mi è capitato di vedere piante impostate come Pini o comunque
con forma che non rispecchiano la forma che Olivo ed Olivastro assumono in natura.
L’essenza del mese
23 OLIVO - Antonio Ricchiari

bisognerebbe avere l’accortezza di vedere come crescono nel loro habitat naturale e poi
impostare il progetto, altrimenti ci si ritroverà di fronte a bonsai innaturali con un aspetto che
nulla ha a che vedere con ciò che la natura ci offre.
La rusticità dell’olivastro, la corteccia vecchia, le fronde sono un pregio che esteticamente
ripaga dalla fatica di impostare una pianta cosiffatta, un bonsai italiano che i giapponesi co-
minciano ad apprezzare e ad invidiarci. Questo ci deve fare apprezzare il fatto che la macchia
mediterranea offre degli esempi irripetibili che sono retaggio e patrimonio tutto nostro, per cui
ne dovremmo sfruttare in pieno tutte le peculiarità.

Olivo secolare pugliese Infiorescenze d’olivo


fonte Wikipedia fonte Wikipedia

Note di coltivazione E’ una pianta sempreverde molto longeva e pollonante con tronco irregolare che negli e-
semplari più vecchi spesso è cariato, in questi casi dal tronco centrale ormai consumato, frazio-
nandosi si formano vari tronchi minori che solo alla base mostrano l’origine comune. I rami
giovani sono angolosi (nelle forme selvatiche spinescenti) formano una chioma rada di forma
ovale-allungata Le foglie sono perlopiù opposte, di forma lanceolata acuminate all’apice, co-
riacee ed a margine intero. I fiori sono riuniti in piccole pannocchie ascellari alle foglie e pre-
sentano una corolla imbutiforme di colore bianco. La varietà coltivata presenta i rami giovani
non spinescenti e le foglie strettamente lanceolate generalmente acute di dimensioni di 1 x 4-7
cm. Predilige terreni argillosi a reazione neutra o alcalina. Non teme la siccità ma non sopporta
il gelo per cui la sua coltivazione a bonsai nelle zone a clima rigido presenta alcune difficoltà e
presuppone accorte protezioni invernali.
L’Olivo si può spingere a latitudini leggermente più elevate dell’Oleastro, ma comunque ca-
ratterizzate sempre da un clima mite.
E’ interessante, anche se spesso l’argomento è trascurato, conoscere le avversità alle quali
vanno incontro le piante che coltiviamo. In questo caso i parassiti animali che possono infe-
stare Olivo ed Oleastro sono: mosca delle olive; tignola dell’Olivo che infesta tutti gli organi
dell’apparato aereo; tripide dell’Olivo, che infesta i germogli ed i frutti; cocciniglia mezzo grano
di pepe, che infesta le foglie e gli organi legnosi; cocciniglia cotonosa, che infesta la vegeta-
zione; cotonello dell’Olivo che infesta i rametti ed i germogli; oziorrinco, che danneggia le foglie
nei soggetti adulti e le radici (larve).
Gli agenti di malattia sono: occhio del pavone dell’Olivo, micopatia fogliare; carie fungina del
legno dovuta a vari funghi; lebbra delle olive derivanti dal fungo; tracheomicosi da Verticillium
spp.; rogna dell’Olivo; tumore batterico.
La chioma di questa pianta può presentare all’inizio della potatura qualche difficoltà perché
si presenta disordinata ed incontrollabile e perché alcune parti dell’albero possono accusare il
ritiro della linfa con facilità. Potando durante la stagione primaverile o estiva si ha una migliore
e veloce cicatrizzazione della pianta ma si può verificare una nuova germogliazione, per cui
si deve intervenire eliminando le gemme immediatamente. I polloni vanno pure eliminati as-
sieme ai germogli che crescono lungo il tronco.

Antonio Ricchiari
Note di coltivazione
I CONCIMI ORGANICI - Luca Bragazzi 24

I concimi organici
di Luca Bragazzi

In questa seconda parte sulla concimazione, trattiamo un argomento, che,


a mio avviso è di estrema importanza per la perfetta riuscita delle tecniche
bonsai di realizzazione: i concimi organici e i benefici della concimazione or-
ganica.

