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ISSN 1127-8579

Pubblicato dal 16/03/2015


All'indirizzo http://www.diritto.it/docs/36920-il-danno-da-disastro-ambientale-e-la-paura-diammalarsi
Autore: Bonasia Isabella

Il danno da disastro ambientale e la paura di ammalarsi.

Il danno da disastro ambientale e la paura di ammalarsi.


La tematica ambientale , ad oggi, al centro del dibattito giuridico. Il lungo e
travagliato excursus che porter alla creazione del nuovo reato di disastro
ambientale modificher sensibilmente lodierno apparato normativo,
predisponendo una tutela effettiva e non gi meramente virtuale del bene primario
ambiente.
Questione peculiare, nonch da sempre dibattuta, legata alla tutela ambientale
attiene alla risarcibilit della paura di ammalarsi derivante dalla compromissione
ambientale: va risarcita la paura di ammalarsi?

Il danno da disastro ambientale si esplica nella compromissione e nel


deterioramento dellintegrit ambiente derivante dalla violazione dellhabitat
naturale, e comporta pregiudizi di ordine economico e non, sia allintera collettivit
organicamente intesa, sia al singolo nella sua dimensione individuale.
Risulta manifesto che, posta la fondamentale rilevanza del valore ambientale, la
sua tutela e preservazione rappresentino indispensabili ed irrinunciabili esigenze
che il diritto si fa carico di soddisfare.
In particolare, detto pregiudizio lesivo di interessi costituzionalmente garantiti
quali il diritto allambiente salubre, tutelato dallart. 9 Cost., e, conseguentemente,
il diritto alla salute riconosciuto e garantito dallart. 32 Cost., sussistendo la
strettissima, ancorch evidente, correlazione tra i danni arrecati allambiente e le
ripercussioni negative che si riverberano sulla salute.
Appare chiaro, pertanto, come tale danno costituisca un vero e proprio punctum
dolens che necessita la predisposizione di un apparato normativo capace di
approntare una tutela pienamente satisfattiva.
Nonostante la centralit della problematica e il proliferarsi dei disastri
ambientali, le risoluzioni legislative sono lente ed esitanti.
In attesa della codificazione del nuovo reato di disastro ambientale e
dellattuazione del ddl ecoreati, la situazione attuale articolata e complessa.
La questione muove i primi passi sin dallambito definitorio.
Difatti, la disorganicit normativa, la pluralit delle fonti, e la mancanza allo
stato - di una definizione giuridica di disastro ambientale, rendono complessa la
sua analisi e risoluzione.
Ci posto, dal punto di vista meramente definitorio possibile prendere le mosse
dal decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale",

confluito nel Codice dellambiente, anche in attuazione della direttiva


2004/35/CE, il quale enuclea, al proprio interno, unicamente la nozione di danno
ambientale.
Nello specifico, lart. 300 del Codice dellambiente definisce siffatto
pregiudizio come qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o
indiretto, di una risorsa naturale o dellutilit assicurata da questultima. Pi
precisamente, costituisce danno ambientale il deterioramento provocato alle specie
e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria; il
deterioramento provocato alle acque interne, alle acque costiere ed a quelle
ricomprese nel mare territoriale; ed infine, al terreno. Ci nonostante, per ricostruire
la nozione esatta e pi completa di danno derivante da disastro ambientale, occorre
far riferimento ad ulteriori fonti.
Mediante unopera di esegesi condotta dalla giurisprudenza, infatti, si ritenuto
applicabile la disposizione contenuta nellart. 434 c.p. (crollo di costruzioni o altri
disastri dolosi), in base al quale chiunque, () commette un fatto diretto a
cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro
disastro punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumit, con la
reclusione da uno a cinque anni ().
Or bene, si giunti a ritenere che l'ampia definizione di altro disastro ivi
prevista possa ricomprendere anche l'ipotesi di disastro ambientale a condizione che
sussista un danno grave ed irreparabile per l'ambiente e vi sia pericolo per la
pubblica incolumit. Tale ricostruzione, inoltre, appare ulteriormente avvalorata
dalla Relazione Ministeriale sul progetto del codice penale, che stabilisce: la
disposizione dell'art. 440 [ora 443], nella parte che riguarda altri disastri, ha
carattere integrativo; essa cio destinata a colmare ogni eventuale lacuna che di
fronte alla multiforme variet dei fatti possa presentarsi nelle norme di questo
titolo concernente la tutela della pubblica incolumit.
In aggiunta, ulteriori e successive pronunce giurisprudenziali hanno arricchito il
contenuto definitorio di disastro ambientale sancendo che il termine disastro
implica che sia cagionato un evento di danno o di pericolo per la pubblica
incolumit straordinariamente grave e complesso, ma non eccezionalmente
immane; pertanto necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di
prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero
indeterminato di persone (Cass. Pen., Sez. III, 29 febbraio 2008, n. 9418).
Dunque, il danno derivante da disastro ambientale ben potrebbe esplicarsi sotto
una duplice natura: danno allambiente, senza che venga compromesso lo stato
psico-fisico dei soggetti, deturpando unicamente lintegrit e salubrit ambientale,