Sottovalutata e spesso ignorata, è effettivamente molto complicata da


comprendere in pieno perché le varianti che intervengono sono molte e i
processi di decomposizione non sono governabili da chi non ha esperienza.
I concimi organici sono caratterizzati, a differenza di quelli chimici, da un
particolare processo di cessione dei nutrienti chiamato “ a lenta cessione”.
Questo processo, garantisce il rilascio dei nutrienti molto lentamente, gradu-
ale e costante nel tempo e nelle quantità che corrispondono ai momenti ir-
rigui.
Con i concimi organici i problemi relativi all’aumento di concentrazione con
relative bruciature radicali vengono scongiurati, mettendo le radici in una
condizione di crescita omogenea e salutare. Il contenuto degli elementi nu-
tritivi, solitamente è molto equilibrato anche con presenza di microelementi
e le titolazioni dei tre macroelementi non hanno grandi differenze tra loro.
Molti sono i miglioramenti che questo tipo di concimazione apporta; primo
fra tutti il miglioramento della struttura del suolo, sviluppo della microflora
e fauna terricola capace di rendere assimilabili composti organici altrimenti
poco utili, e, cosa importante, evita il costipamento strutturale superficiale
dovuto a cementificazione da non movimento terra, tipica dei substrati da
vaso bonsai.
La concimazione organica, se adottata, non dev’essere sostituita in corso
di applicazione con concimi chimici o di sintesi, pena la perdita dei suddetti
benefici, inoltre, il cambio di categoria comporta forte presenza di antago-
nismi dell’assorbimento. I concimi organici si dividono in organici di origine
animale e organici di origine vegetale. A seconda dello stadio di coltivazione,
si utilizzeranno gli uni o gli altri, in base alla spinta vegetativa che s’intende
dare. In commercio, ormai da molti anni, esistono concimi organici di origine
giapponese specifici per bonsai, a mio avviso idonei per categorie di esem-
plari in fase di mantenimento, mentre per esemplari in fase di coltivazione
l’utilizzo di concimi professionali agricoli, danno maggiori risultati in termini
di produzione vegetativa.
Le modalità di somministrazione seguono quelle dei professionisti giap-
ponesi, l’unica accortezza, è che siccome l’Italia è un paese lungo e con una
varietà climatica molto ampia (come in Giappone), l’applicazione deve seguire
le caratteristiche della propria zona di residenza.

Luca Bragazzi
Tecniche bonsai
25 I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada

I Il ruolo importante che ha il terriccio per il bonsai viene spesso sottovalutato e troppo spes-
I substrati so si vede acquistare un sacchetto di terra senza che se ne conosca la composizione o, peggio
ancora, riciclare la terra presa dal giardino di casa. La salute dell’albero dipende dalle radici e la
salute delle radici dipende dal terriccio. In un vaso bonsai, che rappresenta un sistema chiuso e
dove spesso le dimensioni sono molto ridotte, la relazione tra il terreno e la salute dell’albero è
ancora più stretta. Quindi è indispensabile conoscere le varie tipologie di terricci e saperli usare
nella maniera adeguata. Partendo da alcuni principi di base. Il terriccio deve avere un mix di
caratteristiche di base:
- buon drenaggio;
- buon mantenimento della struttura;
- buon passaggio d’aria;
- buona forma delle particelle e colore (dal punto di vista estetico).

Caratteristiche fisiche del substrato Nella preparazione del terriccio il primo elemento da considerare è la permeabilità del ter-
riccio all’aria. Tra i grani di terra esiste uno spazio che, per un fenomeno conosciuto come capil-
larità, trattiene acqua e aria. Questo spazio è detto atmosfera del suolo. Come norma generale,
maggiore è la dimensione dei grani della terra, maggiore è la percentuale di aria disponibile.
Questa percentuale influisce sulla crescita della pianta: maggiore è la % di aria, maggiore è
la crescita delle radici, al contrario, minore è l’aria contenuta nel terreno, minore è la crescita
delle radici. Pertanto, se si vuole che un Bonsai cresca più velocemente vanno preferiti grani
grossi, al contrario, se si vuole una crescita più contenuta è necessario utilizzare granulometrie
più fini. Per grani fini non si intende la polvere (che va sempre scartata), perché questa non
permette il passaggio dell’aria nelle radici e quindi ne provoca l’asfissia. Ad ogni trapianto si
aggiunge sempre terriccio nuovo; per diversi motivi – sia energetici, quindi fornire nuova fonte
di sostentamento alla pianta, ma soprattutto sostituire i grani disgregati dalle annaffiature
giornaliere e dall’azione erosiva delle radici. La presenza di aria nel substrato migliora anche
la moltiplicazione della microflora e microfauna utile del terreno (es. batteri nitrificanti, funghi
della micorriza ecc.). Mentre l’albero cresciuto spontaneamente può scegliere dove sviluppare
al meglio le radici, nel vaso Bonsai questo non è possibile. Per essere permeabile il terriccio
deve essere poroso , cioè costituito da particelle piuttosto grossolane (da 2 a 4 mm) che for-
mino una quantità di piccoli interstizi tra loro, in modo da permettere il passaggio dell’acqua e
dell’aria. Con l’alternarsi di bagnato e asciutto l’aria viene rinnovata continuamente, cosa che
se il terreno è molto compatto non avviene. Vi sono tre elementi essenziali per determinare la
validità di un buon terriccio di coltivazione. Quando il terreno è normalmente bagnato, questo
è costituito da una parte solida (grani di terra) una parte liquida (acqua) e una parte gassosa
(aria). Una quantità standard raccomandata consiste in un 40 % di parte solide , 30 % di liquidi
, 30 % di gas . Sicuramente diverse specie di piante richiedono delle differenti proporzioni. Gra-
dualmente come la pianta cresce, a causa dell’attività delle radici ed al naturale scioglimento
delle particelle di terra, la presenza di aria nel terreno diminuisce, mentre proporzionalmente
aumentano le parti solide e liquide. Un requisito che deve avere il terriccio per BONSAI è di non
essere troppo fertile, non perché i BONSAI siano piante denutrite, ma perché terricci e concimi
devono essere strumenti separati che in mano al bonsaista sono usati per ottenere i risultati
prefissati. Bisogna quindi sempre tenere presente che il terriccio serve a formare una bella
radice, attiva, ramificata ed equilibrata, mentre è il concime che deve nutrire la pianta.