ovvero fenomeni che incidono sulla salute fisica e psichica, quale effetto della
violazione ambientale. Donde due tipi di danno: questi possono coesistere, ma
possono anche insorgere separatamente.
Fin qui nulla quaestio.
Laspetto pi problematico attiene il profilo individuale, ovvero il disastro
ambientale non provocante lesioni allo stato di salute dei soggetti, ma comportante,
purtuttavia, disagi alla vita, alla vivibilit, allordinato e usuale svolgimento delle
abitudini del singolo soggetto.
La costante diffusione di fenomeni di inquinamento ambientale derivanti
dallespletamento di attivit antropologiche illecite (che si verificano il pi delle
volte nellesercizio di attivit di natura industriale) ha dato impulso, negli ultimi
anni, ad un consistente incremento di tale particolare ipotesi di danno di natura
extracontrattuale, qualificabile come danno da illecito ambientale.
questo il caso della catastrofe che interess il Comune di Seveso, al confine
con quello di Meda. La vicenda, difatti, costituisce dal punto di vista
giurisprudenziale un vero e proprio leading case in tema di riconoscimento e
risarcibilit del danno derivante da disastro ambientale.
Lincidente industriale ebbe luogo il 10 luglio 1974 nello stabilimento
dellICMESA S.p.a. a seguito della fuoriuscita di diossina, sostanza chimica
altamente tossica, che inquin il territorio di Seveso e le zone limitrofe. La
contaminazione da diossina avvelen aria, terreni, acqua e fauna. Oltre ai numerosi
danni di natura patrimoniale, molteplici pregiudizi afferirono lo stato di salute dei
soggetti coinvolti modificando, in maniera irreversibile, il loro modus vivendi.
Laspetto del tutto peculiare dellintera vicenda fu senzaltro segnato dal
profondo stato di stress emozionale a cui le vittime del disastro dovettero far fronte.
Invero, ci che giuridicamente viene qualificato come danno morale, species del pi
ampio genus danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., nel caso di specie si
sostanzi come il timore delle vittime di contrarre malattie a seguito della
contaminazione.
Il pretium doloris vantato dalle vittime aveva ad oggetto la paura di ammalarsi, un
vero e proprio patema danimo e stato di turbamento interiore per le proprie
condizioni di salute, indotto dalla preoccupazione per le conseguenze dannose,
anche lungolatenti, derivante dallesposizione agli effetti nocivi della diossina.
In aggiunta, ci che accresceva detto stress emozionale, era la mancanza di
informazioni scientifiche ben precise che potessero escludere in toto la pericolosit,
dal puto di vista psico-fisico, della sostanza.