Caratteristiche chimiche del substrato E’ opportuno ricordarsi che la struttura fisica, che assicura la porosità, è più importante
della natura dei componenti. La prima non si può infatti più correggere fino al rinvaso suc-
cessivo, mentre si riesce sempre a ritoccare la situazione chimica o biologica del substrato.
In un giardino il pH del suolo è tra il 4 ed il 7,5. Oltre questi limiti non può crescere nessun
tipo di vegetale. Il pH ideale dipende dalle specie da coltivare. La maggior parte delle specie
arboree richiede un terriccio leggermente acido con un pH tra 6,2 e 6,5. E’ molto importante
conoscere la natura chimica del terreno, l’esame si può fare molto facilmente usando un pH
tester. Questo esame serve a stabilire il grado di acidità ed eventualmente a modificare lo sta-
to: per esempio, il valore di alcalinità si abbassa aggiungendo terricci vegetali (torba, di foglie
ecc. ) o gesso agricolo; per i terricci acidi si aggiunge calce spenta o cenere di legna per ridurre
l’acidità. La nutrizione delle piante, più che dal potere assorbente, è regolata dalla acidità del
substrato, per l’influenza che essa esercita direttamente, sia sulla nutrizione, sia sullo sviluppo
della flora batterica favorendo o inibendo le attività microbiche. Una pianta rinvasata con una
miscela sbagliata, avrà come conseguenza un rallentamento dello sviluppo poiché non riuscirà
ad assimilare le sostanze presenti nel terriccio. Durante la coltivazione, il ph del terreno spesso
Tecniche bonsai
I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada 26
va verso l’alcalino perché quasi sempre l’acqua del rubinetto che si usa è calcarea. Questo
cambiamento può ad esempio impedire l’assorbimento radicale del ferro, in quanto esso viene
assorbito solo a condizione che il terreno sia acido.

Composizione del substrato La terra è composta da materia organica e inorganica. Quella organica deriva da materiale
vegetale ed animale ed è denominata humus, mentre quella inorganica proviene dalla corro-
sione delle rocce. Il tipo di suolo è determinato dalle diverse quantità di humus e sostanze roc-
ciose presenti. In molti libri degli anni ottanta è sovente proposta la miscela tra sabbie, torbe
e terra di campo, considerata oggi una soluzione pessima che non permette il controllo del
vigore del bonsai. La qualità di queste miscele di vecchio stile era migliorata proprio con l’uso di
pomice, lave e terricci di foglie, che talvolta portava a buoni risultati. La ragione è che si devono
rispettare diverse esigenze della pianta, quali : un substrato vivo, poroso, lievemente acido
capace di reggerla, e capace di trattenere una sufficiente quantità di acqua. Il compromesso si
raggiunge preparando un miscuglio di sostanze con differenti caratteristiche.

Sabbia La sabbia è un sedimento detritico proveniente dalla disintegrazione della roccia per azione
chimica o meccanica, ha peso specifico superiore a 1, con granulometria variabile, da 0,2 ad
oltre 4 mm e pH generalmente neutro. La sabbia garantisce un buon drenaggio; ma asciuga
facilmente e contribuisce ad aumentare il peso dei vasi. Si adatta in percentuale maggiore alle
conifere che hanno dei fabbisogni d’acqua più limitati. Se una pianta e’ posta in una miscela
di terriccio dove prevale la sabbia si avrà un ispessimento ed un aspetto rozzo della cortec-
cia dovuto alla carenza d’acqua. Questo e’ un’altro motivo per cui si adopera la sabbia per le
conifere, le quali assumono così un aspetto più vecchio. Può essere di fiume o di montagna,
quella di fiume è composta da grani arrotondati ed è utile per Bonsai già formati ,mentre quella
di montagna è composta da grani spigolosi ed è usata nei vasi di coltivazione. La sabbia va
setacciata facendola passare attraverso maglie di 5 mm e da maglie di 2 mm. Altra precauzione
da usare è quella di procedere al lavaggio della sabbia , poiché le particelle attirano la polvere
(limo) e quando questa viene ceduta per le innaffiature, ostruendo i pori del terriccio. La sabbia
favorisce l’infittimento delle radici e la porosità. Quindi le sabbie o le ghiaie possono garantire
il drenaggio, ma rappresentano materiali inerti, sterili. Hanno il vantaggio di essere facilmente
disponibili e con costi ridotti, ma hanno come svantaggio il peso elevato e la necessità di au-
mentare la durata/quantità delle irrigazioni e delle concimazioni perché il loro potere tampone
è in pratica nullo. Inoltre, non avendo scambi cationici con la soluzione circolante, se non mini-
mi, non apportano i vantaggi dell’uso di un materiale granulare d’origine lavica o vulcanica

Lapillo vulcanico ll lapillo con le sue particelle a superficie ruvida trattiene capillarmente l’acqua meglio di
altri tipi di sabbia. Il problema principale per l’uso delle lave nella coltivazione dei bonsai è il
controllo dell’irrigazione, e l’eccessiva fertilità. Le lave, soprattutto il lapillo, trattengono molto
l’umidità nel fondo del vaso, causando, in alcuni periodi dell’anno, marciumi radicali, ed è per-
tanto necessario il controllo molto preciso dell’irrigazione, anche in relazione al luogo.
Anche la fertilità eccessiva delle lave può essere un problema nei programmi di coltivazione
con concimazioni differenziate.

La pomice è un materiale derivante dalla frantumazione di rocce d’origine vulcanica, com-


posto da granuli leggeri e porosi, di colore grigio/marrone, con granulometria compresa tra 0,1
e oltre 10 millimetri. E’ utilizzata, in varie percentuali, per alleggerire i substrati di radicazione e
coltivazione e per la radicazione di piante che non gradiscono ristagni d’acqua ma discreti tassi
Pomice d’umidità radicale (es. conifere).
L’utilizzo della pomice è diretto a soddisfare due esigenze. 1) A favorire lo sviluppo
dell’apparato radicale; 2) A migliorare il drenaggio in vaso ,con conseguente miglioramento
dell’aerazione e, indirettamente del fissaggio dell’azoto dell’aria mediante microflora.
E’ una sostanza con un pH quasi neutro (7,5), molto leggera, con ottime capacità igro-
scopiche . E’ atossica, inattaccabile da acidi e basi e quindi non produce nessuna interferenza
nell’uso combinato di fertilizzanti ed anticrittogamici. Ha una notevole capacità di trattenere
l’acqua, cedendola su richiesta delle radici. Non va sottovalutato l’azione fertilizzante della
pomice. E’ infatti un silicato complesso contenente importanti elementi quali; boro, potassio,
magnesio, calcio, ecc.. La pomice in quanto igrometrica, ha la spiccata capacità di saturarsi di
soluzioni di sostanze fertilizzanti nell’arco di 3-6 giorni che poi cede lentamente al terreno at-
traverso il fenomeno della diffusione.
E’ disponibile sul mercato ad un prezzo superiore a quello della sabbia, ma ha il vantaggio
Tecniche bonsai
27 I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada

di avere un peso nettamente inferiore. Prima dell’utilizzo è opportuno setacciarla e lavarla


per eliminare la parte pulverulenta.

Zeolite Le zeoliti naturali sono minerali di origine vulcanica appartenenti alla classe dei tettosilicati.
La loro struttura è caratterizzata dalla presenza di canali e cavità in cui trovano alloggio ioni e
molecole dotati di estrema mobilità. Le zeoliti consentono di:
- correggere le qualità dei substrati tramite l’incremento della capacità di scambio catio-
nico;
- consentire un lento rilascio di macroelementi (potassio ed azoto ammoniacale) e di mi
croelementi vari, con il duplice vantaggio relativo alla riduzione dei concimi da apportare
e al mantenimento delle riserve nutritive del terreno;
- incrementare la ritenzione idrica del terreno e/o del substrato (torba/terriccio) con ridu-
zione della frequenza delle irrigazioni e dei fenomeni di stress idrico;
- tamponare l’azione bruciante dei fertilizzanti chimici e degli antiparassitari;
- ridurre i fenomeni di dilavamento degli elementi nutritivi fondamentali.
Da utilizzare miscelata con altri elementi.