Al contrario, sia nellimmediatezza dellevento sia, periodicamente, nel corso degli


anni successivi, le vittime del disastro venivano sottoposte ad accertamenti sanitari
coattivi finalizzati allo studio delle possibili ripercussioni legate alla diossina,
senza, tuttavia, arrivare mai ad un punto fermo.
La mancanza di cognizioni scientifiche certe che collegassero eziologicamente il
disastro ambientale allaumento, riscontrato negli anni a seguire, di malattie
tumorali, cardiache e del tasso di spontanea abortivit delle donne, non solo
accresceva il disagio psicologico delle vittime non solo causava una situazione di
afflizione e forte preoccupazione, ma, giuridicamente, rendeva difficoltoso
laccertamento e la risarcibilit di tale illecito ambientale.
Le problematiche, infatti, attenevano lesatta ricostruzione del pretium doloris
vantato dagli abitanti di Seveso e la inquadrabilit di un danno, del tutto sui generis,
ovvero la paura di ammalarsi, allinterno della categoria del danno non
patrimoniale.
Linterrogativo che si poneva era, dunque, va risarcita la paura di ammalarsi?.
La querelle si mostrava, sin dalle prime battute, di complessa risoluzione.
Ottantasei residenti in prossimit dellimpianto produttivo dellICMESA S.p.a.,
una sorta di gruppo pilota, intrapresero unazione civile volta al riconoscimento
del danno morale contro lindustria chimica.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 7825/03, riconoscendo unipotesi di
reato di disastro ambientale di cui allart. 449 c.p., individu la sussistenza del
danno morale in quanto derivante da cause penalmente illecite, nonch dalle
prescrizioni sanitarie, dalle limitazioni alla libert dazione e di vita in seguito al
mutato rapporto contaminato con lambiente, condannando lICMESA S.p.a. ad un
risarcimento pari ad Euro 5.000,00 per ciascun attore.
La sentenza di primo grado fu impugnata sia dai danneggianti, che lamentavano
linsufficienza del quantum risarcitorio, sia dalla societ responsabile che sostenne
la non risarcibilit dei danno morale, considerato danno-conseguenza, in assenza di
un danno biologico, posta la mancanza di qualsiasi prova relativamente al
collegamento eziologico tra il disastro ambientale e i pregiudizi vantati dalle
vittime.
La Corte territoriale, con sentenza n. 2829 del 2005, tuttavia, rigett la
ricostruzione offerta dallICMESA S.p.a., sancendo un primo passo per il
riconoscimento giuridico della paura di ammalarsi in tema di disastro ambientale.
Difatti, in netta contrapposizione con gli orientamenti giurisprudenziali precedenti,
la Corte dappello di Milano sostenne una ricostruzione in chiave positiva della
categoria del danno morale non accompagnato necessariamente da quello biologico.