Perlite (o agriperlire, serlite, etc.) La perlite è un materiale d’origine lavico sottoposto a trattamenti termici (1800 °C), per
mezzo dei quali l’acqua contenuta evapora e il materiale assume la forma di piccoli granuli
spugnosi, di colore biancastro e molto leggeri. E’ sterile ed esente da agenti patogeni, riduce
il rischio di marciumi radicali, non fornisce sostanze nutritive al terreno. Ha una bassa capacità
di scambio cationico e favorisce lo sviluppo delle piante per il rapporto ottimale aria/acqua.
E’ generalmente impiegata per la realizzazione di substrati di semina e radicazione di talee,
assieme a sabbia e torba o in sostituzione della stessa. Nella preparazione dei terricci può es-
sere utilizzata (miscelata) sfruttando le sue principali qualità (estrema leggerezza, rapporto
ottimale aria/acqua).
NB – La polvere di Perlite può provocare danni temporanei agli occhi o disturbi se inalata.
Durante l’uso è opportuno l’utilizzo di mascherine protettive/occhiali e/o presidi di prote-
zione. Per ulteriori riferimenti si rimanda alla scheda del prodotto.
http://www.bpbitalia.it/soluzioni/schede_sicurezza/perlite.pdf

Leonardite E’ la sostanza fossile con il più alto contenuto di sostanza organica umificata, scoperta dal
dr. A. Leonard negli anni quaranta. Può presentare sino al 80-85% di acidi umici naturali. Ha
origini più antiche della torba, ma è più giovane della lignite. E’ disponibile sia in polvere sia in
scaglie. Va miscelata con altri elementi o sparsa nel periodo autunnale/invernale sulla superfi-
cie del terreno. E’ disponibile anche in forma liquida.

Akadama E’ una terra argillosa a grumi, svolge molte funzioni tra cui la nutrizione della pianta; pic-
cole particelle di sostanze minerali chiamate colloidi, che sono silicati di alluminio idrato, che
agiscono chimicamente al cambiare della temperatura. Questo significa che nella struttura
granulare avviene una scissione e vengono rilasciati le parti nutritive che saranno utilizzate
dalla pianta, quali idrogeno, sodio, potassio, magnesio, ecc.. Inoltre assicura una eccellente
ritenuta d’acqua. Quindi un’argilla ottimale dovrebbe avere un pH neutro o leggermente acido,
ideale per la maggior parte delle specie ; avere grani molto solidi e resistenti alla pressione, ed
al tempo senza disfarsi. Essa dovrebbe essere porosa e avere una alta capacità di interscambio
di ioni, cioè la capacità delle particelle del terreno di trattenere e poi liberare le sostanze nutri-
tive. Una argilla del genere in Italia non esiste , ma è presente in Giappone (zona pianura Kanto,
dove c’e’ Tokyo) ed è l’Akadama. Il colore di questo terriccio (AKA significa rosso) e’ dato dalla
presenza elevata di ossido di ferro, favorisce lo sviluppo delle radici capillari e di conseguenza
favorisce una ramificazione sottile.

Torba E’ un prodotto delle torbiere, paludi dove le piante , per mancanza di aria muoiono e si de-
compongono, la sua caratteristica specifica è l’acidità , che la rende molto resistente alla de-
composizione batteriologica. Le torbe, pur essendo fondamentali in un suolo naturale, non
sono particolarmente interessanti nella coltivazione bonsai, per la loro rapida degenerazione
nel vaso, in seguito agli sbalzi idrici e termici. Sono stati usati in passato per i bonsai che erano
coltivati in ambienti molto ombreggiati, ma il loro uso oggigiorno non è più interessante per i
bonsai di alta qualità. I materiali organici hanno una forte ritenzione idrica ed un’elevatissima
fertilità (a parte le torbe), con conseguenti rischi di marciume radicale; inoltre essendo molto
fini, ostruiscono il drenaggio ed impediscono il discorso delle granulometrie.
Tecniche bonsai
I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada 28
Kanuma Questo terriccio originario del Giappone, della periferia di Tokyo provincia Saitama e’ di col-
ore giallo, chiaro, molto leggero e mantiene bene l’umidità permettendo un buon passaggio
d’aria, garantisce inoltre un buon drenaggio. Siccome e’ un terriccio acido (PH circa 5) si adatta
particolarmente alle azalee o per lo sviluppo delle talee. E’ molto fragile perché molto poroso,
non lasciare gelare.

Possono avere un uso corretto ancora oggi per alcuni casi particolari. Humus: sostanza or-
ganica in decomposizione del suolo . Essa corregge i difetti del terreno quali: indurimento del
terreno , difficoltà di asciugamento, sviluppo radicale ridotto, minore assorbimento d’acqua e
di elementi nutritivi . Ad opera dei microrganismi rifornisce gradualmente la soluzione circo-
lante e le radici di macroelementi e microelementi. In definitiva l’humus diviene il regolatore
dell’alimentazione minerale delle piante. L’aggiunta di humus di lombrico di buona qualità , nel
Terricci di foglie ed humus di lombrico substrato ne migliora le caratteristiche e vi introduce la vita biologica, sotto forma di batteri e
funghi utili , enzimi ecc... La flora batterica “ buona” dell’humus , esplica una azione quasi an-
tibiotica, creando una specie di barriera biologica all’ingresso dei batteri “cattivi”. L’humus di
lombrico è il materiale organico più interessante, da miscelare con l’akadama ove necessario,
per la sua capacità drenante, rara qualità fra i terricci organici ) Ad esempio per i Meli bonsai si
può inserire un 10% di humus nell’akadama, per sostenere le fruttificazioni. Anche nel caso dei
Ficus, un 20% di materiale organico nell’akadama, può migliorare la capacità di sopravvivenza
in appartamento. È da ricordare che miscelando terriccio organico all’akadama, si diminuisce
notevolmente la sua capacità di far radicare (le torbe, anche le migliori come quelle d’Irlanda,
non sono indicate per i bonsai per la loro difficile capacità di reidratazione una volta asciugate).
I migliori terricci di foglie sono quelli derivati dal bosco di Faggi e dal bosco misto (Querce,
Carpini, Olmi, ecc.) di pianura.

Mizugoke (sfagno) Si usa per mantenere l’umidità’ del terriccio e durante gli attecchimenti o le margotte. La sua
lunghezza media e’ 10 - 18 cm. Normalmente si usa con kanuma per le azalee.

Kiryu La Kiryu è un substrato di origine giapponese, specifico per le conifere, ma idoneo anche nella
coltivazione di tutte le latifoglie sempreverdi di origine mediterranea. Presente in granulo-
metrie differenti e selezionabili tramite setacciature, ha un valore di pH che è tendenzialmente
acido, e grazie a questa caratteristica rende disponibili i microelementi ferrosi di cui è ricchis-
sima. Parallelamente al pH, il suo valore di CSC è pari a ca 25 (di poco inferiore all’akadama ed
alla Kanuma). Queste sue caratteristiche la rendono eccellente alla prolificazione dei capillari
radicali e nelle specie che be-neficiano di micorrize, aumenta l’allungamento ifale. La sua pre-
senza nei substrati dev’essere in percentuali molto basse (max 20 %), in quanto non essendo
un substrato completo nella sua componente chimica, se usata al 100% potrebbe dare pro-
blemi di antagonismo nell’assorbimento di altri elementi nutritivi. La sua struttura, povera in
micropori, la rende inoltre poco idonea in climi caldo-mediterranei per il non trattenimento
di acqua utile (caratteristica preziosa delle pomici). Le migliori prestazioni della kiryu, sotto
il profilo chimico-fisico le si hanno miscelandola con substrati ben strutturati tipo akadama,
pomici e kanuma. Il suo utilizzo, solitamente ignorato per le latigoglie, è invece indicatissimo
nella formulazione di substrati di specie sempreverdi che necessitano di alimentazione fogliare
costante perché i microelementi ferrosi intervengono nella biosintesi della clorofilla.

CAPACITA’ DI SCAMBIO CATIONICO La capacità di scambio cationico dei suoli individua la quantità di ioni positivi che possono essere
scambiati e trattenuti dal suolo; dalla CSC dipende la capacità del suolo di trattenere tutti gli
elementi chimici presenti in forma di ioni positivi e, in particolar modo, i metalli pesanti.

POTERE TAMPONE Con questa definizione s’intende la possibilità, da parte di un substrato, di assorbire dosi ecces-
sive di sostanze (concimi, antiparassitari etc.) e rilasciarli in maniera bilanciata senza variazioni
sostanziali del Ph. In sostanza maggiore è il potere tampone, maggiore la capacità del terreno
di assorbire shock evitando danni all’apparato radicale.
Tecniche bonsai
29 I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada
RAPPORTO CARBONIO / AZOTO Con il termine rapporto C/N s’intende il rapporto, in proporzione percentuale, tra la sostanza
organica (C) e l’azoto (N). Il valore di questo rapporto deve essere inferiore o uguale a 20. Se si
hanno valori < =20, si ha una maggiore efficienza nella mineralizzazione del substrato, mine-
ralizzazione che andrà ad aumentare la percentuale d’azoto disponibile per la pianta.