Tale visione costituisce un vero e proprio quid novi rispetto al passato e crea le
premesse per una tutela ambientale effettiva, ammettendo il risarcimento del danno
non soltanto, n necessariamente, in caso di compromissione alla salute, bens in
presenza del mero deterioramento della qualit della vita provocato dalle
immissioni inquinanti.
Ulteriori dubbi che restavano circa la configurabilit del danno derivante dalla
paura di ammalarsi sono stati definitivamente fugati dalla Corte di Cassazione, nella
sentenza n. 11059/ 2009, che ha apertis verbis sancito la risarcibilit del danno
morale provocato da compromissione ambientale a seguito di disastro colposo ( ex
art. 449 c.p.), in maniera del tutto autonoma rispetto al danno biologico o di eventi
di natura patrimoniale, individuando la sussistenza del danno morale nel patema
danimo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute.
Dunque, sussistendo la fattispecie contemplata dallart. 449 c.p., rubricato
Delitti colposi di danno, il danno non patrimoniale diviene risarcibile in quanto
derivante da reato incidente sia sul bene pubblico immateriale ed unitario
dellambiente che sulla sfera individuale dei singoli soggetti che si trovano in
concreta relazione con i luoghi interessati dallevento dannoso in ragione della
loro residenza o frequentazione abituale.
Lulteriore merito della pronuncia della Corte Suprema consiste, altres,
nellaver parzialmente risolto, esplicando la propria funzione nomofilattica, le
difficolt relative laccertamento dellan e del quantum del danno morale. Ebbene, a
causa del carattere intrinsecamente soggettivo del danno morale, appare difficoltoso
rendere concreto il patema danimo e procedere alla sua quantificazione.
La risoluzione, allora, stata individuata mediante il ricorso alle presunzioni.
Dunque, dispone la Cassazione, il danno non patrimoniale consistente nel patema
danimo e nella sofferenza interna ben pu essere provato per presunzioni. Con
tale dictum cadono tutte le censure relative alla prassi, fortemente criticata, di
ricorrere al fatto notorio per dar prova del pretium doloris sofferto. Invero, la
Suprema Corte evidenzia come la prova per inferenza induttiva non postula che il
fatto ignoto da dimostrare sia lunico riflesso possibile di un fatto noto, essendo
sufficiente la rilevante probabilit del determinarsi delluno in dipendenza
dellaltro secondo criteri regolarit causale.
Evidente, allora, appare la funzione non gi punitiva del risarcimento del
danno derivante dal disastro ambientale, poich il pregiudizio subito deve essere
comunque provato mediante la ricostruzione della serie concatenata di fatti noti atti
a risalire a quelli ignoti. Ci qualifica la funzione della responsabilit civile come

riparatoria-risarcitoria atta a reagire allatto illecito dannoso ristabilendo lo status


quo ante nel quale il danneggiato versava prima di subire il pregiudizio.
Una volta riconosciuto e provato, tuttavia, il danno morale derivante da disastro
ambientale questultimo necessita di una quantificazione.
La ricostruzione del quantum verte sulla intensit e durata nel tempo della
sofferenza subita, nonch, sulla gravit del fatto e sulle sue possibili conseguenze
per la salute della popolazione residente nellarea inquinata.
Inoltre, perch il risarcimento del danno morale non costituisca unicamente
unazione simbolica, scevra di contenuti sostanziali, previsto lintervento di una
valutazione equitativa del giudice. Lutilizzo dell equitas, difatti, finalizzata a
concretizzare la valutazione del patema danimo connaturandolo in maniera
sostanziale.
Tali assunti ci permettono, ad oggi, di rispondere affermativamente al quesito
inizialmente posto, ovvero la paura di ammalarsi, generata dal disastro ambientale,
oggetto di tutela, grazie allattivit di coordinamento tra dottrina e giurisprudenza
che hanno posto in essere unopera di esegesi concreta tale da corrodere le
limitazioni originarie dellart. 2059 c.c. in tema di danno non patrimoniale e di
porre un tassello in pi alla salvaguardia effettiva, e non meramente virtuale del
bene primario ambiente predisponendo strumenti giuridici ad hoc (ricorrendo,
dunque, allistituto della responsabilit civile) per garantire la tutela della persona in
caso di disastri ambientali, tali da esplicare anche un effetto deterrente per il
moltiplicarsi di questi fenomeni.
Dott.ssa Isabella Bonasia
Bibliografia Essenziale:
CARINGELLA FRANCESCO, Manuale di diritto civile. La responsabilit
extracontrattuale, Dike, 2011.
ALPA GUIDO, La responsabilit civile. Parte generale, Utet, 2010.
RONCALI DAVIDE, Il danno da morte biologico e morale. Profili giuridici,
aspetti medico-legali e psichiatrici forensi, Cedam, 2000.
BONA MARCO, MIGLIORATI GIULIANA, Il danno non patrimoniale da
disastro ambientale: la svolta delle Sezioni Unite, in Giurisprudenza Italiana, 2003
fasc. 4, pp. 691-694.
BUSNELLI FRANCESCO DONATO, Il danno alla persona: un dialogo
incompiuto tra i giudici e legislatori, in Danno e Responsabilit, 2008, 609-613.

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