SUBSTRATO SECONDO LA SPECIE Un buon terriccio lo si ottiene mescolando in differenti proporzioni queste sostanze . Con
una serie di setacci si vagliano queste sostanze, allontanandone la parte polverulenta che ren-
derebbe il terriccio troppo compatto. Quindi conviene utilizzare tre differenti setacci . Il mate-
riale che non passa dal primo setaccio (5 mm) è troppo grosso, è può essere usato solo come
drenaggio, il terriccio che non passa attraverso le maglie di 3 mm viene utilizzato con il resto
che rimane all’interno dell’ultimo setaccio , il resto va scartato.
E’ importante ricordare che le proporzioni dei componenti del terriccio possono variare in
base alle situazioni climatiche , ad esempio un esemplare posto in akadama pura nelle regioni
meridionali calde e asciutte richiederebbe continue innaffiature , con il rischio di subire un col-
po di secco. In queste zone è preferibile mescolare una percentuale di materiale organico, che
aumenta la ritenzione di umidità del substrato. Al contrario , in zone a clima umido con piogge
tutto l’anno, è indispensabile un drenaggio ottimale, per scongiurare asfissia o marciume delle
radici. In questo caso si consiglia di aumentare la proporzione di sabbia, o pozzolana, oppure
usare una granulometria maggiore. Il composto migliore è quello che consente alla pianta di
crescere sana e vigorosa, considerando le condizioni climatiche, la posizione, la disponibilità
del coltivatore ad intervenire per rispondere alle necessità della pianta, e anche la disponibilità
dei materiali stessi. E’ bene preparare un miscuglio tale per cui, nel pieno dell’estate, possa
bastare mediamente una innaffiatura al giorno. Ogni bonsaista ha sviluppato con il tempo e
l’esperienza una sua miscela specifica per i vari tipi di piante. Sarebbe perciò utile che ognuno
trovasse, sperimentando, una miscela personale ed ottimale per la propria pianta.
Vita da club
BONSAISIEME - Antonio Defina 30

La nascita del Club “BONSAISIEME” è indubbiamente annualmente da tutti gli iscritti, cercando di svilup-
legata alla grande passione del prof. Giovanni Genotti. Già pare in ogni incontro un argomento teorico e pratico, ris-
negli anni ‘90 gli amici amatori s’incontravano con altri ap- pettando il momento vegetativo dei materiali. Senza nul-
passionati del bonsai di Torino in un club fondato dallo stes- la togliere alla parte teorica, penso comunque che dopo
so Genotti assieme ad altri appassionati. Visto il successo aver acquisito quelle “quattro nozioni” bisogna interve-
ed il crescente numero di amanti di quest’arte, si decise di nire “sul campo”. Da questa considerazione sono nate
intraprendere mensilmente degli incontri d’apprendimento alcune lezioni, pratiche, divertenti ed istruttive svolte
a Carignano. Nel 1993 sorse così la necesittà d’inquadrare direttamente “con le mani nella terra” presso il campo del
in modo organico e definitivo queste riunioni; fu così che nostro Maestro. Qui si crea il vero rapporto uomo/pianta;
nacque il club BONSAINSIEME. zollature, potature aeree e radicali di materiali giovani
Sotto la guida del maestro/presidente, nel giro di pochi e/o grezzi che con il tempo e la costanza degli interventi
anni i soci crebbero sia dal punto di vista numerico che da applicati porteranno a risultati più che soddisfacenti.
quello delle conoscenze acquisite, tanto da permettere D’altra parte alcune nozioni teoriche riguardanti gli stili,
(anche grazie alle risorse angolatura ed andamento
umane fortemente moti- della ramificazione, coni-
vate) l’allestimento delle cità, silhouette del tronco,
prime mostre. L’evento cul- ecc. ecc. vengono vissute
minante di tutto ciò ci fu nel all’aria aperta. Essendo il
1995, portando a Carignano prof. Genotti un grande
la conoscenza della cultura sostenitore dell’armonia e
orientale; esposizioni di della naturalezza, si orga-
bonsai, suiseki, ikebana, arti nizzano gite ed escursioni
marziali ed origami. in gruppo, in natura o pres-
Sulle piazze principali e so giardini botanici proprio
nelle più rilevanti palazzine per cercare di carpire i se-
dei Savoia, la grande iniziati- greti estetici della natura
va “Ventaglio sul Giappone” stessa.
portò meraviglie scono- Periodicamente ven-
sciute, affascinando sia il gono invitati istruttori
semplice cittadino sia gli riconosciuti per svolgere
ospiti illustri invitati. Questa dei workshop, serate
mostra nel corso del tempo d’informazione sulla tecni-
diede vita ad altre innumer- ca sperimentale, o di criti-
evoli iniziative e partecipazi- ca di bonsai o di materiali
oni. Nel 2000 il club ospitò la mostra del Coordinamento di partenza. Inoltre, come nuova iniziativa di confronto
AIAS. Per la prima volta in Italia si creò un connubio tra e apprendimento, quest’anno abbiamo visitato le colle-
una mostra locale di bonsai ed una nazionale di suiseki. zioni di alcuni amatori/istruttori.
Nel 2001 fu la volta del Coordinamento Regioni Piemonte Ci siamo sentiti rinfrancati nel poter constatare che
e Lombardia, associata a quella del Bonsainsieme. Nel le collezioni dei nostri iscritti potevano dignitosamente
2003 il club, nuovamente, ospitò le due relative mostre dei competere con molte di loro, e quindi di poter allestire da
Coordinamenti, dando vita ad un’incantevole ed emozio- soli una mostra bonsai degna di qualsiasi altro club.
nante mostra sui bonsai e suiseki. Come di consuentudine, Infine, desidero aggiungere a quanto già detto che
il Bonsainsieme tutti gli anni, con le sole proprie risorse questo club è essenzialmente un luogo d’incontro tra
economiche ed umane, allestì una serie di mostre in con- amici credono e rispettano il bonsai nel suo vero signifi-
comitanza di alcuni eventi cittadini. Le riunioni del club nel cato. l’umiltà e l’amore per la natura sono per noi al primo
secondo e quarto mercoledì del mese sono programmate posto.
Che insetto è?
32 PATOLOGIA VEGETALE II parte - Luca Bragazzi

Patologia vegetale - Parte II:


LE COCCINIGLIE

Proseguendo il discorso sugli insetti dannosi ed in particolare su


quelli considerati “vettori” come gli afidi, vediamo in questa parte
la cocciniglia. Presente in natura in diverse forme, possono mani-
festarsi sui nostri alberi le diverse specie presenti: mezzo grano di
pepe, cotonosa e normale a dorso bianco.
Questi insetti, sono caratterizzati da una immobilità tale da ren-
derli facilmente individuabili e riconoscibili, la suzione della linfa
elaborata, avviene sempre nel medesimo luogo su cui è arrivato
l’esemplare o l’intera popolazione e lì compiono la loro azione tro-
fica, indebolendo e disidratando l’intero esemplare vegetale.
Anche questa tipologia d’insetto, durante le fasi di alimentazione
potrebbe trasmettere i temutissimi virus. Le cocciniglie, sono in-
setti che colpiscono la maggior parte delle specie coltivate a bon-
sai, in particolare le conifere, oltre che tutta una serie di specie a
foglia caduca e sempreverde nel particolare periodo primaverile.
Quest’ultima stagione, infatti, presenta le migliori condizioni agro-
climatiche dell’intero anno solare, in cui, la maggior disponibilità di
cibo risveglia e mobilita tutti gli insetti… dannosi e non.
La loro collocazione in fase trofica, è appunto su tutti i tessuti teneri,
peduncoli fogliari ed anche sui frutti e calici fruttiferi, tutti luoghi dove
il nutrimento si concentra abbondantemente e dove sovente la chio-
ma protegge con le foglie dalla luce, vento e da eventuali predatori.
Difficilmente ad un occhio poco esperto, gli individui sono rintrac-
ciabili all’interno della chioma, se non fosse per una traccia biologi-
ca, che le caratterizza; la melata. Questa sostanza, che caratterizza
anche gli afidi, è un prodotto zuccherino molto denso e appiccicoso,
espulso in eccesso dall’addome dell’insetto in seguito ad intensa
azione trofica. Questo gocciolando sui tronchi e bancali, è un segno
inequivocabile della loro presenza, oltre che di scarsa attenzione e
cura da parte del bonsaista.
Le uova di cocciniglia, svernano in ambienti protetti come anfratti
della corteccia, interno di biforcazioni rameali e ferite non del tut-
to cicatrizzate. La lotta, è, come al solito, ambivalente: curativa o
preventiva. La prevenzione, come anche la lotta curativa è effet-
tuata tramite l’utilizzo di principi attivi insetticidi sistemici, capaci
di rendere inappetibile la linfa elaborata, l’utilizzo degli olii minerali
è ormai pratica obsoleta, data la fitotossicità sviluppata dagli ospiti
vegetali. Sicuramente la lotta a calendario evita l’arrivo di ospiti in-
desiderati tutto l’anno.

Luca Bragazzi
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